Ovidio

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OVIDIO E L’ELEGIA BREVE EXCURSUS SULLE ORIGINI DELL’ELEGIA E IN PARTICOLARE SULL’ELEGIA LATINA L’ELEGIA Dubbia è l’etimologia del termine elegia. C’è chi ritiene esso sia da collegare ad ἢ ἢ λέγειν (dire ahi ahi) e che quindi il genere nasca come espressione del dolore; venivano infatti questi canti usati anche come espressioni di lutto nei funerali (vedi anche il carmen 68 di Catullo). L’elegia nasce in Grecia come poesia in distico elegiaco caratterizzata da varietà di temi (Mimnermo-elegia erotica, Solone-morale, Teognide-parenetica, Tirteo-guerresca). In età ellenistica il genere si concentrò su contenuti amorosi e mitologici; Il primo a passare dalla vicenda personale al mito fu Antimaco di Colofone che, parlando della morte della sua amata inaugura un excursus attraverso miti di amore tragicom, ma l’esempio più significativo dell’elegia ellenistica, sulla quale si baserà anche quella latina, è costituito dagli Αἲτια di Callimaco. A Roma l’elegia prende mosse dai neoteroi e in particolare da Catullo (vedi il carmen 68 in cui Catullo, trovandosi a consolare un amico trasferisce la consolazione nella sua esperienza personale, la perdita del fratello; poi ancora, ricordando come questo amico favorisse gli incontri tra lui e Lesbia, passa al tema del mito narrando l’amore di Protesilao e Laodamia) Quintiliano definì un canone dei poeti elegiaci latini: Cornelio Gallo (le cui opere sono andate completamente perdute), Tibullo, Properzio e Ovidio. L’elegia latina è una composizione in distici elegiaci (esametro più pentametro dattilico: lt lt lt lt lkk lu ; lt lt l lkk lkk u) dal contenuto prevalentemente amoroso e spiccatamente autobiografico. Per il poeta elegiaco l’amore è l’esperienza unica che riempie e dà senso all’esistenza. Tale esistenza si configura come servitium, schivitù nei confronti della domina, capricciosa e infedele. La relazione del poeta con la donna è tuttavia fatta di rari momenti di gioia e di molte sofferenze: la donna tradisce e fa ingelosire l’amante, si concede a fatica (è la situazione del paraklausithyron, la serenata davanti la porta chiusa dell’amata che respinge l’amante). Ma il poeta si sottomette, e trova piacere

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OVIDIO E L’ELEGIA

BREVE EXCURSUS SULLE ORIGINI DELL’ELEGIA E IN PARTICOLARE SULL’ELEGIA LATINA

L’ELEGIADubbia è l’etimologia del termine elegia. C’è chi ritiene esso sia da collegare ad ἢ ἢ λέγειν (dire ahi ahi) e che quindi il genere nasca come espressione del dolore; venivano infatti questi canti usati anche come espressioni di lutto nei funerali (vedi anche il carmen 68 di Catullo).L’elegia nasce in Grecia come poesia in distico elegiaco caratterizzata da varietà di temi (Mimnermo-elegia erotica, Solone-morale, Teognide-parenetica, Tirteo-guerresca). In età ellenistica il genere si concentrò su contenuti amorosi e mitologici; Il primo a passare dalla vicenda personale al mito fu Antimaco di Colofone che, parlando della morte della sua amata inaugura un excursus attraverso miti di amore tragicom, ma l’esempio più significativo dell’elegia ellenistica, sulla quale si baserà anche quella latina, è costituito dagli Αἲτια di Callimaco.A Roma l’elegia prende mosse dai neoteroi e in particolare da Catullo (vedi il carmen 68 in cui Catullo, trovandosi a consolare un amico trasferisce la consolazione nella sua esperienza personale, la perdita del fratello; poi ancora, ricordando come questo amico favorisse gli incontri tra lui e Lesbia, passa al tema del mito narrando l’amore di Protesilao e Laodamia)Quintiliano definì un canone dei poeti elegiaci latini: Cornelio Gallo (le cui opere sono andate completamente perdute), Tibullo, Properzio e Ovidio.L’elegia latina è una composizione in distici elegiaci (esametro più pentametro dattilico: lt lt lt lt lkk lu ; lt lt l lkk lkk u) dal contenuto prevalentemente amoroso e spiccatamente autobiografico.Per il poeta elegiaco l’amore è l’esperienza unica che riempie e dà senso all’esistenza. Tale esistenza si configura come servitium, schivitù nei confronti della domina, capricciosa e infedele.La relazione del poeta con la donna è tuttavia fatta di rari momenti di gioia e di molte sofferenze: la donna tradisce e fa ingelosire l’amante, si concede a fatica (è la situazione del paraklausithyron, la serenata davanti la porta chiusa dell’amata che respinge l’amante). Ma il poeta si sottomette, e trova piacere nella sofferenza; solo raramente arriva al gesto disperato della renuntiatio amoris.Le amarezze e le continue delusioni portano il poeta a proiettare la propria esperienza nel mondo puro e felice del mito, in un riechieggiare nostalgico dell’età dell’oro.Il poeta vive nella nequitia: rifiutando infatti i suoi doveri di civis e contrapponendo alla fierezza della guerra le mollezze dell’amore e del corteggiamento egli rifiuta, agli occhi della società i principi del mos maiorum. Eppure recupera i suoi valori trasferendoli nell’esperienza personale. Proprio come in Catullo il poeta elegiaco cerca un patto di fedeltà in una relazione che però risulta irregolare.La donna dell’elegia è spesso una cortigiana o liberta insesibile e volubile, la cui levitas e perfidia diventano causa di iniuria al poeta che, con una sottile autoanalisi psicologica si commisera (è frequente l’uso dell’aggettivo miser), mettendo a nudo il suo animo perennemente oscillante tra la speranza di un amore ricambiato, il dubbio (e poi la certezza) del tradimento, il dolore per il discidium.Il mito riveste, nella poesia degli elegiaci, due ruoli fondamentali: da un lato fornisce exempla che, dando maggior rilievo all’esperienza personale, la trasportano su un piano universale; dall’altro fornisce un ampio repertorio cui il poeta può appellarsi per elevare con elementi dottrinali il tono della sua composizione.Atri temi frequenti nell’elegia romana sono la malattia dell’amata, i remedia amoris (come il vino, caro già ai lirici greci), il sortilegio che incanta il poeta (che quindi diviene vittima dell’amore ed è per questo giustificato nei suoi comportamenti), la figura della lena, che ricalca il medesimo personaggio della commedia, e quella dell’amante ricco (dives amator) rivale di un povero squattrinato che può offrire solo i suoi versi.

Il ruolo della poesia elegiaca è quello del corteggiamento. Il poesa rifiuta la poesia elevata (dicendosi egli stesso incapace) e le preferisce una musa leggera, ispirata dall’immediatezza della passione; questa, la recusatio, si trova dunque ad essere una vera e propria dichiarazione di poetica di grande rilievo in età augustea: i poeti elegiaci si rifiutano di assoggettarsi alla propaganda del regime per esprimere al meglio la loro vena poetica. Ed è qui che più marcatamente si nota il debito della poesia elegiaca nei confronti di quella neoterica ed in particolare di Catullo: con essa condivide la poetica callimachea (brevitas, doctrina, labor limae), da Catullo invece eredita il senso della rivolta morale e il gusto dell’otium.Fondamentale è ricordare come l’autobiografismo elegiaco fosse solo un artificio letterario, non corrispondente a vere esperienze sentimentali del poeta.

TIBULLOTibullo nacque tra il 55 e il 50 a.C. nel Lazio, da una famiglia del ceto equestre. Fu legato alla persona di Valerio Messalla Corvino, eminente uomo politico che riunì sotto il suo patronato tutti i letterati che volevano mantenersi indipendenti dalla sfera di influenza del potere augusteo, formando un circolo di poeti contrapposto a quello di Mecenate. Fu anche amico di Orazio, che gli dedicò un’ode e un’epistola (la quarta). Morì tra il 19 e il 18 a.C.Il Corpus Tibullianum ci ha tramandato tre libri di elegie; del terzo libro solo due carmi sono considerati di Tibullo, mentre gli altri 18 sono opera di suoi imitatori (Sulpicia, Ligdamo).Delle dieci elegie del primo libro cinque sono dedicate a Delia; il primo ha carattere programmatico e presenta i temi tipici dell’elegia e in particolare la pace agreste; tre elegie sono dedicate all’amore per il giovane Marato, la settima è un encomio a Messalla (come Orazio ne fece di Mecenate), mentre nell’ultima Tibullo, riecheggiando temi bucolici e virgiliani, elogia la pace e la vita del contadino, mostrando orrore per la guerra. Il secondo libro si compone invece di sei elegie di cui tre dedicate a Nemesi. Anche in questo secondo libro l’autore insiste sulla contrapposizione tra città e campagna (nella prima elegia il poeta descrive la festa agricola degli ambarvalia). Notevole nella produzione tibulliana il carattere idilliaco della descrizione della campagna e l’assenza del mito la cui funzione di rifugio è rivestita, appunto, dal mondo agreste.Il terzo libro contiente, come già detto, venti carmi per lo più spurii, e fu diviso in due libri in età umanistica. Sei carmi sono dedicati ad una donna di nome Neera e sono probabilmente opera di Ligdamo; a quesi segue l’anonimo panegirico di Messalla.Tibullo evita grecismi e volgarismi e il tono è sempre medio, mai sublime, proprio a sottolineare l’inferiorità dell’elegia rispetto all’epica. Frequenti sono i versi leonini (soprattutto i pentametri) in cui, cioè, l’ultima sillaba è in omoteleuto con una sillaba centrale del verso (le due lunghe accentate alla fine di ogni emistichio del pentametro) e che verranno ripresi anche dallo stile ovidiano.

PROPERZIONasce in Umbria, molto probabilmente ad Assisi, fra in 49 e il 47 a.C. Trasferitosi a Roma per iniziarsi all’attività forense si dedica invece alla frequentazione di circoli letterari. Nella capitale conosce Cinzia, donne elegante e spregiudicata. Evento fondamentale nella vita del poeta, oltre all’amore per Cinzia, fu il contatto con Mecenate e anche con Ovidio. Morì probabilmente intorno al 16 a.C.Di Properzio possediamo quattro libri di elegie. Il primo è incentrato sull’amore per Cinzia.Nel secondo libro prepotente è il tema della recusatio. Cinzia è ancora la protagonista, ma la relazione si fa più burrascosa e fragile e su di essa incombe la minaccia del discidium.Il terzo libro mostra invece un avvicinamento di Properzio ai temi della propaganda augustea, avvicinamento che si farà definitivo nel quarto ed ultimo libro dove l’autore decide di abbandonare il tema amoroso per celebrare la storia mitica di Roma: seguendo il modello callimecheo degli Αἲτια (il poeta stesso afferma di voler essere il Callimaco romano) Properzio illustra miti e riti della tradizione romana e italica (quali il tradimento di Tarpea a favore degli Etruschi, la leggenda di Ercole che uccide Caco che gli aveva rubato il bestiame).

OVIDIO

LA VITA E LE SCELTE POETICHEPublio Ovidio Nasone nasce a Sulmona (in Abruzzo) da agiata famiglia equestre nel 43 a.C. e ricopre, in età giovanile, cariche minori per poi abbandonare la carriera politica ed entrare nel circolo di Messalla ottenendo presto grande fama. Ma nell’8 a.C. un provvedimento punitivo di Augusto lo relega a Tomi, sul mar Nero. La causa della relegazione (non quindi un esilio poiché il poeta non fu privato dei suoi possedimenti) è oscura: si pensa che dietro le accuse ufficiali di immoralità della sua poesia, riferite soprattutto all’Ars Amatoria, ci fose in realtà lo scopo di colpire un suo coinvolgimento nello scandalo dell’adulterio commesso dalla nipote di Augusto. Muore nel 17 d.C.La produzione di Ovidio è assai vasta e attraversa diversi generi. Le opere del periodo giovanile si inseriscono nella tradizione elegiaca: il suo esordio letterario è segnato dagli Amores. Seguono, intorno al 15 a.C. le Heroides, una raccolta di lettere poetiche in distici elegiaci che si immaginano composte da alcune delle principali protagoniste femminili del mito greco e indirizzate ai rispettivi amanti. Ad una data successiva si fan invece risalire la seconda serie delle Heroides: le epistole doppie in cui alla lettera dell’innamorato corrisponde la risposta della donna. Compose anche una tragedia, Medea, perduta. Tra l’1 a.C. e l’1 d.C. compone tre poemi erotico-didascalici: l’Ars Amatoria (in tre libri, due dedicati agli uomini e uno alle donne), i Remedia Αmoris e i Medicamina Faciei Femineae (di cui restano solo un centinaio di versi). Gli anni successivi segnano il passaggio di Ovidio dalla poesia elegiaca ad un genere più impegnato di stampo epico. Prima opera di questo periodo sono le Metamorfosi (unica opera di Ovidio scritta in esametri e non in distici), seguite dai Fasti, un calendario poetico in cui il poeta, richiamandosi alle principali festività annuali descrive usi e tradizioni romane (l’opera, rimasta incompiuta, comprende solo sei libri, ciascuno dedicato a un mese). Dopo l’esilio Ovidio ritorna al canto del dolore, l’elegia; la tematica erotica è però adesso sostituita da tono autoconsolatori e apologetici. A questo gruppo di opere appartengono i Tristia e l’Epistulae ex Ponto cui si aggiunge il poemetto di invettive Ibis in cui si rifletta la perdita, da parte del poeta, di ogni speranza di rentro a Roma.Ovidio si fa interprete di una poesia in cui lo spettro delle guerre civili, ormai lontane e sostituite da una pace consolidata, non è più presente; la sua poesia, che aderisce a genere diversi, dimostra come il poeta faccia dell’arte fine a se stessa una scelta di vita, non limitata ad una sola scelta poetica (come avviene per gli altri elegiaci). Sul piano formale ciò si manifesta in un poetare antimimetico e antinaturalistico, in cui forte è il prevalere dell’innovazione sulla tradizione classica che ha in Orazio e Virgilio i suoi massimi esponenti.

AMORESIn tre libri, è la prima raccolta di elegie, una cinquantina, di carattere erotico-soggettivo, in cui compare spesso Corinna, la donna amata, personaggio fittizio. Il poeta mostra un distacco intellettualistico dalla materia amorosa presentata non già con sofferenza (vedi Tibullo e Properzio), ma con ironia, effetti scherzosi, autoironia (e non autocommiserazione), gusto per il paradossale. Egli stesso sottolinea il carattere ludico e ricreativo della sua poesia. D’altro canto la presenza di una concezione dell’amore come esercizio galante, gioco divertente, che suscita emozioni superficiali, non impedisce che il poeta tenda spesso al languido sentimentalismo e al patetico. Ricorrono qui tutti i topoi dell’amore elegiaco: la gelosia per i rivali ricchi, la militia amoris, il mito. Ma tutto risulta innovato e capovolto: il poeta elegiaco dice di nutrire una passione amorosa quasi morbosa per una sola donna mentre Ovidio afferma di amare più donne contemporaneamente, anzi di amarle tutte, passando in rassegna i vari tipi di donna; il topos della fedeltà viene stravolto quando è Ovidio stesso a chiedere alla sua donna di fingersi fedele ma non esserlo; anche il ruolo del custos puellae (di solito il marito o il padre) è ribaltato e da antagonista del poeta diventa figura esortata ad esercitare un maggiore controllo sulla donna poiché l’amore proibito risulta più passionale. Ovidio si mostra anche cinico, ma sempre con giocosa allegria: giura su Venere e

Amore di non aver tradito la propria donna con la sua schiava, ma in un’altra elegia chiede a quest’ultima come la sua padrona sia arrivata ad avere dei sospetti.

ARS AMATORIAPoemetto in distici diviso in tre libri nei quali Ovidio si fa praeceptor amoris, rifacendosi a Catullo, Tibullo, Properzio ma anche alla poesia epico-didascalica con proemi, chiuse, invocazioni agli dei, digressioni.L’autore è costretto, per non contravvenire ai principi morali della propaganda augustea, a specificare che i suoi consigli non sono rivolti alle matrone sposate, ma alle donne di facili costumi. Tuttavia l’opera ha un interesse documentario per la rappresentazione della società sfaccendata e libertina del principato, immersa nei divertimenti, negli spettacoli circensi e teatrali. La leggerezza dell’argomento trattato è contrappesata parodisticamente dal tono serio ed elevato del procedimento didascalico che imita le Georgiche.

HEROIDESQuest’opera segna il più grande innovamento nell’elegia ad opera di Ovidio per il suo carattere erotico-mitologico (e non erotico-soggettivo) e per la forma epistolare che sostituisce quella narrativa. Si tratta di una raccolta di 21 lettere in distici: le prime 15 di eroine del mito che scrivono ai propri mariti o amanti (Penelope, Briseide, Fedra, Didone, Medea, Laodamia), le altre sei sono a coppie (Paride-Elena, Leandro-Ero, Aconzio-Cidippe). Le donne delle Heroides si mostrano per lo più sole e infelici ed è proprio questa la poesia del lamento che sembra riprendere il significato originario di ἢ ἢ λέγειν. Si tratta di monologhi pervasi di pathos, in cui mancano spesso l’ironia e il lusus che caratterizzavano le prime opere ovidiane. Notevole la capacità di analisi psicologica dei personaggi femminili e dell’abilità dialettica di Ovidio: ne è un esempio la lettera di Fedra a Ippolito che giustifica l’incesto citando il rapporto tra Giove e Giunone e anzi considera la parentela come una circostanza favorevole per la frequentazione dei due amanti.

ERO E LEANDROEro e Leandro erano due giovani amanti che vivevano sulle sponde opposte dell’Ellesponto. Ogni notte Leandro attraversava lo stretto per far visita alla sua amata che per guidarlo teneva accesa una lucerna, ma una notte di tempesta la lucerna si spense ed Ero, l’indomani, trovò sulla spiaggia il corpo morto dell’amato.

ACONZIO E CIDIPPEAconzio si innamora della bella Cidippe che però non vuole cedere al suo amore. Così il giovane incide su una mela un giuramento (giuro di sposare Aconzio) e la manda a Cidippe che, ignara, legge l’incisione. Il padre prova a darla in sposa a tre uomini diversi ma ogni volta il matrimonio fallisce. Interrogando l’oracolo Cidippe e il padre capiscono del giuramento, così la fanciulla viene data in sposa ad Aconzio.

PROTESILAO E LAODAMIAProtesilao, marito di Laodamia, è costretto a partire per la spedizione contro Troia, dove cadrà vittima di Ettore. Laodamia intanto aveva creato una statua del marito e appena sa della morte di questo chiede agli dei inferi che l’anima del marito possa visitarla. Protesilao dunque ritorna, attraverso la statua, in vita per poche ore e quando è costretto a tornare agli Inferi Laodamia, presa dal dolore, si pugnala al petto.

METAMORFOSIComposto poco prima dell’esilio, in 15 libri, è un poema mitologico in esametri che non verte sull’epos eroico di Omero ma segue più il modello esiodeo dell’epos mitologico. Contiene più di 250 storie di trasformazioni mitiche organizzate secondo nuclei tematici autonomi unificati solo dall’atmosfera fantastica e di sogno presente in tutti i miti. Sarà proprio questa atmosfera quasi fiabesca a segnare il distacco di Ovidio dall’elegia alessandrina.Anche qui sottile è la tecnica dell’analisi psicologica, soprattutto nelle storie patetiche di amori coniugali, con la puntuale descrizione di ingenuità, passioni, malizie. Ovidio infatti sembra interessato agli intrecci dalla forte coloratura patetica e agli amori infelici cari al repertorio elegiaco.

L’opera ovidiana inizia dal caos e, attraverso le generazioni eroiche, arriva fino all’epoca contemporanea.Talvolta l’autore si serve della tecnica del racconto a cornice, come nel caso del mito di Orfeo.Nonostante la genarale impostazione epica dell’opera in essa si intrecciano l’erudizione tipica del poema didascalico, la leggerezza dell’epillio alessandrino, l’espressività del teatro e il pathos dell’elegia. La stessa oggettività del racconto, punto cardine dell’epica tradizionale, viene infranta a favore di personaggi che agiscono secondo un proprio punto di vista caricandosi di una dimensione teatrale più che epica, divenendo eroi problematici e non forgiati nella virtù.

IL CONTENUTO DELLE METAMORFOSILa narrazione inizia dalla creazione del mondo e dell’uomo, segue il diluvio universale e il mito di Deucalione e Pirra. Vengono poi narrate vicende mitiche di dei, semidei ed eroi, come la storia di Apollo e Dafne, quella di Fetonte e del carro del Sole, e ancora il mito di Atteone, di Eco e Narciso. Il quarto libro è dedicato agli amori tragici di Piramo e Tisbe e a come Perseo abbia salvato Andromeda da un mostro marino. Seguono il ratto di Proserpina e la trasformazione in fonti di Ciane e Aretusa, poi miti sulla gelosia degli dei (vedi Aracne, Niobe). Il decimo libro è invece incentrato sulla storia di Orfeo ed Euridice che incastona altre storie d’amore: Ciparisso, Pigmalione, Venere e Adone... L’undicesimo libro segna il passaggio dal mito alla storia con le nozze di Peleo e Teti. Seguono vicende mitiche della guerra di Troia, dei viaggi di Odisseo ed Enea e quindi, nell’ultimo libro, la storia di Roma fino ad Augusto. Tramite Numa viene introdotta la teoria pitagorica della metamorfosi universale; chiudono il libro la trasformazione di Cesare in cometa, la celebrazione di Augusto e la proclamazione di orgoglio del poeta che, coi suoi versi, si è garantito l’immortalità.

LE OPERE DELL’ESILIOI tristia sono una raccolta di elegie in cinque libri, compsta durante la permanenza formzata a Tomi: il poeta insiste sulla sua dolorosa condizione di esiliato e sul ruolo consolatorio che la poesia assume per lui, divenendo unica ragione di vita.Un tono più apologetico, e speranzoso, hanno le Epistulae ex Ponto, quattro libri di elegie (46 lettere) nelle quali Ovidio torna a lamentare la sua condizione, mostrando qualche speranza di potere essere perdonato da Augusto o, almeno, trasferito in una località più ospitale del selvaggio Ponto; a tale scopo egli si dichiara pentito dell’error, un errore che avrebbe commesso e che lui stesso annovera, assieme al carmen (forse riferendosi all’audacità lasciva dell’Ars Amatoria), tra le cause del suo esilio.