Hosle - Fondamenti Matematica in Platone
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Transcript of Hosle - Fondamenti Matematica in Platone
- C E ^ p D ^Ü M E R O T D I Ν β β ΐ - ISi E defl’Università Cattolica del Sacro Cuore
Largo A. Gemelli, 1 -1-20123 Milano
Comitato scientifico: Adriano BausolaCarla Gallicet Calvetti Alessandro Ghisalberti Virgilio Melchiorre Claudio Moreschini Angelo Pupi Giovanni Reale
Direttori: Adriano Bausola Giovanni Reale
Collana: «Temi metafisici e problemi del pensiero antico. Studi e testi» diretta da Giovanni Reale segretari Roberto Radice
Giuseppe Girgenti
Il titolo originale dell’opera è quello italiano L’autore ha utilizzato i due suoi seguenti saggi precedenti:— Platons Grundlegung der Euklidizität der Geometrie, «Philologus», 126
(1982), pp. 180-197— Zu Platons Philosophie der Zahlen und deren mathematischer und philo
sophischer Bedeutung, «Theologie und Philosophie», 59 (1984), pp. 321-355
Prima edizione italiana: febbraio 1994.
© 1994 Vita e Pensiero - Largo A. Gemelli, 1 - 20123 Milano ISBN 88-343-0555-8
ΜΗΔΕΙΣ ΑΓΕΩΜΕΤΡΗΤΟΣ ΕΙΣΙΤΩ.
O li non è geometra non entri.
Motto che Platone avrebbe scritto all’ingresso dell’Accademia secondo una tradizione tardo- antica.
Prefazione
È con enorme orgoglio e piacere che ho accettato l’invito del prof. Giovanni Reale di pubblicare in italiano due saggi sulla filosofìa della matematica di Platone.
L’orgoglio ed il piacere dipendono da tre ragioni.La prima è che il prof. Giovanni Reale è uno dei colleghi in
temazionalmente più noti e più ammirati nel campo della filosofia antica. A lui non solo dobbiamo fondamentali lavori su quasi tutte le fasi del pensiero antico dai presocratici al tardo platonismo, inclusi naturalmente Platone e Aristotele. A lui spetta il merito di aver comunicato a una cerchia molto più vasta di quanto fosse quella raggiunta dai colleghi tedeschi il nuovo paradigma nella ricerca platonica, paradigma che da lui fu approfondito in maniera essenziale proprio grazie alla sua straordinaria conoscenza della tradizione della metafìsica e della cultura greca. Il suo libro Per una nuova interpretazione di Platone è giustamente considerato un modello della saggistica filosofica, un libro che combina il più alto rigore scientifico a mirabili capacità divulgative. Fa onore al prof. Reale, non meno che alla nazione italiana, il fatto che questo libro in pochi anni sia stato pubblicato undici volte! Che una persona tanto impegnata abbia trovato il tempo per occuparsi di questo mio volume, mi onora profondamente; a lui e all’ottima traduttrice, la dott. Elisabetta Cattanei, che ha snellito con grazia italiana il pesante tedesco dei miei saggi, sono molto grato.
La seconda ragione ha a che fare con l’importanza del nuovo paradigma per la filosofia sistematica. Lungi da essere un dibattito solo di filologi eruditi su un problema spicciolo, la ricerca dell’interpretazione corretta di Platone ha vaste implicazioni per l’autocomprensione della filosofìa odierna. Se si riconosce che il più grande scrittore che la filosofia ha prodotto era un metafisico molto più rigoroso di quanto numerose interpretazioni degli ultimi decenni hanno voluto fare intendere, la rinuncia alla metafìsica come dottrina dei principi diventa più difficile. In più,
se, come si tenta di dimostrare in questi saggi, lo sviluppo della scienza esatta par excellence, della matematica, è profondamente legato al concetto di metafisica peculiare a Platone, il discorso sulla compatibilità della metafìsica con una cultura così fortemente dominata da categorie scientifiche come lo è la nostra, assume una nuova dimensione. Almeno nei tempi di crisi delle fondamenta della scienza, il contributo della metafìsica rimane essenziale.
Mi sia permesso di terminare nominando la terza ragione del mio piacere, strettamente personale. Nato e cresciuto a Milano da madre milanese e da padre tedesco che insegnava all’Università Cattolica, indirizzato allo studio della scienza antica da mio zio prof. Mario Geymonat e dal suo indimenticabile padre Ludovico, allievo a Ratisbona del prof. Imre Tóth ed a Tubinga dei prof. Konrad Gaiser e Hans Krämer, non posso non essere commosso di ritornare nella mia città natale con questi miei saggi, che tanto devono ai maestri appena nominati.
Ai miei genitori Carla e Johannes, alle sorelle Clara e Adriana, alle zie e agli zìi milanesi tutti più o meno, dedico questo libro con affetto.
Essen, novembre 1993 Vittorio Hösle
Sommario
Introduzione di Giovanni Reale 11Bibliografìa ragionata delle pubblicazioni di Vittorio Hösle 19
PARTE PRIMAPLATONE E I FONDAMENTI DELL’ ARITMETICA 33
I. Osservazioni introduttive.Metodo, tema e piano dell’indagine 35Π. La filosofìa della matematica di Platone. Aspetti generali 39 ITT La generazione dei numeri in Platone nel suo significato storico 49IV. La filosofia dei numeri di Platone nel suo significato filosofico e matematico 69
PARTE SECONDAPLATONE E I FONDAMENTI DELLA GEOMETRIA 99
I. Premessa. La geometria non euclidea e l’Accademia antica 101Π. I passi non-euclidei nel Corpus aristotelicum 105ΙΠ. Platone e la fondazione ontologica della geometria euclidea 113
BIBLIOGRAFIA E INDICI 139
l. Indice delle opere espressamente citate o utilizzate 141Π. Indice degli autori antichi e moderni citati 153m . Indice analitico della materia trattata 157
Introduzione di Giovanni Reale
Questo libro che presento è il ventesimo che questa collana pubblica su Platone e sulla storia del Platonismo e dei suoi influssi (in particolare, il dodicesimo dedicato a Platone in maniera specifica) *, ed è assai ricco di novità.
Il successo del nuovo paradigma nell’interpretazione di Platone nelle sue varie articolazioni, indica chiaramente che era giunto il momento di cercare di uscire dalle secche in cui il paradigma schleiermacheriano si era impelagato.
Credo opportuno ricordare al lettore alcuni particolari. I due libri di Krämer hanno avuto ormai molte edizioni1 2; e così anche i due di Gaiser3. L’opera di Szlezak è in terza edizione4. La mia è giunta alla undicesima edizione (ed e in corso di traduzione in varie lingue)5. Gli stessi commentari ai maggiori dialoghi dialet-
1 Si veda il catalogo delle opere pubblicate inserito nelle ultime pagine di questo volume. .
2 H. Krämer, Platone e i fondamenti della metafisica. Saggtosulla teona detprincipi e sulle dottrine non scritte di Platone con una raccolta dei documenti fondamentali in edizione bilingue e bibliografia. Introduzione e traduzione di G. Reale, Vita e Pensiero, Milano 1982; 1987; 1989; 1993; 1994. Idem, Dialettica * definizione del Bene in Platone. Interpretazione e commentario storico-filosofico di «Repubblica» VU 534 B 3-D 2. Introduzione di G. Reale, traduzione di E. Peroli, Vita e Pensiero, Milano 1989l'2; 1993 3. .
3 K. Gaiser, La metafisica della storia in Platone. Con un saggio sulla teoria det principi e una raccolta in edizione bilingue det testi platonici sulla storia. Introduzione e traduzione di G. Reale, Vita e Pensiero, Milano 1988; 1991 2; ristampa 1992. Idem, Doro della sapienza. Sulla preghiera del filosofo a conclusione del «Fedro» di Platone. Introduzione e traduzione di G. Reale, Vita e Pensiero, Milano1990; 1992 « , , . .
4 Th. A. Szlezak, Platone e la scrittura della filosofia. Analist dt struttura detdialoghi della giovinezza e della maturità alla luce di un nuovo paradigma ermeneutico. Introduzione e traduzione di G. Reale, Vita e Pensiero, Milano 1988; 1989;1992.
3 G. Reale, Per una nuova interpretazione di Platone. Rilettura della metafisicadei grandi dialoghi alla luce delle «dottrine non scritte», CusL Milano 1984; Vita ePensiero, Milano 19873 * *; 199110 (stesura definitiva); 199311. È già uscita l’edizione
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tici finora pubblicati, pur essendo molto tecnici, sono stati accolti con grande favore: quello di Giancarlo Movia al Sofista è già in seconda ed iz io n e* 6 7 8; quelli di M aurizio M igliori al Parmenide1 e al Filebos stanno esaurendosi ed è prevista una seconda edizione già nel corso di quest’anno9.
Certo, malgrado questi successi, sono ancora numerosi gli avversari del nuovo paradigma nell’interpretazione di Platone. Ma si tratta di quegli avversari che Thomas Kuhn, nel suo celebre libro La struttura delle rivoluzioni scientifiche, aveva caratterizzato in modo esemplare come i nemici che sono tali per ragioni strutturali dei nuovi paradigmi nell’ambito delle varie scienze. Si tratta, precisamente, di quegli studiosi per lo più non giovani, legati per doppia mandata al paradigma nel quale si sono formati, e quindi avversi a tutte quelle novità che ne mettono in crisi i concetti e le strutture di base10.
In particolare, gli avversari del nuovo paradigma per l’interpretazione di Platone sono di due tipi molto diversi fra di loro.
Da un lato stanno i puri filologi, legati a certe forme di iper- razionalismo di radici positivistiche. Secondo costoro, ciò che non si legge come espressamente detto nei dialoghi platonici, non può essere platonico. Quello che ci viene detto dalla tradizione indiretta sulle dottrine non scritte di Platone non illumina e non chiarisce i dialoghi, ma li inquina e ne complica la comprensione. Ovviamente, costoro non tengono nel ben che mini
tedesca (Editore Ferdinand Schöningh, Paderborn 1993).6 G. Movia, Apparenze, essere e verità. Commentario storico-filosofico al «Sofi
sta» di Platone. Prefazione di H. Krämer, introduzione di G. Reale, Vita e Pensiero, Milano 1991; 1994.
7 M. Migliori, Dialettica e Verità. Commentario filosofico al «Parmenide» di Platone. Prefazione di H. Krämer, introduzione di G. Reale, Vita e Pensiero 1990.
8 M. Migliori, L'uomo fra piacere, intelligenza e Bene. Commentario storico-filosofico al «Pilebo» di Platone. Introduzione di Th. A. Szlezak, Vita e Pensiero Milano 1993.
9 Un’ottima accoglienza hanno avuto anche i lavori di M. Erler, Il senso delle aporie net dialoghi di Platone. Esercizi di avviamento al pensiero filosofico. Introduzione di G. Reale, traduzione di C. Mazzarelli, Vita e Pensiero, Milano 1991; e di K. Albert, Sul concetto di filosofia in Platone. Edizione italiana a cura di P. Traverso, intr. di G. Reale, Vita e Pensiero, Milano 1991.
10 Si veda quanto dico a questo proposito nei primi due capitoli del mio libro Per una nuova interpretazione di Platone.
*V
mo conto la rivoluzione culturale, che all’epoca di Platone giungeva ormai al suo momento conclusivo, con la relativa tensione dinamica fra i due poli opposti della oralità e della scrittura. Essi sono convinti, in particolare, che il giudizio che si può dare sulla scrittura sia solamente quello che può dare 1 uomo moderno, che si è formato appunto sulla base della cultura della scrittura.
Dal lato opposto stanno alcuni teoreti, i quali accettano come valido ciò che ad essi risulta vero secondo le categorie del loro sistema, e quindi pensano che Platone non possa venir letto se non nell’ottica del loro stesso sistema, con tutta una serie di conseguenze che da questo derivano.
Molto interessante è, poi, un certo gioco incrociato che alcuni hanno fatto.
Certi teoreti hanno rimosso le questioni delle dottrine non scritte, giudicandole mere questioni «filologiche» e non «filosofiche» in senso stretto, o comunque assai poco significative nei confronti della imponente testimonianza degli scritti. Oppure, certi altri teoreti hanno affermato che, ammesso anche che le dottrine non scritte abbiamo un fondamento storico, non sono interessanti dal punto di vista speculativo, in quanto ciò che da esse si ricava è nettamente inferiore a ciò che si ricava dagli scritti. In particolare, la dottrina dei principi sarebbe molto al di sotto della teoria delle Idee, in cui solo si manifesta la vera grandezza di Platone.
Alcuni filologi, all’opposto, hanno affermato che chi rilegge Platone in funzione delle dottrine non scritte, lo fa per ricavare da lui elementi per una propria autocomprensione e autogiustificazione.
Come più volte ho avuto modo di precisare, prendendo posizione nei confronti di questi vari fraintendimenti, la rilettura di Platone secondo il nuovo paradigma alternativo implica una feconda sinergia e mediazione sintetica di strumenti filologici e strumenti squisitamente filosofici. In particolare, occorre ricuperare quel «circolo ermeneutico» che ci faccia comprendere quel «diverso» che è peculiare di Platone rispetto a noi moderni nei confronti della scrittura e dei modi di comunicazione della conoscenza della verità, in tutta la loro portata.
In effetti, la comprensione delle dottrine non scritte getta molta luce sugli scritti, rendendo comprensibili tutti quei punti
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dei dialoghi in passato giudicati oscuri e problematici, e fa emergere dai dialoghi stessi insospettate ricchezze, come i libri di Gaiser11, di Szlezàk11 12, di Erler13, di Mo via 14 e di Migliori15 16, oltre al mio , dimostrano ud ühunduntiatn. Inoltre, contro coloro che hanno giudicato le dottrine non scritte un frutto della senilità di Platone che si colloca quasi al di fuori della temperie della cultu- ra greca, io ho dimostrato come, proprio al contrario, esse esprimano in modo perfetto in chiave metafìsica alcune delle cifre emblematiche della cultura e dello spirito della grecità. Infine, è da rilevare che una adeguata comprensione delle dottrine non scritte non cambia solo il modo di interpretare Platone, ma l’evoluzione del pensiero greco in generale, e alcuni punti-chiave del pensiero moderno, come Krämer ha dimostrato17 18.
E che rapporto hanno le dottrine non scritte di Platone con le scienze matematiche? Comportano consistenti guadagni interpretativi? Già Gaiser aveva dimostrato la centralità che hanno le scienze matematiche nel pensiero platonico1S. Ma su alcuni nessi specifici delle dottrine non scritte con la matematica, rivisti in ottica storica ad ampio raggio, si possono guadagnare ulteriori e significativi risultati.
E proprio questo che Vittorio Hösle fa in questi due saggi, che, per la loro coerenza e convergenza di risultati, formano un vero e proprio libro unitario, di assai grande interesse.
Hösle è figlio di madre italiana e di padre tedesco. Ha trascorso i suoi primi anni in Italia (suo padre ha insegnato letteratura tedesca all’Università Cattolica di Milano e ha diretto il Goethe Institut); ma si è formato culturalmente nei licei e negli àmbiti universitari tedeschi.
La specifica formazione culturale di Hösle gli permette di muoversi con competenza e sicurezza nella complessa area della problematica che tratta in questo libro.
11 Cfr. supra, nota 3.12 Cfr. supra, nota 4.13 Cfr. supra, nota 9.14 Cfr. supra, nota 6.15 Cfr. supra, note 7 e 8.16 Cfr. supra, nota 5.17 Cfr. Platone, parte terza .passim.18 K. Gaiser, Platons ungeschriebene Lehre, Stuttgart 1963; 1968 3, soprattutto
la prima parte, passim.
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Nello studio della storia della matematica e delle scienze ha avuto come maestri dapprima Ludovico Geymonat e il figlio Mario (che ha sposato una sorella della madre di Hösle). Successivamente, a Ratisbona, ha studiato con Imre Tóth, uno dei maggiori conoscitori della problematica connessa con le geometrie non-euclidee19 20.
Per quanto riguarda invece i suoi studi sul pensiero antico e su Platone in particolare ha avuto come maestri a Tubinga Konrad Gaiser e Hans Krämer.
Già il suo primo libro, dal titolo Wahrheit und Geschichte. Studien zur Struktur der Philosophiegeschichte unter paradigmati- scher Analyse der Entwicklung von Parmenides bis Platon20, lo poneva in primo piano. In esso Hösle prendeva netta posizione a favore del nuovo paradigma e ne mostrava la fecondità perquanto concerne questa tematica.
Le novità che Hösle presenta nei saggi contenuti in questo suo libro, come sopra ho già detto, sono di grande rilievo.
L’Uno e la Diade indefinita, di cui trattavano in modo specifico le dottrine non scritte, in quanto sono da Platone considerati principi primi e supremi, sono fondativi di tutta quanta la realtà senza eccezioni. Essi spiegano, pertanto, non solo la struttura della realtà e del cosmo, ma anche la struttura dell’etica, della politica, e in particolare anche la struttura degli enti matematici e quindi della scienza matematica21.
Per quanto concerne l’aritmetica, che viene trattata nel primosaggio, Hösle giunge alle conclusioni che seguono. . . .
Platone ha tentato di dedurre i numeri partendo dai principi (Uno-Diade; unità-pluralità). In questo modo egli ha cercato di elaborare i principi della matematica, facendo più di quanto ha fatto poi lo stesso Euclide, il quale ha assiomatizzato la geometria e non l’aritmetica22.
Così facendo, Platone ha anticipato alcuni moderm. Il nesso
19 I. Tóth, Das Parallelenproblem im Corpus Aristotelicum, «Archiv of Historyof Exact Sciences», 3 (1967), pp. 229-422. u ι u
20 L’opera è stata pubblicata nel 1984 presso 1 Editrice Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt, in una collana curata dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, di cui Hösle è stato borsista per un lungo periodo.
21 Cfr. infra, parte prima, cap. Ill, S 4. (a).22 Cfr. infra, ivi, cap. Ili, passtm.
strutturale dualità-pluralità da lui stabilito si riscontra poi in Leibniz e Brouwer. Inoltre, cercando di sviluppare la matematica prescindendo da concetti geometrici, Platone si pone non solo al di sopra del suo tempo, ma anticipa, in un certo senso, alcuni sviluppi moderni, come quelli di Peano e di Dedekind23.
In particolare, se considerato nell’ottica della filosofìa della matematica, la posizione di Platone sembra avere alcune tangenze con posizioni moderne. Da un lato, sembra avere alcuni nessi con il logicismo, non però nel senso della logica formale, ma nel senso della dialettica metafìsica dei principi; dall’altro, di conseguenza, sembra avere alcune tangenze con l’intuizionismo di Brouwer. Scrive Hösle: « ... si potrebbe dunque dire che nel logicismo e nell’intuizionismo continuano ad agire separate le due metà della filosofia platonica della matematica: nel logicismo, più che altro, il suo aspetto formale; nell’intuizionismo, più che altro, il suo aspetto materiale. Se poi ci si guarda intorno alla ricerca di una filosofìa della matematica, in cui questi due aspetti siano ancora uniti, occorre riportarsi alla filosofìa della matematica di Hegel»24.
Queste avanzate posizioni di Platone si impongono, nota H ösle, malgrado il fatto che Platone si sia attenuto all’importanza ontologica e assiologica della decade, che lo legava al passato (l’emblematico numero dieci delle dita e la decade pitagorica)25.
Ancor più incisivi e innovativi, per certi aspetti, i risultati del secondo saggio sui fondamenti della geometria.
Hösle rileva come, sulla base delle ricerche condotte da Imre Tóth, risulta che Aristotele fosse a conoscenza del carattere assiomatico del quinto postulato della geometria e che considerasse la sua accettazione e la sua non-accettazione come frutto di una libera scelta26.
Aristotele desumeva le sue conoscenze geometriche dall’Accademia. Gli elementi non-euclidei che si ricavano dal Corpus aristotelicum comprovano le incertezze che si nutrivano fra i suoi contemporanei sul quinto postulato. Forse nella misura in
23 Cfr. ivi, cap. IV.24 Ivi, p. 95.23 Cfr. ivi, cap. Ili, § 4. (e).26 Oh:infra, parte seconda, capp. I-II.
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cui lo introduce appunto come postulato, Euclide stesso lascia intrawedere che in qualche modo si rendeva conto della sua indimostrabilità.
Alcuni matematici greci per uscire dalla incertezza si sono probabilmente basati su una fondazione e giustificazione del postulato per intuizione. Platone ha seguito invece un’altra via.
Scrive Hösle: «Sembra che il contributo di Platone, in questa difficile congiuntura, sia invece quello di aver insistito su un concetto di geometria rigoroso, che rinuncia all’intuizione e che è in tale misura molto moderno, e di aver rimosso la crisi per mezzo di una costruzione ontologica: la geometria euclidea, quale “geometria dell’angolo retto” è la geometria vera»27.
In effetti, nelle sue dottrine non scritte, Platone ha considerato l’angolo retto come strutturalmente connesso con l’Uno, mentre gli angoli acuti e ottusi erano da lui strutturalmente connessi con la Diade indefinita. Proprio il ruolo determinante dell’angolo retto, che ha quel nesso strutturale con l’Uno (principio fondativo positivo) di cui si è detto, garantisce alla geometria un valore veritativo28.
Forse è stato proprio Platone, sulla base di questa sua fondazione filosofica della geometria, che ha arginato alcune tendenze antieuclidee e ha dato un contributo determinante alla costruzione del sistema euclideo29.
Secondo Hösle Platone fu, probabilmente, il primo pensatore che nella storia del pensiero occidentale, ha compreso come la matematica per la sua stessa natura non sia in grado di autofon- darsi30.
La validità dei teoremi dipende dalla validità degli assiomi; ma la validità degli assiomi può essere dimostrata solamente su un piano superiore, ossia portandosi sul piano metafisico, e precisamente su quel piano su cui Platone si è mosso appunto con le sue dottrine non scritte.
Giovanni Reale
27 Ivi, p. 136.28 Cfr. ivi, cap. Ili, § 5.29 Cfr. ivi, S 6.30 Cfr. ivi, § 4. (c).
Bibliografia ragionata delle pubblicazioni di Vittorio Hösle(aggiornata al 1993)
A. Libri
1. Wahrheit und Geschichte. Studien zur Struktur der Philosophiegeschichte unter paradigmatischer Analyse der Entwicklung von Parmenides bis Platon, Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1984.
H libro presenta una filosofìa della storia della filosofìa, che si ispira alle Lezioni sulla storia della filosofia di Hegel, ma amplia l’impostazione hegeliana mediante l’inclusione di modelli ciclici. Come tesi principale, si sostiene che la storia della filosofia occidentale è strutturata in cinque cicli, che mostrano fra di loro sorprendenti analogie: ad una fase (a) dogmatico-razionalista, segue (b) un’impostazione più empirista, che sfocia necessariamente (c) nello scetticismo; quest’ultimo provoca una critica che mira (d) alla rifondazione dell’etica; ogni ciclo finisce (e) con una filosofia del tipo dell’idealismo oggettivo. La tesi, che è articolata a priori nella prima parte del libro e solamente abbozzata per i cicli ulteriori nella terza, viene dimostrata estesamente nella seconda parte, cioè nella parte centrale del libro, per il primo ciclo che si estende da Parmenide a Platone: gli Eleati corrispondono alla prima fase (a), Empedocle, Anassagora e gli Atomisti alla seconda (b), i Sofisti alla terza (c), Socrate alla quarta (d), Platone alla quinta (e). Le interpretazioni di Socrate e di Platone contengono diverse novità filologiche. In particolare, l’interpretazione unitaria della filosofìa dai Presocratici a Platone rafforza il nuovo paradigma dell’interpretazione di Platone. I contributi più importanti del libro consistono nel criticare il relativismo storico e l’idea di un progresso lineare della storia della filosofia, e nell’argomentare a favore dell’idealismo oggettivo. Tutta l’opera dell’autore è dedicata ad un rinnovamento di questo tipo di filosofia. 2
2. Die Vollendung der Tragödie im Spätwerk des Sophokles. Ästhetisch-historische Bemerkungen zur Struktur der attischen Tragödie, Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1984
(traduzione italiana: II compimento della tragedia nell'opera tarda di Sofocle. Osservazioni storico-estetiche sulla scrittura della tragedia attica, Bibliopolis, Napoli 1986).
Il volume cerca una logica nello sviluppo della tragedia greca da Eschilo ad Euripide e Sofocle, e mostra un certo parallelismo fra questo sviluppo e quello della filosofìa classica greca. È importante l’uso della categoria di intersoggettività nell’interpretazione del tardo Sofocle.
3. In collaborazione con Ch. Lohr e W. Büchel: Raimundus Lullus, Die neue Logik. Logica Nova, textkritisch hg. von Ch. Lohr, übs. von V. Hösle und W. Büchel, mit einer Einführung von V. Hösle, Felix Meiner Verlag, Hamburg 1985.
La lunga introduzione (pp. IX-LXXXII, LXXXVH-XCIV) descrive la vita e il pensiero del filosofo catalano. Sono centrali le riflessioni sul rapporto tra fede e ragione, sia nella filosofia medioevale in genere, sia in Lullo in particolare. Il contributo di quest’ultimo a favore di una teologia razionale del cristianesimo si dimostra molto più originale di quanto si assuma comunemente.
4. Hegels System. Der Idealismus der Subjektivität und das Problem der Intersubjektivität, 2 Bde., Felix Meiner Verlag, Hamburg 1987; 19882.
L’analisi completa di tutto il sistema hegeliano è dedicata allo studio della sua coerenza interna e della sua compatibilità con le scienze moderne. Il metodo critico adottato è sempre quello della critica interna. Come tesi fondamentale, si sostiene che il problema maggiore del sistema hegeliano sta nella tensione fra la categoria della soggettività, che forma l’asse centrale della sua prima philosophia, e la categoria della intersoggettività, che emerge poderosamente nella Realpbilo- sophie. Di particolare importanza sono la ricostruzione della dialettica hegeliana e della sua filosofìa dello spirito oggettivo.
5. AA. W , Die Rechtsphilosophie des deutschen Idealismus, a cura di V. Hösle, Felix Meiner Verlag, Hamburg 1989.
Sono gli atti di un convegno sulla filosofìa del diritto dell’idealismo tedesco, in particolare di Fichte, di Schelling e di Hegel.
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6. In collaborazione con Ch. Jermann: Giambattista Vico, Prinzip einer neuen Wissenschaft über die gemeinsame Natur der Völker, übs. von V. Hösle und Ch. Jermann und mit Textverweisen von Ch. Jermann, mit einer Einleitung von V. Hösle, 2 Bde., Felix Meiner Verlag, Hamburg 1990.
La monografìa ( Vico und die Idee der Kulturwissenschaft, pp. XXXI- CCXCIII), che introduce questa prima traduzione tedesca completa del capolavoro vichiano, è uno studio sulla vita di Vico e sulla struttura della Scienza Nuova. Emerge l’estrema originalità del tentativo vichiano di fondare su una metafìsica di matrice platonica la scienza del mondo civile o intersoggettivo.
7. La legittimità del politico, Guerini e Associati, Milano 1990 (traduzione italiana degli articoli citati infra, ai numeri 26 e 34).
H volume raccoglie due saggi dedicati ai tentativi di Machiavelli e di Schmitt di riconoscere la parziale autonomia del politico.
8. Die Krise der Gegenwart und die Verantwortung der Philosophie. Traszendentalpragmatik, Letztbegründung, Ethik, C. H. Beck Verlag, München 1990.
Nella prima parte, l’opera critica le correnti più importanti della filosofìa post-hegeliana (marxismo, scientismo, ermeneutica), e soprattutto la loro incapacità di fondare l’etica. Si prende in considerazione la pragmatica trascendentale di Karl Otto Apel come il tentativo più ambizioso di fondare rigorosamente un’etica non naturalistica. Nella terza parte, si abbozza l’idea di un idealismo oggettivo, in cui si integrino il metodo fondativo della pragmatica trascendentale ed il suo interesse per la categoria di intersoggettività. D’altro canto, con un’analisi accurata, si dimostra che non sono valide le molteplici ricostruzioni della famosa tesi wittgensteiniana sull’impossibilità di un linguaggio privato.
9. Hegel e la fondazione dell’idealismo oggettivo, Guerini e Associati, Milano 1991 (traduzione italiana dell’articolo citato infra, al n. 28, e testo delle lezioni italiane tenute sulla base del libro citato supra, n. 4).
Contiene il saggio più impegnativo di Hösle, ed il testo di lezioni divulgative su alcuni concetti del libro Hegels System.
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10. Philosophie der ökologischen Krise. Moskauer Vorträge, C. H. Beck Verlag, München 1991 (traduzione italiana: Filosofia della crisi ecologica, Einaudi, Torino 1992; traduzione russa: Filosofija i ekologija, Nauka, Mosca 1993).
L’opera tratta dei presupposti storici ed intellettuali della crisi ecologica e sviluppa le norme che a livello individuale, economico e politico sono necessarie per arginarla.
11. Praktische Philosophie in der modernen Welt, C. H. Beck Verlag, München 1992 (contiene i saggi citati infra, ai nn. 29,38, 40 ,44 ,45 ,50 ,51).
I saggi contenuti in questa raccolta vertono su due punti: da una parte, sulla fondazione di un’etica universalistica, che si appoggia su Kant, però supera il suo formalismo; dall’altra parte, su diverse questioni di etica applicata concernenti il mondo moderno.
12. Genii filosofa novogo vremeni, Nauka, Mosca 1992.
In cinque lezioni, vengono trattate nel loro nesso storico e logico le metafisiche di Cartesio, Spinoza, Kant, Fichte e Hegel. Il libro insiste sulla categoria di progresso con intensità molto maggiore rispetto a Wahrheit und Geschichte.
1 3 .1 fondamenti dell'aritmetica e della geometria in Platone, Vita e Pensiero, Milano 1994 (contiene la traduzione italiana dei saggi citati infra, ai nn. 14 e 16).
È il volume che qui si presenta.
B. Saggi in riviste o miscellanee
14. Platons Grundlegung der Euklidizität der Geometrie, «Philo- logus», 126 (1982), pp. 180-197.
È il saggio qui tradotto come Parte seconda del libro. Si dimostra la presenza in Platone di riflessioni sulla geometria non-eudidea. 15
15. In collaborazione con D. Wandschneider: Die Entäußerung
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der Idee zur Natur und ihre zeitliche Entfaltung als G eist bei Hegel, «Hegel Studien», 18 (1983), pp. 173-199.
Si affronta uno dei maggiori problemi propri di ogni forma di idealismo oggettivo: il problema del perché esista qualcosa al di fuori del mondo ideale. All’interno del sistema hegeliano viene proposta una soluzione, secondo la quale la triade idea-natura-spirito si crea per l’applicazione della struttura dialettica dell’idea assoluta a se medesima.
16. Zu Platons Philosophie der Zahlen und deren mathematischer und philosophischer Bedeutung, «Theologie und Philosophie», 59 (1984), pp. 321-355 (traduzione inglese in: «Graduate Faculty Philosophy Journal», 13 [1988], pp. 21-63).
È il saggio qui tradotto come Parte prima del libro. Vi si analizza, sulla base del nuovo paradigma, la filosofia dei numeri di Platone, e la si mette in relazione con la moderna la filosofia della matematica, oltre che con la moderna fondazione dell’aritmetica.
17. Hegels "Naturphilosophie“ und Platons “Timaios" - ein Strukturvergleich, «Philosophia Naturalis», 21 (1984), pp. 64- 100.
Si mostrano dettagliate analogie fra il Timeo di Platone e la Filosofia della Natura di Hegel, che rafforzano la tesi del volume Wahrheit und Geschichte sulla fondamentale affinità di Platone con Hegel.
18. La antropologia en Fichte, in: R. Sevilla (curatore), La evolución, elhom brey elhumano, Tübingen 1986, pp. 113-130.
Si fa notare come Fichte abbia anticipato le scoperte più famose dell’antropologia moderna. Ispirandosi con ogni probabilità a Herder, Fichte ha tentato di dedurre a priori le sue idee dal concetto di uomo. 19 * * * * *
19. D ie Transzenden talpragm atik als F ichteanism us derIntersubjektivität, «Zeitschrift für philosophische Forschung»,40 (1986), pp. 235-252 (traduzione russa in: AA. VV.,Duchovnost': tradicii i problemy, Ufa 1991, pp. 31-37; in: AA.W ., Fichte i konec X X veka, Ufa 1992, pp. 95-101; e anche in:«Filosofskaja i sociologiceskaja», mysl’ 2 (1992), pp. 72-93.
Si interpreta la pragmatica trascendentale come una trasformazione in senso intersoggettivo del pensiero fìchtiano, e si applicano al pensiero di Apel alcune delle critiche hegeliane dirette a Fichte.
20. Eine unsittliche Sittlichkeit. Hegels Kritik an der indischen Kultur, in: W. Kuhlmann (curatore), Moralität und Sittlichkeit, Frankfurt 1986, pp. 136-182.
Il saggio analizza tutti i passi di Hegel sulla cultura indiana, dimostra la notevole conoscenza che egli ebbe di questa cultura, e difende una buona parte della sua critica come critica razionale contro i rimproveri di eurocentrismo.
21. Raum, Zeit und Bewegung, in: M. J. Petry (curatore), Hegel und die Naturwissenschaften, Stuttgart-Bad Cannstatt 1987, pp. 247-292.
22. Pflanze und Tier, ibid., pp. 377-422.
Questi due saggi (21 e 22) costituiscono un commento sistematico alle parti più importanti della Filosofia della Natura di Hegel.
23. Die Stellung von Hegels Philosophie des objektiven Geistes in seinem System und ihre Aporie, in: Ch. Jermann (curatore), Anspruch und Leistung von Hegels Rechtsphilosophie, Stuttgart- Bad Cannstatt 1987, pp. 11-53.
24. Das abstrakte Recht, ibid., pp. 55-99.
25. Der Staat, ibid., pp. 183-226.
Questi tre saggi (23, 24, 25) interpretano la posizione sistematica dei Lineamenti di filosofia del diritto nel sistema di Hegel, e commentano sistematicamente la prima e la terza parte dell’opera. Insieme ai due saggi precedenti, anche questi tre sono stati in gran parte integrati nel volume Hegels System. 26 * *
26. Carl Schmitts Kritik an der Selbstaufhebung einer wertneutralen Verfassung in “Legalität und L eg itim itä t“, «D eutscheVierteljahrsschrift», 61 (1987), pp. 3-36.
Viene dimostrata la grande originalità del famoso saggio di Schmitt che anticipa l’ascesa legale di Hitler al potere. Si insiste sulla necessità di limitare le revisioni legali alla costituzione, anche se simili limitazioni non possono essere legittimate, né in maniera consensuale, né su base storicista. Sebbene la costituzione di Bonn risulti tecnicamente superiore a quella di Weimar, poiché ha colto le indicazioni di Schmitt, rimane in dubbio se lo spirito del nostro tempo sia veramente congeniale ai presupposti etici della nuova costituzione.
27. Ha la filosofia ancora un compito storico?, «La Provincia di Napoli», 9 (1987), numero speciale 3-4: L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e la Scuola di Studi Superiori in Napoli, pp. 153- 159.
Si tratta di un saggio occasionale in cui si auspica, per superare il relativismo storico, la combinazione tra una fondazione ultima propria della filosofìa prima e una filosofia della storia.
28. Begründungsfragen des objektiven Idealismus, in: AA. W ., Philosophie und Begründung, a cura del «Forum für Philosophie Bad Homburg», Frankfurt 1987, pp. 212-267.
Questo saggio, che teoreticamente è il più importante, tenta una fondazione ultima dell’idealismo oggettivo. Si dimostra che esiste una conoscenza incondizionata e che questa conoscenza incondizionata non può essere interpretata come conoscenza meramente soggettiva.
29. Moralische Reflexion und Institutionenzerfall. Zur Oialektik von Aufklärung und Gegenaufklärung, in: «Hegel-Jahrbuch» 1987, pp. 108-116.
Il saggio analizza le contraddizioni e la dialettica fra illuminismo e controillumismo — due movimenti che dominano la filosofia e la politica moderna —, e mostra come riesca a svincolarsi dall’oscillazione fra «sinistra» e «destra» solo un pensiero che sia in grado si fondare ultimativamente l’etica. 30 * * *
30. È giusta la ricerca sugli embrioni? Un’intervista a V Hösle,in: V. Lanfranchi e S. Favi (curatori), Figli della scienza, con introduzioni di G. Berlinguer e L. Violante, Roma 1988, pp. 189-194.
Si critica la crescita esponenziale della razionalità strumentale a scapito di quella valutativa.
31. Tragweite und Grenzen der evolutionären Erkenntnistheorie, «Zeitschrift für allgemeine Wissenschaftstheorie», 19 (1988), pp. 348-377.
Si difende la pretesa dell’epistemologia evoluzionistica di spiegare la genesi della conoscenza umana, però si respinge come circolare il tentativo di risolvere in tale maniera il problema della validità. Si mostra come l’idealismo oggettivo costituisca l’unica possibilità coerente di combinare l’approccio genetico con quello trascendentale.
32. Versuch einer Standort- und Zielbestimmung für Aufgaben der geistig-politischen Führung, in: AA. W ., Herausforderungen für die Politik, München 1989, pp. 41-63.
È uno scritto redatto sotto invito della cancelleria, in cui si nominano i compiti più importanti di ima politica morale che la Repubblica Federale è chiamata a seguire.
33. Was darf und was soll der Staat bestrafen? Überlegungen im Anschluß an Fichtes und Hegels Straftheorien, in: V. Hösle (curatore), Oie Rechtsphilosophie des deutschen Idealismus, citato supra, η. 5.
Si pongono a confronto le risposte diverse che Fichte e Hegel hanno dato alla questione relativa a ciò che lo stato può punire in maniera legittima. Nella parte sistematica, si sviluppa una teoria dettagliata su questo problema.
34. Morality and Politics: Reflections on Machiavelli s “Prince’’, «International Journal of Politics, Culture and Society», 3/1 (1989), pp. 51-69.
Gli argomenti di ordine morale del Principe di Machiavelli vengono ricostruiti e valutati nella loro grandezza e nei loro limiti. 35 * *
35. Ober die Unmöglichkeit einer naturalistischen Begründungder Ethik, «Wiener Jahrbuch für Philosophie», 22 (1990), pp.13-29.
Si dimostra che ogni tentativo di fondare l’etica su base naturalistica è destinato a fallire, sebbene sia possibile tuia spiegazione naturalistica della genesi del comportamento umano.
36. Recht und Geschichte bei Giambattista Vico, in: K. O. Apel- R. Pozzo (curatori), Zur R ekon struktion der praktischen Philosophie. Gedenkschrift für Karl-Heinz Ilting, Stuttgart-Bad Cannstatt 1990, pp. 389-417.
Lo studio analizza il contributo di Vico a favore di una filosofìa della storia del diritto, e lo pone a confronto con i suoi predecessori e successori.
37. Platonism and Anti-Platonism tn Nicholas o f Cusa's Philosophy of Mathematics, «Graduate Faculty Philosophy Journal», 13 (1990), pp. 79-112.
Si dimostra come molte idee della filosofia della matematica di Platone (in parte delle «dottrine non scritte») siano ancora presenti in Cusano, anche se egli le trascende mediante due concezioni originali: da un lato, il concetto di infinito; e dall’altro lato, la teoria in virtù della quale l’uomo può creare gli enti matematici.
38. The Greatness and Limits o f K ant’s Practical Philosophy, ibid., pp. 133-157 (traduzione tedesca in: K. Giel-R. Breuninger [curatori], Wissenschaftsethik unter philosophischen Aspekten, Ulm 1991, pp. 9-39).
‘Si tratta di un’analisi dell’etica kantiana, posta a confronto con le maggiori teorie della successiva filosofia morale.
39. Natur und Naturwissenschaft in Vicos neuer Wissenschaft vom Geist, in: R. Bubner-B. Gladigow-W. Haug (curatori), Oie Trennung von Natur und Geist, München 1990, pp. 55-77.
Il saggio si occupa del concetto di natura e della relazione fra scienze della natura e scienze ermeneutiche nella filosofia di Vico. 40 *
40. Sein und Subjektivität. Zur M etaphysik der ökologischenKrise, «Prima Philosophie», 4 (1991), pp. 519-541.
Questo saggio indica un’importante cesura nella produzione del suo autore: egli vi riconosce la necessità di integrare in un idealismo oggettivo alcuni momenti della teoria heideggeriana dell’assoluto e della storia, se si vuole capire la truce essenza del nostro secolo. Allo stesso tempo, viene mostrata una certa continuità nello sviluppo dai primi organismi all’attuale crisi ecologica, che presuppone, nell’uomo, una peculiare unità di categorie organiche e spirituali.
4L Die Wiedervereinigung - Rückfall in die Politik der Nationalstaaten oder ein Schritt zur Überwindung der Trennung Europas?, in: P. Braiding-W. Reese-Schäfer (curatori), Universalismus, Nationalismus und die neue Einheit der Deutschen, Frankfurt 1991, pp. 71-80.
È uno scritto d’occasione, ove si auspica che l’unificazione tedesca non porti ad un trionfo del nazionalismo, ma ad un’integrazione dell’Europa orientale con quella occidentale.
42. Heideggers Philosophie der Technik, «Wiener Jahrbuch für Philosophie», 23 (1991), pp. 37-53 (traduzione russa in: N. V. MotroSilova et A. [curatori], Filosofia Martina Chaideggera i sovremennost’, Mosca 1991, pp. 138-154).
Vengono descritti tanto la genialità quanto i limiti della filosofìa della tecnica di Heidegger, che ha sì un fondamento nella metafisica, ma non ha uno sbocco etico.
43. Intersubjektivität und Willensfreiheit in Fichtes “Sittenlehre”, in: M. Kahlo-E. A. Wolff-R. Zaczyk (curatori), Fichtes Lehre vom Rechtsverhältnis. Die Deduktion der §§ 1-4 der “Grundlage des Naturrechts” und ihre Stellung in der Rechtsphilosophie, Frankfurt 1992, pp. 29-52.
Si dimostra come Fichte debba ricorrere alla teoria dell’armonia prestabilita per risolvere il problema della comunicazione intersoggettiva, e come ciò non sia compatibile con la sua accettazione del libero arbitrio. 44 *
44. Warum ist die Technik ein philosophisches Schlüsselproblemgeworden?, in: K. Giel-R. Breuninger (curatori), Natur in der
Philosophie, Ulm 1992, pp. 35-51.
Λ α
Vi si analizzano i presupposti antropologici e storici dell’ascesa della tecnica, e le sue conseguenze etiche.
45. The Third World as a Philosophical Problem, «Social Research», 59 (1992), pp. 227-262 (anche in: R. Fornet- Betancourt, Diskursethik oder Befreiungsethik?, Aachen 1992, pp. 122-151; traduzione tedesca in: J. P. Wils [curatore], Alibi Wirtschaftsethik?, Tübingen 1992, pp. 63-79).
Alla considerazione della genesi storica del Terzo mondo come risultato dell’asincronia delle diverse culture e della modernizzazione dell’Europa, si unisce un’analisi dei doveri morali dell’Europa verso il Terzo mondo, a livello individuale, economico e politico.
46. Kan Abraham reddes? Og: Kan Soren Kierkegaard reddes? Et hegelsk oppgjor m ed “Frygt og Bæven”, «N orsk Filosofisk Tidsskrift», 27 (1992), pp. 1-26.
Si presenta una metacritica hegeliana a Timore e Tremore di Kierkegaard, con una nuova interpretazione del tentato sacrifìcio di Isacco.
47. Die Idee der Hochschule angesichts der Herausforderungen des 21. Jahrhunderts, in: AA. W ., Hochschulen der Zukunft - Erneuert oder zweite Wahl. Jahresversammlung 1992 der Hochschulrektorenkonferenz, Bonn 1992, pp. A l-12.
La crisi dell’idea di università viene spiegata nelle sue cause, e si propongono alcune riforme radicali.
48. Hva er de sentrale forskjellene mellom den antikke og den moderne filosofien?, «Norsk Filosofisk Tidsskrift», 28 (1993),pp. 1-20.
Con un certo atteggiamento autocritico nei confronti di Wahrheit und Geschichte, l’autore insiste sulle differenze fra metafìsica, etica e filosofia politica antica e moderna, e tenta di dedurre le differenze dell'era moderna dal principio della soggettività. 49
49. Ethische P rinzipien der Friedenssicherung, «R echts-
philosophische Hefte», 2 (1993), pp. 39-58.
Si analizza, con categorie influenzate da H obbes, Hegel e Morgenthau, la logica delle lotte di potere e della guerra, e si difende l’uso, in casi specifici, della violenza collettiva.
50. Zur Dialektik von strategischer und kommunikativer Rationalität, in: J. P. Wils (curatore), Orientierung durch Ethik? Eine Zwischenbilanz, Paderborn 1993, pp. 11-35.
Le varie forme di razionalità strategica e comunicativa vengono analizzate, oltre che valutate secondo criteri morali.
C. Saggi in corso di pubblicazione
51. Versuch einer ethischen Bewertung des Kapitalismus, in: K. Giel-R. Breuninger (curatori), Wirtschaftsethik, Ulm 1993.
Contiene una valutazione dei meriti e dei limiti dell’economia capitalistica e un’analisi soprattutto dei presupposti etici della teoria neoclassica.
52. Ontologie und Ethik in Hans Jonas, in una miscellanea su Jonas a cura di D. Böhler, München 1994.
È il primo tentativo di dimostrare gli stretti nessi che sussistono tra la biologia filosofica di Jonas e la sua etica.
53. Individualny i kollektivny krizìs sam otozdestviennosti, «Voprosy fìlosofii», 15 (1994).
Vengono analizzate l’essenza e le forme dell’identità individuale e collettiva, insieme alle corrispondenti crisi di identità.
54. In collaborazione con Mark Roche: Vico s Age of Heroes and the Age of Men in John Ford’s Film “The Man Who Shot Liberty Valance”, «Clio» 1994. Il
Il più grande «western» della storia del cinema è interpretato, median-
te categorie vicinane, come una visione straordinaria dell’ambivalenza del progresso.
55. Macht und Moral (per una rivista specializzata).
Si dimostra la complementarietà della valutazione morale del potere (analizzato nelle sue varie forme) e dell’interpretazione sociale, anzi «cratologica», della morale.
D. Recensioni
56. Recensione a: O. D. Brauer, Dialektik der Zeit, Stuttgart-Bad Cannstatt 1982, in: «Philosophische Rundschau», 30 (1983), pp. 299-303.
57. Recensione a: Q. Lauer, Hegel's Concept o f God, Albany 1982, in: «Theologie und Philosophie», 59 (1984), pp. 109-111.
58. Recensione a: D. Wandschneider, Raum; Zeit, Relativität, Frankfurt 1982, ibid., 60 (1985), pp. 114-145.
59. Recensione a: D. Böhler, Rekonstruktive Pragmatik, Frankfurt 1985, in: «Zeitschrift für philosophische Forschung», 40 (1986), pp. 644-648.
60. Recensione a: W. Jaeschke, Die Religionsphilosophie Hegels, Darmstadt 1983, in: «Hegel-Studien», 21 (1986), pp. 244-246.
61. Recensione a: M. W Roche, Dynamic Stillness, Tübingen 1987, in: «Germanistik», 1987, pp. 801-802.
62. R. Kany, M nem osyne als Program, Tübingen 1987, in: «Comparano», 1 (1990), pp. 98-102.
63. F. von Kutschera, Vernunft und Glaube, Berlin-New York 1990, in: «Wiener Jahrbuch für Philosophie», 23 (1991), pp. 227-232.
E. Voci in dizionari
64. Voce: Anonym, Peri bypsous, in: F. Volpi-J. Nida Riimelin, Lexikon der philosophischen Werke, Stuttgart 1988, p. 504.
65. Voce: K. O. Apel, Transformation der Philosophie, ibid., pp. 730-731.
E Articoli di contenuto scientifico comparsi su quotidiani
66. Verzweifelte Suche nach Sinn. Einblicke in die sowjetische Philosophie der Gegenwart, sulla «Frankfurter Allgemeine Zeitung» del 28/11/ 1990, n. 277, p. N4.
67. Zu Tode geheuchelt. A u f dem Weg zur Reue - Eine Tagung fragt nach den sowjetischen Lektionen, ibid., n. 233 del 7 /10/ 1992, p. N5.
G. Interviste per riviste scientifiche
68. Ahsoljutnyi racionalism i sovrernennt krizis, per «Voposy filosofii», 11 (1990), pp. 107-113.
Parte prima
Platonee i fondamenti dell’aritmetica
I. Osservazioni introduttive.Metodo, tema e piano dell’indagine
1. Il «Platone italiano» di Hans Krämer: l’esoterica platonica fraricostruzione storica e valutazione filosofica
Il Fiatone italiano di Hans Krämer vuol essere un bilancio intermedio nell’ambito della discussione sull’esoterica platonica, che ad oggi si protrae da più di un quarto di secolo, e in effetti rappresenta un contributo dietro al quale non dovrebbe esserci più ritorno1. Krämer vi ha stabilito, fra l’altro, alcune prescrizioni di metodo che spesso, nella discussione durata fino ad ora, e a suo danno, non sono state prese in considerazione. Ad esse appartiene il postulato, senz’altro triviale dal punto di vista ermeneutico, ma più volte ripetuto da Krämer per la ragione indicata, in virtù del quale si tengono nettamente distinti due problemi: da un lato, la questione storica, da risolversi sulla base delle testimonianze dossografìche, riguardante l’esistenza e il contenuto di una dottrina di Platone riservata all’Accademia; e dall’altro lato, il problema di una valutazione sistematica di questi stessi contenuti. Krämer sostiene, a buon diritto, che la criti- 1
1 H, Krämer, Platone e i fondamenti della metafisica, cit. Com’è noto, la discussione sull’esoterica platonica fu suscitata dallo stesso Krämer (Arete bei Platon und Aristoteles, Heidelberg 1959). K. Gaiser, Platons ungeschriebene Lehre, cit., ha compiuto una raccolta ed un’analisi complessiva di tutte le testimonianze sulle platoniche «dottrine non scritte» (αγραφα δόγματα). Io stesso, nella mia dissertazione Wahrheit und Geschichte, cit., pp. 372 ss., ho assunto per esteso posizione sul problema della dottrina non scritta di Platone, e, precisamente, sia sulle questioni filologiche della sua ricostruzione, sia su quelle filosofiche della sua valutazione. Mi risparmio perciò di precisare in questa sede i motivi dettagliati per cui, globalmente, acconsento alla «posizione tubinghese». I libri più importanti scritti in seguito sul Platone esoterico sono: G. Reale, Per una nuova interpretazione..., cit.; Th. A. Szlezàk, Platon und die Schriftlichkeit der Philosophie, Berlin 1985, di cui si è già citata la traduzione italiana: Platone e la scrittura della filosofia.
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ca del contenuto filosofico di una simile dottrina non può avanzare alcuna pretesa di competenza nel risolvere le diffìcili domande storiche, che sono legate all’interpretazione delle testimonianze; constatare che i pensieri di fondo dell’esoterica platonica contraddicono la collocazione sistematica di chi le critica è di scarso aiuto per decidere sull’autenticità della tradizione2. Tuttavia, Krämer non intende in nessun modo escludere il secondo passo della valutazione, di cui deve semplicemente restare chiaro che presuppone il primo, cioè quello della ricostruzione storica. Al contrario, proprio la terza parte del libro di Krämer consiste nel tentativo, compiuto per la prima volta in questa forma onnicomprensiva, di porre l’esoterica platonica in connessione con le principali correnti del pensiero filosofico contemporaneo: la filosofìa analitica, la filosofìa trascendentale di stampo kantiano o neo-kantiano, l’idealismo hegeliano, la fenomenologia di Husserl e l’ontologia di Heidegger3. Krämer inoltre contempla, quale scopo del suo libro, quello di dare impulso a lavori che vadano in questa direzione, ossia a studi che, elevandosi sugli esiti accertati della ricostruzione storica, confrontino i contenuti dottrinali delle «dottrine non scritte» con concezioni moderne4.
2. Tema dell’indagine: la dottrina platonica della generazione dei numeri dall’unità e dalla dualità nel suo senso storico e sistematico
Il saggio che qui presento intende seguire questo impulso. Più precisamente, mi interessa la questione riguardante il senso sistematico di un problema settoriale, in certa misura modesto, che fu trattato nell’esoterica platonica: alludo alla concezione
2 Krämer, Platone..., pp. 132 s., 322 ss.3 Cfr. ivi, pp. 239-333.4 Si veda ivi, p. 13, e anche: K. von Fritz, Zur Frage der «esoterischen» Philo
sophie Platons, in: Id., Schriften zur griechischen Logtk, 2 voll., Stuttgart-Bad Cannstatt 1978,1, pp. 215-227, spec. 219, n. 1, ove si segnala come cosa importante e desiderata la valutazione filosofica delle ricostruzioni filologiche compiute fino ad allora nel campo della filosofia esoterica di Platone sulla matematica.
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platonica per cui i numeri sono generati dall’unità e dalla dualità, e al pensiero, connesso a tale concezione, per cui la molteplicità infinita viene ridotta alla dualità. Si vedrà che la teoria platonica, che al primo sguardo dà l’impressione di essere arcaica, trova ampie corrispondenze non solo nella filosofìa della matematica di Hegel, ma addirittura nelle riflessioni sui fondamenti della matematica, che a partire dalla seconda metà del secolo scorso hanno condotto, in parte, ad una trasformazione della matematica, e, per altra parte, hanno cercato di interpretare dal punto di vista filosofico questa trasformazione: penso, da un lato, all’assiomatica dell’aritmetica di Peano e, dall’altro lato, alle riflessioni di Brouwer sul «fenomeno matematico originario» della dualità.
3. Piano dell’indagine: rimando alla questione sui fondamenti della geometria e articolazione dei problemi
Inoltre, il saggio che qui presento vuol essere complementare ad un saggio precedente, in cui ho collegato la filosofia della geometria di Platone con alcuni sviluppi moderni della stessa disciplina; perciò, esso occupa la seconda parte di questo volume, e vi farò regolarmente riferimento3. Ora intendo, come prima cosa, esporre alcuni aspetti generali della filosofìa della matematica di Platone. Successivamente, intendo addentrarmi nelle testimonianze sulla concezione platonica della generazione dei numeri, e infine tentare di interpretare questa concezione nel suo contenuto matematico e filosofico* * 6.
3 V. Hösle, Platons Grundlegung der Euklidizität der Geometrie, «Philologus»,126 (1982), pp. 180-197, tradotto infra, Parte seconda,passim.
6 Cfr. infra, rispettivamente, i punti II, III, IV.
Π. La filosofia della matematica di Platone. Aspetti generali
1. La «modernità» di Platone filosofo della matematica
Il tentativo di porre in relazione la filosofìa della matematica di Platone con teorie moderne suscita, non arbitrariamente, una cattiva impressione. E’ vero che oggi la fede ingenua nel progresso lineare della filosofia non è più così diffusa, al punto che il desiderio di voler prendere sul serio un Hegel, ma anche un Aristotele o un Platone, ponendosi entro una problematica più che meramente storica, incontra disapprovazione in linea di principio. Tuttavia si può dire che, tendenzialmente, quei rami della filosofìa che si intersecano in via diretta con le scienze particolari, come ad esempio la filosofìa della natura o la filosofia della matematica, vengono ritenuti d’abitudine superati, nella misura in cui sono state superate le scienze che erano loro contemporanee.
Può darsi che in quest’idea vi sia qualcosa di vero; resta però da considerare che una filosofia della natura che meriti questo nome, e non si limiti ad esporre un riassunto in forma popolare dei risultati scientifici del suo tempo, è dispensata per ragioni logiche da una relativizzazione prodotta dal cambiamento delle scienze empiriche, in quanto riflette su concetti che si collocano anteriormente a queste ultime1.
Ma torniamo all’idea di cui dicevamo: se anche vi è qualcosa di vero, ciò può semplicemente significare che le riflessioni pla-
1 Penso al concetto platonico di materia, che attraverso la fisica quantistica ha conosciuto una significativa attualizzazione; si veda: W. Heisenberg, Physik und Philosophie, Stuttgart 1959, pp. 51-60; Id., Oer Teil und das Ganze, München 1979, pp. 277-288; sul concetto platonico di materia è fondamentale il lavoro di D. J. Schulz, Das Problem der Materie in Platons Timaios, Bonn 1966. Ma penso anche, ad esempio, al concetto aristotelico di teleologia, su cui si veda: W. Kullmann, Die Teleologie in der aristotelischen Biologie, Heidelberg 1979.
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toniche sulla matematica sono, con ogni verosimiglianza, di interesse oggettivo. Com’è noto, infatti, la matematica greca al tempo di Platone ha conosciuto alcuni modi di porre i problemi che, in parte, hanno avuto di nuovo seguito solo alla fine del secolo scorso. Non mi riferisco principalmente al ricco materiale che si trova negli Elementi di Euclide, come ad esempio, la trattazione degli irrazionali che risale a Teeteto, che ha luogo nel decimo libro, o la teoria dei cinque corpi regolari, che compare nel tredicesimo; mi riferisco, piuttosto, all’estrema precisione nel dimostrare, e all’interesse verso il problema dei fondamenti, o, in una parola, alla tendenza assiomatica. Secondo Bertrand Russell vi sono due direzioni nella ricerca matematica: da un lato, quella consueta, costruttiva, la quale porta «ad una complicazione che aumenta passo per passo»; dall’altro lato, quella «che procede analiticamente verso un’astrazione ed una semplicità logica sempre maggiori». «Anziché domandare» continua Russell — «che cosa si possa definire o dedurre a partire dalle assunzioni originarie, chiediamo, invece, quali concetti piu generali o principi si possano trovare, che permettano di definire o dedurre il nostro punto di partenza. Seguire questa direzione inversa caratterizza la filosofia della matematica di contro alla matematica abituale»2.
2. ha «tendenza assiomatica» dell’Accademia
In Accademia, si prestò particolare cura a studi orientati appunto in questa seconda direzione. Testimonianze in merito so-
2 B. Russell, Introduction to Mathematical Philosophy, London 1985 13, p. 1. «towards gradually increasing complexity»; «which ... proceeds, by analysing, to greater and grater abstractness and logical simplicity; instead of asking what can be defined and deduced from what is assumed to begin with, we ask instead what more general ideas and principles can be found, in terms of which what was our starting-point can be defined or deduced. It is the fact of pursuing this opposite direction that characterises mathematical philosophy as opposed to ordinary mathematics». Si confronti questo passo di Russell con Platone, Rep. 510 B 4 ss. [Per garantire massima coerenza fra i testi originali di filosofi antichi e moderni citati e l’analisi cui vengono sottoposti, anche la traduzione dei primi, discussa e corretta insieme al Prof. Hösle, è a cura della traduttrice. Nel tradurre i brani di letteratura critica non italiana, si è seguito lo stesso criterio. N. d. /.].
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ο, prima di tutto, la dottrina delle proporzioni di Eudosso nel uinto libro degli Elementi di Euclide, che in quanto ad univer- ilità è ancora superiore alla teoria delle sezioni di Dedekind3, e, ì secondo luogo, il fatto che in Accademia venne evidentemen- ; discussa la possibilità di una geometria non euclidea. Infatti, oth ha scoperto nel Corpus Aristotelicum numerosi passi, che ggi costituiscono proposizioni della geometria non euclidea4, attraverso una accurata interpretazione, Tóth è riuscito a far edere che questi passi sono relitti del tentativo di dimostrare ndirettamente il postulato delle parallele; e appunto la com- jrensione del necessario naufragio di questo tentativo ha prolotto, quale risultato finale, l’introduzione del postulato delle sarallele, fra i postulati del primo libro di Euclide, come vero e proprio assioma. «La “communis opinio”, secondo la quale il problema delle parallele è nato da una mancanza di evidenza del
3 II trattato classico di R. Dedekind, Stetigkeit und irrationale Größen, è comparso nel 1872, e ora si trova in: Id., Gesammelte mathematische Werke, Braunschweig 1930-1932, voi. Ill, pp. 315-334. La sua originalità, che Dedekind ha difeso ad esempio contro R. Lipschitz (si veda ivi, pp. 464-482, spec. 469 ss.), sta nel restringersi ai numeri, e nell’esplicita posizione dell’esistenza, che Dedekind indica con il termine tecnico «creazione» (Schöpfung), dei numeri irrazionali. Eudosso, viceversa, elimina in maniera geniale proprio il problema dell’esistenza. A questo proposito, si vedano le argomentazioni, che colgono il nocciolo della questione, di G. Peano, Definitone de numéros irrationale secundo Euclide, in: Id., Opere scelte, 3 voli., Roma 1957-1959, vol. Ili, pp. 385-388. Da un lato, Peano rimanda alle corrispondenze che sussistono fra il libro V degli Elementi di Euclide e Dedekind (ivi, p. 387: «isto divisione es vocato sectione [Schnitt ab Dedekind in 1872]»); ma d’altro lato, rileva a buona ragione: «Quod non es scripto in Euclide, es existencia de irrationales» (ivi, p. 388. Si badi che la lingua in cui scrive Peano è l’interlingua da lui fondata, cioè il «latino sine flexione»). Però, proprio nella maggiore universalità della teoria eudossiana, si può riconoscere una certa superiorità rispetto a Dedekind; si veda: H. Hasse-H. Scholz, Die Grundlagenkrisis der griechischen Mathematik, Charlottenburg 1928, p. 24 s.; alle pp. 17 e 24, si fa inoltre rimando al fatto che Eudosso, diversamente da quanto faceva ancora Dedekind, e 2250 anni prima di Hilbert, ha definito le sue proporzioni in modo implicito. Su questo punto si veda infra. Parte seconda, III, 2.
4 Cfr. I. Tóth, Das Parallelenproblem im Corpus Aristotelicum,,., citato in pieno accordo, ad esempio, da K. von Fritz, Der Orsprung der Wissenschaft bei den Griechen, in: Id., Grundprobleme der Geschichte der antiken Wissenschaft, Berlin- New York 1971, pp. 1-334, spec. 209 n. 435. Di Tóth si veda anche: Geometria more ethico, in: Y. Maeyama-W. Salzer (curatori), ΠΡΙΣΜΑΤΑ. Festschrift fur W. Härtner, Wiesbaden 1977, pp. 395-415.
postulato delle parallele, risulta in seguito alle precedenti argomentazioni storicamente insostenibile; al contrario: la necessità di superare il problema delle parallele, che sussisteva già, richiese l ’introduzione del postulato delle parallele»5. Io stesso, nel saggio che occupa la seconda parte di questo volume, tento di indicare, riallacciandomi ai lavori di Tóth, che non solo in Aristotele, ma già in Platone, si trovano passi che si possono spiegare solo con la scoperta della possibilità matematica di una geometria non euclidea6.
3. Limpossibilità di un autofondazione della matematica e la possibilità di una fondazione ultimativa come «proprium» della filosofia.
Evidentemente, ciò che in questa scoperta interessa dal punto di vista filosofico è che Platone sia il primo nella storia della filosofìa a riconoscere l’impossibilità, in linea di principio, per la matematica, di autofondarsi in maniera ultimativa, in quanto il criterio di coerenza formale permette la costruzione di sistemi fra loro contrastanti. Oggi, questo può apparire triviale. Ma si ricordi, che l’idea per cui la coerenza, in matematica, non garantisce affatto l’unica possibile verità, sarà assurda ancora per un grande matematico e filosofo, quale fu Leibniz; per contro, la matematica moderna, ma molto prima, appunto, anche Platone, si trovano d’accordo nell’accettare tale idea. Credo quindi che, per quanto riguarda il suo significato filosofico, questa scoperta non possa essere oggetto di una sopravvalutazione: in ultima istanza, da essa risulta la lacunosità, in linea di principio, di ogni forma di filosofia che si prenda a modello il metodo matematico.
5 Tóth, Geometria..., p. 399: «Die “communis opinio”, das Parallelenproblem sei aus Mangel an Evidenz des Parallelenpostulats entstanden, erscheint nach obigen Ausführungen historisch unhaltbar; im Gegenteil: die Notwendigkeit der Überwindung des bereits bestehenden Parallelenproblems erforderte die Einführung des Parallelenpostulats».
6 Cfr. infra, Parte seconda, III, dove si tratta di Rep. 509 D ss. e Crai. 436 D.
Certo, non per questo Platone è diventato scettico. Platone non è in alcun modo dell’idea che respingere il metodo matematico debba significare che, da quel momento in poi, qualunque associazione diviene, per la filosofìa, indifferentemente rilevante. Al contrario, l’unico metodo adeguato alla filosofìa può essere solo un metodo che sia ancora più rigoroso di quello della matematica: un m etodo, cioè, che da una parte rinunci com e quest’ultimo ad appellarsi al dato empirico ed intuitivo, ma che dall’altra parte abbia al centro, nella sua struttura logica, un «principio anipotetico» (άνυπόθετον)7, qualcosa che non sia più da definirsi come presupposto, poiché ultimativamente fondante ed ultimativamente fondato. Come ho mostrato per esteso in altra sede, questo fondamento al di là del quale non si può procedere è, per Platone, il pensiero di pensiero che si fonda nel pensiero dei Principi e delle Idee più alte in modo riflessivo e, in quanto autofondantesi, ultimativo8.
Questo non è il luogo adatto per discutere la possibilità o addirittura la necessità di un simile pensiero9. Qui mi interessa soltanto riconoscere il semplice fatto storico che il fondatore della metafìsica occidentale ha considerato, come proprium della filosofìa, la possibilità di una fondazione ultimativa: una possibilità che, a suo avviso, è fondamentalmente negata anche alla matematica.
4. La matematica, origine e premessa della filosofia
Per Platone, però, la conoscenza matematica di tipo dianoetico (διάνοια), con il suo ascendere oltre l’esperienza sensibile, costituisce una condizione di genesi ed un livello preparatorio irrinunciabile per la conoscenza filosofica di tipo noetico (νους·).
7 Rep. 511 B.8 Cfr. Hösle, Wahrheit und Geschichte..., II, pp. 397 ss., ove si affrontano il
Teeteto (spec. 196 D-F, 199 D ss.), il Carmide (spec. 166 C, 169 A), un passo delì’Eutidemo (292 D-F), Rep. 582 D-F, e Poi. 304 B-F.
9 È sorprendente con quanta pervicacia si mantenga come argomento principale contro la possibilità di tale pensiero, sebbene la sua inconsistenza sia così facile a vedersi, U cosiddetto «trilemma di Münchhausen» (e, cosa che spesso non è
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In effetti, da un punto di vista psicologico, il platonico pathos della ragione non si può comprendere senza l’esperienza di verità, clic la matematica ha evidentemente significato per lui. Il famoso aneddoto, per cui all’entrata dell’Accademia si leggeva la scritta «Chi non è geometra non entri» (ΜηδεΙ? άγεωμετρητός- Ησίτω), rappresenta probabilmente una trovata successiva10, ma si tratta di una trovata molto buona: il programma educativo della Repubblica, ove si veda specialmente 536 D ss., le corrisponde in pieno.
Fra l’altro, anche solamente da quest’ultimo passo della Repubblica, risulta che, proprio secondo il modo in cui Platone si autocomprese, la conoscenza della matematica a lui contemporanea costituisce un presupposto indispensabile per comprendere la sua filosofìa.
Tale conoscenza è stata incrementata in maniera decisiva negli anni ’20 e ’30 di questo secolo da storici della matematica, quali O. Töplitz, O. Becker e altri, ma al giorno d’oggi si è costretti a sentirne la mancanza, in misura deplorevole, in numerose posizioni filosofiche prese a favore di Platone. A buon diritto, Hasse e Scholz, nella ricerca che abbiamo citato in precedenza, potevano già osservare quanto segue: «se ancor oggi si pretendesse da un Platonico, quale precondizione di ogni dichiarato professarsi a favore di Platone, il corso universitario di matematica, che Platone richiedeva per l’ammissione all’Accademia, ... il numero dei Platonici si restringerebbe in misura davvero notevole»11.
nota, questo trilemma non risale solo all’EHenismo antico, ma fu già dibattuto anche nell’Accademia platonica, in forma non raffinata; cfr. Hösle, Wahrheit und. Geschichte..., p. 633 ss., 656 ss.). Infatti, dall’argomento medesimo segue che esso ha evidentemente un presupposto·, più precisamente, ha il presupposto per cui vi è solo un pensiero che procede a partire da assiomi non dimostrabili. Così il trilemma si riduce alla banale tautologia, sufficientemente familiare a tutti i sostenitori della possibilità di una fondazione ultimativa, secondo la quale non vi è fondazione ultimativa, sulla base del presupposto che solo il pensiero assiomatico sia possìbile e che quindi non vi sia fondazione ultimativa. Tuttavia, bisogna riconoscere come merito del trilemma il fatto che esso, se solo fosse oggetto di riflessione, sarebbe addirittura garante della possibilità di un pensiero privo di presupposti.
10 Cfr. Gaiser, Platons..., p. 446 s.11 Hasse-Scholz, Die Grundlagenkrisis..., p. 4: «wenn man von einem
5. Ontologizzazione della matematica anziché matematiziazinnedella filosofia
È scorretto sottovalutare il significato della matematica per la filosofia platonica. Eppure, le riflessioni di Platone, che abbiamo appena citato dal paragone della linea, mostrano anche che sarebbe altrettanto erroneo cogliere in Platone il primo pensatore che volle costruire la filosofìa sulla base della matematica. Si possono dunque creare equivoci, ad esempio, quando Gaiser parla di una «universale matematizzazione del pensiero filosofi- co» da parte di Platone* 12; in Platone, si deve pensare ad una on- tologizzazione della matematica, molto di più che ad una matematizzazione della ontologia. Per Platone, infatti, la matematica non può fondare l’ontologia, ma solo l’ontologia può fondare la matematica, anche se quest’ultima, nel movimento dialettico della «via in su» (άνοδος·), è in grado di indirizzare ai principi supremi.
Nella seconda parte di questo volume, cerco comunque di mostrare che Platone si è impegnato a rimuovere, appunto con una soluzione ontologica, l’esito matematicamente sconcertante che molteplici geometrie sono possibili, se si accetta solo il criterio di coerenza. Secondo questa soluzione, la geometria euclidea è vera non sulla base di argomenti matematici, e neppure perché sia più intuitiva (anche prescindendo interamente dal fatto che ciò è falso, un argomento del genere, per Platone, implicherebbe la perdita della scientificità della geometria); viceversa, la geometria euclidea è vera, perché l’angolo retto vi svolge il ruolo
Platoniker auch heute noch, als Vorbedingung jedes Bekenntnisses zu Plato, den mathematischen Hochschulkurs verlangte, den Plato für die Zulassung zur Akademie gefordert hat, würde die Zahl der Platoniker gar sehr zusammenschrumpfen».
12 Gaiser, Platons..., p. 294: «der universalen *Mathematisierung* des philosophischen Denkens». Analogamente, la decisa opposizione, che Krämer istituisce tra la filosofìa della matematica di Platone e quella di Hegel (si veda, ad esempio, Platone..., p. 325 s.), è corretta solo a numerose condizioni. In un certo senso, si deve infatti dire che per Platone, non meno che per Hegel, la matematica non ha valore filosofico (anche se, naturalmente, non è antifìlosofica). Su Platone ed Hegel, si veda infra, IV, 2.
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di misura13.Ora, l’angolo retto, poiché c’è un unico angolo che sia tale, è
coordinato all’«Uno» (cv), cioè al principio positivo della teoria esoterica dei principi di Platone, mentre l’illimitata molteplicità di angoli acuti e ottusi rimanda al «Grandc-c-Piccolo» h t·/« · μικρόν) 14, cioè alla «Diade» (δυας·) scissa in un «troppo-e-trop- po poco»15. La geometria euclidea pertanto, quale geometria del principio ontologicamente superiore, è chiamata ad essere la geometria vera .
La fondazione di questa opzione non ci può certo soddisfare nel suo contenutol6. Quanto vi si trova però di grande e di moderno è la decisa posizione contraria assunta verso i tentativi di fondare la geometria a partire dall’intuizione. Per di più, a priori non è insensato cercare strutture che distinguano, nel senso di un’ontologia dialettica, un sistema geometrico come superiore
13 Com’è noto, nella geometria euclidea un triangolo ha la somma degli angoli uguale a 180°, nella geometria ellittica la ha maggiore di 180°, e nella geometria iperbolica minore di 180°.
14 Si veda la Test. 37 Gaiser (con Test, abbrevio i Testimonia sull’insegnamento orale di Platone che si trovano in appendice al libro di Gaiser, Platons...). Z. Markovié, Platons Theorie über das Eine und die unbestimmte Zweiheit und ihre Spuren in der griechischen Mathematik, in: O. Becker (curatore), Zur Geschichte der griechischen Mathematik, Darmstadt 1965, pp. 308-318, ha tracciato gli sviluppi successivi di questo pensiero, ad esempio, in Aristotele, in Ero- ne, e nei matematici neoplatonici come Teone, Giamblico, e Proclo. Io stesso mostrerò che questa concezione si trova ancora in Cusano e in Hegel (cfr. infra. Parte seconda, III, 5). In maniera perfettamente analoga, Platone pone in parallelo le linee rette, per via dell’infìnitudine della loro lunghezza, con la Diade, e viceversa le linee curve, per via della loro finitudine, con l’Uno in funzione di limite (πε'ρας·): cfr. Test. 38 Gaiser. Per ulteriori interpretazioni di strutture matematiche, condotte a livello di teoria dei principi, cfr. Gaiser, Platons..., p. 54 ss.
13 Si può richiamare qui il fatto che i termini platonici per indicare il «troppo» ed il «troppo-poco», ossia «ελλειψις» e «υπέροχη» (ο «υπερβολή»), sono altrimenti noti in contesto matematico, e precisamente come sezioni di sfera; fra di esse, ha il proprio posto la parabola, in virtù della quale E Klein ha denominato la geometria euclidea «geometria parabolica».
16 Peraltro, in F. A. Taurinus, Theorie der Parallellinien, Köln 1825, si trova un pensiero che in ultima istanza equivale ad essa. Taurinus, malgrado abbia capito la possibilità matematica di una geometria iperbolica, opta a favore di quella euclidea, e non tanto perché quest’ultima sia più intuitiva (ivi, p. 86), bensì per il fatto che la geometria iperbolica, per essere definita, richiede una costante da assumersi arbitrariamente, e quindi sono possibili infinitamente molti sistemi iper-
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rispetto ad altri17. In ogni caso, si potrà tener fermo, storicamente, che era desiderio di Platone fondare dal punto di vista di una teoria dei principi gli assiomi della geometria: assiomi che la geometria non discute ulteriormente, e deve per necessità porre come non ulteriormente discutibili nel proprio ambito18.
botici, mentre ce una sola geometria euclidea {ivi, p. 89 ss.; i passi sono citati seguendo O. Becker, Grundlagen der Mathematik in geschichtlicher Entwicklung, Frankfurt 1975, p. 183 ss.).
17 Così D. Wandschneider, Raum, Zeit, Relativität, Frankfurt 1982, p. 55 ss. (cfr. anche p. 49 ss.), ha presentato recentemente alcuni argomenti di tipo ontologico, e logico-dialettico, a favore della tridimensionalità dello spazio naturale, facendo appoggio sulla filosofia della natura di Hegel, e distaccandosi da tutti i tentativi che, in tale contesto, ricorrono all’intuizione. Mi sembrerebbe pienamente sensato ricercare se, al di là del numero delle dimensioni (che per dire una trivialità non ha nulla a che fare con il carattere euclideo o non euclideo dello spazio), non vi sia qualcosa da dire «a partire dal concetto» sulla struttura interna di questo spazio tridimensionale; penso a questo: se lo spazio ellittico (ed il nostro spazio fisico è possibilmente ellittico) non sia da preferirsi a quello euclideo e iperbolico per ragioni categoriali, ad esempio a causa della sua finitudine, così come a causa di determinate proprietà di simmetria.
18 W. Wieland, Platon und die Formen des Wissens, Göttingen 1982, p. 216, nella sua interpretazione del paragone della linea, afferma: «Il dialettico non ha il compito di rendere sicure le ipotesi del matematico. (Der Dialektiker hat nicht die Aufgabe, die Hypothese des Mathematikers zu sichern)». Discutere questa sua interpretazione sarebbe certo stimolante, se Wieland si fosse premurato di trattare anche delle testimonianze sulla dottrina esoterica che indicano in un’altra direzione (si veda supra, nota 14); ignorare non vale argomentare. Sul libro di Wieland su Platone si veda ora la recensione critica di Krämer, in: «Rivista di Filosofia Neoscolastica», 74 (1982), pp. 579-592. E’ evidente che Platone non ritiene gli assiomi matematici indimostrabili in linea di principio, ma solo per la matematica in se stessa (la congiunzione «finchó> [εω$·] in Rep. 533 C 1 lo dice chiaramente). Inoltre, a Wieland sfugge la sostanziale continuità che in Platone sussiste fra le diverse facoltà conoscitive: esse vengono fondate da quella di loro che, di volta in volta, è sovraordinata alle altre (è così che la dianoia matematica viene fondata dal nous filosofico), e si susseguono luna all’altra in modo non immediato. Le riflessioni che secondo Wieland contraddistinguono la filosofia anteriormente alla matematica, sarebbero del tutto prive di interesse per la matematica in quanto matematica; se esse costituissero ciò che Platone si proponeva, resterebbe enigmatico come mai Platone fu in grado di delineare il programma di una scienza filosofica che unifica tutte le scienze. Diversamente da Wieland, anche W. Burkert, Konstruktion und Seinsstruktur: Praxis und Platonismus in der griechischen Mathematik, «Abhandlungen der Braunschweigischen Wissen- schaflichen Gesellschaft», 34 (1982), pp. 125-141, spec. 132, ha posto recentemente in risalto la pretesa della filosofia platonica di «assicurare i fondamenti anche dell’aritmetica e della geometria, in quanto dottrina onnicomprensiva della
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scienza (als umfassende Wissenschaftslehre, die Grundlagen auch der Arithmetik und Geometrie zu sichern)», e ha caratterizzato la «filosofia platonica come metamatematica (platonische Philosophie als Meta-Mathematik)». Tuttavia Burkert è dell’idea che Platone «non si sia dilungato ad indicare», «come ciò avvenisse nel dettaglio e perché in questo modo venissero ottenuti risultati univoci (ivi, p. 133: auch nicht ansatzweise gezeigt, ... wie dies im einzelnen sich ereignet und wieso dabei eindeutige Ergebnisse gewonnen werden)». In queste pagine tentiamo di ricostruire, nei loro contenuti, le idee che Platone ebbe su questa fondazione.
III. La generazione dei numeri in Platone nel suo significato storico
1. Un programma dì fondazione ontologica dei numeri naturali
Al tempo di Platone, l’aritmetica e la teoria del numero non hanno conosciuto nessuna crisi dei fondamenti. La scienza matematica che sta al centro del paragone della linea è quindi evidentemente la geometria1. Ciò nonostante, anche l’aritmetica esige, secondo Platone, una fondazione: accanto alle tre specie di angolo e alle figure geometriche vengono nominati i concetti di «pari» e «dispari», presupposti dalla matematica in quanto aritmetica1 2.
Più avanti, peraltro, cerco di provare che quelli che Platone intende con il termine tecnico di «presupposti» (ύττοθεσα.?) non possono essere propriamente concetti; si tratta piuttosto di proposizioni, nelle quali viene affermata l’esistenza delle entità corrispondenti a questi concetti3.
Ma che cosa deve presupporre, a livello di assiomi, l’aritmetica? Se pensiamo alla forma che l’aritmetica ha assunto oggi, i suoi presupposti sono contenuti nei cosiddetti cinque assiomi di Peano, che garantiscono l’esistenza della serie dei numeri naturali. In realtà, il fatto che vi siano numeri naturali è indimostrabile con mezzi matematici; la loro esistenza può essere posta solo assiomaticamente4. In questo senso, si potrebbe dire che la concezione platonica di generazione dei numeri non era intesa a nient’altro, se non a fornire una fondazione filosofica dell’esistenza dei numeri naturali.
1 Si veda infra, Parte seconda, III, 4, (a), ove si rimanda a Rep. 510 B 3 ss., D 5 ss., 511 D 2 ss.
2 Rep. 510 C ss.3 Cfr. infra. Parte seconda. III, 4, (c).4 Astraggo qui dai tentativi di fondare l’aritmetica nella teoria degli insiemi,
dato che ciò sposta solo il problema: gli assiomi della teoria degli insiemi non possono essere dimostrati con mezzi matematici.
Ciò è comunque degno di nota anche dal punto di vista della storia della matematica. Com’è noto, infatti, i tre libri aritmetici degli Elementi di Euclide (VII-IX) conoscono definizioni, ma non assiomi, diversamente dai libri geometrici, nel primo dei quali alle definizioni, ad esempio del cerchio (I def. 5), seguono postulati, che hanno il compito di porre al sicuro l’esistenza della maggior parte delle costruzioni definite (nel caso del cerchio, è chiamato in causa il post. 3).
A fondamento di ciò sta l’idea, senz’altro giusta, per cui le definizioni di per sé non garantiscono ancora esistenza. Nel libro VII, invece, si cercheranno invano postulati5; e, com’è noto, nella storia della matematica questa lacuna è stata colmata solo alla fine del secolo scorso, per mezzo di un’assiomatizzazione dell’aritmetica. Tale assiomatizzazione manca ancora in Cartesio, la cui geometria analitica aiutò la tendenza ad «aritmetizzare la geometria» a farsi breccia.
Ora, penso che il programma di Platone riguardante la «generazione» dei numeri volesse colmare questa lacuna; e se anche la sua esecuzione, nella quale mi immeterò subito, può risultare nel dettaglio insoddisfacente, tuttavia l’aver riconosciuto, circa 2200 anni prima di Dedekind e di Peano, la mancanza di una simile fondazione, rimane un guadagno portentoso6.
Certo, non va trascurata una differenza: Platone vuole di più, rispetto ai matematici moderni; infatti, gli assiomi che si richiedono non devono solo essere stabiliti, ma devono essere dedotti dalla teoria dei principi.
5 Ancora nel commento al primo libro degli Elementi di Euclide di Proclo (G. Friedlein, Proclt Diadocht In primum Euclidis Elementorum librum commentarti, Lipsiae 1873, risi. Hildesheim 1967) si legge che i postulati sono qualcosa di specificamente geometrico (p. 182, 1. 7: «οτι τά μεν ίδια τής· γεωμετρικήν εστιν ύλην»), mentre le «nozioni comuni» (κοιναι εννοιαι) sono presupposte anche dall’aritmetica. Gli assiomi presentati da Th. Heath, The thirteen Books of Euclid’s Elements, 3 voll., New York 1956, vol. II, p. 294, come assiomi implicitamente presupposti da Euclide per l’aritmetica, fra i quali ricordiamo ad esempio l’assioma sulla transitività della relazione di misura, non garantiscono in alcun modo l’esistenza dei numeri naturali.
6 Già O. Töplitz, proprio in questo senso, anche se con alcune esitazioni, ha richiamato l’attenzione su tale stato di cose. Nel suo fondamentale saggio Das Verhältnis von Mathematik und Ideenlehre bei Plato, «Quellen und Studien zur Geschichte der Mathematik, Astronomie und Physik», Abt. B, Vol. I (1929-
5r
2. Il autonomia dell’aritmetica
Anche un ulteriore aspetto del tentativo platonico di fondare l’aritmetica ricorda i moderni: la assoluta autonomia dell’aritmetica all’interno delle scienze matematiche. Com’è noto, anche questa autonomia è stata universalmente riconosciuta solo alla fine del secolo scorso; l’originalità di Dedekind consiste proprio nel rifiuto deciso di tutti i tentativi che, nella fondazione dell’aritmetica, o dell’analisi, si rifanno a rappresentazioni geometriche7. Questa tendenza si è giustamente imposta nel ventesimo secolo; e che essa contraddica la concezione di Euclide risulta chiaro già in considerazione di un dato di fatto esteriore, ossia che in Euclide i libri aritmetici (VII-IX con X, che tratta dei valori irrazionali) si collocano fra quelli pianimetrici (I-VI) e quelli stereometrici.
a) La priorità dell’aritmetica rispetto alla geometria
A questo ordinamento euclideo si oppone quello platonico, che si può reperire nel settimo libro della Repubblica, special-
1931), pp. 3-33, ora in: Becker (curatore), Zur Geschichte der griechischen Mathematik..., pp. 45-75, spec. 73, si legge quanto segue: «Infatti, quando Vieta e Descartes hanno portato a termine l’emancipazione dal modo geometrico di esprimersi dei Greci, hanno trascurato di istituire un sistema di assiomi per gli oggetti di calcolo secondo il modello degli assiomi geometrici dei Greci, e questo passo, cioè l’“assiomatizzazione” dell’aritmetica, è stato compiuto solo al finire del diciannovesimo secolo. (Als nämlich Vieta und Descartes die Loslösung von der geometrischen Redeweise der Griechen vollzogen, haben sie es unterlassen, für die Rechendinge nach dem Muster der geometrischen Axiome der Griechen ein Axiomensystem zu errichten, und diesen Schritt, die “Axiomatisierung’ der Arithmetik, hat erst das endende 19. Jahrhundert nachgeholt)»; e subito sotto (ivi, p. 74) leggiamo: «E’ possibile che sia stato ... proprio Platone a compiere questa assiomatizzazione, e forse il programma sull’essenza della ricerca matematica, esposto alla fine del VI libro della Repubblica, indica già in questa direzione. (Möglicherweise ist es ... Plato selbst, der diese Axiomatisierung vollzogen hat, und vielleicht weist das am Ende von Buch VI des Staats aufgestellte Programm über das Wesen mathematischer Forschung bereits in diese Richtung)». Mancano tuttavia argomentazioni più puntuali.
7 Questo è il tenore dello scritto, che abbiamo già citato, Stetigkeit und irrationale Größen..., come di quello del 1888 intitolato: Was sind und was sollen die Zahlen?, ora in: Dedekind, Gesammelte mathematische Werke..., voi. Ill, pp. 335-391.
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mente in 524 D ss. In questo passo, il «quinquivio» è costituito, nella seguente serie successiva, da aritmetica, geometria, stereometria, e dalle due scienze matematiche «applicate» astronomia e armonica; l’aritmetica è in prima posizione, poiché nel concetto di numero si manifesta nella maniera più chiara la dialettica dei principi. In generale, le entità geometriche per Platone sono più complesse di quelle aritmetiche. Ad esempio, nella relazione di Alessandro sul trattato Sul Bene (ilepi Τάγαθοΰ) tramandata in Simplicio, si dice in modo inequivocabile che il numero è la prima entità matematica, mentre i punti sono unità determinate localmente: «i punti sono unità dotate di posizione»8.
In questa priorità dei numeri rispetto ai concetti fondamentali della geometria è necessario cogliere, come abbiamo detto, la stupefacente modernità di Platone. Con tale concezione infatti, che ai suoi tempi fu quasi il solo a sostenere9, Platone si è avvicinato alla matematica contemporanea persino più di Eudosso.
Naturalmente, anche Platone, come quasi tutta l’epoca antica, ha limitato il concetto di numero ai numeri naturali. Mostrerò tuttavia che, nella filosofìa del numero di Platone, piuttosto che nella restante matematica greca, si trova una certa tendenza ad interpretare in senso non-geometrico gli stessi valori irrazionali.
b) L’interpretazione non-geometrica dell’irrazionale
Anche su questo punto Töplitz ha già richiamato l’attenzione, senza essere stato, finora, sufficientemente recepito. Alla fine del saggio che abbiamo già citato, egli scrive a ragione che i tentativi, da parte di Taylor, di porre in connessione i valori irrazionali con la «Diade indefinita» (tentativi ai quali, peraltro, si riferisce criticamente)10, dovrebbero avere un significato molto importante per la storia della matematica antica. «Se vale simile te-
8 Test. 23 b Gaiser: «τα δ è σημεία είναι μονάδαν θε'σιν έχοΰσαν».9 In verità, anche l’amico di Platone Archita considera l’aritmetica come più
chiara, più universale e più scientifica della geometria: si veda H. Diels-W. Kranz, Fragmente der Vorsokratiker, 3 voll., Berlin 1951-19526, 47 B 4..
10 Cfr. A. E. Taylor, Forms and Numbers. A study in Flatonic Metaphysics, «Mind», 35 (1926), pp. 419-440,36 (1927), pp. 12-33.
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si» — leggiamo — «o anche solo la tendenza che si trova essa, questo significa davvero molto per la matematica greca. Significa che Platone aveva in mente di condurla in qualche modo al concetto odierno di numero, in una misura che non è immediatamente comprensibile a partire da Euclide; e inoltre significa che Aristotele, con la sua battaglia contro di ciò, ha spinto la matematica greca lontano da questa via»11.
c) Il rifiuto di Aristotele
È convincente che Töplitz ritenga Aristotele responsabile di aver bloccato la concezione platonica, sebbene si possa pensare anche ad Eudosso. Si tratta di una conseguenza del rifiuto da parte di Aristotele, in linea di principio, della filosofìa della matematica di Platone: un rifiuto che per molti aspetti è stato fatale.
Ad esempio, nel programma di quantificazione delle qualità, che Platone illustra nel Timeo, è espresso nel suo nocciolo niente meno che il pensiero di fondo decisivo della moderna scienza della natura11 12: essa è in debito rispetto ad una simile concezione, tutt’altro che ovvia, di matematizzazione del mondo naturale, non meno che rispetto ad una sperimentazione sistematica, che comunque a Platone era ancora estranea13.
Ora, trasformando la successione platonica delle scienze «metafisica-matematica-fisica» in «metafisica-fìsica-matematica», Aristotele ha lasciato cadere, con la perdita di una certa autonomia della matematica, appunto questa possibilità di una
11 Töplitz, Das Verhältnis..., p. 52 s.: «Gilt diese These oder auch nur die in ihr liegende Tendenz, so besagt dies allerdings sehr viel/«r die griechische Mathematik. Es besagt, daß Plato im Begriff war, sie in einem aus dem Euklid nicht unmittelbar zu erkennenden Maße irgendwie zu dem heutigen Zahlbegriff hinzuführen, und es besagt weiter, daß Aristoteles mit seinem Kampf dagegen die griechische Mathematik von diesem Wege abgedrängt hat».
12 Cfr. Tim. 53 C ss.13 Cfr. ivi, 68 D. Non sarebbe difficile mostrare che a fondamento della mo
derna scienza naturale non sta in prima linea una forma irriflessa di empirismo, ma, almeno in egual misura, una forma modificata di Platonismo. Qui si ricordi soltanto che anche la richiesta rivoluzionaria, da parte di Cusano nell'Idiota de staticis experimentis, di una quantificazione e metrificazione, ad esempio della medicina e della chimica, era la richiesta di un Platonico. Per una interpretazione
matematizzazione della natura* 14; e non si può esprimere altro giudizio se non che questa rinuncia, suggellata ad esempio in Epicuro15, segna un passo indietro sulla via verso la scienza moderna.
È evidente, però, che con questa subordinazione della matematica alla fisica si dà un’opzione a favore della geometria: sono infatti corpi e grandezze, non numeri, che, in quanto dotati di movimento, costituiscono l’oggetto della fisica16. Al contrario, come abbiamo visto, in Platone l’aritmetica precede e domina la geometria. La «generazione» dei numeri, pertanto, non può servirsi di rappresentazioni geometriche.
d) Passaggio all’analisi delle fonti
Una volta che si sia riconosciuto che il disegno platonico di generazione dei numeri non è un’astrusità, ma piuttosto rappresenta una concezione che sorpassa la matematica dei tempi di Platone, ci si può immettere in quelle che concretamente erano le sue idee. In primo luogo, intendo discutere i passi rilevanti che si trovano nei dialoghi; come risulterà chiaro, questi passi non trattano della «generazione» dei numeri, bensì della fondazione ontologica dei più importanti predicati dei numeri. Platone ha evidentemente riservato la concezione della generazione dei numeri alla dottrina orale.
3 . 1 passi dei dialoghi sulla fondazione del «pan e dispari»
a) Un passo della Repubblica
Abbiamo visto che in Repubblica, 510 C 3, sono presentati
della storia della scienza sullo sfondo del Platonismo, si veda ad esempio: C. F. v. Weiszäcker, Platonische Naturwissenschaft im Laufe der Geschichte, Göttingen1971.
14 Si veda, ad esempio, Metaph. K 7 di contro a E 1, e Metaph. 1092 b 15 ss.15 Si veda Hösle, Wahrheit und Geschichte..., p. 644 ss.16 Cfr. Oe cael. 268 a 1 ss.: «La scienza della natura, quasi per la sua massima
parte, risulta vertere sui corpi, sulle grandezze, sulle loro affezioni, e sui loro movimenti ... (ή περί φύσε ως- έπιστήμη σχεδόν ή πλεΐστη φαίνεται περί τε σώματα καί μεγέθη καί τά τούτων οδσα πάθη καί τά? κινήσει? ···)»·
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quali concetti fondamentali dell’aritmetica, da fondarsi filosoficamente, «pari e dispari» (περιττόν καί άρτιοι/); questi concetti, in armonia a quanto abbiamo osservato in precedenza, sono nominati prima dei concetti fondamentali della geometria. Come sa chiunque abbia soltanto tenuto in mano Euclide, sono appunto questi concetti che vengono usati con maggiore frequenza, nell’ultimo libro di quelli dedicati alla teoria del numero, come predicati per la caratterizzazione dei diversi numeri naturali. Questa aritmetica diadica è antico-pitagorica17.
b) Un passo del Parmenide
Ora, nel Parmenide si trova un passo, che evidentemente si accorda in modo splendido con il programma della Repubblica. Nella seconda ipotesi del Parmenide, ove viene principalmente
171 libri degli Elementi di Euclide sulla teoria del numero non raggiungono il livello degli altri. Qui vogliamo ricordare, come particolarmente degne di nota, le proposizioni IX 20 e IX 36. La proposizione IX 20 dimostra che vi è una molteplicità infinita di numeri primi: a partire da una quantità finita di numeri primi P (pj, p2, ... p„), si può formare q = Πρ + 1, ove q = 1 (p), e quindi o è esso stesso primo, oppure rappresenta il prodotto di numeri primi non contenuti in P. La proposizione IX 36 mostra che i numeri dalla struttura N = 2l (2t+1 —- 1), ad esempio i numeri 6, 28, 496, sono perfetti, cioè sono la somma dei loro propri divisori, se l’espressione in parentesi è prima: infatti, la somma di tutti i divisori di N è evidentemente (1+2*+...+ 2‘) · (1+ (2t+1 — 1), ossia (2t+1 — 1) -2t+1= 2N). Fra l’altro, numerosi problemi direttamente associati a queste proposizioni sono, ancor oggi, irrisolti: ad esempio, il problema se vi sia una molteplicità infinita anche di numeri primi gemelli (pf, p2 = Pi+2), oppure se valga in generale l’inversa di IX 36. Per la precisione, Eulero ha dimostrato che i numeri pari perfetti hanno necessariamente la suddetta struttura: la somma dei divisori di un numero pari N = 2‘ · u, dove u è un numero naturale dispari, è il prodotto di 2t+1 — l e della somma dei divisori del fattore dispari, che nel seguito indicheremo con σ (u); ma questo, sè il numero è perfetto, è = 2N, dunque (2t+1 — 1) · a (u) = 2t+1· u; ne segue che a (u) = a · 2t+1 e u = a · ( 2t+1 — 1); quindi, ora u è sicuramente divisibile per mezzo di (2I+1 — 1) e per mezzo di a; ma la somma dei suoi divisori deve essere solo = a · 2l+1, sicché a=l e 2t+1 — 1 deve essere numero primo. Fino ad oggi però è ignoto se vi siano anche numeri dispari perfetti; si conoscono solo condizioni estremamente restrittive. Sui numeri perfetti, nel loro aspetto storico, si veda: O. Ore, Number Theory and its History, New York-Toronto-London 1948, pp. 91-96, 359 a; per quanto riguarda il loro aspetto strettamente matematico, si veda ad esempio: A. Scholz-B. Schoeneberg, Einführung in die Zahlentheorie, Berlin-New York 1973, p. 29 s.
JG
illustrata la «Diade», ossia il secondo principio dell’esoterica di Platone18, si procede in primo luogo a partire dalla determinazione duale dell’uno che è, la quale è divenuta necessaria, dopo che nella prima ipotesi si è mostrata l’impossibilità di un uno completamente trascendente; e appunto, da questa dualità19, P latone riesce ad otten ere una «m oltep lic ità in fin ita» (άπειρον...πλήθος·)20, per il fatto che ogni momento della determinazione duale si integra ripetutamente con il suo momento opposto: infatti l’uno è una parte e l’essere è una parte della determinazione da cui si è partiti, ossia dell’uno che è 21. In certa misura, qui abbiamo un «albero binario», dal quale potrebbero essere generati tutti i numeri naturali; e tuttavia, il discorso non verte su di essi già qui, ma solo più tardi, quando in un seconda formulazione del problema, stranamente non mediata22, si procede di nuovo a partire dalle due determinazioni dell’uno e dell’essere, alle quali viene aggiunta la terza categoria della diversità, poiché chiaramente ciascuna delle due determinazioni è diversa dall’altra23. Con ciò otteniamo — così dice Platone — i numeri due e tre; e si ritiene che dalla loro moltiplicazione, iterata senza limite, risultino tutti i numeri. Alla domanda di Parmenide, se da questo procedimento «rimanga fuori» un qualche numero (vale a dire: se vi sia un numero, che non venga generato attraverso di tale procedimento), Aristotele risponde «no»24.
Ora, evidentemente questo è falso25; e non soltanto perché i
18 Si vedano: Hösle, Wahrheit und Geschichte..., p. 461 ss.; inoltre, Η. Krämer, Oer Ursprung der Geistmetaphysik, Amsterdam 1964,19672, p. 199; e M. Suhr, Platons Kritik an den Eleaten, Hamburg 1969, p. 36 s.
19 Cfr. Parm. 142 E 4 s.; 142 E 7 s.: «... sicché è necessario che non vi sia mai l’uno, poiché diventa sempre due? (ώστε άνάγκη δύ’άεΐ γιγνόμενον μηδέποτε έν είναι)».
20 Parm. 143 A 2.21 Ivi, 142 E.22 Ivi, 143 A 4 ss.23 Ivi, 143 B 3 ss.24 Ivi, 144 A 2 ss.25 La falsità di questa affermazione è probabilmente il motivo per cui Krämer,
nella sua recensione collettiva Neues zum Streit um Platons Prinzipientheorie, «Philosophische Rundschau», 27 (1980), pp. 1-38, spec. p. 12, scrive a proposito di questo passo: «la deduzione della serie numerica non è dogmaticamente cogente, ma va intesa come argomentazione ad hoc (die Ableitung der Zahlenreihe
numeri primi non possono essere generati per moltiplicazione; attraverso il procedimento platonico si producono piuttosto solo numeri dalla struttura: 2i-3k (con i, k e N).
Becker ha splendidamente risolto la difficoltà che qui si presenta: secondo lui, in questo passo, a Platone interessa «la generazione di tutte le qualità numeriche, e non quella di tutte le quantità numeriche»26; e appunto, i tipi principali di numero, che nella matematica di allora erano oggetto di ricerca, riportano al criterio di suddivisione, per cui i fattori dei rispettivi numeri possono essere o solo pari, o solo dispari, o sia pari che dispari.
Ora, il libro IX di Euclide si costituisce in gran parte di proposizioni, abbastanza semplici, su numeri dalla struttura rispettiva e sui loro rapporti reciproci; e Platone si riferisce evidentemente ed in modo esplicito a questi tipi di numero27. Nel passo in questione, dunque, egli intende generare questi tipi di numero, e non tutti i numeri naturali. Che poi egli chiami il due e il tre, rispettivamente, numero pari e numero dispari «per eccellenza», è comprensibile; infatti, il due e il tre costituiscono davvero, rispettivamente, il primo numero naturale pari ed il primo numero naturale dispari, poiché per l’intera epoca antica, e anche per lungo tempo oltre ad essa, l’uno non era considerato, in generale, un numero28.
ist nicht dogmatisch verbindlich, sondern als ad-hoc Argumentation aufzufassen)». Vedremo, peraltro, che Platone qui non aveva affatto in mente ladeduzione della serie numerica.
26 O. Becker, Die Lehre vom Geraden und Ungeraden im neunten Buch der Euklidischen Elemente, «Quellen und Studien zur Geschichte der Mathematik, Astronomie und Physik», Abt. B, Bd. III, 1934, pp. 533-553, ora in: Id. (curatore), Zur Geschichte der griechischen Mathematik..., pp. 125-145, spec. 142: «auf die Erzeugung sämdicher Zahlqualitäten, nicht sämtlicher Zahlquantitäten».
27 Cfr. Farm. 143 E 7 s.: «Facciamo allora che vi siano i pari volte pari, i dispari volte dispari, i dispari volte pari, i pari volte dispari (άρτιό re apa άρτιάκις- αν εΐη και περιττά περιττάκι? καί άρτια περιττάκι? καί περιττάάρτιάκι?)». ,. . ,_ τ , ,
28 Si veda, ad esempio, Arist. Metaph. 1088 a 6. Cfr. anche Euclide, VII def. 11 e 13 ; alcune dimostrazioni vengono addotte in Euclide anche due volte: per i numeri veri e propri e poi, separatamente, per l’uno (cfr. VII 9 e VII 15). Ancora per Cusano, l’uno è numero tanto quanto non è numero; in altre parole, per lui l’uno è propriamente solo principio del numero: «monas est et non est numerus, sed principium numeri» (Nicolai De Cusa, De principio. Ediderunt M. Feigl, H.
c) «Pari e dispari» e principi primi
Se si mettono insieme questo passo del Parmenide ed il paragone della linea, emerge con chiarezza che Platone intendeva dare una spiegazione del perché questi due predicati dei numeri fossero di particolare significato nella teoria del numero: una domanda alla quale, secondo lui, la matematica, che semplice- mente si appropria di questi predicati, non risponde, né può rispondere per ragioni di principio.
Platone si è figurato una risposta a questa domanda evidentemente nel senso per cui la dualità dei principi (é'v - αόριστο? 6υάς) si concretizza su piano aritmetico nella coppia «pari-dispari» (περιττόν - άρτιον)* 29 30; secondo Platone, cioè, questi principi, in quanto struttura fondamentale di una ontologia generalis, trovano la loro propria specifica applicazione in tutte le sfere dell’essere (in natura, nella storia, nell’etica, nella politica, ma anche sul piano delle entità matematiche50), e nell’ambito dei predicati della teoria del numero trovano tale applicazione appunto come «pari» e «dispari».
Vaupel, P. Wilpert, Padova I960, cap. 32,1. 4). Solo con Pietro Ramo e Simone Stevino, l’uno iniziò ad essere considerato numero: cfr. H. Gericke, Geschichte des Zahlbegriffs, Manheim-Wien-Zürich 1970, p. 29 ss..
29 Sulla proporzione uno : diade = dispari : pari (εν : πλήθο? = περιττόν : άρτιον), si veda Arist. Phys. 203 a 10 ss. (= Test. 23 A Gaiser); cfr. anche Metaph. 986 a 23 ss., dove è riportata anche la proporzione pitagorica uno : molteplicità = quadrato : rettangolo (εν : πλήθος- = τετράγωνον : έτερόμηκες). Si consulti in proposito Gaiser, Platons..., pp. 54 s., 94. È decisiva per la prima associazione la divisibilità dei numeri pari (che li rende espressione della Diade).
30 Certo, un limite in linea di principio proprio dell’impostazione del sistema platonico resta il fatto che essa non spiega propriamente il novum al livello di ciascuna sfera di essere, ma in ultima istanza lo deve presupporre. Tuttavia, a partire dalla teoria dei principi, Platone può dire qualcosa sulle determinazioni interne di queste sfere, sulla base del presupposto che vi sia, qualcosa come, ad esempio, le entità matematiche o gli sviluppi storici. Krämer, Platone..., p. 164, ha di recente sottolineato questo aspetto con piena ragione: «Si ha, dunque, un rapporto di dipendenza unilaterale non rovesciabile, in cui, tuttavia, il piano più alto offre solamente condizioni necessarie, ma non anche sufficienti per il piano successivo. Infatti, la diade di grande-e-piccolo gioca un ruolo di fondamento in tutti i piani come principio materiale, però senza che la sua differenziazione venga ulteriormente fondata; il novum categoriale rimane, quindi, non spiegato». Krämer distingue, in questo contesto, un «procedimento regressivo» ed un «procedimento derivativo» (ivi, p. 162), e pensa in proposito ai metodi platonici della «via in su»
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4. La dottrina non scritta sulla generazione dei numeri dai principi
Tuttavia, come possiamo evincere specialmente dalle testimonianze sulla sua dottrina non scritta, l’intento di Platone è quello di generare dai principi, oltre i predicati dei numeri, anche i numeri stessi31.
a) Principi e numeri, numeri matematici e numeri ideali
Da tali testimonianze risulta, in primo luogo, che i principi generatori, ossia «Uno» (é'v) e «Diade indefinita» (αόριστο? δυα'?), in se stessi non sono ancora numeri32.
Questa osservazione è in verità triviale: infatti, i principi di un 'ontologia generalis, che fra l’altro sono chiamati a fondare anche l’etica, non possono identificarsi con entità speciali, quali sono i numeri uno e due; ma lo si tenga comunque presente, per evitare fraintendimenti diffusi.
Platone per di più non distingue solo fra principi e numeri, ma introduce i numeri ideali in un ambito che si colloca fra gli uni e gli altri, quindi in una terza sfera.
Entro la gerarchia platonica dell’essere, che consiste, semplificando un po’, in principi, Idee, entità matematiche e mondo naturale, ai numeri ideali spetta un posto sul piano delle Idee, mentre ai numeri matematici spetta un posto sul piano delle realtà matematiche (μαθηματικά)33.
(άνοδος) e della «via in giù» (κάθοδο?). Si veda in merito, ad esempio, il Test. 10 Gaiser e, naturalmente, Rep. 511 B s. La «via in giù» rimane, secondo Krämer (ivi, p. 213), necessariamente lacunosa.
31 Verosimilmente, Platone si figurò la generazione dei numeri come una generazione mediata dai due predicati di numeri, che dovevano essere costituiti prima dei singoli numeri, in quanto sono più generali di essi ed inoltre sono solo due, e scindono la serie dei numeri naturali in due classi completamente disgiunte. In ogni caso, questo è quanto dà ad intendere il resoconto di Aristotele in Metapb. 1091 a 23 ss. (= Test. 28 b Gaiser).
32 Si veda Krämer, Platone..., p. 162; inoltre: R. Seide, Die mathematischen Stellen bei Plutarch, Regensburg 1981 (Diss.), p. 97.
33 Che in Platone gli enti matematici abbiano una posizione intermedia (fra i principi e le Idee da un lato, e i sensibili dall’altro), è testimoniato da Aristotele, oltre che da altri: cfr. Metaph. 987 b 14 ss. = Test. 22 a Gaiser; Metaph. 1028 b 19 ss. = Test. 28 a Gaiser. Aristotele testimonia, allo stesso modo, che Platone ha di-
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I principali caratteri distintivi dei numeri ideali sono due: con essi non si possono compiere operazioni, dunque non possono essere addizionati, sottratti, e così via34; inoltre, giungono solo fino alla decade35.
b) Duplice livello della generazione dei numeri
In secondo luogo, Platone si figurava, nel dettaglio, la generazione dei numeri ideali, e analogamente dei numeri matematici, in modo tale che l’Uno-pricipio-primo costituisse il numero uno (che non è identico all’Uno!) quale principio di tutti i numeri, e quindi in modo tale che tutti gli altri numeri venissero generati a partire dal numero uno per mezzo di un’azione sinergica dell’Uno e della Diade indefinita36.
Qui vediamo due livelli, sui quali si può parlare di principi dei numeri.
Sul primo livello, ancora ontologico-generale, sono causa dei numeri i principi logici di unità e molteplicità.
Sul secondo livello, una volta generato il numero uno, vengono generati i restanti numeri; qui sono principi il numero uno, dunque non l’Unità, bensì il suo corrispettivo aritmetico, e la Diade indefinita, aritmeticamente attiva.
stinto fra numeri matematici ed ideali: cfr. Metaph. 1080 a 12 ss. = Test. 59 Gaiser; Metaph. 1083 a 20 ss. = Test. 56 Gaiser; Metaph. 1086 a 2 ss. = Test. 57 Gaiser; Metaph. 1090 b 32 ss. = Test. 28 b Gaiser; si veda anche Siriano: G. Kroll, Syriani in Aristotelis Metaphysica commentarla, Berolini 1902, rist. 1960, p. 159,1.33 ss. (-Test. 58 Gaiser). Mi sembra che non si possa più giustamente dubitare, specie dopo le ampie ricostruzioni di Gaiser, Platons..., p. 89 ss., che i rispettivi resoconti siano attendibili. L’argomento di Platone a favore di una distinzione categoriale fra entità matematiche da un lato, e Idee (anche delle entità matematiche) dall’altro, consisteva nel fatto che vi può essere solo una Idea del cerchio, del numero 3, e così via, mentre le operazioni matematiche di frequente presuppongono l’esistenza di più cerchi matematici, di più numeri matematici 3, come ad esempio l’addizione 3+3 (cfr. Metaph. 987 b 17 = Test. 22 a Gaiser; sulla rilevanza dell’argomento, si veda infra, IV, nota 10).
34 Per un esempio, cfr. Arist. Metaph. 1080 a 19 ss. (= Test. 59 Gaiser) e 1083 a 34 ss. (=Test. 56 Gaiser).
33 Cfr. Arist. Phys. 206 b 32 s. (=Test. 24 Gaiser), non meno che Metaph. 1073 a 20 s. (= Test. 62 Gaiser) e 1084 a 12 ss., 25 ss. (= Test. 61 Gaiser).
36 Cfr. Sesto Empirico, Adv. Math. X 276 s. (= Test. 32 Gaiser). L’edizione canonica a cui si fa riferimento è quella a cura di H. Mutschmann-J. Mau: Sexti Empirici Opera, 3 voli., Lipsiae 1912-1952, III (1954,19612).
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La distinzione fra i due piani è importante. Si vedrà che, ad esempio, la concezione hegeliana della generazione dei numeri corrisponde principalmente al primo livello di Platone, mentre, al contrario, gli assiomi di Peano forniscono una risposta alla domanda che si pone al secondo livello37.
c) Unità e Dualità al primo livello
Sul primo livello, la riflessione platonica si aggancia al fatto che ciascun numero maggiore di uno costituisce un’unità di unità e molteplicità, in quanto, da una parte, consiste di molteplici unità, ma d ’altra parte anch’esso è un’unità38. Da principio di molteplicità funge la Diade indefinita.
37 In effetti, nella tradizione aritmetica neoplatonizzante abbiamo due diversi tipi di definizione di numero, che corrispondono ai due livelli: una definizione si riferisce ai principi ontologici deH’Unità (ëv/πέρας·) e della Molteplicità; l’altra, invece, all’uno aritmetico come punto di partenza della serie numerica. Al primo tipo appartiene ad esempio la definizione del numero come molteplicità limitata, quale si trova, per esempio, in Nicomaco (R. Hoche, Nicomachi Geraseni Pytha- gorei Introductions arithmeticae libri II, Lipsiae 1886,1,7, p. 13,1. 7) dove leggiamo: «il numero è molteplicità definita (άριθμός· έσπ πλήθο? ώρισμένον)». Secondo il commentario a Nicomaco di Giamblico (H. Pistelli, Iamblichi In Nico- machiarithmeticam introductionem liber, Lipsiae 1894, p. 10,1. 17), questa definizione risale ad Eudosso; cfr. anche Arisi. Metaph. 1020 a 13. Al secondo tipo appartiene invece la definizione per cui il numero procede a partire dall’uno, al modo di un’addizione iterata. Si veda, ad esempio, Teone di Smirne (E. Hiller, Theo- nis Smyrnei Philosophi Platonici Expositio rerum mathematicarum ad legendum Platonem utilium, Lipsiae 1878, p. 18,1. 3 ss.), ove si legge: «il numero è un composto di unità, ossia una progressione di molteplicità che comincia dall’unità e una regressione che termina all’unità (άριθμός· έστι σύστημα μονάδων, ή προποδισμός πλήθους· άπό μονάδος άρχόμενος· καί άναποδισμός· είς· μο* νάδα καταλήγων)»; cfr. anche Proclo, In prim. Eucl., p. 6,1. 15 s. Friedlein, dove si dice: «infatti il numero, cominciando dall’unità, presenta un accrescimento senza interruzione (δ τε γάρ άριθμός· άπό μονάδος· άρξάμενος δπαυστον ?χει τήν αδξησιν)». Nella definizione di numero di Euclide, si trovano momenti di entrambi i tipi di definizione; nel libro VII, de/. 2, leggiamo: «il numero è la molteplicità composta di unità (άριθμός· δέ t ò έκ μονάδων συγκείμενον πλήθος·)».
38 Cfr. G. Böhme, Zeit und Zahl. Studien zur Zeittheorie bet Platon, Aristoteles, Leibniz und Kant, Frankfurt 1974, p. 130: «Per dirla in breve, la funzione sistematica del numero è quella di operare la mediazione fra i due principi più alti di questa filosofia, cioè l’Uno e la Diade indefinita, lo ëv e la άόριστος δυάς. (Kurz gesagt, ist es die systematische Funktion der Zahl, die Vermittlung zu leisten
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Aristotele coglie proprio nella sostituzione della molteplicità illimitata con la dualità una delle più importanti innovazioni di Platone nei confronti dei Pitagorici39.
Qui si fa chiaro, una volta di più, perché la Diade indefinita non possa essere identica al numero due: non è infatti principio solo del due, ma di tutti i numeri maggiori di uno; si manifesta all’interno della serie numerica per la prima volta nel numero due, nei confronti del quale possiede una particolare affinità: ma non si manifesta soltanto in esso40. Occorre fra l’altro distinguere due dati di fatto, ossia che, da un lato, ci sono due principi, e, dall’altro lato, il secondo principio è anche principio di dualità; ci sono dunque due dualità, che secondo Platone sono presupposto del concetto di numero.
zwischen den beiden obersten Prinzipien dieser Philosophie, dem εν und der αόριστο? δυά?, dem Einen und der unbestimmten Zweiheit)». Si veda soprattutto ivi, pp. 130-144, con speciale riferimento a Platone, Filebo, 16 E ss., 24 E ss.
39 Metapb. 987 b 25 s. (= Test. 22 a Gaiser): «è caratteristico (sai. di Platone) aver ritenuto una diade il sostituto dell’illimite in quanto uno, e rillimite costituito di grande e piccolo (tò 6è αντί τού άπειρου u>? évo? δυάδα ποιήσαι, το δε άπειρον εκ μεγάλου και μικρού, t o u t ’ ίδιον)».
40 Cfr. Κ. Oehler, Oer entmytologisierte Platon. Zur Lage der Platonforschung, «Zeitschrift für philosophische Forschung», 19 (1965), pp. 393-420, contenuto anche in: Id., Antike Philosophie und byzantinische Mittelalter, München 1969, pp. 66-94, oltre che in: J. Wippern (curatore), Das Problem der ungeschriebenen Lehre Platons, Darmstadt 1972, pp. 95-129, spec. 117: «La dualità è principio della molteplicità. Il due è il primo caso di moltitudine. Da esso tutte le altre molteplicità prendono inizio. Esso stesso, però, come numero due, è già fissato, delimitato. Esso stesso non procede verso un’illimitata moltiplicazione. Perciò Platone non ha ritenuto questo, il numero due, principio della molteplicità, bensì la Diade indefinita. (Die Zweiheit ist Prinzip der Vielheit. Die Zwei ist der erste Fall einer Menge. Mit ihr nehmen alle anderen Vielheiten ihren Anfang. Sie selbst aber, als Zahl Zwei, ist bereits festgelegt, ist begrenzt. Sie selbst schreitet nicht fort zu unbestimmter Vervielfältigung. Deshalb mache Platon nicht sie, die Zahl Zwei, zum Prinzip der Vielheit, sondern die Unbestimmte Zweiheit)». Una posizione particolare del numero due si trova ancora in Cusano, De princ., cap. 31, 1. 14 s. Feigl-Vaupel-Wilpert. Essa viene fondata sulla base del fatto che il due, in quanto madre della molteplicità, «non è né molteplicità né unità (dualita- tem neque unitatem neque multitudinem)». Si veda anche ivi, cap. 32,1.1 ss., ove ha luogo un esplicito riferimento alla teoria dei principi di Platone.
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d) «Diairesi» o «dicotomia» al secondo livello
Ora, al secondo livello si pone il problema della generazione dei numeri a partire dal numero uno. Questa generazione non fu concepita come una specie di addizione iterata, cosa che dal punto di vista odierno sarebbe ovvia, ma almeno per i numeri ideali fu concepita come una specie di «diairesi» duale, cioè di dicotomia.
Oggi non si può più stabilire con sicurezza quale aspetto essa avesse nel dettaglio. Tuttavia, si possono accettare come sue illustrazioni plausibili i tentativi di ricostruirla proposti da Stenzel41 e Becker42 più di mezzo secolo fa, che malgrado talune differenze nel dettaglio concordano nel richiamare nella propria struttura di fondo, anche se sono meno semplici, i moderni «alberi grafici».
Certo, questi tentativi restano lacunosi, in quanto tendono a sorvolare sulla differenza fra numeri matematici e numeri ideali; e per di più, in essi rimane senza spiegazione il motivo per cui i numeri ideali sono limitati alla Decade.
e) La Decade e la Tetrade
Che i numeri ideali fossero limitati nel loro numero, si può spiegare a mio avviso in virtù della necessità che, per Platone, il
41 Zahl und Gestalt bei Platon und Aristoteles, Leipzig-Berlin 1924, 19332, p. 30 ss.
42 Die diairetische Erzeugung der platonischen Idealzahlen, «Quellen und Studien zur Geschichte der Mathematik, Astronomie und Physik, Abt. B, 1 (1931), pp. 464-501. Becker si riallaccia criticamente a Stenzel e, di contro a lui, produce alcune precisazioni degne di nota. Becker ha ulteriormente articolato il suo pensiero nella trattazione: Zum Problem der platonischen Idealzahlen (Eine Ketrakta- tion), in: Id., Zwei Untersuchungen zur antiken Logik, Wiesbaden 1957 (= «Klassisch-Philologische Studien», a cura di H. Herter e W. Schmidt, 17, pp. 1-22). In quest’ultimo saggio, Becker fra l’altro si corregge riguardo al fatto che per illustrare la generazione dei numeri verosimilmente «fu usata», al posto di schemi a forma di albero genealogico, «una linea, per lo più in posizione orizzontale, che veniva divisa in segmenti in corrispondenza delle sottospecie di una specie» {ivi, p. 16). Becker, ivi, p. 8, spiega la difficile espressione di Metaph. 987 b 34, «Ιξω των πρώτων», nel senso di «eccetto i primi (due) numeri», cioè l’uno e il due, dando un’interpretazione che è problematica, ma non impossibile. Tradurre «numeri primi», infatti, non ha alcun senso dal punto di vista matematico.
campo dei numeri ideali consti di un numero finito di elementi, in quanto si inserisce fra i due principi ed i numeri naturali di tipo matematico, che si possono enumerare all’infinito.
Questo però non dice perché Platone si sia deciso proprio in favore della Decade. Gaiser, nella sua proposta di ricostruzione, ha tentato di chiarire appunto questo stato di cose43. Secondo lui, nei numeri ideali di Platone è prefigurata la struttura dimensionale del mondo; dato che lo sviluppo delle dimensioni è completo nella Tetrade (Unità-Lunghezza-Larghezza-Profondità)44, la Tetrade, ovvero la Decade, che come somma dei primi quattro numeri era ritenuta già dai Pitagorici numero perfetto45, doveva essere contraddistinta, e lo era appunto come limite dei numeri ideali.
Questo argomento di Gaiser è plausibile; ma con esso, la contraddistinzione della Tetrade o Decade viene fondata solo «induttivamente», sulla via dialettica «in su» (άνοδος·): Platone ha concluso ad una determinata strutturazione dei numeri ideali a partire dal numero delle dimensioni fenomenologicamente dato; invece, essa dovrebbe venir fondata anche deduttivamente, a partire dai principi, e Platone non lo fa, anche perché è una cosa molto diffìcile da fare.
Qui si impone inoltre la domanda sul perché Platone non abbia contraddistinto direttamente la Tetrade: non è facile capire il motivo per cui la sua somma debba ricoprire un certo ruolo all’interno dei numeri ideali: se la Tetrade stessa non lo ricopre, perché non lo dovrebbe ricoprire, per esempio, il suo prodotto? La spiegazione che Gaiser ha fornito in merito è, come egli stes-
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43 Cfr. Gaiser,Platons..., pp. 115 ss.44 Cfr. Sesto Empirico, Adv. Math. X 278 ss. (=Test. 32 Gaiser); e Gaiser,
Platons..., p. 44 ss. Si veda inoltre: P. Lang, De Speusippi Academici Script is, Bonn 1911, rist. Darmstadt 1965, Fr. 4 (= M. Isnardi Parente, Speusippo. Frammenti, Napoli 1980, Fr. 122), che corrisponde a: V. De Falco, lamblichi Theologumena arithmeticae, Lipsiae 1922, pp. 82,1. 10-85,1. 23.
45 Naturalmente in un senso diverso da quello euclideo (su cui cfr. supra, nota 17). Si veda Th. Heath, A Manual of greek Mathematics, New York 1963, pp. 41- 43. Sulla contraddistinzione della decade in Filolao e Archita, cfr. Diels-Kranz, Fragmente..., 44 B 11 e 47 B 5; su Filolao si veda: E. Frank, Plato und die sogenannten Pythagoreer, Halle 1923, p. 309 ss. Questo argomento, secondo cui la decade si contraddistingue in quanto somma dei primi quattro numeri, si trova esplicitamente, anche se accanto ad altri argomenti, nel fr. 58 B 15 Diels-Kranz.
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so ammette, problematica, dal punto di vista dei contenuti, non meno che da quello filologico46. Mi sembra molto più verosimile, che dietro la violenza del passaggio dalla tetrade alla decade stia la volontà di «fondare» il sistema numerico decadico47. Certo, il sistema decadico riporta al numero delle dita, che è di natura contingente48; una delle parole greche per dire «contare» è «neμπάζω», che letteralmente si dovrebbe tradurre «cinquare»: è quindi chiaro perché il cinque, o anche il dieci, potessero risultare numeri di particolare importanza.
Da ciò segue che noi, oggi, possiamo prendere atto di questa contraddistinzione della decade con mero interesse storico. Nondimeno, essa ha avuto la forza di produrre effetti: il tentativo forzato, da parte di Aristotele, di aumentare il numero delle categorie dalle quattro unicamente importanti a dieci, può con ogni evidenza essere compreso solo sullo sfondo di questa contraddistinzione ontologica della Decina, che risale all’Accademia di Platone e, ancora più indietro, ai Pitagorici.
f) La Diade e l’irrazionale
La Diade (δυα'ς) di Platone non è solo responsabile della generazione dei numeri ideali e di quelli naturali a partire dall’Uno (éV): secondo Platone, la Diade, alla quale erano ricondotti entro il sistema accademico delle categorie i predicati di relazione a due posti49, diviene sempre più dominante nell’articolazione dei rapporti, delle grandezze razionali e allo stesso tempo di quelle irrazionali50, che com’è noto i Greci non consideravano
46 Cfr. Gaiser, Platons..., pp. 119 ss., spec. 121.47 Così sostiene, almeno, O. Becker in un contributo più tardo, Versuch einer
neuen Interpretation der platonischen Ideenzahlen, «Archiv für Geschichte der Philosophie», 45 (1963), pp. 119-124, comparso contemporaneamente al libro di Gaiser.
48 Si veda già ps. Arist. Probi. 910 b 24 ss.49 Cfr. Ermodoro Fr. 7, in: M. Isnardi-Parente, Senocrate-Ermodoro. Fram
menti, Napoli 1982 (= Test. 31 Gaiser), e Sesto Empirico, Adv. Math. X 263 ss. (= Test. 32 Gaiser), non meno che Diogene Laerzio, III, 104 s., 108 s., insieme a Codex Marcianus 23,67,68 (=Test. 43 e 44 Gaiser).
50 Cfr. Arist. Metaph. 1020 b 26 ss. (= Test. 35 Gaiser); Pappus (Abû 'Oth- man al-Damashki), In decimum Euclidis Elementorum librum commentarla, I 9, 13; 71 s., 76 s. dell’edizione a cura di W. Thomson e G. Junge: The Commentary of Pappus on Book X of Euclid’s Elements, Harvard Semitic Series 8, Cambridge
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numeri. A prescindere da quest’ultimo punto, la Diade ricorda quindi il concetto di sezione di Dedekind; infatti, allo stesso modo della Diade, la sezione garantisce l’esistenza di grandezze irrazionali. Ma in aggiunta a ciò è interessante che già in Platone, grazie alla Diade, venga stabilita una certa continuità fra i numeri naturali e le grandezze, razionali ed irrazionali: una continuità che com’è noto era estranea alla matematica antica, e che solo in quella moderna ha ricevuto riconoscimento generale.
La teoria di Dedekind dei numeri irrazionali rappresenta all’interno di questa evoluzione un preciso punto culminante. Ma questa continuità è implicita nel punto di vista di Platone, secondo cui nel numero due è già in azione quel principio che nei rapporti «assolutamente irrazionali» si sviluppa nel modo più puro* 31.
La Diade di Platone si potrebbe dunque interpretare come un prodromo del concetto di sezione di Dedekind nei seguenti termini: in quest’ultimo è stato portato a concettualità ciò che nella prima si annunciava in maniera ancora molto astratta, più filosofica che matematica, vale a dire il pensiero per cui fra i numeri naturali e le altre grandezze non sussiste una profonda cesura, ma un nesso da cogliersi in modo puramente aritmetico32.
Mass.1930, rist. New York 1968 (= Test. 67 b Gaiser); Gaiser, Platons..., pp. 24 s.,71s., 143 s.
31 Con Gaiser, ivi, pp. 24,71, intendo per «rapporti assolutamente irrazionali» quei rapporti che non divengono commensurabili nemmeno se elevati alla terza potenza: alla potenza, cioè, che è associata al corporeo, dunque a quella che per i Greci era l’ultima dimensione.
32 Varrebbe la pena studiare nel dettaglio il nesso fra la Diade di Platone e il concetto di sezione di Dedekind; ma qui ciò non rientra nei nostri scopi. È decisivo un fatto cui già Taylor, Forms and Numbers..., si è richiamato, ossia che l’altro nome della «Diade indefinita», cioè «Grande e Piccolo» (μέγα-μικρόν), si adatta perfettamente all’algoritmo euclideo, con il quale vengono introdotti valori irrazionali in maniera puramente aritmetica: infatti, due valori fra loro successivi di quoziente di numero della diagonale e di numero del lato (ove ln +i = ln + dn e d„ +1 = 2l„ + d„) sono alternativamente più grandi e più piccoli del preciso valore di ν ’2. Ma i concetti di più grande e più piccolo hanno importanza anche nella definizione di sezione di Dedekind. Fra l’altro, già Töplitz, Das Verhältnis..., p. 74 s., si è richiamato ad un nesso fra la Diade platonica e la sezione di Dedekind. In un altro punto, Töplitz pone giustamente l’accento sul fatto che in Euclide V «sicurissimamente non si dice nulla del desiderio o della possibilità di generare queste entità a partire dai numeri interi (ganz gewiß nirgends etwas davon
erwähnt [ist], daß man diese Wesenheiten aus den ganzen Zahlen erzeugen möchte oder könnte)» (ivi, p. 52); si potrebbe tuttavia aggiungere che in Platone si trova comunque il pensiero di generare i numeri interi e i valori irrazionali dagli stessi principi. Fra l’altro, è possibile che Platone si sia figurato il passaggio ai valori irrazionali sulla scorta del modello delle dimensioni, come suppone Gaiser, Platons..., pp. 24 s., 71 s., 143 s., benché non mi sembri necessario trarre l’ipotesi di Gaiser da quanto si accerta dalle testimonianze. Le entità della dottrina eudos- siana delle proporzioni comprendono, in ogni caso, realtà sia aritmetiche, sia geometriche; e proprio in Platone, è evidente la superiorità dell’aritmetica rispetto alla geometria. Solo nella testimonianza di Porfirio sulla «divisione del cubito», contenuta in Simplicio (H. Diels, Simplicii In Aristotelis Physicorum libros commentala, Berolini 1882-1895, risi. 1954, p. 453,1. 31 = Test. 23 B Gaiser), si procede chiaramente a partire da una rappresentazione geometrica, che poi viene trasferita ai numeri.
IV. La filo so fia dei num eri di P latone nel suo significato filosofico e matematico
1. Il confronto con concezioni più tarde
Per valutare criticamente la concezione platonica della generazione dei numeri dall’Uno e dalla Diade, si offre prima di tutto la possibilità di indicare se idee simili si trovino anche in concezioni decisamente più tarde, e perfino attuali. In effetti, intendo mostrare che la maniera in cui si introducono nella matematica odierna i numeri naturali, cioè la loro introduzione attraverso gli assiomi di Peano, può essere intesa come una «articolazione» della concezione platonica, di una concezione, quindi, che merita un posto significativo nella preistoria degli assiomi di Peano1.
Di seguito discuterò un altro problema, cioè fino a che punto sia possibile interpretare il sistema binario progettato da Leibniz come un tardo erede del programma platonico di riduzione della molteplicità illimitata alla dualità1 2.
Ma oltre a queste corrispondenze nella matematica moderna è degno di nota il fatto che anche nella moderna filosofia della matematica, e per la precisione in Brouwer, si trovino riflessioni che, similmente a quelle di Platone, attribuiscono espressamente al principio della dualità una funzione costitutiva per la matematica.
Certo, la filosofìa della matematica di Brouwer è nei suoi fondamenti ontologici senz’altro opposta a quella platonica, anche se materialmente possiede varie cose in comune con essa3. Invece, a proposito della filosofia della matematica di Hegel, si può parlare di estese corrispondenze con Platone, non solo per quanto riguarda l’interpretazione di singole strutture matemati-
1 Infra, punto 3.2 Infra, punto 4.3 Infra, punto 5.
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che, ma anche riguardo alla base ontologica della matematica, al suo posto nel sistema, e alla determinazione del suo rapporto con la filosofìa. L’idealismo hegeliano è, fino ad oggi, l’ultimo rappresentante significativo di quel tipo di filosofìa, cui si può riportare anche il sistema di Platone: Platone e Hegel rientrano, come il Neoplatonismo della tarda antichità e del medioevo, nella tradizione dell’Idealismo oggettivo. Il tentativo di una valorizzazione comprensiva non solo di alcune singole riflessioni di Platone, ma anche dell’assetto globale della sua filosofìa della matematica — un tentativo che qui non ci si propone, anche se dovrà essere schizzato nei suoi contorni — dovrebbe pertanto riallacciarsi principalmente a Hegel.
Per motivi cronologici, intendo quindi come prima cosa illustrare quali momenti della filosofia della matematica di Platone siano ancora attivi in quella di Hegel, e soprattutto, in armonia con il tema di questo saggio, far emergere quanto vi sia di platonico nel concetto hegeliano di numero4.
2. Platone e Hegel: collocazione nel sistem a e fondazionenell’essere della matematica e del numero
a) Il problema di una filosofìa della matematica in Hegel
Negli ultimi tempi, i paralleli fra il sistema di Platone e quello di Hegel, riscontrabili non solo nelle macro-strutture, ma anche in molti particolari singoli, sono stati oggetto di esposizioni ripetute5. Tuttavia, proprio la filosofìa della matematica dei due pensatori costituisce l’ambito di sistema che meno di frequente è stato messo a confronto.
Ciò si connette di sicuro alla mancanza, a tutt’oggi, di una ricerca approfondita sulla filosofìa della matematica di Hegel6. Di questa mancanza ci sono diverse ragioni: in primo luogo, il fatto
4 Infra, punto 2.5 Cfr. Hösle, Wahrheit und Geschichte..., dove ho citato molta altra letteratu
ra; e Krämer, Alatone..., pp. 282-302.6 Ho continuato negli anni seguenti a questo saggio a lavorare sulla filosofia
della matematica all’interno della tradizione idealistica. Si vedano ora i saggi su Hegel: Raut», Zeit, Bewegung, in: M. J. Petry (curatore), Hegel und die Naturwissenschaften, Stuttgart-Bad Cannstatt 1987, pp. 247-292, spec. 253-273; e su Nicolò Cusano: Platonism and Anti-Platonism in Nicholas of Cusa's Philosophy of
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che una simile ricerca presupporrebbe una buona conoscenza sia del sistema hegeliano, sia della storia della matematica almeno fino al diciannovesimo secolo; e in secondo luogo, il fatto che la filosofia della matematica di Hegel è quasi l’unica disciplina filosofica che, all’interno del suo sistema, non ha propriamente alcun posto preciso.
b) Il difficile inserimento della matematica nel sistema hegeliano
Indichiamo in breve la ragione di questo fatto, poiché finora non è stato constatato, né chiarito. I sistemi dell’Idealismo oggettivo si suddividono essenzialmente in due gruppi.
Secondo l’uno, l’ambito delle Idee passa nella Natura in maniera continua, «lineare», ed in questo passaggio lo Spirito o l’Anima rappresentano un livello di mediazione: a questo sistema «emanazionistico» appartengono il Neoplatonismo e, malgrado alcune tendenze contrastanti, anche la filosofìa di Platone.
Per Hegel, viceversa, l’Idea «esce da sé» anzitutto nel suo Altro, cioè nella Natura, per poi ritornare a sé come Spirito; lo Spirito non è quindi mezzo, bensì fine, telos. Questa concezione «dialettica» ha il grande vantaggio filosofico di chiarire in certa misura il problema del perché l’ambito dell’Idea, che è considerato comunque assoluto, debba anche passare nella finitezza7: un problema che nella variante «emanazionistica» del sistema rimane privo di soluzione, ed in ultima istanza irresolubile. Tuttavia non si può negare che in quest’ultima l’inserimento delle entità matematiche nell’ordine sistematico sia decisamente più semplice: per Platone, come per i Neoplatonici, gli enti matematici (μαθηματικά) mediano, come l’Anima, fra l’ambito dell’ontologia e quello della natura. Ma una soluzione del genere è vietata ad Hegel, per il quale l’Idea, in quanto dialettica, deve passare prima di tutto proprio nel suo contrario, cioè nella Natura; in questo caso, una sfera intermedia non ha più nessun senso.
Mathematics, «Graduate Philosophy Journal», 13/ 2 (1990), pp. 79-112.7 Si veda in merito D. Wandschneider-V. Hösle, Die Entäußerung der Idee zur
Natur und ihre zeitliche Entfaltung als Geist bei Hegel, «Hegel Studien», 18 (1983), pp. 173-199.
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Ma allora dove rientrano le entità matematiche, ad esempio i singoli numeri? Non certo nell’ambito dell’Idea. Infatti, anche se «il Numero» è una categoria della «Scienza della Logica», i singoli numeri non lo sono: la loro logica è una logica non dialettica, e perciò è completamente diversa da quella delle stesse determinazioni ontologiche.
Ma anche nella filosofia del reale non si riuscirà più di tanto ad introdurre i numeri: essi sono più astratti persino rispetto allo spazio, che è la prima categoria della filosofia della Natura8.
c) La «posizione intermedia» degli enti matematici
Queste aporie possono bastare per porre in chiaro che, in Hegel, la filosofia della matematica ha perduto, in confronto a Platone, la sua precisa collocazione sistematica. Si dà il caso, però, che nelle sparpagliate affermazioni di Hegel sulla matematica si trovino molti elementi platonici, anche e appunto per quanto riguarda la posizione intermedia degli enti matematici, sebbene pensieri del genere, nel sistema hegeliano, siano di difficile comprensione.
Tale posizione intermedia sussiste secondo Hegel sia in campo ontologico, per quanto concerne il modo di essere, ad esempio, dei numeri, sia in campo gnoseologico, in riferimento, dunque, al tipo matematico di pensiero. I numeri sono — sostiene Hegel in esplicita connessione alla concezione platonica — qualcosa che si colloca fra il concettuale puro e l’esteriore, il sensibile: « ... il numero, questa esteriorità interna ed astratta ... costituisce l’ultimo livello della incompletezza, quello di cogliere l’universale affetto dal sensibile. Gli Antichi hanno avuto precisa coscienza che il numero si colloca nel mezzo fra il sensibile ed il pensiero. Aristotele cita da Platone (Metafisica, 15) l’afferma-
8 Nell’edizione berlinese della Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, la prima parte della Filosofia della Natura è intitolata «Meccanica», mentre in quella di Heidelberg porta ancora il titolo di «Matematica». Mi chiedo se questo sia un segno del fatto che, in un primo tempo, Hegel sia stato dell’idea che la filosofia della matematica fosse una parte della filosofia della natura, e che in un secondo tempo abbia respinto quest’idea. In ogni caso, sui problemi che Hegel ebbe con la filosofia della matematica, si veda la terza edizione dell ’Enzyklopädie (d’ora in poi: Enz.3), S 259, Nota.
zione che oltre al sensibile e alle Idee le determinazioni matematiche delle cose hanno una posizione intermedia...»9.
Hegel quindi loda il fatto che gli Antichi abbiano distinto fra Monade (govdç) o Diade (δυας·) da un lato, ed i numeri imo o due dall’altro, perché lo considera segno di profonda coscienza nei confronti della differenza fra ontologia e matematica: di una coscienza, che ad avviso di Hegel è andata deplorevolmente perduta nei tentativi a lui contemporanei di trasferire in filosofìa, senza tanti giri di parole, i concetti matematici: « ... E stato già citato riguardo a quelle espressioni numeriche ... il fatto che i Pitagorici hanno distinto fra la Monade e l’uno; essi hanno ritenuto la Monade pensiero, e l’uno, invece, numero; allo stesso modo, hanno considerato il due come ciò che è aritmetico, e la Diade come il pensiero dell’indefinito. — Questi Antichi hanno capito prima di tutto, molto correttamente, l’insufficienza delle forme numeriche in rapporto alle determinazioni di pensiero, e non meno correttamente hanno inoltre preteso per il pensiero la sua propria espressione, invece di quel primo espediente; quanto sono proceduti oltre nella loro riflessione rispetto a quelli che oggigiorno ritengono alcunché di lodevole, anzi, alcunché di fondato e profondo, porre di nuovo numeri e determinazioni numeriche ... al posto delle determinazioni di pensiero . . .» 10.
9 Wissenschaft der Logik, 5. 245 (tutte le citazioni da Hegel seguiranno l’edizione «Theorie» delle opere, Frankfurt 1969 ss., con indicazione del volume e della pagina): «Die Zahl, diese innerliche, abstrakte Äußerlichkeit ... Sie macht die letzte Stufe der Unvollkommenheit aus, das Allgemeine mit Sinnlichem behaftet zu fassen. Die Alten haben das bestimmte Bewußtsein darüber gehabt, daß die Zahl zwischen dem Sinnlichen und dem Gedanken in der Mitte stehe. Aristoteles führt es von Platon an (Metaphysik I, 5), daß derselbe sage, daß außer dem Sinnlichen und den Ideen die mathematischen Bestimmungen der Dinge dazwischenstehen ...». Cfr. anche le Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, 18. 235 ss., e Enz.3, § 104, Nota (dalla Enzyklopädie cito secondo la numerazione dei paragrafi, poiché è uguale in tutte le sue edizioni).
10 Wiss. d. Logik, 5. 246: «es wird schon, in Ansehung jener Zahlausdrücke ... angeführt, daß die Pythagoreer zwischen der Monas und dem Eins unterschieden haben; die Monas haben sie als den Gedanken genommen, das Eins aber als die Zahl; ebenso die Zwei für das Arithmetische, die Dyas ... für den Gedanken des Unbestimmten. — Diese Alten sahen fürs erste das Ungenügende der Zahlformen für Gedankenbestimmungen sehr richtig ein, und ebenso richtig forderten sie ferner statt jenes ersten Notbehelfs für Gedanken den
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d) La «posizione intermedia» della conoscenza matematica
Secondo Hegel, alla posizione intermedia dei numeri fra il concettuale e l’esteriore corrisponde la posizione intermedia della conoscenza matematica, che è sovraordinata a quella empirica, ma subordinata a quella filosofica: proprio come per Plato-
eigentümlichen Ausdruck; um wieviel weiter waren sie in ihrem Nachdenken gekommen als die, welche heutigentags wieder Zahlen selbst und Zahlbestimmungen ... an die Stelle von Gedankenbestimmungen zu setzen ... für etwas Löbliches, ja Gründliches und Tiefes halten». La difesa da parte di Hegel della distinzione platonica fra la categoria dell’unità ed il numero uno (una distinzione che si trova anche nel Neoplatonismo, come emerge ad esempio da Teone di Smirne, Expos, rer. math., p. 21,1. 7 ss. Hiller) è in effetti illuminante; la differenza fra le due determinazioni sarà riconosciuta da una dottrina delle categorie che sia tale da impegnarsi seriamente sul problema. Così si legge, ad esempio, nella Philosophie der Arithmetik di Husserl, alla p. 134 dell’edizione a cura di L. Eley, Den Haag 1970 (= Husserliana XII): «Il concetto di numero uno è infatti da distinguere bene dal concetto di unità. (Der Begriff der Zahl Eins ist nähmlich wohl zu unterscheiden von dem Begriffe der Einheit)». In H. Rickert inoltre si trova, pur senza alcun riferimento a Platone, un’ulteriore distinzione, del tutto analoga alla differenziazione platonica fra numeri ideali e matematici (come, in generale, fra le Idee di entità matematiche e le entità matematiche in se stesse). Per Rickert, non meno che per Platone, il fatto che vi siano molti uno, molti due, molti tre e così via, è un motivo per distinguere fra concetto di numero e numeri; e proprio come in Platone (si veda supra, III, nota 33), anche secondo Rickert è possibile contare solo con i numeri, e non con i concetti di numero (che corrispondono ai numeri ideali di a Platone, che appunto sono «inaddizio- nabili», «Ασύμβλητοι»), Nell’opera Das Eine, die Einheit, und die Eins, Tübingen 1924, p. 70, Rickert scrive: «Ci sono tanti uno quanti se ne vogliano, tanti due quanti se ne vogliano, e così via, e tutti ricadono come esemplari sotto i concetti dell’uno, del due, e così via, anche se, evidentemente, vi può essere solo un concetto di uno, un concetto di due, e così via ... Dunque, il concetto del numero non può coincidere con il numero medesimo ... Solo con i numeri medesimi si può calcolare ... Una teoria articolata del numero dovrebbe fare premurosamente attenzione a queste diversità. (Es gibt beliebig viele Eins, beliebig viele Zwei usw., die alle als Exemplare unter die Begriffe der Eins, der Zwei usw. fallen, wenn es auch selbstverständlich nur je einen Begriff der Eins, einen Begriff der Zwei usw. geben kann ... Also kann der Begriff der Zahl nicht mit der Zahl selbst zusammenfallen ... Nur mit den Zahlen selbst kann man rechnen ... Eine ausgeführte Theorie der Zahl würde diese Unterschiede sorgfältig zu berücksichtigen haben)». Qui si fa ancora più chiaro il fatto che la limitazione da parte di Platone dei numeri ideali alla Decade è, da un punto di vista sistematico, assurda; questo perché per ciascun numero dovrebbe darsi, per usare il termine rickertiano, un concetto di numero.Tn precedenza (cfr. supra, III, 4, e), ho tentato di fornire una ragione del comportamento di Platone, che naturalmente, dal punto di vista dei contenuti, è aleatoria.
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ne, anche per Hegel, la principale deficienza della matematica si fonda sull’impossibilità in essa, in linea di principio, di una fondazione ultimativa11.
La matematica ricorre a presupposti, che le restano inaccessibili (naturalmente, si intendono gli assiomi); e contro la lamentela allora diffusa, connessa ai tentativi di provare il postulato delle parallele, secondo la quale Euclide avrebbe erroneamente tralasciato di dimostrare questa legge, Hegel scrive: «Anche in Euclide... si trova sotto il nome di assioma un presupposto sulle linee parallele, che si è ritenuto bisognoso di dimostrazione; e si è cercato di colmare questa lacuna in molti m o d i... Per quanto concerne quell’assioma sulle linee parallele, si può osservare che appunto a questo proposito va riconosciuto il retto giudizio di Euclide, che aveva valutato in maniera puntuale tanto l’elemento quanto la natura della sua scienza»11 12. Proprio come Platone,
11 A ciò si aggiunge che il metodo della costruzione, ad esempio, di una proposizione geometrica non va dedotto dallo stesso teorema da dimostrare (cfr. Hegel, 3.42 ss.; 6.533 ss.); pertanto, la dimostrazione ha solo la funzione soggettiva di far conoscere, e non quella oggettiva di costituire, come secondo Hegel accade in filosofìa.
12 6. 528: «Auch bei Euklid ... findet sich unter dem Namen eines Axioms eine Voraussetzung über die Parallel-Linien, welche man für des Beweises bedürftig gehalten und den Mangel auf verschiedene Weise zu ergänzen versucht hat ... Was jenes Axiom über die Parallel-Linien betrifft, so läßt sich darüber bemerken, daß wohl darin gerade der richtige Sinn Euklids zu erkennen ist, der das Element sowie die Natur seiner Wissenschaft genau gewürdigt hatte». Cfr. I. Tóth, Die nicht-euklidische Geometrie in der Phänomenologie des Geistes, Frankfurt 1972, p. 29: «Sir John Savile scrisse nel 1621: “In pulcherrimo Geometriae corpore duo sunt naevi”, e uno di questi difetti, che suscitò grande scalpore, fu la mancanza di una dimostrazione, nell’ambito della geometria assoluta, del postulato delle parallele, (ln pulcherrimo Geometriae corpore duo sunt naevi,... schrieb 1621 Sir John Savile, und einer dieser Makel, der großes Aufsehen erregte, war der Mangel eines [absolut-geometrischen] Beweises für das Parallelenpostulat)». Tóth cita Savile seguendo J. Wallis, De postulato quinto dissertatio geometrica, in: Id., Opera, Oxoniae 1693, vol. II, p. 665. Immediatamente di seguito, Tóth continua: «Allorché Gauß, Lobatschewskij e Bolyai sono giunti a convincersi dell’indipendenza logica del postulato delle parallele, e su questa base hanno costruito le geometrie non euclidee, hanno per ciò stesso riabilitato anche Euclide: quello che fino ad allora era considerato un difetto, valeva da quel momento in poi come il più grande successo di Euclide. (Als Gauß, Lobatschewskij und Bolyai zu der Überzeugung der logischen Unabhängigkeit des Parallelenpostulats gelangten und auf dieser Basis die nicht-euklidische Geometrie aufbauten, haben sie damit auch Euklid rehabilitiert: was bis dahin als Makel verurteilt wurde, galt nunmehr
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anche Hegel è dell’idea che gli assiomi della matematica devono essere dedotti filosoficamente13 14: bisogna dimostrare il postulato delle parallele «a partire dal concetto»™, cioè a partire da un’ontologia dialettica; rimanendo all’interno della matematica, infatti, ciò è impossibile in linea di principio, allo stesso modo in cui è impossibile dedurre, ad esempio, la tridimensionalità dello spazio15.
Si capisce da sé che per Hegel, non meno che per Platone, gli assiomi della matematica non possono in alcun modo essere fondati per mezzo dell’intuizione. Hegel polemizza duramente contro questa opinione: «il suo {scil. della matematica) alto grado di scientificità si fonderebbe pure su di essa (scil. sull’intuizione), e le sue dimostrazioni riposerebbero sull’intuizione. Contro questa banalità, è necessario banalmente ricordare che per mezzo di intuizioni non si realizza nessuna scienza, ma ciò è possibile solo per mezzo del pensiero»16.
Certo, in Hegel non si trova un tentativo concreto di fondare il postulato delle parallele «a partire dal concetto». Un simile tentativo, in effetti, rischia di essere estremamente difficile, per non dire impossibile. Eppure Hegel cerca di dedurre dalla sua logica (e così torniamo al tema specifico di questo saggio) l’esistenza dei numeri, in quanto mostra che lo sviluppo dialettico delle categorie, che parte dall’indeterminatezza dell’essere, necessariamente conduce alla categoria del numero. Qui non è il
als Euklids größte Leistung)». Ma già Hegel, prima della costruzione delle geometrie non-euclidee, ha colto in questo stato di cose un merito di Euclide; certo, però, dal fatto che la matematica è una scienza «con presupposti», non segue che proprio il postulato delle parallele abbia carattere di assioma. La dimostrazione di ciò è stata compiuta da Beltrami nella seconda metà del secolo scorso, e non prima di lui.
13 Cfr. solo 6. 372.14 6. 528: «aus dem Begriffe ».15 Cfr. 6.528 s.16 6. 535: «ihre (scil. der Mathematik) hohe Wissenschaftlichkeit gründe sich
sogar hierauf (säl. auf der Anschauung) und ihre Beweise beruhten auf der Anschauung. Es ist gegen diese Flachheit die flache Erinnerung zu machen nötig, daß durch das Anschauen keine Wissenschaft zustandekomme, sondern allein durchs Denken »; cfr. 6. 286. In ciò sta anche il motivo per cui Hegel respinge con decisione l’uso euclideo del concetto di sovrapposizione nelle dimostrazioni di congruenza. Cfr. 5. 367 s.; 6. 531; e Enz. 3, § 256, Aggiunta.
caso di valutare l’argomentazione di Hegel. In questo contesto, mi interessano solo le corrispondenze con la concezione platonica17.
e) La deduzione ontologica del numero dall’unità e dallamolteplicità
Nella Scienza della Logica di Hegel, il numero è sempre trattato all’interno della «Quantità», cioè all’interno della seconda sezione della logica dell’essere, che è successiva alla «Qualità». Questa finisce con la determinazione dell’uno e del molteplice e con la loro relazione, che non è portata a sintesi, nella repulsione e attrazione.
La sezione intitolata «La Grandezza (o Quantità)» inizia con un capitolo sulla quantità come tale, in cui si tratta, fra l’altro, della grandezza continua e discreta e a cui segue un capitolo sul quantum-, in esso, viene discusso per primo il numero. La genesi logica del numero si effettua di modo che i suoi momenti principali siano «Unità» e «Molteplicità dell’uno»18: l’una esprime la continuità, l’altra la discrezione. I molteplici uno sono, poiché sono messi insieme, una quantità numerica: una quantità numerica che, nel numero concreto, si presenta come unità: «Quantitànumerica e. unità costituiscono i momenti del numero»19.
È facile riconoscere, in questi due momenti, i principi di Platone, sebbene si parli, anziché di Diade indefinita, di molteplicità o quantità numerica come tale20. Come non è difficile da ve-
17 In realtà, abbiamo molte corrispondenze nel dettaglio con «rivalutazioni filosofiche» di fenomeni matematici, che ricevettero una prima forma già in Platone, e ulteriori sviluppi nella tradizione neoplatonica (si veda infra. Parte seconda, III, 2); certo, è principalmente nuova la valorizzazione deU’infinitesimale, cui Hegel ha dedicato un ampio dibattito (5. 279-372); in maniera corrispondente, Hegel coglie nei valori irrazionali una trasgressione della sfera della finitezza, e perciò, in maniera del tutto diversa da Platone, qualcosa di positivo e di razionale (6. 536, cfr. Enz. 3, § 231, Nota). Tuttavia è interessante che, per Hegel, il valore del limite si possa «concepire come il medio fra un più grande e un più piccolo (die Mitte zwischen einem Größeren und Kleineren auffassen)».· si pensa subito all’algoritmo euclideo che, con ogni verosimiglianza, sta alla base del «Grande-e- Piccolo» di Platone (cfr. supra. III, nota 52).
18 5.231: «Einheit», «Vielheit der Eins».19 5.232: «Anzahl und Einheit machen die Momente der Zahl aus».20 L’idea platonica di una riduzione della molteplicità alla dualità, nella Seien-
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dere, questa generazione hegeliana del concetto di numero si svolge sul primo dei due livelli che vanno tenuti fermi in Platone: l’introduzione hegeliana del concetto di numero richiama la defin izione di num ero com e pluralità lim itata (da parte dell’unità), che è stata sicuramente formulata in spirito platonico21.
f) La deduzione delle forme fondamentali di calcolo
È interessante che Hegel, oltre Platone, ma costruendo sulla base dei suoi presupposti, tenti di spiegare a partire da questa struttura logica del numero un preciso dato di fatto, ossia il perché vi siano solo e proprio le tre forme fondamentali di calcolo dell’addizione (o della sottrazione), della moltiplicazione (o della divisione), e dell’elevazione a potenza (o del calcolo di radice): uno stato di cose che in matematica non viene mai fondato, ma semplicemente comunicato.
La spiegazione di Hegel, sul cui valore non occorre ora esprimere un giudizio, suona nei seguenti termini: nell’addizione, alla quale possono e devono essere ricondotte tutte le forme fonda- mentali di calcolo, ad esempio nell’operazione 3 + 4 , vengono raggruppati in un’unità diversi numeri: essi, in primo luogo, non sono identici l’uno all’altro nel loro valore, cioè nel momento della loro unità (3 * 4); quindi, in secondo luogo, e a maggior ragione, anche la quantità numerica degli addendi (2) non può essere identica ad un valore comune. Viceversa, nella moltiplicazione, ad esempio nell’operazione 3 -2 = 3 + 3, gli addendi sono identici, benché il valore della loro unità (3) sia ancora diverso dalla quantità numerica degli addendi (2). Infine, nel caso di un’elevazione al quadrato, che è la forma fondamentale di elevazione a potenza, i momenti dell’unità e della quantità numerica sono fra loro identici (32 = 3 ·3 = 3 + 3 + 3:in questa operazione
za della Logica di Hegel, non è propriamente «superata»; solo nello smascheramento da parte di Hegel del progresso quantitativo all’infinito, quale iterazione costante di due determinazioni (posizione del limite, superamento del limite), si potrebbe riconoscere una certa presenza del pensiero platonico (cfr. 5, 264 ss.; Enz.}, § 104, Nota). Si veda anche 6. 331, sul binomio come forma fondamentale, di volta in volta iterata, del polinomio.
21 Cfr. supra, III, nota 37.
vi sono tre addendi, e ciascuna volta hanno valore 3). Dunque, poiché nell’elevazione a potenza unità e quantità numerica sono portate ad identità, non si possono dare ulteriori forme di calcolo oltre all’elevazione a potenza: «L’uguaglianza ulteriore è quella dell’unità e della quantità numerica stessa; così, ha pieno compimento il procedere verso l’uguaglianza delle determinazioni, che stanno nella determinazione del numero»22.
3. Platone e Peano: analogie nell’introduzione aritmetica del numero
a) Gli assiomi di Peano per l’aritmetica
Solo alla fine del diciannovesimo secolo sono stati elaborati gli assiomi necessari a dimostrare le proposizioni dell’aritmetica, e per la precisione è stato il matematico italiano Giuseppe Peano a redigere i lavori decisivi in proposito23. In essi, risulta scomparso il desiderio di fondare gli assiomi in una qualche maniera filosofica: gli scritti di Peano sono studi puramente matematici, che mirano alla costruzione di un sistema di assiomi privo di contraddizioni, come si fece alla fine del secolo scorso anche per la geometria24.
All’interno di questo calcolo, gli assiomi sono indimostrati ed indimostrabili e i concetti fondamentali sono indefinibili; ma grazie ad essi, i teoremi possono essere dimostrati ed i restanti termini definiti. Peano fa uso di tre concetti fondamentali: «uno», «successivo», e «numero» (naturale); 1 è un elemento, N un insieme, e successivo una funzione ad un posto. I cinque assiomi recitano che (1) 1 è un numero, (2) ciascun numero ha un
22 5. 241: «Die weitere Gleichheit ist die der Einheit und der Anzahl selbst; so ist der Fortgang zur Gleichheit der Bestimmungen, die in der Bestimmung der Zahl liegen, vollendet»; cfr. Enz?, §102, Nota.
23 Cfr. Arithmetices principia nova metkodo exposita , 1889, in: Peano, Opere scelte..., II, 20-55. Qui però abbiamo ancora quattro concetti di fondo e nove assiomi. Nella trattazione, comparsa due anni più tardi, Sul concetto di numero, ivi, III, pp. 80-109, invece si trovano i classici tre concetti fondamentali e cinque assiomi, che ancor oggi vengono presentati in ogni manuale di aritmetica.
24 D. Hilbert, Grundlagen der Geometrie, Stuttgart 1899,196810.
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successivo, (3)1 non è successivo di nessun numero, (4) due numeri diversi non hanno lo stesso successivo, e (5) le proprietà che competono all 1, e che, se competono ad un numero, competono anche al suo successivo, competono a tutti i numeri (assioma dell’induzione matematica completa)25.
b) La «Diade» a livello aritmetico e il concetto di successivo
Lo spirito che si esprime in questi assiomi è, come abbiamo detto, uno spirito completamente diverso da quello presente nei tentativi di Platone, e di Hegel, di dedurre ontologicamente i numeri. Nondimeno, vai la pena di domandarsi quanto, nelle riflessioni platoniche relative alla generazione dei numeri, anticipi Peano. Va da sé che, per parte nostra, dobbiamo tenere d’occhio il secondo livello del modello platonico di generazione. Su tale Avello, Platone procede a partire anzitutto dal numero uno, generato dafl’Uno-principio-primo; al numero uno, poi, per mezzo della Diade indefinita, fanno seguito gli altri numeri. Ora, la Diade indefinita non ha la funzione di una iterata addizione; più che altro sembra che Platone, come abbiamo visto, abbia pensato ad una duplicazione26.
Una versione formalizzata degli assiomi di Peano si trova, per esempio, in A. Oberschelp, Aufhau des Zahlensystems, Göttingen 1968, p. 14 s.
26 Alessandro (M. Hayduck, Alexandri Aphrodisiensis In Aristotelis Metaphy- sica commentala, Berlin 1891, rist. 1956, p. 57,11. 24-28) riporta una concezione, secondo la quale i numeri dispari sarebbero generati per mezzo dell’addizione di un’unità ai numeri pari, generati per mezzo della Diade. Questa concezione è, in certa misura, una forma di concezione mista fra quella che Aristotele attribuisce a Platone e quella moderna di Peano, poiché secondo essa, nella generazione della metà dei numeri, svolge un determinato ruolo un’addizione iterata. Con ogni verosimiglianza Gaiser, Platons..., p. 363, n. 92, ha ragione ad interpretare il passo di Alessandro, contro Wilpert e con Robin e Ross, come non platonico. Del re- sto, Aristotele ha sostenuto la tesi in virtu della quale «il numero si conta per aggiunzione (άριθμεΐσθαι τον αριθμόν κατά πρόσθεσιν)» (Metaph. 1081 b 14); in altre parole, Aristotele ha sostenuto che i numeri si costituiscono per mezzo di un addizione iterata: la frase precedente continua così: «come la diade per aggiunzione all uno di un un altro uno, e la triade per aggiunzione di un altro uno a questi due, e la tetrade allo stesso modo (otov τήν δυάδα upoç τφ évi άλλου evo? toîç δυσι npoTeGevToç, καί τήν τριάδα άλλου évos- toîs- 6υσ! tipo* τίθέντος·, και τήν τετράδα ώσαΰτως·)». Su questo punto, Aristotele si avvicina a Peano più di Platone.
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Ma anche se la Diade indefinita ha nel suo contenuto un significato diverso rispetto al concetto di successivo di Peano, tuttavia la sua funzione risulta, da un punto di vista formale, sbalorditivamente simile a quella di quest’ultimo: la Diade indefinita «genera» a partire dal primo numero, cioè a partire dall’uno, tutti i numeri, anzitutto il due, ma anche tutti i numeri restanti.
Peano fa uso di tre concetti fondamentali; due di essi, il concetto di numero ed il concetto di uno, si trovano in Platone con10 stesso significato; per quanto riguarda il terzo concetto, ossia11 concetto di «successivo», Platone ha comunque qualcosa che gli corrisponde, con una funzione formalmente simile.
Fra l’altro è degno di nota che il concetto di successivo di Peano sia, fra i suoi concetti fondamentali definiti implicitamente, l’unico a due posti, e quindi l’unico ad esprimere una relazione (cioè una funzione); e, analogamente, anche la Diade indefinita è, in Platone, l’origine di tutte le relazioni, mentre i predicati ad un posto, nella dottrina accademica delle categorie, venivano ricondotti aU’Uno-principio-primo27.
Peano riesce a definire esplicitamente tutti i numeri tramite i suoi tre concetti fondamentali: ad esempio, definisce il due come successivo dell’uno, il tre come successivo del due, e così via28; anche l’addizione, la sottrazione, e così via, si possono definire con i tre concetti, in modo ricorsivo; e si dovrà concedere anche a Platone, che egli si trovava sulla via migliore per ricondurre la molteplicità infinita dei numeri naturali a due concetti fondamentali: all’uno, come principio della serie numerica, e ad un’operazione che, qualunque forma abbia avuto, era in ogni caso da iterarsi.
c) Tangenze nella concezione dell’uno
Degli assiomi di Peano, la matematica antica ha anticipato, in quanto al senso, almeno i primi tre. Il terzo assioma, fra l’altro,
27 Cfr. supra, III, nota 49.28 A proposito di questo tipo di definizione dei numeri (una definizione ove
l’uno resta indefinito ed indefinibile), si veda già Leibniz, Nouveaux Essais sur l'Entendement Humain, IV, 7 (spec. vol. 5, p. 394, dell’edizione canonica a cura di C. J. Gerhardt, Die philosophische Schriften von G. W. Leibniz, Berlin 1875- 1890, rist. Hildesheim 1960).
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conferisce un senso profondo all’antica esitazione ad annoverare l’uno fra i numeri. Infatti, anche per Peano l’uno, sebbene sia espressamente un numero, purtuttavia è contraddistinto da una proprietà che fra i numeri naturali spetta solo a lui: avere un successivo, ma non essere nessun successivo29.
E in effetti, appunto questo è stato indicato, già nell’epoca antica, come fondamento della peculiare posizione dell’«unità» o «monade» (μονά?). NeìY Aritmetica di Nicomaco, si dice: «unicamente l’unità, poiché non ha un numero da entrambe le sue parti, è la metà dell’unico numero che le sta accanto: dunque l’unità è per natura principio di tutto»30.
d) Vicinanza concettuale a dispetto della distanza cronologica
Si potrebbe dire che il concetto di successivo di Peano è il successore storico della Diade indefinita di Platone. E non si esagererà a dire che anche in aritmetica, e non solo in geometria, Platone e l’Accademia si sono avvicinati alle ricerche assiomatiche della matematica moderna molto di più di quanto sia capitato in qualunque altro periodo intermedio fra la loro epoca e quella moderna. In effetti, la storia della ricerca matematica sui fondamenti mostra essenzialmente due punti culminanti, l’uno intorno al 350 avanti Cristo, e l’altro introno al 1900 dopo Cristo: un dato di fatto che, nella storia delle scienze esatte, è quanto meno singolare.
29 Anche in Dedekind, Was sind und was sollen..., p. 395, l’uno viene caratterizzato prima degli altri numeri «come elemento fondamentale di N (als Grundelement von N)».
30 Nicomaco, Intr. arithm. I 8, p. 14, 11. 16 ss. Hoche: «μονωτατη δέ ή μονά? διά tò μή έχειν έκατέρωθεν αύτήν δύο άριθμού? ένό? μόνου του παρακειμένου ήμισύ? έστιν άρχή dpa πάντων φυσική ή μονά?». Diversa- mente dall’uno, gli altri numeri sono la metà della somma dei loro due numeri vicini. Per i Greci, sarebbe stato impossibile interpretare l’uno come successivo dello zero.
4. Viatone e Leibniz: la riduzione della molteplicità a dualità el'eccellenza del sistema binario
a) Platone fra sistema binario e sistema decadico
Platone ha cercato di ricondurre il concetto di numero a due principi. Ha fissato uno di questi principi nella dualità, poiché per lui la dualità costituiva la forma fondamentale e il primo modo di presentarsi della molteplicità31. In corrispondenza a ciò, Platone si figurava la generazione dei numeri come una specie di «diairesi» duale. Inoltre, anche nella divisione dei concetti, Platone ha optato, dove fosse possibile, per la dicotomia32. Pure in questo Platone è sorprendentemente moderno. Infatti, gli schemi binari ricostruiti da Stenzel, da Becker, e da altri, richiamano vistosamente gli «alberi grafici» moderni33, anche e proprio per quanto riguarda il numero fondamentale del sistema. Ad esempio, oggi il concetto di informazione viene d’abitudine introdotto mediante codici binari34, ed i computers operano di regola sulla base di un sistema binario. Sicuramente, l’idea di un sistema binario (in cui 1 = 1, 10 = 2, 100 = 4) è rimasta estranea a Platone, ma si può affermare che essa si colloca
31 Cfr. anche Rickert, Das Eine, die Einheit..., p. 67: «L’unità di questo uno e di un altro quantum uguale ad esso ... è, quindi, la più piccola pluralità numerica ossia il due. (Die Einheit dieses einen und eines andern, ihm gleichen Quantums ... ist dann die kleinste Mehrzahl oder die Zwei)»; «nella serie dei numeri interi nessun numero diverso dall’uno può essere più piccolo del due, oppure il due deve essere il più piccolo di tutti i numeri interi che sono più grandi di uno (daß in der Reihe der ganzen Zahlen keine vor der Eins verschiedene Zahl kleiner als die Zwei sein kann, oder daß die Zwei von allen ganzen Zahlen, die größer als die Eins sind, die kleinste sein muß)».
32 Si vedano, ad esempio, le diairesi presenti nel Sofista e nel Politico. La divisione dicotomica è oggetto di esplicita richiesta in Sof. 265 E-F, Poi. 262 B ss., 265 C, 266 As.
33 Già O. Becker, Die diairetische Erzeugung..., p. 466, presentava un’associazione analoga a questa, ma per respingerla.
34 Cfr. ad esempio A. Seiffert, Information über Information, München 1968, p. 35 ss.: La codificazione binaria (Die binäre Codierung); p. 47 ss.: Scelte uno-zero: l'albero grafico (Null-Eins Entscheidungen: Der graphische Baum). A proposito del sistema binario basato su un logaritmo a due come fondamento del concetto di informazione si veda, inoltre, N. Wiener, Kybernetik, Düsseldorf-Wien 1963, p. 104 ss.
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nell’ambito delle conseguenze della sua concezione. È comunque un fatto che Platone, dando una particolare contraddistin- zione alla Decade, ha fornito allo stesso tempo un’apparenza di fondazione alla presunta naturalezza del sistema decadico; ed è interessante che uno dei primi ad aver articolato un sistema numerico su base non decadica, cioè Erhard Weigel, in certa misura combatta Platone con strumenti platonici. Certo, Weigel discute più che altro con Aristotele. Weigel rileva che, ad esempio, nella dottrina delle quattro cause e in quella dei quattro elementi, ma anche nella Tetrade punto-linea-superficie-corpo, la Tétrade svolge un ruolo significativo, e quindi propone come sistema «più naturale» un sistema tetradico35. Ovviamente, la Tetrade e la Decade, quali numeri «contraddisitinti» da un punto di vista filosofico, rimandano a Platone (e, oltre a lui, ai Pitagorici). Fra questi due numeri, sussisteva uno stretto legame, in quanto la superiorità della Decade era fondata in virtù del fatto che essa costituiva la somma dei primi quattro numeri36.
b) Il sistema binario di Leibniz
Com’è noto, superando Weigel, è stato Leibniz a progettare il sistema più semplice, ossia quello binario. È da supporre che al-
35 E. Weigel, Tetractys, Jena 1673, spec. p. 37 ss. Si veda, in aggiunta, H. J. Zacher, Die Hauptschriften zur Dyadik von G. W. Leibniz. Ein Beitrag zur Geschichte des binären Zahlensystems, Frankfurt 1973, p. 31 s.: «Alla ricerca di una “semplificazione” della dottrina peripatetica della dieci categorie, egli (seti. Weigel) si imbattè nel fatto che lo stesso Aristotele talvolta parla di soli quattro principi fondamentali. Poiché la tetrade si trovava anche in natura (punti cardinali, stagioni, elementi, e altro), Weigel dubitò della “naturalezza” della decade, che causava difficoltà tanto grandi in filosofìa come in matematica. Egli unì, di conseguenza, la tetrade aristotelica con un sistema matematico tetradico conducente alla Tetractide, articolato a partire dai tre “divisores vicarii” complementari dello zero... (Auf der Suche nach einer “Vereinfachung” der peripatetischen Lehre von den 10 Kategorien stieß er [seil. Weigel] darauf, daß Aristoteles selbst zuweilen von nur 4 Grundprinzipien spricht. Da sich die Vierzahl auch in der Natur fand [Himmelsrichtungen, Jahreszeiten, Elemente u. a.], zweifelte Weigel an der “Natürlichkeit» der Zehnzahl, die sowohl in der Philosophie wie auch in der Mathematik so große Schwierigkeiten verursachte. Er verband deshalb die Vierzahl bei Aristoteles mit einem mathematischen Vierersystem, entwickelt aus den um die Null ergänzten drei “divisores vicarii”, zur Tetractys...)».
36 Cfr. supra, III, 4, (e).
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tri sistemi numerici non decadici, allora circolanti, abbiano influenzato Leibniz in misura maggiore rispetto a quello di Weigel37. Tuttavia Leibniz, nei suoi scritti diadici, si riferisce principalmente a Weigel. «Noi siamo abituati» — scrive Leibniz all’elettrice Sophie di Hannover nel 1706, forse in aprile — «a ricominciare da capo le cifre, una volta giunti fino a dieci. Alcuni giungono fino a dodici, e altri solamente fino a quattro, per imitare la “tetractide” di Pitagora. Per parte mia, ho voluto vedere ciò che accade, se si giunge solo fino a due.. .»38. E in un altro scritto si legge: «E come alcuni, ad esempio, iniziano da capo una volta giunti a quattro, e adoperano solo i caratteri 0, 1 ,2 , 3, così ho ritenuto la cosa più semplice e più consona alla natura e all’origine prendere di nuovo inizio, più che altro, una volta giunto a due\ occorrono pertanto solo i due caratteri 0 e l » 39. Qui viene espressamente avanzata la pretesa che il sistema diadico sia il più semplice e perciò il più naturale: una pretesa in cui, in Leibniz, ci si imbatte con una certa frequenza40. Com’è noto
37 Secondo lo studio approfondito ed estremamente informativo di Zacher, Die Hauptschriften zur Oyadik von G. W. Letbniz..., ove sono contenuti in un appendice i più importanti scritti di Leibniz sulla diadica non ancora pubblicati, «la relazione della diadica» di Leibniz «con un sistema a dodici» è «decisamente più stretta ... che non con la Tetractide di Weigel (die Beziehung der Dyadik zu einem Zwölfersystem wesentlich enger ist als zur Tetractys von Weigel)» (p. 21, cfr. p. 33).
38 La lettera è stata pubblicata per la prima volta da Zacher, Oie Hauptschriften zur Dyadik von G. W. Leibniz..·, pp. 353-355; qui si cita dalla p. 353 s.: «Nous sommes accoustumés à recommencer les chiffres (,) quand nous sommes allés jusq’à dix. Quelques uns sont allés jusq’à 12, et d’autres seulement jusq’à quatre, pour imiter le Tetractys de Pythagore. Pour moi j’ay voulu voir ce qui ar- riveroit, si on n’alloit que jusq’à deux...».
39 Leibniz, Mira numerorum omnium expressio per 1 et 0, scritto nel maggio 1696, forse il giorno 17, pubblicato per la prima volta in Zacher, Die Haupt- schriften zur Dyadik von G. W. Leibniz..., pp. 225-228; qui si cita dalla p. 225 (che corrisponde alla p. 229 s. della versione tedesca, Wunderbarer Ursprung aller Zahlen aus 1 und 0, risalente, forse, al 18 maggio 1696, e contenuta sempre nello studio di Zacher, alle pp. 229-234): «Et quemadmodum aliqui rursus incipiunt ubi ad quatuor perventum est, et adhibent tantum characteres 0, 1, 2, 3. Ita sim- plicissimum et naturae atque origini maxime consentaneum iudicavi, potius inci- pere denuo ubi pervenitur ad duo·, itaque duobus tantum opus est characteribus 0 et 1».
40 Si veda, ad esempio, Explication de Tarithmetique binaire..., in: Leibniz, Mathematische Schriften, a cura di C. J. Gerhardt, voi. 7, Halle 1863, rist. Hildes-
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Leibniz, che si figura la costruzione dei singoli numeri in maniera non platonica, però moderna, come una specie di addizione iterata41, ha tentato di valorizzare la sua diadica anche da un punto di vista filosofico: a suo avviso, i due segni 0 e 1 rimandano alla creazione divina dal nulla42. In Leibniz comunque non ha luogo, a quanto vedo, alcun richiamo alla contraddistinzione della diade già presente nella tradizione platonico-pitagorica, analogo, ad esempio, al riallacciarsi da parte di Weigel alla te- tractide pitagorica. Leibniz ha più che altro scoperto un precursore della sua concezione nello I Ching43. Tuttavia, attraverso
heim 1962, pp. 223-227, spec. 223 s.: «Ma in luogo della progressione di dieci in dieci, ho poi impiegato da molti anni la progressione più semplice di tutte, che procede di due in due, poiché ho trovato che essa è utile alla perfezione della scienza dei numeri. (Mais au lieu de la progression de dix en dix, j’ai employé depuis plusieurs anneés la progression la plus simple de toutes, qui va de deux en deux, ayant trouvé qu’elle sert à la perfection de la science des Nombres)»; p. 225: «che, essendo stati ridotti i numeri ai principi più semplici, come lo 0 e Γ1, apparve dappertutto un ordine meraviglioso (que les nombres étant réduits aux plus simples principes, comme 0 et 1, il paroit partout un ordre merveilleux)».
41 Si veda, ad esempio, il De Dyadicis, in: Leibniz, Mathematische Schriften..., pp. 228-234, spec. 228: «ogni numero può essere espresso in modo diadico, non usando altri segni oltre 0 e 1. Infatti, poiché ogni numero si forma per addizione continua di unità, e un’unità aggiunta ad un’unità fa 10 ... (Omnis Numerus dyadice potest exprimi, nullas alias adhibendo notas quam 0 et 1. Nam cum omnis numerus fiat additione continua unitatum, et unitas unitati addita faciat 10...)». Cfr. supra, nota 28.
42 In merito si consulti Zacher, Die Hauptschriften zur Dyadik von G. W. Leibniz..., pp. 34-55.
43 In questo classico dell’arte oracolare cinese, di cui Leibniz apprese resistenza e il contenuto attraverso il padre gesuita J. Bouvet, vengono svolti 64 esa- grammi che, come dice il nome, si compongono appunto di sei linee; ciascuna linea è però o spezzata o intera; si hanno dunque a disposizione due diversi segni, dalla combinazione dei quali in unità di sei linee risultano 26, cioè 64, esagrammi. Sull’entusiastica recezione da parte di Leibniz dello I Ching, si vedano: Zacher, Die Hauptschriften zur Dyadik von G. W. Leibniz..., pp. 72-115; A. Zempliner, Leibniz und die chinesische Philosophie, «Studia Leibnitiana», Supplémenta V, Wiesbaden 1971, pp. 15-30, spec. 24 s. Varrebbe certo la pena confrontare dettagliatamente la dottrina platonica dei due principi e quest’opera cinese nel senso di una storia della filosofia comparata, tanto più che i due segni dello I Ching sono chiamati ad esprimere i principi ontologici Yang e Yin: la duplicità dei segni del sistema binario si connette quindi alla duplicità dei principi, e non al fatto die un principio rappresenti una dualità. Certo, un simile confronto, perché porti a risultati seri, presuppone buone conoscenze sul contesto culturale di entrambe le teorie. All’autore di questo saggio non è dunque possibile operarlo.
Weigel, si può seguire all’indietro, fino a Platone, una linea di tradizione almeno implicita, poiché resta da attribuire a Platone il merito di aver riconosciuto per primo la dualità come forma semplicissima e fondamentale di molteplicità. Quindi, se Platone avesse avuto conoscenza della possibilità di altri sistemi numerici, avrebbe certo optato, per ragioni filosofiche, a favore di quello diadico44.
c) Sistema binario, dicotomie e teoria evoluzionistica
Abbiamo già ricordato che Platone, sulla base del significato della Diade, predilige nella divisione dei concetti le dicotomie. Che ciò, formalmente, sia sempre possibile, si può capire con facilità: ad esempio, tre membri si possono sempre ordinare secondo il modello 1, 2.1, 2.2. Eppure si impone la domanda se divisioni del genere siano, anche dal punto di vista dei contenuti, sensate e fruttuose. E com e noto, Aristotele ha polemizzato violentemente contro l’opzione platonica a favore delle dicotomie, nella divisione dei generi biologici in specie45. I suoi argo-
44 II problema della possibilità che un sistema numerico sia contraddistinto anteriormente ad un altro viene comunque discusso ancora nella Philosophie der Arithmetik di Husserl (p. 235 ss., Die Wahl der Grundzahl des Systems), Husserl propende verso il sistema diadico, in quanto sistema più semplice: «Se dunque il principio più alto fosse la richiesta del minor numero di elementi possibile, allora la scelta x=2 avrebbe chiaramente il più grande vantaggio. (Wäre also die Forderung einer möglichst geringen Elementzahl das oberste Prinzip, dann hätte offenbar die Wahl x=2 den größten Vorzug)»; di seguito, però, Husserl ritiene valide alcune obiezioni pratiche contro questo sistema: obiezioni che, peraltro, non colgono incondizionatamente nel segno.
45 Soprattutto in Depart. An. A 2-3; cfr. 642 b 5 ss. «Alcuni giungono al particolare dividendo il genere in due differenze. E questo, in alcuni casi, non è facile, e in altri è impossibile (Λαμβάνουσι δ ’ ένιοι t ò καθ’ έκαστον, διαιρούμε- voi t ò γένος· εΐ? δύο διαφορά?. Τούτο δ ’ έοτί τη μέν ού £>άδιον, τη δε άδύνατον)»; 642 b 17 s.: «si può dire che la divisione in due è sconsiderata (ή εΐ? δύο διαίρεσι? μάταιο? άν εΐη)»; si vedano inoltre: 643 a 16 ss., 643 b 10 s., 644 b 19. Per una critica in linea di principio, da parte di Aristotele, alla dottrina accademica della diairesi, si veda anche An. post. B 13, spec. 96 b 15 ss. E chiaro che Aristotele qui intende rivolgersi a Platone, e a Speusippo; si legga W. Kullmann, Wissenschaft und Methode, Berlin-New York 1974, pp. 54 ss., 342 ss. Peraltro Krämer, Grundbegriffe akademischer Dialektik in den biologischen Schriften von Aristoteles und Theophrast, «Rheinisches Museum», 111 (1968), pp.
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menti, nei quali qui non ci si può addentrare, sono in buona parte acuti. A loro favore, poi, depone il fatto che Platone medesimo, nella divisione delle specie viventi, usa con una certa frequenza tricotomie46. In effetti, un genere ha di norma più di due specie: una famiglia, una classe, e così via, ha più di due generi, più di due famiglie e via dicendo47. D ’altronde, mi sembra che meriti di essere ricordato, nel contesto di questo lavoro, il fatto che la teoria evoluzionistica abbia prodotto una certa riabilitazione della teoria platonica. E credo che lo si possa dire anche se, fino ad oggi, il rapporto fra sistematica e filogenetica è ancora oggetto di discussione48. Ad esempio, in un’esposizione diffusa della teoria evoluzionistica si legge che «l’esposizione grafica di questo sistema», ossia del sistema evoluzionistico, «non è più quella di una scala gerarchica ad una fila, ma è lo schema di un albero genealogico ramificato in modo dicotomico»49. Questo si rivela di interesse tanto maggiore, quanto più si
293-333, ha mostrato che i fondamenti filosofici della biologia aristotelica presuppongono in molti punti l’esoterica platonica.
46 Ad esempio, in Tim. 39 E-F, e Leg. 823 B, ove si parla di animali di terra, d’acqua e d’aria.
47 Anche Hegel, per il quale le dicotomie, come per Platone, sarebbero di per sé «più consone al concetto (am begriffgemäßesten)», concede che nella natura un genere comprende, di norma, più di due specie, e spiega questo fatto sulla base della contingenza della natura: «In natura si trovano certo più di due specie entro un genere ... È questa l’impotenza della natura: non poter tener fermo né manifestare il rigore del concetto, e smarrirsi in questa cieca molteplicità priva di concetto. (In der Natur finden sich freilich in einer Gattung mehr als zwei Arten ... Es ist dies die Ohnmacht der Natur, die Strenge des Begriffs nicht festhalten und darstellen zu können und in diese begrifflose blinde Mannigfaltigkeit sich zu verlaufen)» (6. 282) Tuttavia, almeno nelle macrodivisioni, Hegel opta per le dicotomie: cfr. Enz.}, $ 280, Aggiunta (9. 133), § 368 con Aggiunta (9. 500 s., 508 s.).
48 Basti vedere: W. Zimmermann, Methoden der Phylogeneiik, in: G. Heberer (curatore), Die Evolution der Organismen, 2 voll., Stuttgart 1959, p. 76: Systematik und Phylogenetik·, e anche il libro fondamentale di W. Hennig, Phylogenetic Systematics, Urbana-Chicago-London 1979.
49 R. Slewing, Biologische Evolution. Einführung in die Problematik, in: Id. (curatore), Evolution, Stuttgart-New York 1978, pp. 95-118, spec. 103: «die graphische Darstellung dieses Systems ist nicht mehr die einer einreihigen Stufenleiter, sondern das dichotom verzweigte Stammbaumschema». Fra l’altro, accanto alla dicotomia, nella sistematica filogenetica svolge un grande ruolo anche il concetto di radiazione; sul rapporto fra questi due concetti, si veda Hennig,
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considera che Platone, ben diversamente da Aristotele, ma secondo il modello di Empedocle, sembra essersi avvicinato ad idee evoluzionistiche: si pensi solo alla concezione, guarnita di ironia, di una «evoluzione inversa» alla fine del Timeo30. Vediamo dunque che, anche nella sua applicazione alla filosofìa del reale, la concezione di Platone per cui la dualità è origine della molteplicità è meno astrusa e ben più moderna di quanto possa sembrare a prima vista.
5. Platone e Brouwer: la fondazione del numero sulla pura dualitànella radicale differenza di orientamento filosofico
a) Platone e la moderna filosofìa della matematica
Ai punti 3 e 4 abbiamo indicato alcune corrispondenze nel dettaglio fra la matematica moderna e la concezione platonica dell’origine dei numeri. Allo stesso modo, ora intendiamo mostrare che anche nella moderna filosofìa della matematica si trovano pensieri che si avvicinano alla concezione platonica fin nelle loro particolarità. In questa sede, non mi preoccupa il problema più generale di un «platonismo in matematica», quale si può trovare nel primo Russell o in Whitehead51. Desidero solo suscitare l’attenzione su uno stato di cose, che finora non si è ancora notato, ossia che le riflessioni di Brouwer relative ai fondamenti della matematica roteano intorno ad una «duità» (two-ity), che è chiamata a ricoprire una funzione del tutto corrispondente alla Diade platonica.
b) L. E. J. Brouwer
Il grande m atem atico olandese Luitzgen Egbertus Jan
Phylogenetic Systematic*..., pp. 209-216: Dichotomy and Radiation. Devo un ringraziamento a Siegfried Roth per numerosi riferimenti in questo campo.
50 90 E ss.51 Cfr. A. N. Whitehead, Mathematics and the Good, in: P. A. Schilpp (curato
re), The Philosophy o f A. N. Whitehead, New York 1941, 19512, pp. 666-681; e nell’opera dello stesso Whitehead, Science and Philosophy, New York 1948, pp. 105-121. Whitehead, all’inizio del suo saggio, allude aÙa conferenza pubblica di Platone Sul Bene, ma concretamente non affronta la dottrina esoterica di Platone, neppure per quanto concerne il suo aspetto matematico.
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Brouwer (1881-1966) è, com’è noto, uno dei più brillanti ed originali sostenitori dell’intuizionismo, o meglio del neo-intuizionismo, cioè di una delle tre più importanti posizioni all’interno della filosofìa della matematica del nostro secolo (le altre due sono logicismo e formalismo). Qui non posso preoccuparmi di esporre anche solo i pensieri più importanti di Brouwer, come ad esempio la sua famosa critica al principio del terzo escluso ed il rifiuto, che ne risulta, della dimostrazione indiretta. Mi limito piuttosto ad un’illustrazione sulla sua concezione dell’origine delle entità matematiche52.
c) La generazione dei numeri a partire dalla «vuota duità»opposta all’unità
Secondo Brouwer, il primo atto dell’intuizionismo separa completamente la matematica dal linguaggio matematico. Questo atto coglie la matematica come un’attività dello spirito priva di linguaggio, a fondamento della quale sta la percezione di un movimento nel tempo, che scinde un momento di vita in due parti, la prima delle quali viene trattenuta nella memoria53. Ora, se questa dualità viene spogliata di tutte le qualità, rimane semplicemente «il sostrato comune di tutte le duità, la creazione mentale della vuota duità»54. Questa vuota dualità, ed entrambe le unità di cui consta, costituiscono i sistemi matematici fonda-
52 Per un’esposizione complessiva sull’intuizionismo si veda, ad esempio: A. Heyting, Intuitionism. An Introduction, Amsterdam 1956, 19713.
53 Si veda, ad esempio, Points and Spaces, del 1954, ora in: L. E. J. Brouwer, Collected Works, vol. I: Philosophy and Foundations of Mathematics, a cura di A. Heyting, Amsterdam-Oxford 1975, pp. 522-538, spec. 523. Nella deduzione della matematica, cioè, anzitutto, dei numeri, a partire dal concetto di tempo, Brouwer ricorda Kant (cfr. Kritik der reinen Vernunft, A 142 s.-B 182; Prolegomena, § 10); certo, come osserva P. Bemays, On Platonism in Mathematics, in: P. Be- nacerraf-H. Putnam (curatori), Philosophy of Mathematics, Oxford 19832, pp. 258-271, spec. 264: «Brouwer riconosce solo l’intuizione del tempo (Brouwer acknowledges only the intuition of time)», mentre in Kant è ancora costitutiva per la matematica, cioè per la geometria, anche l’intuizione dello spazio. «Nella scienza, l’unico elemento a priori è il tempo (The only a propri element in science is time)» — scriveva Brouwer già nella sua dissertazione del 1907, che suscitò grande scalpore, Over de grondslagen der wiskunde (traduzione inglese: On the Foundations of mathematics, in: Id., Collected Works..., pp. 11-101, spec. 61).
54 Brouwer, Points and Spaces..., p. 523: «the common substratum of all two- ities, the mental creation of the empty two-ity».
mentali55; e, per la precisione, vengono anzitutto generati i numeri naturali. Brouwer presenta questa generazione nei suoi particolari, in modo che la dualità stessa venga colta «come uno dei membri della nuova dualità». «Con ciò si ottiene» dice Brouwer — «la trialità temporale, e così via. In questa maniera, mediante un autosvilupparsi del fenomeno intellettuale originario, ha origine l’apparente successione temporale di qualunque molteplicità»56. È di importanza decisiva il pensiero di una «reiterazione di questo fenomeno della duita»57. Per suo tramite, Brouwer riesce ad ottenere l’infinitudine dei numeri naturali, ma anche quella di tutte le altre entità matematiche (almeno così pretende Brouwer, in assenza di argomentazioni più precise in merito). «È questo sostrato comune di tutte le dualità a formare l’intuizione originatici della matematica·, il cui autosvilupparsi introduce fra l’altro l’infinito come realtà di pensiero, e per la precisione procura, in una maniera che qui non è da discutersi più puntualmente, anzitutto il complesso dei numeri naturali, poi quello dei numeri reali, ed infine l’intera matematica pura»58. Ora, secondo Brouwer, a questo primo atto dell’intuizionismo
55 Espressioni analoghe si trovano nel saggio del 1952: Historical background, principles and methods of intuitionism, in: Brouwer, Collected Works..., pp. 508- 515, spec. p. 510: «Se la duità, nata così, è svestita di ogni qualità, rimane la vuota forma del sostrato comune di tutte le duità. Ed è questo sostrato comune, questa forma vuota, che costituisce l'intuizione di base della matematica. (If the two-ity thus bom is divested of all quality, there remains the empty form of the common substratum of all twoities. It is this common substratum, this empty form, which isthe basic intuition of mathematics)» .
56 Mathematik, Wissenschaft und Sprache, del 1929, in: Brouwer, Collected Works..., pp. 417-428, spec. 417: «als eines der Glieder einer neuen Zweiheit», «womit die zeitliche Dreiheit geschaffen ist, usw. In dieser Weise entsteht mittels Selbstentfaltung des intellektuellen Urphänomens die zeitliche Erscheinungsfolge beliebiger Vielfachheit». Sulla concezione di autosviluppo della dualità, cfr. anche: Kichtlijnien der intuitionistische wiskunde, del 1947, tradotto in inglese ivi, p. 477.
57 Consciousness, Philosophy, and Mathematics, del 1948, ivi, pp. 480-494, spec. 480: «reiteration of this two-ity phenomenon».
58 Mathematik, Wissenschaft und Sprache..., p. 418 s.: «Es ist dieses gemeinsame Substrat aller Zweiheiten, das die Urintuition der Mathematik bildet, deren Selbstentfaltung u. a. das Unendliche als gedankliche Realität einfuhrt, und zwar in hier nicht näher zu erörtender Weise zunächst die Gesamtheit der natürlichen Zahlen, sodann diejenige der reellen Zahlen und schließlich die ganze reine Mathematik liefert».
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se ne unisce un secondo; all’interno di questo secondo atto sono in questione, fra l’altro, i predicati che vengono attribuiti o negati alle entità matematiche. In questo contesto, diviene importante la categoria dell’uguaglianza. In altre parole, i predicati matematici devono soddisfare la condizione per cui «se valgono per una determinata entità matematica, valgono anche per tutte le entità matematiche che sono state definite uguali ad essa, dovendo essere l’uguaglianza simmetrica, riflessiva, e transitiva»59. Ovviamente, non si può istituire in nessun caso uguaglianza fra la vuota dualità e la vuota unità: fra queste due sussiste un dualismo non mediabile. La frase appena citata continua come segue: «.. .e poiché alla vuota duità è vietato essere egualizzata ad una vuota unità»60.
d) Intuizionismo e ontologia platonica
Si riconosce con facilità quanto del materiale appena citato sia fondamentalmente platonico: il significato di una «vuota duità», che mediante un iterato «autosvilupparsi» genera i numeri naturali, ma anche le altre entità matematiche61, e, allo stes-
59 Points and Spaces..., p. 523: «if they hold for a certain mathematical entity, they also hold for all mathematical entities which have been defined to be equal to it, equality having to be symmetric, reflexive, and transitive».
60 Ibid. : «... and the empty two-ity being forbidden to be equalized to an empty unity».
61 Qui vediamo ancora una volta, per così dire con distanza storica, che il concetto di «Diade indefinita» ha in tutto e per tutto la forza di risolvere la restrizione del concetto di numero ai numeri naturali, che è patrimonio della matematica greca: la «Diade indefinita» assicura, infatti, una certa continuità fra i numeri naturali maggiori di uno e, appunto, i valori irrazionali. E’ interessante che anche il concetto che Platone usa come sinonimo della «diade indefinita», cioè il «Grande-e-Piccolo», sia da cogliersi nel suo sviluppo storico ancora in un autore del diciannovesimo secolo, e proprio come principio di valori razionali ed irrazionali; penso a F. Herbart, nella cui opera (Sämtliche Werke, a cura di G. Hartenstein, vol. VI: Schriften zur Psychologie. Zweiter Theil, Leipzig 1850: Psychologie als Wissenschaft, neu gegründet auf Erfahrung, Metaphysik und Mathematik. Zweiter, analytischer Theil, p. 150) si legge: «Infine, il concetto propriamente scientifico di numero è tale da non essere altro se non quello del più e del meno, e quindi non accoglie solo tutte le frazioni, ma anche tutte le grandezze irrazionali: esso ha un’origine ancora precedente rispetto ai numeri interi. (Endlich der eigentlich wissenschaftliche Begriff der Zahl, welcher kein andrer als der des Mehr und Minder, und dabei empfänglich ist nicht nur für alle Brüche, sondern auch für
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so modo, il dualismo di unità e dualità. Ciò risulta tanto più sorprendente, quanto più si considera che rintuizionism o di Brouwer si definisce attraverso l’opposizione al platonismo della matematica classica62. Brouwer rifiuta decisamente l’ontologiz- zazione delle entità matematiche: a suo avviso, esse sono prodotte da un atto psicologico di coscienza, con cui, tendenzialmente, vengono anche identificate. A questo psicologismo appartiene il continuo porre in risalto il significato del tempo in rapporto all’intuizione matematica. Viceversa è chiaro che, per Platone, non solo la matematica non ha niente a che fare con la temporalità, ma le entità matematiche sono l’esatto contrario del temporale, cioè sono eterne. (Almeno la negazione da parte di Brouwer, diretta contro Kant, dello spazio come intuizione a priori per la matematica, collega Brouwer a Platone, sia pure in maniera negativa, in quanto a suo avviso l’aritmetica dev’essere articolata puramente a partire da se stessa, senza alcun rimando a rappresentazioni geometriche). Ancora più lontano da Platone si colloca l’orientamento di Brouwer ispirato alla filosofìa della vita63. Brouwer non vuole solo cogliere la matematica primariamente come fenomeno storico; egli la concepisce espressamente al servizio della vita, «come atto di volontà al servizio dell’istinto di autoconservazione del singolo uomo»64.
e) Una mediazione hegeliana?
Tuttavia, non bisogna misconoscere che, soprattutto nella descrizione concreta del primo atto intuizionistico, Brouwer si av
alle irrationale Grössen: dieser ist von noch früherem Ursprung als die ganzen Zahlen)». Certo, il concetto herbartiano di numero è separato da quello platonico da mondi e mondi, perché, in primo luogo, viene fondato psicologicamente e, in secondo luogo, proprio per questo motivo, prende inizio dalla molteplicità e non dall’uno (cfr. ivi, p. 148 ss.).
62 La matematica greca concorda però con l’intuizionismo nel rifiuto di un infinito attuale.
63 Si veda, ad esempio, lo scritto giovanile di Brouwer: Leen, Kunst en Mystiek, pubblicato a Delft nel 1905, e tradotto parzialmente in inglese in: Id., Collected Works,.., pp. 1-10.
64 Mathematik, Wissenschaft und Sprache..., p. 417: «als Willensakt im Dienste des Selbsterhaltungstriebes des einzelnen Menschen». Cfr. Id. Consciousness, Philosophy, and Mathematics, cit.
Hvicina fin nei particolari alle concezioni del Platone esoterico: e di questo egli, certo, non era cosciente. Ciò si può spiegare, prima di tutto, per necessità di cose. È possibile, però, che vi sia un influsso mediatore, e precisamente un influsso mediatore che passa per Hegel. In ogni caso, a piena ragione F. Kambartel65 ha voluto vedere nella filosofìa della matematica di Brouwer molto più Hegel che Kant66, e ha avanzato il sospetto che «l’intuizionismo ... poggi essenzialmente su una certa recezione di Hegel, che troverebbe un mediatore adeguato nel Neohegelismo olandese»67 68: un sospetto che Kambartel rinforza rimandando ad un’opera aritmetica olandese di quei tempi, ove il concetto di numero veniva introdotto proprio in maniera hegeliana. In effetti, le riflessioni di Brouwer esposte in precedenza non possono nascondere un certo nesso con la tradizione idealistico-specula- tiva, nonostante la veste psicologistica, in cui compaiono (anziché un’entità ideale, ontica, com’era la Diade di Platone, la «duità» di Brouwer è, infatti, un atto psicologico). In modo felice, quindi, Kambartel ha intitolato il paragrafo sull’intuizionismo presente nel suo saggio Matematica dell’Identità e Psicologismo**: con questo sono indicati con pregnanza i due momenti dell’intuizionismo, che si trovano fondamentalmente in tensione contraria; ed il primo momento rimanda dietro di sé, attraverso Hegel, fino a Platone.
6. Conclusioni riassuntive
Adesso possiamo rispondere alla domanda su quale sia, delle tre direzioni fondamentali della moderna filosofìa della matema-
65 Nel saggio: Philosophische Perspektiven der Diskussion um die Grundlagen der Mathematik, «Archiv für Geschichte der Philosophie», 45 (1963), pp. 157-193.
66 Ivi, p. 171: «Spesso le tesi intuizionistiche sembrano essere più vicine alla filosofia idealistica, e soprattutto a Hegel, che non a Kant. (Häufig scheinen die intuitionistischen Thesen der idealistischen Philosophie, insbesondere Hegel, näher zu stehen als Kant)».
67 Ivi, p. 173: «der Intuitionismus ... wesentlich auf einer Hegelrezeption fußt, für die im holländischen Neuhegelianismus ein geeigneter Vermittler gegeben wäre».
68 Ivi, p. 169: «Indentitätsmathematik und Psychologismus».
tica, quella a cui può essere associata al meglio la filosofia della matematica di Platone.
Innanzitutto, il formalismo si esclude da sé. Questa direzione tende con bramosia ad una forma di indipendenza della matematica, possibilmente priva di restrizioni: come criterio di verità, è sufficiente la coerenza; sistemi opposti, ma ugualmente coerenti, sono considerati veri a pari titolo; e di conseguenza, non sussiste alcun interesse per una fondazione filosofica della matematica69.
Sembra farsi avanti, più che altro, il logicismo. Lo scopo di fondare la matematica attraverso la logica collega questa direzione a Platone, come del resto la sua direzione d’urto antipsicolo- gistica e antistoricistica.
Tuttavia, non si può trascurare che la logica, a partire dalla quale Platone intende fondare la matematica, non è la moderna logica formale (alla quale, fino ad oggi, non è ancora riuscito di fondare in maniera soddisfacente la matematica); è piuttosto una logica gravata di contenuti: è la metafìsica dialettica dei principi. Questi principi si ritrovano al meglio, per quanto riguarda il loro contenuto materiale, n ell’intuizionism o di Brouwer.
Ovviamente, qui è andata perduta la loro posizione ontologica: al posto di un pensiero metaindividuale, cioè divino, subentra l’intuizione psicologica.
Semplificando un po’, si potrebbe dunque dire che nel logicismo e nell’intuizionismo continuano ad agire separate le due metà della filosofia platonica della matematica: nel logicismo, più che altro, il suo aspetto formale; nell’intuizionismo, più che altro, il suo aspetto materiale. Se poi ci si guarda intorno alla ricerca di una filosofia della matematica, in cui questi due aspetti
69 Verosimilmente, si può vedere in Eudosso un precursore del formalismo: egli usa addirittura definizioni implicite (cfr. supra, II, nota 3), come farà ad esempio Hilbert, nelle Grundlagen der Geometrie..., che per questo fu duramente criticato dal logicista G. Frege, Über die Grundlagen der Geometrie, in: Id., Kleine Schriften, Darmstadt 1967, pp. 262-323. Non si può dubitare che Platone, come Frege, e diversamente da Hilbert, fosse convinto della necessaria unicità della geometria; nondimeno, Platone seppe riconoscere che, da un punto di vista logico-formale, non è possibile obiettare nulla contro geometrie non euclidee.
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siano ancora uniti, occorre riportarsi alla filosofia della matematica di Hegel.
E se il neohegelismo, da poco risvegliatosi, volesse prendersi a cuore l’impostazione platonico-hegeliana anche nel suo riferimento alla matematica (cosa che fino ad oggi non è ancora accaduta)?
Qui non possiamo preoccuparci di rispondere a tale domanda. In queste pagine, era mio desiderio semplicemente mostrare che il famoso detto di Whitehead, per cui la filosofìa occidentale consiste in una serie di commenti marginali a Platone, comprende anche la teoria esoterica di Platone sulla generazione della molteplicità infinita dei numeri a partire dall’unità e dalla dualità.
Si possono indicare, entro un lasso di tempo di quasi duemi- lacinquecento anni, non solo «tracce» storiche, ma anche strutture logico-sistematiche di questa teoria, nei più importanti lavori matematici e filosofici che si sono occupati di questo tema.
Certo, si dovrà anche concedere che Platone non ha solo elaborato, con piglio geniale, strutture significative (in effetti, la dualità costituisce una struttura alla quale non si può negare rilevanza nell’ambito di una «logica della molteplicità»70). Platone ha pure ipostatizzato precipitosamente, in modo dogmatico, elementi contingenti, come ad esempio la Decade. Ma anche tali ipostatizzazioni, sebbene si debbano respingere nel loro conte-
70 Al di là dell’ambito puramente matematico e filosofico-matematico, ci si potrebbe domandare se la contraddistinzione della dualità come forma fonda- mentale della molteplicità non sia anche significativa in rapporto ad un importante problema inerente la filosofia del reale: alludo alla fondazione della socialità duale (matrimonio, amicizia) come caso importante di socialità, accanto al caso della socialità plurale o politica. Già in Aristotele troviamo quest’idea; basti leggere la famosa affermazione di Etb. Nie. 1162 a 17 ss.: «l’uomo infatti, per natura, più che essere politico, è incline alla coppia (άνθρωπο? γάρ τί) φύσει συνδυαστικόν μάλλον ή πολιτικόν)». Il tema, comunque, è ancor oggi oggetto di ogni filosofia del sociale: si veda, ad esempio, K. Hartmann, Politische Philosophie, Freiburg-München 1981, pp. 20-30: Duale Sozialität-, pp. 31-43: Plurale Sozialität). L’autore del presente saggio ha pubblicato uno studio, nel quale discute anche il problema se l’intersoggettività duale non possa essere fondata altrimenti che attraverso pure esigenze antropologiche, cioè in senso ontologico: Hegel System. Der Idealismus der Subjektivität und das Problem der Intersubjektivität, 2 voll., Hamburg 1987, 19882, di cui si vedano particolarmente le pp. 263 ss.
nuto oggettivo, meritano di esser prese a conoscenza, ancorché solo nella storia dei loro effetti.
Si dovrà tuttavia riconoscere che anche e proprio la filosofia dei numeri di Platone non è fatta solamente, né in prima linea, di simili ipostatizzazioni, che possono suscitare un’interesse meramente storico. Questo saggio ha raggiunto il suo scopo, se è stato in grado di convincere il lettore, che i temi della dottrina non scritta non sono astrusità, ma problemi e tentativi di soluzione che, se solo si ha la pazienza di affrontarli con impegno, manifestano nel loro autore una forza di pensiero sorprendente, non meno che specialisticamente scientifica, e in questo caso matematica.
Parte seconda
Platonefondamenti della geometria
I. Premessa.La geometria non euclidea e l’Accademia antica
1. Euclide non euclideo
Il principale presupposto per l’evolversi delle cosiddette geometrie non-euclidee è stato gettato da quando, nel secolo scorso, Gauß, Janos Bolyai e Lobatschewski, al termine di numerosi e intelligenti tentativi di dimostrare il quinto postulato di Euclide, si sono convinti della sua indimostrabilità1. Solo a questo punto,
1 La geometria euclidea, nella sua fondazione classica ad opera di David Hilbert, Grundlagen der Geometrie..., consiste in venti assiomi ordinati in cinque gruppi, per mezzo dei quali sono implicitamente definiti i sei concetti di fondo; gli assiomi, in quanto tali, non possono essere dimostrati. Il diciottesimo assioma (o «assioma delle parallele») equivale al quinto postulato di Euclide. Esso recita che dato un punto A e una retta a, nel piano a determinato da A e a, una ed una sola parallela di a passa per A. Questa proposizione equivale anche ad Euclide, I 32, 2: la somma degli angoli in un triangolo è uguale a due retti. Se si nega questo assioma, si ha la «geometria assoluta», peraltro non completa, di Bolyai, ove ad esempio non è possibile determinare se in un triangolo la somma degli angoli sia minore o eguale a due angoli retti (la Appendix srientiam spati*’ absolute veram exbibens a ventate aut falsitate Axiomatis XI Euclidei [a priori baud unquam deridendo] indipendentem di Janos Bolyai fu pubblicata nel 1832 in appendice ad un’opera di suo padre, il matematico Farkas Bolyai, e già nel 1831 in estratto). Se questo assioma viene sostituito da un altro che gli faccia riscontro, secondo cui si postula l’esistenza di almeno due (e quindi infinitamente molte) rette che passano in due direzioni opposte per il punto dato senza intersecare a, allora si ha la geometria «iperbolica», ove la somma degli angoli di un triangolo è sempre minore a due retti. Infine, nella geometria ellittica di Riemann non vi sono parallele, e la somma degli angoli di un triangolo è maggiore di due angoli retti. La geometria ellittica non coerisce con la geometria assoluta di Bolyai; per dare un assetto coerente a quella devono essere pertanto eliminati alcuni dei diciannove assiomi di questa. D’altro canto, la geometria euclidea di Hilbert si distingue dalla geometria di Euclide per via del suo ventesimo assioma, ossia il postulato del continuo di Cantor, che ancor oggi non è accettato dall’intuizionismo; su questo punto ha insistito a buona ragione I. Tóth del quale si veda, ad esempio, Geometria..., p. 414: per Euclide, ma non per Hilbert, gli oggetti geometrici che per essere costruiti richiedono una molteplicità attualmente infini-
il notevole assetto complessivo del primo libro degli Elementi fu davvero in grado di stupire: le proposizioni dalla 1 1 alla 1 28 vengono ad essere teoremi della geometria assoluta di Bolyai, e solo in rapporto alla 1 29, che presenta un’inversione della 127s. non deducibile da essa, si ricorre al quinto postulato (αίτημα). A questo punto, sia la riluttanza ad usare tale assioma, la cui adozione è protratta il più a lungo possibile, sia il fatto che in Euclide esso viene introdotto in modo esplicito come assioma, sembrarono suggerire che Euclide si fosse già accorto intuitivamente della sua indimostrabilità, di contro ai tentativi di dimostrarlo intrapresi fin dall’epoca antica, da parte di Tolomeo e di Proclo, e destinati a giungere sino a Farkas Bolyai. Già Charles C. Pierce era quindi in grado di affermare: «ritengo che lo stesso Euclide fosse un geometra non-euclideo; non dico che lo fosse in senso pieno, cioè in senso gaussiano e besselliano, ma più come Saccheri e Lambert»* 2.
2. La tesi di Mugler e i lavori di Tótb
Inoltre, nel suo libro del 1948 su Platone e la ricerca matematica, Charles Mugler ha sostenuto l’idea che, già all’interno dell’Accademia, fossero stati discussi alcuni problemi di fondazione riguardanti la geometria non euclidea, e fosse stata anche esaminata l’ipotesi contrapposta al quinto assioma di Euclide3. Purtroppo, Mugler ha sostenuto questa idea senza produrre veri e propri documenti, sicché non si è preso atto nella maniera dovuta della sua proposta, che non risultava sufficientemente fondata4.
ta di passaggi (ad esempio, un ettagono equilatero) sono non-esistenti.2 C. S. Peirce, The New Elements of Mathematics, a cura di C. Eisele, III, 1,
Paris 1976, p. 704: «I maintain that Euclid was himself a non-Euclidean geometer. I do not mean, in the complete, Gaussian and Besselian sense, but more so than Saccheri and Lambert». Per il rimando a quest’opera di Peirce ringrazio il Prof. I. Tóth. A lui e al Prof. Flashar, oltre che al Prof. A. Kleinlogel, desidero esprimere il mio più sincero grazie per le numerose indicazioni e per l’esame critico del manoscritto.
3 Ch. Mugler, Platon et la Recherche Mathématique de son Époque, Strasbourg-Zürich 1948.
4 Si veda ad esempio la recensione di W. van der Wielen, in: «Mnemosyne», S.
Soltanto i lavori innovativi, che si devono al migliore conoscitore della storia e della filosofìa delle geometrie non euclidee, cioè Imre Tóth, sono riusciti a portare in chiaro la fase iniziale della storia di queste ultime. Dato che il presente saggio si riallaccia ai risultati di tali lavori, è giusto esporli a titolo introduttivo5, per poi unire ad essi un’esposizione delle tesi di chi scrive6.
IV, 2 (1949), pp. 346-349, spec. 348: «le nozioni di una quarta dimensione e di una geometria non-euclidea sono così estranee alla scienza greca che il fatto di suggerirle è già di per sé pericoloso. (Les notions d’une quatrième dimension et d’une géométrie non-euclidienne sont si étranges à la science greque que le fait de les suggérer est déjà dangereux)». Dato che il presente lavoro intende provare, o almeno rendere verosimile, la tesi di Mugler, verranno citati molti passi dal suo
5 Infra, punto II. Ci si baserà soprattutto sul lavoro citato alla nota 1, dato che è il più facilmente accessibile. E’ bene, comunque, ricordare qui alcuni altri scritti di Tóth: Das Parallelenproblem..., cit.; La révolution non euclidienne, «La Recherche», 1977 février, pp. 143-151; Spekulationen über die Möglichkeit eines nicht euklidischen Raumes vor Einstein, in: Lectures Notes in Physics 100, Einstein Symposion Berlin, Berlin (West)-Heidelberg-New York 1979, pp. 46-83, per quanto riguarda l’aspetto storico della questione; La géométrie non euclidienne dans le développement de la pensée, «Études d’histoire et de philosophie des sciences», Bucarest 1962, pp. 53-70; Die nicht-euklidische Geometrie in der Phänomenologie des Geistes.,.;Ilpensiero matematico: libertà e verità, negazione e creazione, in: AA. W ., Pensiero scientifico e pensiero filosofico, Padova 1993 , pp. 22-52, per quanto riguarda l’aspetto filosofico. Si attende da parte dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli la pubblicazione del primo libro italiano di Tóth, I paradossi di Zenone nel “Parmenide" di Platone.
6 Infra, punto III.
Π. I passi non-euclidei nel Corpus aristotelicum
Tóth ha scoperto nel Corpus aristotelicum un certo numero di passi «che oggi sono pertinenti all’ambito della geometria non euclidea», nei quali si afferma, ad esempio, che la somma degli angoli interni del triangolo è diseguale, ossia maggiore o minore, rispetto a due angoli retti1.
1. «Analitici posteriori»: il carattere non casuale degli esempi noneuclidei
Dalla sola frequenza del topos, risulta inverosimile che si tratti di esempi di impossibilità piena, che cadono dall’alto in maniera puramente casuale1 2. Negli Analitici posteriori, ad esempio, del triangolo si predica l’uguaglianza o inuguaglianza (ίσ ότης/άνισ ότης·) — sottintendendo: dei suoi angoli a due retti — , così come della luna, della terra e del sole si predica l’eclissi (εκλειψις·).
La pura casualità del topos si rivela ancora meno plausibile, in quanto viene colta con chiarezza l’equivalenza fra l’impossibilità che esistano parallele (oggi è assioma fondamentale della geometria ellittica) e il fatto che che la somma degli angoli del triangolo sia maggiore di due angoli retti. «Così le parallele si intersecano» — leggiamo — «sia alla condizione che l’angolo interno sia maggiore di quello esterno, sia alla condizione che il triangolo
1 Cfr. Tóth, Geometria..., p. 395: «[Stellen] die heute zum Bereich der nicht- euklidischen Geometrie gehören». In An. post. 90 a 13,93 a 35, Soph. El. 171a 16, Phys. 200 a 18 ss., De Gael. 281 b 5 ss., Metaph. 1052 a 7, Eth. Nie. 1140 b 15 ss., MM 1187 b 3 ss., si dice che la somma degli angoli interni di un triangolo è diseguale a due angoli retti; in Art. pr. 66 a 14 ss., An. post. 90 a 33, Probi 956 a 18, Eth. Eud. 1222 b 35 ss., si dice che è maggiore; in An. post. 90 a 33, si dice che è minore.
2 Cfr. An. post. 90 a 13.
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abbia la somma degli angoli maggiore di due retti»3.
2. «De Caelo»: il carattere ipotetico della legge della somma degliangoli
In maniera rigorosa, tale casualità può essere esclusa attraverso De Caelo, 281 b 3 ss. In questo passo, si distingue fra un im- possibile/possibile (άδύνατον/δυνατον), cui corrisponde un fal- so/vero (ψευδος/άληθες), «per ipotesi» (έξ ύποθε'σεως·) e, dall’altro lato, un impossibile «in assoluto» (αδύνατον απλώς·). Per documentare il primo caso, si osserva: «diciamo, ad esempio, che è impossibile che il triangolo abbia una somma degli angoli uguale a due retti, se ciò e ciò è il caso, e che anche la diagonale è commensurabile, se ciò e ciò è il caso»4; oppure, secondo un’altra lezione del testo, che preferisco: «diciamo, ad esempio, che è impossibile [sdì. per ipotesi] che il triangolo abbia una somma degli angoli uguale a due retti: se ciò è il caso, anche la diagonale è commensurabile»5. È straordinariamente diffìcile ricostruire criticamente il passo senza dar adito ad obiezioni6. Ma in ogni caso è chiaro che vi si accentua il carattere ipotetico,
3 An. pr. 66 a 13 SS.: «otov τα? παραλλήλου? συμπίπτειν και el μείζων έστιν ή έντό? τη? έκτο? καί el το τρίγωνον Ιχει ττλείου? ορθά? δυόίν». A proposito dell’intersecarsi delle parallele, cfr. inoltre A», post. 77 b 23.
4 De Cael. 281 b 5 s., secondo l’edizione di D. J. Allan, Aristotelis De Caelo, Oxford 1973: «λέγω δ ’ οιον το τρίγωνον αδύνατον δύο ορθά? εχειν, εί τάδε, κα'ι ή διάμετρο? σύμμετρο?, el τάδε».
3 Ibid. : «λέγω δ ’οΐον το τρίγωνον άδύνατον δύο όρθά? εχειν εΐτα δε, καί ή διάμετρο? σύμμετρο?». Sulla controversia relativa alla lezione del testo cfr. la nota seguente.
6 Probabilmente, occorre espungere il secondo «el τάδε», che nei migliori manoscritti manca: nell’edizione a cura di Oddone Longo, Aristotele, De Caelo, Firenze 1961, è posto in parentesi quadra, in quella a cura diP. Moraux, Aristote, Du Ciel, Paris 1965, viene espunto dal testo (nell’apparato critico si afferma: «el τάδε post σύμμετρο? add. ree.»), mentre il primo va mutato in «εΐτα δε'», e prima di esso va posto un punto in alto. Il Prof. Tóth mi ha gentilmente comunicato che questo è quanto egli ha reperito nei manoscritti da lui consultati, ossia: Vìndob. Phil. Gr. 100 (sec. IX) fol. 65r. 6, Marcianus 214 (XII) fol. 220r. B 16, ed inoltre Marcianus 200 (Copista: Joh. Rhosos 1457) fol. 46 v. 14. Da tutto ciò risulta la seconda traduzione che abbiamo proposto. Cfr. inoltre Tóth, Spekulationen..., p. 80 s. e n. 31.
e non a priori7, di talune proposizioni, in riferimento alla somma degli angoli del triangolo e alla commensurabilità della diagonale al lato del quadrato. Allo stesso tempo, vi si avanza la possibilità che, ad una determinata condizione, la somma degli angoli del triangolo sia diversa da due angoli retti, e che perciò la diagonale assuma valori commensurabili al lato del quadrato. Un rilievo del genere poteva avere un senso solo se questa condizione era nota all’uditorio: e ciò a cui si devono simili conseguenze è la negazione del quinto postulato di Euclide. Ora, il presupposto per capire questo nesso di tipo non-euclideo è essersi occupati in misura piuttosto ampia di una geometria che neghi il quinto postulato. «Simili asserti» — osserva Tóth — «non possono venir congetturati per mezzo di espedienti meramente dialettici. Senza una dimostrazione, che è assai complicata, è impossibile imbattersi in essi»8.
Dunque, i passi in questione indicano che i matematici greci, poco prima di Aristotele, si sono evidentemente sforzati di trarre conclusioni a partire da ipotesi antieuclidee.
3. «Analitici primi»: la «deduzione delle parallele»
Tóth desume lo scopo di queste ricerche da Analitici primi, Π 16, cioè dal capitolo sulla petitio principii (64 b 28: « tò δ’ èv άρχη αΐτεΐσθαι»). Quale esempio di conclusione circolare vi si cita «ciò che fanno quanti credono di dedurre le parallele»: «infatti» — spiega Aristotele — «essi stessi ignorano di assumere cose che non è p ossib ile dim ostrare se le parallele non esistono»9.
Come Tóth ha bene indicato, l’espressione «dedurre le parallele» (τα? παραλλήλου? γράφειυ) si riferisce al tentativo di di-
7 In De Cael. 281 b 12, come esempio di «impossibile in assoluto» figura «lo stare allo stesso tempo in piedi e seduti, (t ò δ ’άμα έστάναι καί καθησθαι)».
8 Tóth, Geometria..., ρ. 396: «durch bloße dialektische Einfälle können solche Aussagen nicht konjekturiert werden. Ohne Beweis (der kompliziert ausfällt), ist es unmöglich, auf sie zu stoßen».
9 An. pr. 65 a 5 ss.: «δπερ ποιοΐκπ ol τάς παραλλήλους οΐόμενοι γράφειν λανθόνουσι γάρ αύτοί έαυτους τοιαΰτα λαμβάνοντες δ ούχ οΐόν τε άποδείξαι μή ούσων των παραλλήλων».
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mostrare la proposizione I 29 di Euclide senza ricorrere al quinto postulato, vale a dire al tentativo di derivare la I 29 dalle sue proposizioni inverse 1 27 e seguente10 11. Un simile tentativo, che è predestinato al naufragio11, si basava evidentemente già su 1 29, oppure su ciò che ne era dedotto. Aristotele si riferisce in modo critico a questo procedimento, di cui era nota l’erroneità12, e «lo stile del passo, estremamente concentrato e allusivo, documenta la grande dimestichezza del suo uditorio con il problema»13.
L’allusione di Aristotele illumina come un lampo lo sviluppo della matematica. «Qualcuno» — rileva Tóth — «ha tentato di dare di 1 32, 2 una dimostrazione geometrica rigorosa, vale a dire nell’ambito della geometria assoluta, ed in questo tentativo è incorso in conclusioni circolari» 14. Ora, è naturale che in seguito al naufragio di questi sforzi si sia cercata una dimostrazione indiretta.
All’interno di sistemi fondati su un’ipotesi anti-euclidea, occorreva mostrare incoerenze; e tali sistemi furono introdotti e parzialmente sviluppati a questo scopo15. «Le proposizioni ete-
10 Cfr. Das 'Parallelenproblem..., pp. 257-267.11 Com’è noto, nel primo libro degli Elementi di Euclide, I 27/ 28 e I 29 co
stituiscono l’unica coppia di proposizioni, dove la seconda proposizione, sebbene sia inversa alla prima, non consegue da questa (come esempio di caso normale, cfr. I 18 e I 19; I 24 e I 25; I 47 e I 48). A questo proposito, si veda Mugler, Platon..., p. 330: «... che il riscontro di un teorema che opponesse una resistenza accanita a tutti i tentativi di invertire la premessa e la conclusione, dovette apparire ai loro occhi come uno scandalo logico non meno sconcertante della scoperta, avvenuta un secolo avanti da parte dei Pitagorici, della prima deroga alla legge dei numeri interi. (... que la recontre d’un théorème opposant une résistance acharnée a toutes les tentatives d’intervertir la prémisse et la conclusion devait apparaître a leurs yeux comme un scandale logique non moins déconcertant que, un siècle auparavant, la découverte par les Pythagoriciens de la première dérogation à la loi des nombres entiers ...)».
12 Già Mugler, Platon..., p. 148, osservava: «La teoria delle parallele conteneva dunque, a quell’epoca, una petizione di principio che d’altronde non sfuggì ad Aristotele. (La théorie des parallèles contenait donc, à cette époque, une pétition de principe qui n’échappait d’ailleurs pas à Aristote)».
13 Tóth, Geometria..., p. 396: «Der extrem konzentrierte allusive Stil der Stelle belegt die große Vertrautheit seiner Zuhörer mit dem Problem».
14 lbid. : «Man hat versucht, ihm [seil. I 32, 2] einen strengen, d. h. absolut- geometrischen Beweis zu geben, und ist dabei auf Zirkelschlüsse gestoßen».
15 Questo è anche il procedimento seguito da G. Saccheri nella sua famosa opera «antieuclidea» Euclides ab omni naevo vindicatus, Mediolani 1733. «An-
lût
rodosse prodotte da Aristotele sono da intendersi quali framm enti fo ssilizza ti dei ten tativ i in d iretti di risolvere il problema»16. E ancora, a proposito di De Caelo, 281 b 5 ss., Tóth dice: «è da presumersi che lo scopo originario fosse la confutazione dell’ipotesi antieuclidea generale, condotta con l’aiuto dell’assurdità per cui “un numero dispari è pari”, alla quale doveva portare l’ipotesi della commensurabilità. Tuttavia, questa contraddizione può essere raggiunta solo con l’aiuto della proposizione euclidea Elem. 1 3 2 ,2 » 17.
L’ipotesi ellittica dell’angolo ottuso può in effetti essere confutata, poiché stante tale assunzione le parallele si intersecano (e ciò contraddice la loro definizione, secondo Euclide, I def. 23), come del resto spiega anche Aristotele18. L’assunzione iperbolica dell’angolo acuto non può invece essere respinta senza assumere come strumento di soccorso il quinto postulato, che appunto per questo motivo fa la sua esplicita comparsa in Euclide19. Tóth
tieuclideo» è un termine tecnico introdotto da Tóth per denotare proposizioni non-euclidee che vennero addotte come false; tutti i geometri dall’antichità fino a Taurino incluso (1825-26) fecero ciò; solo Gauß, Bolyai e Lobatschewski hanno geometrie propriamente non-euclidee, dato che con essi «la filosofia dell unicità dogmatica fu rimossa e sostituita con una filosofia liberale della pluralità dei sistemi geometrici e della coesistenza di universi fra loro opposti. (Die Philosophie der dogmatischen Unizität aufgegeben und durch eine liberale Philosophie der Pluralität geometrischer Systeme und der Koexistenz entgegensetzter Universa ersetzt wurde)» (Tóth, Geometria..., p. 400).
16 Ivi, p. 397: «Die von Aristoteles angeführten heterodoxen Sätze sind als die fossilisierten Fragmente der indirekten Lösungsversuche des Problems anzusehen».
17 Ivi, p. 399: «Es ist anzunehmen, daß das ursprüngliche Ziel die Widerlegung der allgemeinen antieuklidischen Hypothese war, mit Hilfe der Absurdität “eine ungerade Zahl ist gerade”, zu der die Hypothese der Kommensurabi- lität führen sollte. Dieser Widerspruch kann jedoch nur mit Hilfe des euklidischen Satzes Elem. I 32, 2 erreicht werden».
18 Cfr. An. pr. 66 a 13 ss.; An. post. 77 b 23: ciò è «per così dire geometrico e non geometrico (γεωμετρικόν πω? καί. άγεωμέτρητον)». Mugler, fra 1 altro, pensa soprattutto ad una geometria riemanniana, poiché a suo avviso lo spazio finito di quest’ultima si accorda con la concezione finitistica di Platone (cfr. ad es. Platon..., p. 143): resta però da supporre che l’alternativa fra geometria euclidea ed iperbolica stesse al centro dell’interesse, proprio come accadde nell’evoluzione successiva, specialmente fino al diciottesimo secolo. Sulla questione si diffonde Tóth, Das Parallelenproblem..., pp. 271 ss.
19 In relazione al concetto di postulato (αίτημα), Tóth, Geometria. .., p. 39, rimanda ad An. post. 76 b 32 ss., dove il termine «αίτημα» viene definito «il con-
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conclude: «la “communis opinio”, secondo la quale il problema delle parallele è nato da una mancanza di evidenza del postulato delle parallele, risulta in seguito alle precedenti argomentazioni storicamente insostenibile; al contrario: la necessità di superare il problema delle parallele, che sussisteva già, richiese l’introduzione del postulato delle parallele»20.
4. «Etica Eudemia»: il postulato delle parallele come assioma
Aristotele ha piena coscienza del carattere puramente tetico, cioè indimostrabile, dell’assioma euclideo. Nell’fftc» Eudemia si legge: «se infatti non vi è alcuna altra causa del fatto che il triangolo sia così com’è, questo potrebbe essere un principio, e potrebbe essere causa di ciò che segue»21. Qui, la funzione di «principio» (αρχή), cioè di assioma, è ricoperta dalla proposizione riguardante la somma degli angoli, che nelle sue tre varianti equivale al postulato delle parallele nelle sue tre versioni possibili. Da questo assioma dipendono tutti gli altri teoremi; se
contrario rispetto all’opinione di chi impara (το ύπεναντίον τού μανθάνοντος· τη δόξη)», ed osserva: «non è da escludersi interamente che nella prima applicazione del termine al postulato euclideo delle parallele abbia giocato un certo ruolo il senso fornito in An. post. I 10, 76 b 31. (Es ist nicht ganz auszuschließen, daß bei erster Anwendung des Terminus auf das Euklidische Parallelenpostulat der in An. post. 1 10,76 b 31 angegebene Sinn mitgespielt hat)».
20 Ivi, p. 399: per il testo originale cfr. supra, Parte prima, II, nota 5. Cfr. Mugler, Platon..., p. 149: «tutto sembra indicare che sia stato lo stesso Euclide a riconoscere per primo la necessità di mettere fine alle petizioni di principio sulla questione delle parallele per mezzo di un postulato e ad avere il genio di scegliere, fra molteplici possibilità, la più semplice. (Tout semble indiquer que c’est Euclide lui-même qui le premier reconnut la nécessité de mettre fin aux pétitions de principe autour de la question des parallèles par un postulat et qui eut le génie de choisir de plusieurs possibilités la plus simple)»; p. 330: il quinto postulato «è il culmine della lunga serie di riflessioni e di fatiche provocate dallo stupore filosofico di Platone e dei suoi discepoli di fronte all’unica eccezione che avevano constatato alla legge della reversibilità delle proposizioni (est l’aboutissement de la longue suite de réflexions et de travaux provoqués par l’étonnement philosophique de Platon et de ses disciples sur l’exception unique qu’ils avaient constatée à la loi de la réversibilité de propositions)».
21 Eth. Eud. 1222 b 39 ss.: «εΐ yàp μηδέν άλλο αίτιον τον το τρίγωνον οΰτως εχειν, άρχη τις- αν ειη τούτο καί αίτιον των ύστερον».
quello subisce un cambiamento, mutano anche questi: «Infatti, come stanno le cose in rapporto ai principi, così stanno in rapporto a quanto dipende dai principi. Ed è possibile riconoscere ciò con maggiore chiarezza nei procedimenti geometrici. Anche in questi procedimenti, infatti, quando si sono assunti certi principi, come stanno le cose in rapporto ai principi, così stanno in rapporto a ciò che è successivo ai principi: per esempio, se il triangolo ha gli angoli uguali a due retti, e il quadrato li ha uguali a quattro... » 22; segue l’applicazione della contrapposizione23. Nell’E/ze» Eudemia, in un altro passo, si legge: «Nell’ambito dei principi immobili, ad esempio nell’ambito delle matematiche, non vi è un principio in senso proprio, sebbene si dica così per similitudine. Anche nelle matematiche, infatti, se muta il principio, potrebbero benissimo cambiare tutti i risultati di dimostrazione»24.
È sorprendente che passi del genere si trovino nelle Etiche. Lo Stagirita, come ha segnalato Tóth, pone in parallelo il concetto geometrico di «principio» (άρχή) con il motivo etico, o meglio con la scelta preferenziale, cioè con la decisione a favore di uno scopo, che si colloca all’inizio di un’azione come fine (τέλος), e dalla quale possono essere derivati i singoli atti. «Come per le scienze teoretiche» — scrive Aristotele — «i presupposti sono principi, per quelle pratiche il fine è principio e presupposto ... Come accade per le une, se il triangolo ha gli angoli uguali a due retti, necessariamente anche queste cose saranno il caso»25.
22 MM 1187 a 37 ss.: «ώς γάρ dv ?χωσιν al άρχαί, oi/τω? καί έκ των άρχών έχει, έναργέστερον δ' ίστι κατιδειν τούτο èv τοΐ? κατά γεωμε- τρίαν καί γάρ έκεΐ έπειδή τινε? Χαμβάνονται άρχαί, ώ? dv al άρχαί. ϊχωσιν, oi/τω καί τά μετά τάς άρχά?, οΐον εΐ τό τρίγωνοι/ δυσίν όρθαΐ? Ισα? ?χει, τό 8k τετράγωνον τέτταρσιν...».
23 Cfr. anche MM 1189 b 10 ss.24 Eth. Eud. 1222 b 2 ss.: «έν 8k ταις άκινήτοι? άρχαί?, <Æov έν tcÆ?
μαθηματικοί?, ούκ έστι τό κύριον, καίτοι Χέγεταί γε καθ’ δμοιότητα. καί γάρ ένταυθα κινουμένη? τη? άρχη? πάντα μάλιστ' dv τά δεικνύμενα μεταβάλλοι».
23 Ivi, 1227 b 29 ss.: «ώσπερ γάρ ταΐ? θεωρητικοί? al ύποθέσει? άρχαί, οΰτω καί ταΐ? ποιητικοί? τό τέλο? άρχή καί ύπόθεσι?; ώσπερ έκεΐ, el ϊσ η τό τρίγωνον δύο όρθαί, άναγκη τοδί είναι». Cfr. Eth. Nie. 1140 b 16 s.
5. «Etica Nicomachea»: geometria non euclidea e libertà
Per mezzo di una dettagliata interpretazione di Etica Nicomachea, 1140 b 13 ss., Tóth giunge in conclusione al risultato che, per Aristotele, la scelta fra un assioma euclideo ed uno non-eu- clideo (nel passo in questione, come in Etica Eudemia, 1222 b 39 ss., questo ruolo è ricoperto dalla proposizione riguardante la somma degli angoli) costituisce, analogamente alla scelta etica, un atto di libertà, il quale, diversamente che nelle azioni etiche,' non può essere influenzato nemmeno da piacere o da dolore.’ Questa è 1 unica differenza presente nell’analogia di struttura che per il resto sussiste «in campo etico e geometrico»2̂ .
E questa è una concezione metamatematica che affascina per la sua straordinaria modernità.
Toth, Geometria..., p. 409: «auf ethischem und auf geometrischem Gebiet». Naturalmente, per Aristotele questo confronto non esclude che uno dei membri dell alternativa, come nelle scelte pratiche, sia «buono», e l’altro «cattivo». il passo dei Problemata (opera con ogni probabilità non autentica), che Tóth ha interpretato tvt, p. 412, può essere inteso anche in maniera più innocua· il contrasto con Top 106 a 38 ss. non è cogente, poiché la gioia, di cui vi si fa Menzione, suscitata dalla meraviglia (θαυμάζειν) di fronte all’incommensurabilità non riposa essaizialmente sul carattere non assiomatico della proposizione. Respingere il passo dei Problemata non cambia nulla riguardo alla tesi di Tóth nel suo com-
ΙΠ. Platone e la fondazione ontologica della geometria euclidea
1. Dialoghi e «dottrine non scritte»
Qui di seguito, si farà il tentativo di interpretare due passi platonici alla luce delle ricerche di Tóth, non meno che alla luce dei fondamentali lavori di Hans Krämer e di Konrad Gaiser sulla dottrina esoterica di Platone1. Questa dottrina sistematica, riservata all’insegnamento orale all’intemo dell’Accademia, si dimostra in misura sempre crescente una chiave per comprendere anche i dialoghi1 2.
2. he ricerche matematiche dell’Accademia antica
A priori è alquanto verosimile che i dati geometrici presenti in Aristotele risalgano ai suoi anni passati nell’Accademia (367-
1 Cfr. supra. Parte prima, I.2 I lavori di Krämer e di Gaiser, che hanno causato un’importante controver
sia, non hanno ancora ricevuto, oggi, riconoscimento generale. Chi scrive, nel volume Wahrheit und Geschichte..., cerca di fondare nel dettaglio i motivi per cui si trova fondamentalmente in accordo con i due studiosi. Per ulteriore letteratura in merito, ci si limita qui a rimandare alla recensione decisamente critica di G. Vlastos al libro suWArete di Krämer {On Plato's Oral Doctrine, «Gnomon», 41 [1963], pp. 641-655, e ora anche in: G. Vlastos, Platonic Studies, Princeton 1973, pp. 379-398; ivi, pp. 399-403, si veda anche la successiva «Appendix»), alla quale Krämer ha metacriticamente risposto in una parte del suo lavoro: Petraktationen xum Problem des esoterischen Platon, «Museum Helveticum», 21 (1964), pp. 137- 167. Una discussione ulteriore con i più recenti lavori critici sul complesso dei problemi dell’esoterica platonica, ad esempio con i lavori di Tigerstedt e Guthrie, si trova nel saggio di Krämer: Neues zum Streit..., passim. Per quanto riguarda i saggi più recenti di Gaiser, occorre nominare La teoria dei principi in Platone, «Elenchos», 1 (1980), pp. 45-75, ripubblicato in: Id., La Metafisica della Storia in Platone. Introduzione e traduzione di G. Reale, Milano 19912, pp. 187-219); inoltre, Plato’s enigmatic lecture “On the Good“, «Phronesis», 25 (1980), pp. 5-37.
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347): si consideri che in matematica, a differenza che in quasi tutte le altre scienze, Aristotele non ha prodotto di persona nessun contributo originale, e che l’Accademia era il centro della ricerca matematica di allora, in cui si gettarono i presupposti per gli Elementi di Euclide3. A questo proposito, occorre qui ricordare tre cose: la trattazione dei valori irrazionali da parte di Tee- teto, che si trova nel decimo libro degli Elementi4; l’articolazione sistematica, sempre da parte di Teeteto, dei solidi regolari, che si trova nel tredicesimo; e la fondazione da parte di Eudosso della dottrina generale delle proporzioni, avente luogo nel quinto libro, che per la precisione con cui esamina l’infinitesimale attesta un livello nuovamente raggiunto solo da Dedekind5.
Invitiamo a far riferimento al lavoro di Hasse e Scholz, che pone dettagliatamente a confronto i contributi di Eudosso e di Dedekind: da un lato, vi si conclude che «questo sistema eudos- siano ... è isom orfo r ispetto al sistem a d elle sez ion i di Dedekind»6, ma d’altro lato si sottolinea, quale differenza fra i due sistemi, la maggiore astrazione dai contenuti, e per di più l’uso di definizioni implicite, che si hanno in Eudosso7. «Ma al-
3 Com’è noto, il platonismo di Euclide è documentato anche dall’uso dell’imperativo perfetto passivo (« η χ θ ω » , « γ ε γ ρ ά φ θ ω » , e pure, nei postulati, « ή τ ή σ θ ω » ) , che allude alla atemporalità della costruzione geometrica. Cfr. C. Mugler, Dictionnaire historique de la terminologie géométrique des grecs, Paris 1958, pp. 19-21.
4 Cfr. inoltre Gaiser, Platons..., p. 131 s., ove si sostiene che il termine tecnico «binomiale (έκ δ ύ ο ο ν ο μ ά τ ω ν )» risale verosimilmente a Platone, e p. 302, sulla valorizzazione platonica della classificazione degli irrazionali; si veda anche Test. 67 b.
5 In questa sede, non c’è bisogno di esaminare più puntualmente i rapporti fra Eudosso e Platone. Com’è noto, dall’indicazione presente nella Vita Marciana (fol. 278 A 60; a proposito, cfr. O. Gigon, Vita Aristotelis Marciana, Berlin 1962, p. 49 s.), risulta verosimile che Eudosso fu caposcuola dell’Accademia durante il secondo viaggio di Platone in Sicilia.
6 Hasse-Scholz, Die Grundlagenkrisis..., p. 23: «dieses Eudoxische System ... zu dem System der Dedekindschen Schnitte isomorph ist».
7 In passato, si giudicava contributo di Hilbert l’aver sostituito per primo, nei Fondamenti di Geometria, definizioni esplicite (del tipo del primo libro di Euclide) con definizioni implicite (per quanto riguarda la giustificazione di questo modo di procedere, cfr. ad esempio, solo per scegliere i sostenitori di due posizioni opposte, la critica di Frege nei tre saggi Über die Grundlagen der Geometrie ..., e la convinta difesa di Reichenbach, The philosophy o f Space and Time, New York 1958, pp. 92 ss.); in ogni caso, il formalismo di Hilbert pare avere un precursore
lora» — leggiamo — «la definizione di rapporto proporzionale contenuta nel sistema definitorio di Eudosso è in realtà una definizione implicita, ossia una definizione che si limita ad indicare in quali contesti può ricorrere la parola rapporto proporzionale, senza chiarire la parola stessa»8. «Per contro, abbiamo già evinto con ogni chiarezza che Eudosso definisce implicitamente quelli che a suo avviso sono i rapporti proporzionali. Dunque, mentre Dedekind fìssa gli elementi del suo campo, cioè le sezioni, in maniera del tutto determinata dal punto di vista del contenuto, Eudosso prescinde da una determinazione contenutistica degli elementi del suo campo, cioè dei rapporti proporzionali... Eudosso dunque riesce ... a costruire in maniera diretta il suo tipo di sistema, vale a dire il complesso di tutti i sistemi di rapporti eudossiani di proporzione, qualunque sia il contenuto che li grava (rapporti proporzionali fra linee, superfici, solidi, ...), mentre per mezzo del processo dedekindiano di costruzione, che in maniera diretta fornisce solo il sistema dei numeri reali, determinato nel suo contenuto, si riesce ad ottenere questo tipo di sistema estensivo solo in maniera secondaria, inglobando tutti i sistemi isomorfi»9.
in Eudosso.8 Hasse-Scholz, Oie Grundlagenkrisis..., p. 17: «Dann aber ist die in dem
Eudoxischen Definitionensystem enthaltene Definition des Verhältnisses in der Tat eine implizite Definition, d. h. eine Definition, die nur angibt, in welchen Zusammenhängen das Wort Verhältnis auftreten kann, ohne dieses Wort selbst zu erklären». Cfr. ibid.·. «Noi riteniamo la def. 4 una definizione implicita di omogeneo. (Wir sehen Def. 4 als implizite Definition von homogen an)».
9 Ivi, p. 24 s.: «Demgegenüber haben wir schon in aller Klarheit herausgearbeitet, daß Eudoxos seine Verhältnisse implizit definiert. Während also Dedekind die Elemente seines Bereichs, die Schnitte, inhaltlich in völlig bestimmter Weise festgelegl, sieht Eudoxos von einer inhaltlichen Bestimmung der Elemente seines Bereichs, der Verhältnisse, ab ... Es gelingt also ... dem Eudoxos unmittelbar, den Typus seines Systems aufzubauen, d. h. also die Gesamtheit aller Systeme von Eudoxischen Verhältnissen, wie diese auch inhaltlich belastet seien (Verhältnisse von Strecken, Flächen, Körpern,...), während man durch den Dedekindschen Konstruktionsprozeß, der unmittelbar nur das inhaltlich bestimmte System der reellen Zahlen liefert, erst nachträglich zum Typus dieses Erweiterungssystems gelangt, indem man alle isomorphen Systeme hinzunimmt».
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3. Vlatone e la geometria del suo tempo
L’opera di Eudosso mostra a quale livello di astrazione siano stati discussi, in Accademia, i problemi fondamentali della geometria: anche a partire da questo fatto10 11, e per questa ragione, nulla dovrebbe sbarrare la strada alla tesi menzionata in apertura, secondo la quale i passi citati da Aristotele sono relitti di ricche ricerche sull’assiomatica geometrica, che hanno avuto luogo nella scuola di Platone11.
10 Cfr. Mugler, Platon..., p. 141: «Un tale pensatore avrebbe dunque intravisto la possibilità di una geometria diversa da quella a cui i Greci hanno effettivamente dato sviluppo, e avrebbe scoperto, come mezzo per conciliare le sue concezioni spaziali con le sue vedute cosmologiche, una geometria riemanniana. (Un tel penseur aurait donc entrevu la possibilité d’une géométrie autre que celle que les Grecs ont développée effectivement, et il aurait découvert, comme moyen de concilier ses conceptions spatiales avec ses vues cosmogoniques, une géométrie Riemannienne)». Si veda su ciò supra, II, nota 18. Mugler, ibid., continua: «L’idea di un simile filosofo all’epoca di Platone, e già a quella dei suoi immediati precursori, non è un vano anacronismo. Certo, l’invenzione delle geometrie non euclidee suppone un potere d’astrazione assai grande, e non si realizzò se non nel diciannovesimo secolo, in seguito ai lavori che, nel corso del diciottesimo, l’avevano preparata. Ma vedremo, a proposito della riforma di Eudosso,... che il potere di astrazione matematica dei Greci non era in nulla inferiore a quello dei matematici contemporanei, e che il pensatore di Cnido anticipava in parte le teorie per mezzo delle quali Cauchy, Dedekind e altri riuscirono a rifondare il calcolo infinitesimale nel diciannovesimo secolo. (L’idée d ’un pareil philosophe à l’époque de Platon et déjà à celle de ses précurseurs immédiats n’est pas un vain anachronisme. Certes l’invention des géométries non euclidiennes suppose un très grand pouvoir d’abstraction et elle ne fut faite qu’au 19e siècle après des travaux préparatoires au cours du 18e. Mais nous verrons à propos de la réforme d’Eudoxe ... que le puvoir d’abstraction mathématique des Grecs ne le cédait en rien à celui des mathématiciens contemporains et que le penseur de Cnide anticipait en partie les théories par lesquelles Cauchy, Dedekind et d’autres essayaient de refonder le calcul infinitésimal au 19e siècle)».
11 Quali fonti di Aristotele, Tóth pensa ad Eudosso e alla sua cerchia, soprattutto a Menecmo e Teudio, che nella famosa lista dei matematici di Proclo {In prim. Etici., pp. 64,1. 16-68,1. 6 Friedlein = Test. 15 Gaiser) sono annoverati fra gli allievi di Eudosso o di Platone. A questo proposito, si veda infra, .9. Che in Accademia siano stati gettati proprio i fondamenti degli Elementi, è grosso modo communis opinio, ma non accade che questa tesi, sostenuta di frequente, riceva un’esplicitazione concreta; cfr. E. Hoppe, Mathematik und Astronomie im klassischen Altertum, Heidelberg 1911, p. 164: «In due direzioni, dunque, Platone è un precursore degli intenti attuali .... in secondo luogo per mezzo della ricerca sistematica delle condizioni che stanno a fondamento della matematica, e
Inoltre, è del tutto incredibile che Platone abbia assistito a simili ricerche senza prendervi parte. Si può pertanto mettere in conto che nei dialoghi si trovino tracce dell’irritante scoperta dell’indimostrabilità del quinto postulato: tracce che, similmente a quelle presenti in Aristotele, accennano al problema, anche se non vi accennano in maniera esplicita, ma solo velata.12
soprattutto della geometria ... nessuno dei suoi contemporanei e successori è riuscito a spingere oltre quest’idea, e ciò vale in prima linea per Aristotele che certo raccoglieva, ma non sviluppava. (Nach zwei Richtungen hin ist also Platon ein Vorläufer der gegenwärtigen Bestrebungen ..., zweitens durch systematische Untersuchung der Bedingungen, welche der Mathematik, besonders der Geometrie zugrunde liegen ... von seinen Zeitgenossen und Nachfolgern hat keiner diese Idee weiterzuschieben verstanden, in erster Linie gilt dies von Aristoteles, der wohl sammelte, aber nicht entwickelte)»; F. Solmsen, Oie Entwicklung der aristotelischen Logik und Rhetorik, Berlin 1929, p. 117: «Siamo ora nella felice situazione di poter provare che gli assiomi non sono stati pre-elaborati in nessun altro luogo se non nell’Accademia platonica e da parte dei matematici che li svolsero le proprie ricerche sotto l’influsso di Platone. (Wir sind jezt in der glücklichen Lage, beweisen zu können, daß die Axiome nirgendwo anders als in der platonischen Akademie und bei den dort unter Platons Einfluß forschenden Mathematikern herauspräpariert worden sind)»; K. Gaiser,Platons..., p. 304: «...il processo di sistematizzazione del sapere matematico fu influenzato produttivamente e portato per la prima volta a chiara coscienza dal pensiero filosofico di Platone, diretto ai principi più generali dell’essere (... daß durch das philosophische, auf allgemeinste Seinsprinzipien gerichtete Denken Platons der Prozeß der Systematisierung des mathematischen Wissens produktiv beeinflußt und zum ersten Male sicher ins Bewußtsein gehoben wurde)»; si tratta di «ricon- durre» in maniera possibilmente completa e non lacunosa, i singoli teoremi ad as- siomi semplici ed autoevidenti (die einzelnen Theoreme möglichst vollständig und lückenlos auf einfache und selbstevidente Axiome Zurückzufuhren)»: ma per Platone gli assiomi non sono certo auto-evidenti!
12 Cfr. Mugler, Platon..., p. 145: «Il termine “parallele” (παράλληλοι) è attestato per la prima volta in Aristotele, ma è probabile che fosse già stato adottato in Accademia ... L’interesse di Platone per questo problema riguardante i fondamenti della geometria doveva essere, al contrario, assai grande. La teoria delle parallele ha ricevuto la sua forma definitiva da parte di Euclide. Ma prima che il grande Alessandrino finisse col riconoscere il vantaggio di fondarla su un postulato indimostrabile, anziché rendere questo postulato un teorema dimostrabile per mezzo di un altro postulato ammesso coscientemente o incoscientemente,... è passato un secolo di esperienze, di tentativi vani e di circoli viziosi in materia di parallele, e queste ricerche risalgono alla scuola di Platone. (Le terme de π α ρ ά λ λ η λ ο ι est attesté pour la prèmiere fois chez Aristote, mais il est probable qu’il était en usage déjà dans l’academie ... L’intérêt de Platon por cette question touchante les fondements de la géométrie devait être au contraire très grand. La théorie des parallèles a reçu sa forme définitive par EucUde. Mais avant que le grand Alexandrin finît par reconnaître l’avantage de la fonder sur un postulat
4. Il «paragone della linea»: idee di fondo
Nella parte centrale del capolavoro platonico si trovano tre ben noti paragoni, al centro dei quali si colloca, a sua volta, il paragone della lin ea* 13. Già per la sua posizione, dunque, quest’ultimo si contraddistingue come il paragone più significativo, e come il nocciolo della Repubblica.
a) La «divisione dell’intelligibile» e la centralità della geometria
Nel passo in questione, Socrate esorta Glaucone a dividere mentalmente una linea (verticale), la cui parte superiore rappresenti l’ambito dell’intelligibile14, e la cui parte inferiore l’ambito di ciò che è visibile15; poi, lo esorta a dividere ancora una volta entrambi i segmenti, e ciascuno nella proporzione in cui sta la prima divisione: nel campo di ciò che è visibile, la sezione inferiore deve rappresentare le copie, quella superiore il mondo sensibile. La «divisione dell’intelligibile»16, sulla quale verte ora il nostro interesse, corrisponde al rapporto tra filosofìa e matema-
indémontrable au lieu d’en faire un théorème démontrable au moyen d’un autre postulat admis consciemment ou inconsciemment ... il se passait un siècle d’expériences, de vaines tentatives et de cercles vicieux autour des parallèles, et ces recherches remontent à lecole de Platon)»; ivi, p. 149: «Questo esame delle citazioni di Aristotele relative alle parallele ... ci mostra che i geometri dell’Accademia si occupavano in maniera intensa e metodica del problema del parallelismo, ed è impossibile che Platone, che dappertutto ha stimolato le ricerche concernenti i fondamenti della geometria e culminanti nelle definizioni e nei postulati di Euclide, sia rimasto estraneo a queste meditazioni. (Cet examen des citations d’Aristote relatives aux parallèles ... nous montre que les géomètres de l’académie s’occupaient d’une façon intense et méthodique du problème du parallélisme, et il est impossibile que Platon, qui étatit partout ailleurs l’instigateur des recherches concernant les fondements de la géométrie et aboutissant aux définitions et aux postulats d’Euclide, soit resté étranger à ces méditations)».
13 Cfr. Rep. 509 D ss. Come E. A. Wyller, Der späte Platon, Hamburg 1970, ha potuto mostrare per quasi tutti i dialoghi della maturità, il punto ombelicale (δμφαΧος-) di ciascuna opera si trova, nella maggior parte dei casi, e con una certa approssimazione, proprio al centro di essa (si veda ad esempio, lo «αύτο τάκριβέ?» alla p. 284 D 2 del Politico).
14 Rep. 509 D 2: «νοητού γένους-».15 Ivi, 509 D 3: «όρατοΰ».16 Ivi, 510 B 2: «τήν τοϋ νοητού τομήν».
tica, che si distinguono per il diverso potere conoscitivo alla loro base: l ’intelligenza noetica (voû?) guida la ragione filosofica, il ragionamento dianoetico (διάνοια) la conoscenza intellettuale di tipo matematico, che media fra l’intelligenza noetica e l’opinione (δόξα) sensibile. In 511 D 2 ss. si legge: «E mi pare che tu chiami ragionamento dianoetico, e non intelligenza noetica, la capacità dei geometri e di coloro che sono simili ai geometri, come se il ragionamento dianoetico fosse qualcosa di intermedio fra l’opinione e l’intelligenza noetica»17.
Il fatto che si parli esplicitamente di «geometri» (γεωμετρικών), ai quali solo in seconda battuta si aggiungono «coloro che sono simili» ad essi (καΐ.,.τών τοιουτων), ed inoltre il fatto che si accentui la necessità, per questa scienza, di far uso di immagini18, sebbene essa tratti del quadrato in sé e della diagonale in sé19, indicano a sufficienza che, fra le scienze matematiche, è in verità la geometria a collocarsi al centro dell’attenzione.
b) La caratteristica della matematica di non fondarsi da sé
Ma che cosa la distingue dalla dialettica?La geometria procede a partire da presupposti, ottenuti da
immagini sensibili: «l’anima è costretta ad indagare servendosi delle cose imitate, di cui si diceva prima, come di immagini, e procedendo per via di presupposti»20. Dalla geometria, questi presupposti non sono messi a loro volta in questione: «G li scienziati fissano queste cose come presupposti, dopo di che non ritengono più necessario rimetterli in discussione né fra sé né con altri, come se fossero assolutamente evidenti»21; lo stesso pensiero è ripetuto più avanti, dove si afferma, addirittura, che in presenza di un principio (αρχή) inspiegato la matematica non
17 Rep. 511 D 2 ss.: «διάνοιαν δέ καλεΐν μοι δοκεΐ? τήν των γεωμετρικών τε καί τήν των τοιούτων ?ξιν άλλ’ού νουν, ώ? μεταξύ tl δόξη? τε καί νοΰ τήν διάνοιαν οιισαν».
18 Ivi, 510 Β 3 ss., D 5 ss.19 Ivi, 510 D 7 s. Si veda supra, la pagina precedente.20 Ivi, 510 B 4 ss.: «tol? τότε μιμηθεΐσιν ώ? εΐκόσιν χρωμένη ψυχή
ζητειν άναγκάζεταί έξ υποθέσεων».21 Ivi, C 6 ss.: «ποιησάμενοι υποθέσει? αύτά, ούδένα λόγον ούτε αυτοί?
ούτε άλλοι? έτι άξιοΰσι περί αύτών διδόναι ώ? παντί φανερών».
I2fl
può dirsi scienza (επιστήμη)22. La geometria, quindi, si comporta come se tali presupposti (υποθέσεις·) fossero evidenti ad ognuno: è decisiva la particella greca tradotta con «come se», cioè «ώς·», che contrariamente ad «ατε» esprime una mera opinione soggettiva, e non un oggettivo stato di cose.
Per «presupposto» (υπόθεσις·) Platone intende, ad esempio nel Menone, il punto di partenza di una deduzione geometrica, e in questo contesto, evidentemente, un presupposto fondamentale matematico non riconducibile ad altro, vale a dire un assio-V 'ma23. E degno di nota che, per Platone, questi presupposti non siano autoevidenti, come i matematici, o meglio la maggior parte di essi, falsamente credono24; al contrario, i presupposti esigono una fondazione, di cui la matematica da sola non è evidentemente capace, a meno che non ricorra all’intuizione: un ricorso che però contrasta con la sua pretesa di occuparsi di figure in sé.
c) Precisazioni sui «presupposti» della matematica
Dato che Platone non è uno scettico, e per di più considera la matematica un campo di prova e un modello per la conoscenza, come Gaiser ha mostrato riguardo a molti singoli problemi25, il fatto che a suo avviso la matematica non abbia in se stessa i propri fondamenti ultimativi è un fenomeno sorprendente, e di per sé bisognoso di una spiegazione. A che cosa pensa, dunque, Platone, quando parla di «presupposti» di per sé non autoevidenti?
È stata sostenuta la tesi per cui Platone per hypotheseis (υποθέσεις·) intenderebbe i concetti geometrici fondamentali26. Però,
22 Rep., 533 B-C. Mugler fa riferimento a questo passo, quando scrive (Platon..., p. 29): «ha forse intravisto nel suo animo, anticipando le idee audaci dei Gauß, Riemann, ο H. Poincaré, la possibilità di una geometria assoluta, indi- pendente dalle ipotesi fisiche e dalla parziale contingenza che queste ultime portano con sé? (Entrevoyat-il dans son esprit, en anticipant les idées audacieuses des Gauß, Riemann, H. Poincaré, la possibilité d’une géométrie absolue indépendante des hypothèses physiques et de la part de contingence entraînée par ces dernières?)».
23 Cfr. Men. 86 E ss., e def. 415 B: «l’assioma è un principio non dimostrato (υπόθεσις· αρχή αναπόδεικτος·)».
24 Rep. 510 C 7: «άξιοΰσι».23 Gaiser, Platons..., passim.26 Sulla base di 510 C 3 ss. Solo per citare un esempio, H. G. Zekl, Der
è ben poco credibile che Platone abbia ritenuto non enunciabili da parte della matematica le definizioni che si trovano nella sezione del primo libro di Euclide dedicata ad esse — definizioni che in realtà risalgono per buona parte all’Accademia27 — , e abbia ritenuto così importante un soccorso filosofico a questo riguardo, da farne menzione nel punto ombelicale della Repubblica. A sfavore di questa possibilità, depone anche l’uso della parola hypothesis (ìmóGeaisO, che nel Menone denota, come prima si è visto, un teorema avente la funzione di punto di partenza, e in Aristotele, nel contesto di un passo antieuclideo, viene equiparata al «principio» (άρχή), ossia all’assioma geometrico: «come per le scienze teoretiche i presupposti sono principi.. ,»28.
Parmenides. Untersuchungen über innere Einheit, Zielsetzung und begriffliches Verfahren eines platonischen Dialogs, Marburg 1971, p. 202, si esprime in questi termini: «Nel campo delle scienze fondate su ipotesi ... il cammino procede a partire dall’ipotesi deduttivamente verso il basso; si vorrebbe pensare agli assiomi matematici, ma l’illustrazione (510 C) indica che si pensa più che altro ai concetti matematici fondamentali. (Im Bereich der hypothesis-Wissenschaften ... geht der Weg von der hypothesis — man möchte hierbei an die mathematischen Axiome denken, aber die Illustrierung [510 C] zeigt, daß eher an die mathematischen Grundbegriffe gedacht ist —, deduktiv nach unten)». Per contro, anche se con molta prudenza, H. Stachowiak, Rationalismus im Ursprung. Die Genesis des axiomatischen Denkens, Wien-New York 1971, p. 103, afferma: «E sia come sempre: anche la più prudente interpretazione dei tesi platonici citati non potrà respingere come completamente infondata ed inverosimile la tesi per cui Platone avrebbe voluto che si includessero nell’ambito della conoscenza destinata ad un superiore consolidamento filosofico anche le proposizioni che stanno a fondamento delle dimostrazioni matematiche. (Wie immer dem sei: auch die vorsichtigste Interpretation der angeführten platonischen Texte wird die Annahme, daß Platon die den mathematischen Beweisen zugrunde liegenden Sätze in den Kreis der philosophisch abzusichernden Erkenntnis einbezogen wissen wollte, nicht als gänzlich unbegründet und unwahrscheinlich von der Hand weisen können)».
27 Per Euclide, I def. 10-12, non è necessario aver studiato filosofia platonica.28 Eth. Eud. 1227 b 29: «ώσπερ γάρ ταΐ? θεωρητικοί? al υποθέσει?
άρχαί...». Si veda anche Eth. Eud. 1222 b 39 ss.; supra, II, 4. Anche per Aristotele, come per Platone, la conoscenza dei principi (άρχαί) inconoscibili risale all’intelligenza (voû?). Cfr. An. post. 88 b 36 s.: «né l’intelligenza (intendo infatti per intelligenza un principio di scienza) né la scienza non dimostrata ... (ούδε voû? [λέγω γάρ vow άρχήν έπιστήμη?] ούδ’ έπιστήμη Αναπόδεικτο?)»; Eth. Nie. 1141 a 8: «resta che i principi siano oggetto dell’intelligenza (Χείπεται νοΰν είναι των άρχών)»; certo, l’intelligenza (voû?) ha in Aristotele un significato sostanzialmente più ampio.
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È quindi necessario cercare di intendere per hypothesis (υπόθεσή) un assioma, nel quale però svolgano un certo ruolo i concetti richiamati in 510 C 3 ss. Fra di essi scelgo, in primo luogo, i «tre tipi di angoli» (γωνιών τριττά είδη) richiamati in chiusura. Se ci si ricorda, ora, che in Aristotele la proposizione riguardante la somma degli angoli viene ripetutamente addotta come assioma (essa, in quanto equivalente al postulato delle parallele, può ricoprire benissimo questa funzione29), il passo all’interno del paragone della linea guadagna improvvisamente un senso ben chiaro: la questione relativa alla somma degli angoli del triangolo, e quindi alla sua essenza, non può essere risolta secondo Platone solo con strumenti matematici (qui il metodo analitico si scontra con i suoi limiti assoluti), a meno che non si assuma come strumento di soccorso l’intuizione30. Questa costituisce, tuttavia, un soccorso, che per Platone costa un prezzo troppo alto: la perdita della scientificità della geometria31.
29 Cfr. MM 1187 a 37 ss., 1189 b 10 ss.; Eth. Eud. 1222 b 39 ss., 1227 b 29 ss.; in An. pr. 66 a 14 s. viene dichiarata l’equivalenza dell’ipotesi dell’angolo ottuso con l’intersecarsi delle parallele.
30 Cfr. 510 D 5 ss. Il postulato euclideo delle parallele e il rispettivo teorema della somma degli angoli sembrano certo essere «più intuitivi» delle opposte proposizioni iperboliche o ellittiche.
31 Nella discussione del quinto postulato in Proclo, In prim. Eucl., p. 192,11. 26-30 Friedlein, si legge: «Ma se anche gli argomenti che mettono in dubbio l’intersecazione hanno qualcosa di sorprendente, come mai non eliminiamo con diritto molto migliore, dalla sfera di ciò che accettiamo, questa assunzione solo persuasiva e ciò che non è fondato? (et δέ καί ol δίαμφισβητοΰντε? λόγοι πρό? τήν σύμπτωσιν πολύ τό πληκτικόν Ιχοιεν, πώ? ούχΐ πολλω πλέον dv το πιθανόν τοντο καί τό άλογον έκβάλλοιμεν τη? ήμετέρα? παραδοχή?;)». Anche qui, in modo del tutto platonico, si procede contro l’«evidenza» dell’intuizione nel postulato delle parallele e non viene a priori esclusa la possibilità di un assioma iperbolico (Proclo, successivamente, cerca di dimostrare, in modo erroneo, il quinto postulato; ciò è sorprendente, fra l’altro, poiché Proclo, nella sua brillante interpretazione del paragone della linea, ivi, pp. 29,1. 14-32 1. 20, in modo del tutto platonico distingue e subordina la matematica, quale scienza fondata su ipotesi, rispetto alla filòsofia). Poco prima del passo citato (alla p. 192,11. 11 ss.), Proclo si richiama expresses verbis a Platone, Fedone 92 D: «... questo [sai. discorso] mi è venuto in mente senza una dimostrazione, ma solo in baso ad una certa verosimiglianza e bella apparenza ... E so bene che gli argomenti che producono dimostrazioni per mezzo di verosimiglianze sono vani, e se uno non se ne tiene lontano* ingannano benissimo, sia in geometria, sia in tutte le altre cose, (δδε μέν γάρ μοι γέγονεν άνευ άποδείξεως μετά εΐκότος tlvôç καί
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d) Fondazione filosofica della matematica
Ma se si deve rinunciare all’intuizione, com’è possibile che il teorema della somma degli angoli, da semplice presupposto (ύπόθβσις), divenga vera proposizione? La geometria (γεωμε* τρία), che si colloca fra l’intelligenza (voi)?) e l’opinione (δόξα), può certo rivolgersi, se non all’opinione che si colloca al di sotto di essa, all’intelligenza che le è sovraordinata, cioè alla dialettica platonica: quest’ultima le porta soccorso per quanto riguarda la sua fondazione. Ed è a partire dalle testimonianze sulla dottrina esoterica di Platone che noi possiamo scoprire il modo in cui Platone ha concepito questo soccorso strutturale della filosofia nei confronti della matematica.
Platone ha cercato di «applicare» la sua coppia di principi costituita dall'Uno (£v) e dalla Diade indefinita (άόριστο? δυά?) non solo all’etica, alla filosofia della natura e della storia, ma anche alla matematica, come è stato indicato soprattutto da Gaiser: in matematica dovevano venir rese visibili le strutture ontologiche che si rispecchiano nella realtà intera32. N e è un esempio la riconduzione ai principi delle forme di angolo: l’angolo retto corrisponde all’Uguale in sé, mentre l’opposizione degli angoli acuti e ottusi, che a piacere diventano più grandi o più piccoli, esprime l’opposizione interna del secondo principio, il «Grande-e-Piccolo» (μέγα-μικρόν).
eimpeweias· ... έγώ δ£ τοί? διά των εΐκότων τά? άποδείξει? ποιούμενοι? λόγοι? σύνοιδα ούσιν άλαζόσιν, καί fiv tl? αύτού? μή φυλάττηται, εύ μάλα έξαπατακη, καί èv γεωμετρία καί εύ τοι? άλλοι? άπασιν)». È possibile, ma non necessario, porre il passo nello stesso contesto del paragone della linea. Una cosa simile vale anche per Teeteto, 162 E s.
32 Questa sorta di «matematica speculativa» si trova con una notevole frequenza nei commentatori neoplatonici (ad esempio in Proclo), in Nicolò Cusano, e se ne trovano tracce ancora in Hegel. Si veda, ad esempio, Wiss. d. Logik, 6. 532: la trasformazione del rettangolo in quadrato corrisponde «ad un’uguaglianza fra l’uguale in sé, ossia il quadrato, e l’ineguale in sé, ossia il rettangolo (einer Gleichung zwischen dem sich selbst Gleichen, dem Quadrat, mit dem in sich Ungleichen, dem Rechteck)»; su questi pensieri platonici, cfr. Gaiser, Platons..., ρ. 53 s. Hegel, ibid., pone in parallelo l’angolo retto «con l’uguale a sé (dem sich selbst Gleichen)»; e infine, ivi, p. 536, spiega l’incommensurabilità in maniera molto simile a Platone (a questo proposito si veda Gaiser, Platons..., p. 58). Del tutto platonico è anche il fatto che Hegel parimenti affermi il carattere assiomatico del postulato delle parallele, e la sua indimostrabilità per mezzo di strumenti matematici (p. 528 s.).
5. La teoria esoterica dei principi e la posizione speciale dell’angolo retto
Markovic ha raccolto gli accenni a questa riduzione, che è documentata per l’esoterica platonica33. Già Aristotele richiama, nella Metafisica, la priorità ontologica dell’angolo retto: «Ed è così che, in un senso, l’angolo retto è anteriore all’acuto, in quanto è determinato ed è anche anteriore per la definizione»34. «D ’altro canto» — rileva Markovic — «nei Problemata di Aristotele gli angoli acuti e ottusi vengono posti in diretta connessione con la dualità indefinita dei toni acuti e gravi»35. Nelle De- finitiones di Erone, l’angolo retto viene posto in parallelo con l’Uno e con l’istante (νυν)36. In Teone di Smirne, dell’angolo retto si dice che è «delimitato e costituito dall’uguale e dal simile»37. In Giamblico e in Proclo, il problema viene svolto negli stessi termini38. Ci sarebbe da aggiungere un passo di Nicolò Cusano, che manca in Markovic, ove degli angoli ottusi e acuti si dice che possono diventare sempre più ottusi e sempre più acuti39. Su Hegel, si veda quanto abbiamo detto in precedenza40.
33 Markovic, Platons Theorie..., passim. Si veda Proclo, In prim. Eucl., pp. 131,1. 21-132,1. 17; 133,1. 2 -134,1. 1 Friedlein = Test. 37 Gaiser.
34 Metaph. 1084 b 7 ss.: «καί Ιστι μέν ώ? ή όρθή προτέρα τη? όξείας·, δτι ώρισται καί τώ λόγω;».
33 Markovic, Platons Theorie..., ρ. 310, ove si cita Metaph. 918 a 19 ss.: «andererseits werden in den Problemen des Aristoteles die spitzen und die stumpfen Winkel in unmittelbaren Zusammenhang mit der unbestimmten Zweiheit der hohen und tiefen Töne gebracht».
36 Erone, Opera IV: Definitiones cum variis collectionihus. Edidit J. L. Heiberg, Lipsiae 1912, pp. 26-28; cfr. anche 116-118,148-150.
37 Teone, Exp. rer. math., p. 101, c. 2 ss. Hiller: «ώρισμένη καί έξ Ισου καί δμοίου συνεστώσα».
38 Giamblico, In Nicom. Arithm., pp. 43, 1. 27-44, 1. 2 Pistelli; Proclo, In prim. Eucl., pp. 131, 1. 21-132, 1. 17; 133, 1. 20-134,1. 1 Friedlein, ed inoltre p. 172,11. 18 s., ove si dice: «l’angolo retto ... che si prende la misura degli angoli, che non ammette né ampliamento, né diminuzione (όρθή ... tò μέτρου dmr λαβοϋσα των γωνιών τό μήτε έττίτασιν μήτε άνεσιν έπιδεχόμενον»). Sulla funzione di misura propria dell’angolo retto, cfr. Euclide I, def. 10-12.
39 Cusano, De beryllo, capp. 8/9. Cfr. anche De venatione sapientiae, cap. 7, n. 18, dove Cusano cita questo suo passo.
40 Cfr. supra, nota 32, e specialmente Parte prima, IV, 2.
I numerosi passi in merito documentano a sufficienza che tale pensiero ha svolto un ruolo significativo all’interno dell’esoterica accademica: altrimenti, diffìcilmente vi sarebbe stato posto l’accento così spesso, ancora nella tarda antichità.
6. Il «paragone della linea» e la fondazione ontologica della geometria euclidea
Viene spontaneo collegare questo frammento relativo alla conferenza platonica Sul Bene (Περί τάγαθοΰ) con Politico, 510 C 41. Dal collegamento risulta però che la riduzione esoterica in esame ha pretese diverse rispetto quelle contenute negli altri esempi matematici. In questo caso, non si tratta semplice- mente di illustrare strutture categoriali nell’ambito dei concetti matematici, cosa che per un matematico potrebbe essere indifferente; si tratta, invece, di principiare la geometria euclidea come vera scienza, per mezzo dell’ontologia42.
In altre parole, nel paragone della linea, Platone sembra alludere ad un merito della sua dottrina dei principi nell’ambito di una grave crisi matematica dei fondamenti. Nel dubbio sulla possibilità di fondare la matematica, che conseguì al riconoscimento dell’indimostrabilità e quindi del carattere ipotetico del quinto postulato (o della proposizione riguardante la somma degli angoli), e che per testimonianza di Aristotele è lecito collocare in questo periodo, sarà stato compiuto il tentativo di richiamarsi all’intuizione (almeno così possiamo supporre); e che sia
41 Così fanno Gaiser, Platons..., p. 512, e Markovié, Platons Theorie..., p. 310.
42 Cfr. Gaiser, Platons..., p. 304: «In ultima istanza, secondo la concezione platonica, sono necessariamente gli stessi principi universali dell’essere che costituiscono anche i fenomeni e le norme di tipo matematico. (Letztlich sind es nach platonischer Auffassung notwendigerweise die allgemeinen Seinsprinzipien selbst, die auch die mathematischen Phänomene und Gesetzmäßigkeiten konstituieren )»: il corsivo è mio, peccato che manchi un’argomentazione più precisa; ivi, p. 305: «dato che [la matematica] è per propria essenza dipendente da presupposti ontologici che non possono più essere colti matematicamente (da sie [sai. die Mathematik] ihrem Wesen nach von ontologischen Voraussetzungen, die nicht mehr mathematisch faßbar sind, abhängig ist)».
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stato respinto questo tentativo come alcunché di non scientifico, costituisce il merito di Platone. Si può inoltre presumere che, entro tale crisi, Platone abbia perorato la causa della geometria euclidea sulla base di fondamenti ontologici. In questa geometria, infatti, l’angolo retto svolge il ruolo di misura delle figure45, un ruolo che non gli spetta necessariamente su basi matematiche, ma sulla base della dottrina dei principi43 44. L’opzione di Platone a favore della geometria euclidea è dunque di tipo
43 Rep. 510 C 4: «σχήματα». Con ciò si chiarisce anche il senso del termine «figure» (σχήματα): le figure geometriche naturalmente cambiano a seconda che il teorema della somma degli angoli valga oppure no, e quindi vengono presupposte con esso. Pongo in relazione il «pari e il dispari» (510 C 4: tó τε περιττόν καί tò άρτιον) con la generazione dei numeri a partire dall’Uno e dalla Diade indefinita. Cfr. Test. 32 (§ 276 s.), Test. 60 Gaiser; Pann. 142 B ss. (spec. 144 Λ) e M. Suhr, Platons Kritik..., pp. 36 ss. e 52 s.: in aritmetica, la dottrina platonica dei principi doveva fornire la prova dell’esistenza dei numeri; Parm. 144 A — ove si dice: «credi che ci sia qualche numero che non sia necessariamente? (οΐει τινά άριθμόν ίπτολε(πεσθαι ϋν ούκ άνάγκηη είναι) no... ma;» — richiama, non per combinazione, nella sua esigenza di completezza, il quinto assioma di Peano, anche se quest’ultimo è molto più complesso. Anche in riferimento alla dottrina di Platone sulle linee indivisibili, si può parlare di una fondazione ontologica, che nella matematica moderna non trova peraltro nessun corrispettivo (cfr. Gaiser, Platons..., pp. 158 ss.).
44 Si potrebbe pensare che la geometria iperbolica sia stata ridotta da Platone alla «Diade indefinita», anche a causa delle sue parallele infinitamente molteplici. Come Mugler, Platon..., p. 132 s., giustamente accentua, la geometria euclidea è estremamente affine allo spirito greco anche a causa della somiglianza fra le figure che sussiste in essa (una riflessione a questo proposito, però, non sembra aver avuto luogo): «Ma le proprietà geometriche, di cui egli si serve principalmente, ci mostrano che la geometria euclidea era la più adeguata al genio costruttore dei Greci. Possiamo in effetti constatare che le proprietà, alle quali fa appello il Demiurgo, sono precisamente quelle che caratterizzano lo spazio euclideo: egli si propone di fare della similitudine un principio d’ordine, e noi sappiamo che solo lo spazio euclideo ammette figure simili, al punto che taluni geometri moderni» — Mugler pensa a John Wallis — «hanno proposto il postulato dell’esistenza di figure simili come equivalente del quinto postulato di Euclide. (Mais les propriétés géométriques dont il se sert principalement nous montrent que la géométrie euclidienne étatit la plus adéquate au génie constructeur des Grecs. Nous pouvons en effet constater que les propriétés auxquelles le Démiurge fait appel sont précisément celles qui caractérisent l’espace euclidien: il se propose de faire de la similtude un principe d'ordre, et nous savons que seul l’espace euclidien admet des figures semblables, au point que certains géomètres modernes ont proposé le postulat de l’existence de figures semblabes [sic!] comme équivalent du 5e postulat d’Euclide)».
ontologico: e a questa opzione, la si valuti come si voglia43 * *, siamo debitori del carattere euclideo, che la geometria ha avuto fino al secolo scorso.
7. Il «Cratilo» a conferma del programma emerso dal «paragonedella linea»
Anche il Cratilo , che ha visto la luce immediatamente dappresso alla Repubblica46, documenta la consapevolezza da parte di Platone della possibilità matematica di sistemi geometrici opposti a quello euclideo. Alla domanda di Socrate, se l’eraclitiz- zante «artefice dei nomi» (δημιουργός- των ονομάτων) abbia potuto sbagliare nel creare i nomi, Cratilo ribatte che è impossibile, «altrimenti tutto non gli sarebbe concorde nel modo in cui concorda»47. A ciò Socrate replica come segue: «Ma questa, buon Cratilo, non è assolutamente una difesa. Difatti non vi è nulla di strano se colui che ha assegnato i nomi, dopo aver sbagliato il primo, ha poi forzato anche gli altri in funzione di questo, e li ha costretti a concordare (συμφωνεΐν) con se stessi, come accade talvolta nelle dimostrazioni geometriche (διαγραμ-
43 Per valutare con correttezza questa costruzione, che ai nostri occhi risultasingolare, occorre in ogni caso tenere a mente che Platone è più moderno, per fare un esempio, di Kant, in quanto non solo rifiuta una fondazione degli assiomi sulla base dell’intuizione, ma la nega in modo marcato. Cfr. anche R. Robinson, Plato’s earlier Dialectic, Oxford 19532, p. 156: «I presupposti (υποθέσει?) erano“chiari a tutti’ ο π αντί φανερά nel senso fisico per cui erano II, per essere visti, nella sabbia del geometra. In geometria, il legame con l’intuizione spaziale, e la pretesa che i propri postulati siano certi, vanno insieme. I contemporanei di Platone accettavano l’uno e l’altra. Platone e il ventesimo secolo respingono l’uno e l’altra (They were [re. the υποθέσεις·] “plain to all* or παντι φανερά in the physical sense of being there to see in the geometer’s sand. In geometry the appeal to spatial intuition and the claim that one’s postulates are certainties go together. Plato’s contemporaries accepted both. Plato and the twentieth century reject both)».
46 II Cratilo è, com’è noto, l’unico dialogo platonico la cui datazione, precedente o successiva alla Repubblica, è rimasta controversa. Sulla base delle ragioni addotte da Gaiser, Name und. Sache in Platons “Kratylos", Heidelberg 1974, spec, p. 97, sarei tuttavia propenso ad optare insieme a lui, con qualche riserva, per una datazione successiva.
47 Crai. 436 C 4: «où γάρ αν ποτέ ού'τω σύμφωνα ην αΰτψ άπαντα».
μάτων), quando, ammessa una premessa falsa, anche piccola ed impercettibile (σμικρού καί άδηλου ψευδού?), tutte le conseguenze che ne derivano, pur numerosissime, risultano coerenti (όμολογεΐν) fra loro»48.
Oltre alla terminologia, a favore dell’eventualità che nel testo si alluda alla relativa coerenza dei sistemi antieuclidei, depone soprattutto l ’esclusione di fatto, che occorre assumere ex silentio, di una reductio ad absurdum così importante per i matematici greci, quale era il procedimento apagogico. Le deduzioni non portano ad evidenti assurdità, che permettano di concludere alla falsità della premessa. Tutto questo vale solo qualora la premessa abbia carattere assiomatico, cioè solo qualora si tratti di un sistema a carattere antieuclideo consapevolmente costruito, la cui falsità non sia da stabilirsi per mezzo di strumenti logico-matematici, bensì tramite la visione ontologica dei principi. Questa è la conclusione che bisogna trarre ex analogia dalle osservazioni che seguono sul linguaggio: la pretesa, che il linguaggio ha di essere in quanto parmenideo o eracliteo il vero linguaggio, non può ricevere giustificazione in prospettiva intra-lingui- stica, così come la pretesa di verità della geometria euclidea e non euclidea non può ricevere giustificazione in prospettiva matematica: «Allora, se i nomi sono in conflitto, e gli uni sostengono d’essere simili alla verità, mentre anche gli altri pretendono lo stesso, con quale criterio giudicheremo, o a che cosa ricorreremo? Certo, non ad altri nomi, diversi da questi: infatti, non ne esistono, mentre è evidente che si deve ricercare qualcos’altro, al
48 Ivi, 436 C 7- D 4: « 'Αλλά τούτο μέν, ώγαθέ Κρατυλε, ούδεν έστιν άπολόγημα. el γάρ το πρώτον σφάλει? ό τιθε'μενο? ταλλα ήδη προ? t o u t ’έβιάζετο και αύτψ συμφωνεΐν ήνάγκαζεν, ούδεν ατοπον, ώσπερ τών διαγραμμάτων ενίοτε του πρώτου σμικρού καί άδηλου ψεύδου? γενομενου, τα λοιπά πάμπολλα ήδη δντα επόμενα όμολογεΐν άλλήλοι?». Tradurre «διαγραμμάτων», come si fa di norma, con «figure» è sbagliato, poiché il termine greco significa «dimostrazioni geometriche». In Platone, inoltre, «ψευδό?» non significa ancora, come poi significherà ad esempio in Aristotele, «errore», «sofisma», bensì «affermazione falsa»; infine, «όμολογεΐν» indica propriamente un «essere coerente». Tóth, in alcune ricerche terminologiche non pubblicate, ha mostrato che la tripletta logica «sillogizzare-sillogismo-paralogismo» (συλλογί- ζεσθαι - συλλογισμό? - παραλογισμό?) ha il suo corrispettivo geometrico nella tripletta «dimostrare-dimostrazione-dimostrare erroneamente» (γράφειν - διάγραμμα - ψευδογραφεΐν).
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di fuori dei nomi, che ci manifesti, senza ncorrcic a uUUU, M___di questi siano veri, mostrando cioè la verità delle cose (τηνάληθααν τω ν οντώ ν)»49.
Un argomento possibile contro questa interpretazione, quello cioè di rifarsi al carattere «piccolo ed impercettibile»50 della premessa falsa, che sembra escludere un costruire consapevolmente antieuclideo, può essere reso innocuo: qualificare ex post, come cosa piccola ed impercettibile, proprio quel problema che ha suscitato la seconda crisi dei fondamenti nella matematica greca51, risponde troppo bene allo stile ironico-allusivo di Platone52 53 *.
8. Il carattere allusivo dei passi dei dialoghi presi in esame
Non deve sorprendere il fatto che entrambi i passi appena considerati siano così poco espliciti e si limitino ad accennare al problema, che però, come spero di avere dimostrato, bisogna presupporre per comprenderli in maniera appropriata. Com’è ormai indubbio da quando sono comparsi i lavori tubinghesi sull’esoterica platonica, Platone non ha pubblicato il progetto ontologico di fondo che percorre il suo pensiero a partire probabilmente già dal Protagora55, e in alcuni passi decisivi dei dia-
49 Crai. 438 D 2-8: «’Ονομάτων ούν στασιασα'ντων, καί των μεν φασκόντων έαυτά είναι τα όμοια τή αληθείς:, των & έαυτά, τίνι eτι διακρινούμεν, ή επί τί έλθοντες-; où γάρ που επί ονόματα γε ετερα αλλα τούτων où γάρ έστιν, άλλα δήλον ότι άλλ' αττα ζητητάα πλήν ονομάτων, α ήμΐν έμφανιεΐ άνευ ονομάτων όπότερα τούτων έστί τάληθή, δείξαντα δήλον ότι την αλήθειαν των όντων».
50 Ivi, 436 D 2-3: «ο μικρού καί αδήλου».51 La prima crisi dei fondamenti nella matematica greca è costituita dalla sco
perta pitagorica dell’irrazionale, che solo Eudosso ha risolto. Già Mugler, Platon..., p. 330, citato supra, II, n. 11, confronta le due crisi.
52 Fra l’altro, Crai. 436 D è stato già citato da Tóth, Geometria more ethico..., p. 400, in contesto anti-euclideo, senza però essere interpretato più puntualmente.
53 Sulle ragioni di questo atteggiamento, si vedano: Lettera VII 340 B ss.; Fedro, 275 C ss.; e Krämer, Arete..., p. 393 ss. Ritengo la Lettera settima autentica, di contro a: Cherniss, The Kiddle of the early Academy, Berkeley-Los Angeles1945, trad. ital. di L. Ferrerò: L'enigma dell'Accademia antica, Firenze 1974, p.16; G. Müller, Oie Philosophie im pseudoplatonischen 7. Brief, «Archiv für Philosophie», 3 (1949), pp. 251-276; L. Edelstein, Plato's seventh Letter, Leiden 1966;
loghi ha solo schizzato le linee di fuga della sua argomentazione, o ha anche esplicitamente dichiarato di trattenere qualcosa. Ciò accade, ad esempio, nel paragone del sole (506 E) e nelle osservazioni che introducono il paragone della linea (509 C): l’uno e le altre documentano a sufficienza che il loro seguito non può essere compreso, almeno non in modo pieno, sulla base di se stesso. In 510 B, Glaucone medesimo ammette di non aver colto in misura sufficiente ciò che è stato detto; quando Socrate, in 511 D 6, dichiara che Glaucone ha compreso perfettamente, si riferisce al riassunto introdotto da 511 C 3, che concerne l’aspetto formale del paragone. Si aggiunga che Platone, per quanto riguarda l’adombramento della crisi antieuclidea, dispone sia di altri motivi di una certa importanza, sia di diretti antecedenti: da un lato, la pretesa di verità della matematica non doveva certo essere ridicolizzata dagli Scettici sofisti, che rifiutano la sovrastruttura ontologica di Platone, ma catturano con soddisfazione l’ipotesi antieuclidea* 34; e dall’altro, si sa che la scoperta dell’irrazionalità diventò di dominio pubblico solo grazie ad un’indiscrezione severamente punita dagli dèi33. Platone si colloca all’interno di questa tradizione pitagorica, e solo le marginali indicazioni di Aristotele, e la loro valorizzazione da parte di Tóth, ci permettono oggi di gettare uno sguardo sulle discussioni dell’Accademia relative ai fondamenti della matematica: discussioni nel corso delle quali vennero articolate, soprattutto per quanto riguarda la rigorosa metodologia della dimostrazione
e d’accordo con la maggioranza degli studiosi: M. Pohlenz, Aus Platos Werdezeit, Berlin 1913, pp. 113 ss.; U. Wilamowitz, Platon. Sein Leben und seine Werke, 2 voll., Berlin 1919, 19593; J. Stenzei, Über den Außau der Erkenntnis im 7. platonischen Brief, «Sokrates. Zeitschrift für das Gymnasialwesen», Berlin 1921, pp. 63-84; H. Patzer, Mitteilbarkeit der Erkenntnis und Philosophie, «Archiv für Philosophie» 5 (1954), pp. 19-36; Krämer, Arete..., p. 401; Gaiser, Platons..., p. 452; K. von Fritz, Schriften zur griechischen Logik..., I, pp. 175-213. Piuttosto indeciso relativamente alla questione dell’autenticità è J. Irmscher nella sua introduzione a: Platon, Briefe, Berlin 1960, pp. 7 e 49. Per quanto riguarda le allusioni al trattenere qualcosa, si veda Krämer, Arete..., pp. 389 ss., ed ora Szlezak, Platone..., cit.
34 Cfr. Fr. 80 B 7 Diels-Kranz, ed eventualmente anche il fr. 68 B 155.33 Cfr. supra, nota 51. Cfr. Fr. 18,4 Diels-Kranz, e Pappus (Abu 'Othmân al-
Damashkî), In decim. Euclidis Eiern, libr. comment., I 1/2, pp. 63/64 Junge- Thomson = lest. 20 Gaiser.
geometrica, conoscenze impegnative, che furono dimenticate molto presto, e il cui livello fu nuovamente raggiunto solo nel secolo scorso.
9. Il ruolo di Leodamante di Taso nella crisi geometrica dei fondamenti
Tóth ha ipotizzato che le asserzioni antieuclidee, che si possono trarre dal Corpus aristotelicum, risalgano alla cerchia di Eudosso, e ha avanzato soprattutto i nomi di Menecmo e di Teudio56. Se però i passi citati in precedenza sono stati da me interpretati correttamente, per ragioni di carattere cronologico, è impossibile che rindimostrabilità del postulato delle parallele sia stata assunta soltanto da Eudosso e non prima. (Resta certo possibile pensare che Eudosso abbia dimostrato alcune singole proposizioni, come ad esempio l’equivalenza di incommensurabilità ed euclidicità; è anzi verosimile che la formulazione originaria del problema sia stata sottoposta per lungo tempo a ricerche ulteriori o approfondimenti). La Repubblica, infatti, è comparsa intorno «all’anno 374, o poco più tardi»57. Eudosso, invece, è nato intorno al 400, e non si è propensi ad anticipare le sue scoperte matematiche al suo primo periodo ateniese: ma solo nel 368 egli è ritornato una seconda volta ad Atene. Per di più, Menecmo viene indicato come suo allievo, mentre Teudio appartiene alla stessa generazione di Aristotele58. Questi matematici, dunque, non entrano ancora in discussione per quanto riguarda i risultati risalenti ai tempi della Repubblica,9. Chi però
56 Cfr. Tóth, Das Parallelenproblem..., p. 410.57 U. V. Wilamowitz-Moellendorff, Platon..........I, p. 308: «374 oder wenig
später». O. Gigon, Platon, Der Staat, Zürich-München 1974, p. 10, desidera «malvolentieri discendere oltre il periodo della catastrofe di Leuttra avvenuta nel 372 a. C. (ungem unter die Zeit der Katastrophe von Leuktra 372 v. Chr. hinabgehen)»
58 Cfr. Proclo, In prim. Eucl., pp. 64, c. 16-68, c. 6 Friedlein (=Test. 15 Gaiser), e supra, nota 11. Su Teudio si veda la voce a lui dedicata da K. v. Fritz, in: Pauly-Wissowa-Kroll, Realencyclopädie der Altertumswissenschaft, Stuttgart 1894 ss. (d’ora in poi: R. E.), VI A 1, pp. 244 ss., ove si valorizza la testimonianza di Proclo.
,9 Fra l’altro, l’opera eudossiana presuppone un livello di sensibilità per il ri-
può essere chiamato in causa a proposito di queste ricerche an- tieuclidee è Leodamante di Taso, «almeno quasi coetaneo» di Platone* 60. Di Leodamante, tanto Diogene Laerzio, quanto Proclo, scrivono che ricevette da Platone lo stimolo ad adoperare (per primo) il metodo dell’analisi61. «È evidente» — conclude von Fritz — «che con questo, nella versione di Diogene Laerzio, viene allo stesso tempo sottinteso che Platone ha scoperto il metodo analitico»62 63. Tale conclusione può però essere respinta in modo definitivo, poiché Platone cita il procedimento analitico già nel Metterne^, e la presenza di esso è documentata, o comunque deve essere presupposta, già in Ippocrate di Chio, e verosimilmente anche in Enopide64. «Ciò non esclude tuttavia» — dice ancora von Fritz — «che Platone qui, come in altri casi, abbia richiamato l’attenzione sulla particolare importanza e fecondità di un metodo, e abbia prodotto impulso ad estenderne l’applicazione. Inoltre, può anche darsi che egli abbia contribuito a far sì che un metodo fino ad allora applicato, ora più, ora meno, in maniera pratica divenisse oggetto di un’accurata ricerca relativa ai suoi fondamenti teorici, alla sua estensione, fino ai suoi limiti»65. Ma ciò significa che Leodamante venne spinto su im-
gore di una dimostrazione sicuramente non più modesto rispetto alla comprensione della possibilità di sistemi antieuclidei; anche nel diciannovesimo secolo, Dedekind è successivo a Bolyai.
60 La determinazione della sua età si deve a K. von Fritz (in: R.E., Suppl. VII, pp. 371 ss.: «mindestens etwa gleichaltrig»), ma a mio parere non è incondizionatamente cogente, poiché si può presumere che in certi casi la distanza d’età fra maestro e allievo fosse piuttosto piccola: Leodamante, quindi, potrebbe essere più giovane.
61 Cfr. Diogene Laerzio, III 24 (=Test. 18 b Gaiser): «E raccomandò (seti. Platone) a Leodamante di Taso, per primo, il metodo di indagine per analisi (και πρώτο? τόν κατά τήν άνάλικπν τη? ίητησεω? τρόπον έσηγήσατο [sal. Πλάτων] Λεωδάμαντι τώ θασίω)»; Proclo, In prim. Eucl., p. 211, c. 18 - 212, c. 4 (=Test. 18 a Gaiser); cfr. inoltre Tesi. 17: «infatti, sorse anche l’analisi (έγενήθ[η] yàp καί ή άνάλυσι?)».
62 K. von Fritz, in: R.E., Suppl. VII, pp. 371 ss.: «In der Version des Diog. Laert. ist damit offenbar zugleich gemeint, daß Platon die analytische Methode erfunden habe».
63 Cfr. Men. 86 E ss., spec. E 4 s., dove si parla del «modo in cui i geometri spesso conducono le loro ricerche (ώσπερ ol γεωμέτραι πολλάκις σκοποϋν ται)».
64 Cfr. l’articolo Oinopides di K. von Fritz, in: R.E., XVII, pp. 2267 ss.65 K. von Fritz, ivi, Suppl. VII, pp. 371 ss.: «Doch schließt dies nicht aus, daß
pulso di Platone fino a raggiungere gli assiomi: solo questo e non altro, infatti, può voler dire articolare il metodo analitico sino ai suoi confini. In tal misura, si può dare anche un senso all’indicazione «per primo» (πρώτος·) che si trova in Favorino- Diogene Laerzio: con Platone e Leodamante, viene per la prima volta imposto al metodo analitico di procedere fino al suo punto terminale, ossia fino agli assiomi. Questo antico appunto documenta, a mio avviso, in modo cogente l’interesse di Platone per i fondamenti della geometria, e sorregge la tesi qui esposta, secondo la quale nel paragone della linea si attua una valorizzazione ontologica delle ricerche promosse da Leodamante su stimolo di Platone: ricerche che hanno condotto alla comprensione dell’indimostrabilità del quinto postulato, e alla frammentaria articolazione di sistemi antieuclidei, di cui noi troviamo qualcosa in Aristotele66.
Già Gaiser, del resto, ha colto un nesso fra le ricerche assiomatiche di Leodamante e l’intuizione intellettuale (ΐ'όησις·) platonica, senza purtroppo svolgere il proprio pensiero. «Ma un problema filosofico di decisiva importanza» — scrive egli — «si presenta nella seguente questione: in che modo i presupposti (άρχαί, υποθέσεις·), che in seguito al procedimento analitico possono avere valore di assiomi matematici ed elementi, oppure, ulteriormente, di principi formali universali, possono a loro volta essere sottoposti ad un esame di tipo ontologico, e riconosciuti con certezza immediata? Si tratta, in altre parole, del modo in cui il metodo analitico-ipotetico sia da connettere all’intuizione noetica o anamnesis » 67.
Platon hier wie in anderen Fällen auf die besondere Wichtigkeit und Fruchtbarkeit einer Methode aufmerksam gemacht und auf die Ausdehnung ihrer Anwendung gedrängt hat. Auch mag er dazu beigetragen haben, daß eine bis dahin mehr oder minder praktisch angewendete Methode sorgfältig auf ihre theoretischen Grundlagen, auf ihre Ausdehnung und ihre Grenzen hin untersucht wurde».
66 Anche le ricerche di Leone sulla determinazione possono essere considerate in connessione a questi lavori sui fondamenti. Su Leone si veda l’articolo di Orinski, in: R.E., Suppl. VI, p. 222.
67 Gaiser, Platons..., p. 468: «Ein entscheidend wichtiges philosophisches Problem liegt dabei in der Frage, wie die Voraussetzungen (άρχαί., ύποθέσει?), die nach dem analytischen Verfahren als mathematische Axiome und Elemente oder darüber hinaus als allgemeine Formprinzipien gelten können, ihrerseits
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10. Una nuova interpretazione del quarto postulato
A titolo conclusivo, mi si permetta di offrire un’interpretazione, che risulta dal presente lavoro, a proposito del quarto postulato di Euclide, ossia quello dell’uguaglianza di tutti gli angoli retti, la cui funzione è, come si sa, problematica. Nelle note alla sua traduzione tedesca degli Elementi, C. Thaer scrive: «Se non si opera questa assunzione», se non si assume cioè una tesi sull’univocità del prolungamento delle linee rette, ritrattata più tardi dallo stesso Zeuthen, «è diffìcile giustificare l’inserimento di questa proposizione fra i postulati»68. Heath fornisce in merito una spiegazione molto modemistica, e perciò ben poco plausibile: «e quindi, il suo postulato deve essere ritenuto equivalente al principio di invariabilità delle figure, o al suo equivalente, ossia il principio dell’omogeneità dello spazio»69. Poco più avanti, però, si accentua giustamente il riferimento al quinto postulato: «per quanto concerne la ragion d’essere e la posizione del quarto postulato, una cosa è certa. Era essenziale, dal punto di vista di Euclide, che il quarto postulato dovesse precedere il quinto, poiché la condizione contenuta in quest’ultimo, cioè che una certa coppia di angoli formi nel suo complesso meno di due angoli retti, sarebbe inutile se prima non venisse posto in chiaro che gli angoli retti sono angoli di grandezza determinata ed invariabile»70.
A mio parere, invece, il quarto postulato non è altro se non un relitto della giustificazione ontologica, da parte di Platone, del quinto assioma. Dato che l’angolo retto è un angolo unico,
ontologisch überprüft und mit unmittelbarer Sicherheit erkannt werden können, d. h.: wie die analytisch-hypothetische Methode mit der noëtischen Intuition oder Anamnesis zu verbinden ist»; cfr. anche p. 425.
68 Euklid, Die Elemente, Buch I-XIII,... übersetzt und herausgegeben von C. Thaer, Darmstadt 1975, p. 419: «Nimmt man dies nicht an, so ist die Einordnung dieses Satzes unter die Postulate schwer zu rechtfertigen».
69 Heath,The Thirteen Books..., I, p. 200: «and hence his postulate must be taken as equivalent to the principle of invariability of figures or its equivalent, the homogeneity of space».
70 Ivi, p. 201: «As to the raison d’être and the place of Post. 4 one thing is quite certain. It was essential from Euclid’s point of view that it should come before Post. 5, since the condition in the latter that a certain pair of angles are together less than two right angles would be useless unless it were first made clear that right angles are angles of determinate and invariable magnitude».
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mentre vi sono infinitamente molti angoli acuti od ottusi, spetta di essere parallele solo a quelle rette, per le quali una retta che le interseca fa sì che gli angoli creatisi al loro interno da una stessa parte siano nel loro complesso uguali a due angoli retti; e quindi al triangolo spetta una somma degli angoli uguale a due retti71.
11. Conclusioni riassuntive
Riassumiamo. A partire dalie ricerche di Tóth sui topoi an- tieuclidei in Aristotele, che dimostrano che Aristotele era a conoscenza del carattere assiomatico del quinto postulato, e considerava ogni scelta a suo favore o sfavore, in ultima istanza, un fatto di libertà72, è stata proposta, dopo considerazioni a priori
71 Anche Proclo, In prim. Eucl., p. 188,11.12-15 Friedlein, nella sua discussione del quarto postulato, si richiama indicativamente alla dignità ontologica dell’angolo retto che conosciamo dalla dottrina orale di Platone: «l’uguaglianza degli angoli retti è uguale per ogni angolo retto, poiché ha l’essenza o la caratteristica di unità in rapporto all’aumento e alla diminuzione all’infinito di ciascuno degli altri due tipi di angolo (ή των όρθών Ισότη? μονάδο? δέ ίχοιχτα λόγον ή δρον πρό? τήν èif άπειρον α&ξησιν καί. έλάττωσιν των έφ’ έκατέρα γωνιών ίση έστί πρό? πάσαν όρθήν)»; cfr. anche, ivi, p. 191, 11. 5-11. Già Markovic, Platons Theorie..., p. 311, invita pertanto a «trattare anche il quarto postulato del primo libro di Euclide, che richiede l’uguaglianza di tutti gli angoli retti, entro la cornice di questa teoria: in questa luce, il postulato si rivela come un suo residuo (auch das vierte Postulat des ersten Buches von Euklid, welches die Gleichheit aller rechten Winkel fordert, im Rahmen dieser Theorie zu betrachten: das Postulat erscheint in diesem Lichte als eines ihrer Überbleibsel)». Marcovic tuttavia non coglie il suo significato in rapporto al quinto postulato.
72 L’atteggiamento più liberale di Aristotele nei confronti delle geometrie noneuclidee è sicuramente anche un prodotto del suo imbarazzo: dato che ha respinto, in generale, una fondazione ontologica della matematica (cfr. il passaggio da Metaph. K 7 a E 1, e ad esempio Gaiser, Platons..., p. 317 ss.), Aristotele perde la possibilità di un’opzione ontologica a favore della geometria euclidea, e così gli resta solo da ammettere, in Eth. Eud. 1222 b 38 s., che sul problema: «ora non è possibile, al di là di ciò che abbiamo detto, né non parlare, né parlare precisa- mente (νυν δ’ otre μή λέγει v ούτε λέγειν άκριβω? otóv τε πλήν τοσοδ- τον)». Fra l’altro, il suo stesso porre in parallelo etica e geometria potrebbe essere di origine platonica, solo che in Platone entrambe erano fondate ontologicamente. Cfr. Proclo, In prim. Eucl., pp. 131,1. 12 -132,1. 17; 133,1. 20 -134 ,1. 1 Friedlein (=Test. 37 Gaiser), ove l’angolo retto viene paragonato alla virtù (άρετή).
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sulla provenienza accademica delle informazioni aristoteliche, una certa interpretazione del «paragone della linea», e di un passo del Cratilo.
Tale interpretazione dei passi dei dialoghi presi in esame ha trovato sostegno in alcuni rilievi sull’esoterica platonica, e sul rapporto di Platone con il metodo analitico di Leodamante; infine, alla luce di questi rilievi, si è potuta offrire una nuova spiegazione del quarto postulato di Euclide.
L’interpretazione che si è proposta dei due passi platonici è la seguente: sulla base di ricerche stimolate da Platone, probabilmente Leodamante è riuscito a cogliere la mancanza di rigore insita nelle dimostrazioni della proposizione 1 29 di Euclide prodotte fino ai suoi tempi, e si è convinto della necessità di colmare tale lacuna per mezzo di un assioma indimostrabile; ciò fece precipitare la geometria in una radicale crisi dei fondamenti, nella quale sembra che il ricorso all’intuizione abbia svolto un ruolo non irrilevante. Sembra che il contributo di Platone, in questa diffìcile congiuntura, sia stato quello di aver insistito su un concetto di geometria rigoroso, che rinuncia all’intuizione, e che in tal misura è molto moderno73, e di aver rimosso la crisi per mezzo di una costruzione ontologica74: la geometria euclidea, quale «geometria dell’angolo retto», è la geometria ontologicamente vera.
In questa luce, è verosimile che il responsabile del crollo di primi tentativi antieuclidei, fino alla loro rinascita nel diciottesimo e diciannovesivo secolo, sia stato Platone75.
73 Cfr. Epin. 990 D, ove si critica la difettosità del nome «γεωμετρία»; inoltre Plut., Vit. Marc. 14, 5/6, p. 305 E (= Test. 21 b ), e Quæst. Conv. Vili 2, 1, p. 718 E/F (= Test. 21 a): Platone respinge l’adozione in geometria di strumenti di supporto meccanici.
74 Sul rapporto fra matematica e dialettica, cfr. anche Eut id. 290 C: i matematici non sono in grado di utilizzare (χρήσθαι) i loro prodotti, e quindi li rimettono agli ontologi.
73 Platone, dunque, è anche il responsabile del fatto che solo in questo secolo la filosofia della matematica sia stata rivoluzionata; si pensi soltanto al «genio maligno» di Cartesio che, su un piano molto più generale, deve aver inquietato i matematici dell’Accademia prima della proposta risolutiva di Platone. Per usare le parole di Rep. 533 B 8 s. possiamo dire che i matematici «sognano nei confronti dell’essere (ώ? όι/ειρώττουσι pèu irepl tò 6i/)».
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A buon diritto, dunque, bisognerebbe chiamare la geometria euclidea «geometria platonica»76.
76 Questo risultato diverge dunque in maniera sostanziale da quelli di A. Szabó, Anfänge des euklidischen Axiomensystems, in: Becker (curatore), Zur Geschichte der griechischen Mathematik..., pp. 355-461, spec. 454 s., che in questo suo importante e fondamentale lavoro ha valutato in maniera decisamente troppo modesta, dopo gli esisti del presente saggio, il significato di Platone in rapporto alla costruzione del sistema assiomatico euclideo.
Bibliografia e indici
Indice delle opere espressamente citate o utilizzate
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II. Indice degli autori antichi e moderni citati
N. jB. — In questo indice sono elencati i nomi degli autori antichi e moderni citati nella Prefazione, nell’Introduzione, nella Prima e nella Seconda Parte del volume. Non sono invece compresi tu tti i nomi presenti nella Bibliografia ragionata di Vittorio Hösle, e nell’Indice della letteratura citata o utilizzata.
Accademia; Accademici: 5; 16; 35; 41; 44; 65; 82; 101; 102; 113; 114; 116; 117; 121; 130; 136.
Albert K.:12.Alessandro di Afrodisia: 51 ; 80. Allan D. J.: 106.Archita: 51; 64.Aristotele: 7; 16; 39; 42; 46; 53; 57;
58; 59; 60; 65; 73; 80; 84; 87; 89; 96; 107; 108; 109; 110; 111; 112; 114; 116; 117; 121; 122; 124; 125; 128; 130; 131; 133; 135.
Becker O.: 44; 46; 47; 57; 63; 65; 83. Benacerraf P.: 90.Bernays P.: 90.Böhme G.: 61.Bolyai E: 101; 102.Bolyai J.: 75; 101; 102; 109; 132. Bouvet J.: 86.Brouwer L. E. J.: 16; 37; 69; 89; 90;
91; 93; 94; 95.Burkert W.: 47; 48.
Cantor G.: 101.Cartesio: 50; 51; 136.Cauchy A. L.: 116.Cherniss H.: 129.Cusano N.: 46; 53; 57; 62; 70; 123;
124.
DedekindJ. W. R.: 16; 41; 50; 51; 66; 82; 114; 115; 116; 132.
De Falco V.: 124.Diels H.: 51; 67.Diogene Laerzio: 65; 132; 133.
Edelstein L.: 129.Eisele C : 102.Empedocle: 89.Enopide: 132.Epicuro: 54.Erler M.: 12; 14.Ermodoro: 65.Erone: 46; 124.Euclide: 15; 17; 40; 41; 50; 51; 53; 55;
57; 66; 75; 101; 102; 107; 108; 109; 110; 114; 117; 121; 126; 134; 136.
Eudosso:41 ; 51; 53; 95; 114; 115;116; 129; 131.
Eulero L.: 55.
Favorino:133.Feigl M.: 57.Filolao: 64.Flashar H.: 102.Frank E.: 64.Frege G.: 95; 114.Friedlein G.: 50.V. Fritz. K.: 36; 41; 130; 131; 132.
Gaiser K.: 8; 11; 14; 15; 35; 44; 45; 46; 51; 58; 59; 60; 62; 64; 65; 66; 67; 80; 113; 114; 117; 120; 125; 126; 127;130; 132; 133; 135.
l* ii
Gauß K. E: 75; 101; 109; 120. Gerhardt G J.: 81; 85.Gericke H.: 58.Geymonat L.: 8; 15.Geymonat M.: 8; 15.Giamblico: 46; 61; 124.Gigon O.: 114; 131.Guthrie W. K. G: 113.
Hasse H.: 41; 44; 114; 115. Hartenstein G.: 92.Hartmann K.: 96.Hayduck M.: 80.Heath Th.: 50; 134.Heberer G.: 88.Hegel G. W. F.: 16; 37; 39; 45; 46;
47; 69; 70; 71; 72; 73; 74; 75; 76; 77; 78; 80; 88; 94; 96; 123; 124.
Heiberg J. L.: 124.Heidegger M.: 36.Heisenberg W.: 39.Hennig W.: 88.Herbart F.: 92.Heyting A.: 90.Hilbert D.: 41; 79; 95; 101.Hiller E.: 61.Hoche R.: 61.Hôsle V.: 14; 15; 16; 17; 37; 43; 44;
54; 56; 70; 71.Hoppe E.: 116.Husserl E.: 36; 74; 87.
Ippocrate di Chio: 132.Irmscher J.: 130.Isnardi Parente M.: 64; 65.
Junge G.: 65.
Kambartel F.: 94.Kant I.: 90; 93; 94; 127.Klein F.: 46.Kleinlogel A.: 102.Krämer H. J.: 8; 11; 14; 15; 35; 36;
45; 47; 56; 58; 59; 113; 129; 130. Kranz W.: 51.Kroll G.: 60.
Kuhn T. S.: 12.Kullmann W.: 39; 87.
Lambert J. H.: 102.Lang P.: 64.Leibniz G. W.: 16; 42; 69; 81; 83; 84;
85; 86.Leodamante di Taso:131; 132; 133;
136.Leone: 133.Lipschitz R.: 41.Lobatschewski N. I.: 75; 101; 109. Longo O.: 106.
MarcoviéZ.: 46; 124; 125; 135.Mau J.: 60.Menecmo: 131.Migliori M.: 12; 14.Moraux P: 106.Movia G.: 12; 14.Müller G.: 129.Mugler Ch.: 102; 103; 108; 110; 114;
116; 117; 120; 126; 129. Mutschmann H.: 60.
Neoplatonici: 71.Nicomaco:61; 82.
Oberschelp A.: 80.Oehler K.: 62.Ore O.: 55.Orinski M.: 133.
Patzer H.: 130.Pappo (Abû 'Otmân al-Damashkî):
65; 130;Peano G.: 37; 41; 49; 50; 61; 69; 79;
80; 81; 82.Petty M. J.: 70.Pierce C. G: 102.Pistelli H.: 61.Pitagora; Pitagorici: 62; 64; 65; 73;
85; 108.Platone: 5; 7; 11; 12; 13; 14; 15; 16;
17; 35; 36; 37; 39; 40; 42; 43; 44; 45; 46; 47; 48; 49; 50; 51; 52; 53;
155
54; 56; 57; 58; 59; 60; 61; 62; 63; 64; 65; 66; 67; 69; 70; 71; 72; 73; 74; 75; 76; 77; 78; 79; 80; 81; 82; 83; 84; 87; 88; 89; 93; 94; 95; 96; 97; 102; 113; 114; 117; 120; 121; 122; 123; 125; 126; 127; 128; 129; 130; 132; 133; 134; 135; 136.
Platonici.· 44.Plutarco: 136.Pohlenz M.: 130.Poincaré H.: 120.Porfirio: 67.Proclo: 46; 50; 61; 102; 122; 124;
131; 132; 135.Putnam H.: 90.
Ramo P.: 58.Reale G.: 7; 11; 35.Reichenbach H.: 114.Rickert H.: 74; 83.Riemann G. F. B.: 101; 120.Robin L.: 80.Robinson R: 127.RossW.D.: 80.Russell B.: 40; 89.
Saccheri G.: 102; 108.SavileJ.: 75.Scettici sofisti: 130.Schilpp P. A.: 89.Schoeneberg B.: 55.Scholz A.: 55.Scholz H.: 41; 44; 114; 115.Schulz D. J.: 39.Seide K: 59.Seiffert A.: 83.Sesto Empirico: 60; 64.Slewing R: 88.Simplicio: 51; 67.Siriano: 60.Solmsen E: 117.Speusippo: 64.Stackowiak H.: 121.Stenzel J.: 63; 83; 130.Stevino S.: 58.
SuhrM.: 126.Szabó A.: 137.Szlezàk Th. A.: 11; 14; 35; 130.
Taurino F. A.: 46; 109.Taylor A. E.: 51; 66.Teeteto:40; 114.Teone: 46; 61; 74; 124.Teudio: 131.Thaer C.: 134.Thomson W.: 65.Tigerstedt E. N..: 113.Töplitz O.: 44; 50; 51; 53; 66. Tolomeo: 102.TóthL: 8; 15; 16; 41; 42; 75; 101
102; 103; 105; 106; 107; 108; 109 111; 112; 113; 116; 128; 129; 130 131; 135.
Vaupel H.: 58.Vieta F.: 51.Vlastos G.: 113.
Wallis J.: 126.Wandschneider D.: 47; 71.Weigel E.: 84; 85; 86; 87.V. Weiszäcker C. E: 54;Whitehead A. N.: 89; 96.V. Wilamowitz-Möllendorf U.: 130;
131.Wieland W: 47. van der Wielen W: 102.Wiener N.: 83.Wilpert P.: 58; 80.Wippern J.: 62.Wyller E. A.: 118.
Zacher H .J.: 84; 85; 86.Zeckl H. G.: 120.Zemplinger A.: 86.Zeuthen H. G.: 134.Zimmermann W.: 88.
ΠΙ. Indice analitico della materia trattata
Prefazione 7Introduzione di Giovanni Reale 11
Bibliografia ragionata delle pubblicazioni di Vittorio Hösle (aggiornata al 1993) 19
A. Libri 19B. Saggi in riviste o miscellanee 22C. Saggi in corso di pubblicazione 30D. Recensioni 31E. Voci in dizionari 32E Articoli di contenuto scientifico comparsi su quotidiani 32G. Interviste per riviste specializzate 32
PAKTE PRIMA: PLATONE E I FONDAMENTI DELL'ARITMETICA 33
I. Osservazioni introduttive. Metodo, tema e piano dell’indagine 35
1. I l «Platone italiano» di Hans Krämer: l'esoterica platonica fraricostruzione storica e valutazione filosofica 352. Tema dell’indagine: la dottrina platonica della generazione dei numeri dall'unità e dalla dualità nel suo senso storico e sistematico 363. Piano dell'indagine: rimando alla questione sui fondamenti dellageometria e articolazione dei problemi 37
Π. La filosofia della matematica di Platone. Aspetti generali 39
1. La «modernità» di Platone filosofo della matematica 392. La «tendenza assiomatica» dell’Accademia 403. L'impossibilità di un’autofondazione della matematica e la possibilità di una fondazione ultimativa come «proprium» della filosofia 424. La matematica, origine e premessa della filosofia 43 .5. La matematizzazione della filosofia come ontologizzazione dellamatematica 45
ΙΠ. La generazione dei numeri in Platone nel suo significato storico 49
1. Un programma di fondazione ontologica dei numeri naturali 492. IL autonomia dell’aritmetica 51
a) La priorità dell’aritmetica rispetto alla geometria 51b) L’interpretazione non-geometrica dell’irrazionale 52c) Il rifiuto di Aristotele 53d) Passaggio all’analisi delle fonti 54
3 . 1 passi dei dialoghi sulla fondazione del «pari e dispari» 54a) Un passo della Repubblica 54b) Un passo del Parmenide 55c) «Pari e dispari» e principi primi 58
4. La dottrina non scritta sulla generazione dei numeri dai principi 59a) Principi e numeri, numeri matematici e numeri ideali 59b) Duplice livello della generazione dei numeri 60c) Unità e Dualità al primo livello 61d) «Diairesi» o «dicotomia» al secondo livello 63e) La Decade e la Tetrade 63f) La Diade e l’irrazionale 65
IV. La filosofìa dei numeri di Platone nel suo significato filosofico e matematico 69
1. Il confronto con concezioni più tarde 692. Platone e Hegel: collocazione nel sistema e fondazione nell’esseredella matematica e del numero 70
a) H problema di una filosofia della matematica in Hegel 70b) Il diffìcile inserimento della matematica nel sistemahegeliano 71c) La «posizione intermedia» degli enti matematici 72d) La «posizione intermedia» della conoscenzamatematica 74e) La deduzione ontologica del numero dall’unità e dallamolteplicità 77f) La deduzione delle forme fondamentali di calcolo 78
3. Platone e Peano: analogie nell’introduzione aritmetica del numero 79a) Gli assiomi di Peano per l’aritmetica 79b) La «Diade» a livello aritmetico e il concetto di«successivo» 80c) Tangenze nella concezione dell’uno 81d) Vicinanza concettuale a dispetto della lontananzacronologica 82
4. Platone e Leibniz: la riduzione della molteplicità a dualità el’eccellenza del sistema binario 83
a) Platone fra sistema binario e sistema decadico 83b) Il sistema binario di Leibniz 84
159
c) Sistema binario, dicotomie e teoria evoluzionistica 87
5. Platone e Brower: la fondazione del numero sulla pura dualitànella radicale differenza di orientamento filosofico 89
a) Platone e la moderna filosofìa della matematica 89b) L. E. J. Brouwer 89c) La generazione dei numeri a partire dalla«vuota duità» opposta all’unità 90d) Intuizionismo e ontologia platonica 92e) Una mediazione hegeliana? 93
6. Conclusioni riassuntive 94
PARTE SECONDA: PLATONE E I FONDAMENTI DELLA GEOMETRIA 99
I. Premessa. La geometria non euclidea e l’Accademia antica 101
1. Euclide non euclideo 1012. La tesi di Mugler e i lavori di Tóth 102
Π. I passi non-euclidei nel Corpus aristotelicum 105
1. «Analitici posteriori»: il carattere non casuale degli esempinon-euclidei 1052. «De Caelo»: il carattere ipotetico della legge della somma degliangoli 106
3. «Analiticiprimi»: la «deduzione delle parallele» 1074. «Etica Eudemia»: il postulato delle parallele come assioma 1105. «Etica a Nicomaco»: geometria non euclidea e libertà 112
IH. Platone e la fondazione ontologica della geometria euclidea 113
1. Dialoghi e «dottrine non scritte» 1132. Le ricerche matematiche dell'Accademia antica 1133. Platone e la geometria del suo tempo 1164. Il «paragone della linea»: idee di fondo 118
a) La «divisione dell’intelligibile» e la centralità dellageometria 118b) La caratteristica della matematica di non fondarsida sé 119c) Precisazioni sui «presupposti» della matematica 120d) Fondazione filosofica della matematica 123
5. La teoria esoterica dei principi e la posizione spedale dell’angoloretto 124
6. I l «paragone della linea» e la fondazione ontologica della
AVSVS
geometria euclidea 1257. Il «Cratilo» a conferma del programma emerso dal «paragonedella linea» 1278. Il carattere allusivo dei passi dei dialoghi presi in esame 1299. Il ruolo di Leodamante di Taso nella crisi geometrica deifondamenti 13110. Una nuova interpretazione del quarto postulato 13411. Conclusioni riassuntive 135
BIBLIOGRAFIA E INDICI 139
I. Indice delle opere espressamente citate e utilizzate 141Π. Indice degli autori antichi e moderni citati 153III. Indice analitico della materia trattata 157
Progettazione composizione e impaginazione
a cura del “Centro di Ricerche di Metafisica” dell’Università Cattolica di Milano
Finito di stampare nel mese di febbraio 1994 da Arti Grafiche Tibiletti s.n.c. Azzate (Va)