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Fisica Università degli Studi di Perugia Facoltà di Medicina e Chirurgia Prof. Andrea Biscarini Alcune illustrazioni in questa presentazione sono tratte dal libro di testo adottato nel corso: D. Scannicchio, Fisica Biomedica, Edises.

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Fisica

Università degli Studi di Perugia Facoltà di Medicina e Chirurgia

Prof. Andrea Biscarini

Alcune illustrazioni in questa presentazione sono tratte dal libro di testo adottato nel corso: D. Scannicchio, Fisica Biomedica, Edises.

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Capitolo 1: INTRODUZIONE

1.1 - Fisica, grandezze fisiche e sistemi di unità di misura 1.2 - Elementi di algebra vettoriale 1.3 - Elementi di analisi matematica

Capitolo 2: MECCANICA DEL PUNTO E DEI SISTEMI

2.1 - Cinematica del punto materiale 2.2 - Dinamica del punto materiale 2.3 - Lavoro ed energia 2.4 - Meccanica dei sistemi 2.5 - Biomeccanica del sistema muscolo scheletrico (presentazione separata)

Capitolo 3: MECCANICA DEI FLUIDI

3.1 - Stati di aggregazione della materia. Elasticità. I fluidi 3.2 - Statica dei fluidi 3.3 - Dinamica dei fluidi e circolazione del sangue

Capitolo 4: ONDE IN MEZZI ELASTICI

4.1 - Onde in mezzi elastici 4.2 - Il suono e l’orecchio umano 4.3 - Gli ultrasuoni in medicina

Capitolo 5: TERMOLOGIA

5.1 - Calorimetria 5.2 - Termoregolazione del corpo umano 5.3 - Termodinamica

Capitolo 6: ELERROMAGNETISMO

6.1 - Interazioni elettriche e magnetiche 6.2 - Onde elettromagnetiche 6.3 - Le radiazioni in medicina 6.4 - L’ ottica geometrica e l’occhio umano

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Capitolo 1:

INTRODUZIONE

1.1 - Fisica, grandezze fisiche e sistemi di unità di misura 1.2 - Elementi di algebra vettoriale 1.3 - Elementi di analisi matematica

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1.1 Fisica, grandezze fisiche e sistemi di unità di misura

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Etimologia (greco) La parola Fisica deriva dal Greco physis – φύσις che appartiene alla radice phyo (φύω) (genero, cresco). Il termine physis indica dunque la totalità delle cose che nascono ed esistono nel loro divenire. Tale termine fu coniato da Aristotele (384 a.C. - 322 a.C.) per indicare un complesso di attività intellettuali che aveva il suo centro di interesse nell’osservazione, nello studio e nell’interpretazione dei fenomeni naturali (filosofia della natura).

Traduzione latina

da: Umberto Garimberti, “Il gioco delle opinioni” Feltrinelli

Il latini tradussero la parola physis con “natura”, che deriva dalla radice latina gna (in greco gen), che significa “generazione”, da cui origina il verbo latino nasci (nascere, trarre origine), dove c’è il senso di ciò che genera e fa scaturire da sé. La natura è l’originario manifestarsi delle cose, il loro farsi luce.

Etimologia (indoeuropeo)

da: Emanuele Severino, La filosofia antica La parola greca physis è costruita sulla radice indoeuropea bhu, che significa essere, strettamente legata alla radice bha, che significa luce. La parola physis significa allora “essere” e ”luce”, cioè l’essere nel suo manifestarsi. Per i primi filosofi la physis è il Tutto, è l'essere che si mostra illuminato, dunque visibile e dunque comprensibile. Si pretende di spiegare tale realtà senza gli impacci, i fraintendimenti e i veli del mito, delle presenze determinanti degli dei e degli esseri sovrannaturali. Eliminata, nella ricerca dell'interpretazione razionale del Tutto, ogni sovrastruttura mitica, resta la physis, la natura.

1. Le origini della fisica

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Origini La Fisica trae le sue origini dall’antica filosofia greca. Le intuizioni di Talete e Democrito sulla materia e sul cosmo, il libro di Aristotele “Physica” sul moto dei corpi, e le concezioni astronomiche di Tolomeo sono i primi esempi di teorie della natura.

Ritratto di Aristotele, conservato a Palazzo Altaemps, Roma. Marmo, copia romana di un originale greco di Lisippo (330 a.C. ca.); il mantello in alabastro è un'aggiunta moderna. Dalla collezione Ludovisi.

La prima pagina della Fisica di Aristotele tratta dall'edizione di Bekker (1837).

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Scopo La Fisica si occupa dello studio degli aspetti più generali dei fenomeni naturali cercando in essi quello che vi è di essenziale per risalire alle leggi che governano questi fenomeni e ai principi universali da cui queste leggi derivano.

Il metodo scientifico

ll metodo scientifico è la modalità tipica con cui la scienza procede per raggiungere una conoscenza della realtà oggettiva, affidabile, verificabile e condivisibile. Esso è stato applicato e codificato da Galileo Galilei nella prima metà del XVII secolo. Si basa sulle osservazioni sperimentali le quali, associate alla intuizione, servono a riconoscere gli elementi fondamentali e caratteristici di un fenomeno ed a formulare ipotesi sulla natura del processo (metodo induttivo) che devono essere sottoposte al vaglio della verifica sperimentale.

L’attendibilità delle ipotesi e delle loro conseguenze logiche (teorie) dipende non solo dal successo che esse consentono di ottenere nella interpretazione del fenomeno in esame ma anche, e specialmente, dalla conferma sperimentale di altre previsioni che si possono dedurre dallo schema teorico (metodo deduttivo).

Il metodo scientifico consiste in un continuo alternarsi di osservazioni sperimentali e di attività speculativa dello scienziato (metodo induttivo e metodo deduttivo).

2. Il campo di indagine della Fisica

Corso di Epistemologia

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Osservazione

Individuazione della problematica

Ipotesi

Esperimenti per verificare la previsione

Risultati

Analisi e Interpretazione dei risultati

L’ipotesi non è confermata L’ipotesi è confermata

legge Esperimenti ulteriori suggeriti dai risultati

Unificazione di leggi simili in una teoria di validità generale

Principi

Previsione di nuovi fenomeni naturali

Previsione da verificare

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La fisica classica (codificata prima del XX secolo) può essere suddivisa in tre capitoli fondamentali: Meccanica

- Cinematica: studio del moto dei sistemi, indipendentemente dalle cause che generano il moto. - Dinamica: studio del moto dei sistemi in relazione alle cause (forze) che lo generano. - Statica: studio delle configurazioni di equilibrio dei sistemi e delle condizioni per cui tali configurazioni si

realizzano. Termodinamica

Studio del comportamento macroscopico di sistemi termodinamici (sistemi complessi, costituiti da un grande numero di particelle, ovvero costituiti da un gran numero di gradi di libertà) per i quali i metodi della meccanica risultano inefficaci.

Elettromagnetismo

Studio dei fenomeni e delle interazioni di natura elettrica e magnetica e delle loro connessioni.

* * *

La fisica moderna (sviluppata a partire dal XX secolo) studia tutti quei fenomeni che avvengono su scala atomica e subatomica, e tutti quei fenomeni che implicano velocità prossime a quelle della luce. Le teorie principali che la costituiscono sono: Meccanica quantistica

Studio e interpretazione dei fenomeni che avvengono su scala atomica e subatomica.

Relatività generale Studio e interpretazione di fenomeni che implicano velocità confrontabili con la velocità della luce.

3. Fisica Classica e Fisica Moderna

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4. Grandezze fisiche

Definizione Grandezze che intervengono nelle relazioni e nelle leggi fisiche. Una grandezza fisica per essere tale deve essere definita in maniera operativa, cioè mediante le operazioni che conducono alla sua determinazione numerica. Una grandezza fisica è definita quando:

- sia possibile stabilire, senza possibilità di equivoco, la validità dei principi di uguaglianza e di somma (e differenza);

- sia fissata una unità di misura.

* * * Grandezze Scalari

Grandezze determinate dal numero che fissa il loro rapporto alla corrispondente unità di misura scelta. Esempi: volume, massa, energia, pressione, temperatura.

Grandezze vettoriali

Grandezze la cui determinazione richiede l’individuazione di un numero (intensità o modulo della grandezza), una direzione ed un verso; ovvero grandezze determinate da un numero di parametri scalari (componenti del vettore) pari alla dimensionalità dello spazio (3). Esempi: spostamento, velocità, accelerazione, forza, quantità di moto, campo elettrico, campo magnetico.

Grandezze tensoriali di ordine n: grandezze determinate da dn parametri scalari per ove d è la dimensionalità dello spazio. Esempi: tensore degli sforzi, tensore di inerzia, polarizzazione elettrica.

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Grandezze fondamentali: grandezze per le quali l’unità di misura è definita in modo arbitrario mediante l’individuazione di un campione.

Grandezze derivate:

grandezze per le quali l’unità di misura si deduce per mezzo delle relazioni che legano queste grandezze alle grandezze fondamentali.

Criteri di scelta delle grandezze fondamentali:

• Grandezze scelte siano facilmente misurabili. • Sia possibile scegliere per queste grandezze dei campioni facilmente riproducibili e stabili nel tempo.

* * * Sistema di unità di misura:

Un sistema di unità di misura è definito quando sia stata compiuta una scelta delle grandezze fondamentali e delle corrispondenti unità di misura (mediante l’individuazione dei relativi campioni) in numero sufficiente da poter esprimere l’unità di misura di tutte le altre grandezze (grandezze derivate) mediante le unità delle grandezze fondamentali.

Sistemi di unità più diffusi:

• Sistema internazionale • Sistema c.g.s. • Sistema di Gauss • Sistema tecnico o degli ingegneri

5. Sistemi di unità di misura

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Grandezza fondamentale Unità SI

Nome Simbolo Definizione

Intervallo di tempo (Tempo)

secondo s

Intervallo di tempo che contiene 9.192.631.770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione fra i due livelli iperfini dello stato fondamentale dell’atomo di cesio 133.

Lunghezza metro m Lunghezza percorsa dalla luce nel vuoto nell’intervallo di tempo 1 / 299.792.458 s.

Massa kilogrammo kg Massa di un campione di platino-iridio conservato nel laboratorio di pesi e misure di Sevres .

Temperatura termodinamica kelvin K Frazione 1/ 273,16 della temperatura termodinamica del punto triplo dell’acqua.

Intensità di corrente elettrica ampere A

Intensità di corrente elettrica che, mantenuta costante in due conduttori rettilinei, paralleli, di lunghezza infinita, di sezione circolare trascurabile e posti alla distanza di 1 m l’uno dall’altro nel vuoto, produce tra i due conduttori la forza di 2x10-7 N su ogni metro di lunghezza.

Intensità luminosa candela cd

Intensità luminosa, in una data direzione, di una sorgente che emette una radiazione monocromatica di frequenza pari a 540·1012 hertz e che ha un’ intensità di radiazione in quella direzione di 1/683 watt per steradiante.

Quantità di sostanza mole mol

Quantità di sostanza di un sistema che contiene tante entità elementari quanti sono gli atomi in 0,012 kg di carbonio 12. Le entità elementari devono essere specificate e possono essere atomi, molecole, ioni, elettroni, ecc. ovvero gruppi specificati di tali particelle

Grandezze fondamentali supplementari

Angolo piano radiante rad Angolo piano al centro che su una circonferenza intercetta un arco di lunghezza uguale a quella del raggio

Angolo solido steradiante sr Angolo solido al centro che su una sfera intercetta una calotta di area uguale a quella del quadrato il cui lato ha la lunghezza del raggio

6. Sistema internazionale

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R

sradianti )(

R

s

R

s

22

:R

Rgiroangolo

R

Rpiattoangolo

2/2:

2

4/2:

R

Rrettoangolo

radRs 1

Il radiante

Misura degli angoli in radianti

7. Il radiante

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fattore di moltiplicazione

prefisso simbolo

10 24 yotta Y

10 21 zetta Z

10 18 exa E

10 15 peta P

10 12 tera T

10 9 giga G

10 6 mega M

10 3 chilo k

10 2 etto h

10 1 deca da

10 -1 dieci d

10 -2 centi c

10 -3 milli m

10 -6 micro µ

10 -9 nano n

10 -12 pico p

10 -15 femto f

10 -18 atto a

10 -21 zepto z

10 -24 yocto y

8. Multipli e sottomultipli

Massa della terra = 6 × 1024 kg

Massa dell’elettrone = 9.1093836 × 10-31 kg

Raggio classico del protone ≈ 10-15 m

Distanza media terra-sole = 1.495 ×1011 m

Lunghezza di Planck = 1,616 252 × 10-35 metri (la più piccola distanza oltre la quale il concetto di dimensione perde ogni significato fisico)

Distanza che la radiazione cosmica di fondo ha percorso dal Big Bang

≈ 1026 m

Dimensione di un quark ≈ 10-21 m

Massa dell'universo osservabile = 3 × 1052 kg

Massa di una cellula umana ≈ 10-12 kg

Massa del neutrino ≈1.2 × 10-35 kg

Dimensioni di una cellula umana ≈ 5x10-5 m

Massa del sole = 2 × 1030 kg

Dimensioni del nucleo atomico ≈ 10-14 m

Raggio covalente atomico ≈ 10-10 m

Diametro equatoriale della Terra = 1.2756 107 m

1 unità di massa atomica = 1,6605402 × 10-27 kg (1/12 massa dell'isotopo 12 del carbonio)

(≈ massa dell'atomo di idrogeno)

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9. Dimensioni fisiche ed equazioni dimensionali

][][ 321

321 nnnFFFA

Equazione dimensionale Le funzioni che legano le grandezze derivate (A , B , … ) alle grandezze fondamenti (F1 , F2 , F3 , … ) sono funzioni omogenee rispetto alle grandezze fondamentali, cioè possono esprimersi come il prodotto delle grandezze fondamentali elevate ad esponenti interi positivi o negativi. Ciò viene descritto formalmente mediante l’equazione dimensionale della grandezza derivata A:

Dimensioni fisiche I coefficienti n1 , n2 , n3 , … che intervengono nell’equazione dimensionale della grandezza derivata A prendono il nome di dimensioni fisiche di A rispetto alle grandezze fondamentali F1 , F2 , F3 , …

Unità di misura delle grandezza derivate

L’unità di misura delle grandezza derivate si ottiene immediatamente dall’equazione dimensionale: è il prodotto delle unità fondamentali elevate agli esponenti che compaiono nell’equazione dimensionale. Esempi: unità della velocità: ms-1 o m/s; unità di misura dell’accelerazione ms-2 o m/s2.

Prodotto di grandezze fisiche

Per un prodotto di grandezze fisiche (fondamentali o derivate) la relazione dimensionale si ottiene dalla relazione analitica che rappresenta il prodotto, sostituendo alle grandezze le corrispondenti relazioni dimensionali ed applicando ai prodotti dei simboli delle grandezze fondamentali le normali regole dell’algebra.

][][ 11 TLv

][][]][[]][[][ 321212 TMLLTMLTTLLTMAt

malA

][][ 21 TLaEsempi: velocità ed accelerazione

Unità : kg∙m2∙s-3 (watt)

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L

LT

TL

TL

TL

g

vo

2

22

2

22

/

/

2

g

vh o

2

2

Un punto materiale lanciato verso l’alto con velocità vo raggiunge la massima quota h data da (g = accelerazione di gravità):

Verificare che questa equazione è dimensionalmente corretta.

ESERCIZIO

Analisi dimensionale I due membri di un’equazione fisica e tutti gli addendi che appaiono in ciascun membro di tale equazione devono avere le stesse dimensioni fisiche. L’analisi dimensionale è un supporto fondamentale per la verifica della correttezza di un’equazione o del risultato di un problema.

10. Analisi dimensionale

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Concetto di misura La misura delle grandezze fisiche è sempre effettuata per mezzo di una particolare sensazione fisiologica dell’osservatore.

* * *

Osservazioni soggettive: operazioni di misura nelle quali i sensi rivelano direttamente qualche elemento che interviene nel processo; si tratta in tal caso di valutazioni legate al singolo osservatore e che spesso possono risentire del suo stato fisico o psicologico. Caratteristiche: - Male si prestano a descrizioni dei singoli processi valide per tutti gli osservatori.

Determinazioni oggettive:

operazioni di misura effettuate mediante l’utilizzo di strumenti che sono stati sviluppati in modo da essere sensibili al parametro in esame, traducendone le caratteristiche mediante una risposta accessibile ai nostri sensi in maniera molto semplice, per es. mediante la posizione di indici su scale graduate. Caratteristiche: - Ripetitività delle procedure e compatibilità dei risultati ottenuti da differenti osservatori; - Consentono di estendere il campo di osservazione direttamente accessibile ai nostri sensi.

* * *

Misure dirette o relative:

la grandezza in esame viene confrontata direttamente con un’altra della stessa specie ed in particolare con il campione che viene assunto come unità di misura.

Misure indirette o assolute:

si determina il valore di una grandezza mediante misure di grandezze differenti ma legate alla grandezza in esame da relazioni note.

11. Misure

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Tipo di errore Errori sistematici Errori casuali Definizione Errori associati

ad un particolare strumento o ad una particolare tecnica di misura

Errori prodotti da un gran numero di variazioni, imprevedibili e non valutabili, delle condizioni sperimentali

Caratteristica Influenzano tutte le misure nello stesso modo Influenzano le misure in maniera differente ed apparentemente casuale

Cause • Errori di calibrazione degli strumenti • Errori legati all’osservatore • Errori dovuti condizioni sperimentali • Errori dovuti ad uso di tecniche imperfette

• Errori di apprezzamento e di lettura da parte dell’osservatore

• Fluttuazioni nei parametri che determinano il valore della grandezza in esame

Terminologia Accuratezza Precisione

Valutazione Difficoltosa (utilizzo di tecniche differenti). Ridurre tali errori è possibile solamente raffinando i metodi e rendendo più accurata la realizzazione degli apparecchi.

La distribuzione casuale di questi errori consente, ripetendo numerose volte la stessa misura, di giungere ad una valutazione più precisa della grandezza in esame (applicazione di metodi statistici).

Definizione: Inevitabile incertezza presente nella determinazione del valore numerico di una grandezza fisica.

Importanza:

Metodi per la stima dell’errore Tecniche per ridurre l’errore

Classificazione:

12. Errori di misura

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Nell'immagine è rappresentato l'effetto delle incertezze su di una misura per analogia con il gioco delle freccette. Il valore vero della grandezza è il centro del bersaglio, ogni tiro (puntini blu) rappresenta una misura.

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n

1i

iN21 x

N

1

N

xxxx

xxii

N

i

iN 1

21

Supponiamo di dover misurare una grandezza x una volta eliminata ogni fonte di errore sistematico. Anche se si opera, per quanto possibile, nelle medesime condizioni e con strumenti di elevata sensibilità non si riuscirà mai ad eliminare piccole differenze fra i valori ottenuti nelle successive operazioni di misura a causa della presenza di errori casuali. Per ottenere una stima attendibile del valore di x e della sua incertezza si intuisce che è utile eseguire un gran numero di misure della grandezza stessa. Siano x1, x2, …, xN i risultati di N misure della grandezza fisica x in esame. E’ ragionevole assumere come miglior stima di x la media aritmetica delle N misure

Una descrizione quantitativa della dispersione delle misure attorno al valore medio fornisce un’indicazione della precisione di queste misure. A tale scopo si definisce lo scarto della i-esima misura

La media degli scarti è sempre nulla e quindi non fornisce le indicazioni desiderate. Per caratterizzare la dispersione delle misure si prende la radice quadrata della media dei quadrati degli scarti (deviazione standard)

Il quadrato di prende il nome di varianza.

13. Errori casuali: media e dispersione

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Problemi aperti • Giustificazione della media come miglior stima del valore della grandezza sulla base delle N misure

effettuate • Significato statistico quantitativo di : se effettuo un’altra misura quale è la probabilità che essa si

compresa nell’intervallo

• Come è legata alla precisione della media ? • I risultati delle misure sono distribuiti secondo leggi caratteristiche che riflettono la natura del

processo in esame? • Con quale criterio è possibile scartare dei dati che appaiono in disaccordo con tutti gli altri?

]x,x[

14. Teoria degli errori

L’analisi quantitativa degli errori di misura è basata sulla teoria della probabilità.

Corso di Statistica

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1.2 Elementi di algebra vettoriale

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1. Definizione di vettore e sua rappresentazione

v

A

B

Definizione Ente geometrico definito da una direzione, un verso ed un modulo (numero reale positivo)

Rappresentazione

Può essere rappresentato da un segmento orientato AB: direzione = quella della retta che congiunge A e B verso = quello che porta da A a B lungo tale retta modulo = lunghezza del segmento AB

Denotazione

Si denota con il segmento orientato che lo rappresenta, o con una freccia al di sopra di una lettera, o con una lettera in grassetto:

Il modulo del vettore si denota rispettivamente con IABI o v

v v

AB

vAB

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2. Componente di un vettore rispetto ad una retta orientata

v

xAx Bx

A

B

A’ B’

Definizione Dato un vettore v e una retta orientata x

si definisce componente di v rispetto a x

e si indica con vx la grandezza scalare

ABcosB'A' xxvvx

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v

xAx Bx

A B

A’ B’

ABcosB'A' xxvvx

AB

1cos0

'B'A'

xx

xasseallconcordeè

vvv xx max

0

1° caso

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v

xAx Bx

A

B

A’ B’

ABcosB'A' xxvvx

AB

1cos0900

B'A'

xx

xall'asseconcordeè

0xv

900

2° caso

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v

xBA xx

A

B

A’=B’

ABcosB'A' xxvvx

AB

0cos90

B'A'

xx

0xv

90

3° caso

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v

xBx Ax

B

A

A’ B’

ABcosB'A' xxvvx

AB

0cos118090

'B'A'

xx

xassealloppostoversoha

0xv

18090

4° caso

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v

xBx Ax

B A

B’ A’

ABcosB'A' xxvvx

AB

1cos180

'B'A'

xx

xassealledisconcordè

vvv xx min

180

5° caso

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ABcosB'A' xxvvx

AB

1cos0

900

.B'A'

xx

xconc

AB

0cos1

18090

.B'A'

xx

xdisc

AB

0cos

90

B'A'

xx

0xv 0xv0xv vvv xx max vvv xx

min

x

AB

1cos

0

.B'A'

xx

xconc

AB

1cos

180

.B'A'

xx

xdisc

Ax BA xx Ax AxAx Bx Bx Bx Bx

A A A A A B

B

B

B

B

A

B’ A

B’ B’ B’ A

A

’ A’=B’

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3. Componenti di un vettore rispetto ad una coppia/terna cartesiana

AB

AB

yyv

xxv

y

x

x

y

B

A

),( yx vvv

),(B

),(A

BB

AA

yx

yx

v

BxAx

Ay

By

222

AB

2

AB )()(AB yx vvyyxxv

Il modulo di un vettore è pari alla radice quadrata della somma dei quadrati delle componenti

Un vettore si può anche rappresentare elencando le sue componenti cartesiane

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x

y

z

B

A

v

Ax

Bx

AyBy

Bz

Az

),,(B

),,(A

BBB

AAA

zyx

zyx

AB

AB

AB

zzv

yyv

xxv

z

y

x

),,( zyx vvvv

222222 )()()( zyxABABAB vvvzzyyxxABv

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4. Somma di n vettori

Definizione Dati n vettori si applichi il primo vettore in un punto qualsiasi, il secondo nell’estremo del primo, il terzo nell’estremo del secondo e così via fino ad applicare l’ultimo vettore nell’estremo del penultimo. Si definisce risultante o somma degli n vettori e si indica con il simbolo il vettore che ha origine coincidente con l’origine del primo vettore ed estremo coincidente con l’estremo dell’ultimo vettore

R

1v

nv

2v 3v

1nv

nvvv

21

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Somma di due vettori: regola del parallelogramma

1v

2v

1v

12 vv

2v

Proprietà La somma di due vettori si ottiene applicando i vettori in un punto, costruendo il parallelogramma di lati v1 e v2 e prendendo la diagonale a partire dal comune punto di applicazione.

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Definizione Dato un vettore v ed uno scalare a si definisce prodotto di v per a e si indica con il vettore con: direzione = quella del vettore v

verso = il verso di v se a è positivo quello opposto se a è negativo modulo = il prodotto del modulo di a e del modulo di v

Esempi

5. Prodotto di un vettore per uno scalare

va

v

v

2

v

2

2

v

vv

1

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7. Differenza fra due vettori

Definizione Dati due vettori v1 e v2 si definisce differenza fra v2 e v1 e si indica con v2 – v1

il vettore

121212 )1( vvvvvv

1v

2v

12 vv

12 vv

Proprietà Per determinare la differenza v2 – v1 si applicano i vettori in un medesimo punto e si traccia il vettore che va dall’estremo di v1 all’estremo di v2

2v

1v

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6. Versore

vvvv

vv ˆˆ

Definizione Dato un vettore v si dice versore di v e si indica con il simbolo

il vettore di lunghezza unitario che ha la direzione ed il verso di v

Proprietà Un qualsiasi vettore può essere scritto come il prodotto del suo modulo per il suo versore

)(ˆ vversv oppure

zassevesrsorek

yassevesrsorej

xassevesrsorei

ˆ

ˆ

ˆy

z

x

i

j

kVersori degli assi cartesiani

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7. Rappresentazione cartesiana di un vettore

x

y

B

A

v

Bx Ax

Ay

By

jvyˆ

ivxˆ

kvjvivv zyxˆˆˆ

i

j

),,(B

),,(A

BBB

AAA

zyx

zyx

AB

AB

AB

zzv

yyv

xxv

z

y

x

Un qualsiasi vettore può essere scritto come la somma dei prodotti delle sue componenti per i versori omonimi

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8. Prodotto scalare fra 2 vettori

cos2121 vvvv

1v

2v

Definizione Dati due vettori v1 e v2 si definisce prodotto scalare fra v1 e v2 e si indica con il simbolo

la grandezza scalare: 21 vv

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1v

2v

21211cos0 vvvv

cos2121 vvvv

0

1° caso

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1v

2v

01cos0900 21 vv

cos2121 vvvv

900

2° caso

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1v

2v

00cos90 21 vv

cos2121 vvvv

Condizione necessaria e sufficiente affinché due vettori siano perpendicolari è che il loro prodotto scalare sia nullo

90

3° caso

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00cos118090 21 vv

cos2121 vvvv

2v

1v

18090

4° caso

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21211cos180 vvvv

cos2121 vvvv

2v

1v

180

5° caso

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1cos0

900

0cos1

18090

0cos

90

1cos

0

1cos

180

cos2121 vvvv

2121 vvvv

021 vv

021 vv

021 vv

2121 vvvv

1v

1v

1v

1v

1v

2v

2v

2v

2v

2v

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xvviv cosˆ

v

xAx Bx

A

B

z

y

x

vkv

vjv

viv

ˆ

ˆ

ˆ

i

y

Proprietà Moltiplicando scalarmente un vettore per il versore di un asse si ottiene la componente del vettore rispetto a quell’asse

Prodotto scalare, versore e componente

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9. Prodotto vettoriale fra 2 vettori

nvvvv ˆsin2121

1v

2v

Condizione necessaria e sufficiente affinché due vettori siano paralleli è che il loro prodotto vettoriale sia nullo

Definizione Dati due vettori v1 e v2 si definisce prodotto vettoriale fra v1 e v2 e si indica con il simbolo il vettore:

n

21 vv

21 vv

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1.3 Elementi di analisi matematica

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1. Funzioni reali di variabile reale

Definizione Una funzione reale f di variabile reale x è una relazione che associa ad ogni numero reale x (appartenente ad un insieme reale A detto dominio o insieme di partenza di f ) un numero reale f(x) (detto immagine di x tramite f ). Tipicamente il dominio A è un intervallo reale [ab], e si utilizza la notazione:

Esempio

La funzione f (x) = x2

Rxfabxxfxf )(][)(:

2)(][)(: xxfRabxxfxf

93)(3

42)(2

11)(1

22

22

22

xxfx

xxfx

xxfx

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Rappresentazione grafica di una funzione f Il grafico di f è l’insieme dei punti del piano di coordinate (x, f(x)) per ogni x[ab]. Si considereranno solo funzioni continue in [ab], che sono rappresentate da linee continue

Esempio La funzione f (x) = x2

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2. Rapporto incrementale di una funzione

x x +Dx

x

xfxxf

x

fR

D

D

D

D

)()(

Df

Dx f (x)

f (x+Dx)

Definizione Data una funzione f :[ab]→R, continua in [ab], si definisce rapporto incrementale di f a partire da x[ab] e per un incremento Dx, e si indica con il simbolo R(x, Dx), la quantità

j

Significato geometrico Rappresenta il coefficiente angolare della retta secante la curva nei punti di coordinate:

( x, f(x) ) e ( x +Dx, f(x+Dx) )

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x

xfxxf

x

fxf

xx D

D

D

D

DD

)()(limlim)('

00

3. Derivata di una funzione in un punto

x x +Dx

Definizione Data una funzione f :[ab]→R, continua in [ab], si definisce derivata di f in x[ab], e si indica con il simbolo f ’(x) , il limite (se esiste finito) del rapporto incrementale di f a partire da x per Dx→0

f (x)

f (x+Dx)

j

Significato geometrico Rappresenta il coefficiente angolare della retta tangente alla curva nel punto di coordinate ( x, f(x) )

Funzione derivata Data una funzione f:[ab]→R, derivabile in [ab], si definisce funzione derivata di f e si indica con f ’ la funzione che associa ad ogni x [ab] la derivata di f calcolata in quel punto

)(':' xfxf

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kxf )( 0)(' xf

axxf )( 1)(' aaxxf

4. Derivate di funzioni elementari

Funzione costante

Funzione potenza

xxf alog)( ax

ex

xf aln

1log

1)('

xxf ln)( x

xf1

)('

xaxf )( aaxf x ln)('

xexf )( xexf )('

Funzioni logaritmiche

Funzioni esponenziali

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xxf sin)( xxf cos)('

xxf cos)( xxf sin)('

xxf tan)( xx

xf 2

2tan1

cos

1)('

)cot1(sin

1)(' 2

2x

xxf xxf cot)(

xxf arcsin)( 21

1)('

xxf

xxf arccos)( 21

1)('

xxf

xxf arctan)( 21

1)('

xxf

xxf arccot )( 21

1)('

xxf

Funzioni goniometriche

Funzioni goniometriche inverse

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xxf sin)(

xxf cos)('

Esempio Rappresentazione grafica della funzione f(x) = sin(x) e della sua funzione derivata f’(x) = cos(x)

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5. Somma, prodotto rapporto di funzioni e funzione di funzione

Date due funzioni

Rxfabxxgxg

Rxfabxxfxf

)(][)(:

)(][)(:

)()()(: xgxfxyxy

)sin()()(:)sin()(,)( 22 xxxgxfxyxxgxxf

)()()(: xgxfxyxy

)sin()()(:)sin()(,)( 22 xxxgxfxyxxgxxf

Si definisce prodotto delle due funzioni la funzione Esempio:

)(/)()(: xgxfxyxy

)sin(/)(/)(:)sin()(,)( 22 xxxgxfxyxxgxxf

Si definisce rapporto fra le due funzioni la funzione Esempio:

)()(: xfgxyxy

)sin()(:)(,)( 22 xxfgxyexgxxf x

Si definisce funzione composta di f e g la funzione Esempio:

Si definisce somma delle due funzioni la funzione Esempio:

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6. Regole di derivazione

costante)( )()( kxfkxy )(')(' xfkxy

)()()( xgxfxy )(')(')(' xgxfxy

)()()( xgxfxy )(')()()(')(' xgxfxgxfxy

)(

)()(

xg

xfxy

2)]([

)(')()()(')('

xg

xgxfxgxfxy

)]([)( xgfxy )(')]([')(' xgxgfxy

nxfxy )]([)( )(')]([)(' 1 xfxfnxy n

)]([sin)( xfxy )(')]([cos)(' xfxfxy

)()( xfexy )(')(' )( xfexy xf

)(ln)( xfxy )(

)(')('

xf

xfxy

Casi particolari

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)(sin

)cos(2

)(cos

1

)(sin

)(cos2

)(cos

1

)(tan

2)(tan')])[tan(2(')tan(

)(tan

1323

3

23

32

2 x

x

xx

x

xxxxyx

xy

ESERCIZI

xx

xxxxxxyxxy sin1

lncos)'(lnsinln)'(sin'lnsin

)cos(3)'()cos(')sin( 32333 xxxxyxy

4

2

22

22

2

sin2cos)'(sin)'(sin'

sin

x

xxxx

x

xxxxy

x

xy

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7. Differenziale

Differenziale di una funzione Data una funzione f :[ab]→R, derivabile in [ab], si definisce differenziale di f, e si indica con il simbolo df, il prodotto della derivata della funzione per l’incremento Dx della variabile indipendente

xxfdf D )('

DDD dxxfxxfdfxxxdxxxf )(')(')'()(

Proprietà La derivata della funzione si può quindi esprimere come il rapporto fra il differenziale della funzione e quello di x.

Dx

df

x x +Dx

f (x)

f (x+Dx)

Significato geometrico Il differenziale di f rappresenta l’incremento in y, nel passaggio da x a x+Dx, calcolato sulla tangente alla curva (che rappresenta f ) nel punto (x, f(x)).

Df

j

j

xxxfdf DjD tan)('

dx

dfxf )('

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Primitiva di una funzione Data una funzione f :[ab]→R, continua in [ab], si definisce primitiva di f in [ab], ogni funzione F :[ab]→R tale che per ogni x [ab]

Teorema

Data una funzione f :[ab]→R, continua in [ab], se F è una primitiva di f in [ab], allora la classe di tutte le primitive di f si trova sommando a F una costante arbitraria.

Integrale indefinito di una funzione

Data una funzione f :[ab]→R, continua in [ab], si definisce integrale indefinito di f, e si indica con il simbolo

la classe di tutte le primitive di f

dove F è una qualsiasi primitiva di f

)()(' xfxF

8. Integrale indefinito

dxxf )(

cost.)()( xFfdiprimitiveletuttediclassedxxf

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9. Tabella degli intergali indefiniti elementari

Caxdxa

Cn

xdxx

nn

1

1

Cedxe xx

Ca

adxa

xx ln

Cxdxx sincos

Cxdxx cossin

Ctgxdxx

2cos

1

Cctgxdxx

2sin

1

Cdxx

arcsin1

1

2

Cxdxx

arccos

1

1

2

Cxdxx

arctan

1

12

Cxdxx

log1

Cxarcdxx

cot

1

12

Funzioni goniometriche Funzioni potenza

Funzioni esponenziali

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10. Integrale definito

Integrale definito di una funzione Data una funzione f :[ab]→R, continua in [ab], si definisce integrale definito di f fra a e b, e si indica con il simbolo la quantità numerica dove F è una qualsiasi primitiva di f in [ab].

Significato geometrico L’integrale definito di f calcolato fra a e b, rappresenta l’area con segno racchiusa dalla linea che rappresenta la funzione f, l’asse delle x, e le parallele all’asse y condotte per i punti di ascissa x = a e x = b.

dxxfb

a

)(

)a()b()(

b

a

FFdxxf

f (x)

a b

+ a

+

a b

b – x

x

x

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dxxfdxxfdxxfxf )()()()( 2121

xdxfKdxxfK )()(

Integrali indefiniti

11. Proprietà degli integrali

Integrali definiti

dxxfKdxxfK

b

a

b

a

)()(

a

a

a

a

b

a

dxxfdxxfdxxfxf )()()()( 2121

dxxfdxxf

a

b

b

a

)()(

cost.K

cost.K

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ESERCIZI

1)1(0)0cos()2/cos(cossin2/

0

2/

0

xdxx

Cx

xdxxdxxdxxx 49cos39sin3)9sin3(

433

8/

0

)4(sin dxx

444

dtdx

txxt

2/8/

00

tx

tx

4

1sin

4

1

4sin)4(sin

2/

0

2/

0

8/

0

dttdt

tdxx

Calcolare

Pongo

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Problema Si determini la funzione x(t), derivabile in [ab], la cui derivata soddisfa la relazione

dove f e g sono funzione note.

Soluzione

12. Equazioni differenziali del 1° ordine e di 1° grado a variabili separabili

)()()(' tfxgtx

dttfxg

dx

dttfxg

dx

tfxgdt

dx

)()(

)()(

)()( Si scrive la derivata come rapporto di differenziali

Si separano le variabili

Si integra

Si cerca di esplicitare x rispetto a t )(txx

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ESERCIZI

Cn

atxdttadxdtatdxat

dt

dxattx

nnnnn

1)('

1

1ln)(' Catxdtax

dxadt

x

dxax

dt

dxaxtx

atatCatCatx eCxeCeeee 22

ln 11

Catxdtadxadtdxadt

dxatx cost.)('

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ESERCIZIO: legge del decadimento radioattivo (reazioni chimiche A → B del primo ordine)

N0 = numero iniziale di atomi radioattivi (o del reagente A), all’istante istante t=0 N = numero di atomi non ancora decaduti (trasformati) all’istante t ( N < N0 ) dN = variazione di N a causa dei decadimenti (delle trasformazioni) nell’intervallo infinitesimo [t,t+dt] ( dN < 0 )

kdtN

dNkN

dt

dNkNdtdN

ktktCktCktN CeNCeeeeeCktNdtkN

dN lnln

kteNNNCtN 00)0(

ktktktNNtN

N

eNNeN

Neekt

N

Ndtk

N

dN 0

0

)/ln(

00

0

0

ln

Ciascuna disintegrazione (processo di trasformazione) è indipendente dalle altre (dagli altri). Raddoppiando il numero di atomi N, nel medesimo intervallo di tempo dt si avranno un numero doppio di disintegrazioni (trasformazioni) Se dt è infinitesimo, anche dN è infinitesimo, ldNl << N e N(t+dt) ≈ N(t). Dopo dt la situazione è praticamente la stessa, nel successivo dt ci si aspetta un numero di disintegrazioni (o trasformazioni) dN pari a quelle del precedente intervallo dt .

dN è propor- zionale a N

dN è propor- zionale a dt

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Significato di k e tempo di dimezzamento

t = 1/k = tempo necessario affinché il numero iniziale di nuclei (atomi) si riduca di un fattore pari ad e = 2.718

t /

00

tkt eNeNN

Significato di k Il reciproco di k ha le dimensioni di un tempo

t

k

1

se e

NeNNt 01

0 t

Tempo di dimezzamenti td Tempo necessario affinché il numero iniziale di nuclei (atomi) diminuisca fino alla metà del valore iniziale (si riduca di un fattore 2)

693.02ln22

/

00

t tt dt t

eeNN dt

d

ktd

2ln2ln t

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Capitolo 2:

MECCANICA DEL PUNTO E DEI SISTEMI

2.1 - Cinematica del punto materiale 2.2 - Dinamica del punto materiale 2.3 - Lavoro ed energia 2.4 - Meccanica dei sistemi

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2.1 Cinematica del punto materiale

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1. Il punto materiale

Un sistema meccanico può essere schematizzato come un punto geometrico (punto materiale) se:

• le sue dimensioni sono trascurabili rispetto a quelle che intervengo nel problema specifico (es. distanze percorse) • non ha interesse studiare i cambiamenti di orientazione del sistema e le sue deformazioni

* * *

Esempi: 1) La terra può essere schematizzata come un punto materiale, se si studia il suo moto di rivoluzione attorno al sole.

2) La terra non può essere schematizzata come un punto materiale, se si studia il suo moto di rotazione diurna attorno all’asse polare. Uno stesso sistema può essere o non essere schematizzato come un punto materiale, a seconda del problema considerato.

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2. Traiettoria ed equazione oraria

x(t) O P(t)

traiettoria (rettilinea)

)(txx

P(t) traiettoria (rettilinea)

Consideriamo un punto P che si muove su traiettoria rettilinea

Stabiliamo sulla traiettoria rettilinea un sistema di ascisse (asse delle x): 1. Prendiamo sulla traiettoria un punto O come origine del sistema di ascisse 2. Scegliamo sulla traiettoria un verso di percorrenza 3. Associamo ad ogni punto P della traiettoria il valore x pari alla distanza di P da O presa con segno: valore positivo (negativo) se il verso di OP è concorde (discorde) con quello dell’asse x

x

Posizione di P all’istante t

Equazione oraria Nota la traiettoria, il moto del punto è completamente descritto dalla conoscenza del valore di x (posizione di P) ad ogni istante, cioè dalla conoscenza della funzione che definisce il valore di x ad ogni istante. Questa funzione prende il nome di equazione oraria

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P(t) O

s(t) Posizione di P all’istante t

Il moto del punto è completamente descritto dalla conoscenza di: 1) Equazione della traiettoria 2) Equazione oraria

)(tss

traiettoria (curvilinea)

Consideriamo un punto P che si muove su traiettoria curvilinea.

Stabiliamo sulla traiettoria un sistema di ascisse curvilinee: 1. Prendiamo sulla traiettoria un punto O come origine del sistema di ascisse curvilinee 2. Scegliamo sulla traiettoria un verso di percorrenza

3. Associamo ad ogni punto P della traiettoria il valore reale s pari lunghezza dell’arco OP presa con segno:

• s > 0 se il verso che porta da O a P è concorde con il verso convenzionalmente scelto sulla traiettoria

• s < 0 se il verso che porta da O a P è discorde con il verso convenzionalmente scelto sulla traiettoria

Equazione oraria Nota la traiettoria, il moto del punto è completamente descritto dalla conoscenza del valore di s (posizione di P) ad ogni istante, cioè dalla conoscenza della funzione che definisce il valore di s ad ogni istante. Questa funzione prende il nome di equazione oraria

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3. Equazioni parametriche del moto

x

y

z

P(t)

)(tx

)(ty

)(tz

)(

)(

)(

tzz

tyy

txx Equazioni parametriche del moto

Se non è nota la traiettoria, l’equazione oraria non è sufficiente a descrivere il moto del punto. In questo caso, per descrivere il moto del punto, è necessario conoscere la posizione (cioè le coordinate) del punto materiale nello spazio ad ogni istante. Equazioni parametriche del moto

Funzioni che descrivono la dipendenza dal tempo delle coordinate di P.

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4. Vettore posizione

y

z

x

i

j

k

O

P(t)

)(tr

ktzjtyitxtr ˆ)(ˆ)(ˆ)()(

)(

)(

)(

tzzzr

tyyyr

txxxr

OPz

OPy

OPx

)(),(),()(P tztytxt

Rappresentazione cartesiana del vettore posizione

Vettore posizione

)()(OP trt

Componenti del vettore posizione

Traiettoria

Posizione di P all’istante t

Individua la posizione di P all’istante t

Le componenti del vettore posizione coincidono con le funzioni che definiscono le equazioni parametriche del moto.

0,0,0O

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5. Vettore spostamento

)(tr

)( ttr D

r

D

Vettore spostamento nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ]

)()( trttrr

DD

P(t )

P(t+Dt )

Caratterizza in modulo direzione e verso lo spostamento del punto nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ]

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6. Vettore velocità media

)(tr

)( ttr D

r

D

Vettore velocità media nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ]

t

trttr

t

rvM

D

D

D

D

)()(

P(t )

P(t +Dt )

Mv

direzione: retta che congiunge P(t) e P(t+Dt) verso: quello che porta da P(t) e P(t+Dt) modulo: quello di P(t) P(t+Dt) diviso Dt

Caratterizza in modulo direzione e verso lo spostamento del punto nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ], e la rapidità con cui questo spostamento è avvenuto.

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7. Vettore velocità istantanea

Vettore velocità istantanea all’istante t

dt

rd

t

trttr

t

rtv

tt

D

D

D

D

DD

)()(limlim)(

00

P(t )

P(t +Dt )

Mv

)(tv

direzione: individua la direzione del moto: retta tangente alla traiettoria in P(t) verso: individua il verso del moto modulo: caratterizza la rapidità con cui cambia la posizione del punto all’istante t

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dt

vd

t

tvttv

t

vta

tt

D

D

D

D

DD

)()(limlim)(

00

t

tvttv

t

vaM

D

D

D

D

)()(

)()( tvttvv

DD

8. Vettore accelerazione media e istantanea

Caratterizza in modulo, direzione e verso la variazione di velocità del punto nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ]

Caratterizza in modulo, direzione e verso la variazione di velocità del punto nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ], e la rapidità con cui questa variazione è avvenuta.

Caratterizza in modulo, direzione e verso la rapidità con cui cambia la velocità del punto all’istante t

Vettore accelerazione istantanea all’istante t

Vettore accelerazione media nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ]

Vettore variazione di velocità nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ]

)(tv

)( ttv D

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)(tv

)( ttv D

)(ta

9. Accelerazione tangenziale

Se il vettore velocità varia perché varia il suo modulo, e non la sua direzione (moto rettilineo), allora il vettore accelerazione è parallelo al vettore velocità e quindi è tangente alla traiettoria e prende il nome di accelerazione tangenziale.

t

vta

t D

D

D

0lim)(

v

D

il vettore velocità varia in modulo e non in direzione (moto rettilineo)

)()( tvttvv

DD)(tv

)( ttv D

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10. Accelerazione centripeta

il vettore velocità varia in direzione ma non in modulo (es. moto circolare uniforme)

)(tv

)( ttv D

)( ttv D

)( ttv D

)(tv

)(ta

)(ta

Ma

Ma

Ma

)( ttv D

Ma

Ma

Ma

Se il vettore velocità varia perché varia la sua direzione (moto curvilineo) e non il suo modulo (moto uniforme), allora il vettore accelerazione è perpendicolare al vettore velocità e quindi alla traiettoria, è diretto verso il centro di curvatura della traiettoria, e prende il nome di accelerazione centripeta.

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11. Accelerazione tangenziale e centripeta

centro di curvatura in P

P

Ca

Ta

a

TC aaa

il vettore velocità varia in direzione e in modulo (es. moto curvilineo non uniforme)

cerchio osculatore in P

Se il vettore velocità varia perché varia il suo modulo (moto non uniforme) e la sua direzione (moto curvilineo), allora il vettore accelerazione è la somma di un componente tangenziale (accelerazione tangenziale), legato alla variazione del modulo della velocità, e di un componente centripeto (accelerazione centripeta), legato alla variazione della direzione della velocità

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12. Moto rettilineo, moto uniforme

Moto Velocità Accelerazione

Moto rettilineo

vettore velocità costante in direzione accelerazione centripeta nulla

Moto uniforme

vettore velocità costante in modulo

accelerazione tangenziale nulla

Moto rettilineo uniforme vettore velocità costante (in direzione e modulo)

vettore accelerazione nullo (accelerazione tangenziale e centripeta nulle)

CT aaa

;0

TC aaa

;0

0;0 aaa CT

costv

costv

cost)vers(ˆ vv

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dt

vda

13. Rappresentazione cartesiana dei vettori velocità e accelerazione

kvjvivtv zyxˆˆˆ)(

dt

dva

dt

dva

dt

dva

zz

y

y

xx

kajaiata zyxˆˆˆ)(

dt

dzv

dt

dyv

dt

dxv

z

y

xdt

rdv

krjrirtr zyxˆˆˆ)(

)(

)(

)(

tzr

tyr

txr

z

y

x

Vettore posizione

Vettore velocità

Vettore accelerazione

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cost.0000 tvxdtvdxdtvdxvdt

dxv

dt

dxxxxxx

00 cost)0( xxtx

00)( xtvtx x

14. Equazione oraria del moto rettilineo uniforme

cost.ˆˆ idt

dxivv x

vvtvv xxx 0)0(cost

v

v

vvx vvx

vv x 0

x

P

x0 = Posizione del punto all’istante iniziale t = 0

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cost.0000 tavdtadvdtadvaadt

dvxxxxxxxx

x

xxxxxx vtavvvtv 0000 cost)0(

15. Equazione oraria del moto rettilineo uniforme vario

cost.ˆ iaa x

aataa xxx 0)0(cost

a

aax aax

aa x 0

x

a

xxx vtatv 00)( 00 vv x

0v

0v

00 vv x 00 vv x

P

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00

2

0 t2

1)( xvtatx xx

cost.t2

10

2

000

0000

xxxx

xxxxx

vtaxdtvtdtadx

dtvtdtadxvtadt

dxv

dt

dx

00

2

000 xt2

1cost)0( xx vtaxxxtx

x0 = Posizione del punto all’istante iniziale t = 0

aa x 0

00 vv x

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00

2

0

00

0

2

1

cost

xtvtax

vtav

aa

xx

xxx

xx

00

0cost

0

xtvx

vv

a

x

xx

x

x0 = Posizione del punto all’istante iniziale t = 0

aa x 0

00 vv x

Moto rettilineo uniforme Moto rettilineo uniformemente vario

x0 = Posizione del punto all’istante iniziale t = 0

00 vv x

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ESERCIZIO

Problema: un punto materiale si muove di moto rettilineo uniforme con velocità V0 paria 10 m/s. Ad un certo istante inizia a frenare con decelerazione costante pari a 2 m/s2. Determinare la distanza dF percorsa nel corso della frenata ed il relativo intervallo tempo (tempo di frenata tF).

00

2

0

00

0

xt2

1

cost

xx

xxx

xx

vtax

vtav

aa

a

00

00

0

x

vv

aa

x

x

20

0

2

1t

)(

atvx

atvtv

aa

x

x

Scegliamo come istante iniziale l’istante in cui il punto inizia a frenare. Prendiamo l’asse x coincidente con la traiettoria, verso quello del moto, ed origine coincidente con la posizione del punto all’istante iniziale.

Il moto è uniformemente vario (decelerato). Scriviamo le equazioni del moto:

Nel nostro caso

0v 0

v

tt F

Fdx

0

0

x

t

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a

v

a

v

a

v

a

vv

a

vavattxx arrarrarr

22

1

2

1t

2

1)(

2

0

2

0

2

0002

2

0arr0

2

La posizione del punto all’istante di arresto si determina calcolando il valore di x all’istante di arresto :

Il tempo di frenata è la differenza fra l’istante di arresto e l’istante t0=0 in cui il punto inizia a frenare

a

v

a

vttt arrF

000 0

La distanza percorsa nel corso della frenata è data dal valore di x all’istante di arresto meno il valore di x all’istante in cui il punto inizia a frenare (x0=0):

a

v

a

vxxd arrF

20

2

20

20

0

Sostituendo i valori numerici si trova: stF 5 mdF 25

a

vtF

0

a

vdF

2

20

a

vtvatv arrarrx

00 00

All’istante di arresto tarr la velocità vx si annulla:

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a

vt

a

vd

F

F

0

20

2

F

FF

atv

atd

0

2

2

1

a

dt

adv

FF

F

2

20

Dalle precedenti equazioni, noto a e v0 determino dF e tF

Noto a e tF determino dF e v0

Noto a e dF determino v0 e tF

F

FF

t

va

tvd

0

0

2

Noto v0 e tF determino dF e a

2

0

2

2

F

F

F

t

da

t

dv

Noto dF e tF determino v0 e a

0

20

2

2

v

dt

d

va

FF

F

Noto v0 e dF determino a e tF

Le precedenti sono due equazioni nelle quattro variabili a, v0 , dF e tF . Note due di queste variabili si determinano le altre due

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ESERCIZIO

00

2

0

00

0

xt2

1

cost

xx

xxx

xx

vtax

vtav

aa

0

0

0

0

0

x

v

ga

x

x

Problema: Un punto materiale viene lasciato cadere da fermo in un pozzo. Determinare la profondità del pozzo cronometrando il tempo T fra l’inizio della caduta e del rumore dell’impatto con la superficie libera dell’acqua.

2

2

1gtx

gtv

ga

x

x

00

0cost

0

xtvx

vv

a

x

xx

x

00

0

x

vv Sx

tvx

vv

a

S

Sx

x

0

Il moto del sasso è uniformemente accelerato verso il basso con accelerazione g

Il suono si muove verso l’alto di moto uniforme con velocità pari a VS = 343 m/s

h

x

x

g

htgth cadutacaduta

2

2

1 2 S

salitasalitaSv

httvh

S

salitacadutav

h

g

hTttT

2

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16. Velocità angolare

dt

d

t

ttt

tt

tt

D

D

D

D

DD

)()(limlim)(

00

P(t)

P(t+Dt)

)()( ttt DD

t

ttt

tM

D

D

D

D

)()(

Velocità angolare media nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ]

Spostamento angolare nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ]

Velocità angolare istantanea all’istante di tempo t

Caratterizza in modulo e segno lo spostamento angolare del punto nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ], e la rapidità con cui questo spostamento è avvenuto.

Caratterizza in modulo e segno la rapidità con cui cambia la coordinata angolare del punto all’istante t

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17. Accelerazione angolare

Accelerazione angolare media nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ]

Variazione di velocità angolare nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ]

Accelerazione angolare istantanea all’istante t

Caratterizza in modulo e segno la variazione di velocità angolare del punto nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ], e la rapidità con cui questa variazione è avvenuta.

Caratterizza in modulo e segno la rapidità con cui cambia la velocità angolare del punto all’istante t

)()( ttt DD

t

ttt

tM

D

D

D

D

)()(

dt

d

t

ttt

tt

tt

D

D

D

D

DD

)()(limlim)(

00

(t)

(t+Dt)

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18. Moto circolare uniforme: equazione oraria

(t)

P(t)

x

y

0)( strtsrs s(t)

Ca

v

0)( tt

T

2

T

1

cost

tdtddtddt

d

cost000 )(cost)0( ttt

Nel moto circolare uniforme la velocità angolare è costante

Equazione oraria. Dalla definizione di radiante:

Periodo T e frequenza .

rv2

2

rr

vvaC

Velocità e accelerazione.

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D P(t)

Ds = rD

P(t+Dt)

D

D

D

D

D

D

D

D

DDDDr

tr

tr

t

s

t

rv

tttt 0000limlimlimlim

r

D

r

r

19. Moto circolare uniforme: velocità

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r

vrv

tv

tv

t

va

tttC

22

000limlimlim

D

D

D

D

D

D

DDD

D P(t)

P(t+Dt)

D

v

v

v

v

v

D

v D

20. Moto circolare uniforme: accelerazione

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21. Moto armonico

(t)

P(t)

Px

Definizione Dato un punto che si muove di moto circolare uniforme, chiamiamo moto armonico il moto della proiezione di P su un diametro (es. asse x) della circonferenza descritta da P.

x

y

)cos()(cos)( 0 tRtRtx

Equazione oraria

x(t)

Velocità

)sin()( 0 tRdt

dxtvx

)cos()( 0

2

2

2

tRdt

xdtax

Accelerazione

xdt

xdtax

2

2

2

)(

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2.2 Dinamica del punto materiale

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Principio di relatività galileiana (Galileo) I fenomeni meccanici si svolgono con leggi dello stesso tipo in tutti i sistemi di riferimento in moto traslatorio rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro.

Sistemi di riferimento inerziali

Un Sistema di riferimento inerziale è definito dalla condizione che rispetto ad esso lo spazio è omogeneo ed isotropo ed il tempo omogeneo. In particolare, un punto materiale libero (non soggetto ad alcuna interazione con altri sistemi) che ad un dato istante si trovi in uno stato di quiete in un sistema di riferimento inerziale, permarrà in quiete per un periodo di tempo illimitato. (In un sistema di riferimento inerziale ogni posizione è posizione di equilibrio per un punto libero).

Dal principio di relatività segue che se un sistema di riferimento è inerziale ogni altro sistema di riferimento che si muova rispetto al primo di moto traslatorio rettilineo uniforme è anch’esso inerziale.

Principio di inerzia

In un sistema di riferimento inerziale, un punto materiale libero permane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme. Il principio di inerzia è una conseguenza necessaria del principio di relatività

1. Primo principio della dinamica

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v

Sperimentatore A

Punto libero A

Punto libero B

Sperimentatore B

Riferimento inerziale A

Riferimento inerziale B

• Il riferimento inerziale B, solidale al vagone, si muove di moto traslatorio uniforme rispetto al sistema inerziale A. • Il punto libero A è in quiete nel sistema di riferimento A, il punto libero B è in quiete nel sistema di riferimento B. • Per l’osservatore inerziale A, il punto B è un punto libero che si muove con velocità costante, pari a quella del vagone.

Ammettiamo che non valga il principio di inerzia: la velocità del punto B, rispetto all’osservatore A, comincia a variare. L’osservatore B noterebbe che il punto libero B, inizialmente in quiete, comincerebbe a muoversi spontaneamente. Ciò contraddice il principio di relatività: nel sistema B (in moto traslatorio rettilineo uniforme rispetto al sistema A), contrariamente a quanto accade nel sistema A, un punto libero inizialmente in quiete non rimarrebbe in quiete.

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2. Il secondo principio della dinamica

amF

Secondo principio della dinamica (Newton) L’applicazione di una forza ad un punto materiale, produce un’accelerazione con direzione e verso coincidenti con quello della forza, e modulo proporzionale a quello della forza.

m = massa inerziale del punto

2 MLTMaF )(2 NNewtonsmkg

Dimensioni e unità di misura della forza.

Forza Ente in grado di perturbare lo stato di quiete o di moto rettilineo di un punto in un riferimento inerziale. La forza può essere definita in modo operativo, staticamente, mediante la deformazione che produce su un sistema facilmente deformabile, quale ad esempio una molla (dinamometro).

Principio di sovrapposizione Quando più forze sono applicate contemporaneamente ad un punto, l’effetto complessivo è uguale a quello che si ottiene applicando al punto la risultante (somma vettoriale) delle singole forze.

1f

2f

F

321 fffF

m

Fa

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3. Il terzo principio della dinamica

P2 P1

21F

12F

P2 P1

21F

12F

Enunciato Due punti materiali esplicano l’uno sull’altro due forze di uguale modulo, dirette lungo la congiungente ed aventi verso opposto.

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4. Le leggi delle forze: forza elastica

Forza elastica di centro O Forza sempre diretta verso un punto fisso O (detto centro della forza elastica) in modulo proporzionale alla distanza di P da O

rkrrkkOPFelˆ

O

P r

Se scegliamo il centro O come origine del sistema di riferimento cartesiano, allora OP coincide con il vettore posizione e le componenti della forza diventano:

kzzzkF

kyyykF

kxxxkF

OPzel

OPyel

OPxel

)(

)(

)(

r

k = costante elastica

molla a riposo

molla allungata

O P

Esempio: punto materiale attaccato all’estremità di una molla allungata o accorciata rispetto alla lunghezza di riposo

molla accorciata

O P

rrrOP ˆ

elF

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5. Forza di attrazione gravitazionale

Forza di attrazione gravitazionale fra 2 punti materiali Un punto di massa m1 esercita su un punto di massa m2 posto a distanza r una forza di attrazione gravitazionale data da:

122

2121 r

r

mmGF

m1

r

12rm2

21F

G = costante di gravitazione universale

22111067.6 kgNmG

m

M Teorema di Newton

Una sfera omogenea di massa M esercita su un punto m (esterno alla sfera) la stessa forza che eserciterebbe se tutta la massa M della sfera fosse concentrata nel suo centro.

rr

MmGFgr

ˆ2

grF

r

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6. Resistenze di mezzi fluidi

vvAfF ˆ)(

Resistenze di mezzi fluidi Quando un corpo si muove all’interno di un fluido esercita una forza sulle particelle del fluido. Le particelle, per il terzo principio, esercitano sul corpo forze uguali e contrarie: la somma di queste forze costruisce la resistenza offerta dal mezzo fluido al moto del corpo.

= densità del fluido = coefficiente di forma A = superficie investita

A v

v

smvvvf /20)( (regime viscoso)

(regime idraulico)

fluido

Esempio: I due corpi rappresentati hanno lo stesso valore di A ma differenti valori di .

smvvvf /2002)( 2

vbvAvAvF

ˆ

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7. Reazione vincolari

Vincolo Un vincolo è un sistema o un insieme di sistemi materiali che impediscono al punto materiale di occupare un insieme di posizioni che sarebbero accessibili al punto in assenza dei vincolo stesso.

Reazioni vincolari

Per impedire al punto di occupare determinate posizioni il vincolo esplica sul punto una forza che prende il nome di reazione vincolare.

Esempio: vincolo di appartenenza ad una guida. Una locomotiva può muoversi solo lungo le rotaie. Per non far deragliare la locomotiva le rotaie esercitano sulle ruote del treno delle forze (reazioni vincolari).

Esempio: vincolo di appoggio su un piano Un punto materiale può occupare soltanto le posizioni al di sopra del suolo. Se il punto si appoggia o cade al suolo, questo esercita sul punto delle forze (reazioni vincolari) che impediscono al punto di attraversarlo.

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N

stA

max.stA

max.stA

ANR

N

N

N

N

dinA

v

a

0v

0a

0v

0v

0vF

F

F F

max.stDdin ANA

max.stSst ANA

8. Vincolo di appoggio

Legge dell’attrito statico S coefficiente di attrito statico

Legge dell’attrito dinamico Dcoefficiente di attrito dinamico

)( SD

N

Il componente della reazione perpendicolare al piano Relazione vincolare

A

Il componente della reazione parallelo al piano (attrito)

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9. Forza di trascinamento - moto traslatorio

a

Piano liscio

a

Rispetto al sistema solidale al vagone il punto si muove con accelerazione

amFtr

In un sistema di riferimento non inerziale, in moto traslatorio rispetto ad un sistema di riferimento inerziale, oltre alle forze effettivamente agenti sul punto (forze effettive), il punto è soggetto ad una forza legata all’accelerazione a del sistema, detta forza apparente di trascinamento:

a

Rispetto al sistema solidale alle rotaie il punto permane nel suo stato di moto con accelerazione nulla (quiete o in moto rettilineo uniforme).

Il sistema mobile (solidale al vagone) si muove di moto traslatorio rispetto a quello fisso (inerziale), solidale alle rotaie.

Accelerazione del vagone

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10. Forza di trascinamento - moto rotatorio uniforme

PPmFcentrifuga *2

In un sistema di riferimento non inerziale, in moto rotatorio uniforme rispetto ad un sistema di riferimento inerziale, oltre alle forze effettivamente agenti sul punto (forze effettive), il punto è soggetto ad una forza legata alla velocità angolare del sistema ed alla posizione del punto, detta forza centrifuga:

Il sistema mobile (vagone) si muove di moto rotatorio uniforme rispetto a quello fisso (inerziale), solidale alle rotaie.

P* = proiezione di P sull’asse di rotazione

*2PPa

P*

PPa *2

Accelerazione, rispetto al sistema fisso, del vagone nella posizione occupata da P

Accelerazione di P rispetto al sistema solidale al vagone

Riferimento mobile solidale al vagone

riferimento fisso inerziale

P

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11. Forza peso

grFgm

grF

grF

PPm *2

P*

OPm 2

O gm

gm

PPmrr

MmGFFgmP centrgr

*2

2.ˆ

Forza peso Forza esercitata dalla terra su un punto materiale che si trova in quiete nei pressi della sua superficie. Il peso è la risultante della forza di attrazione gravitazionale e della forza centrifuga legata al moto di rotazione diurna attorno all’asse polare.

)(ˆ OPversr

PPrr

MG

m

Pg *2

Accelerazione di gravità

Verticale Direzione della forza peso. Passa per il centro della terra solo all’equatore e ai poli.

Il peso e l’accelerazione di gravità: • aumentano con la latitudine:

Fgr resta costante, Fcentr diminuisce • diminuiscono con la quota:

Fgr diminuisce, Fcentr aumenta

g = 9.81 m/s2 alle nostre latitudini g = 9.78 m/s2 all’equatore g = 9.83 m/s2 ai poli

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RgmamFam

1) Forze agenti:

2) Equazione della dinamica

3) Proiezione sugli assi x e y

Rmg

mgmax

cos0

sin

Rgm

,

cos

sin

mgR

gax

00

2

0

00

0

xt2

1

cost

xx

xxx

xx

vtax

vtav

aa

0

0

sin

0

0

0

x

v

ga

x

x

2sin2

1

sin

sin

tgx

tgv

ga

x

x

4) Equazione oraria

ESERCIZIO

Problema: Un punto materiale viene lasciato cadere da fermo su un piano liscio, inclinato di un angolo

rispetto ad un piano orizzontale. Determinare l’equazione oraria del punto.

gm

R

x

y

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11. Il moto del proiettile

0v

yv0

xv0 x

y

Studio del moto di un punto materiale soggetto alla forza peso (in assenza di resistenza dell’aria).

gagmamFam

gmF

1) Forze agenti: 2) Equazione della dinamica 3) Proiezione sugli assi x e y

ga

a

y

x 0

g

A

B

Equazione della dinamica

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00

2

0

00

0

yt2

1

cost

yy

yyy

yy

vtay

vtav

aa

t2

10

2

0

y

yy

y

vgty

vgtv

ga

00

0

xt

cos

0

x

xx

x

vx

vtv

a

t

cos

0

0

0

x

xx

x

vx

vtv

a

0y

sin

0

00 vv

ga

y

y

0x

cos

0

00 vv x

Asse y: moto uniformemente vario

Asse x: moto uniforme

Condizioni

Condizioni

Equazioni parametriche del moto

Massima quota

g

vtvgtv

y

AyAy

0

0 00

g

v

g

vv

g

vgtvgttyy

yoy

oy

oy

AoyAAA22

1

2

1)(

2

0

2

2

Tempo di salita

massima quota raggiunta

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Impatto col il suolo

g

vtvgty

y

By

0

0

22

0t2

10 Tempo di volo

g

v

g

vv

g

vvtvtxx

yox

BxBB

)2sin(cossin22)(

2

0000

0

Gittata

Equazione della traiettoria

x

y

x

y

x

xv

xv

v

xgtvgty

v

xtvx

0

0

2

0

0

2

0

02

1

2

1t

xv

vx

v

gy

x

y

ox

0

02

22Equazione traiettoria

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12. Oscillazioni libere

RkOPgmamFam

1) Forze agenti:

2) Equazione della dinamica

3) Proiezione sugli assi x e y

Rmg

kxmax

0

Equazione della dinamica

mgR

xdt

xd 2

02

2

m

k0dove

P

gm

RkOPgm

,,

R

kOPO x

frequenza delle oscillazioni libere

y

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)cos()( 00 tAtxxdt

xd 2

02

2

Equazione oraria

)sin()( 00 tAdt

dxtvx

)cos()( 0

2

02

2

tAdt

xdtax

Equazione oraria, velocità, accelerazione

AaavAxx xxx

2

0minmax 0

0)(0 0min xxx aAvvx

AaavAxx xxx

2

0maxmin 0

0)(0 0max xxx aAvvx

0x Ax Ax

v

v

a

a

Equazione del moto armonico

x

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x / xmax

vx / (vx)max

ax / (ax)max

t

x / xmax

t

Rappresentazione grafica

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13. Oscillazioni smorzate

RvbkOPgmamFam

1) Forze agenti:

2) Equazione della dinamica

3) Proiezione sugli assi x e y

Rmg

bvkxma xx

0

Equazione della dinamica

mgR

kxdt

dxb

dt

xdm 0

2

2

P

gm

vbRkOPgm

,,,

R

kOP

O

x

vb

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)cos()( 00 tAetx S

t

Equazione oraria

m

k0

dove m

b

202 2

02

2

xdt

dx

dt

xd

piccoli smorzamenti: oscillazioni smorzate

smorzamento critico

tt

ecectx

20

220

2

210 )(

)()( 210 tccetx t

grandi smorzamenti: smorzamento aperiodico

22

0 S

t

x

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13. Oscillazioni forzate

itFRvbkOPgmamFam Fˆcos j

1) Forze agenti:

2) Equazione della dinamica

3) Proiezione sugli assi x e y

j

Rmg

tFbvkxma Fxx

0

cos

Equazione della dinamica

j

mgR

tFkxdt

dxb

dt

xdm Fcos

2

2

P

gm

itFvbRkOPgm Fˆ)cos(,,,, j

R

kOP

O

x vb

itF Fˆ)cos( j

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m

k0

dove m

b

2 FFt

m

Fx

dt

dx

dt

xdj cos2 2

02

2

Equazione oraria

)cos()( j tBtx F

22222

0 4

/

FF

mFB

0

01.0

015.0

02.0

03.0

05

05.1 2/0

05.0

0/ F

2

0m

F

BIl punto si muove di moto armonico con la frequenza della forza esterna ed ampiezza

Per piccoli smorzamenti l’ampiezza cresce quanto più la frequenza della forza esterna F si avvicina alla frequenza delle oscillazioni libere 0 (frequenza propria), e quanto più piccolo è lo smorzamento .

2/ωγ 0

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2.3 Lavoro ed Energia

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1. Lavoro elementare

cosdlFldFdL

Definizione Sia F la forza agente su un punto P all’istante t e dl lo spostamento del punto nell’intervallo di tempo infinitesimo dt fra gli stanti t e t+dt. Si definisce lavoro elementare compiuto dalla forza F su P nell’intervallo [t, t+dt], e si indica con dL, grandezza scalare:

Il lavoro caratterizza la forza agente su un punto, in relazione allo spostamento subito dal punto stesso

222 TMLLMLTFLL

Dimensioni ed unità

)(22 JJoulesmkgNm

ld

ld

ld

ld

ld

F

F

F

F

F

1cos0

900

0cos1

18090

0cos

90

1cos

0

1cos

180

FdlldF

0 ldF

0 ldF

0 ldF

FdlldF

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D DDD

2

1

21

,

3322110

, lim

P

Pl

PP ldFlFlFlFLi

2. Lavoro in un intervallo di tempo finito

P1

P2

1l

D2l

D3l

D

4l

D

1F 2F

3F

4F

Se la forza F agente su P è costante

LFPPFldFldFL

P

P

P

P

21

,,

2

1

2

1

L

In un intervallo di tempo finito [t1,t2] in cui il punto compie uno spostamento da P1 a P2 lungo l’arco di traiettoria

Se la forza F agente su P è costante e parallela a L

FLL

dove vale il segno più se i due vettori sono concordi, il segno meno se sono discordi

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3. Energia

Definizione Capacità di compiere lavoro.

Tipi di energia in meccanica

• Energia cinetica: Energia (capacità di compiere lavoro) legata al moto del punto

• Energia potenziale Energia (capacità di compiere lavoro) legata alla posizione di un punto materiale all’interno di un campo di forze conservativo (forza peso, forza elastica, forza di attrazione gravitazionale, …) .

• Energia meccanica Somma dell’energia cinetica e dell’energia potenziale

2

2

1mvEC

mghpesoEP )( 2

2

1)( krelasticaEP

PCM EEE

h = quota rispetto ad un piano orizzontale di riferimento r = distanza dal centro della forza elastica/gravitazionale

r

MmGnalegravitazioEP )(

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4. Energia Cinetica

mFa /

ov

F

0v

2

2

1mvEC

a

vdarr

2

2

0 2

0

2

0

2

1

2mvF

a

vFdL arr

Lavoro compiuto per arrestare un punto materiale di massa m e velocità v0.

Il punto esercita sul sistema frenante una forza uguale ed opposta (3° principio della dinamica), e compie sul sistema frenante un lavoro (uguale ma di segno contrario) pari a:

2

02

1mvL

Un punto solo per il fatto di avere una massa m e una velocità v è in grado di compiere una quantità di lavoro pari a:

Questa capacità di compiere lavoro legata alla velocità di P prende il nome di energia cinetica.

m

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dLrdFdtvamvvdmvdvvvdmvvdmmvddEc

2

1

2

1

2

1 2

5. Teorema del lavoro

Enunciato La variazione di energia cinetica di un sistema materiale in un qualsiasi intervallo di tempo è pari al lavoro compiuto dalle forze agenti sul punto nello stesso intervallo di tempo.

vvv

2

dtavd

dt

vdta

)(

dtvrd

dt

rdtv

)(

vdvvvd

21)()( 12 ttcc LtEtE

In termini differenziali

dLdEC

Dimostrazione

Fam

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6. Forze conservative, energia potenziale

Definizione Una forza si dice conservativa se il lavoro che compie su un punto materiale dipende soltanto dalla posizione iniziale e dalla posizione finale del punto e non dalla traiettoria che collega questi punti.

P1

P2

2

1

)()( 21

,

2

1

21PEPEldFL PP

P

P

PP

Si può quindi uguagliare questo lavoro alla differenza dei valori assunti in P1 e P2 da una funzione uniforma e generalmente regolare delle coordinate, detta energia potenziale Ep

In termini differenziali

PdEdL )()( 12

2

1

PEPEdE PP

p

P

P 21

2

1

2

1

PP

P

P

P

P

LldFdL

Per qualsiasi percorso che congiunge P1 e P2

risulta infatti

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mghL PP 21

mghmghL PP 0021

mghmglL PP cos021

mghEP mghmghPEPEL PPPP 0)()( 2121

P1 P1 P1

P2 P2 P2

gm

gm

gm

gm

gm

gm

h

risulta infatti

ESERCIZIO

Dimostrare che il lavoro compiuto dalla forza peso per i tre percorsi indicati, congiungenti P1 e P2 , è il medesimo

l h

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1) Dimostrare che la forza è conservativa, cioè che il lavoro non dipende dal percorso ma solo dalla posizione iniziale P1 e finale P2

2

1

21

,

P

P

PP ldFL

7. Determinazione dell’energia potenziale

),,(),,( 000

0

zyxEldFzyxE P

P

P

P

2) Determinare l’energia potenziale in un punto generico P(x,y,z) sfruttando la definizione di energia potenziale:

• P2 → generico punto P=(x,y,z) • P1 → punto di riferimento P0(x0,y0,z0) arbitrariamente scelto nel campo di definizione della forza • E(x0,y0,z0) è il valore che viene arbitrariamente assegnato a EP nel punto P0(x0,y0,z0).

)()()()( 1

,

221

,

2

1

2

1

21PEldFPEPEPEldFL p

P

P

PPp

P

P

PP

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P2

kmgF ˆ

mgzEmgzmgzzyxEldFzyxE pP

P

P

P )O()(),,(),,( 0000

0

8. Energia potenziale della forza peso

21

,,,,

2

1

2

1

2

1

2

1

21

ˆˆ mgzmgzdzmgldkmgldkmgldFL

z

z

P

P

P

P

P

P

PP

z

k

O

lddz

0O; 0000 zyxP 0)O()( 0 PP EPE

Scegliamo P0 sul suolo coincidente con l’origine O: e poniamo:

dzkld ˆ

La forza è conservativa

P1

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222

00002

1)O(

2

1

2

1),,(),,(

0

krEkrkrzyxEldFzyxE pP

P

P

P

9. Energia potenziale della forza elastica

2

2

2

1

2

,,,

,2

1

2

1

2ˆˆ

2

1

2

1

2

1

2

1

2

1

21krkr

rkrdrkldrrkldrkrldFL

r

r

r

r

P

P

P

P

P

P

PP

0;O 00 rP0)O()( 0 PP EPE

Scegliamo P0 coincidente con il centro della forza elastica (dove la forza si annulla) e con l’origine O:

e poniamo

La forza è conservativa

P2

rkrF ˆ

rO

ldr dr

drrld ˆ

P1

F

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rr

MmGF ˆ

2

r

mMGE

r

mMG

r

mMGzyxEldFzyxE pP

P

P

P

)(),,(),,(

0

000

0

10. Energia potenziale della forza gravitazionale

12

12

2

2

,

2

,

2

,

2

1

2

1

2

1

2

1

2

1

2

1

2

1

21

1

12

ˆˆ

r

GMm

r

GMm

rGMm

rGMm

drrGMmr

drGMm

r

ldrGMmldr

r

MmGldFL

r

r

r

r

r

r

r

r

P

P

P

P

P

P

PP

00 ; rPP 0)()( 0 PP EPEScegliamo P0 infinitamente lontano dal centro della forza gravitazionale, dove questa forza si annulla

e poniamo

La forza è conservativa

P2

rO

ldr dr

drrld ˆ

P1

F

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11. Principio di conservazione dell’energia meccanica

Enunciato Se un punto materiale è soggetto all’azione di sole forze conservative, allora la sua energia meccanica si conserva costante nel tempo

)1()2(21 CCPP EEL

)2()1(21 PPPP EEL

cost.ME

Teorema del lavoro

Definizione di forza conservativa

)2()1( MM EE

)2()2()1()1( PCPC EEEE

CdEdL

PdEdL

0 CP dEdE

0)( MCP dEEEd

cost.ME

Dimostrazione

in termini finiti in termini infinitesimi

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12. Potenza

dt

dLW

Definizione Sia dL il lavoro elementare compiuto dalla forza F nell’ intervallo di tempo infinitesimo dt fra gli stanti t e t+dt. Si definisce potenza erogata dalla forza F all’istante t, la grandezza scalare:

32121 TMLLTMLTFLTW

Dimensioni ed unità

)(32 Wwatts

Jsmkg

Proprietà Dalla definizione di lavoro elementare risulta:

vFdt

ldFW

La potenza caratterizza il lavoro compiuto della forza e la rapidità con cui tale lavoro è compiuto

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Problema: Un punto materiale viene lasciato cadere da fermo da quota h. Determinare la velocità del punto al momento dell’impatto col suolo e l’istante di impatto. L’unica forza agente sul punto è la forza peso. Questa forza è conservativa, si può quindi applicare il principio di conservazione dell’energia meccanica.

ESERCIZIO: la caduta di un grave

(impatto)(impatto)(iniziale)(iniziale) PCpC EEEE

02

10 2 impmvmgh ghvimp 2

g

vt

g

vh

imp

imp

imp

2

2

Noto vimp determino h e timp Noto timp determino h e vimp Noto h determino vimp e timp

2

2

1gtx

gtv

Equazioni del moto

g

htgthhx impimp

2

2

1 2

All’ istante di impatto timp

impv

0x

h

x

hx

0v

g

htghv impimp

22 impimpimp gtvgth 2

2

1

z

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Problema: Un punto materiale viene lanciato verso l’alto con velocità vo. Determinare la massima quota raggiunta h e l’istante in cui tale quota viene raggiunta (tempo di arresto).

)()((iniziale)(iniziale) hEhEEE PCpC

mghmv 002

1 20

g

vh

2

2

0

0v

Come in precedenza si applica il principio di conservazione dell’energia meccanica.

0v

h

ESERCIZIO: grave lanciato verso l’alto

g

vt

g

vh A

020

2

Noto v0 determino h e tA Noto tA determino h e v0 Noto h determino v0 e tA

20

0

2

1gttvx

gtvv

Equazioni del moto

g

vtgtvv AA

00 00

All’ istante di arresto tA

AA gtvgth 02

2

1

g

htghv A

220

x

0x

hx

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2.4 Meccanica dei sistemi

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1. Centro di massa di un sistema materiale

Definizione Centro della distribuzione della massa del sistema

Esempio: 2 punti di uguale massa m, e due punti di massa m e 2m

m m C m 2m C

O

1r 2r

Nr

N

i

ii

N

NN rmMmmm

rmrmrmOC

121

2211 1

C

Centri di massa di un sistema particellare: N punti di massa m1, m2, m3, …, mN-1, mN.

mN

m2 m1

ir

mi

N

i

iirmM1

OC

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• 2 punti di uguale massa m

m m

C

m 2m C

2

0

21

2211 r

mm

rmm

mm

rmrmOC

• due punti di massa m e 2m

O→ r

O→ rmm

rmm

mm

rmrmOC

3

2

2

20

21

2211

N

NN

mmm

rmrmrmOC

21

2211

ESERCIZIO

Applichiamo la formula

r

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N

i

iirmM

OC1

1

N

i

iirmM1

OC

N

i

iiC

N

i

iiC

N

i

iiC

zmM

z

ymM

y

xmM

x

1

1

1

1

1

1

N

i

iiC

N

i

iiC

N

i

iiC

zmMz

ymMy

xmMx

1

1

1

Coordinate del centro di massa

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2. Quantità di moto di un sistema materiale

N

i

iirmM1

OC

N

i

iiC vmvM1

N

i

iiC amaM1

N

i

iivmQ1

Definizione Somma dei prodotti delle masse dei punti per le rispettive velocità

Dalla definizione di centro di massa, derivando si ricava

Teorema La quantità di moto di un qualsiasi sistema materiale si può sempre esprimere come il prodotto della massa del sistema per la velocità del centro di massa

CvMQ

Derivando questa relazione rispetto al tempo

C

N

i

ii aMamdt

Qd

1

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3. Forze interne e forze esterne al sistema Definizione

Dato un sistema di N punti materiali, chiamiamo forze interne quelle che si esplicano vicendevolmente fra i vari punti del sintema, forze esterne quelle esercitate sui punti del sistema da parte di elementi materiali che non fanno parte del sistema.

Per il terzo principio della dinamica, le forze interne che si esplicano vicendevolmente due punti sono uguali e contrarie, quindi la risultante (somma) delle forze interne agenti su un sistema è sempre nulla.

0(int) R

sistema

La somma delle forze interne agenti su un punto del sistema non è in generale nulla. Al contrario, la somma delle forze interne agenti su tutti i punti del sistema (risultante delle forze interne) è sempre nulla.

forza interna

forza esterna

Punto appartenete al sistema

Punto non appartenete al sistema

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4. Prima equazione cardinale della dinamica dei sistemi

mi

(int)

if

)(est

if

)(

1

(int)

111

estffam

)(

2

(int)

222

estffam

)((int) est

NNNN ffam

)((int)

1

estN

i

ii RRam

La somma dei primi membri di queste equazioni deve essere uguale alla somma dei secondi membri

Seconda equazione della dinamica scritta per ciascun punto del sistema

0(int)1

R

aMam C

N

i

ii

Dalle relazioni segue )(est

C RaM

(int)

if

Somma delle forze interne agenti sull’i-esimo punto

)(est

if

Somma delle forze esterne agenti sull’i-esimo punto

Teorema del moto del centro di massa Il centro di massa di un qualsiasi sistema materiale si muove come un punto materiale dotato della massa dell’intero sistema e soggetto alla risultante delle forze esterne applicate al sistema

)(est

C RaM

Fam

Prima equazione cardinale della dinamica dei sistemi

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5. Principio di conservazione della quantità di moto

)(estRdt

Qd

)(est

C RaM

CaMdt

Qd

Utilizzando al relazione la prima eq. cardinale si può scrive nella forma

Teorema della quantità di moto La derivata rispetto al tempo della quantità di moto di un sistema è uguale alla risultante delle forze esterne agenti sul sistema.

0)( estR

Se allora tcosvcost. C

Q

Principio di conservazione della quantità di moto Se la risultante delle forze esterne agenti su un sistema è nulla, allora la quantità di moto del sistema si conserva costante nel tempo.

* * *

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6. Momento di una forza

asse di rotazione

corpo rigido

FbMa

F

Definizione Dato un corpo rigido vincolato a ruotare attorno ad un asse fisso privo di attrito, e una forza agente sul corpo e appartenente a un piano perpendicolare a tale asse, si definisce momento della forza rispetto all’asse il prodotto del modulo della forza per il suo braccio. Il braccio è la minima distanza fra l’asse e retta di applicazione della forza.

222 TMLLMLTFLMa

Dimensioni ed unità di misura

22 smkgNm

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corpo rigido

F

corpo rigido

F

Il braccio della forza (ed il momento) aumenta all’aumentare della distanza fra punto di applicazione della forza e centro di rotazione

Il braccio della forza (ed il momento) aumenta quanto più la forza è perpendicolare alla retta fra il punto di applicazione della forza e il centro di rotazione

Il braccio della forza (e il momento) è nullo quando la retta di applicazione della forza passa per il centro di rotazione C

C

C

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7. Momento di inerzia

Definizione Data un asse a, si definisce momento di inerzia di un sistema rispetto all’asse a, e si indica con il simbolo Ia , la somma dei prodotti delle masse dei punti del sistema per i quadrati delle rispettive distanze dall’asse.

m2

m1

mi

mN

d1

d2

di

dN

2222

211 NNa dmdmdmI

Dmi ri

DDDD

M

NNm

a

dmr

rmrmrmIi

2

22

22

2

110

lim

Sistema continuo Sistema particellare

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)(est

C RaM

CvMQ

)(estRdt

Qd

)(est

aa MI

aa IL

)(est

aa M

dt

dL

8. Seconda equazione cardinale della dinamica dei sistemi

)()( est

a

est

C

a

MR

a

Im

Prima equazione cardinale della dinamica dei sistemi

Seconda equazione cardinale della dinamica dei sistemi

Teorema della quantità di moto

Momento assiale della quantità di moto Quantità di moto

Teorema del momento della quantità di moto

massa

Accelerazione del centro di massa

Risultante delle forze esterne

Momento di inerzia

Accelerazione angolare

Momento assiale delle forze esterne

Grandezze traslazionali Grandezze rotazionali

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9. Principio di conservazione del momento angolare

cost.00 aaest

a Ldt

dLM)(est

aa M

dt

dL

Principio di conservazione del momento assiale della quantità di moto Se il momento assiale delle forze esterne agenti su un sistema è nullo, allora il momento assiale della quantità di moto del sistema si conserva costante nel tempo.

Dalla seconda equazione cardinale della dinamica dei sistemi segue

cost.aI

Nel caso di un corpo rigido vincolato ad asse fisso La =Ia :

Un aumento di Ia genera una diminuzione di e viceversa.

* * *

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10. Equazioni cardinali della statica dei sistemi

)(

)(

est

aa

est

C

MI

RaM

0

0)(

)(

est

a

est

M

R

In condizioni statiche le accelerazioni che compaiono nelle equazioni cardinali della dinamica si annullano

Si ottengono 2 equazioni vettoriali che prendono il nome di equazioni cardinali della statica:

0

0Ca

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retta di applicazione della resistenza

11. Le leve

Leve Corpo rigido vincolato ad asse fisso (fulcro) sollecitato da due forze (dette forza F e resistenza R) che producono momenti assiali di segno opposto (rotazioni di verso opposto).

gmR

F

Rb

bFRbFbRbFbM

F

RRFRF

esta 00)(

Braccio della

resistenza, bR

Regola d’equilibrio

RFbb RF10

110 (per equilibrare la resistenza basta una forza 10 volte più piccola). Se

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E’possibile equilibrare/spostare un carico elevato con una forza minima

F

R

bR bF

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Leve vantaggiose

Braccio della forza è maggiore del braccio della resistenza Per equilibrare la resistenza è sufficiente una forza il cui modulo è minore di quello della resistenza

Leve svantaggiose

Braccio della forza è miniore del braccio della resistenza Per equilibrare la resistenza è necessaria una forza il cui modulo è maggiore di quello della resistenza

RFbb RF

RFbb RF

12. Leve vantaggiose e leve svantaggiose

RbFb RF

RbFb RF svantaggiose

R

F

vantaggiose

F

R

bR bF

bF bR

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Leve di primo tipo Fulcro in posizione intermedia fra forza e resistenza Le leve di primo genere possono essere vantaggiose o svantaggiose

13. Leve di primo, secondo e terzo tipo

1° tipo

F

R

Esempio di leva anatomica di primo tipo Estensione dell’articolazione atlanto-occipitale

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Leve di secondo tipo Resistenza in posizione intermedia fra forza e fulcro Le leve di secondo genere sono in generale vantaggiose

Esempio di leva anatomica di secondo tipo Estensione della caviglia nel sollevamento del peso del corpo

2° tipo

F

R

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3° tipo

F

R

Leve di terzo tipo Forza in posizione intermedia fra resistenza e fulcro Le leve di terzo genere sono in generale svantaggiose

Esempio di leva anatomica di terzo tipo Flessione dell’articolazione del gomito

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14. Leve di forza e leve di velocità

R

F

Le leve anatomiche sono in maggioranza svantaggiose. Ciò appare un controsenso. In realtà una leva svantaggiosa dal punto dinamico(delle forze) è vantaggiosa dal punti di vista cinematico (degli spostamenti e delle velocità) e viceversa.

DsF

DsR

RFRF

FRFR

LLsRsF

snsen

FRnbb

DD

DD

Il lavoro compiuto dalla forza e la resistenza è lo stesso. E’ necessaria una grande forza per spostare una piccola resistenza, ma lo spostamento della resistenza è grande rispetto a quello del punto di applicazione della forza.

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retta di applicazione della resistenza

15. Calcolo della forza agente sul fulcro (reazione vincolare)

gmR

F

)(00)( RFRFR est

Braccio della

resistenza, bR

Regola d’equilibrio

F

R

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retta di applicazione della resistenza

16. Dinamica delle leve

gmR

F

F

RRF

esta

b

IRbFIRbFbIM

)(

Braccio della resistenza, bR

diminuisceRbFb

costanteRbFb

aumentaRbFb

RF

RF

RF

0

0

0 =cost: movimento isocinetico

In particolare: =0: equilibrio statico

= accelerazione angolare = velocità angolare

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Capitolo 3:

MECCANICA DEI FLUIDI

3.1 - Stati di aggregazione della materia. Elasticità. I fluidi. 3.1 - Statica dei fluidi 3.2 - Dinamica dei fluidi

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3.1 Stati di aggregazione della materia.

Elasticità. I fluidi

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evap

ora

zio

ne

con

den

sazi

on

e (l

iqu

efaz

ion

e)

solid

ific

azio

ne

fusi

on

e

1. Stati di aggregazione della materia

Solido

Liquido

Gas

sub

limaz

ion

e

bri

nam

ento

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2. Fluidi

Stati di aggregazione: caratteristiche macroscopiche Isolidi hanno forma e volume propri. I liquidi hanno volume proprio ed assumono la forma del contenitore. I gas non hanno forma e volume propri ma assumono la forma ed il volume del contenitore che li contiene. Stati di aggregazione: caratteristiche microscopiche Solidi, liquidi e gas possono essere distinti anche in base alla diversa entità delle forze intermolecolari : Nei solidi le interazioni sono più intense e le particelle possono solo oscillare attorno a pozioni fisse nello spazio. Nei gas le molecole sono in moto individuale disordinato e sono in media a distanze tali che le mutue interazioni sono trascurabili, tranne che durante le collisioni con altre molecole del gas o con e pareti del recipiente. Nei liquidi si ha una situazione intermedia, le particelle possono muoversi all’interno del volume occupato, tuttavia le forze mantengono la coesione (prossimità) fra le particelle. Fluidi Si definisce fluido una sostanza che si deforma illimitatamente (fluisce) se sottoposta a uno sforzo di taglio, indipendentemente dall'entità di quest'ultimo; è un particolare stato della materia che comprende i liquidi e i gas (il plasma e, in taluni casi, i solidi plastici). Fluidi ideali Come per i sistemi materiali si introduce anche per i fluidi un modello ideale. Un fluido si dice ideale se é • Incomprimibile (densità e volume indipendenti dalla pressione), • Privo di viscosità (assenza di forze di taglio fra strati adiacenti di fluido in moto relativo).

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Due particelle di una solido inizialmente contigue possono essere allontanate tra loro applicando una forza esterna. Questa deformazione (aumento di distanza) cresce al crescere della forza applicata.

Se si rimuove la forza, causa della deformazione, le particelle tendono a tornare nelle posizioni iniziali : • Per piccole deformazioni, le particelle tornano esattamente nelle posizioni iniziali (comportamento elastico), • Per deformazioni importanti, permane una piccola deformazione residua (deformazione plastica)

I solidi sono caratterizzati da una relazione che lega la sollecitazione applicata alla deformazione prodotta: • Nel campo elastico (piccole deformazioni) questa relazione è lineare, • Nel campo delle deformazioni plastiche questa deformazione è non lineare.

Grandezza caratteristica: modulo di elasticità: E, o modulo di complessione di volume K, modulo di scorrimento G

3. Proprietà elastiche dei solidi

l

lE

S

Ftrazione D

V

VK

S

F edilatazion D

Fl

l+Dl

vol. = V

vol. = V+DV

S

S

GS

Ftagio

F

F

F

F

F

F

F

F

F

S

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4. Deformazioni nei fluidi: viscosità

Due particelle di fluido inizialmente contigue possono essere allontanate indefinitamente tra loro da una forza anche piccola e costante.

Rimossa la causa deformante, le particelle non tendono a riavvicinarsi.

I fluidi sono caratterizzati da una relazione che lega lo sforzo di taglio e la velocità di deformazione di scorrimento: • fluidi newtoniani: gli sforzi sono direttamente proporzionali alla velocità di deformazione; • fluidi non-newtoniani: lo sforzo non è direttamente proporzionale alla velocità di deformazione.

Grandezza caratteristica: coefficiente di viscosità: h

dy

dv

dt

d

S

Ftaglioh

h

Fluidi newtoniani

y

F

(t) v

vvv

lastravv

0v

lastra

fluido viscoso

(t+Dt)

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5. Tensione elastica

Comportamento elastico di una membrana • Se una membrana elastica viene tesa, essa sviluppa delle forze di reazione che sono tangenti alla superficie della

membrana ed applicate perpendicolarmente ai bordi della membrana che sono messi in tensione. • Se viene fatto un taglio nella membrana mentre essa è in tensione, le forze elastiche applicate ai bordi del taglio

tendono a dilatare il taglio stesso. • Per mantenere la membrana nella forma che aveva prima del taglio bisogna applicare un sistema di forze come

quelle che sono rappresentate in figura, e che evidentemente coincidono con quelle che agivano prima del taglio.

FT FT FT

FT

l

FTel t

l

Tensione elastica Si definisce tensione elastica t di una membrana la forza elastica per unità di lunghezza applicata al contorno della membrana:

La parte di membrana a sinistra del taglio è in equilibrio sotto l’azione delle forze rappresentate in azzurro

La parte di membrana a destra del taglio è in equilibrio sotto l’azione delle forze rappresentate in nero

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D

FT FT sin

(D

/ 2

FT

sin (D

/ 2

FT cos (D / 2 FT cos (D / 2

FT

(pint-pest)DS

DS = R D L

R

6. Formula di Laplace

22)( int

DtD llRpp est

l

LRppSpp estest DD )()( intint

222sin

Dt

D

DlFF TT

Rpp est

t )( int

All’equilibrio Risulta: Si ha dunque:

Membrana cilindrica di raggio R Formula di Laplace per il calcolo della tensione elastica di una membrana cilindrica (es. vaso arterioso) soggetta a una pressione interna pint e a una pressione esterna pest ( pint > pest )

Formula di Laplace

D/2

DD

2sin2)( int Test FSpp

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Membrana a forma di ellissoide di rotazione Formula di Laplace per il calcolo della tensione elastica di una membrana a forma di ellissoide di rotazione soggetta a una pressione interna pint e a una pressione esterna pest ( pint > pest )

t

21

int

11)(

RRpp est

Membrana sferica di raggio R Formula di Laplace per il calcolo della tensione elastica di una membrana sferica di raggio R soggetta a una pressione interna pint e a una pressione esterna pest ( pint > pest )

Rpp est

t )( int

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3.2 Statica dei fluidi

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Forza che le particelle che si trovano dalla parte 1 di DS esercitano sulle particelle che si trovano dalla parte 2 di DS attraverso DS Per fluidi in equilibrio o privi di viscosità Si definisce pressione media su un elemento di superficie DS Pressione in un punto P del fluido

1. Pressione

12F

D

NF

D

TF

D

DS

S

Fp N

SD

DD

S

Fp N

SS D

D

DD

)P(0

lim

La forze esplicate dalle particelle di fluido su una superficie DS del recipiente o all’interno del fluido sono forze a corto raggio e non sono applicate ad un punto ma distribuite su tutta la superficie. Per lo studio di queste forze è utile introdurre il concetto di pressione.

12n

1

2 b

)90(12 bDDD TN FFF

)0(0 bD TF

P

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atm. Torr kgpeso/cm2 bar mbar Pascal

1 atmosfera = 1 760 1.033 1.013 1.013·103 1.013·105 1 Torr = 1 / 760 10-3 1 1.32·10-3 1.333x10-3 1.333 1.333·102 1 kgpeso/cm2 = 0.968 736 1 0.981 0.981·103 0.981·103

1 bar = 0.987 750 1.019 1 103 105 1 mbar = 0.987·10-3 0.750 1.019·10-3 10-3 1 102 1 Pascal = 0.987·10-5 0.750·10-2 1.019·10-5 10-5 10-2 1

Unità del SI: il Pascal 1 Pascal 1 N/m2 L’ atmosfera 1 atmosfera = 1.013·105 Pa Il kgpeso/cm2 kgpeso/cm2 = 0.981·105 Pa Il torr (mmHg) 760 torr = 1 atm; 1 torr = 1/760 atm = 1.013x105 / 760 Pa = 1.333x102 Pa I multipli del Pascal 1 bar 105 Pa 1 atm = 1.013 bar kgpeso/cm2 = 0.981 bar 1 mbar 10-3 bar =102 Pa 1 torr = 1.333 mbar Tabella di conversione delle unità di pressione.

2. Unità di misura della pressione

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Tipo di vuoto Pressione (torr) Molecole per cm3

Vuoto ordinaro da 1 Da 1016

Vuoto medio da 10-3 Da 1013

Vuoto spinto da 10- 10-6 Da 1010

Vuoto ultraspinto da 10- 10-11 Da 105

Tipo di pompa Pressione iniziale (torr) Pressione finale (torr)

Rotative - 10 -3 - 10 -4

Diffusione a mercurio 4 10 -6

Diffusione ad olio 0.5 10 -7

Ioniche 10 -3 10 -10

Vacuometro Pressione (torr)

Tesla 10 - 10 -2

Pirani 1 - 10 -4

Mc Leod 10 - 10 -5

Ionizzazione 10 -3 - 10 -7

Intervalli di pressione convenzionali.

Produzione di vuoto: pompe da vuoto e campi di pressione di utilizzo.

Misura del vuoto: vacuometri e campi di utilizzo

3. Intervalli di pressione di importanza

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4. Legge di Stevino

Enunciato La differenza di pressione fra due punti in un fluido omogeneo, incomprimibile, pesante ed in equilibrio, è pari al peso di una colonna di fluido di sezione unitaria ed altezza pari alla differenza di quota (distanza verticale) fra i due punti

z

z0

Szp )(

Szp )( 0

Mg gzzSMgSzpSzp )()()( 00

Dimostrazione: Condizione di equilibrio di una pozione cilindrica di fluido di densità , massa M, volume V, base S e altezza h (proiezione della prima equazione cardinale della statica sull’asse z):

ghzpzzgzpzp

ghzzgzpzp

)()()()(

)()()(

000

00

0)()( 0 MgSzpSzp

)( 0zzSVM ghphp atm )(

Recipiente aperto (h = profondità rispetto alla superficie libera):

La pressione aumenta linearmente con la profondità

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5. Principio di Pascal

Enunciato Un aumento di pressione in un punto di un fluido incomprimibile, omogeneo, pesante e in equilibrio, si trasmette istantaneamente in tutti gli altri punti del fluido.

ghzzgzpzp )()()( 1212

• Se si produce dall’esterno un aumento di pressione Dp in uno dei due punti, ciò non provoca variazioni nelle grandezze (il fluido è incomprimibile), g e h.

• Non cambia quindi la differenza p(z1)-p(z2) • Lo stesso aumento si deve avere nella pressione del secondo

punto, dovendo la differenza rimanere costante.

Giustificazione Consideriamo 2 punti all’interno del fluido, la differenza di pressione è data dalla legge di Stevino:

P1

P2

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6. Pressa idraulica

F1

F2

222

2

22

1

111 PSF

S

FP

S

FPF DDD

21 PP DD

Per il principio di Pascal

2

2

1

1

S

F

S

F

S1 S2 d1

d2

Il volume di fluido (incomprimibile) resta costante:

2211 dSdS

Il lavoro compiuto dalle due forze è lo stesso

2211 dFdF

Lo spostamento dei pistoni è inversamente proporzionale alle relative forze:

1

2

2

1

d

d

S

S

Se S2 è 10 volte più grande di S1, la forza applicata in S1 produce su S2 una forza 10 volte più grande (ma uno spostamento 10 volte più piccolo).

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Enunciato Un corpo completamente o parzialmente immerso in fluido è soggetto ad una forza (spinta di Archimede) diretta verticalmente dal basso verso l’alto, in modulo pari al peso del fluido spostato, ed applicata nel centro di massa del fluido spostato (centro di spinta S).

7. Principio di Archimede

S S

gVgMF flspflspflA .....

fluido spostato

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8. Misura della densità

h H

archpeso FF

gShgSH flS .

gVgV flspflS ...

.. flflSH

h

H

H

archpeso FF

gSHgSH flS .

gVgV flspflS ...

.flS

RFF archpeso

RgSHgSH fl.S

RgVgV flspflS ...

.. flflSSHg

R

S

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9. Equilibrio del corpo umano in acqua

archF

P

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3.3 Dinamica dei fluidi e

Circolazione del sangue

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1. Moto stazionario

Moto Stazionario Il moto di un fluido si dice stazionario se il valore delle grandezze fisiche (pressione, densità e velocità del fluido) in un punto qualsiasi dello spazio interessato dal moto del fluido si mantiene costante nel tempo. Tutte le particelle di fluido (P1, P2, P3) che in istanti successivi transitano per la posizione A, hanno la stessa velocità vA. Tutte le particelle di fluido che in istanti successivi transitano per la posizione B, hanno la stessa velocità vB, che può essere differente da vA.

P1

P1

P2

P3

P3

P2

Av

Av

Bv

Bv

A

A

B

B

t

t+Dt

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2. Linee di flusso

Linea di corrente di una particella Traiettoria descritta dalla particella.

Linea di flusso all’istante t

Linee tangenti in ogni loro punto alla velocità delle particelle del fluido che all’istante t si trovano in quel punto.

Proprietà In condizioni di moto stazionario, le linee di flusso • non cambiano nel tempo • coincidono con le linee di corrente

t P1

P2 P3

P4

t t

t

linea di flusso

all’istante t

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Tubo di flusso Insieme di linee di flusso che passano per i punti di una linea chiusa.

3. Tubo di flusso

Proprietà In condizioni di moto stazionario • ogni tubo di flusso è fermo; • nessuna particella può attraversare la superficie del tubo di flusso.

E’ come se il tubo di flusso fosse materializzato da una superficie solida (tubo solido).

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4. Equazione di continuità

S1

S2

v1dt v2dt

Nel moto stazionario di un fluido omogeneo e incomprimibile all’interno di un tubo di flusso, la massa di fluido fra due sezioni S1 e S2 del tubo resta costante nel tempo. La massa di fluido che attraversa le sezioni S1 e S2 nel tempo dt deve essere la stessa:

dtvSdtvSdmdm 221121 2211 vSvS

Portata

Il prodotto Sv prende il nome di portata e rappresenta il volume di fluido che attraversa una sezione del tubo nell’unità di tempo. Nel moto stazionario di un fluido omogeneo e incomprimibile all’interno di un tubo di flusso, la portata è la stessa in tutte le sezioni del tubo.

(Equazione di continuità)

v1dt v2dt

Se la sezione del tubo diminuisce, allora la velocità del fluido aumenta.

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5. Velocità del sangue

I capillari sono i vasi sanguigni di sezione minore, posti tra l'estremo terminale di un'arteria e quello distale di una vena. A livello dei capillari avviene lo scambio di acqua, ossigeno, anidride carbonica, e molti altri nutrienti chimici e sostanze di scarto tra sangue e tessuti limitrofi. Il capillare è capace di nutrire tessuto per un raggio di 1mm. Quindi, il numero di capillari in un tessuto dipende dalla massa del tessuto stesso. È questo particolare che impedisce o permette lo sviluppo di un tumore. Se il tumore ha capacità angiogeniche (di sviluppare nuovi vasi sanguigni a partire da altri già esistenti) avrà quindi possibilità di aumentare di volume.

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6. Flusso di un vettore attraverso un elemento di superficie dS

cosˆ vdSSdvdSnvd

Definizione Dato un vettore v ed un elemento di superficie dS si definisce flusso di v attraverso dS la quantità scalare

Se v rappresenta la velocità del fluido, d rappresenta il volume di fluido che attraversa la superficie dS nell’unità di tempo.

dS

n

v

vdt

dSn

Significato Se v rappresenta la velocità del fluido, il volume dV di fluido che nel tempo dt attraversa la superficie dS è dato dal volume del cilindro obliquo di base dS ed altezza vdt.

dtdSnvvdtdSvdtdSdV nˆcos

n

v

dSn

dS

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Definizione Dato un vettore v e una superficie S, si suddividiamo S in (infiniti) elementi di superficie (infinitesima) dS, in modo che v sia costante in ogni punto di ciascun elemento di superficie dS. Si definisce flusso di v attraverso S la somma (integrale) dei flussi di v attraverso tutti questi elementi di superficie. Se v ha lo stesso valore in tutti i punti di S, ed S è una superficie piana

Significato flusso di v attraverso S rappresenta il volume di fluido che attraversa la superficie S nell’unità di tempo.

Equazione di continuità Data una superficie chiusa S, che racchiude un volume V, Il principio di conservazione della massa M del fluido si può esprimere mediante l’equazione:

7. Flusso di un vettore attraverso una superficie S

SSS

vdSSdvdSnv cosˆ

SV

dSnvdVdt

d

dt

dMˆ

SvSnvdSnvdSnvSS

ˆˆˆ

v

ndS

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8. Teorema di Bernoulli

S2

v1 dt

v2 dt

S1

h1

h2

dmdtvSdmdtvSdm 222111

21 hhgdmdLpeso

21222111 ppdm

dtvSpdtvSpdLpressione

2

1

2

22

1vvdmdEC

Cpressionepeso dEdLdL

Ipotesi: Fluido ideale e pesante, in moto stazionario in un sottile tubo di flusso. Applichiamo il teorema del lavoro alla massa di fluido che all’istante t è compresa fra e sezioni S1 e S2

Dopo un tempo dt la stessa massa di fluido sarà compresa fra e sezioni S’1 e S’2

2

222

2

1112

1

2

1vghpvghp

p1 S1

p2 S2

dm

dm

Teorema del lavoro:

S’1

S’2

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S2 v1 v2

2

222

2

1112

1

2

1vghpvghp

2211 vSvS

S1

9. Tubo di Venturi

ghpp Hg )(21

h

equazione di continuità

teorema di Bernoulli

legge di Stevino

21

22

1

1

)(2

SS

ghv

Hg

Misura della velocità di un fluido ideale in moto stazionario in un condotto (tubo di flusso).

ghpp Hg *2ghpp *1

*p*p

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10. Effetto Venturi

S1 S2

v1 v2

2

222

2

1112

1

2

1vghpvghp

2211 vSvS equazione di continuità

teorema di Bernoulli

21 vv

21 pp

In corrispondenza della strozzature la velocità aumenta, ma la pressione diminuisce (effetto Venturi).

p1 = pest

pest

p2 < pest

pest

arteria placca

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S1 S2

v1 v2

pest

Ciò provoca un ulteriore aumento di v2 e un ulteriore diminuzione di p2 (effetto Venturi) e dunque un ulteriore restringimento di S2, innescando un circolo vizioso. Questo si arresta quando la forza di reazione elastica Fel della parete dell’arteria (proporzionale alla sua deformazione) equilibra la forza dovuta alla differenza di pressione.

A livello della strozzatura, la pressione esterna non è più equilibrata dalla pressione interna e la sezione S2 tende a restringersi ancora, deformando la parete dell’arteria.

pest

Fel.

placca arteria

11. Stenosi di un arteria

p1 = pest p2 < pest

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S1 S2 = 0 v1

v2 = 0

pest

p2 > pest

pest Fel.

placca

2

222

2

1112

1

2

1vghpvghp

Se l’arteria si chiude completamente, v2 si annulla, ma allora, per il teorema di Bernoulli, p2 diventa maggiore di p1 e l’arteria si riapre.

12 pp

Appena riaperta, tuttavia, l’arteria tende a richiudersi, per effetto Venturi (spasmi dell’arteria).

p1 = pest

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placca

Tipicamente l’interruzione del flusso (infarto) ha luogo quando un frammento di placca si distacca dalla parete dell’arteria, entra in circolo, e va ad occludere una stenosi (restringimento) pre-esistente.

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S1 S2

v1 v2

p1 = pest

pest

Fel.

arteria p2 > pest

12. Aneurisma

pest

A livello dell’allargamento, la pressione interna non è più equilibrata dalla pressione esterna e la sezione S2 tende a dilatarsi ancora, deformando la parete dell’arteria.

In corrispondenza dell’allargamento la velocità diminuisce, ma la pressione aumenta (effetto Venturi).

Ciò provoca un ulteriore diminuzione di v2 e un ulteriore aumento di p2 (effetto Venturi) e dunque un ulteriore allargamento di S2, innescando un circolo vizioso. Questo si arresta quando la forza della reazione elastica Fel della parete dell’arteria (proporzionale alla sua deformazione) equilibra la forza dovuta alla differenza di pressione. Tuttavia la parete dell’arteria, sotto sforzo, perde elasticità nel tempo ed il processo diventa inarrestabile, fino alla rottura della parete dell’arteria.

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13. Portanza

p1= pimp

p2 La pressione al di sopra dell’ala è minore di quella imperturbata a monte dell’ala (il tubo di flusso si restringe). La pressione al di sotto dell’ala coincide circa con quella imperturbata a monte dell’ala (il tubo di flusso mantiene sezione circa uguale).

2121 pppSS impert

S2 S1

p1

Questa differenza di pressione fra la parte inferiore e la parte superire dell’ala genera una forza diretta verso l’alto nota col nome di portanza.

p1

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14. Effetto Magnus

Se il corpo ha un moto di traslazione rettilinea è come se venisse investito da una corrente di fluido che si muove in direzione opposta a quella del corpo. Le linee di corrente saranno ugualmente spaziate tra loro intorno al corpo.

Un corpo in rotazione in un fluido trascina con sé lo strato di fluido immediatamente a contatto con esso, e quest'ultimo, a sua volta, trascina con sé lo strato contiguo. Le velocità degli strati di fluido in rotazione amplificano il moto della corrente dovuto alla traslazione in verso concorde a quest'ultima e diminuiscono la velocità nella zona in cui i versi sono invece discordi.

Alla variazione di velocità corrisponde una variazione opposta di pressione. Essendo presente una differenza di pres-sione tra i due lati opposti del corpo, la traiettoria del corpo verrà curvata in direzione concorde al verso di rotazione.

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15. Moto laminare di fluidi viscosi

2

222

2

1112

1

2

1vghpvghp

dV

dLvghpvghp diss 2

222

2

1112

1

2

1

)(8

)( 22 rRl

Prv

h

D

Pl

RQ D

h

8

4

4

8

R

l

Q

PR

h

D

Fluidi ideali in moto stazionario Fluidi viscosi in moto stazionario (laminare)

R r

Il moto del fluido si mantiene anche senza una differenza di pressione fra 2 qualsiasi sezioni del condotto.

Per mantenere il fluido in moto è necessario applicare agli estremi del condotto una differenza di pressione, che serve per vincere il lavoro delle forze di attrito.

cost.)( rv

2RvvSQ

0D

Q

PR

dissdiss e

dV

dLp D0Dp

portata

resistenza la flusso

Profilo delle velocità

Cprespeso dEdLdL Cdissprespeso dEdLdLdL

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Sezione del condotto cilindrico ortogonale

al suo asse Sezione condotto cilindrico contenente il suo asse

Visualizzazione del moto laminare in un condotto cilindrico

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16. Moto turbolento

Se la velocità del fluido nel condotto viene progressivamente incrementata , aumentando la differenza di pressione agli estremi del condotto, si ha il passaggio dal regime di moto laminare al regime di moto turbolento

Moto laminare silenzioso

Moto turbolento rumoroso

PQ D

PQ D

Caratteristiche del moto turbolento • Aumento della resistenza del condotto e della dissipazione di

energia per attrito. • Un volumetto di fluido catturato in un vortice, pur avendo

una velocità propria notevole, avanza nel condotto assieme al vortice, che si muove in modo relativamente lento.

critvd

v

h

)2/(max

Cvv max

Numero di Reynolds • Vale circa 1200 per condotti rettilinei • In corrispondenza di strozzature o gomiti

diminuisce (in corrispondenza di irregolarità il moto diventa più facilmente turbolento).

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17. Il circuito idrodinamico del sangue

VS AS VD AD

100 mmHg 4 mmHg 25 mmHg 8 mmHg

valvola mitrale (bicuspide)

valvola semilunare polmonare

valvola tricuspide

valvola semilunare aortica

L'apparato circolatorio è suddiviso in grande circolazione e piccola circolazione. La grande circolazione ha inizio nel ventricolo sinistro con l'aorta, l'arteria più grande; i suoi rami si risolvono in capillari dove il sangue cede l'ossigeno e si carica di anidride carbonica, trasformandosi così da sangue arterioso a sangue venoso; dai capillari si formano le vene, le quali raggiungono la vena cava superiore, la vena cava inferiore e il seno coronarico, che sboccano nell'atrio destro. Da qui il sangue venoso passa al ventricolo destro, da cui parte la piccola circolazione, con l'arteria polmonare, che porta il sangue ricco di anidride carbonica ai polmoni; da qui l'arteria polmonare si risolve in capillari, nei quali il sangue venoso perde anidride carbonica e si carica di ossigeno, diventando così sangue arterioso, il quale torna poi al cuore tramite le quattro vene polmonari, che sboccano nell'atrio sinistro.

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18. Il ciclo cardiaco

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GIF-animation showing a moving echocardiogram; a 3D-loop of a heart viewed from the apex, with the apical part of the ventricles removed and the mitral valve clearly visible. Due to missing data the leaflet of the tricuspid and aortic valve is not clearly visible, but the openings are. To the left are two standard two-dimensional views taken from the 3D dataset.

MV: Mitral valve, TV: Tricuspid valve, AV: Aortic valve, Septum: Interventricular septum. Continuous lines demarcate septum and free wall seen in echocardiogram, dotted line is a suggestion of where the free wall of the right ventricle should be. The red line represents where the upper left loop in the echocardiogram transects the 3D-loop, the blue line represents the lower loop.

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1. Contrazione ventricolare isovolumica I faci muscolari del ventricolo si contraggono isometricamente aumentando la pressione intraventricolare e comprimendo il sangue al suo interno. La valvola mitrale si chiude all’inizio di questa fase non appena la pressione ventricolare supera quella atriale. la chiusura della valvola mitrale e si identifica con la parte iniziale del primo dei toni cardiaci. L’onda QRS nel tracciato ECG identifica l’inizio contrazione ventricolare. La camera ventricolare è chiusa, poiché sia la mitrale che l'aorta sono chiuse. La pressione ventricolare aumenta rapidamente raggiungendo al termine della fase circa 80 mmHg. La pressione aortica si mantiene costante sui suoi valori minimi (80 mmHg). Vi è un leggero aumento della pressione atriale che raggiunge un massimo relativo (10-15 mmHg). Il volume ventricolare (130-140 ml) e il volume di sangue nel ventricolo (70 cm3) non cambiano poiché le valvole sono chiuse e il sangue è praticamente incomprimibile. 2. Eiezione ventricolare Nel corso della contrazione ventricolare, quando la pressione ventricolare supera quella aortica, la valvola aortica si apre e il sangue viene pompato sull’aorta. In questa fase la valvola mitrale è chiusa, quella aortica aperta. • Nella prima fase (fase di eiezione veloce) la pressione ventricolare continua ad aumentare fino al suo valore massimo (120-130 mmHg), la pressione aortica aumenta con la pressione ventricolare mantenendosi leggermente inferiore a quella, la pressione atriale diminuisce fino al suo valore minimo per poi ricominciare lentamente a salire. il volume ventricolare diminuisce rapidamente (fino a 80 mL) e il volume di sangue nel ventricolo diminuisce ancora più rapidamente (fino a cira 10 cm3). • Nella successiva fase (fase di eiezione lenta) inizia quando la pressione ventricolare e quella aortica cominciano a diminuire. Durante questa fase la pressione aortica si mantiene sempre leggermente inferiore alla pressione ventricolare e queste pressioni continuano a diminuire fino a raggiungere un valore comune di circa 100 mmHg alla fine della fase di eiezione. La pressione atriale continua ad aumentare molto lentamente. ll volume ventricolare e il volume di sangue nel ventricolo diminuiscono molto più lentamente rispetto alla fase di eiezione rapida, ed alla fine della fase di eiezione lenta il volume ventricolare vale circa 50 mL, mentre il volume di sangue residuo nel ventricolo è trascurabile (in realtà proprio alla fine della fase si nota un piccolo reflusso di sangue nel ventricolo (5-10 cm3) quando la pressione ventricolare raggiunge quella atriale. 3. Rilassamento ventricolare isovolumico Termina la contrazione ventricolare, la pressione ventricolare scende al disotto di quella aortica e la valvola aortica si chiude. La chiusura della valvola aortica si identifica con la parte iniziale del secondo dei toni cardiaci. In questa fase la pressione ventricolare diminuiscono rapidamente fino quasi ad azzerarsi, la pressione atriale e aortica aumentano leggermente (di circa 10 mmHg) fino a raggiungere un massimo relativo . In questa fase le valvole sono chiuse, il volume del ventricolo (50 mL) e il volume di sangue nel ventricolo (5-10 cm3) non cambiano. L’onda T nel tracciato ECG identifica l’inizio del rilassamento ventricolare

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4. Fase tardiva della diastole Quando la pressione del ventricolo scende al disotto della pressione atriale, la valvola mitralica si apre ed il ventricolo torna a riempirsi di sangue. In questa fase la pressione ventricolare e la pressione atriale si mantengono pressoché costanti (la pressione atriale è leggermente superiore a quella ventricolare per permettere il passaggio del sangue dal atrio al ventricolo in modo passivo). La pressione aortica diminuisce progressivamente. • Nella fase di riempimento rapido il volume ventricolare e il volume di sangue nel ventricolo aumentano rapidamente • Nella fase di riempimento lento o diastasi la velocità di aumento del volume del ventricolare e del volume di sangue nel ventricolo tende

progressivamente a diminuire fino ad annullarsi. La piccola variazione del volume ventricolare in questa fase, si associa a vibrazioni a bassa frequenza definite galoppo ventricolare o terzo tono.

5. Sistole atriale La contrazione atriale (sistole atriale) spinge nel ventricolo un ultimo getto di sangue. Durante la sistole atriale la pressione dell’atrio sale da 10 a 20 mmHg per poi riscendere a 10 mmHg, valore corrispondente alla pressione ventricolare che si mantiene relativamente costante. La pressione aortica diminuisce leggermente fino a raggiungere il suo minimo assoluto (80 mmHg) alla fine della fase. Il volume ventricolare (130 mL) e il volume di sangue nel ventricolo (70 cm3) raggiungono il loro valore massimo. A questo punto siamo già nella fase presistolica, all'inizio di un nuovo ciclo cardiaco.

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1. Contrazione ventricolare isovolumica I faci muscolari del ventricolo si contraggono isometricamente aumentando la pressione intraventricolare e comprimendo il sangue al suo interno e La valvola mitrale si chiude all’inizio di questa fase non appena la pressione ventricolare supera quella atriale. La chiusura della valvola mitrale e si identifica con la parte iniziale del primo dei toni cardiaci. L’onda QRS nel tracciato ECG identifica l’inizio contrazione ventricolare. La camera ventricolare è chiusa, poiché sia la mitrale che l'aorta sono chiuse. La pressione ventricolare aumenta rapidamente raggiungendo al termine della fase circa 80 mmHg. La pressione aortica si mantiene costante sui suoi valori minimi (80 mmHg). Vi è un leggero aumento della pressione atriale che raggiunge un massimo relativo (10-15 mmHg). Il volume ventricolare (130-140 ml) e il volume di sangue nel ventricolo (70 cm3) non cambiano poiché le valvole sono chiuse e il sangue è praticamente incomprimibile.

Contrazione ventricolare isovolumica

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2. Eiezione ventricolare Nel corso della contrazione ventricolare, quando la pressione ventricolare supera quella aortica, la valvola aortica si apre e il sangue viene pompato sull’aorta. In questa fase la valvola mitrale è chiusa, quella aortica aperta. • Nella prima fase (fase di eiezione veloce) la pressione ventricolare continua ad aumentare fino al suo valore massimo (120-130 mmHg), la pressione aortica aumenta con la pressione ventricolare mantenendosi leggermente inferiore a quella, la pressione atriale diminuisce fino al suo valore minimo per poi ricominciare lentamente a salire. il volume ventricolare diminuisce rapidamente (fino a 80 mL) e il volume di sangue nel ventricolo diminuisce ancora più rapidamente (fino a cira 10 cm3). • Nella successiva fase (fase di eiezione lenta)inizia quando la pressione ventricolare e quella aortica cominciano a diminuire. Durante questa fase la pressione aortica si mantiene sempre leggermente inferiore alla pressione ventricolare e queste pressioni continuano a diminuire fino a raggiungere un valore comune di circa 100 mmHg alla fine della fase di eiezione. La pressione atriale continua ad aumentare molto lentamente. •ll volume ventricolare e il volume di sangue nel ventricolo diminuiscono molto più lentamente rispetto alla fase di eiezione rapida, ed alla fine della fase di eiezione lenta il volume ventricolare vale circa 50 mL, mentre il volume di sangue residuo nel ventricolo è trascurabile (in realtà proprio alla fine della fase si nota un piccolo reflusso di sangue nel ventricolo (5-10 cm3) quando la pressione ventricolare raggiunge quella atriale.

Eiezione

ventricolare

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3. Rilassamento ventricolare isovolumico Termina la contrazione ventricolare, la pressione ventricolare scende al disotto di quella aortica e la valvola aortica si chiude. La chiusura della valvola aortica si identifica con la parte iniziale del secondo dei toni cardiaci. In questa fase la pressione ventricolare diminuiscono rapidamente fino quasi ad azzerarsi, la pressione atriale e aortica aumentano leggermente (di circa 10 mmHg) fino a raggiungere un massimo relativo . In questa fase le valvole sono chiuse, il volume del ventricolo (50 mL) e il volume di sangue nel ventricolo (5-10 cm3) non cambiano. L’onda T nel tracciato ECG identifica l’inizio del rilassamento ventricolare

Rilassamento ventricolare

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4. Fase tardiva della diastole Quando la pressione del ventricolo scende al disotto della pressione atriale, la valvola mitralica si apre ed il ventricolo torna a riempirsi di sangue. In questa fase la pressione ventricolare e la pressione atriale si mantengono pressoché costanti (la pressione atriale è leggermente superiore a quella ventricolare per permettere il passaggio del sangue dal atrio al ventricolo in modo passivo). La pressione aortica diminuisce progressivamente. • Nella fase di riempimento rapido il volume ventricolare e il volume di sangue nel ventricolo aumentano rapidamente • Nella fase di riempimento lento o diastasi la velocità di aumento del volume del ventricolare e del volume di sangue nel ventricolo tende

progressivamente a diminuire fino ad annullarsi. La piccola variazione del volume ventricolare in questa fase, si associa a vibrazioni a bassa frequenza definite galoppo ventricolare o terzo tono.

Diastasi Riempimento

Rapido

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5. Sistole atriale La contrazione atriale (sistole atriale) spinge nel ventricolo un ultimo getto di sangue. Durante la sistole atriale la pressione dell’atrio sale da 10 a 20 mmHg per poi riscendere a 10 mmHg, valore corrispondente alla pressione ventricolare che si mantiene relativamente costante. La pressione aortica diminuisce leggermente fino a raggiungere il suo minimo assoluto (80 mmHg) alla fine della fase. Il volume ventricolare (130 mL) e il volume di sangue nel ventricolo (70 cm3) raggiungono il loro valore massimo. A questo punto siamo già nella fase presistolica, all'inizio di un nuovo ciclo cardiaco.

Sistole atriale

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chiusura v. mitralica

chiusura v. aortica

chiusura v. mitralica

chiusura v. aortica

onda QRS inizio contrazione ventricolare

onda T inizio rilassamento ventricolare

Volume di sangue nel ventricolo

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Aorta Se i vasi fossero rigidi la pressione del sangue nelle arterie cadrebbe rapidamente a zero durante la fase del ciclo cardiaco in cui la valvola aortica rimane chiusa (linea continua). A causa della distensibilità delle arterie, durante la sistole la parete dell’aorta si dilata. Quando la valvola aortica si chiude, inizia la fase diastoica in cui la pressione nell’aorta diminuisce gradualmente, senza annullarsi, a causa dell’effetto di compressione da parte della parete elastica dell’arteria, che tende a ritornare nelle condizioni di partenza La distensibilità delle arterie permette di immagazzinare, durante la sistole, parte dell’energia cinetica del sangue sotto forma di energia potenziale elastica, accumulata nelle pareti, che si riconverte in energia cinetica del sangue durante la fase di diastole.

19. Effetto della distensibilità dei vasi

Si ottiene così un andamento della pressione che varia da un valore massimo, o sistolico, ad un valore minimo, o diastolico.

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Arterie La dilatazione delle pareti delle arterie inizia nell’aorta, all’uscita del sangue dal cuore, e si propaga via via lungo le arterie: la pressione sistolica produce una deformazione elastica che si propaga lungo le pareti delle arterie (onda sfigmica) con una velocità u che dipende dalle caratteristiche elastiche delle pareti ed è superiore alla velocità media del sangue v. Questa deformazione elastica delle pareti aiuta il moto del sangue e mantiene una portata relativamente costante malgrado l’intermittenza della pompa cardiaca. L’aumento della rigidità delle pareti arteriorse (arteriosclerosi) provoca un aumento della velocità dell’onda sfigmica, e dunque spinte brevi nel tempo sulla massa locale di sangue che avanza con velocità molto minore e non riesce a seguire l’impulso elastico. In questo caso, la pulsatitilità della parete fornisce un minor aiuto all’avanzamento del sangue che deve essere compensato da un aumento di pressione generato da un maggior lavoro della pompa cardiaca (ipertensione).

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Valori della pressione media venosa e arteriosa in un soggetto in posizione eretta

In posizione eretta, la pressione media del sangue nei vari distretti viene notevolmente alterata dall’effetto della pressione idrostatica. La pressione nei vasi inferiori viene incrementata in maniera importante. Effetto della pressione idrostatica sui vasi arteriosi Le pareti di vasi sono costituite da tessuto elastico e tessuto muscolare in grado di sostenere pressioni fino a 200 mmHg → Nei vasi arteriosi l’effetto ha scarse conseguenze. Il sangue a causa della forza peso tende a portarsi al livello più basso compatibilmente con la capienza e la dilatabilità dei vasi. → Il cuore deve quindi deve esercitare una pressione supplementare per fare equilibrio al peso del sangue sovrastante, e un maggior lavoro per far salire il sangue fino al cervello → Se la pressione idrostatica della colonna di sangue sovrastante supera la pressione esercitata dal cuore, il sangue non arriva più al cervello. 760 mmHg → colonna di 10 m di acqua 100 mmHg → pressione di una colonna di acqua (o sangue) di 1,3 m Una pressione sistolica di 100 mmHg può fare equilibrio a un dislivello di oltre un metro (la distanza cuore cervello non supera mezzo metro) In condizioni di accelerazioni intense la circolazione cerebrale si può arrestare

20. Effetto della pressione idrostatica

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Effetto della pressione idrostatica sui vasi venosi Le pareti dei vasi venosi sono sottili e contengono poco tessuto elastico. → La pressione idrostatica nei vasi degli arti inferiori tende a far dilatare le vene. Questo inconveniente in parte ovviato da • la presenza nelle vene delle valvole a nido di rondine: hanno la

funzione di spezzare la colonna di sangue e di diminuire la pressione sulla parete venosa

• la contrazione dei muscoli, intorno alla vena, aiuta il ritorno del sangue al cuore, impedendo la stasi del sangue nelle vene

Un cattivo funzionamento delle valvole venose e dei muscoli degli arti inferiori ha come conseguenza l’indebolimento e la deformazione della parete venosa (vene varicose) Quando un individuo passa bruscamente dalla posizione supina a quella eretta, si può verificare un rallentamento della circolazione nelle regioni cerebrali, dovuta a una temporanea stasi del sangue nei territori venosi degli arti inferiori, dove la pressione idrostatica aumenta bruscamente

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21. Misura della pressione del sangue Lo sfigmomanometro

Lo sfigmomanometro consiste in una fascia di materiale non dilatabile che nella parte interna forma una camera di gomma in cui si pompa aria e che è connessa a un manometro. L’aria viene immessa mediante un palloncino munito di una valvola.

Misura della pressione del sangue

1. La fascia viene applicata al braccio, l’aria viene pompata in modo da comprimere l’arteria sottostante, fino ad applicare su questa una pressione p1 maggiore di quella sistolica (pressione massima), bloccando così il trasporto del sangue. L’arresto delle pulsazioni può essere rilevato con uno stetoscopio applicato sull’articolazione interna dell’avaraccio dove l’arteria scorre superficialmente.

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Pressione in una grossa arteria

Pressione nella fascia elastica

2. A partire dal valore p1 (arteria completamente chiusa), si apre la valvola in modo che l’aria esca lentamente e la pressione della fascia elastica diminuisca gradualmente. In questo modo si determinano:

Pressione sistolica (ps) o pressione massima:

pressione a cui si avverte la ripresa delle pulsazioni, determinata auscultando con lo stetoscopio la transizione (p1 → ps → p2) da silenzio (arteria completamente chiusa) a rumore turbolento pulsato (successiva apertura e chiusura dell’arteria) e leggendo nel manometro la pressione corrispondente.

Pressione diastolica (pd) o pressione minima:

pressione a cui scompare il rumore pulsato, determinata auscultando con lo stetoscopio la transizione (p3 → pd → p4) da rumore turbolento pulsato (successiva apertura e chiusura dell’arteria) a silenzio in regime laminare (arteria completamente aperta) e leggendo nel manometro la pressione corrispondente.

Dal momento che il braccio è allo stesso livello del cuore, le misure di pressione del sangue al braccio fornisce valori prossimi a quelli vicino al cuore (nelle grandi arterie la dissipazione di energia per attrito e la corrispondente diminuzione di pressione è modesta anche per percorsi di alcune decine di cm).

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Capitolo 4:

ONDE IN MEZZI ELASTICI

4.1 - Onde meccaniche in mezzi elastici 4.2 - Il suono e l’orecchio umano 4.3 - Gli ultrasuoni in medicina

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4.1 Onde meccaniche in mezzi elastici

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1. Onde elastiche

Onde elastiche • Se in una regione limitata di un mezzo materiale viene prodotta una piccola deformazione, si generano forze di

richiamo di tipo elastico (proporzionali alla deformazione) che tendono a riportare le particelle del mezzo nella posizione di equilibrio.

• Le particelle del mezzo, essendo sottoposte a forze di richiamo di tipo elastico, si muovono di moto armonico attorno alla posizione di equilibrio.

• A causa dell’interazione a corto raggio esistente fra tra le particelle del mezzo, questa perturbazione vibratoria si propaga nel mezzo con una velocità che dipende dalla natura del mezzo, dalla direzione di propagazione (se il mezzo non è isotropo), e dal carattere trasversale o longitudinale della vibrazione.

Esempio

Il lancio di un sasso in uno specchio d’acqua inizialmente in quiete produce una perturbazione ondosa che si manifesta con l’apparire di una serie di anelli concentrici di liquido perturbato che si allontanano dal punto dove è caduto il sasso. L’arrivo dell’onda produce nelle particelle di liquido via via interessate dal fenomeno un moto oscillatorio su orbita chiusa; passata l’onda le particelle tornano in quiete nella stessa posizione di equilibrio che occupavano prima dell’arrivo dell’onda.

Propagazione di energia

Ciò che si propaga non è materia, ma solo il movimento di particelle attorno alle loro posizioni di equilibrio, a cui è associato un trasferimento di energia (cinetica e potenziale).

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2. Onde longitudinali e onde trasversali

Onda longitudinali Le particelle del mezzo si spostano parallelamente alla direzione di propagazione dell’onda (onda di densità in un gas in un recipiente chiuso da un pistone che si muove di moto armonico)

Onde trasversale Le particelle del mezzo si spostano perpendicolarmente alla direzione di propagazione dell’onda

direzione di propagazione

dell’onda

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3. Forma matemetica delle onde elastiche

)()0,( xftxy )(),( vtxftxy

vt

vt

x2-vt x

t

Una perturbazione che si propaga con velocità v e forma invariata nel verso positivo dell’asse delle x è rappresentata da una funzione in cui x e t compaiono nella combinazione x-vt Una perturbazione che si propaga con velocità v e forma invariata nel verso negativo dell’asse delle x è rappresentata da una funzione in cui x e t compaiono nella combinazione x+vt

)(),( vtxftxy

)(),( vtxftxy

0t

x2 x1

x1-vt

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4. Onde sinusoidali: lunghezza d’onda

)(

2sin),( vtxAtxy

),()(2

sin2)(2

sin)(2

sin),( txyvtxAnvtxAvtnxAtnxy

lunghezza d’onda: minima distanza fra due punti del mezzo che vibrano in fase

Onda sinusoidale

),(),( txdx

dytnx

dx

dy

x

y

Lunghezza d’onda

x

y

A

-A

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),(2

sin22

sin2

sin),( txytv

x

TAnt

v

x

TAnTt

v

x

TAnTtxy

t

v

x

TAt

v

xvAtxy

2sin

2sin),(

vT

Periodo: tempo necessario ad un punto P del mezzo per compiere un’oscillazione completa

5. Onde sinusoidali: periodo e frequenza

t

v

xfAtxy 2sin),(

Tf

1 Frequenza: numero di oscillazioni che un

punto del mezzo compie al secondo

Periodo

Frequenza

),(),( txdt

dynTtx

dt

dy

t nTt

P P

y

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Fase iniziale In tutte le rappresentazioni utilizzate per un’onda sinusoidale risulta y(x=0,t=0)=0, cioè il mezzo è in quiete all’istante iniziale nel punto in cui l’ascissa x è nulla. Per eliminare questa limitazione si introduce la fase iniziale j, in modo che y(0,0)=Asin j:

6. Onde sinusoidali: pulsazione e numero d’onda

j tkxAtxy sin),(

)sin(2sin2sin),( tkxAT

txA

vtxAtxy

2k

T

2

(numero d’onda)

(pulsazione)

Numero d’onda e pulsazione

)cos(sin),( 0j tAtxkAtxy

j

xk2

0

x

Moto delle particelle del mezzo Da questa rappresentazione risulta evidente come ogni particella del mezzo si muove di moto armonico

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7. Velocità di propagazione

La velocità di propagazione può dipendere • dalle caratteristiche del mezzo, ed in particolare dalla sua densità e dalla natura delle forze di interazione delle

particelle. • Dalla forma della perturbazione, ad esempio dalla frequenza (fenomeno della dispersione) Onde trasversali in un corda tesa Onde longitudinali in una sbarra di materiale omogeneo Onde longitudinali in un gas Onde di superficie in un liquido

tv

Ev

pKv

2v

g

t= forza tensione della corda = densità del mezzo

E = modulo di Young = densità del mezzo

p = pressione = densità del mezzo = cP/cV

g = accelerazione di gravità = lunghezza d’onda

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8. Superfici d’onda e raggi di propagazione

L’equazione di propagazione è stata ricavata per un’onda che si propaga in una sola dimensione, come per esempio per le vibrazioni trasversali di una corda. Più comunemente le onde si propagano nello spazio, cioè in tre dimensioni. In questo caso è utile introdurre il concetto di superficie d’onda e di raggio di propagazione: Superfici d’onda

Luogo geometrico dei punti che si trovano nello stato di vibrazione, cioè che vibrano in concordanza di fase, come ad esempio tutti i punti che si trovano nel punto di massima ampiezza di vibrazione (cresta).

Raggio di propagazione Linea perpendicolare a tutte le superfici d’onda che essa interseca.

Una sorgente puntiforme immersa in un mezzo tridimensionale isotropo dà origine a superfici d’onda sferiche: per questo l’onda viene detta onda sferica. I raggi di propagazioni sono diretti radialmente

A grande distanza dalla sorgente, in una regione limitata dello spazio i fronti d’onda sono approssimabili a porzioni di piano. Si parla in questo caso di onde piane. I raggi di propagazione sono perpendicolari a tali piani.

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2222222222 v2

1v

2

1

2

1

2

1

2

1A

tS

EIAtSAVAMAnmneE

DD

Intensità di un’onda L’intensità I di un’onda è l’energia che essa trasporta nell’unità di tempo attraverso l’unità di superficie posta normalmente alla sua direzione di propagazione. Nel S.I. l’intensità si misura in watt/m2.

I si ricava facilmente nota l’energia meccanica e di una particella del mezzo di massa m che si muove di moto armonico essendo soggetta ad una forza elastica di richiamo:

)/(2

1)(sin

2

1)(cos

2

1

2

1

2

1 22

0

222

0

2222 mkAmtAmtAkmvxke elelel

m

S

vDt

9. Intensità di un’onda

Intensità di un’onda sferica L’energia trasportata da un’onda sferica, all’aumentare della distanza r dalla sorgente, si distribuisce su un superficie la cui area aumenta con r2. Per la conservazione dell’energia l’intensità dell’onda deve diminuire come r-2. Affinché ciò accada l’ampiezza dell’onda deve diminuire come r-1.

r

ArA

r

IrI

sf

sf

0

2

0

)(

)(

Un’onda elastica che si propaga attraverso una superficie S con velocità v percorre nell’intervallo di tempo Dt un tratto vDt. Il volume V attraversato è SvDt, contiene un numero n di oscillatori, ed ha massa M=V pari a nm. L’energia E che attraversa S nel tempo Dt è pari a quella degli n oscillatori contenuti in V:

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Principio di Malus I raggi di propagazione rappresentano il cammino rettilineo lungo il quale si propaga l’energia trasportata dalle onde. Non c’è quindi trasporto di energia nelle direzioni tangenti alle superfici d’onda.

Principio di sovrapposizione delle onde La propagazione simultanea di due o più onde nello stesso mezzo avviene, per ciascuna di esse, come se le altre non fossero presenti, e la stato di vibrazione in un punto del mezzo è dato in ogni istante dalla somma vettoriale degli stati vibrazionali associati alle diverse onde presenti in quel punto del mezzo.

Principio di Huygens Tutti i punti di una superficie d’onda possono essere considerati come sorgenti puntiformi di vibrazioni con la stessa fase. Il principio, nota la superficie d’onda (S1) ad un istante (t), consente di costruire la superficie d’onda (S2) ad un istante successivo (t’=t+Dt). Si considera ciascun punto di S1 come sorgerete di una superficie d’onda elementare sferica di raggio vDt (v = velocità di propagazione): S2 è la superficie tangente a tutte queste onde elementari (inviluppo).

10. Principi che regolano la propagazione dei fenomeni ondulatori

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Caratteristiche

Onda di frequenza pari a quella delle onde componenti, fase iniziale (j1j2/2, ed ampiezza 2Acos [(j1j2/2]:

• Se j1j2 0 (onde componenti in fase) l’onda risultante ha ampiezza massima 2A.

• Se j1j2 (onde componenti in opposizione di fase) l’onda risultante ha ampiezza nulla (mezzo imperturbato).

• Se j1j2 /2 (onde componenti in quadratura di fase) l’onda risultante ha ampiezza A per radice di 2.

jj

jjjj

2sin

2cos2)sin()sin( 1212

2121 tkxAtkxAtkxAyyy

11. Interferenza

Onde componenti Due onde sinusoidali che si propagano nella stessa direzione e verso, con uguale ampiezza e frequenza, ma con fasi differenti.

Onda risultante

)sin()sin( 2211 jj tkxAytkxAy

ampiezza

b

bb

2cos

2sin2sinsin Formula di prostaferesi

Rappresentazione grafica

in fase

in opposizione

in quadratura

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Onda risultante

Caratteristiche Onda di frequenza pari alla media delle frequenze delle onde componenti, ampiezza che varia secondo un’onda, di ampiezza 2A, frequenza pari alla semidifferenza delle frequenze delle onde componenti.

12. Battimenti Onde componenti

Due onde sinusoidali che si propagano nella stessa direzione e verso, con uguale ampiezza e fase, ma frequenze di poco differenti:

t

v

xfAyt

v

xfAy 2211 2sin2sin

t

v

xfft

v

xffAt

v

xfAt

v

xfAyyy

22sin

22cos22sin2sin 2121

2121

ampiezza

Rappresentazione grafica

ampiezza

onda risultante

2A

-2A

x

Rappresentazione grafica della perturbazione ad un istante t

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Onde componenti Due onde sinusoidali di uguale ampiezza, frequenza e fase, che si propagano nella stessa direzione ma in versi opposti.

Onda risultante

)cos(sin2)sin()sin(21 tkxAtkxAtkxAyyy

13. Onde stazionarie

)sin()sin( 21 tkxAytkxAy

Caratteristiche

I punti del mezzo compiono oscillazioni armoniche in fase, con la frequenza delle onde componenti, ed ampiezza dipendente dalla posizione del punto :

• L’ampiezza è nulla nei punti (nodi) per cui

• L’ampiezza è massima e pari a 2A nei punti (ventri) per cui

• Un nodo ed un ventre successivo sono separati da una distanza pari a /4. Due nodi (e due ventri) successivi sono separati da una distanza pari a /2

Nelle onde stazionarie non si ha propagazione di energia (l’energia non può transitare attraverso i nodi).

ampiezza del moto armonico

non è un’onda

)2/( nxnkx

4/)2/(2/)12( nxnkx

nodo ventre

Rappresentazione grafica

1

2

3

4

5

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Onde stazionarie su una corda fissata alle estremità Nei punti estremi della corda si devono avere 2 nodi (essendo punti bloccati, l’ampiezza di oscillazione deve essere nulla). Dunque, la lunghezza della corda deve essere uguale ad un numero intero di semi-lunghezze d’onda:

n

LλnL

2

2

Fondamentale o

1a armonica (n=1)

2a armonica (n=2)

3a armonica (n=3)

4a armonica (n=4)

Modi di vibrazione In generale, quando una corda vibra, il modo di vibrazione dominante è rappresentato dall’ armonica fondamentale, con un contributo minore di armoniche superiori.

t

Lf

2

11

12

1

2

vvnf

Ln

Lnf

t

frequenza fondamentale

Regolazione della frequenza fondamentale La frequenza fondamentale (e le armoniche superiori) può essere regolata variando:

• la densità della corda • la tensione della corda • la lunghezza del tratto L di corda interessato alla oscillazione stazionaria (ad esempio intervenendo con le dita)

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Onde stazionarie su una membrana fissata nel suo bordo

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All’estremità chiusa • non c’è spostamento d’aria (nodo di spostamento) ; • la variazione di pressione è massima (ventre di variazione di pressione). All’estremità aperta • la pressione p è costante e coincide con la pressione all’esterno del tubo (nodo di variazione di pressione) ; • le particelle d’aria sono libere di muoversi avanti e indietro e subiscono il massimo spostamento (ventre di spostamento). • Una diminuzione di p richiama particelle dall’esterno del tubo in modo da mantenere p costante e viceversa.

)12(

4

4)12(

n

LλnL

Onda di pressione

Onda di spostamento

Onde stazionarie su un tubo chiuso ad un estremità

1)12(4

v)12(

vfn

Lnf

La canna chiusa ad una estremità può contenere un numero dispari di quarti di lunghezze d’onda:

Lf

4

v1 frequenza

fondamentale

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L’effetto Doppler L'effetto Doppler consiste nel cambiamento apparente della frequenza fR di un'onda percepita da un ricevitore (R), rispetto alla frequenza fS emessa dalla sorgente (S) dell’onda, quando S ed R sono in moto relativo fra loro.

Analisi quantitativa Se S e R si muovono lungo la medesima retta di moto uniforme si trova che: • se R ed S si avvicinano fra loro: fR > fS

• se R ed S si allontanano fra loro: fR < fS

Sorgente in quiete rispetto al mezzo di propagazione Ricevitore in quiete rispetto al mezzo di propagazione

14. Effetto Doppler

S

Sx

RxR f

vc

vcf

Sv

Rv

SRRx

SRRxS

RxRSx

ffv

ffvf

c

vcfv

0

00

SRSx

SRSx

S

Sx

RRxffv

ffvf

vc

cfv

0

00

x

(R si allontana da S)

(R si avvicina a S)

(S si avvicina a R)

(S si allontana da R)

c = velocità di propagazione dell’onda

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Dimostrazione All’istante t=0, quando S e R sono separati da una distanza d, S emette un’onda che raggiunge R all’istante t nella posizione L’onda percorre una distanza ct data da S emette il fronte d’onda successivo dopo un periodo, all’istante TS, quando si trova nella posizione Il fronte d’onda raggiunge R all’istante t’ nella posizione L’onda ha percorso una distanza c(t’-TS) Il periodo e la frequenza percepiti da R sono

dxxt RS )0(0)0(0

dtvtx RxR )(

dtvxtxct RxSR )0()(

SSxSS TvTx )(

dtvtx RxR ')'(

SSxRxSSRS TvdtvTxtxTtc ')()'('

S

Rx

SxR T

vc

vcttT

' S

Sx

RxR f

vc

vcf

)0(Sx )(txR

ct

Rx

SSx

vc

Tvcdt

'

)( SS Tx )'(txR

STtc '

Rxvc

dt

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15. Riflessione e rifrazione

raggio incidente

raggio riflesso

normale

Riflessione e rifrazione Quando un’onda giunge sulla superficie di separazione fra il mezzo in cui si propaga ed un messo diverso può:

• Essere parzialmente restituita al primo mezzo (riflessione), e passare parzialmente sul secondo mezzo (rifrazione), rispettando il principio di conservazione dell’energia.

• Essere completamente restituita al primo mezzo (riflessione totale).

Le leggi della riflessone e della rifrazione

• Il raggio riflesso e il raggio rifratto appartengono al piano contenete il raggio incidente e la normale alla superficie di separazione nel punto di incidenza

• l’angolo di riflessione r (angolo fra il raggio riflesso e la normale alla superficie di separazione) è uguale all’angolo di incidenza i (angolo fra il raggio incidente e la normale alla superficie di separazione)

• Il rapporto fra il seno dell’angolo di incidenza i e il seno dell’angolo di rifrazione t è uguale al rapporto fra le velocità di propagazione nel primo e nel secondo mezzo (fra gli indici di rifrazione nel secondo e nel primo mezzo ):

1

2

2

1

v

v

sin

sin

n

n

t

i

raggio rifratto

ri mezzo 1

mezzo 2

i r

t

Superficie di separazione

v)/.cost( n

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t1

t3

t4

t5

t4

t3

t2

t2

t1 t5

v(t5-t1)

i r

v(t5-t4) v(t5-t3) v(t5-t2)

v(t5-t1)

Legge delle riflessione e principio di Huygens Il principio di Huygens permette di ottenere in modo semplice la legge della riflessione:

ri

t5

t5

t5

t5

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t1

t3

t4

t5

t4

t3

t2

t2

t1

t5

v1(t5 -t1)

i

t v2 (t5-t4)

v2 (t5-t3)

v2 (t5-t2)

v2(t5-t1)

Legge delle rifrazione e principio di Huygens Il principio di Huygens permette di ottenere in modo semplice la legge della rifrazione:

)(sin

)(sin

152

151

ttvtAB

ttviAB

t5

t5

t5

t5

t

i

1

2

2

1

v

v

sin

sin

n

n

t

i

A B

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• Quando un’onda elastica incide sull’interfaccia fra mezzi diversi, essa in parte viene riflessa e in parte viene trasmessa, o completamente riflessa. L’intensità dell’onda incidente è pari alla somma dell’intensità dell’onda riflessa e dell’intensità dell’onda trasmessa.

• Si definisce impedenza acustica Z di un mezzo materiale il prodotto della densità del mezzo

e della velocità di propagazione dell’onda elastica nel mezzo

212

2221

12

12

cosZcosZ

coscosZ4Z

cosZcosZ

cosZcosZ

ii

ti

i

t

ti

ti

i

r

I

I

I

I

tri III

16. Impedenza acustica

212

21

2

12

12

ZZ

Z4Z

ZZ

Z

i

t

i

r

I

I

Z

I

I

vZ

• I rapporti Ir /Ii (coefficiente di riflettività) e It /Ii (coefficiente di trasmissibilità) sono dati dalle relazioni

e nel caso di incidenza normale (i = 0°) dipendono solo dalle impedenze acustiche dei due mezzi

• Per Z1>>Z2 e per Z2>>Z1 ha Ir ≈ Ii cioè It ≈ 0

– La trasmissibilità fra aria e pelle, o fra aria e

tessuto biologico è praticamente nulla. – La trasmissibilità fra tessuto molle tessuto

osseo è molto bassa – La trasmissibilità fra acqua, sangue, grasso

muscolo e pelle è elevata.

tessuto densità (g/cm3) v (m/s) Z ( kg m-2 s-1)

osso 1.990 3760 7.48

pelle 1.100 1537 1.69

sangue 1.060 1584 1.68

muscolo 1.041 1580 1.64

acqua 0.993 1527 1.52

grasso 0.928 1476 1.36

aria 0.0012 340 0.0004

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17. Riflessione totale

Angolo limite e riflessione totale

Se nella rifrazione il raggio rifratto si allontana dalla normale si dice che la perturbazione ondulatoria passa da un mezzo più rifrangente (velocità di propagazione minore) a un mezzo meno rifrangente (velocità di propagazione maggiore).

In questo caso, aumentando l’angolo di incidenza, fino a raggiungere un certo angolo iL (angolo limite) cui corrisponde un angolo di rifrazione di 90°, l’intensità del raggio rifratto diminuisce fino ad annullarsi: si ha allora il fenomeno della riflessione totale del raggio incidente La condizione di riflessione totale è data da: Per incidenza all’angolo limite ( t = 90°):

)(sin90sin

sin21

1

2

1

2 nnn

ni

n

niL

L

0

cosZcosZ

coscosZ4Z

1cosZcosZ

cosZcosZ

2

12

22

21

12

12

ii

ti

i

t

ti

ti

i

r

I

I

I

I

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4.2 Il suono e l’orecchio umano

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15. Il suono

Il suono L’orecchio umano è in grado di percepire onde elastiche la cui frequenza f è compresa fra 20 Hz e 20 kHz. In questo intervallo di frequenze le onde elastiche sono chiamate suoni. Vibrazioni meccaniche con frequenze superiori (inferiori) a 20 kHz (20 Hz) prendono il nome di ultrasuoni (infrasuoni). Poiché la velocità vs del suono in aria è di circa 340 m/s (alla temperatura di 15 °C e a pressione atmosferica) la lunghezza d’onda del suono in aria ( = vs / f ) è compresa fra 17 mm e 17 m.

Pressione sonora

Nei gas la propagazione di un’onda dà luogo a zone di compressione e di rarefazione, e determina una variazione di pressione istantanea che per onde piane sinusoidali (suoni semplici) segue una legge del tipo dove Dp=p-p0 (pressione sonora istantanea) è la variazione istantanea della pressione p rispetto alla pressione p0 del gas imperturbato (es. pressione atmosferica) e Dp0 è l’ampiezza della perturbazione pressoria (massima variazione di p rispetto a p0). La variazione sinusoidale di Dp, con successive compressioni e rarefazioni, è in grado di porre in vibrazione una membrana, ad esempio il timpano nell’orecchio umano. Si può dimostrare che sussiste la seguente relazione fra ampiezza di variazione di pressione e ampiezza A del moto oscillatorio delle particelle del mezzo:

)sin(0 DD tkxpp

vp0 D A

D v20 Ip

Confrontando questa espressione con quella dell’intensità I di un’onda si ottiene la seguente relazione che lega l’ampiezza della perturbazione pressoria e l’intensità sonora:

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Livello di sensazione sonora e sala decibel livello di sensazione sonora avvertita dall’organo uditivo può essere utilmente caratterizzato mediante la scala decibel (dB)

Vantaggi della scala decibel

• La minima intensità sonora apprezzabile dall’orecchio umano 0 è di 0 dB. • Il rapporto fra l’intensità di due suoni, la cui differenza è appena percettibile, è dell’ordine del dB. • Una conversazione media corrisponde a circa 60 dB, la soglia del dolore è di circa 120 dB.

0

100 Log10I

I I0 = 10-12 W/m2 = minima intensità sonora apprezzabile dall’orecchio umano

0 = valore della sensazione sonora corrispondente a I = I0

16. Livelli di sensazione sonora

Curve di sensibilità Dipendenza della sensazione sonora dalla frequenza di vibrazione

La sensibilità dell’udito è massima fra 3000 e 4000 Hz.

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17. L’orecchio umano

L’orecchio è il dispositivo di trasduzione che permette di trasformare le onde sonore in segnali di eccitazione nervosa (potenziali di azione) che sono poi elaborati dal cervello in modo da fornire le sensazioni sonore. Dal punto di vista funzionale l’orecchio può essere considerato diviso in tre parti: esterno, medio e interno.

L’orecchio esterno Costituito dal padiglione auricolare e dal canale auricolare. Il padiglione auricolare ha la funzione di concentrare la perturbazione sonora verso il timpano. Il canale auricolare è in pratica un risuonatore, schematizzabile come un tubo sonoro, di lunghezza L=2.5 cm, chiuso ad un’estremità dalla membrana timpanica. Esso è perciò sede di onde stazionarie con frequenza fondamentale

• Proprio alla frequenza di circa 3400 Hz la sensibilità dell’orecchio è massima.

• Nei bambini, la lunghezza del canale è minore e f1 assume valori più elevati. Essi sono quindi più sensibili alle frequenze elevate: riescono a dormire in presenza di conversazioni fra adulti, mentre sono bruscamente svegliati da un tintinnio di posate o di un mazzo di chiavi.

• Se la membrana timpanica fosse rigida il canale auricolare risuonerebbe solo alla frequenza di 3400 Hz o multipli dispari di questo valore, e l’orecchio percepirebbe solo suoni ad alcune determinate frequenze. In realtà la membrana timpanica è abbastanza elastica da causare risonanze anche a frequenze inferiori o superiori.

Hz3400m025.04

m/s340

4

v1

Lf

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L’area del timpano St è circa 20 volte maggiore di quella Sf della finestra ovale. Si ottiene un fattore di amplificazione della pressione sulla finestra ovale pari a 60: Questo fattore di amplificazione è necessario per poter compensare la perdita di intensità sonora che altrimenti si avrebbe al passaggio dell’aria al liquido dell’orecchio interno.

L’orecchio medio

La funzione dei tre ossicini (martello, incudine e staffa) è di trasmettere la vibrazione sonora alla finestra ovale amplificandola. Questa catena di ossicini si comporta come una leva di primo tipo in cui la distanza dt fra timpano e fulcro è circa 3 volte la distanza df della finestra ovale dal fulcro. Si ottiene un fattore di amplificazione della forza sulla finestra ovale pari a 3:

3f

t

t

f

ffttd

d

F

FdFdF

60203 D

D

f

t

t

f

t

t

f

f

t

f

S

S

F

F

F

S

S

F

p

p

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• Per avere la miglior efficienza di trasmissione dall’orecchio medio a quello interno, è necessario che l’energia sonora non venga dispersa e quindi che l’intensità sonora in aria sia uguale a quella nel liquido dell’orecchio interno. Nei due mezzi è costante la frequenza ma sono diverse le densità, la velocità di propagazione e l’ampiezza dell’oscillazione. Le intensità sono uguali se le ampiezze nei due mezzi sono in un preciso rapporto:

Inserendo i valori numerici si ricava che tale rapporto è circa 60: affiche l’intensità dell’onda sonora sia la stessa

nei due mezzi è necessario che quella in aria venga amplificata di circa 60 volte, ciò che effettivamente avviene.

L’orecchio interno

• E’ costituito da una struttura canaliforme lunga circa 3.5 cm, avvolta a spirale (coclea), e riempita di liquido (perilinfa ed endolinfa) che si può ritenere incomprimibile.

• Quando una vibrazione meccanica è trasmessa alla finestra ovale, da questa si propaga un’onda meccanica nel liquido, che origina un’onda di deformazione del canale cocleare. Quest’onda si propaga eccitando le cellule ciliate cocleari che inducono i potenziali di azione lungo il nervo acustico verso il cervello.

11

22

2

122

222

22

11121v

vv

2

1v

2

1

A

AAAII

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4.3 Gli ultrasuoni in medicina

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Interazione con la materia • Per I =10 W/cm2 e f = 1 MHz si ottengono onde di pressione di 5.5 atmosfere di ampiezza: due punti situati a

mezza lunghezza d’onda di distanza (0.75 mm nell’acqua) sono sottoposti ad una differenza di pressione istantanea di 11 atmosfere, cui corrisponde un’accelerazione istantanea delle particelle del mezzo, sottoposte ad un simile gradiente di pressione, di circa 2.3∙105 g.

• Un fascio di ultrasuoni ad alta intensità può dare luogo ad intense azioni meccaniche e alla produzione di calore nei materiali, provocare la rottura di grosse molecole, generare fenomeni di cavitazione nei liquidi, e aumentare la velocità di reazioni chimiche.

• L’energia trasportata da un fascio di ultrasuoni viene assorbita nei mezzi materiali secondo una legge di tipo esponenziale I0= intensità incidente; I(x) = intensità trasmessa dopo l’attraversamento di uno spessore x = coefficiente di assorbimento (dipende da f e dal materiale attraversato) Per i materiali biologici e frequenze comprese fra 0.5 e 15 MHz, è proporzionale a f.

19. Gli ultrasuoni

Ultrasuoni Vibrazioni meccaniche con frequenze superiori a 20 kHz.

Produzione e rilevazione • Per produrre ultrasuoni si ricorre in generale a cristalli piezoelettrici: quando a questi cristalli viene applicata una

differenza di potenziale elettrico alternata essi si mettono a vibrare con una frequenza uguale a quella delle oscillazioni elettriche che li sollecitano.

• L’effetto inverso si sfrutta nella rilevazione degli ultrasuoni: questi stessi cristalli, sottoposti a vibrazioni meccaniche ultrasonore, generano una d.d.p. elettrico alla stessa frequenza, facilmente misurabile con opportuni dispositivi elettronici.

• In questo modo si possono emettere o rilevare ultrasuoni con frequenza f fino a 1 GHz e lunghezza d’onda in aria (v ≈ 340 m/s) di 0.34 m ed in acqua (v ≈ 1500 m/s) di 1.5 m ( = v / f ). La lunghezza d’onda così piccola di questi ultrasuoni, circa dell’ordine di quelle della luce, fa sì che essi si propaghino rettilineamente, costituendo dei veri e propri raggi sonori: un fascio di simili ultrasuoni è altamente direzionale.

• I generatori di ultrasuoni utilizzati in medicina hanno intensità I che varia da 10-4 a 10 W/cm2.

xeIxI 0)(

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Sonda (sorgente in quiete)

trasmittente ricevitore

Flussimetria Doppler Tecnica che consente la misura della velocità (portata) del sangue in modo non invasivo utilizzando l’effetto doppler con onde ultrasonore.

fascio ultrasonoro emesso dalla sonda

globuli rossi (ricevitore mobile)

c vB S

BB f

c

vcf

Sonda (ricevitore in quiete)

trasmittente ricevitore

fascio ultrasonoro riflesso dal sangue globuli rossi

(sorgente mobile)

c vB B

B

R fvc

cf

Misurando la variazione di frequenza fra fascio emesso e fascio ricevuto per riflessione è possibile ottenere la velocità media del sangue VB

SB

S

B

BSR f

c

vf

vc

vff

cos2

cos

cos2 Nel caso in cui il vaso forma un angolo col fascio

(B = blood)

SB

S

B

BSRS

B

BR f

c

vf

vc

vfff

vc

vcf

22

20. Gli ultrasuoni nella diagnostica medica

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Ecografia L’ecografia è una tecnica basata sulla riflessione da parte di interfacce tra mezzi acustici diversi attraversati da un fascio ultrasonoro.

• Un trasduttore piezoelettrico viene posto a contatto con la pelle tramite un gel, che agisce come sostanza conduttrice del suono, ed emette brevi impulsi di onde ultrasonore (della durata da 1 a 5 s, per circa 200 volte al secondo, ciascuno a frequenze da 1 a 15 MHz).

• Il fascio ultrasoro viene riflesso da parte delle interfacce tra mezzi acustici diversi (grasso/muscolo etc.) che si trovano a diverse distanze lungo la direzione del fascio.

• Lo stesso trasduttore piezoelettrico riceve le onde riflesse (echi) prodotti dalle superfici poste perpendicolarmente alla traiettoria del fascio in tempi diversi a secondo della distanza complessiva percorsa dal fascio.

• Il tempo che intercorre fra tra l’emissione degli impulsi e la ricezione delle onde riflesse dalle interfacce, nota la velocità di propagazione nel mezzo, consente di misurare la distanza tra il trasduttore e le interfacce stesse.

• I segnali ecografici ricevuti dalla sonda vengono elaborati elettronicamente per fornire una immagine della anatomia della zona esplorata.

Una sonda ecografica è costituita da numerosi elementi piezoelettrici che consentono di esplorare un angolo superiore a 60°.

tessuto densità (g/cm3) v (m/s) Z ( kg m-2 s-1)

osso 1.990 3760 7.48

pelle 1.100 1537 1.69

sangue 1.060 1584 1.68

muscolo 1.041 1580 1.64

acqua 0.993 1527 1.52

grasso 0.928 1476 1.36

aria 0.0012 340 0.0004

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21. Gli ultrasuoni nella terapia medica

Terapia fisica Gli ultrasuoni svolgono un’azione diretta, di tipo meccanico e termico, impiegata localmente su determinati tessuti, per la cura di nevralgie, artrosi, lombalgie e reumatismi. Nel caso in cui si richiede un effetto termico localizzato, il fascio di ultrasuoni, a bassa intensità, viene spostato continuamente sull’area da trattare, in modo da non sottoporre la zona stessa ad un’azione prolungata per più di qualche secondo, per evitare danni cellulari.

Terapia dei calcoli

I calcoli vengono frantumanti da onde meccaniche ultrasoniche impulsate ad alta intensità (litotrizione).

Odontoiatria L’azione frantumatrice degli ultrasuoni viene sfruttata, anche se con intensità inferiore, per eliminare il tartaro (formazione calcarea che si forma alla base dei denti). Gli ultrasuoni vengono anche impiegati per devitalizzare i nervi dei canali dentari

Oculistica

Negli interventi sulla cataratta, il cristallino viene eliminato frantumandolo con ultrasuoni ed aspirandone i residui.

Urologia

Gli ultrasoni sono impiegati negli interventi per la cura del tumore alla prostata e dell’ipertrofia prostatica.

Chirurgia vascolare

Impiegando generatori e rilevatori miniaturizzati di ultrasuoni montati all’apice di cateteri, si possono eseguire interventi per stabilire la composizione della placca arteriosclerotica e causarne la frantumazione, disostruendo le arterie.

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Capitolo 5:

TERMOLOGIA

5.1 - Calorimetria 5.2 - Termoregolazione del corpo umano 5.3 - Termodinamica

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5.1 Calorimetria

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1. Stato termico di un corpo, termoscopio

La temperatura è una grandezza che viene introdotta per descrivere quello che si chiama lo stato termico di un corpo. La sua introduzione è suggerita dalle sensazioni che di provano toccando corpi diversi: uno di essi ci può apparire più caldo di un altro.

Osservazioni sperimentali

• Se due corpi, dei quali uno è stimato più caldo dell’atro, vengono lasciati a contatto per un tempo suffi-cientemente lungo, finiscono per sembrare ugualmente caldi: si dice che hanno raggiunto l’equilibrio termico.

• Al variare dello stato termico di un corpo (della sensazione di più o meno caldo che esso può dare) variano i valori che per esso assumono alcune grandezze fisiche come la lunghezza, il volume, il colore, etc.

Termoscopio

Si può pensare di scegliere uno di questi corpi (sostanza termometrica) e porre attenzione ad una sua proprietà che dipende dallo stato termico del corpo (proprietà termometrica) per realizzare uno strumento (termoscopio) che consente di paragonare oggettivamente gli stati termici dei corpi.

Esempio di termoscopio

Si introduce mercurio (sostanza termometrica) in un recipiente formato da un bulbo ed un capillare e si osserva l’altezza della colonna liquida nel capillare (proprietà termometrica).

corpo 1 corpo 2

Utilizzo del termoscopio Disponendo il termoscopio successivamente a contatto con ciascuno dei corpi in esame, stabilito l’equilibrio termico, la proprietà termometrica assume valori che possono essere usati per il confronto dello stato termico dei corpi stessi.

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2. Temperatura centigrada (°C)

Scale termometriche Per giungere ad una valutazione numerica della temperatura (T) si prendono in considerazione stati termici che diano affidamento di stabilità e di facile riproducibilità (ad esempio i punti di fusione o ebollizione di sostanze semplici a pressione atmosferica normale) e si assegnano ad essi valori convenzionali di T.

Scala centigrada

Si pone il termoscopio nel ghiaccio fondente e successivamente nei vapori di acqua bollente a p.a.n., l’intervallo delle posizioni raggiunte dall’indice della proprietà termometrica nelle due misure viene diviso in 100 parti. Questa taratura fra 0 °C e 100 °C viene estesa al di sopra e al di sotto usando una legge lineare.

Termometro a gas perfetto

• Problema: i valori di T che si ottengono in questo modo dipendono dal particolare termoscopio (sostanza e proprietà termometrica) utilizzato. Tuttavia si ottengono identici valori di temperatura utilizzando

• Ciò significa che nel caso dei gas rarefatti le relazioni fra V e T (a p = cost.) e fra p e T (a V = cost.) sono dello stesso tipo, sono particolarmente semplici, corrispondono a proprietà generali dei gas rarefatti.

• Per la misura di T in °C si adotta quindi un termometro a gas molto rarefatto ponendo lineari le relazioni fra V e T (a p = cost.) e fra p e T (a V = cost.).

• Altri termometri possono essere usati dopo taratura per confronto con quello a gas.

Punto fisso di riferimento Temperatura in gradi centigradi (°C)

Punto di fusione del ghiaccio a pressione atmosferica normale 0 °C

Punto di ebollizione dell’acqua a pressione atmosferica normale 100 °C

Sostanza termometrica Proprieta termometrica

un gas rarefatto la pressione (p) a volume (V) costane o il volume (V) a pressione (p) costante

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Scala delle temperature assolute Oltre alla sostanza e alla proprietà termometrica, è possibile scegliere anche la scala termometrica basandosi sulle proprietà dei gas perfetti. Con al scala delle temperature assolute • le equazioni termodinamiche che riguardano i gas perfetti diventano particolarmente semplici, • lo zero della scala ha un significato fisico importantissimo: è una temperatura limite inferiore che non

può essere raggiunta (si violerebbe il secondo principio della termodinamica). Lo zero assoluto

Con la scala delle temperature assolute non si può date un significato alla temperatura dello zero assoluto • prima che si raggiunga questa temperatura i gas diventano liquidi, il termometro a gas non è utilizzabile • con termometri a elio a bassa pressione si può raggiungere una temperatura minima di 1 grado assoluto.

Scala termodinamica delle temperature (scala Kelvin) Si può dare un significato allo zero assoluto definendo una nuova scala della scala delle temperature, che si introduce in termodinamica (scala termodinamica delle temperature o scala Kelvin): • non dipende dalle proprietà dalla particolare sostanza impiegata nel termometro • coincida numericamente con la scala delle temperature assolute (nel campo in cui il termometro a gas

può essere usato). Per questo motivo i gradi della scala assoluta si indicano con °K (gradi Kelvin).

La temperatura nel S.I. Nel S.I. si adotta come grandezza fondamentale la temperatura termodinamica. L’unità di misura è il grado Kelvin (°K) definito come la frazione 1/273.16 della temperatura termodinamica del punto triplo dell’acqua.

3. Scala delle temperatura assolute, scala Kelvin (°K)

15.273 centass TT

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4. Quantità di calore

Interpretazione microscopica Il calore è legato a quella particolare energia (cinetica e potenziale) che i corpi posseggono in virtù dello stato di moto individuale e disordinato delle particelle che lo costituiscono (moto di agitazione termica).

Calore e temperatura

Al variare della temperatura questi moti sono alterati, nel senso che ad essi compete una maggior energia all’aumentare della temperatura.

Equipartizione dell’energia Il raggiungimento dell’equilibrio termico fra due corpi posti a contatto, e inizialmente a temperature diverse, corrisponde ad un passaggio di energia dalle particelle del corpo più caldo a quelle dell’altro, e ad una ripartizione dell’energia totale fra i gradi di libertà delle particelle componenti i corpi del sistema. Questo trasferimento di energia dovuto alla differenza di temperatura corrisponde a quantità di calore che dal corpo più caldo passano a quello più freddo.

Definizione di calore La quantità di calore richiesta per far passare un corpo da una temperatura T1 a una temperatura T2 non è altro che l’energia che il corpo deve scambiare con l’esterno in modo che i moti delle sue particelle passino da quelli caratteristici per il primo stato a quelli caratteristici per il secondo stato.

Calorico e caloria Tuttavia, anticamente il calore era considerato come un fluido (calorico) che poteva passare da un corpo ad un altro, e che deve essere somministrato o sottratto ad un corpo per far variare la sua temperatura. Ciò è alla base dell’introduzione di alcune grandezze (es. la caloria) ancora in uso.

Calorimetro Le quantità di calore che un corpo scambia con l’ambiente può essere misurata con uno strumento chiamato calorimetro.

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dTmcdQ

)( 12 TTcmQ

2

1

)(

T

T

dTTcmQ

5. Caloria, calori specifici

Caloria:

La scelta di una unità di misura per le quantità di calore richiede la scelta di: 1) un intervallo di temperatura; 2) una massa; 3) una sostanza. Caloria = Quantità di calore richiesta per innalzare la temperatura di un grammo di acqua da 14,5 a 15,5 °C

→ Unità del calore specifico: cal· g-1 · °C-1

→ Calore specifico dell’acqua: cacqua = 1 cal· g-1 · °C-1

Calore specifico a volume costante ( cV ) e a pressione costante ( cP )

Il calore specifico dipende anche dalla modalità con cui viene somministrato il calore: a V o p costante. • In generale cP > cV : a pressione costante si permette alla sostanza di dilatarsi compiendo lavoro esterno, e

parte del calore somministrato viene utilizzato per compiere lavoro di espansione. • La differenza è importante solo per i gas: nei solidi e nei liquidi il coefficiente di espansione termica è molto

piccolo e cP ≈ cV

c = calore specifico. Rappresenta la natura del corpo nei riguardi della quantità di calore richiesta per variare la sua temperatura (cm = capacità termica del corpo).

Per variazioni infinitesime di T: Per ampie variazioni di T:

Calore specifico La quantità di calore necessaria per far passare un corpo da una temperatura T1 ad una T2 (non distante da T1) è: 1) proporzionale a T2 -T1 ; 2) proporzionale alla massa del corpo ; 3) dipende dalla natura del corpo

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6. Trasmissione del calore: convezione

Trasmissione del calore La trasmissione del calore consiste nel passaggio di quantità di calore da un corpo ad un altro, o da una parte di un corpo ad un’altra. Essa avviene attraverso tre diversi meccanismi: convezione, conduzione e irraggiamento.

Convezione

La convezione è il modo di propagazione del calore a cui è associato movimento di materia: essa può presentarsi nei liquidi e negli aeriformi nei quali le particelle sono libere di muoversi e cambiano densità con la temperatura.

Descrizione quantitativa della convezione

Quantità di calore trasmessa per convezione nell’unità di tempo attraverso la superficie S

TSKt

Qconv D

Meccanismo della convezione Ad eccezione dell’acqua al di sotto di 4 °C, l’aumento della temperatura produce una diminuzione della densità (aumento il volume a parità di massa). Per il principio di Archimede le particelle calde tendono a portarsi nella parte più elevata della massa fluida e quelle più fredde nella parte inferiore. Si creano correnti nella massa ed un rimescolamento in conseguenza dei quali il calore è trasmesso da una parte all’altra del fluido.

Esempi • Liquido in una pentola scaldata sul fondo • Impianti a termosifone • Correnti oceaniche • Impianti di ventilazione • Formazione dei venti • Brezza di terra e brezza di mare

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7. Trasmissione del calore: conduzione

Conduzione La conduzione è il modo di propagazione del calore a cui non è associato movimento di materia. Si verifica soprattutto nei solidi quando due corpi a diversa temperatura sono posti a contatto o due parti dello stesso corpo si trovano a temperature diverse.

Descrizione quantitativa

Quantità di calore (Q) trasmessa nell’unità di tempo (t) attraverso una qualsiasi sezione S di una sbarra di lunghezza Dl le cui estremità sono mantenute a temperature T1 e T2 differenti (legge di Fourier):

l

TSK

t

Qcond

D

D

Dl

S T1 T2

Meccanismo microscopico Le molecole dei solidi, nel loro moto di agitazione termica, oscillano attorno alla loro posizione di equilibrio con ampiezza proporzionale alla loro energia. La trasmissione di calore per conduzione corrisponde al trasferimento di energia dalle molecole più calde alle molecole più fredde per interazione fra molecole adiacenti.

Conducibilità termica di alcune sostanze a T ambiente

sostanza Kcond (J m-1 s-1 °C-1)

rame ferro e acciaio ghiaccio vetro acqua pelle secca neve legno sughero polistirolo lana di vetro aria

3.85·102

4.60 2.17 0.84 0.585 0.251 0.210 0.125 0.042 0.040 0.0389 0.0230

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8. Trasmissione del calore: irraggiamento

L’irraggiamento è quel processo di trasmissione del calore nel quale l’energia è trasportata nello spazio fra un corpo e l’altro mediante onde elettromagnetiche (radiazione).

Elettromagnetismo

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5.2 Termoregolazione del corpo umano

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9. Termoregolazione

La temperatura del corpo umano è relativamente uniforme e costante (a circa 37 °C) indipendentemente dalle condizioni ambientali esterne. • La convezione del sangue è il meccanismo principale con cui il corpo umano è in grado di mantenere una

temperatura quasi uniforme fra le sue parti. • Affinché la temperatura del corpo resti costante è necessario che la quantità di calore prodotto nel corpo

sia uguale alla quantità di calore eliminata (dissipata) dal corpo attraverso la superficie cutanea.

quantità di calore prodotto nel corpo

quantità di calore eliminato (dissipato) dal corpo attraverso la superficie cutanea =

La dissipazione del calore ha luogo per mezzo di tre meccanismi Dissipazione di calore per conduzione – Se Tambiente < Tcorpo una parte del calore superfluo viene dissipata per conduzione fra la pelle e l’aria. – Il calore dissipato per conduzione dal corpo è proporzionale a Tcorpo - Tambiente (legge di Fourier). Dissipazione di calore per irraggiamento – A 37 °C il corpo umano emette nello spazio circostante radiazioni principalmente nel campo dell’ infrarosso. – Se Tambiente < Tcorpo la quantità di energia emessa dal corpo per irraggiamento è superiore a quella assorbita. – Il calore dissipato per irraggiamento dal corpo è approssimativamente proporzione a Tcorpo - Tambiente Dissipazione di calore per sudorazione e respirazione – In entrambi i casi si ha evaporazione di acqua dalla superficie del corpo. – Il calore necessario per l’evaporazione del sudore (o dell’acqua all’interno dei polmoni) viene sottratto dal corpo. – Il calore dissipato per evaporazione aumenta all’aumentare di Tambiente. – Per temperature esterne maggiori di 37 °C, l’evaporazione rimane l’unico meccanismo di dissipazione del calore.

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10. Contributo relativo dei meccanismi di dissipazione

A 23 °C il calore viene eliminato per il 15% per conduzione, per il70% per irraggiamento, e per il 15% per sudorazione. A 30 °C il calore viene eliminato per il 10% per conduzione, per il45% per irraggiamento, e per il 45% per sudorazione. Per temperature esterne maggiori di 37 °C, l’evaporazione rimane l’unico meccanismo di dissipazione del calore

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Termoregolazione del corpo umano in presenza di condizioni ambientali estreme

Condizioni ambientali

Ambiente freddo (temperature esterna bassa)

Ambiente caldo (temperatura esterna elevata)

Ambiente secco (umidità relativa bassa)

Ambiente umido (umidità relativa elevata)

Effe

tto

su

i me

ccan

ism

i di

tras

mis

sio

ne

de

l cal

ore

la quantità di calore dissipata dal

corpo verso l’esterno per

conduzione ed irraggiamento

tende ad aumentare.

Per mantenere la T cost. bisogna

aumentare la produzione di calore

nel corpo e diminuire la

dissipazione verso l’esterno.

la quantità di calore dissipata dal

corpo verso l’esterno per

conduzione ed irraggiamento tende

a diminuire.

Per mantenere la T cost. bisogna

diminuire la produzione di calore

nel corpo e aumentare la

dissipazione verso l’esterno.

l’evaporazione di acqua dalla

superficie del corpo è

fortemente favorita

l’elevato grado di umidità

ostacola l’evaporazione del sudore e

rende la pelle e i vestiti migliori conduttori di calore

Effe

tti s

ul c

orp

o e

re

azio

ni d

el c

orp

o

Per diminuire la dissipazione il

corpo reagisce con una

vasocostrizione che ha l’effetto

di ridurre il trasferimento di calore

dall’interno alla superficie del

corpo (ridurre la differenza di

temperatura fra superficie del

corpo e l’aria circostante) e quindi

di ridurre la sua dissipazione per

conduzione.

Per aumentare la dissipazione di

calore il corpo reagisce con la

sudorazione e con una

vasodilatazione che ha l’effetto di

aumentare il trasferimento di

calore dall’interno alla superficie

del corpo (aumentare la differenza

di temperatura fra la superficie del

corpo e l’aria circostante) e quindi

di aumentare la sua dissipazione

per conduzione.

L’eccessiva siccità può

provocare disturbi

dell’apparato respiratorio,

poiché la notevole

evaporazione all’interno delle

vie respiratorie produce una

pericolosa disidratazione di

queste vie.

in presenza di un

ambiente esterno molto

caldo sarebbe necessario

poter sudare

abbondantemente, ma

l’elevato grado di umidità

ostacola l’evaporazione

del sudore, provocando

una sensazione di caldo

soffocante

se l’ambiente esterno è

molto freddo, sarebbe

necessario poter isolare il

corpo dall’ambiente

esterno, mentre invece

l’elevata umidità rende la

pelle e i vestiti migliori

conduttori di calore e

quindi ostacola la difesa

dal freddo.

Pre

cau

zio

ni

e C

om

me

nti

Ridurre la dissipazione di calore:

vestiti basso coeff. cond. termica.

Aumentare la produzione di

calore: esercizio fisico, cibo

elevato contenuto calorico.

Aumentare la dissipazione di

calore: vestiti leggeri e larghi,

ventilazione, ombra.

Ridurre la produzione di calore:

riposo, cibi ridotto contenuto

calorico.

E’importante mantenere il

giusto grado di umidità

relativa (50-69%) nelle

abitazioni

Se l’ambiente esterno è

freddo, anche se è umido,

l’ambiente interno delle

abitazioni riscaldate può

essere pericolosamente

secco (l’umidità relativa, a

parità di umidità assoluta,

diminuisce all’aumentare

della temperatura)

In ambiente umido e’ difficile per il corpo difendersi dagli

eccessi di temperatura.

Al contrario, in climi secchi il corpo umano è in grado di

sopportare temperature estreme molto meglio che non in

climi umidi

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5.3 Termodinamica

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1. Sistemi termodinamici

Sistema termodinamico Sistema costituito da un gran numero di particelle (atomi o molecole), ovvero, da un gran numero di gradi di libertà. • Per questi sistemi non è possibile determinare lo stato di moto delle singole particelle del sistema

(microstato del sistema) applicando i metodi della meccanica. • Il comportamento macroscopico del sistema può tuttavia essere descritto per mezzo di un numero

limitato di grandezze globali (grandezze di stato) fra le quali è compresa la temperatura.

Termodinamica Lo studio del comportamento di tali sistemi in processi in cui sono coinvolti scambi di calore e/o variazioni di temperatura è compito della termodinamica.

Classificazione dei sistemi termodinamici Un sistema termodinamico si dice: • aperto se consente uno scambio con l'ambiente esterno sia di massa sia di energia (tramite calore e/o

lavoro e/o altra forme di energia); • chiuso se consente uno scambio di energia con l'ambiente esterno (tramite calore e/o lavoro e/o altra

forma di energia), ma non di massa; • adiabatico quando non scambia calore con l'ambiente esterno; • isolato se non permette uno scambio né di energia né di massa con l'ambiente esterno.

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2. Equilibrio termodinamico

Stato di equilibrio termodinamico Un sistema termodinamico si trova in equilibrio (o in uno stato di equilibrio termodinamico) quando: 1. Le forze meccaniche che si esercitano sulle varie parti del sistema sono in equilibrio (equilibrio

dinamico); 2. non c’è moto macroscopico osservabile fra le varie parti: le singole particelle del sistema si trovano

sempre in moto ma tali moti non sono percettibili su scala macroscopica (equilibrio cinematico); 3. tutte le parti del sistema sono alla medesima temperatura (equilibrio termico); 4. eventuali reazioni chimiche hanno raggiunto l’equilibrio nel senso che non c’è ulteriore variazione di

composizione (equilibrio chimico); 5. processi di cambiamento di stato (solidificazione, evaporazione, ecc.) hanno anche essi raggiunto

l’equilibrio (equilibrio fisico).

Sperimentalmente si osserva che un sistema termodinamico lasciato a se stesso (per esempio isolato dall’ambiente esterno) dopo un tempo più o meno lungo raggiunge uno stato di equilibrio.

Microstato

Configurazione microscopica del sistema a cui corrisponde un particolare insieme di valori per le posizioni, le velocità e gli stati quantici delle singole particelle.

Natura dinamica dell’equilibrio termodinamico In condizioni di equilibrio termodinamico da un istante all’altro il sistema passa da un microstato ad un altro al quale corrispondono gli stessi valori delle grandezze globali che descrivono lo stato di equilibrio termodinamico (macrostato di equilibrio).

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3. Variabili di stato, equazioni di stato

Variabili di stato Lo stato di equilibrio termodinamico è descritto per mezzo di un numero limitato di grandezze o parametri che perdono il nome di variabili di stato (temperatura, volume, etc.): i valori che esse assumono per un certo stato di equilibrio sono caratteristici di quello stato e non dipendono dal modo in cui lo stato è raggiunto. • Si ha una coppia di tali variabili (una intensiva, una estensiva) per ciascuna maniera con cui il sistema può

scambiare energia (meccanica, elettrica, termica,magnetica, etc) con l’ambiente esterno, ad es.

- Energia meccanica legata a forze di pressione: pressione (P), volume (V) - Scambio di calore: temperatura (T), entropia (S) - Scambio di materia: potenziale chimico (), numero di moli (n)

Equazioni di stato

Le variabili di stato non sono tutte fra loro indipendenti. La natura del sistema fissa infatti delle relazioni (equazioni di stato) fra esse. • Si ha una di tali relazioni per ciascuna maniera con cui il sistema può scambiare energia con l’ambiente

esterno (per ciascun contatto energetico). • Il numero di grandezze di stato indipendenti (numero di grandezze, meno numero di relazioni) è pari al

numero di contatti energetici. • Lo stato del sistema può essere rappresento da un punto in uno spazio con dimensionalità pari al numero di

variabili indipendenti (numero di contatti energetici).

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4. Il sistema gas perfetto

Gas perfetti Le equazioni di stato dipendono dal gas, tuttavia, tutti gas ad elevate rarefazioni ed alte temperature mostrano il medesimo comportamento e per essi è stato introdotto un modello ideale (gas perfetto) che ne riproduce il comportamento limite. Il gas perfetto si ritiene formato da un gran numero di molecole che • si muovono con uguale probabilità in tutte le direzioni obbedendo alle leggi della meccanica classica; • occupano un volume trascurabile rispetto al volume totale occupato dal gas; • non scambiano forze tranne che durante gli urti con le altre molecole o con le pareti del recipiente, e tali urti

sono perfettamente elastici (non vi sono cioè perdite di energia cinetica).

Equazione di stato dei gas perfetti Per i gas perfetti l’equazione di stato che lega le variabili p e V è nota come equazione di stato dei gas perfetti e può essere ricavata sperimentalmente:

nRTpV

p

V

Gas I gas sono sistemi termodinamici che tipicamente possono scambiare con l’esterno energia termica, ed energia meccanica mediante il lavoro delle forze di pressione. Per i gas si hanno quindi: 2 contatti energetici : lavoro meccanico delle forze di pressione, scambio di calore 4 variabili di stato: pressione (p), volume (V), temperatura (T), entropia (S); 2 equazioni di stato 2 variabili di stato indipendenti: Lo stato del sistema viene tipicamente rappresentato da un punto nel piano p-V (piano di Clapeyron).

A pA

VA

molK

JR 314.8 Costante universale

dei gas perfetti

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5. Trasformazioni

Trasformazioni Cambiamenti di stato di un sistema, ovvero, passaggio da uno stato iniziale di equilibrio ad uno stato finale anch’esso di equilibrio.

Trasformazioni quasi-statiche Trasformazione costituita da una successione di stati intermedi di equilibrio (per ciascuno dei quali sono definiti i valori delle grandezze di stato). • Il passaggio da uno stato intermedio contiguo deve avvenire in un tempo sufficientemente lungo. • Possono essere rappresentate graficamente mediante una linea continua.

Trasformazioni reversibili Una trasformazione si dice reversibile se oltre ad essere quasi-statica, non è accompagnata da processi dissipativi (attriti, etc), ed eventuali scambi di calore con l’esterno avvengono con corpi (sorgenti) alla stessa temperatura del sistema (al momento dello scambio). • Una trasformazione reversibile può essere descritta in senso opposto, invertendo la sequenza

temporale degli stati di equilibrio.

Trasformazioni irreversibili Trasformazioni che non sono quasi-statiche, o trasformazioni quasi-statiche non reversibili.

Trasformazioni cicliche

Una trasformazione che riporta il sistema nello stato originario si dice ciclica.

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dl

6. Lavoro nelle trasformazioni reversibili

pdVpSdlFdldL

S

pSF

dnpdVdL

B

A

B

A

pdVdLL

p

V

A

L

Lavoro e variabili di stato Durante le trasformazioni di un sistema, questo compie frequentemente lavoro. Nelle trasformazioni quasi-statiche o reversibili tale lavoro può essere calcolato mediante le grandezze di stato. Per una massa gassosa contenuta in recipiente cilindrico chiuso da un pistone mobile di superficie S

trasformazione elementare: trasformazione finita:

Nel caso di più contatti energetici, per ciascuno di questi il lavoro elementare è dato dal prodotto della relativa variabile intensiva per il differenziale della variabile estensiva

Contatto energetico Variabili di stato Lavoro elementare

Energia meccanica legata a forze di pressione p, V pdV

Scambio di materia , n dn

B

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Premessa Alcune esperienze (es. attrito) suggeriscono l’idea che il calore prodotto in un trasformazione corrisponda ad una trasformazione di energia meccanica (o di altra specie) che sembra scomparire.

Verifica Ogni volta che una data quantità di energia meccanica (o di altra specie) scompare mentre viene prodotto calore (senza che contemporaneamente appaiano altre forme di energia), la quantità di calore prodotta è sempre la stessa. Apparato • Un sistema di pale montate su un asse può ruotare in un

cilindro pieno d’acqua nel quale sono disposti alcuni diaframmi fissi.

• La rotazione dell’asse è determinata dalla caduta di pesi noti e l’energia meccanica è dissipata in calore per attrito nel liquido.

• Il calore prodotto può essere misurato e rimosso in modo da riportare il liquido nelle condizioni iniziali.

Trasformazione Il sistema liquido ha subito una trasformazione ciclica durante la quale un lavoro L è stato compiuto dall’esterno sul sistema, e una quantità di calore Q rimossa. Risultato Il rapporto L/Q resta costante qualunque sia L (massa dei pesi).

7. Esperienza di Joule

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Generalizzazione dell’esperienza di Joule Lo stesso risultato si ottiene in qualunque esperienza analoga nella quale un sistema descrive una trasformazione ciclica in cui lavoro viene compiuto sul sistema e calore prodotto: il rapporto L/Q resta costante qualunque sia L .

Equivalente meccanico della caloria

Si può quindi parlare di un equivalente meccanico della caloria J, e si può scrivere fra lavoro speso e quantità di calore prodotta in una trasformazione ciclica la relazione :

Dimensioni fisiche e unità di misura del calore

Il calore ha le stesse dimensioni fisiche dell’energia; l’ unità di misura nel S.I. è il Joule.

Convenzione sul calore scambiato dal sistema

8. Calore ed energia

cal

jouleJJQL 1868.4

0Q se assorbito dal sistema

0Q se ceduto dal sistema all’ambiente esterno

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9. Primo principio della termodinamica

A

B

p

V

Il lavoro L compiuto dal sistema e il calore Q scambiato dal sistema con l’esterno dipendono dalla trasformazione seguita

L’energia totale scambiata con l’esterno Q - L non dipende dalla trasformazione, ma solo dagli estremi A e B della trasformazione

Lavoro e calore non sono funzioni di stato Si può introdurre una funzione di stato U, detta energia interna U, tale che UB – UA = Q – L

Non si può parlare di lavoro e di calore contenuti in un corpo in un certo stato, ma solo di calore scambiato e di lavoro effettuato dal sistema durante una trasformazione

Si può parlare di una energia totale (energia interna) del sistema in un determinato stato termodinamico.

Un sistema termodinamico compie diverse trasformazioni (reversibile o no) dallo stesso stato iniziale A allo stesso stato finale B. Sperimentalmente si trova che:

Enunciato Per un sistema termodinamico esiste una funzione di stato, energia interna, la cui variazione quando il sistema passa da uno stato A ad uno stato B dipende solo dagli stati iniziale e finale e non dalla trasformazione seguita: tale variazione è pari all’energia scambiata con l’esterno tramite il flusso di calore ed il lavoro.

Espressione analitica

trasformazione finita: trasformazione elementare:

LQUU AB dLdQdU

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10. Il significato del primo principio della termodinamica

Quando un sistema termodinamico compie una trasformazione da uno stato A a uno stato B, il bilancio Q - L dell’energia (termica e meccanica) che esso scambia con l’ambiente non va in generale in pareggio (Q - L ≠ 0). Lo sbilanciamento Q - L viene tuttavia compensato da una variazione dell’energia (interna) accumulata dal sistema

Se l’energia complessivamente ricevuta dal sistema è maggiore di quella ceduta (Q - L > 0) l’energia interna aumenta di una quantità pari proprio a Q - L.

Se l’energia estratta dal sistema è maggiore di quella che esso ha ricevuto (Q - L < 0), la differenza è stata fornita dal sistema, la cui energia interna è diminuita di una pari quantità.

In definitiva il primo principio rappresenta il principio di conservazione dell’energia anche in presenza scambi di quantità di calore e di trasformazioni di calore in altre forme di energia e viceversa. Il primo principio si può enunciare dicendo che l’energia dell’universo resta costante.

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11. Espansione libera di un gas perfetto

0L

0Q

cost.0 D ULQU

)(TUU

cost.T

Il gas si espande liberamente

Il sistema è adiabatico

gas

Conseguenze • Per i gas si hanno due variabili di stato indipendenti ad

es. T, V. Quindi tutte le grandezze si posso esprimere mediante queste variabili, in particolare U(T,V).

• Nell’espansione libera U resta costante, mentre V varia e T resta costante.

Legge di Joule L’energia interna di un gas perfetto è indipendente dal suo volume, ed è funzione esclusivamente della temperatura.

Esperienza di Joule Un gas perfetto, inizialmente contenuto nel recipiente A, può espandersi liberamente nel recipiente B (inizialmente vuoto) aprendo il rubinetto C. Tutto il sistema è posto in un bagno termometrico termicamente isolato dall’esterno. Risultato sperimentale Nell’espansione libera di un gas perfetto la temperatura resta costante

A B

C

bagno

termometrico

vuoto

Applicazione del primo principio

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12. Calori molari

dT

dQ

ncdTncdQ P

PPP

1

dT

dQ

ncdTncdQ V

VVV

1

calore molare a pressione costante

calore molare a volume costante

Calore molare a volume e a pressione costante

dT

dQ

mcmcdTdQ

1 calore specifico

Calore specifico

dUpdVdUdLdUdQ V (dal primo principio della termodinamica)

)(TUU (dalla legge di Joule)

dT

TdU

ncV

)(1 dTncdU V calore molare a volume costante

per un gas perfetto

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dLdQdU

pdVdL

dTncdU V

)( dnpdVdL

nRTpV

Le trasformazioni dei gas perfetti possono essere studiate con le seguenti equazioni

(primo principio della termodinamica)

(legge di Joule)

(Equazione di stato dei gas perfetti)

(Lavoro delle forze di pressione dei gas dei perfetti)

13. Primo principio delle termodinamica per i gas perfetti

dTRcnnRdTdTncdQ

nRdTpdVtPsenRTpV

pdVdTncdLdUdQ

VVP

V

)(

.cos

Rcc VP

Relazione di Mayer

I pr. per una trasformazione elementare di un gas perfetto

I pr. per una trasformazione elementare a pressione cotante di un gas perfetto

dall’equazione di stato dei gas perfetti

dTncdQ PP

pdVdQdTncV

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14. Trasformazione isobara reversibile di un gas perfetto

)()( AB

B

A

AB

B

A

TTnRdTnRLVVpdVpLnRdTpdVdL

)( ABV

B

A

VV TTncdTncUdTncdU D

)()( ABp

B

A

pPVV TTncdTncQdTncdTRcnnRdTdTncdLdUdQ

p

V VA VB

A B

.cos tp

)())(( ABPABV TTncTTRcnLUQ D

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15. Trasformazione isocora reversibile di un gas perfetto

00 LpdVdL

)( ABV

B

A

VV TTncdTncUdTncdU D

)( ABV

B

A

VV TTncdTncQdTncdUdLdUdQ

p

V

pA

pB

A

B

.cos tV

)( ABV TTncULUQ DD

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16. Trasformazione isoterma reversibile di un gas perfetto

p

V

pB

pA

B

A

.cos tT

VA VB

A

B

B

AV

VnRT

V

dVnRTL

V

dVnRTpdVdL ln

00 D UdTncdU V

A

B

B

AV

VnRT

V

dVnRTQ

V

dVnRTdLdLdUdQ ln

A

B

V

VnRTLLUQ lnD

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17. Trasformazione adiabatica reversibile di un gas perfetto

p

V

pB

pA

B

A

VA VB

)( ABV

B

A

VV TTncdTncLdTncdUdQdL

)( ABV

B

A

VV TTncdTncUdTncdU D

00 QdQ

Vc

R

B

A

A

B

B

AV

B

AV

VV

V

T

T

V

dV

c

R

T

dT

V

dV

c

R

T

dT

V

dVnRTpdVdTncdLdQdU

lnln

B

Ac

c

B

Ac

cR

B

Ac

R

B

A

A

Bc

R

B

A

AA

BBc

R

B

A

A

B

V

V

V

V

V

V

V

V

p

p

V

V

Vp

Vp

V

V

T

T V

P

V

V

VVV

1

tpVVpVp BBAA cos

V

P

c

c

)( ABV TTncUUQL DD

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Trasformazioni di stato Le trasformazioni termodinamiche possono anche comportare una variazione di struttura del sistema, sia per un cambiamento dello stato di aggregazione (transizioni di fase), che per un cambiamento nella composizione chimica (processi chimici o biochimici).

Transizioni solido-liquido

Il cambiamento dallo stato solido allo stato liquido avviene in generale per valori della temperatura e della pressione ben determinati e tra loro interdipendenti. Durante la fusione (o la solidificazione) la temperatura rimane costante ed il corpo assorbe (o cede) una quantità di calore proporzionale alla massa m che ha già subito la trasformazione:

Tensione di vapore Si definisce tensione di vapore di un liquido, ad una certa T, la pressione che a quella T esercita il vapore saturo, cioè il vapore in equilibrio con il proprio liquido. Se il liquido è in equilibrio con il proprio vapore non si ha evaporazione, se il vapore del liquido viene continuamente allontanato dalla superficie libera del liquido (es. liquido in aria), il liquido continua a evaporare con una velocità dipendente dalla differenza fra la tensione di vapore del liquido e la pressione esterna.

Ebollizione La tensione di vapore è una funzione crescente della temperatura. Quando essa raggiunge il valore della pressione esterna si ha l’ebollizione del liquido, cioè la trasformazione di stato vera e propria, che interessa tutto il liquido e non soltanto la superficie, come nel caso dell’evaporazione. Il calore latente di evaporazione ev. è una funzione decrescente della temperatura.

18. Trasformazioni di stato

mQ = calore latente di fusione (o solidificazione), dipende dalla natura della sostanza e dalla temperatura di fusione (e quindi anche dalla pressione) . Per il giacchio, a T=0°C e p=1atm., f =80 cal/g

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19. Isoterme di un gas reale

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20. Secondo principio della termodinamica

Esistono tutta una serie di processi in cui intervengono scambi di quantità di calore o trasformazioni di calore in altre forme di energia, che pur soddisfacendo il primo principio (conservazione dell’energia), non avvengono mai nella realtà. Queste limitazioni sono l’oggetto del secondo principio delle termodinamica. Questo principio può essere espresso in varie maniere, ciascuna delle quali pone in evidenza un aspetto diverso con cui tali limitazioni si manifestano. E’ possibile però dimostrare che tutte queste espressioni si equivalgono, giacché una porta di conseguenza l’altra.

Enunciato di Kelvin

E’ impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia soltanto quello di trasformare in lavoro il calore estratto da una sorgente termica

Enunciato di Clausius

E’ impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia soltanto quello di trasferire una quantità di calore da un corpo ad un altro a temperatura maggiore.

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21. Il significato del 2° principio

Il 2° principio riconosce il fatto che molti processi avvengono spontaneamente in un verso ben preciso e che in tal caso essi sono intrinsecamente irreversibili nel senso che non è possibile realizzare una combinazione di processi naturali che ripristini esattamente lo stato iniziale del sistema. Esempio 1 Il passaggio di quantità di calore da un corpo caldo a un corpo freddo avviene spontaneamente dal corpo caldo a quello freddo ed il II principio afferma l’impossibilità di invertire il processo. Esempio 2 In un pendolo portato fuori dalla posizione di equilibrio e lasciato a se stesso, il processo naturale è quello delle oscillazioni smorzate fino al ritorno all’equilibrio (quiete) con produzione di calore per attrito e resistenze passive. Il processo non può avvenire in verso opposto: esso richiederebbe un lavoro ottenuto per trasformazione di quantità di calore prelevate dall’ambiente (sorgente a T cost.) e ciò e vietato dal II principio.

T1 T2

Trasformazioni reali In una qualsiasi trasformazione reale c’è sempre trasformazione di una quantità di energia di altra specie in calore: esse risultano irreversibile giacché per il II principio la trasformazione inversa non può essere realizzata. Le limitazioni espresse dal II principio sono legate alle cause che rendono i processi reali irreversibili e che di conseguenza fissano il verso delle trasformazioni spontanee dei sistemi.

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Trasformazioni reversibili Una trasformazione reversibile può essere considerata come la somma di tante trasformazioni reversibili elementari in cui il sistema, alla stessa temperatura T della sorgente esterna, scambia con questa una quantità di calore dQ . Nella trasformazione elementare reversibile:

• La quantità di calore elementare dQ che il sistema riceve è pari a quella fornita dalle sorgente esterna. • La temperatura del sistema in questo processo coincide con quella della sorgente esterna .

Entropia

Il calore Q non è una funzione di stato: fissati gli stati iniziale e finale del sistema il calore scambiato dal sistema con l’ambiente esterno dipende dalla particolare trasformazione fra questi stati. La somma delle quantità dQ/T, lungo tutta la trasformazione reversibile, è indipendente dalla trasformazione e dipende solo dallo stato iniziale e dallo stato finale. E’ possibile allora introdurre una funzione di stato, l’entropia S, definita in modo che la sua variazione fra due stati sia uguale a quella sommatoria: In termini differenziali

B

A rev

ABT

dQSS

22. Entropia

revT

dQdS

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Caratteristica delle trasformazioni irreversibili elementari

1. Esistenza di processi dissipativi, come l’attrito, che provocano trasformazioni di energia meccanica, elettrica, ecc., in energia termica (calore).

La quantità di calore totale dQtot ricevuta dal sistema è pari alla somma di quella ricevuta dalla sorgente esterna (dQest) e quella prodotta (dQdiss > 0) nel suo interno per trasformazioni di altri tipi di energia.

2. Esistenza di una differenze di temperatura fra sorgente e sistema.

La temperatura della sorgente (Tsorg) è maggiore di quella del sistema (Tsist), se il le quantità di calore sono cedute al sistema, è invece minore, se il le quantità di calore sono cedute dal sistema.

Disequazione di Clausius

• Per trasformazioni irreversibili elementari in cui il sistema assorbe calore ( dQest > 0, Tsist = Tsorg-|DT| )

• analogamente per trasformazioni irreversibili elementari in cui il sistema cede calore ( dQest < 0, Tsist = Tsorg +|DT| )

B

A irr

ABT

dQSS

23. Disequazione di Clausius

irrirrirrsorg

est

irrsorg

dissest

irrsist

tot

T

dQdS

T

dQ

T

dQ

TT

dQdQ

T

dQdS

D

irrirrirrsorg

est

irrsorg

dissest

irrsist

tot

T

dQdS

T

dQ

T

dQ

TT

dQdQ

T

dQdS

D

• ed in generale, per trasformazioni irreversibili finite

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Nelle trasformazioni reversibili l’entropia di un sistema isolato resta costante Nelle trasformazioni irreversibili l’entropia di un sistema isolato aumenta

24. Entropia nei sistemi isolati

ABAB SSSSdQ 00

ABAB SSSSdQ 00

Il sistema e l’ambiente esterno (universo) costituiscono un sistema isolato. Siccome le trasformazioni reali sono tutte irreversibili si può dire che “le trasformazioni avvengono spontaneamente nel verso per cui l’entropia dell’universo aumenta, e non possono avvenire mai spontaneamente nel verso opposto provocando una diminuzione di entropia dell’universo”. Se per il primo principio della termodinamica, l’energia dell’universo è costante, il secondo principio della termodinamica equivale ad affermare che l’entropia dell’universo cresce continuamente.

B

A rev

ABT

dQSS

B

A irr

ABT

dQSS

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B

A revrevAB

T

dQSS

B

A irrirrAB

T

dQSS

25. Integrale di Clausius e entropia

A

B rev.

rev.

irrev.

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• Un gas perfetto (n moli) compie una trasformazione da uno stato A ad uno stato B. • La variazione di entropia del gas non dipende dalla trasformazione, né dal fatto che essa sia reversibile o no,

ma solo dallo stato iniziale A e dallo stato finale B. • Per calcolare la variazione di entropia del gas si considera una qualsiasi trasformazione reversibile fra A e B e si

applica la formula Utilizzando il primo principio e l’equazione di stato si ottiene

B

A rev

ABT

dQSS

pdVdTncdLdUdQ V

V

dVnR

T

dTncdV

T

p

T

dTnc

T

dQVV

A

B

A

BV

B

A

B

A

V

B

A rev

ABV

VnR

T

Tnc

V

dVnR

T

dTnc

T

dQSS lnln

26. Entropia nei gas perfetti

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Capitolo 6:

Elementi di

ELETTROMAGNETISMO

6.1 - Campo elettrico e campo magnetico 6.2 - Onde elettromagnetiche 6.3 - Le radiazioni in medicina

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6.1 Campo elettrico e campo magnetico

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Particella Massa (kg) Dimensioni (m) Carica elettrica (Coulomb, C)

Protone mp = 1.6725210- 27 10- 15 e = 1.610-19

Neutrone mn = 1.6748210- 27 10- 15 0

Elettrone me = 0.9109110- 30 < 10- 16 -e = -1.610-19

1212 rrr

122

21

0

122

2112

ˆ4

1ˆ r

r

qqr

r

qqKf el

1212 rrr

122

2112 r

r

mmGf gr

mr 10105.0 39

3027

219

11

92

12

12 10100.91101.67

)106.1(

107.6

109

ep

gr

el

mm

e

G

K

f

f

1. Carica elettrica, legge di Coulomb

Particelle elementari

Interazione di due cariche puntiformi nel vuoto (legge di Coulomb)

q1 q2

m1 m2 (G = 6.710-11 Nm2kg-2)

(K = 9109 Nm2C-2)

Legge di Newton

Confronto: atomo di idrogeno

prot. elettr.

0 = costante dielettrica del vuoto

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Una carica puntiforme Q (ferma in un sistema inerziale) esercita su una carica q0 molto piccola posta nelle sue vicinanze (carica di prova) una forza proporzionale alla carica elettrica di prova q0 Il rapporto fra questa forza e il valore della carica di prova è indipendente dalla carica di prova, e dipende solo dalla carica Q e dalla posizione occupata dalla carica di prova. Questo rapporto definisce il vettore campo elettrico generato dalla carica Q (detta sorgente del campo) nella posizione considerata: Nel caso in cui la sorgente del campo non sia una carica puntiforme, ma un insieme discreto o una distribuzione continua di cariche (ferme in un sistema inerziale), il campo si definisce allo stesso modo utilizzando però una carica di prova così piccola (infinitesima) in modo da produrre una perturbazione trascurabile nella configurazione delle cariche circostanti: La carica di prova può infatti provocare spostamenti macroscopici delle cariche presenti su un conduttore (fenomeno dell’induzione elettrostatica) o modificazioni localizzate nelle distribuzioni di cariche negli isolanti (fenomeno della polarizzazione).

2. Campo elettrico

)(ˆ4π

12

00

rErr

Q

q

F0

q

FE

q

0lim

rr

QqF ˆ

4

12

0

0

rrr ˆ

Q q0

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rr

qQF ˆ

4

12

0

3. Il campo elettrico in condizioni stazionarie è conservativo

20100

2

0

,

2

0,

2

0,,

0

,

1

4

1

4

1

44

ˆ

4

1

2

1

2

1

2

1

2

1

2

1

2

1

21

r

Q

r

Q

r

Q

r

drQ

r

ldrQldr

r

Qld

q

FldE

q

L

r

r

r

r

P

P

P

P

P

P

P

P

PP

Il campo elettrico generato da una carica Q è conservativo: la forza esplicata da una carica Q su una carica di prova q unitaria è conservativa

Per il principio di sovrapposizione, il campo elettrico generato da una distribuzione di cariche fisse è conservativo

P2

rQ

ldr dr

drrld ˆ

P1

F

q

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Potenziale elettrico generato da una carica puntiforme Q In ogni punto dello spazio possiamo definire una energia potenziale per unità di carica V(x,y,z,) detta potenziale elettrico utilizzando la relazione Scegliamo P0 infinitamente lontano dalla carica sorgente Q dove la forza elettrostatica ed il campo elettrico si annullano, e poniamo nulla l’energia potenziale in questo punto Risulta:

Unità di misura

r

QV

r

Q

r

QPVldEPV

P

P 0000

004

1)(

1

4

1

4)()(

0

4. Potenziale elettrico

00 ; rPP 0)()( 0 VPV

)()()()( 000

00

PVldEPVPVPVldE

P

P

P

P

0

P r Q

)(VVoltCoulomb

Joule

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Flusso (legge di Gauss) Il flusso del campo elettrico E0 attraverso una qualsiasi superficie chiusa S è pari al prodotto di 0 per la somma algebrica delle carche elettriche contenute all’interno della superficie.

• Le sorgenti del campo (cariche) possono essere localizzate mediante il flusso di E0 attraverso una superficie chiusa.

5. Il flusso del campo elettrico

S

QSdE

0

0

dS

n

0E

cosˆ

000 dSEdSnESdEd

0E

ndS

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A

Definizione di circuitazione Dato un vettore F, si definisce circuitazione di F lungo una linea chiusa l, l’integrale

Circuitazione del campo elettrostatico

In condizioni stazionarie, la circuitazione di E0 lungo una qualsiasi linea chiusa l è nulla.

• Dimostrazione

• Il campo elettrico, in condizioni stazionarie, è conservativo.

0

2121 ,,,,

B

lA

o

B

lA

o

A

lB

o

B

lA

ol

o ldEldEldEldEldE

0lo ldE

l

l1

l2

B

6. La circuitazione del campo elettrico

0lldF

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Corrente elettrica Se un conduttore metallico è immerso in un campo elettrico si stabilisce ai sui capi una differenza di potenziale DV=VA-VB e le cariche libere (di conduzione) nel conduttore sono soggette ad una forza qE. Si stabilisce un moto ordinato di cariche nella direzione del campo (corrente elettrica).

Intensità di corrente elettrica

Si definisce intensità di corrente il rapporto fra la carica dQ che attraversa una qualsiasi sezione del conduttore nel tempo dt, e l’intervallo dt

Generatori Esistono dei dispositivi che sono in grado di mantenete costante la differenza di potenziale ai capi del conduttore. In questo caso la corrente che lo attraversa è costante nel tempo (corrente stazionaria I ).

Unità di misura

7. Corrente elettrica

dt

dQI

+ + + + + + +

- - - - - - -

EqF

E

VA VB

)(AAmperes

Coulomb

+ -

I

VA VB

A B

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Legge di Ohm In condizioni stazionarie, per una vasta varietà di conduttori (conduttori ohmici) esiste una relazione di proporzionalità fra DV e I: La costante di proporzionalità R prende il nome di resistenza elettrica del conduttore.

Resistenze in serie Resistenze in parallelo

R

I

8. Legge di Ohm

RIV D Schema di un semplice circuito costituito da un conduttore di resistenza R e da un generatore di forza elettromotrice

21 RRI

VV

I

VV

I

VVR BCCABA

21

2121 111

RRVV

I

VV

I

VV

II

VV

I

R BABABABA

R1 R2

R1

R2

- +

A B C

A B

I2

I1

I

I

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Forza di Lorentz e campo magnetico Diciamo che i circuiti percorsi da corrente generano nello spazio circostante un campo B0 (detto campo magnetico) dipendente dalla posizione, il quale determina sulla carica q dotata di velocità v una forza F (detta forza di Lorentz) data dalla legge:

Unità di misura del campo magnetico

Osservazioni sperimentali In un sistema di riferimento (laboratorio) siano presenti uno o più circuiti fermi e percorsi da corrente stazionaria, ed una carica q dotata di velocità v. Si osserva sperimentalmente che la carica è soggetta ad una forza:

• dipendente dalla posizione • perpendicolare alla velocità • modulo proporzionale alla carca q • modulo proporzionale al modulo v della velocità • in ogni posizione il modulo di F dipende dall’orientamento di v: c’è

sempre una direzione di v per cui F si annulla; la direzione di v per cui la forza è massima è perpendicolare alla direzione per cui la forza è nulla

9. Campo magnetico

),,(0 zyxBvqF

)(11 TTeslasmNC

v

I

q

+

-

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tr

IrB ˆ

2)( 0

0

IniB 00ˆ

Filo rettilineo percorso da corrente

Solenoide (all’interno del solenoide)

Spira circolare (nel centro della spira)

nr

IrB ˆ

2)( 0

0

r

r

10. Espressione del campo magnetico per alcuni semplici circuiti

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Flusso Il flusso del campo magnetico B0 attraverso una qualsiasi superficie chiusa S è sempre nullo:

• Non esiste un monopolo magnetico isolato (equivalente della carica elettrica). Il circuito più semplice, una piccola spira circolare percorsa da corrente stazionaria, equivale ad un dipolo elettrico.

• Le linee di flusso del campo B0 sono sempre linee chiuse. • Data una qualsiasi superficie chiusa il numero di linee di flusso entranti è sempre uguale al numero di linee di

forza uscenti.

11. Il flusso del campo magnetico

S

SdB 00

Linee di flusso del dipolo elettrico Linee di flusso di una spira percorsa da corrente (dipolo magnetico)

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Circuitazione (teorema di Ampere) In condizioni stazionarie, la circuitazione di B0 lungo una qualsiasi linea chiusa orientata l è pari al prodotto di 0 per la somma algebrica delle intensità delle correnti concatenate con la linea.

• Il campo magnetico non è conservativo. • le sorgenti del campo (correnti) possono essere localizzate mediante la circuitazione di B0.

12. La circuitazione del campo magnetico

IldBl

o 0

l

I1

I2

I3

321 IIII

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13. Campi elettrici e magnetici variabili nel tempo

SdBt

ldEl S

d

d-

l SSd

t

EIldB

0

0

Fenomeno dell’induzione elettromagnetica Un filo conduttore (non alimentato) immerso in un campo magnetico viene percorso da corrente elettrica quando: - è fremo in un campo magnetico variabile nel tempo - è in moto in un campo magnetico costante nel tempo e non uniforme nello spazio - è In moto non traslatorio in un campo magnetico costante e uniforme

Legge di Faraday (terza equazione di Maxwell) Un campo magnetico B0 variabile nel tempo genera un capo elettrico (campo elettromotore indotto Ei) tale che “la circuitazione di Ei lungo una linea chiusa orientata l è pari alla derivata rispetto al tempo, cambiata di segno, del flusso del campo magnetico B0 attraverso una qualsiasi superficie S che ammette l come contorno”.

Quarta equazione di Maxwell Un campo elettrico E0 variabile nel tempo genera un capo magnetico B0 tale che “la circuitazione di B0 lungo una qualsiasi linea chiusa orientata l è pari al prodotto di 0 per la somma algebrica delle intensità delle correnti concatenate con la linea, inclusa la corrente di spostamento data dal flusso della derivata temporale di E attraverso una qualsiasi superficie S che ammette l come contorno”.

B

S

E

E

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6.2 Onde elettromagnetiche

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1. Onde elettromagnetiche

Indice di rifrazione di un mezzo In un mezzo materiale un’onda elettromagnetica si propaga con una velocità v < c. Il rapporto c/v > 1 prende il nome di indice di rifrazione del mezzo:

Onde elettromagnetiche Il campo elettromagnetico può propagarsi nel vuoto sotto forma di onde trasversali (onde elettromagnetiche): Il campo elettrico e magnetico oscillano mantenendosi perpendicolari fra loro e alla direzione di propagazione dell’onda.

smc /103 8Velocità della luce

La velocità c delle onde elettromagnetiche nel vuoto è una costante universale

c

TcT

1

v

cn

Linea che mostra la velocità della luce in un modello in scala. Dalla terra alla luna, 384 400 km, la luce impiega circa 1,280 888 6126 secondi considerando la distanza media centro terra/centro luna.

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• Quando interagisce con un altro sistema, un’onda elettromagnetica di frequenza può soltanto cedere o ricevere una quantità di energia che sia un multiplo intero dell’energia h del fotone. Le onde elettromagnetiche vengono quindi emesse o assorbite dalla materia sempre sotto forma di fotoni:

– L’assorbimento di un fotone fa passare l’atomo, o la molecola, da un livello fondamentale (di energia E1) a un livello eccitato (energia En), cedendogli tutta la propria energia:

– Una volta eccitato, l’atomo torna spontaneamente al livello fondamentale. La

diseccitaizone può avvenire in un salto unico o con una successione di passaggi a livelli energetici sempre più bassi: ad ogni transizione fra due stati i e j (di energia Ei ed Ej, con Ei > Ej) corrisponde l’emissione di un fotone la cui energia è pari alla differenza di energia dei livelli fra cui avviene la transizione:

• L’energia E trasportata da un’onda elettromagnetica monocromatica di frequenza può assumere solo valori discreti, multipli interi di un valore elementare , l’energia del fotone, proporzionale alla frequenza dell’onda:

2. Il fotone

sJ1062.6 34 hhnE (h = costante di Planck)

ji EEh

hEEn 1

Il fotone L’interazione della radiazione elettromagnetica con la materia può essere descritta in termini di una particella elementare, il fotone, definito come il quanto della radiazione elettromagnetica e il mediatore dell’interazione elettromagnetica.

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Lunghezza d’onda

La lunghezza d’onda si esprime tipicamente in metri

Frequenza L’elettronvolt Energia

3. Legame fra frequenza, lunghezza d’onda ed energia del fotone

)(

103)(

1 8

mHz

c

T

J1919 106.1Volt1Coulomb106.1eV1

)(104.14)( 15 HzeVEhE

)(

1024.1)(

)(

104.14/103)(

6158

meVE

m

seVsmeVE

hchE

seV104.14seV106.1

1062.6 15

19

34

h

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4. Lo spettro delle onde elettromagnetiche

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6.3 Le radiazioni in Medicina

(da Scannicchio, Fisica Medica, Edises )

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Assorbimento nei tessuti L’assorbimento nei tessuti è determinato da una legge di tipo esponenziale.

I(x) = intensità che perviene alla profondità x del corpo I0 = intensità incidente sulla superficie D = spessore corrispondente all’assorbimento del 63% della radiazione incidente

Sperimentalmente si osserva che l’assorbimento delle microonde è legato alla quantità di acqua presente nei tessuti e che la produzione di calore conseguente è determinata dall’interazione del campo elettrico variabile delle microonde ed il momento di dipolo elettrico della molecola dell’acqua: il suo continuo ri-orienamento e allineamento, lungo il campo elettrico variabile, causa un assorbimento di energia da parte della molecola e quindi del tessuto, con produzione di calore. D è funzione della frequenza ed ha valori molto diversi in tessuti con differente contenuto di acqua.

1 Le microonde

Produzione Questa radiazione viene ottenuta mediante l’impiego di circuiti oscillanti e di speciali valvole o tubi elettronici (klystron, magnetron)

Interazione con la materia

Quando le microonde attraversano un materiale producono oscillazioni di ioni e particelle cariche il cui moto causa per attrito il riscaldamento del materiale stesso.

(Hz) E

1 m - 1 mm 300 MHz - 300 GHz ≈ 1 eV - 1 meV

DxeIxI /0)(

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2 Effetti biologici ed applicazioni delle microonde

Effetti biologici L’effetto più rilevante delle microonde sul corpo umano è quello termico (diatermia).

Utilizzo a scopo terapeutico L’effetto termico viene utilizzato per produrre il riscaldamento di regioni limitate del corpo umano. Poiché queste radiazioni penetrano abbastanza profondamente nel corpo, si riesce ad ottenere il riscaldamento di zone profonde senza che l’epidermide raggiunga temperature troppo elevate. Vengono così curate artriti, borsiti e lesioni muscolari. Le apparecchiature per diatermia utilizzano microonde (in genere con pari a circa 2450 MHz) che sono indirizzate sulla regione del corpo da trattare mediante piccole antenne poste in un riflettore semisferico che permette di focalizzare le onde in una regione limitata. Il riflettore viene situato ad alcuni centimetri dal corpo per evitare i pericoli di bruciature, sempre possibili nell’uso di elettrodi a contatto con la pelle.

Danno biologico La sovraesposizione alle microonde può causare danni, in particolare agli occhi e ai testicoli. A causa di questi pericoli, è fissato un limite di intensità, pari a 10 mW/cm2, per l’esposizione alle microonde per lunghi periodi di tempo. A titolo di confronto, questo limite è solo un decimo della massima potenza radiante solare che può essere assorbita dal corpo umano (100 mW/cm2).

Altre applicazioni • Comunicazioni satellitari • Telefonia mobile, bluetooth, Wi-fi • Radar • Forno a microonde

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3 La radiazione infrarossa

(Hz) E

1 mm – 0.7 m 3 · 1011 – 4.3 · 1014 Hz 1.24 · meV – 1.77 eV

Produzione: Transizioni molecolari ed emissione termica da sorgenti ad alta temperatura.

Emissione termica Nella materia il moto di agitazione termica genera: • un moto disordinato di particelle cariche (protoni ed elettroni): cariche elettriche in moto accelerato producono onde

elettromagnetiche. • transizioni fra livelli energetici molecolari dal livello fondamentale ad un livello eccitato: nel processo di diseccitazione

vengono emessi uno o più fotoni la cui energia è pari alla differenza di energia fra i livelli energetici. Il processo di emissione termica è regolato dalle leggi di Stefan e Wien:

Legge di Stefan L’energia radiante emessa in un secondo da un elemento di area unitaria della superficie di un corpo è direttamente proporzionale alla quarta potenza della temperatura assoluta ( = 1.36∙10-12 cal∙cm-2∙ s-1∙ K-4):

Legge di Wien La lunghezza d’onda per la quale l’emissione raggiunge il massimo d’intensità è inversamente proporzionale alla temperatura assoluta (k= 2.897∙10-3 m∙K):

4TI

1max

kT

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• La produzione di radiazione X per emissione termica comporta temperature elevatissime: dalla legge di Wien per 1 nm ≤ ≤ 1 pm si ottiene 3∙106 ≤ T ≤ 3∙109 . Queste temperature sono raggiungibili solo in alcune stelle (sorgenti X stellari).

• Alla temperatura del corpo umano (≈ 37 °C) si ottiene max = 9.3 m. Il corpo umano emette energia termica nell’infrarosso, tuttavia l’intensità della radiazione emessa è molto bassa: dalle legge di Stefan si ottiene I = 1.25 ∙10-2 cal∙cm-2∙ s-1

• Quando un metallo viene riscaldato diventa lumisoso indicando che parte della radiazione emessa cade nel visibile. Inoltre, la colorazione dei corpi incandescenti passa dal rosso, all’arancio ed al bianco, man mano che si aumenta la temperatura, indicando che il massimo d’intensità della radiazione emessa si sposta verso le lunghezze d’onda minori all’aumentare di T.

• Il sole ha uno spettro di emissione che è ben approssimato da quello di una sorgente ideale che si trova a circa T=5800 K a cui corrisponde max = 0.5 m. Il massimo di emissione si ha nel visibile.

sole lampada da infrarosso

lampadina

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Effetti biologici Il corpo umano percepisce la radiazione infrarossa sotto forma a di calore. L’effetto della radiazione sul corpo umano è puramente termico: la radiazione infrarossa attraversando un tessuto produce oscillazioni di ioni e particelle cariche il cui moto causa per attrito il riscaldamento del materiale stesso. • per il vicino infrarosso ( ≈ 0.7 m) la penetrazione è di alcuni cm • il lontano infrarosso ( > 1.4 m) viene assorbito completamente dagli strati superficiali dell’epidermide

Utilizzo a scopo terapeutico L’effetto termico (diatermia) può essere utilizzato per produrre il riscaldamento di regioni limitate del corpo umano. Viene tipicamente impiegato per il trattamento di artriti, borsiti, lesioni muscolari. • Se si vuole eseguire una terapia termica in profondità bisogna utilizzare lampade con filamento ad alta

temperatura (3000 K). • Le sorgenti a bassa temperatura (1200 K), come una stufa o una comune lampada al rosso, producono un

riscaldamento limitato alla superficie esterna del corpo, da dove poi il calore passa agli strati più profondi per conduzione.

Utilizzo per scopo diagnostico Mediante la fotografia all’infrarosso o la termografia è possibile ottenere una mappa delle temperature della superficie del corpo umano, sfruttando il calore emesso dall’organismo attraverso la cute sotto forma di radiazioni elettromagnetiche infrarosse. In questo modo è possibile: • Ottenere un’immagine del profilo dei vasi sanguigni superficiali, poiché essi si trovano ad una temperatura

superiore a quella dell’epidermide e pertanto emettono raggi infrarossi con maggiore intensità. In questo modo si possono valutare eventuali alterazioni del flusso del sangue.

• Localizzare un centro di infiammazione (del sistema muscolo scheletrico) o un tumore (della pelle, della mammella, o della tiroide), poiché esso è in generale caratterizzato da una temperatura locale superiore a quella del tessuto sano circostante.

Altre applicazioni • Visione notturna

4 Effetti biologici ed applicazioni della radiazione infrarossa

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5 La radiazione visibile

(Hz) E

0.7 m – 0.4 m 4.3 · 1014 Hz – 7.5 · 1014 Hz 1.77 eV – 3.1 eV

Ottica

I colori Le differenti lunghezze d'onda vengono interpretate dal cervello come colori, che vanno dal rosso delle lunghezze d'onda maggiori (frequenze più basse), al violetto delle lunghezze d'onda minori (frequenza più alte).

La luce Il termine luce (dal latino lux) si riferisce alla porzione dello spettro elettromagnetico visibile dall'occhio umano, ed è approssimativamente compresa tra 400 e 700 nanometri di lunghezza d'onda

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6 La radiazione ultravioletta (UV)

Produzione • Emissione termica da sorgenti ad altissima temperatura. • Eccitazioni atomiche (transizioni elettroniche esterne). • Lampade a fluorescenza, lampade UVA. • Radiazione solare.

E

0.4 m - 1 nm 7.5 · 1014 - 3 · 1017 Hz 3.1 eV - 1.24 keV

regione UVA UVB UVC

400-315 nm 315-280 nm 280-100 nm

Sottoclassificazione

Lampade a flouresecenza. In medicina si usano lampade contenenti un tubo di quarzo (che, contrariamente al vetro, è trasparente agli UV) contenente vapori di Hg. Il mercurio, eccitato da scariche elettriche, emette diseccitadosi una serie di righe nella regione spettrale del violetto e dell’ultravioletto, la più intensa delle quali ha = 253.7 nm. Le lampade sono rivestite da opportuni fosfori che si eccitano proprio per una di 253.7 nm e riemettono radiazione UV in uno spettro continuo con 270 ≤ ≤ 400 nm.

Lampade UVA. Sono lampade a fluorescenza il cui spettro è limitato fra 315 e 400 nm.

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Interazione con la materia L’energia dei fotoni della radiazione ultravioletta è sufficiente a produrre eccitazioni di atomi e molecole o addirittura la ionizzazione di atomi e la disintegrazione di grosse molecole. Quando interagisce con la materia, questa radiazione è in grado di causare, oltre ad un effetto termico, importanti effetti chimici .

Effetti biologici sulla pelle L’esposizione della pelle a radiazioni ultraviolette produce un eritema (dilatazione dei vasi sanguigni dovuta a sostanze prodotte dalla radiazione) seguito da un’abbronzatura (determinata da un pigmento che si deposita nei tessuti cutanei e che serve ad assorbire i raggi ultravioletti, proteggendo così gli strati sottostanti). Per inferiori a 320 nm, le radiazioni UV giocano un ruolo eziologico nella formazione del cancro della pelle.

Effetti biologici sugli occhi Gli occhi sono protetti dai raggi ultravioletti che vengono completamente assorbiti dalla cornea, dall’umor acqueo e dal cristallino. I danni agli occhi, causati da eccessiva esposizione ai raggi ultravioletti, per esempio sulla neve o sul ghiaccio, sono dovuti all’assorbimento di queste radiazioni da parte della cornea.

Attivazione della sintesi della vitamina D Nella pelle vengono prodotte delle sostanze come l’ergosterolo, le quali si trasformano in vitamina D in seguito all’assorbimento di radiazione ultravioletta nella regione spettrale di 300-250 nm, con un massimo a circa 280 nm.

Azione battericida Gli ultravioletti hanno una potente azione battericida (la cui efficacia è massima per ≈ 260 nm e si estende fino a circa 320 nm) conseguenza delle modifiche chimiche indotte dalla radiazione nel nucleo delle cellule batteriche.

Trattamento dell’epidermide in dermatologia Si utilizzano lampade UVA a fluorescenza il cui spettro di emissione è limitato fra 315 e 400 nm

Produzione di ozono nell’alta atmosfera terrestre Negli strati più elevati dell’atmosfera, la radiazione ultravioletta solare con < 180 nm è assorbita dall’ossigeno che viene così attivato e si trasforma in ozono. Le radiazioni con compresa fra 200 e 300 nm circa vengono a loro volta assorbite dall’ozono stesso.

7 Effetti biologici ed applicazioni della radiazione ultravioletta

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8 Raggi X

Produzione

• Nell’emissione termica i raggi X sono pressoché assenti, anche per temperature molto elevate del radiatore. • Nell’emissione caratteristica di atomi e di molecole, eccitate termicamente o con scariche elettriche, sono presenti

al massimo raggi UV. La differenza di energia tra il livello energetico fondamentale degli elettroni di valenza e gli stati eccitati degli elettroni di valenza è inferiore all’energia di un fotone X.

1. Per ottenere raggi X bisogna quindi produrre delle transizioni di elettroni da orbitali esterni agli orbitali più interni. 2. In alternativa bisogna generare elettroni liberi con un’energia cinetica molto più elevata di quella che si può

ottenere con una sorgente termica: elettroni liberi ad alta energia possono generare raggi X se vengono bruscamente frenati.

In medicina vengono utilizzati tubi a raggi X che fruttano entrambi questi processi.

(Hz) E

1 nm - 1 pm 3 · 1017 - 3 · 1020 Hz 1.24 · keV - 1.24 M eV

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• Gli elettroni giungono in A con un’energia cinetica pari al lavoro L=eDV compito dal capo elettrico

• Dall’urto degli elettroni con l’anodo vengono

prodotti raggi X attraverso due meccanismi distinti:

1. Radiazione di frenamento 2. Transizioni di elettroni fra gli orbitali atomici del

materiale dell’anodo.

Schema complessivo di un tubo a raggi X • All’interno di un tubo in cui viene fatto il vuoto sono presenti due elettrodi, anodo (A) e catodo (C). • Il catodo è costituito da un filamento (F) di metallo in cui viene fatta passa passare una corrente elettrica prodotta da

un generatore di bassa tensione GI. • L’anodo è formato da una piastra di materiale metallico (tipicamente tungsteno) con grande numero atomico Z,

elevata temperatura di fusione, buona conducibilità termica. • Fra A e C si stabilisce una d.d.p. elettrico molto elevata (fino a 1 MV), ottenuta utilizzando un grosso trasformatore

(T) che eleva al valore desiderato la d.d.p. di 220 volt fornita della rete di distribuzione

Funzionamento di un tubo a raggi X • Sul filamento viene fatta passare una corrente elevata in modo da farlo diventare incandescente per effetto Joule. • Gli elettroni di conduzione raggiungono un’energia cinetica media di agitazione termica superiore all’energia di

legame al metallo, provocando cosi la loro emissione dal metallo stesso (effetto termoionico). • Gli elettroni emessi dal filamento si trovano nel campo elettrico uniforme E generato dalla d.d.p. DV fra A e C, e sono

quindi soggetti ad una forza F=eE che li fa muovere di moto uniformemente accelerato verso A.

Vemv D2

2

1

9 Il tubo a raggi X

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Radiazione di frenamento

• L’elettrone urtando ad alta velocità l’anodo penetra in esso e viene bruscamente frenato dall’interazione con gli elettroni atomici e deviato dai nuclei degli atomi del materiale.

• Nel processo di frenamento l’elettrone emette energia raggiante e l’energia cinetica persa dall’elettrone si trasforma in fotoni. A seconda della rapidità con cui l’elettrone viene frenato si può avere la produzione di uno o più fotoni.

• I fotoni emessi per frenamento possono avere tutte le frequenze (o energie) possibili fino a una frequenza massima che corrisponde al processo in cui tutta l’energia cinetica di un elettrone viene trasformata in un unico fotone:

Veh Dmax

10 La radiazione di frenamento

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Parametri di controllo della radiazione di frenamento

• Per far variare l’energia dei fotoni basta agire sul potenziale acceleratore DV.

• Per incrementare l’intensità del fascio, bisogna incrementare il numeri elettroni che bombardano l’anodo. Ciò si ottiene aumentando l’emissione termoionica mediante un aumento della temperatura del filamento provocata da un aumento della corrente che attraversa il filo catodico.

• Per un dato valore della d.d.p DV fra anodo e catodo, non tutti gli elettroni emessi dal filamento raggiungono l’anodo. Aumentando DV un sempre maggior numero di elettroni raggiunge l’anodo. Si può dunque aumentare l’intensità dei raggi emessi anche incrementando DV.

• In questo modo si ottengono facilmente fasci di raggi X con energie ed intensità variabili (es. in figura: anodo di tungsteno).

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Transizioni di elettroni fra gli orbitali atomici del materiale dell’anodo.

• L’elettrone che colpisce l’anodo possiede abbastanza energia da espellere per urto un elettrone che si trova in un orbitale interno di un atomo dell’anodo, lasciando l’orbitale corrispondente privo di un elettrone.

• L’orbitale lasciato libero viene subito occupato da un elettrone di un orbitale più esterno, che nella transizione emette un fotone X di energia h pari alla differenza di energia tra i due orbitali (h

=E1-E2).

• Allo spettro continuo di frenamento si sovrappone un’emissione di raggi X a frequenze ben definite, cioè uno spettro a picchi molto stretti che prendono il nome di righe spettrali.

21 EEh

11 Raggi X caratteristici

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• Le frequenze di queste righe sono determinate dal materiale usato come anodo e dalle energie degli orbitali coinvolti. Se si considera una stessa transizione atomica, la frequenza è funzione del numero atomico Z dell’elemento che costituisce l’anodo (secondo la relazione (legge di Mosley):

dove A e b sono due costanti: – A dipende dagli orbitali coinvolti nella

transizione; – b rappresenta l’effetto di schermo sulla

carica nucleare che gli elettroni più interni esercitano sull’elettrone che sarà espulso.

• Anche per questa ragione, il materiale che costituisce l’anodo deve avere un elevato numero atomico Z.

2)( bZA

Parametri di controllo dello spettro caratteristico

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12 Interazione dei raggi X con la materia

Assorbimento nella materia L’assorbimento dei raggi X nella materia è determinato da una legge di tipo esponenziale

I0 = intensità incidente sulla superficie del materiale I(x) = intensità che perviene a profondità x rispetto alla superficie di incidenza

Coefficiente di assorbimento lineare totale 1/ = spessore corrispondente all’assorbimento del 63% della radiazione incidente (e = 2.718, e-1 = 0.37)

Assorbimento nei tessuti Il corpo umano è costituito da tessuti con coefficienti di assorbimento molto diversi, il cui valore dipende dal numero atomico Z, dallo stato di aggregazione dei tessuti e dall’energia dei fotoni incidenti.

Meccanismi di assorbimento In generale l’interazione dei aggi X con al materia avviene secondo i seguenti processi:

• diffusione • effetto fotoelettrico • effetto Compton • produzione di coppie elettrone-positrone

xeIxI 0)(

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13 L’effetto fotoelettrico Processo • Il fotone X cede completamente la sua energia ad un atomo (cioè viene

assorbito da un atomo) del materiale irraggiato, provocando l’espulsione di un elettrone atomico (ionizzazione)

• l’elettrone emesso (foto-elettrone) dissipa la sua energia nel materiale in collisioni

• l’atomo eccitato torna allo stato normale mediante transizioni di elettroni a cui è associata l’emissione di radiazioni di frequenza inferiore a quella del fotone incidente. Questo fenomeno, detto fluorescenza, viene utilizzato nella diagnostica medica.

lk EhE

3

4

)(

h

Z

Energia del fotoelettrone • iI fotone X scompare e la sua energia viene trasformata in lavoro di estrazione

dell’elettrone dall’atomo (El) ed in energia cinetica dell’elettone emesso (EK). L’energia ceduta all’atomo è molto piccola e può essere trascurata.

• L’effetto può avere luogo solo se l’energia dell’fotone è maggiore della minima energia di ionizzazione Ei dell’atomo (Ei varia da 4 eV per il cesio a 24 eV per l’elio).

Coefficiente di assorbimento La probabilità che un quanto produca un effetto fotoelettrico (sia assorbito):

• è proporzionale alla densità del materiale, • è proporzionale alla quarta potenza del numero atomico del materiale irraggiato • è inversamente proporzionale al cubo dell’energia del quanto incidente

In realtà l’andamento di presenta delle brusche discontinuità per energie dei fotoni incidenti pari alle energie di legame dei vari orbitali (K, L, M). Infatti :

• finché l’energia del fotone non raggiunge il valore di soglia corrispondente ad un dato orbitale, non ci può essere emissione di fotoelettroni da quell’orbitale;

• appena l’energia supera tale valore gli elettroni dell’orbitale sono in grado di assorbire i fotoni e si ha un brusco aumento di .

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14 L’effetto Compton

Processo Il fotone X incidente viene diffuso (deviato) da un elettrone atomico di valenza (che può essere considerato quasi libero), con perdita di energia del fotone ed espulsione dell’elettrone dall’atomo del materiale.

h

Z

Coefficiente di assorbimento La probabilità che un quanto produca un effetto Compton (sia assorbito):

• è proporzionale alla densità del materiale, • è proporzionale al numero atomico dell’atomo del materiale irraggiato • decresce con l’energia h del quanto (alle alte energie è inversamente proporzionale ad h)

Energia del fotone diffuso e dell’elettone Compton espulso Nell’effetto Compton l’energia di legame dell’elettrone è piccola rispetto all’energia ceduta dal fotone, e l’elettrone può approssimativamente essere considerato come un elettrone libero.

'

)cos1('

)cos1(1

'

2

j

j

hhE

mc

h

mc

h

hh

elcin

’ ’

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15 La diffusione

Processo I fotoni X incidenti vengono deviati dagli atomi del materiale in tutte le direzioni, in modo pressoché isotropo, e senza variazioni di energia.

Coefficiente di assorbimento La probabilità che un quanto sia diffuso:

• è proporzionale alla densità del materiale, • è proporzionale al quadrato del numero atomico dell’atomo del materiale

irraggiato • Decresce rapidamente con l’energia h del quanto incidente

Effetto della diffusione

• Il fenomeno è importante negli atomi pesanti e a bassa energia; in queste condizioni però la probabilità di avere un effetto fotoelettrico è molto grande e quindi la diffusione elastica atomica è un fenomeno di scarsa importanza.

• Ancora meno importante risulta poi in radiobiologia, perché la cessione di energia a particelle cariche, che sono in grado di ionizzare direttamente, è trascurabile.

• L’effetto contribuisce a creare una radiazione distribuita in tutto l’ambiente, che nei gabinetti radiologici disturba

– per l’effetto di velatura che può creare nelle lastre fotografiche; – per l’eventuale dose di radiazioni cui sono esposti gli operatori radiologici.

)(2 hfZ decr

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16 Produzione di coppie elettrone-positrone

Processo • Il fotone X incidente scompare con la produzione di una coppia di particelle

costituita da un elettrone e un positrone (particella avente la stessa massa me dell’elettrone e stessa carica ma di segno positivo). Il processo si verifica con maggior probabilità in prossimità di un nucleo atomico del materiale irraggiato e solo quando l’energia del fotone incidente è maggiore di 1.02 MeV: questa energia, per la relazione di Einstein E=mc2, è l’energia a riposo delle particelle prodotte (mec2 = 0.51 MeV).

• Il positrone nella materia, circondato da una nube di elettroni, collide con un elettrone, e tali particelle scompaiono producendo due fotoni (annichilazione), ciascuno con energia pari a 0.51 MeV, ed emessi in direzione opposte (radiazione da annichilazione).

Energia cinetica dell’elettrone e del positrone Dal principio di conservazione dell’energia si ricava che la differenza fra l’energia del quanto h e l’energia 2mec2 spesa per produrre la massa dell’elettrone e del positrone compare come somma delle energie cinetiche delle particelle prodotte (il nucleo, per la sua grande massa, acquista un’energia trascurabile).

Coefficiente di assorbimento La probabilità che un quanto produca una coppia elettrone-positrone:

• è proporzionale alla densità del materiale, • è proporzionale al quadrato numero atomico dell’atomo del materiale irraggiato • cresce con l’energia E del quanto da zero (per E=1.02 eV) fino a raggiungere un

valore costante

)(2 hfZ cresc

22 cmhEE ekk

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17 I raggi X in diagnostica medica L’immagine radiologica • La differente opacità ai raggi X delle varie strutture anatomiche permette di ottenere una loro immagine radiologica:

un fascio di raggi X proveniente da una sorgente quasi puntiforme, attraversando una porzione del corpo umano viene assorbito in modo differente dai vari tessuti; nel fascio dei raggi X che emerge dal corpo si ottiene un massimo (minimo) di intensità in corrispondenza delle zone in cui l’assorbimento è stato minimo (massimo).

• L’immagine radiologica del fascio trasmesso può essere trasformata con varie tecniche in immagine visibile:

Radioscopia Si intercetta il fascio di raggi X emergente dal corpo mediante uno schermo fluorescente che emette luce in proporzione all’intensità di radiazione X che lo colpisce. Si produce un’immagine positiva nel senso che appaiono più scure le zone più opache ai raggi X (cioè quelle a maggiore attenuazione).

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Radiografia Il fascio di raggi X emergente impressiona una pellicola fotografica sensibile ai raggi X. Si produce un’immagine negativa nel senso che le zone più scure rappresentano le regioni a minor attenuazione, mentre quelle più chiare rappresentano le ombre di oggetti più opachi.

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18 Raggi

Produzione • Decadimento di nuclei radioattivi. • Possono essere ottenuti artificialmente come radiazione di frenamento accelerando particelle cariche a energie

superiori al MeV (come accade ad esempio negli acceleratori lineari) e frenandole in opportuni assorbitori.

Interazione con la materia A causa della loro elevata energia, i fotoni provocano al loro passaggio un’intensa ionizzazione del materiale attraversato mediante gli stessi meccanismi descritti nel caso dei raggi X (effetto fotoelettrico, effetto Compton, produzione di coppie) cui si aggiunge l’effetto cumulativo determinato dai fotoni e dagli elettroni secondari. La radiazione , penetrando nella materia, produce quindi uno sciame elettromagnetico di fotoni e particelle. Effetti sui sistemi biologici • La produzione di ioni nei sistemi biologici consiste nella formazione di radicali liberi dall’acqua e da molecole

organiche. • Il danno biologici da radiazione ionizzanti si esplica proprio tramite l’azione chimica dei radicali liberi i quali

rilasciano la loro energia rompendo i legami chimici delle macromolecole presenti nelle cellule, in particolare quelli del DNA.

• Il danno può causare la disfunzione di cellule, con effetti sul funzionamento degli organi che possono portare anche alla morte, oppure all’alterazione della struttura genetica (mutazione).

• I danni possono pertanto manifestarsi direttamente sulle persone irraggiate (danni somatici), oppure sui loro discendenti (danni genetici ereditari).

• Non tutti gli organi e i tessuti sono ugualmente sensibili alle radiazioni. I più sensibili sono: gli organi emopoietici (organi in cui avviene la produzione degli elementi corpuscolari del sangue), le gonadi (ovaie e testicoli), il cristallino e la pelle.

(Hz) E

< 1 pm > 3 · 1020 Hz > 1.24 M eV

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I radioisotopi sono utilizzati come segnalatori della distribuzione topografica di particolari atomi, molecole, cellule all’interno dell’organismo: quando un radionuclide è introdotto in un paziente questo diffonde nell’organismo e partecipa ai processi metabolici come il corrispondente isotopo non radioattivo. La sua maggiore concentrazione in determinate zone costituisce una indicazione di normalità o di anormalità nelle funzioni dell’organismo o dell’organo interessato, da cui trarre una diagnosi. Poiché è possibile rilevare anche la disintegrazione di un singolo nucleo, la sensibilità del metodo è eccezionalmente alta e sono sufficienti concentrazioni molto piccole di composti radioattivi.

• Sostituzione di un atomo con un suo isotopo radioattivo: studio diagnostico della tiroide. La tiroide utilizza lo iodio per produrre gli ormoni che controllano il metabolismo del corpo. In un soggetto con la tiroide poco attiva (ipotiroideo) questa assorbe meno iodio che in un soggetto normale, mentre in un soggetto con la tiroide molto attiva (ipertiroideo) ne assorbe una maggiore quantità. Facendo ingerire una piccola quantità di iodio radioattivo 131I, dopo 24 ore viene misurata l’emissione radioattiva dello 131I. La misura può essere effettuata

− contando il numero di emissioni b- e per un tempo prefissato (misura integrale di radioattività) − misurando la distribuzione geometrica della radioattività, ottenendo un immagine dell’organo interessato

(scintigrafia)

• Sostituzione di un atomo di una molecola con un suo isotopo radioattivo: assorbimento idrico di una pianta. Si utilizza l’acqua marcata con trizio, cioè in cui alcune molecole hanno un atomo di H sostituito con il suo isotopo radioattivo trizio (3H). Quando la pianta ha le radici immerse in acqua marcata, la misura della radioattività nelle foglie permette di valutare la velocità di assorbimento idrico.

• Sostituzione di una molecola con una marcabile con simile comportamento biologico: metabolismo dell’albumina.

Non sempre è possibile sostituire direttamente un atomo di una molecola con un suo isotopo radioattivo: si impiega allora una molecola marcabile molto simile, il cui comportamento biologico sia del tutto analogo a quello della molecola naturale. E’ il caso dello studio del metabolismo dell’albumina, la cui molecola non contiene iodio: si utilizza invece albumina iodata, marcata con 131I o 125I, che non è chimicamente identica all’albumina, ma ad essa molto simile nel comportamento biologico.

• Anche le cellule possono essere marcate: misure di volume e portata del sangue In questo caso i globuli rossi vengono marcati con 197Hg

19 Utilizzo della radiazione a scopo diagnostico

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Utilizzo a scopo terapeutico Il danno provocato dalle radiazioni ionizzanti può essere utilizzato nella terapia medica per distruggere tessuti malati (cellule tumorali). Questa tecnica è chiamata radioterapia. Il problema principale è dato dal fatto che le cellule normali sono spesso sensibili alla radiazioni quasi quanto le cellule anormali. La dose del trattamento radiante, per dare una ragionevole probabilità di cura, è appena inferiore alla dose sufficiente a causare gravi danni ai tessuti sani.

L’uso delle radiazioni a questo scopo si avvale di vari metodi: • Sono utilizzate sorgenti radioattive sotto forma di pasticche, aghi o fili che vengono chirurgicamente impiantati

nella zona del tumore per periodi di tempo programmati • I radionuclidi possono essere anche utilizzati per generare un fascio di radiazioni opportunamente diretto sulla

zona da trattare.

nu

me

ro d

i ce

llule

so

pra

viss

ute

20 Utilizzo della radiazione a scopo terapeutico

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6.4 Ottica geometrica

(da Scannicchio, Fisica Medica, Edises )

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1. Ottica e ottica geometrica

L’ottica Per le onde elettromagnetiche ed in particolare per le onde luminose sono valide tutte le proprietà ed i principi stabiliti nell’ambito dello studio delle onde elastiche: i concetti di raggio e di superficie d’onda, il principio di Malus, il principio di Huygens, il principio di sovrapposizione, e le leggi della riflessione e della rifrazione. Ovviamente, in questo caso le grandezze che oscillano solo il campo elettrico e il campo magnetico, che si mantengono fra loro perpendicolari e sono perpendicolari alla direzione di propagazione dell’onda.

L’ottica geometrica Quando la lunghezza d’onda della luce è molto piccola rispetto alle dimensioni lineari degli strumenti utilizzati (diaframmi, lenti, specchi, prismi), è possibile sviluppare una teoria approssimata dei fenomeni luminosi (ottica geometrica) in cui è possibile trattare la propagazione delle onde luminose in termini di onde piane che si propagano in direzioni rettilinee ad esse perpendicolari (raggi).

La diffrazione Il caso più semplice di violazione dell’ottica geometrica si ha si ha quando un’onda piana luminosa attraversa un’apertura molto piccola, le cui dimensioni sono confrontabili con la lunghezza d’onda: in tal caso la legge della propagazione rettilinea non è più valida Su uno schermo a grande distanza dal foro si osserva infatti un sistema di frange concentriche, alternativamente chiare e scure (frange di diffrazione) di dimensioni maggiori di quelle della fenditura (la luce viene deviata anche oltre la semplice proiezione della fenditura). Il fenomeno è può essere spiegato ricorrendo al principio di Huygens e l’interferenza fra punti di uno stesso fronte d’onda.

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Definizione Due mezzi otticamente distinti, aventi cioè indici di rifrazione diversi, separati da una superficie, costituiscono un diottro. Se la superficie di separazione è una calotta sferica, il sistema prende il nome di diottro sferico.

Approssimazioni di Gauss

1. L’ampiezza della calotta sferica su cui incidono i raggi provenienti da un punto (punto oggetto) è piccola rispetto a R 2. Tutti i raggi provenienti dall’oggetto formano angoli piccoli con l’asse ottico (raggi parassiali).

Nei limiti di questi approssimazioni:

• il diottro sferico è un sistema ottico stigmatico: tutti i raggi uscenti da un punto P (punto oggetto) si incontrano in un punto P’ (punto immagine) dopo aver subito una rifrazione sulla superficie del diottro (il diottro fornisce di un punto luminoso P un’immagine puntiforme P’).

• E’ possibile stabilire una relazione tra la posizione di un punto oggetto P posto sull’asse ottico e la posizione del punto immagine P’ (formula dei punti coniugati).

2. Il diottro sferico

V = vertice del diottro C = centro del diottro asse ottico = asse per C e V P = oggetto luminoso puntiforme P’ = immagine di P n1 = indice di rifrazione del primo mezzo n2 = indice di rifrazione del secondo mezzo R = raggio di curvatura del diottro. p = coordinata dello spazio oggetto: misura la distanza dell’oggetto P da V q = coordinata dello spazio immagine: misura la distanza dell’immagine P’ da V

mezzo 1: spazio oggetto

mezzo 2: spazio immagine

Per convenzione si assume: • R positivo (negativo) quando la calotta rivolge la propria convessità (concavità) allo spazio oggetto. • l’asse p orientato verso lo spazio oggetto, l’asse q orientato verso lo spazio immagine.

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i

P P’ C

• Immagine reale: I raggi rifratti convergono in un punto immagine P’ che si trova nello spazio immagine (q > 0).

• Immagine virtuale: I raggi rifratti divergono, ma i loro prolungamenti convergono in un punto immagine P’ che si trova nello spazio oggetto (q < 0).

q p

P P’ C q p

t

i t

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Si ricava dalla legge della rifrazione: Risulta: per le approssimazioni di Gauss Da queste relazioni segue la relazione che lega p e q: Per un diottro piano (R → infinito)

R

nn

q

n

p

n 1221

tnin sinsin 21

bbb

bbb

cossincossin)sin(sin

cossincossin)sin(sin

t

i

q

h

R

h

p

hb

b

sin,sin,sin

1coscoscos

pn

nq

q

n

p

n

1

221 0

• Se si osserva attraverso una superficie piana, da un mezzo più rifrangente, un oggetto posto in un mezzo meno rifrangente (n2 > n1), l’immagine dell’oggetto si trova dalla stessa parte dell’oggetto, ma allontanata del rapporto n2/n1.

Per questa ragione i pesci osservano i pescatori sula riva ad una distanza 1.33 volte maggiore rispetto alla distanza effettiva.

• Al contrario, se osservata da un mezzo meno rifrangente, l’immagine dell’oggetto, che si trova in un mezzo più rifrangente, risulterà avvicinata dell’stesso rapporto.

Così per chi osserva da sopra l’acqua, il fondo di una piscina appare avvicinato di un fattore 0.75.

3. Il diottro sferico: formula dei punti coniugati

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immagine

oggetto

oggetto

immagine

aria

acqua

osservatore

osservatore

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Distanze focali • La distanza focale f2 fra V e F2 è data

dal valore di q quando p tende all’infinito

• La distanza focale f1 fra V e F1 è data

dal valore di p quando q tende all’infinito

Per un sistema ottico la conoscenza di pochi punti, chiamati punti principali consente di costruire l’immagine di qualsiasi oggetto. Per il diottro i punti principali sono:

• Il centro di curvatura C: ha la proprietà che qualsiasi raggio di luce proveniente dallo spazio oggetto e passante per C non subisce deviazioni nell’attraversare la calotta sferica

• Il secondo fuoco F2 : è il punto in cui convergono tutti i raggi i raggi luminosi provenienti dallo spazio oggetto parallelamente all’asse ottico (punto oggetto all’infinito).

• Il primo fuoco F1 : è il punto sull’asse ottico nello spazio oggetto la cui immagine è il punto all’infinito.

12

22

nn

Rnf

12

11

nn

Rnf

121 q

f

p

f

2

1

2

1

n

n

f

f

Sfruttando le espressioni delle distanze focali la formula dei punti coniugati può scriversi

Divedendo queste relazioni membro a membro

4. Il diottro sferico: punti principali

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Definizione • Una lente sferica può essere come considerata un sistema ottico costituito da una successione di due diottri sferici

con centri sul comune asse ottico. • Si definisce lente sottile una lente avente spessore trascurabile rispetto ai raggi di curvatura e rispetto alle dimensioni

delle calotte sferiche che la delimitano. • Una lente in vetro immersa in aria è assimilabile a due diottri: un primo diottro aria-vetro e un secondo diottro vetro-

aria.

5. Le lenti sottili

diottro aria-vetro diottro vetro-aria

lente sottile di vetro in aria

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Si ricava applicando 2 volte la formula dei punti coniugati del diottro. Per il primo diottro (aria-vetro): L’immagine Q’ formata dal primo diottro (aria-vetro) a distanza q’ dal vertice, diventa a sua volta oggetto per il secondo diottro (vetro-aria con R2 < 0), e si trova nello spazio immagine di quest’ultimo. Si ha quindi: Sommando membro a membro si ottiene

1

1221

' R

nn

q

n

p

n

2

2112

' R

nn

q

n

q

n

211

2 111

11

RRn

n

qp

6. Lenti sottili: formula dei punti coniugati

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Lenti convergenti e lenti divergenti • Una lente è convergente se f > 0: fa convergere un fascio di

raggi paralleli all’asse ottico, provenienti dallo spazio oggetto, in un punto F2 reale, che si trova nello spazio immagine.

• Una lente è divergente se f < 0: fa divergere un fascio di raggi paralleli all’asse ottico, provenienti dallo spazio oggetto, in modo che i prolungamenti dei raggi emergenti convergono in un punto F2 virtuale che si trova nello spazio oggetto.

Anche per le lenti sottili la conoscenza di pochi punti, chiamati punti principali, consente di costruire l’immagine di qualsiasi oggetto. I punti principali sono:

• Il centro ottico C, coincidente con il centro della lente: gode della proprietà secondo cui tutti i raggi passanti per esso non mutano direzione nell’attraversare la lente;

• Il secondo fuoco F2 : è il punto in cui convergono tutti i raggi i raggi luminosi provenienti dallo spazio oggetto parallelamente all’asse ottico (punto oggetto all’infinito);

• Il primo fuoco F1 : è il punto sull’asse ottico nello spazio oggetto la cui immagine è il punto all’infinito (i raggi rifratti dalla lente sono paralleli all’asse ottico).

Distanze focali La distanza focale f2 fra C e F2 (data dal valore di q quando p tende all’infinito) e la distanza focale f1 fra C e F1 (data dal valore di p quando q tende all’infinito) sono uguali ( f1 = f2 = f ) infatti:

Sfruttando queste espressioni, la formula dei punti coniugati per le lenti sottili diventa

Potere diottrico di una lente e diottria

Si definisce potere diottrico di una lente l’inverso della sua distanza focale espressa in metri. Si misura in diottrie (m-1).

211

2 111

1lim

1lim

1

RRn

n

pqf qp

1q

f

p

f

7. Lenti sottili: punti principali

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F1

F2

L’oggetto si trova ad una distanza maggiore del doppio della distanza focale della lente ( p > 2f )

L’immagine è reale (con f < q < 2f ), capovolta e rimpiccolita ( G < 1 )

C

A

B

A’

B’

8. Costruzione dell’ immagine da una lente sottile convergente

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F1

F2

L’oggetto si trova ad una distanza pari al doppio della distanza focale della lente ( p = 2f )

L’immagine è reale (con q = 2f ), capovolta e di uguale dimensione ( G = 1 )

C

A

B

A’

B’

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F1

F2

L’oggetto si trova tra il fuoco e il doppio della distanza focale ( f < p < 2f )

L’immagine è reale (con q > 2f ), capovolta ed ingrandita( G > 1 )

C

A

B

A’

B’

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A=F1

F2

L’oggetto si trova tra in corrispondenza del fuoco ( p = f )

I raggi emergono dalla lente paralleli (q = infinito)

C

B

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F1

F2

L’oggetto si trova ad una distanza minore della distanza focale ( p < f )

L’immagine è virtuale (q < 0), dritta ed ingrandita ( G > 1)

C

A

B

A’

B’

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F1

F2

L’oggetto si trova ad una distanza minore della distanza focale ( p < f )

L’immagine è virtuale (q < 0), dritta ed ingrandita ( G > 1)

C

A

B

A’

B’

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9. L’occhio

• La cornea, tonaca fibrosa che avvolge l’occhio (nella parte posteriore prende il nome di sclera), di indice di rifrazione n ≈ 1.33, con raggio di curvatura di 8 mm;

• L’umore acqueo, liquido contenuto fra la cornea ed il cristallino costituito da acqua e piccole quantità di proteine e sali in concentrazione isotonica, di indice di rifrazione n ≈ 1.33;

• L’iride, costituita da una membrana elastica, al centro della quale si trova un’apertura (pupilla), la quale si contrae o si dilata a seconda dell’intensità luminosa che colpisce l’occhio, fungendo quindi da diaframma per i raggi luminosi;

• Il cristallino, lente biconvessa, di indice di rifrazione medio n ≈ 1.44, con superfici di raggi di curvatura differenti: – la superficie posteriore, con raggio di curvatura pari a 6 mm, – la superficie anteriore, il cui raggio di curvatura ha un valore a riposo pari a 10 mm, e può essere diminuito dalla

contrazione di muscoli ciliari, variando cosi la distanza focale del cristallino; • L’umor vitreo, materiale gelatinoso tra il cristallino e la retina, di indice di rifrazione n ≈ 1.33 uguale a quello

dell’umor acqueo; • La retina, tessuto nervoso fotosensibile su cui si formano le immagini, e la cui funzione è quella di trasformare

l’immagine in un insieme di potenziali d’azione che tramite il nervo ottico vengono inviati al cervello.

L’occhio Organo del senso preposto per la funzione visiva

La vista Funzione in base a cui l’occhio percepisce le caratteristiche elementari dei singoli oggetti

La visione Elaborazione, comparazione e integrazione, a livello dei centri cerebrali, delle caratteristiche degli oggetti ottenute tramite la vista. Un raggio luminoso, proveniente dall’esterno, giunge sulla parte sensoriale dell’occhio (retina) attraversando i seguenti mezzi:

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10. L’occhio come sistema ottico

L’occhio umano può essere schematizzato come un diottro contenente una lente sottile: • Il diottro è costituito dall’aria (n ≈ 1) e dal sistema costituito dall’insieme di cornea, umor acqueo e umor vitreo, che

avendo circa lo stesso indice di rifrazione (n ≈ 1.33), possono essere considerati come un unico mezzo. • La lente sottile rappresenta il cristallino.

3223

2321

12

1221

11)(

'

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RRnn

q

n

q

n

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nn

q

n

p

nFormula dei punti coniugati dell’occhio Per ottenere la relazione tra la distanza p dell’oggetto dall’occhio e la distanza q dalla cornea alla quale si forma l’immagine, basta applicare la formula dei punti coniugati del diottro e della lente sottile in successione

Meccanismo di funzionamento • Poiché l’immagine deve cadere

sulla retina, la distanza q deve essere circa uguale al diametro antero-posteriore dell’occhio D = 22 mm.

• Dato p si ricava q’ dalla prima equazione, sostituendo questo valore sulla seconda equazione, posto q = D, ed essendo R32 ≈ 6 mm, si ottiene il valore del raggio R23, variabile tramite l’azione dei muscoli ciliari, che fa cadere l’immagine sulla retina

R32 = 6 mm R23 R12

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Le formule formula dei punti coniugati dell’occhio rappresentano 2 equazioni nelle tre incognite p, q, R23 : • noto p si ricava il valore di R23 per cui q = 22 mm (immagine sulla retina); • noto p per un certo valore di R23 si ricava il valore di q (posizione dell’immagine rispetto alla retina). Visione lontana

Se p tende a infinito (visione lontana), i muscoli ciliari sono in stato di riposo, per cui R23= 10 mm. Si ottiene q = 22 mm, cioè proprio la distanza D tra la cornea e la retina. Quindi, in condizioni di riposo, l’occhio mette a fuoco oggetti lontani.

Visione prossima

Per la visione prossima, p < 50 cm, il raggio R23 del cristallino deve essere diminuito, tramite l’azione dei muscoli ciliari, affinché q = 22 mm.

Distanza di minima visione distinta

Il valore minimo senza sforzo di R23 si raggiunge quando p = 25 cm (distanza di minima di visione distinta). Per questo valore di p si ottiene R23 = 6.78 mm.

Punto prossimo

La minima distanza cui l’occhio può mettere a fuoco è chiamata punto prossimo e, con sforzo, questa può arrivare a 5 cm, corrispondenti a un valore di R23 di circa 3 mm. L’invecchiamento produce una diminuzione dell’elasticità del cristallino, nonché della capacità operativa dei muscoli ciliari, per cui il potere di accomodamento diminuisce con l’età e il punto prossimo si allontana sempre più

11. Visione lontana e punto prossimo

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Ipermetropia Nell’occhio ipermetrope, l’immagine proveniente dall’infinito viene focalizzata dietro la retina. Per correggere la ipermetropia è necessario anteporre all’occhio una lente convergente che riporti il fuoco sulla retina.

Miopia Nell’occhio miope, l’immagine proveniente dall’infinito viene focalizzata davanti alla retina. Per correggere la miopia è necessario anteporre all’occhio una lente divergente che riporti il fuoco sulla retina.

Presbiopia Si manifesta come un aumento, spesso progressivo con l’età del soggetto, della distanza del punto prossimo, cioè come una diminuzione del potere di accomodamento del cristallino. Richiede lenti correttive convergenti.

12. I difetti ottici dell’occhio

Astigmatismo Difetto legato al fatto che la cornea non è perfettamente sferica e per questo non riesce a formare sullo stesso piano immagini nitide di due di due linee perpendicolari fra loro. Il difetto viene corretto mediante una lente cilindrica disposta in modo tale che la curvatura si trovi solo nel piano che mostra il difetto e focalizza così l’immagine della sola linea sfuocata.

Aberrazioni del cristallino Il cristallino, in quanto lente, può essere soggetto ai vari difetti determinati dalle aberrazioni, la cui correzione, come nel caso dell’astigmatismo va trattata caso per caso.

Astigmatismo