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Un tentativo di introdurre alla matematica qualche non matematico-parte seconda: pi greco e la trigonometria Luigi Corgnier e Paolo Valabrega

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Un tentativo di introdurre alla matematica qualchenon matematico-parte seconda: pi greco e la

trigonometria

Luigi Corgnier e Paolo Valabrega

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Indice1 Trigonometria: perché riparlarne 1

2 Aree 52.1 Aree e derivate. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92.2 Digressione sul numero π . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10

3 Trattazione analitica di π e delle funzioni trigonometriche 123.1 Presentazione I: mediante le serie di potenze . . . . . . . . . . . . . . . . 12

3.1.1 Nozioni richieste . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123.1.2 Definizioni di base . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133.1.3 Formule di base . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143.1.4 Formule di addizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143.1.5 Definizione di π . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153.1.6 La periodicità e le funzioni inverse . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163.1.7 Collegamento con la geometria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 173.1.8 Lunghezza della circonferenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 183.1.9 Area del settore circolare e del cerchio . . . . . . . . . . . . . . . 18

3.2 Presentazione II: mediante l’equazione differenziale y′′ + y = 0 . . . . . . 193.3 Presentazione III: mediante l’integrale che definisce la funzione arcoseno 193.4 Presentazione IV: mediante la funzione arcotangente . . . . . . . . . . . 20

3.4.1 Definizione di arcotangente, di π e di tangente . . . . . . . . . . . 213.4.2 Definizione di seno e coseno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 223.4.3 Seno e coseno soddisfano all’equazione y′′ + y = 0 . . . . . . . . . 24

1 Trigonometria: perché riparlarneTutti i diplomati di scuola media superiore, eccetto alcuni indirizzi molto particolari,hanno dovuto studiare la trigonometria nell’ambito dei corsi di matematica. Moltianni fa il liceo classico dedicava a questa disciplina l’intero ultimo anno (del corso dimatematica, s’intende), e questo sembra essere eccessivo a qualunque persona di buonsenso.

Forse oggi l’argomento è stato un po’ ridimensionato, ma comunque mantiene unpeso importante. Crediamo che chiunque sia richiesto di darne un giudizio, la qua-lifichi noiosa, tecnica, fortemente mnemonica, il classico argomento che si studia soloperché costretti. Escludendo gli irrecuperabili che danno lo stesso giudizio di qualunquecosa si studi (e sono tanti), credo comunque che anche fra coloro che giungono ad ap-prezzare qualche materia di studio, e magari anche qualche parte della matematica, latrigonometria occupi uno degli ultimi posti nell’indice di gradimento.

Secondo noi, i detrattori non hanno torto, ma la colpa non è tanto dell’argomentoin sè, quanto del modo con cui è abitualmente trattato.

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Per chi abbia un minimo di interesse in questioni tecniche o scientifiche, il puntodi partenza della trigonometria non dovrebbe essere così repulsivo. Sintetizzando, ilproblema base è questo: dato un triangolo rettangolo, se conosco 2 lati, ho un metodoper calcolare il terzo (il teorema di Pitagora). Ma se volessi conoscere gli angoli? Oviceversa, se conosco un lato e un angolo, come calcolare gli altri lati (in questo caso ilcalcolo degli angoli è banale, perché uno è retto e il terzo si ottiene dal teorema sullasomma degli angoli interni di un triangolo)?

Problemi di questo tipo sono molto naturali, e anche applicativi. Uno degli autoriricorda di averli incontrati nella prima infanzia, quando leggendo Topolino ha seguitole vicende di Qui Quo e Qua che, trovandosi davanti ad un fiume che non potevanoattraversare, avevano bisogno di conoscerne la larghezza. Ovviamente la soluzione eranel manuale delle Giovani Marmotte, che suggeriva di tracciare sulla riva del fiume unsegmento di retta di una certa lunghezza, e poi puntare un albero al di là del fiume daidue estremi del segmento, misurando in pratica due angoli. A questo punto si è in unclassico problema trigonometrico: dati di un triangolo un lato e i due angoli adiacenti,come trovarne l’altezza? La soluzione suggerita dal manuale delle Giovani Marmotte era:fare un disegno in scala ridotta del triangolo su un foglio, cioè in pratica rappresentareil lato (diciamo di 10 metri) con un tratto di 10 cm., riportare i due angoli, misurarel’altezza del triangolo ottenuto (che sarà di qualche centimetro), moltiplicare l’altezzaper 100, ottenendo così la vera larghezza del fiume.

Una soluzione grafica di questo tipo è certamente corretta, ma ha qualche difetto: èlenta, probabilmente non molto precisa, e soprattutto non si presta ad una automatiz-zazione: oggi il problema della triangolazione di Qui Quo Qua è continuamente risolto,quasi senza rendersene conto, dai misuratori di terreni, dai geografi, dai geometri, nelsenso che lo strumento che misura gli angoli (teodolite) provvede direttamente a fornireanche le distanze richieste e vari altri dati. Evidentemente esso non disegna una figura,ma fa un calcolo numerico, usando tecniche sviluppate dalla trigonometria.

A proposito della naturalezza dei problemi trigonometrici, aggiungiamo ancora unricordo personale dello stesso autore:

“mentre si era in vacanza in un fiordo dell’Islanda, il figlio, studente del primo annodi liceo scientifico, fece questa domanda: papà, a scuola mi hanno afflitto per un annocon proprietà varie geometriche, ma non mi hanno spiegato come si fa a calcolare il terzolato di un triangolo quando se ne conoscono gli altri due e l’angolo compreso: si può?Fu necessario improvvisare un corso di trigonometria di 1 ora, oltre naturalmente adanticipare al ragazzo le future sofferenze che gli sarebbero state inflitte sull’argomento.”

In sostanza, ogni trattazione di trigonometria dovrebbe partire facendo almeno capirequale è il problema a cui ci si dedica, che, schematizzando e semplificando, può esserequesto:

dato un triangolo rettangolo, di cui si conosce l’ipotenusa e un angolo acuto, comecalcolare i due cateti del triangolo, con metodi numerici? L’espressione “con metodinumerici ”, è importante perché se si ammettono metodi grafici il problema non esiste,la sua soluzione è sul manuale delle Giovani Marmotte.

Abbiamo qualche dubbio sul fatto che i testi di liceo e molti insegnanti comincino

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almeno mettendo in chiara luce questo punto di partenza, e questa è la prima criticaall’insegnamento tradizionale della trigonometria.

Ma adesso vediamo altri difetti della trattazione abituale. Anzitutto non si fa no-tare, come sarebbe essenziale, che il problema posto è difficilissimo, assolutamente nonparagonabile ad altri sui triangoli che sembrerebbero simili: ad esempio, dati l’ipotenu-sa e un cateto, trovare l’altro, che è risolto semplicemente (si fa per dire) dal Teoremadi Pitagora, che porta ad un calcolo in cui si richiedono quadrati di numeri, differenzae estrazione di radice quadrata, tutte operazioni aritmetiche che in questa trattazioneconsideriamo note (si veda la prima parte di questa trattazione [1]). Chi conosce già lasoluzione del problema trigonometrico sa che invece si devono introdurre funzioni piúsofisticate (non per nulla dette trascendenti), ma probabilmente, se non ha una specificapreparazione matematica, non sa come si calcolano.

La trattazione abituale della trigonometria si riferisce, per ovvia semplicità, ad untriangolo rettangolo di ipotenusa lunga 1, e introduce appunto due funzioni dell’angoloe cioè:

• sinα = la lunghezza del cateto opposto all’angolo α

• cosα = la lunghezza del cateto adiacente all’angolo α.

Giustamente si dice che sono funzioni di α, perché è ovvio che il loro valore è de-terminato dal valore di α. Su questo punto per il momento non c’è nessuna particolareobiezione, ma l’osservazione che non si è fatto il minimo passo avanti verso la soluzionedel problema: si sono dati dei nomi e dei simboli per le quantità da trovare, ma nonsi è affatto detto come trovarle, cioè in pratica come calcolare sinα e cosα, una voltache sia assegnato α. Questa osservazione non dovrebbe essere taciuta, mentre si tende atacerla, e coprirla con una marea di apparato tecnico che si butta addosso allo studentenei mesi successivi.

Veniamo appunto all’apparato tecnico. Delle funzioni seno e coseno si trova unamarea di proprietà, che si concretizzano in uno dei formulari piú complessi della ma-tematica. Ai tempi dei nostri studi era abbastanza un incubo presentarsi all’esame dimaturità tenendo in mente tutte quelle formule (insieme, ovviamente, con la quasi to-talità del Paradiso di Dante Alighieri, con le date della storia moderna, con le reazionichimiche, con le classificazioni geologiche e biologiche, . . . ).

Oggi probabilmente il problema è superato dal fatto che nell’esame di stato si richiedeal candidato molto meno di una volta, e meno che mai di conoscere o saper utilizzareelenchi di formule: talora basta in effetti presentarsi per aver diritto alla promozione.

Resta però il fatto che si perde una grande quantità di tempo ed energie dietro aproprietà minute, in parte ovvie o di ovvia deduzione, mascherando quello che sarebbe ilvero punto: ma come si calcolano quelle funzioni di cui stiamo elencando tante proprietà?

Ai tempi dei nostri studi la risposta a questa domanda veniva dall’uso di famigeratetabelle, dette dei logaritmi e delle funzioni trigonometriche, che contenevano appunto ivalori precalcolati di tali funzioni per un grande numero di valori della variabile (l’an-golo). Su queste tabelle si passava un buon terzo del tempo del corso, perdendosi invari dettagli tecnici sul loro uso ottimizzato, formule di interpolazione fra i valori forniti,

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come se lo studente avesse bisogno di conoscere continuamente migliaia di valori dellafunzione seno, e con la precisione di 10 cifre decimali. Si ignorava del tutto la vera que-stione che si porrebbe qualunque persona di buon senso: come sono stati trovati queivalori?

Oggi crediamo che la situazione sia cambiata. La rivoluzione informatica ha spazzatovia le famigerate tabelle, sostituendole con l’uso delle calcolatrici o dei programmi. Masi continua ad ignorare la questione fondamentale: come lavorano le calcolatrici e iprogrammi per produrre quei valori?

Questo modo di procedere è particolarmente nefasto, perché tende a trasmetterel’idea che la matematica (o la scienza in genere) sia qualche cosa di riservato a dei guruche con metodi imperscrutabili generano risultati a cui noi non possiamo che inchinarci(o piú spesso ignorarli, con la scusa non ne capisco niente). Al contrario, è certamentevero che le grandi scoperte sono state fatte da menti superiori, e spesso si resta stupitidavanti alla potenza di un’intuizione, ma è altrettanto vero che la verifica o lettura diqualsiasi argomento deve, o dovrebbe, essere alla portata di tutti. In sostanza, non misi può chiedere di credere ad una tabella o a una calcolatrice, se non mi si dà almenoun’idea di ciò che c’è sotto.

Nel caso del calcolo delle funzioni trigonometriche, ciò che c’è sotto non è affattosemplice, almeno a livello scuole medie superiori, ed è particolarmente grave, diremmoaddirittura disonesto, nasconderlo e coprirlo con tecnicismi.

Esistono punti piú specifici in cui la trattazione ordinaria della trigonometria apparedifficilmente accettabile.

Abbiamo ricordato che il punto di partenza è la definizione del seno e del coseno diun angolo come lunghezze dei cateti di un triangolo rettangolo con ipotenusa lunga 1 eun angolo pari a quello assegnato.

Tale definizione è geometrica, e si appoggia su una notevole quantità di concettigeometrici:

• Misura di segmenti

• Misura di angoli

• Concetto di angolo retto e triangolo rettangolo

• Concetti di adiacenza fra angoli e lati.

È molto ottimistico pensare che tali concetti siano stati sviluppati correttamenteprima di affrontare la trigonometria, anche perché la loro precisazione non è affattosemplice, si richiederebbe una trattazione seria della geometria.

Nel prossimo capitolo si accenna a vari possibili approcci geometrici, con i loro difetti.Ma anche supposto che fosse disponibile una trattazione seria della geometria, sareb-

be comunque poco soddisfacente il far dipendere in modo essenziale la definizione dellefunzioni trigonometriche (che sono funzioni da numeri reali a numeri reali) da tuttol’apparato della geometria.

Crediamo che anche molti laureati in matematica abbiano solo la visione delle funzio-ni trigonometriche come derivanti da considerazioni geometriche: se non fossero troppo

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condizionati dall’insegnamento ricevuto, dovrebbero notare con disagio la forte differen-za fra una funzione come l’esponenziale, che è definita parlando solo di numeri (si veda[1]) e la funzione seno, che è introdotta attraverso la geometria. Questo ha un riflessoquando si cerca di calcolarne la derivata, cioè in pratica il limx→0

sinxx

: ci si riesce soloattraverso limitazioni a carattere geometrico, in genere date per ovvie, sui valori che ilseno di un angolo può avere rispetto ai valori dell’angolo stesso, purchè per questi ultimisi usi una speciale unità di misura, il radiante. Anche questo punto è discusso piú afondo nel prossimo capitolo.

Non vogliamo affatto affermare che tutte le pecche elencate non possano essere su-perate, ma che questo non è abitualmente fatto, e non può essere fatto senza un seriostudio della geometria piana. Ma anche se fosse fatto, resterebbe sempre l’obiezione maperché devo introdurre tanta geometria per riuscire a dire cosa intendo per sinx, cioèper definire una funzione da numeri a numeri?

Anche per motivi di economia intellettuale, si sentirebbe fortemente il bisogno diuna trattazione delle funzioni trigonometriche che non esca dall’ambiente aritmetico,vedendo poi gli aspetti geometrici come un possibile campo applicativo, non come cuoredell’argomento.

Probabilmente non tutti, anche fra i matematici, sanno che una trattazione di talgenere è possibile, e anche abbastanza semplice per chi conosce qualche strumento dianalisi matematica. A livello liceale probabilmente questo non è completamente vero,però è possibile anticipare gli strumenti necessari, che sono abbastanza naturali, e poiprocedere correttamente. Si possono poi trovare vari compromessi fra economia nell’u-so di strumenti matematici piú avanzati e naturalezza della deduzione. In ogni caso,le trattazioni numeriche della trigonometria forniscono anche la risposta naturale alladomanda centrale come si calcolano le funzioni trigonometriche?.

Nel seguito di questo articolo si esaminano quattro possibili trattazioni, tutte ragio-nevolmente accettabili. Le prime due, basate sulle serie o sulle equazioni differenziali,richiedono maggiori conoscenze preliminari di analisi matematica, e sono molto naturali,mentre la terza e la quarta, basate sul concetto di integrale, richiedono solo conoscenzeminime di analisi matematica, con il prezzo di essere un po’ piú faticose e tecniche perquanto riguarda argomenti delicati come la periodicità.

Per quanto riguarda la trattazione a partire dall’equazione differenziale y′′ + y = 0,dobbiamo ringraziare il professor Paolo Tilli del Politecnico di Torino per averci suggeritoun elegante ragionamento.

2 AreeQui si dettagliano maggiormente i problemi citati nell’introduzione sulla tratttazionetradizionale della trigonometria basata su concetti geometrici, fra cui essenziali sonol’area del cerchio e la lunghezza della circonferenza o di un suo arco.

Tutti sanno che l’area della regione piana interna a una circonferenza di raggio rvale πr2. Peccato che non si sappia che cosa sia π e nemmeno che cosa sia l’area. Ilconcetto di area è in realtà ben noto per regioni del piano interne a un quadrato di lato

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l, un rettangolo di lati a,b, un triangolo di base b e altezza h (rispettivamente l2, ab).In realtà i due numeri l2, ab sono chiamati aree (del quadrato, del rettangolo) perchéhanno proprietà che tutti pensano di dover attribuire alle aree delle figure piane. Peresempio, se raddoppio il lato di un quadrato, la sua area quadruplica, e questo fattosi può toccare con mano prendendo un quadrato di lato 1 e poi un quadrato di lato 2,che contiene esattamente 4 quadrati di lato 1. Si può anche verificare direttamente cheun quadrato di lato 2 e un rettangolo di lati 1 e 4 possono essere riempiti con lo stessonumero di quadrati di lato 1, cioè 4.

Queste aree, o magari solo quelle dei rettangoli, possono essere considerate comepunto di partenza per arrivare in varie tappe alle aree di figure piane complesse (l’internodi un cerchio, o la regione al di sotto di una parabola, ad esempio).

Diciamo quindi che noi accettiamo come assioma che l’area di un rettangolo di latia e b sia pari al numero ab. Come facciamo a passare all’area delimitata da un bordodiverso dai quattro lati del rettangolo? Già il triangolo richiede qualche considerazione,sia pure abbastanza semplice. Sia dato ad esempio un triangolo ABC, avente base ABdi lunghezza b e altezza CH di lunghezza h, come in figura 1. Il triangolo può essereinserito nel rettangolo ABDE, che ha la stessa base e la stessa altezza del triangoloe area bh. Si noti che, grazie a un ben noto criterio di eguaglianza, il triangolo BDCè eguale al triangolo CHB e che il triangolo AEC è eguale al triangolo ACH. Oraammettiamo che

• triangoli eguali abbiano la stessa area

• una figura formata da due (o piú) triangoli, che abbiano in comune al massimolati e vertici ma non punti interni, abbia come area la somma delle aree delle sueparti.

Possiamo quindi osservare che il triangolo ABC ha la stessa area della figura formatada AEC e da BDC, mentre i tre triangoli insieme formano il rettangolo ABDE. Quindisi ottiene:

area del rettangolo = bh = doppio dell’area di ABC, che vale quindi bh2 .

Non è difficile estendere questo ragionamento ai poligoni, che possono essere suddivisiin triangoli aventi a due a due solo lati o vertici in comune.

Se passiamo a regioni piane che hanno contorno non rettilineo le cose si complicano.In effetti è impossibile ripetere il ragionamento fatto per i triangoli, e valido ovviamenteanche per i poligoni, in quanto non si può riempire la regione con rettangoli, o triangoli,e nemmeno si può aggiungere qualche rettangolo o triangolo per ottenere un rettangolo.

Consideriamo ad esempio un quarto della regione interna alla circonferenza di raggio1, delimitata da un quarto di circonferenza e da due raggi perpendicolari fra loro, diciamouno orizzontale OP e uno verticale OQ.

Come si può calcolarne l’area? Prima di tutto occorre chiarire che cosa si intendeper area, visto che noi abbiamo a disposizione solo i rettangoli (ed eventualmente itriangoli). Cominciamo con la seguente costruzione (figura 2):

• dividiamo il raggio orizzontale OP in due parti eguali mediante il punto medio M

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• alziamo da M la perpendicolare a OP fino a incontrare il quarto di circonferenzain N

• consideriamo il rettangolo che ha come base OM e altezza OQ, che ha area 12OQ =

12

• consideriamo il rettangolo di baseMP e altezzaMN , che ha area eguale alla metàdella lunghezza di MN .

Ammettiamo a questo punto che- se la figura F è contenuta nella figura G, l’area di F sia minore o eguale a quella

di G- la figura formata da due o piú rettangoli che hanno in comune solo lati o vertici

(non punti interni) abbia area somma delle aree delle sue parti.Ne deduciamo che l’area cercata sarà non superiore alla somma delle aree dei due

rettangoli.Possiamo anche considerare i due seguenti rettangoli:

• il rettangolo che ha come base OM e altezzaMN , che ha area metà della lunghezzadi MN

• il rettangolo di base MP e altezza 0, che ha area 0.

La somma delle loro aree non supera quella della nostra figura. Quindi, detta Pl’area della nostra figura, avremo:

12MN ≤ P ≤ 1

2 + 12MN.

Occorre a questo punto osservare che abbiamo cominciato a parlare di area P senzaavere in realtà definito il concetto di area. Sarebbe piú appropriato e corretto dire che,qualunque sia la definizione di area che vorremo considerare, questa dovrà rispettare ledue diseguaglianze.

Il passo successivo sarà la suddivisione del segmento OP in tre parti eguali, con lacostruzione dei tre rettangoli interni e dei tre rettangoli esterni che si vedono nella figurafigura 3. La nostra area dovrà quindi rispettare le due diseguaglianze:

somma delle aree dei tre rettangoli interni ≤ P ≤ somma delle aree dei tre rettangoliesterni.

Passeremo poi a una suddivisione in quattro, cinque , ..., n parti eguali, ottenendoanaloghe diseguaglianze.

Si noti che stiamo costruendo due insiemi di numeri reali:

• A = insieme delle aree somme di aree di rettangoli interni,

• B = insieme delle aree somme di aree di rettangoli esterni.

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La nostra area soddisferà alle diseguaglianze: a ≤ P ≤ b dove a è un qualsiasielemento di A e b un qualsiasi elemento di B.

Se per caso A e B sono classi contigue, allora il numero P resta perfettamenteindividuato e possiamo decidere di chiamare area proprio un tale P .

È piuttosto evidente che ogni area a è minore di ogni area b, ma, dato un numeropositivo arbitrario ε, esistono un’area a e un’area b tali che b− a < ε?

Per capire questo fatto occorre cercare di calcolare le aree dei rettangoli. Supponiamodi dividere OP in n parti uguali mediante i punti Q1,Q2, ..., Qn = P , ognuno dei qualidista 1

ndal successivo. Il primo rettangolo esterno di base OQ1 ha altezza 1, il secondo

rettangolo esterno di base Q1Q2 ha altezza√

1− 1n2 (per il teorema di Pitagora, si veda

la figura 4), il terzo rettangolo esterno di base Q2Q3 ha altezza√

1− 2n2 , ecc.

Invece i rettangoli interni hanno altezze:√1− 1

n2 ,

√1− 2

n2 , . . . .

Poiché le aree si calcolano moltiplicando le altezze per la lunghezza fissa 1ndelle basi,

la differenza fra le aree sarà:

1n

[(1−√

1− 1n2 ) + (

√1− 1

n2 −√

1− 2n2 ) + . . . ] = 1

n

e, per il solito principio di Archimede (si vedapu[1]), tale numero si può rendere minoredi qualsiasi prefissato ε positivo. Quindi le due classi A e B sono contigue e ha sensochiamare area il numero reale loro elemento di separazione.

Questo ragionamento ci permette di definire l’area, almeno quella di un cerchio (4volte quella del quarto considerato), ma non ci permette di dire quanto vale, il calcolomediante le approssimazioni con rettangoli (non facile) ci potrebbe consentire di trovarevalori approssimati dell’area con qualsiasi precisione richiesta.

Osserviamo anche il fatto che si potrebbero considerare suddivisioni di tipo diversoe si dovrebbe dimostrare che conducono allo stesso risultato.

Occorre anche aggiungere che le considerazioni precedenti, pur non banali, sono piúsemplici di quelle che usano le aree dei poligoni regolari.

Possiamo però estendere a un dominio piano D qualsiasi (o quasi) la nostra defini-zione. Un plurirettangolo (figura 5) è una figura formata da uno o piú rettangoli, innumero finito, con i lati paralleli a due fissate rette perpendicolari (asse x e asse y),che hanno in comune al massimo un lato o una parte di esso. Consideriamo le aree deiplurirettangoli interni a D e quelli esterni, cioè contenenti D. Se tali aree formano dueclassi contigue, l’area del dominio è per definizione l’elemento di separazione.

Purtroppo la nostra definizione di area non è operativa: a parte il caso dei rettangoli,dei triangoli e delle figure che si possono costruire combinando rettangoli e triangoli invari modi, cioè con bordi rettilinei, il calcolo di qualsasi area è praticamente impossibilecon ragionamenti elementari, perfino nel caso del cerchio, che sembrerebbe il piú semplicefra i casi non rettilinei (e in realtà è fra i meno semplici).

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2.1 Aree e derivate.Riprendiamo in esame l’area del quarto di cerchio. Chi conosce un po’ le coordinatecartesiane sa che il nostro quarto di circonferenza, nel riferimento cartesiano della figura6, ha equazione y =

√1− x2 (con 0 ≤ x ≤ 1). Proviamo a considerare la seguente

funzione: f(x) = area del dominio interno al quarto di cerchio e compresa fra le ascisse0 e x (l’area è definita con i plurirettangoli) e proviamo a calcolarne la derivata:

limh→0

f(x+ h)− f(x)h

= 0.

Il numeratore è l’area in figura 6, sotto la circonferenza e compresa fra x e x + h,e quindi si può approssimare - per eccesso mediante l’area del rettangolo (in figura 6)che vale h

√1− x2 - per difetto mediante l’area del rettangolo (in figura 6) che vale

h√

1− (x+ h)2 .Quindi la frazione è compresa fra

√1− (x+ h)2 e

√1− x2. Cioè la derivata f ′(x)

dell’area è il limite per h tendente a 0 di una funzione di h che è intermedia fra lafunzione

√1− (x+ h)2 (che dipende da h) e la funzione

√1− x2 (che non dipende da h

ed è quindi fissa). Lasciamo al lettore la dimostrazione (non così difficile) del fatto che√1− (x+ h)2 tende a

√1− x2 quando h tende a 0, e concludiamo che la derivata f ′(x)

resta schiacciata fra√

1− x2 e√

1− x2 , cioè vale proprio√

1− x2 . Quindi la derivatadell’area sotto la circonferenza vale esattamente

√1− x2 , cioè coincide con l’ordinata

del punto P di ascissa x sulla circonferenza.Questa proprietà risulta molto utile per calcolare le aree, perché riconduce il calcolo

alla ricerca di una funzione che abbia derivata nota. Tale ricerca si chiama integrazione.Non è del tutto ovvio che si sappiano trovare le funzioni che hanno derivata assegnata,ma in qualche caso è possibile.

Una funzione F (x) che ha come derivata f(x) si chiama primitiva di f(x) e si puòdimostrare che ogni funzione continua ha infinite primitive che diferiscono l’una dall’altraper una costante arbitraria.

Nel caso del quarto di cerchio possiamo ragionare come segue.L’area fra 0 e x coincide con una funzione che ha come derivata

√1− x2 . Occorre

quindi scoprire tale funzione e calcolarla quando x = 1. Con tecniche standard di calcolointegrale si può vedere che la funzione f(x) = arcsinx

2 + x√

1−x2

2 ha proprio la derivatadesiderata e quindi basta calcolare la funzione in x = 1 per ottenere che l’area valearcsin 1

2 = π4 .

Tutto sembrerebbe a posto, perché abbiamo scoperto che l’area del quarto di cerchioha proprio il valore atteso, ma occorre porsi qualche domanda.

Prima di tutto abbiamo introdotto la funzione arcoseno. Se ammettiamo (ma lacosa è da discutere) di sapere che cosa è la funzione sinx dall’intero anno dedicatoalla trigonometria nelle scuole superiori, la funzione arcsinx non è difficile da definire:nell’intervallo [−π

2 ,π2 ] la funzione sinx assume tutti i valori compresi fra -1 e 1 una sola

volta, cioè stabilisce una corrispondenza biunivoca fra l’intervallo [−π2 ,π2 ] e l’intervallo

[−1,1]. Quindi, se si sceglie un qualsiasi numero reale y compreso fra -1 e 1, esiste un

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solo numero reale x compreso fra −π2 e π

2 tale che y = sinx. Diremo in tal caso chex = arcsin y, cioè che x è l’arco il cui seno è y. Ad esempio, poiché si ha sin π

4 =√

22 ,

si ha anche: π4 = arcsin

√2

2 . In secondo luogo occorre calcolare la derivata dell’arcoseno,che vale 1√

1−x2 , e anche la derivata della funzione x√

1−x2

2 (e questo richiede qualchenozione sul calcolo delle derivate e qualche commento sul fatto che un denominatore siannulla per x = 1).

Ma soprattutto le nostre considerazioni richiedono di sapere già che cosa è il numeroπ, ed è questo il vero problema. La mancanza di questo numero rende poco chiara tuttala trigonometria, che introduce sinx e cosx considerando come noto il numero π.

In realtà è molto più semplice calcolare l’area compresa fra l’asse x, l’asse y, laretta x = 1 e la parabola di equazione y = x2, perché è molto piú facile vedere chela derivata di x3

3 è proprio x2 e che quindi l’area sotto la parabola vale 13 in quanto si

ottiene sostituendo x = 1 nella funzione x3

3 .

2.2 Digressione sul numero π

Per capire meglio l’area del cerchio e il numero π ci sono vari modi di ragionare, maquelli comunemente presentati nei corsi di trigonometria sono sospetti di mordersi lacoda e di non portare da nessuna parte. In effetti le funzioni trigonometriche sinx ecosx vengono introdotte ammettendo di sapere che cosa è π e questo inficia tutte leconsiderazioni successive.

Un primo passo verso il numero π consiste nel dimostrare che il rapporto tra la lun-ghezza di una qualsiasi circonferenza e il suo diametro è eguale per tutte le circonferenze.Per dimostrare tale fatto occorre prima di tutto definire la lunghezza della circonferenzadi raggio r. Si considerano perciò i poligoni regolari di tre, quattro..., n lati (triangoliequilateri, quadrati, pentagoni regolari,...) inscritti e circoscritti. Si può far vedere chetali perimetri formano due classi contigue di numeri reali:

• i perimetri dei poligoni inscritti sono minori di quelli dei poligoni circoscritti

• dato un numero positivo ε qualsiasi è possibile trovare un perimetro di poligonocircoscritto e uno di poligono inscritto che differiscono per meno di ε.

La dimostrazioni di questi fatti richiede di saper calcolare i perimetri per ogni nu-mero n di lati. Seguendo la bella trattazione del libro [2], si può iniziare con il quadratoinscritto nella circonferenza (per semplicità di raggio 1), che ha lato

√2 e quindi peri-

metro 4√

2 . Se raddoppiamo il numero dei lati otteniamo un ottagono regolare. Conqualche considerazione geometrica si dimostra che il suo lato vale

√2 +√

2 e quindiil suo perimetro vale 8

√2 +√

2 . Si vede poi che il poligono di 16 lati ha perimetro

16√

2−√

2 +√

2. Con un po’ di fatica si può trovare la formula generale per il peri-metro del poligono regolare che ha 2m lati (quadrato per m = 2, ottagono per m = 3,

10

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...):

2m√

2−√

2 +√

2 + · · ·+√

2.

La formula sembra semplice, ma in realtà è abbastanza complicata da usare. Si puòtuttavia far vedere che essa rispetta il fatto, geometricamente ovvio, che, raddoppiandoil numero dei lati, aumenta il perimetro. Qualcosa di analogo si può fare con i poligoniregolari di 4, 8, 16,..., lati circoscritti alla circonferenza. Si può quindi far vedere (equesto è facile, è solo questione di proprietà dei triangoli), che un poligono regolare din lati inscritto ha perimetro minore di quello di uno circoscritto con lo stesso numerodi lati. Il passo successivo consiste nel provare che, dato un numero positivo arbitrarioε, è possibile trovare due poligoni regolari, uno inscritto e uno circoscritto, ottenuti conil procedimento del raddoppio del numero di lati, che hanno perimetri che differisconoper meno di ε. Occorre poi naturalmente far vedere che possiamo limitarci ai poligoniregolari ottenuti con il raddoppio del numero lati a partire dal quadrato, ma questodipende da due fatti (di non difficile dimostrazione):

• se A e B sono due classi separate di numeri reali e C è contenuta in A mentreD è contenuta in B, allora A e B sono contigue se lo sono C e D (attenzione, ilviceversa è falso)

• le classiA = perimetri dei poligoni inscrittiB = perimetri dei poligoni circoscrittisono separate (ogni a ∈ A è minore di ogni b ∈ B).

La ricerca effettiva dell’elemento di separazione, cioè della lunghezza della circon-ferenza, richiede di esprimere in modo preciso i perimetri per ogni intero n, e questoabbiamo visto che si può ottenere dalla formula data sopra.

Il calcolo dei perimetri per ogni numero n di lati si può anche eseguire a partiredagli esagoni regolari inscritti e circoscritti, che hanno perimetri facilmente calcolabilie poi si può procedere per raddoppio di lati, passando ai poligoni con 12, 24, ..., lati.Si vede facilmente che il passaggio da un poligono inscritto al successivo fa aumentareil perimetro, mentre il perimetro diminuisce se i poligoni sono circoscritti. Si vede poiche i poligoni inscritti e circoscritti di 6× 2n lati formano classi contigue, calcolando inmodo esplicito le differenze fra i perimetri. Occorre osservare che questo procedimento,come il precedente, richiede di avere già introdotto gli angoli e le loro misure o almenoqualche informazione sul dimezzamento degli angoli e i lati dei triangoli. Occorre poinaturalmente far vedere che possiamo limitarci ai poligoni con 6 × 2n lati, ma questodipende dai due fatti già menzionati.

Comunque, una volta che si sia raggiunto l’obiettivo di definire la lunghezza dellacirconferenza, occorre provare che il suo rapporto con il diametro non dipende dal raggio.Per fare questo occorre di nuovo lavorare sui poligoni inscritti e circoscritti e far vedereche, se pn è il perimetro del poligono inscritto di n lati, Pn quello del poligono circoscritto

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di n lati, d il diametro, allora i numeri pnd, Pnd, al variare di n, formano due classi contigue,

con un elemento di separazione, che chiameremo π. Ma anche questa operazione ètutt’altro che semplice. Solo a questo punto saremo anche in grado di trovare cifredecimali a nostro piacere di tale numero, prendendo poligoni con un numero di latiabbastanza grande.

Il passo successivo consiste nel definire (nel modo ben noto) le funzioni trigono-metriche. Però è necessario introdurre anche il concetto di radiante: un angolo di unradiante sottende per definizione un arco di circonferenza lungo quanto il raggio. Questadefinizione ha però il difetto di richiedere il concetto di lunghezza non solo dell’interacirconferenza, ma anche di un suo qualsiasi arco. Forse è meglio stabilire che l’angolo di360 gradi vale 2π radianti. Quindi un radiante corrisponde a un angolo pari all’interoangolo di 360 gradi diviso per 2π. Siccome sappiamo che la circonferenza intera è lunga2πr, un radiante corrisponderà a un arco lungo 2πr diviso per 2π, cioè r. Anzi, peressere precisi, misureremo gli archi guardando agli angoli in radianti corrispondenti.

Siamo ora in grado di affermare che:

• π2 corrisponde a un quarto di circonferenza e quindi a un angolo retto

• π corrisponde a mezza circonferenza e quindi a un angolo piatto ( = doppio di unretto)

• . . . .

Quindi avremo anchesin π

2 = 1, cos π2 = 0, sinπ = 0, cosπ = −1, ... .

3 Trattazione analitica di π e delle funzioni trigono-metriche

In questo capitolo si descrivono quattro possibili introduzioni di π e delle funzioni tri-gonometriche che prescindono da qualsiasi nozione preliminare di geometria. Alla finesi fa vedere che le funzioni così definite si identificano con quelle tradizionalmente note.

Il lettore deve avere alcune conoscenze di analisi matematica. Per chi ha questeconoscenze, la trattazione risulta semplice, naturale, e esente da tutti i difetti elencatiin precedenza.

3.1 Presentazione I: mediante le serie di potenze3.1.1 Nozioni richieste

• Basi di analisi matematica: funzioni, limiti, continuità, derivate, integrali;

• Concetto di serie come limite di una somma, quando il numero di addendi tendeall’infinito;

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• serie di potenze, loro convergenza in un intervallo di centro l’origine, metodi perdeterminarlo;

• integrabilità e derivabilità termine a termine di una serie di potenze.

Si richiedono inoltre le conoscenze di analisi matematica relative a funzioni continuecon derivata continua che riassumiamo come segue (senza precisare troppi dettagli):

• se la derivata di una funzione è positiva in un punto, la funzione è crescente almenoin intorno del punto (poiché f ′(x) è positiva in un punto e continua, è positiva inun intorno);

• se una funzione continua assume un valore positivo e uno negativo negli estremi diun intervallo di esistenza, fra i due assume anche il valore nullo (il celebre teoremadi esistenza degli zeri);

• se una funzione definita su un intervallo ha ovunque derivata nulla è costante;

• se una funzione è limitata e decrescente, ammette limite finito per x tendenteall’infinito;

• il limite della somma è la somma dei limiti;

• il limite del quadrato è il quadrato del limite (e, piú in generale, il limite delprodotto è il prodotto dei limiti);

• se limx→+∞f′(x) esiste ed è un numero reale > 0, allora la funzione f(x) tende a

+∞, mentre se limx→+∞f′(x) esiste ed è un numero reale < 0, allora la funzione

f(x) tende a −∞ (infatti f(x) è esprimibile come l’integrale della sua derivata,che può essere maggiorato, o minorato, da una opportuna costante). Si noti chedi qui si deduce il fatto seguente (che in effetti noi useremo):se f(x) e f ′(x) tendono entrambe a limite finito per x tendente a +∞, allora f ′(x)tende a 0.

3.1.2 Definizioni di base

Si definiscono le funzioni sinx e cosx con le formule:sinx = x− x3

3! + x5

5! -. . .cosx = 1− x2

2! + x4

4! -. . .Quindi esse sono definite con due serie di potenze nella variabile x.La prima è evidentemente una funzione dispari e la seconda pari.Il lettore che abbia le nozioni citate sopra conclude subito che tali funzioni sono

ovunque definite e può dimostrare le formule di derivazione:(sin x)’ = cos x(cosx)’ = -sinx(sinx)” = -sinx

13

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(cosx)” = -cosx.Inoltre:sin 0 = 0cos 0 = 1.Possiamo a questo punto ottenere in modo soddisfacente, mediante la regola di L’Ho-

pital, una formula ben nota ma generalmente ottenuta con metodi poco ortodossi (basatisul fatto intuitivo che sinx ≤ x):

limx→0sin x

x= 1

3.1.3 Formule di base

Posto per un momento y = sinx, si è verificato che y soddisfa l’equazioney′′ + y = 0.Tale equazione si dice differenziale. Lo studio delle equazioni differenziali costituisce

un vasto capitolo della matematica, qui non richiesto, perché l’equazione viene trattatadirettamente. Moltiplicando ambo i membri per y′ e usando proprietà elementari dellederivate, si trova:

y′y′′ + yy′ = 0e quindi:d( y

22 + y′2

2 )dx

= 0.Siccome le funzioni con derivata nulla sono solo le costanti, otteniamo:y2 + y′2 = c = costante.Poiché y = 0, y′ = 1 per x = 0, la costante vale 1 e quindi si può scrivere la formula

nel modo seguente:(sinx)2+(cosx)2 = 1;di qui si deduce che sinx e cosx sono compresi sempre fra −1 e 1.

3.1.4 Formule di addizione

Si comincia con il seguente

Lemma 3.1. Sia z una funzione soddisfacente, almeno in un intorno di x = 0, l’equa-zione

z′′ + z = 0Allora si ha:

z(x) = z(0) cosx + z′(0)sinx. da cui segue, fra l’altro, che z è ovunque definita, esoddisfa la stessa equazione ovunque.

Dimostrazione. Poniamo y(x) = z(x)−z(0) cosx−z′(0)sinx. Un facile calcolo permettedi trovare le relazioni

y′′ + y = 0, y(0) = 0, y′(0) = 0.

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A questo punto si applica lo stesso metodo del capitolo precedente, e si arriva all’e-guaglianza y2 + y′2 = c = costante; ma in questo caso si trova c = 0, quindi y2 + y′2 = 0,da cui segue immediatamente y = 0.

Poniamo ora z(x) = sin(x + a), essendo a qualsiasi. È immediato verificare che zsoddisfa la condizione del lemma; poiché z(0) = sin a, z′(0) = cos a , il lemma fornisceimmediatamente la formula di addizione per la funzione seno:

sin(x+ a) = sinx cos a+cosx sin a.L’analoga formula per la funzione coseno si può trovare con lo stesso metodo, o piú

semplicemente derivando la precedente:cos(x+ a) = cosx cos a-sinx sin a.Dalle formule di addizione si deducono subito le formule di duplicazione:sin 2x = 2sinx cosx,cos 2x = (cosx)2− (sinx)2,e le formule di bisezione:sinx2 = ±

√1−cosx

2

cosx2 = ±√

1+sinx2

3.1.5 Definizione di π

Si è visto che la funzione sinx si annulla per x = 0. Ora si dimostrerà che essa siannulla anche per certi valori positivi di x, e il piú piccolo di tali valori si chiameràper definizione π . Dimostriamo dunque che esiste almeno un numero a > 0 tale chesin a = 0. L’elegante ragionamento che segue ci è stato suggerito dal professor PaoloTilli del Politecnico di Torino, che ringraziamo.

In primo luogo notiamo che la funzione y = sinx (che è infinitamente derivabile)soddisfa alla condizione:

sin(0) = 0(sinx)′ = 1 per x = 0.Osserviamo quindi che la condizione (sinx)′ = 1 > 0 per x = 0 implica che la

funzione, essendo crescente in un intorno dell’origine, diventa positiva, almeno per uncerto tratto, a destra di 0. Potrebbe però capitare che resti positiva per sempre, cioè chesinx > 0, per ogni x > 0. Cerchiamo di vedere che ciò non avviene, ovvero che esisteun numero reale a > 0 tale che sin a = 0.

Supponiamo dunque per assurdo che si abbia sinx > 0 per ogni x positivo. Siccome(sinx)′′ = −sinx, si ha (sinx)′′ < 0 per ogni x positivo.

Ricordiamo ora che le due funzioni sinx e (sinx)′ sono limitate (in valore assolutonon superano mai 1). Inoltre (sinx)′′ < 0 è la derivata di (sinx)’ e quindi quest’ultima,oltre che limitata, è anche decrescente. Ne concludiamo che tende a un limite finito perx tendente a piú infinito. Poiché, come si è visto, (sinx)2 +((sinx)′)2 = 1, si ha: sinx =√

1− ((sinx)′)2 (in quanto supponiamo per assurdo che il seno sia sempre positivo).Allora anche sin x tende a limite finito per x tendente a piú infinito, e precisamente, se

limx→+∞(sinx)′ = msi ha:

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l = limx→+∞sinx =√

1−m2.Si è quindi nel caso di una funzione che ha limite insieme con la sua derivata e si può

concludere che m = 0, l = 1. Di qui si deduce che (sinx)′′ tende a −1 per x tendenteall’infinito. Ma (sinx)′′ è la derivata di (sinx)′ e quindi (sinx)′ deve tendere all’infinito.Siamo giunti a una contraddizione (sinx è limitata ma tende all’infinito) e perciò èassurdo pensare che sinx sia sempre maggiore di 0 per ogni x > 0. Dunque esiste a > 0tale che sin a = 0. L’insieme degli zeri positivi di sinx non è quindi vuoto e ammetteun estremo inferiore che, a priori, potrebbe essere positivo ma anche nullo. Non puòtuttavia essere nullo, perché si è già visto che sinx è positiva in un intorno destro di 0.Quindi tale estremo inferiore è un numero reale positivo che si chiama per definizioneπ. Invocando la continuità di sinx si vede che sinπ = 0.

Ne segue immediatamente cos π = ±1. L’incertezza di segno si elimina subito osser-vando che sinx è positivo in un intorno sinistro di π, per definizione, quindi è decrescentee con derivata negativa. Si conclude che cosπ = −1.

In modo analogo, usando le formule di bisezione, si trovacosπ2 = 0sinπ2 = 1.Si è dunque stabilito che la funzione sinx è positiva nell’intervallo aperto ]0,π[ , e che

in π2 ha un massimo, di valore 1. Verifichiamo ora che essa è crescente in ]0,π2 [, cioè che

la sua derivata cosx è strettamente positiva. Infatti, se si avesse cos a = 0 per a < π2 ,

dalle formule di duplicazione si otterrebbe sin 2a = 0, contro la definizione data di πcome il piú piccolo zero positivo di sinx. Inoltre si vede facilmente che la funzione sinxè simmetrica intorno a π

2 . Infatti dalle formule di addizione seguesin(π2 + x) = sin(π2 − x) = cosx.Si può concludere che sinx è decrescente in ]π2 ,π[.

3.1.6 La periodicità e le funzioni inverse

Usando le formule di duplicazione e i risultati finali del capitolo precedente, si trova:sin(2π) = 2 sinπ cosπ = 0cos(2π) = (cosπ)2−(sinπ)2 = 1.Infine, usando le formule di addizione, si dimostra la periodicità:sin(x+ 2π) = sinx cos(2π)+cosx sin(2π) = sinxcos(x+ 2π) = cosx cos(2π)−sinx sin(2π) = cosxe la formulacosx = sin(x+ π

2 ).I risultati ottenuti permettono quindi di costruire gli andamenti delle funzioni trigo-

nometriche, che coincidono con quelli noti dalla trattazione tradizionale. In particolaresi è ottenuto che la funzione sinx è strettamente crescente nell’intervallo [−π

2 ,π2 ], avendo

come immagine l’intervallo [−1,1]. Ne segue la possibilità di definire la funzione inver-sa arcsinx nel modo usuale. Normali regole di derivazione permettono di dedurre che(arcsinx)’ = 1√

1−x2 .

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3.1.7 Collegamento con la geometria

In questo paragrafo si considera una circonferenza di raggio 1 centrata nell’origine (laben nota circonferenza trigonometrica). Le coordinate (x,y) di un generico punto P ditale circonferenza sono collegate dal fatto che P ha per definizione distanza 1 dall’origine.Quindi, per il teorema di Pitagora, vale la formula:

x2 + y2 = 1

per y variabile da 0 a 1, che è nota come equazione della circonferenza.Consideriamo ora la parte della circonferenza compresa nel primo quadrante (cioè

con x ≥ 0, y ≥ 0. Per essa è immediato verificare che la formula scritta è equivalente a

x =√

1− y2

per y variabile da 0 a 1.Si considera ora l’arco ottenuto facendo variare y da 0 fino al valore generico y0 (e

quindi x da 1 fino a x0 =√

1− y20 ) e se ne vuole calcolare la lunghezza. Qui si richiede

la conoscenza del fatto che la lunghezza di un arco di curva, definita dall’equazionex = f(y), per y variabile fra i valori a e b, è data dalla formula

l =∫ b

a

√1 + (f ′(y))2dy,

dove con il simbolo∫ ba f(x) dx si intende F (b) − F (a), dove F (x) è una primitiva

qualsiasi di f(x), supposta continua.Applicandola al caso della circonferenza in esame e facendo qualche calcolo si ha

dunque:

l =∫ b

a

1√1− y2dy.

Ricordando che la derivata di arcsin(y) è 1√1−y2

si conclude chel =arcsin(y0)−arcsin(0) =arcsin(y0).Segue dunque che sin(l) = y0.Usando le formule di addizione e varie proprietà già trovate delle funzioni trigono-

metriche si conclude che cos(l) =√

1− y20 = x0.

Queste sono le tradizionali definizioni geometriche delle funzioni trigonometriche:preso un punto su una circonferenza di raggio 1 centrata nell’origine, l’ascissa e l’or-dinata di tale punto sono rispettivamente il coseno e il seno della lunghezza dell’arcodi circonferenza compreso fra il punto di coordinate (1,0) sulla circonferenza e il puntoscelto. Veramente i testi di trigonometria elementare parlano di seno e coseno di un an-golo, e non di una lunghezza di un arco di circonferenza, ma le due cose si identificano,a patto di convenire di intendere che la misura di un angolo sia la lunghezza dell’arcotagliato su una circonferenza di raggio 1 centrata nel vertice dell’angolo: questo è ilsignificato preciso del concetto di angolo misurato in radianti.

Altre proprietà geometriche che seguono immediatamente sono elencate nel seguito.

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3.1.8 Lunghezza della circonferenza

Ma come si vede che la circonferenza di raggio r ha lunghezza 2πr, dove π è proprio ilnumero che abbiamo introdotto?

Riferiamoci come al solito al quarto di circonferenza di raggio r che in coordinatecartesiane ha equazione y =

√r2 − x2 (x varia tra 0 e r). Come per l’area dividiamo il

segmento di estremi 0 e r sull’asse x in n parti uguali, tracciamo le verticali per tali punti,cioè O,Q1, Q2,..., P e andiamo a incontrare la circonferenza nei punti Q,N1,N2,..., Pstesso. Quindi costruiamo la poligonale QN1N2...P . Si noti che i lati della poligonalehanno lunghezze (calcolabili con il teorema di Pitagora), se si osserva che le coordinatedegli estremi sono:

Q = (0,r)N1 = ( 1

n,√r2 − 1

n2 )N2 = ( 2

n,√r2 − 1

4n2 ). . . .Si ottiene pertanto:lunghezza di QN1 =

√2n2 ,

lunghezza di N1N2 =√

1n2 + (

√r2 − 1

n2 −√r2 − 1

4n2 ).. . . .Possiamo ragionevolmente chiamare lunghezza dell’arco di circonferenza il limite

per n tendente all’infinito della lunghezza della poligonale. Con qualche difficoltà sipuò vedere che tale limite coincide con un integrale, cioè con l’integrale della funzionef(x) =

√1 + x2

r2−x2 =√

r2

r2−x2 calcolato fra gli estremi 0 e r.Tale integrale è di calcolo molto semplice per chi conosca i primi rudimenti dell’in-

tegrazione e vale r moltiplicato per b− a, dove a = valore di rx quando rsinx = 0 e b =valore di rx quando rsinx = r . Ma noi sappiamo che

sin 0 = 0sin π

2 = 1e quindi tale integrale vale r .Si noti che abbiamo scelto una definizione di lunghezza leggermente diversa da quella

proposta qualche pagina fa: qui non usiamo i poligoni regolari ma quelli che provengonoda una suddivisione in parti uguali sull’asse x. Non è difficile vedere che allo stessointegrale si arriva suddividendo in parti qualsiasi il segmento di estremi 0 e r sull’asse x.Il risultato che abbiamo ottenuto è comunque un numero a questo punto noto, perchégià introdotto.

3.1.9 Area del settore circolare e del cerchio

Si comincia con il calcolo dell’area del settore (per una circonferenza di raggio 1)delimitato dall’arco già considerato. Si ha:

A = x0yo2 +

∫ 1xo

√1− x2 dx

(il primo termine è l’area del triangolo rettangolo di cateti x0,y0).

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Serve quindi una primitiva della funzione√

1− x2. Anche se il lettore non conoscemetodi di integrazione, può verificare con una derivazione che arcsinx+x

√1−x2

2 è una taleprimitiva, e quindi completare il calcolo trovando A = l

2 , dove l è la lunghezza dell’arcocalcolata in precedenza. Considerando una circonferenza di raggio generico r, si trovainvece A = l

2r.In particolare l’area della parte di cerchio compresa nel primo quadrante è A = π

4 r2,

e quindi si ritrova la notissima espressione per l’area del cerchio.

3.2 Presentazione II: mediante l’equazione differenziale y′′+y =0

L’ espressione equazione differenziale non deve spaventare, stiamo parlando di una equa-zione nella quale l’incognita è una funzione y = S(x) che nell’equazione viene collegatacon la sua derivata seconda y′′. Si cerca insomma una funzione y che sia l’opposta dellasua derivata seconda. Nel paragrafo 3.1 abbiamo visto che le funzioni sinx e cosx sonosoluzioni di questa equazione. In realtà noi abbiamo dedotto le loro proprietà dall’equa-zione stessa e non dal fatto che siano definite come serie. Ciò permette una trattazionealternativa in cui sinx è definito come soluzione dell’equazione differenziale soddisfa-cente alle condizioni sin 0 = 0, (sinx)’ = 1 per x = 1. In modo analogo si definisce ilcoseno.

Si può concludere che se si sceglie questa via la competenza sulle serie di potenzenon è piú richiesta, ma in compenso si richiede di conoscere il fatto, per nulla ovvio,che un’equazione differenziale come quella che stiamo considerando ammette una e unasola soluzione ovunque definita, a patto di specificare quanto valgono la funzione e lasua derivata in un punto fissato.

3.3 Presentazione III: mediante l’integrale che definisce la fun-zione arcoseno

Si richiede qui qualche nozione sugli integrali: integrabilità delle funzioni continue,teorema fondamentale, teorema di confronto.

Si definisce la seguente funzione:arcsinx =

∫ x0 f(t)dt dove f(t) = 1√

1−t2Essa è definita nell’intervallo aperto ] − 1,1[, e in esso è continua e derivabile con

derivata positiva e quindi strettamente crescente. Si potrebbe dimostrare che è conti-nua e strettamente crescente anche nell’intervallo chiuso [−1,1], ma non è richiesto nelseguito.

Si pone per definizione π = 4arcsin√

22 .

Nel seguito interessa considerare la funzione arcsin nel dominio [−√

22 ,√

22 ], in cui è

ovunque derivabile e strettamente crescente, quindi invertibile, con l’inversa definita neldominio [−π

4 ,π4 ].

Chiamiamo tale inversa sinx. Si pone poi cosx =√

1− (sinx)2.

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Si noti che per il momento le funzioni trigonometriche sono definite solo nel dominio[−π

4 ,π4 ] e che valgono le formule

sin 0 = 0cos 0 = 1sinπ4 =

√2

2cosπ4 =

√2

2 .Poiché la derivata dell’arcoseno di x è 1√

1−x2 , usando la formula per il calcolo delladerivata della funzione inversa, si trova

(sinx)′ =√

1− (sinx)2 = cosx

(cosx)′ = −2 sinx cosx2√

1− (sinx)2= −sinx.

Si è quindi provato che sia sinx sia cosx soddisfano alla solita equazione differenzialey′′ + y = 0 in tutto il dominio −π

4 ,π4 . Inoltre ovviamente

sin 0 = 0cos 0 = 1(sinx)’ = 1 per x = 0(cosx)’ = 0 per x = 0.A questo punto si possono ripetere inalterati i ragionamenti delle due presentazioni

precedenti, in quanto tutte portano all’equazione differenziale y′′+y = 0 e alle proprietàche ne conseguono. Si giunge cosí alle già trovate formule di addizione e duplicazione,ma valide solo nel dominio [−π

4 ,π4 ].

Le formule di duplicazioni si usano una prima volta per estendere il dominio a [−π2 ,

π2 ]

e una seconda volta fino al dominio [−π,π]. In particolare si trova chesinπ2 = 1cosπ2 = 0sin π = 0cosπ = −1.Infine le funzioni trigonometriche sono estese all’insieme di tutti i numeri reali

stabilendone per definizione la periodicità con periodo 2π.Il seguito della trattazione continua come nelle presentazioni precedenti.La via qui presentata ha il vantaggio di non richiedere nozioni sulle serie di potenze né

sulle equazioni differenziali, ma risulta un po’ artificiosa per quanto riguarda l’estensionedel dominio e la periodicità. Inoltre sarebbero necessari facili ma noiosi dettagli tecniciper verificare che le funzioni estese siano continue e derivabili anche in tutti i punti digiunzione.

3.4 Presentazione IV: mediante la funzione arcotangenteIn questa presentazione il nostro punto di partenza, invece dell’integrale dell’arcoseno,è l’integrale dell’arcotangente. Il piccolo svantaggio dovuto al fatto che le funzioni seno

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e coseno sono piú note della tangente è, a nostro parere, compensato dal fatto che sottoil segno di integrale non ci sono radicali ma solo un polinomio di secondo grado aldenominatore, e questo polinomio, cioè 1 + t2, è privo di radici reali.

3.4.1 Definizione di arcotangente, di π e di tangente

Definiamo la seguente funzione:

arctan x =∫ x

0

11 + t2

dt

La definizione ha senso in quanto la funzione f(t) = 11+t2 è ovunque definita, continua e

limitata fra 0 e 1.In base al teorema fondamentale del calcolo integrale, la funzione arctanx ammette

come derivata in ogni punto la funzione

d arctan xdx

= 11 + x2 .

Poiché tale derivata è sempre strettamente positiva arctan x è strettamente crescente.Si vede facilmente che la nostra nuova funzione è dispari (arctan(−x) = − arctan(x)), einoltre si ha

arctan(x) > 0 se x > 0,arctan(x) < 0 se x < 0,arctan(0) = 0.

Vogliamo dimostrare che la funzione è anche limitata. Poiché è dispari, basta ragionaresui valori positivi di x.

Il nostro punto di partenza è costituito dalle (ovvie) diseguaglianze

11 + t2

≤{

1 se t ≤ 11t2

se t > 1

Basta ora osservare che, per x > 1, si ha (grazie a varie semplici proprietà degli integrali):

arctan x =∫ x

0

11 + t2

dt =∫ 1

0

11 + t2

dt+∫ x

1

11 + t2

dt ≤∫ 1

01dt+

∫ x

1

1t2dt = 1+(1−1

x) ≤ 2.

Quindi possiamo concludere che arctanx è limitata superiormente dal numero 2; poichési tratta di funzione crescente, possiamo anche dedurre che esiste limx→+∞ arctan x edè un numero ≤ 2.

Chiamiamo ora π il doppio del limx→+∞ arctan x:

π = 2 limx→+∞

arctan x.

Il nuovo numero introdotto è ≤ 4, ma si potrebbe essere molto piú precisi analizzandopiú a fondo la funzione sotto il segno di integrale.

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In base alla definizione di π si vede che

limx→+∞

arctan x = π

2Si vede anche che

limx→−∞

arctan x = −π2 .

Riassumendo possiamo dire che la funzione arcotangente è definita ovunque, è stret-tamente crescente, è derivabile e quindi continua, la sua immagine (insieme dei valoriassunti) è l’intervallo aperto

]−π

2 ,π2

[. Insomma, il suo grafico coincide con quello della

funzione arcotangente riportato sui testi di matematica delle scuole secondarie.Poichè la funzione è strettamente crescente, ammette funzione inversa, definita su]

−π2 ,

π2

[e con immagine ]−∞,+∞[.

Questa inversa si chiama per definizione tanx (tangente di x). È anch’essa conti-nua e strettamente crescente. Finora è definita solo nell’intervallo aperto

]−π

2 ,π2

[, ma si

può estendere a tutto l’insieme dei numeri reali, con l’eccezione dei multipli dispari di π2 ,decidendo per definizione che la funzione estesa è periodica di periodo π: tan(x+ π)= tan(x+ 2π) = . . . .

Inoltre si ha:limx→π

2tan x = +∞

limx→−π2 tan x = −∞ .

Analoghi limiti si hanno nei punti speciali dove non è definita.In pratica otteniamo una funzione che ha il ben noto grafico della tangente. Poiché

la funzione arcotangente ha derivata nota, otteniamo subito la derivata della funzioneinversa:

d tan xdx

= 1 + (tan x)2

3.4.2 Definizione di seno e coseno

Per procedere con chiarezza, introduciamo una nuova notazione per gli intervalli apertisui quali è definita la funzione tangente:

I0 =]−π2 ,

π

2

[,I1 =

2 ,3π2

[,I2 =

]3π2 ,

5π2

[,I3 =

]5π2 ,

7π2

[, . . .

eI−1 =

]−3π

2 ,− π

2

[,I−2 =

]−5π

2 ,− 3π2

[, I−3 =

]−7π

2 ,− 5π2

[, . . .

Siamo ora in grado di definire la funzione seno mediante la formula

sin x = (−1)n tan x√1 + (tan x)2

dove n è l’indice dell’intervallo aperto In al quale x appartiene. (il lettore osservi cheuna nota formula riportata sui testi di trigonometria viene ora usata come definizione).

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La funzione seno è per ora definita nello stesso dominio della tangente (i multiplidispari di π

2 sono esclusi), ed è periodica di periodo 2π, non π, a causa dei segni (−1)nintrodotti nella definizione. È interessante calcolare i limiti del seno nei punti esclusi.Ad esempio si ha:

limx→π

2−

sin x = limx→π

2−

tan x√1 + (tan x)2

= limu→+∞

u√1 + u2

= limu→+∞

1√1u2 + 1

= 1.

Analogamente si può vedere che

limx→π

2+

sin x = 1

e concludere che anche limx→π2

sin x = 1 (si noti che gioca un ruolo essenziale il segno(−1)n, che è stato scelto con oculatezza).

Lasciamo al lettore il calcolo degli altri limiti come

limx→−π2

sin x = −1

Usando i valori dei limiti, estendiamo la funzione seno a tutto l’insieme R dei numerireali, ponendo per definizione

sin(π2 ) = 1, sin(3π2 ) = −1, sin(5π

2 ) = 1, . . .sin(−π

2 ) = −1, sin(−3π2 ) = 1, sin(−5π

2 ) = −1, . . .

La funzione sinx è definita e continua su tutti i reali. Possiamo ora dare la definizionedi coseno:

cosx = sin xtan x.

Questa definizione esclude i punti in cui la tangente non è definita e anche quelli incui la tangente si annulla (i multipli di π e i multipli dispari di π

2 ). Ma l’estensione atutto l’insieme dei reali si ottiene come quella del seno.

In conclusione il seno e il coseno sono definite e continue su tutto R e periodiche diperiodo 2π. Inoltre si ottengono subito le seguenti formule:

tan x = sinxcosx

(sin x)2 + (cosx)2 = 1sin(0) = 0, cos(0) = 1

La seconda eguaglianza dice (il fatto ben noto) che | sin x| ≤ 1 and | cosx| ≤ 1.Le derivate si possono calcolare usando le solite formule di derivazione:

d sinxdx

= cos xd cosxdx

= − sin x

Le derivate a rigore hanno senso solo se si escludono i multipli di π2 , ma il lettore

può verificare facilmente, calcolando dei limiti, che le formule valgono ovunque.

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3.4.3 Seno e coseno soddisfano all’equazione y′′ + y = 0

Dalle formule di derivazione ottenute è immediato dimostrare che seno e coseno sod-disfano all’equazione differenziale y′′ + y = 0, di cui abbiamo parlato ampiamente neicapitoli precedenti. In effetti si ha: (sin x)′ = cos x e quindi (sinx)′′ = (cos x)′ = − sin x(e analogamente per il coseno).

A questo punto possiamo dedurre tutte le proprietà che abbiamo dimostrato neicapitoli precedenti a partire dall’equazione differenziale. Ad esempio si ottengono leformule di addizione, di duplicazione e di bisezione.

FIGURE

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Riferimenti bibliografici[1] P. Valabrega,

“Un tentativo di introdurre alla matematica qualche non matematico ”,disponibile all’indirizzo http://www2.polito.it/didattica/polymath/htmlS/Interventi/DOCUMENT/MatematicaNonMatematici_Valabrega.pdf. (2009)

[2] Castelnuovo,Gori,Valenti “La matematica nella realtà, vol. 3, ed. La Nuova Italia ”

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