L’isterica e le altre:storia e attualità

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L’isterica e le altre: storia e attualità Federica Lefons Con l’invenzione del termine “isteria”, solitamente attribuita al medico greco Ippocrate (460-377 a.C.), la cui etimologia riman- da al vocabolo greco υστερον (hysteron) ovvero “utero”, la me- dicina occidentale stabilisce, fin dall’inizio, uno stretto legame tra questo disturbo ed il corpo femminile. Secondo il Corpus hippo- craticum 1 , qualsiasi malattia dell’organismo femminile era causata dagli spostamenti dell’utero all’interno del corpo 2 .Tali conside- razioni rimasero invariate fino all’epoca moderna: fu nel Seicen- to, infatti, che le dottrine sull’isteria, come fenomeno di natura ginecologica, cominciarono a essere sostituite da ipotesi di un’origine cerebrale e del sistema nervoso. L’isteria, quindi, ven- ne considerata una malattia esclusivamente del sesso femminile, legata a tale anomalo comportamento dell’utero e sebbene que- sta interpretazione non fosse confermata da nessuna prova empi- rica è stata particolarmente dura a morire. La natura femminile dunque è stata, nel corso dei secoli, studiata e definita dai dogmi di saperi e poteri maschilisti, a causa dei quali sono sorte norme politiche e morali volte a stabilire il ruolo della donna nella so- cietà, ruolo che è sempre stato di subordinazione. La donna è sta- ta identificata completamente con il proprio utero, al punto che ogni suo comportamento, ogni sua malattia, ogni suo ruolo nel- la società è stato messo in relazione con questo organo. Ciò perché l’utero è il luogo in cui si realizza il mistero della nascita, mistero che ha sempre esercitato sull’uomo un fascino 1 È l’insieme dei libri attribuiti a Ippocrate, a contenuto medico. 2 Per una panoramica più ampia e completa sull’argomento si veda E. SHORTER, Storia del corpo femminile (1982), tr. it. di M. MANZARI, Feltrinelli, Milano 1984. PSYCHOFENIA - VOL. XI N. 18/2008

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L’isterica e le altre: storia e attualità

Federica Lefons

Con l’invenzione del termine “isteria”, solitamente attribuita almedico greco Ippocrate (460-377 a.C.), la cui etimologia riman-da al vocabolo greco υστερον (hysteron) ovvero “utero”, la me-dicina occidentale stabilisce, fin dall’inizio, uno stretto legame traquesto disturbo ed il corpo femminile. Secondo il Corpus hippo-craticum1, qualsiasi malattia dell’organismo femminile era causatadagli spostamenti dell’utero all’interno del corpo2.Tali conside-razioni rimasero invariate fino all’epoca moderna: fu nel Seicen-to, infatti, che le dottrine sull’isteria, come fenomeno di naturaginecologica, cominciarono a essere sostituite da ipotesi diun’origine cerebrale e del sistema nervoso. L’isteria, quindi, ven-ne considerata una malattia esclusivamente del sesso femminile,legata a tale anomalo comportamento dell’utero e sebbene que-sta interpretazione non fosse confermata da nessuna prova empi-rica è stata particolarmente dura a morire. La natura femminiledunque è stata, nel corso dei secoli, studiata e definita dai dogmidi saperi e poteri maschilisti, a causa dei quali sono sorte normepolitiche e morali volte a stabilire il ruolo della donna nella so-cietà, ruolo che è sempre stato di subordinazione. La donna è sta-ta identificata completamente con il proprio utero, al punto cheogni suo comportamento, ogni sua malattia, ogni suo ruolo nel-la società è stato messo in relazione con questo organo.

Ciò perché l’utero è il luogo in cui si realizza il mistero dellanascita, mistero che ha sempre esercitato sull’uomo un fascino

1 È l’insieme dei libri attribuiti a Ippocrate, a contenuto medico.2 Per una panoramica più ampia e completa sull’argomento si veda E. SHORTER,

Storia del corpo femminile (1982), tr. it. di M. MANZARI, Feltrinelli, Milano 1984.

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inquieto. Sta di fatto che tale teoria dell’utero errante rispondevaperfettamente alle necessità dell’ideologia maschile dominante,che era quella di convincere la donna che il ruolo di moglie emadre era per lei una necessità derivante dalla sua stessa natura.Inoltre, il ribadire che una malattia, così grave e dolorosa, con-duceva nel momento delle crisi più acute ad una perdita totaledella coscienza di sé, significava ribadire il concetto della com-pleta inadeguatezza della donna ai ruoli principali della società.La donna, dunque, non era assolutamente in grado di gestire dasé la propria vita, e ciò le rendeva necessaria la guida di un uo-mo: il padre prima, il marito poi.

Nella seconda metà dell’Ottocento la teoria uterina vennedefinitivamente abbandonata a favore di un’indagine di caratte-re neurologico, nella ricerca di una lesione organica che potessefungere da causa della manifestazione morbosa3. Questo periodofu caratterizzato da un diffuso ottimismo per il progresso scien-tifico, ma contemporaneamente si sviluppò un grande interesseper i “fenomeni oscuri” come l’ipnosi e l’isteria. E, infatti, la na-scita della psicoanalisi va inquadrata proprio in questa “crisi del-la ragione”4, quella ragione che non riusciva a spiegare la natu-ra del sintomo isterico, il quale si presentava come la chiave dilettura di una dimensione non riconducibile ad alcun referenteorganico. La psicoanalisi si occupò proprio degli “scarti” della ri-cerca scientifica, dal sintomo isterico, al sogno, ai lapsus, alla ses-sualità infantile. Il tutto all’interno di un rivolgimento profondodi prospettiva. Ora, l’osservazione di queste manifestazioni eraspesso legata agli esperimenti ipnotici e a particolari stati disso-ciativi di una patologia destinata a riemergere dal dimenticatoio:l’isteria, appunto. Patologia nota da moltissimo tempo, la medi-cina non poteva, però, sposare il pregiudizio intorno a uno statoritenuto tipico del sesso femminile e causato dal migrare del-l’utero all’interno del corpo, secondo le teorie classiche, e nel fa-

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3 Cfr. R. KAECH,“La concezione somatica dell’isterismo”, Rivista Ciba, 37 (L’iste-rismo), 1952, pp. 1227-1233.

4 E. MANGINI, Lezioni sul pensiero freudiano, Led, Milano 2001, p. 32.

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moso Traité Clinique et Thérapeutique de l’Hysterie (1859) Paul Bri-quet5 (1796-1881) ipotizzava per l’isteria una causa organica supossibile base ereditaria, sulla quale si innescavano emozioni oconflitti che potevano fungere da elementi scatenanti. L’impres-sione era, però, quella che l’isteria fosse sempre esistita come ma-nifestazione fastidiosa e inquietante, e che avesse preso nome eforma differenti a seconda del contesto socio-culturale in cui simanifestava. L’isteria è sempre stata dunque ben presente, anchese sotto “mentite spoglie”, in qualsiasi tempo. Nell’Ottocento,come dicevo, vi sarà grande interesse per i temi relativi all’esi-stenza del subconscio, per l’ipnosi, per la suggestione e quindianche per l’isteria. L’ipnosi fu utilizzata in questi stessi anni da Je-an Martin Charcot (1825-1893), luminare della neurologia edella psichiatria della Parigi del periodo. Egli affermava che lostudio ragionato della grande nevrosi isterica fosse relativamenterecente, anche se si trattava di un male antico, e che solo ora po-teva essere considerata una malattia. Charcot, da buon neurolo-go, supponeva l’origine organica dell’isteria e affermava che essanon era affatto appannaggio del sesso femminile, che non era unamalattia proteiforme ma che c’erano dei «sintomi permanenti, cheCharcot chiamava anche “stigmate” isteriche: paralisi, anestesia, ipereste-sia, contrattura, restringimento del campo visivo e dolore nella regioneovarica»6. Inoltre, affermò che le manifestazioni isteriche eranoautentiche e non frutto di simulazione. Egli descrisse e classificòvarie forme di isteria, descrisse i caratteri differenziali tra le ma-nifestazioni epilettiche e le paralisi organiche da un lato e quel-le isteriche dall’altro e descrisse, utilizzando anche l’ipnosi, un at-tacco di “grande isteria”.

Con Jean-Martin Charcot, la questione “isteria” venne rico-nosciuta come fenomeno psichico, aprendo un processo di ac-quisizione di conoscenze sperimentali che spalancarono la stra-

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5 P. BRIQUET, Traité Clinique et Thérapeutique de l’Hysterie, J-B Ballière & Fils, Paris1859.

6 Cfr. A. GODINO, A. TOSCANO, Ipnosi: storia e tecniche, Franco Angeli, Milano 2007,p. 36.

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da a Freud e agli studi che lo portarono alla psicoanalisi. Natu-ralmente, Charcot non poteva che partire dalle conclusionitratte dalla medicina che lo aveva preceduto, ma che lasciavanoinsoluti alcuni aspetti nel comportamento delle pazienti isteri-che: anzitutto si trattava di un fenomeno legato alla sfera degliaffetti che aveva la caratteristica di manifestarsi con regolarità indeterminate circostanze. L’indagine di Charcot si sviluppò neltentativo di individuare e classificare i tratti con i quali la ma-lattia si manifestava ed evidenziarne eventualmente la linea dicomportamento; di qui egli giunse a designare le fasi di evolu-zione del fenomeno isterico tipico, nonché le rispettive poseplastiche.A Charcot spetta il merito di aver smesso di attribui-re cause neurologiche all’isteria, di aver riconosciuto a livelloembrionale i nodi che avrebbero in seguito costituito il tessu-to della psicoanalisi, ma il suo modello psicologico era rigido eseveramente classificatore. Le lezioni di Charcot sull’isteria se-gnarono profondamente il giovane Freud. Dal grande psichia-tra Freud apprese che nell’isteria vi era un intreccio profondotra i disturbi somatici e la mente, ed era stata l’ipnosi ad aprirequesta nuova strada conoscitiva. Gli anni degli Studi sull’isteriasono fondamentali per la progressiva costruzione del metodopsicoanalitico che andrà definendosi attraverso tre distinti mo-menti chiave:1. La rinuncia al modello fisico e neurofisiologico per spiegare i

fenomeni psichici che culmina nel Progetto di una psicologia.2. L’impiego e la successiva rinuncia all’ipnosi e alla suggestio-

ne, inizialmente usati come via di esplorazione dell’attivitàpsichica «altrimenti pressoché inaccessibile alla coscienza»7. Larinuncia all’ipnosi fu motivata dal fatto che non tutti i pazien-ti sono ipnotizzabili, che vi è una pseudo-guarigione dovutaalla suggestione e che grossi sono i rischi del transfert ipnoti-co, che non può essere né elaborato né risolto alla fine deltrattamento.

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7 F. PETRELLA, Il modello freudiano, cit., p. 49.

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3. La successiva adozione della regola fondamentale della tecni-ca delle libere associazioni e le successive precisazioni relativeall’atteggiamento dell’analista8.Questi progressivi passaggi possono essere seguiti lungo tutti

gli Studi sull’isteria, opera che Freud scrisse assieme all’amico Jo-seph Breuer (1842-1925), medico noto a Vienna, che in questiprimi anni avrà una fondamentale funzione di appoggio e di pro-tezione per il giovane Freud. Ebbene, gli Studi sono scritti proprioa quattro mani e costituiscono il risultato di questo sodalizio per-sonale e intellettuale, destinato per altro a incrinarsi proprio conla stesura di questo lavoro; Breuer non condivideva l’idea di Freudche l’eziologia dell’isteria andasse ricercata nella sfera sessuale deipazienti, né, come vedremo, poteva tollerare che la conclusionetraumatica del caso da lui seguito e descritto, quello di Anna O.,fosse da ascriversi proprio a fattori sessuali misconosciuti. D’altrocanto Freud sapeva che Breuer aveva glissato su come si era con-cluso il trattamento di Anna perché non aveva saputo dominare latraslazione, e ciò determinò la brusca rottura del rapporto tera-peutico e conseguenze negative per la paziente. Dal trattamentodi Anna O. (anche se scritto da Breuer, è il primo caso inserito peresteso negli scritti di Freud e costituisce il caso clinico “origina-rio” della psicoanalisi) derivano le prime idee teoriche sull’isteria,che possono essere cosi sintetizzate:– Le reazioni emotive continuano ad essere vive e presenti nel

paziente anche dopo molto tempo dall’episodio traumatico.– Ciò che è stato dimenticato è l’episodio traumatico.– Ci deve essere una forza psichica che si oppone al rendere co-

scienti i fatti traumatici (concetto di isteria da difesa e oblioda difesa).

– I sintomi dipendono da questi ricordi rimossi e, infatti, «l’iste-rico soffrirebbe per lo più di reminiscenze»9.

– Esiste una scissione dell’attività psichica per cui nuclei auto-

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8 Ibidem.9 J. BREUER-S. FREUD, op. cit., p. 179.

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nomi di attività agiscono al di fuori della coscienza (è acqui-sizione clinica valida tutt’oggi che nell’isteria venga utilizzatoun meccanismo di difesa così primitivo come la scissione, ol-tre alla rimozione e alla conversione).

– Il processo per cui un impulso emotivo si traduce in un anor-male «comportamento organico» (come il sintomo isterico) sichiama processo di conversione, che è appunto «la trasforma-zione dell’eccitamento psichico in sintomi permanenti corporei»10.

– L’effetto terapeutico del metodo catartico consiste nel far de-fluire la carica emotiva connessa col fatto ricordato, attraver-so la parola, lasciando libero sfogo all’espressione emotiva eimpedendo in tal modo che la stessa carica emotiva trovi vieanormali di espressione (sintomi).

– È utile che vi sia un setting definito per dare uno spazio alleemozioni e alle idee o ai fatti rimossi.Anche perché il “meto-do catartico” non impedisce affatto che si sviluppi il transfert.

– La conclusione del trattamento riveste un’importanza parti-colare specie per la necessità di prendere in considerazione lecomponenti transferali e controtransferali, la cui analisi è indi-spensabile per ottenere una buona risoluzione del rapporto.«Dagli Studi sull’isteria difficilmente si sarebbe potuto capire il signi-

ficato della sessualità nell’eziologia delle nevrosi»11, ma che sessualitàe nevrosi, proprio partendo dall’isteria, fossero collegate tra loroera chiaro a Freud fin dall’inizio. Si trattava di specificare meglioche cosa si intendesse per “sessualità”. Certamente questo colle-gamento si imponeva da solo fin dal caso di Anna O., come sipuò vedere dalla “passionalità” che Anna mostra nel corso dellevarie fasi del trattamento con Breuer. Ne L’ereditarietà e l’eziolo-gia delle nevrosi Freud preciserà che i sintomi patologici «trovanola loro fonte comune nella vita sessuale dell’individuo, sia in una prati-ca nociva della vita sessuale attuale, sia in eventi importanti del passa-to»12. La sessualità viene in definitiva riconosciuta quale pilastro

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10 Ivi, p. 246.11 S. FREUD, Autobiografia, cit., p. 90.12 S. FREUD, L’ereditarietà e l’eziologia delle nevrosi, in Id., Opere, trad. it., vol. II, Bol-

lati Boringhieri,Torino 1968, p. 295.

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della teoria delle nevrosi, anche se questa teoria incontrava«ovunque incredulità e contestazioni»13; la stessa aveva segnato il dis-senso tra Freud e Breuer indicando il passaggio dal metodo ca-tartico alla psicoanalisi e, in seguito, sancirà la defezione di Jungche riteneva la psicoanalisi freudiana intrisa di un insopportabi-le “pansessualismo”. È allo stesso modo preoccupante che, neidecenni successivi, e così ai giorni nostri, la sessualità abbia per-so nel pensiero psicoanalitico quella importanza che aveva aitempi di Freud, dando più spazio all’aggressività e alla distrutti-vità, dato che questa “sessualità” ha a che fare con il desiderio ri-mosso e le sue vicissitudini.

• L’isteria oggi

Semi14 ha avanzato l’ipotesi che l’eclissi dell’isteria dal mondopsichiatrico e psicoanalitico moderno sia «una misura della resi-stenza attuale alla psicoanalisi», anche se sottolinea «come proprioquesta eclissi faccia parte delle caratteristiche fondamentali dell’isteria,grande simulatrice»15. Comunque, queste sono alcune caratteristi-che dell’isteria che non sono affatto cambiate rispetto ai tempidi Freud:– l’isteria rimane fondamentalmente una “nevrosi traumatica”,

con tutta l’incapacità del soggetto a pensare al trauma e laconseguente «tendenza a riprodurre impressioni traumati-che»16, con tendenza all’angoscia traumatica o alla scarica pul-sionale (crisi isterica);

– la rimozione è la difesa principale dell’isteria, ma anche la fon-te della malattia, che è dovuta da un lato ai forti controinve-

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13 S. FREUD, Autobiografia, cit., p. 94.14 Antonio Alberto Semi (Venezia, 1944) è Membro della Società Psicoanalitica Ita-

liana e Medico Specialista in malattie nervose e mentali.15 A. A. SEMI, “Sull’isteria e l’identificazione isterica”, Riv. Psicoanal., 41, 1995, vol.

2, pp. 237-253.16 G. SACERDOTI, Isteria, in SEMI A. A. (a cura di), Trattato di psicoanalisi, Raffaello

Cortina, Milano 1989, p. 135.

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stimenti per mantenere la rimozione e dall’altro dallo stato didissociazione psichica che la rimozione impone;

– la conversione è il principale meccanismo per cui il quantumd’affetto - che accompagna la rappresentazione incompatibi-le rimossa - viene scaricato (convertito) nel corpo, dando luo-go ai classici sintomi somatici dell’isteria;

– la fantasticheria (e quindi nella realtà la drammatizzazione el’esagerazione) come difesa verso il dolore psichico.Come abbiamo visto, vi fu un tempo in cui l’isteria domina-

va e conduceva la psicopatologia, anzi essa impersonava il veroconcetto di nevrosi.Alla psichiatria contemporanea non è, però,piaciuta l’idea di isteria, in quanto troppo generica per poter es-sere ridotta ad un numero accettabile di voci. Negli ultimi tren-t’anni è emersa la tendenza a ritenere che fosse scomparsa e, in-fatti, nei criteri di classificazione del DSM (Manuale Diagnostico eStatistico dei Disturbi Mentali, una classificazione dei disturbi mentali)è scomparso il termine isteria che viene invece definita con i ter-mini di “disturbi dissociativi identitari” o “somatoformi”, di “persona-lità istrioniche”, di “stress post-traumatico”. D’altra parte, l’isteria,seppur cambiata dai tempi di Charcot, è troppo presente e realeperché si possa tout-court abolire. Ne è conseguito un processo direcupero da cui sono nate le tre categorie (invece di un’unicamalattia con mille items) di disturbo dissociativo, disturbo somatofor-me, disturbo di conversione con una serie di satelliti di minor rilie-vo, dalla recuperata “sindrome di Briquet” (disturbo somatoforme)alle cecità, alle sordità e alle paralisi.Tuttavia, ciò non basta anco-ra a coprire l’immenso regno dell’isteria. Essa è l’area di funzio-namento della psiche e sorge tutte le volte che il conflitto tra de-sideri, emozioni, esigenze opposte crea una situazione irresolu-bile o impercorribile tanto che, per superare tale condizione, vie-ne alterato il mezzo di comunicazione. L’alterazione degli stru-menti relazionali può essere di vario tipo: alterazione della per-cezione del sé come corpo; alterazione della funzione motoria osensitiva; alterazione della funzione sensoriale; alterazioni dellefunzioni elementari della psiche (memoria); alterazioni della co-scienza dell’Io (dissociazione, depersonalizzazione, sonnambuli-

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smo etc.); alterazioni delle funzioni più elevate della psiche, concambiamento di carte in tavola nella relazione (menzogna, mito-mania, scissione); alterazioni delle componenti più sottili dellarelazione (tecniche di teatro, istrionismo).

Quindi l’isteria era scomparsa solo perché non adatta alla me-todologia nosografica per raggruppamento di items. Ciò non to-glie che l’isteria rimanga come soluzione di un conflitto insolu-bile, come alterazione degli strumenti di comunicazione, comeequilibrio difensivo tra conscio e inconscio, come fenomeno psi-chico. Superato, quindi, il periodo della concezione dell’isteriaintesa come simulazione e riconosciuta ad essa un’indiscutibiledignità nosologica, si è posto l’accento sul carattere proteiformedell’isteria ed ora tale polimorfismo si riflette negli scritti deglipsicoanalisti, che in essi testimoniano le loro esperienze e le con-clusioni delle loro osservazioni sui pazienti isterici. Per Freud,l’isteria era il modello dei disturbi della genitalità. Ma, in segui-to, si è messo in dubbio il livello di fissazione che Freud avevaproposto per l’isterico: sempre più spesso, il disturbo si rivelavaresistente alla cura psicoanalitica. È stato allora che si è comin-ciato a riflettere su una valutazione più precisa della personalitàisterica. È a partire da Melanie Klein17, negli anni ’40, che fu av-viata la riflessione sull’epoca della fissazione. Già da molto tem-po, la psicoanalista austriaca aveva rivalutato lo stadio della fissa-zione isterica e aveva spostato la genitalità a monte, verso la re-lazione orale. Melanie Klein procedette, quindi, ad una riformu-lazione generale delle idee di Freud e molti furono i colleghi chela seguirono.

Nondimeno è difficile pensare che la sessualità non giochi unruolo importante nell’isteria, ruolo che non è solamente difensi-vo. In seguito sono comparse altre prospettive, meno legate allaquestione del livello libidico di fissazione e più connesse al fun-zionamento dell’Io, alle sue relazioni con la dipendenza, cosa che

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17 Melanie Klein (1882-1960) fu una psicoanalista austriaca nota per i suoi lavoripionieristici nel campo della psicoanalisi infantile.

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ha chiamato in causa il fallimento dell’ambiente materno. Inoltre,una nuova tendenza di pensiero ha posto l’accento sulla cono-scenza che veniva dallo studio delle relazioni transferali e contro-transferali, che attiravano l’attenzione sul modo in cui l’analistapoteva cadere nelle trappole tese dall’analizzando. In effetti, que-sto approccio sottolinea l’importanza della dimensione relaziona-le in quella costruzione che è la nevrosi. Semi18 rileva che, men-tre numerosi studiosi hanno posto l’accento sull’incidenza di pro-blemi orali nell’isteria, è stata rivolta una scarsa attenzione a pro-blematiche anali: in particolare, ritiene che i tratti insopportabilidel carattere isterico siano da attribuire prevalentemente a fissa-zioni anali. In vari modi gli studiosi hanno quindi colto la neces-sità di non delimitare l’isteria ai casi di nevrosi e hanno eviden-ziato un ampio spettro di quadri clinici.

La profonda incidenza, anche nei casi più lievi, di problemati-che orali e anali, che non possono essere considerate semplice-mente come espressioni di meccanismi regressivi, avvalora l’ideache è limitativo individuare la genesi dell’isteria, e in particolaredell’isteria femminile, prevalentemente in conflitti fallici con fi-gure maschili e in desideri incestuosi rimossi; queste problemati-che si intrecciano, infatti, e sono in parte motivate come hannoevidenziato alcuni studiosi, da angosce persecutorie e depressive,la cui intensità varia naturalmente secondo la gravità del quadropsicopatologico.

Queste angosce, che si originano in una primitiva fase dellosviluppo psicoevolutivo, stimolano desideri primitivi e motivanospecifici atteggiamenti e modalità relazionali. Come si vede, glistudiosi mostrano significative differenze teoriche circa la gene-si dell’isteria e si ricollegano a modelli dell’apparato psichico inparte diversi; tuttavia, se considerati nel loro insieme, sembranoevidenziare che gli isterici di entrambi i sessi non riescono a di-vincolarsi da una dipendenza infantile dalla madre, ad affrontare

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18 A.A. Semi, “Sull’isteria e l’identificazione isterica”, Riv. Psicoanal., 41, 1995, pp.237-254.

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in modi adeguati le problematiche edipiche e a realizzare iden-tificazioni valide ai fini di un’acquisizione di un’identità adultasoddisfacente. L’irrisolta dipendenza infantile dalla madre trovaconferme nelle accentuate tendenze omosessuali che erano giàstate evidenziate da Freud e che egli aveva però attribuito a fat-tori biologici. Simili problematiche non possono essere conside-rate come aspetti peculiari dell’isteria, poiché si riscontrano an-che in altre forme psicopatologiche (omosessualità, anoressie,sintomatologia sado-masochistiche, patologie borderline, psicosi,etc.). Gli studiosi sembrano concordi nel considerare come untratto saliente dell’isteria una tendenza a erotizzare i rapporti.

Nel tentativo di illuminare ulteriormente una simile proble-matica, in un lavoro sull’isteria femminile, Albarella19 ha cercatodi evidenziare come le isteriche cerchino inconsciamente difronteggiare carenze identitarie tramite l’esibizione di un’identi-tà adulta idealizzata e onnipotente, fondata in parte su meccani-smi imitativi. In una simile ottica si intrecciano inappagati biso-gni infantili e desideri di esibirsi come donne sessualmente stra-ordinarie. Un’ipotesi che viene avvalorata da atteggiamenti esi-bizionistici, teatrali, seduttivi che se, nei casi con una patologianon troppo accentuata, possono anche essere percepiti comepiuttosto piacevoli ed adeguati, nei casi più gravi, appaiono inve-ce scarsamente convincenti e talora addirittura grotteschi. Que-ste riflessioni lasciano trasparire un’analogia tra gli atteggiamen-ti delle isteriche di esibizione della propria femminilità e quellidel tipo Don Giovanni, che alcuni studiosi hanno considerato co-me un tratto saliente dell’isteria maschile, finalizzato ad ottenereconferme della propria mascolinità. Gli isterici di entrambi i ses-si vivrebbero, dunque, un insanabile conflitto generato dal per-cepirsi come bambini o bambine, piccoli, impotenti, profonda-mente dipendenti, e le aspirazioni ad essere invece uomini odonne strabilianti. Alcuni tratti considerati tipici del carattere

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19 C. ALBARELLA, “Metamorfosi dell’isteria: identità femminile e sessualità”, Riv. Psi-coanal., 47, 2001, pp. 5-27.

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isterico, quali ad esempio la suggestionabilità, l’irruenza, l’impre-vedibilità ed infine i clamorosi sintomi di conversione e le crisiisteriche (che soprattutto in passato facevano parte della fenome-nologia isterica) appaiono più accentuati nell’isteria femminile.Nei maschi, invece, le peculiarità dello sviluppo psicoevolutivostimolano piuttosto componenti onnipotenti e di controllo sul-l’oggetto e una più accentuata tendenza a negare la propria di-pendenza; dinamiche che stimolano nei Don Giovanni maggior-mente le spinte perverse e ciò può spiegare anche il perché lepatologie perverse si riscontrino prevalentemente in pazienti disesso maschile.

Queste riflessioni mostrano come da un lato gli sviluppi teori-ci dell’apparato psichico hanno consentito di arricchire le cono-scenze dell’isteria, ma a loro volta gli studi sull’isteria hanno resopossibile illuminare aspetti del mondo interno ed evidenziare unaparticolare complessità della ricerca in psicoanalisi, dovuta allespecificità di questo campo di indagine. In particolare, uno deiproblemi più complessi che la ricerca psicoanalitica deve affronta-re e che ha avuto particolari ricadute sull’isteria è dovuto alle im-portanti incidenze della dimensione storica nella strutturazionedel mondo interno. Gli studiosi hanno, infatti, evidenziato un af-fievolirsi della sintomatologia isterica e una tendenza all’eclissarsidi quadri clinici eclatanti, caratterizzati da spettacolari sintomi diconversione e crisi isteriche. In realtà ciò è solo parzialmente ve-ro, nel senso che, presso i reparti di medicina, non è rara la presen-za di pazienti che presentano sintomi di conversione e di donneaffette da crisi isteriche che si rivolgono al pronto soccorso e ciòaccade soprattutto all’interno di un’utenza che appartiene a grup-pi sociali scarsamente acculturati. Inoltre i casi di follia isterica, ge-neralmente, non vengono riconosciuti a causa di trasformazionidei modelli nosografìci. Per quanto poi concerne specificamenteil campo psicoanalitico, Bollas20 rileva che si tende a disconoscerele peculiarità delle dinamiche isteriche e a includere le isterie nel-l’ampio e non ben definito campo delle sindromi borderline.

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20 C. BOLLAS, Isteria, Raffaello Cortina, Milano 2001, p. 57.

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Ci si potrebbe anche domandare se non abbia contribuito afavorire queste tendenze il fatto che in passato il termine isteriasia stato adoperato in senso dispregiativo, per indicare uno statodi inferiorità ed una scarsa affidabilità delle donne. Nella nostraepoca, nella quale si tende ad un superamento di simili atteggia-menti preconcetti, si è finito forse, in parte anche per questo mo-tivo, a utilizzare scarsamente il termine isteria. Tuttavia, nono-stante alcuni fattori abbiano contribuito a smembrare l’ampiaarea patologica riferibile all’isteria, appare indubbio che la pato-logia isterica fosse più diffusa nel secolo scorso e soprattutto, co-me dimostrano le descrizioni di psichiatri e in particolare i casiclinici descritti da Freud, che la sintomatologia isterica fosse ge-neralmente più appariscente. Non è facile comprendere la gene-si di simili trasformazioni; si ipotizza che modelli sociali menorepressivi abbiano inciso, nel senso di rendere possibile alle iste-riche di alleggerire le loro angosce, avendo una maggiore possi-bilità di trovare rassicurazioni tramite la sessualità. Inoltre, unaparallela minore tolleranza verso atteggiamenti teatrali che si ac-compagnano a eclatanti sintomi di conversione, e verso compor-tamenti scomposti che emergono durante le crisi, può aver con-tribuito a determinare modifiche dei quadri clinici; ciò trovereb-be una conferma, anche se solo indiretta, nel fatto che nella no-stra epoca tendono a scomparire alcuni rituali religiosi caratte-rizzati dall’emergere di stati profondamente regressivi durante iquali «i fedeli possono avere vere e proprie crisi isteriche»21.

Queste riflessioni evidenziano un complesso ed in parteoscuro intreccio tra le forme di patologia ed i modelli cultu-rali che rendono particolarmente arduo il campo di indaginedella psicoanalisi.Tuttavia, ripercorrendo il tragitto operato daFreud e portato avanti da altri studiosi in tema d’isteria, risul-ta piuttosto evidente come, nonostante le difficoltà, si sia riu-sciti a compiere importanti passi in avanti nella comprensione

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21 C. ALBARELLA, “Isteria e ritualità: un nesso tra clinica e civilizzazione”, Riv. Psic.,45, 1999, p. 317.

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di questa forma di disagio psichico. Le ipotesi sulle dinamicheisteriche rendono possibile comprendere i significati di taluniatteggiamenti e sofferenze che si celano in spericolate sedut-trici e in abili Don Giovanni, che si incontrano molto di fre-quente nel nostro mondo, anche se appariranno assai diversidalle pazienti descritte da Freud, che erano spinte da più rigi-di modelli a negare i loro desideri seduttivi ed esibire atteggia-menti vincolati a modelli appartenenti ad un’epoca storica or-mai lontana. Ci possiamo, perciò, rendere conto di come l’iste-ria sia cambiata in alcune sue eclatanti modalità e di come sisia camuffata dietro altre nevrosi, dovendo così abbandonarealcune sue peculiarità. Questa tendenza al “mascheramento ca-maleontico” deriva dal fatto che la patologia isterica si model-la all’interno di un determinato periodo storico e di un deter-minato contesto sociale. Ma casi clinici attuali costituisconoanche la prova dell’esistenza, ancora oggi, della patologia “iste-ria”, che invece da più studiosi è stata dichiarata ormai scom-parsa: «Nonostante la continua rimozione, l’isteria, altrettanto conti-nuamente, “ritorna”, indossando maschere diverse dietro le quali, pe-rò, ritroviamo sempre la stessa malattia»22. Spesso la malattia sce-glie la mimesi, suo peculiare meccanismo di difesa, come ri-sposta alla pressione del condizionamento culturale di quel de-terminato periodo storico e in quella determinata area geogra-fica. Più di frequente essa, imitando qualunque altra patologia,rende difficile scoprire i tratti del suo funzionamento. Di con-seguenza, l’isteria è stata rubricata sotto altre voci. A distanzadi cento anni dalla pubblicazione degli Studi sull’isteria, infatti,non si è ancora raggiunto un accordo sul suo inquadramentoe il dibattito è ben lungi dall’essere concluso.

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22 G. MATTIOLI, F. SCALZONE (a cura di), Attualità dell’isteria. Malattia desueta o posi-zione originaria?, Franco Angeli, Milano 2002.

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• Relazione fra isteria ed altre nevrosi

Da un ventennio a questa parte sono stati molteplici e rapidi i mu-tamenti sociali, e con essi si sono modificati anche i parametri di ri-ferimento del mondo esterno e quindi le esigenze di adattabilità:l’isteria sparisce come quadro clinico per ripartirsi in una moltepli-cità di “disturbi”: di ansietà, somatomorfi, dissociativi, dell’identitàsessuale, del sonno,del controllo degli impulsi, della personalità e viadicendo. La lista continua e aumenta con i disturbi senza causa or-ganica: cervicalgie, stanchezze croniche, disturbi digestivi, dermato-logici, ma anche vertigini, giramenti di testa, attacchi di panico. Lepulsioni inaccettabili rimangono, le frustrazioni aumentano come iritmi della vita, la stanchezza cronica può nascondere i propri biso-gni profondi e giustificare una non-attività. Il rapporto con il pro-prio corpo, poi, è cambiato con il tempo: a livello sociale si chiedeun corpo bello, ma guai a dichiararsi narcisisti, bisogna essere “pro-fondi dentro e belli fuori”… Malattie del controllo, sempre più fre-quenti, sono l’anoressia, la bulimia, l’ipocondria; ci chiedono di es-sere tecnologici, informati, profondi, belli, magri, non-narcisisti,comprensivi.“Perfetti”, insomma.

• L’ipocondria e l’ipocondriaco

Il DSM inserisce l’ipocondria nella categoria dei disturbi soma-toformi. Spesso si usa parlare di ipocondria come della «paura oconvinzione che il proprio corpo o la propria mente subiscanocontinue affezioni di varia natura». Si potrebbe ipotizzare che al-la base di tale psicopatologia ci sia un disturbo della percezionedella propria immagine corporea. Infatti, l’ipocondria si situanella sottile fascia di confine tra lo psichico e il somatico e l’in-dividuo che ne fa esperienza la prova in modo discontinuo, nelsenso che talvolta è presente e talvolta no, la sente, ma non sa co-me affrontarla. Ciò che fa scattare l’idea di malattia sembra esse-re un qualsivoglia allarme, anche di poco conto, per la propria sa-lute, che instaura un sentimento di timore il quale, di frequente,

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sfocia nell’ansia. All’inizio un individuo che teme di avere unamalattia si rivolge al proprio medico ed esige di scoprire la ma-lattia che lo tormenta e dalla quale egli suppone di essere affet-to. Se il medico esclude che esistano i presupposti per una pato-logia organica in grado di spiegare i sintomi riferiti, la personarimane con il suo timore e sperimenta ancora le stesse paure sen-za riuscire a capire cosa stia succedendo.

A seconda della gravità della patologia ipocondriaca, trovere-mo differenti comportamenti individuali: un soggetto lievemen-te ipocondriaco si accontenterà di lamentarsi ogni tanto conamici e parenti per la propria malferma salute mentre, mentre allato estremo, avremo una persona che spenderà tutto il propriotempo e il proprio denaro alla ricerca di un medico o di unospecialista in grado di evidenziare la malattia da cui è certo di es-sere affetto, con conseguenze immaginabili a livello di riduzionedelle potenzialità dell’individuo, dell’impoverimento della suarete sociale e con costi altissimi a livello economico.Assai sugge-stiva è l’osservazione di individui nei quali la sintomatologia ipo-condriaca si attenua quando viene loro accertata una reale ma-lattia organica, per cui si può ipotizzare che l’ipocondriaco siadominato più dal timore della malattia che dai sintomi della ma-lattia stessa. È utile accennare che anche la nostra società dei con-sumi favorisce l’insorgere dell’ipocondria in soggetti “struttural-mente” predisposti dal momento che molte preoccupazioni so-matiche sono incoraggiate. Così i mass media esercitano un’in-fluenza sempre maggiore proponendo anche nuovi ideali di sa-lute e di estetica. Peso in eccesso? Detestabile. Gambe e seni flac-cidi e senza tono? Assolutamente inaccettabili. Perdita di capelli?Sei un perdente. Hai la pelle ruvida? Nessuno ti vuole. Sei stan-co? Non è possibile. Il business world, infatti, ha da tempo sco-perto come sia possibile sfruttare questa attenzione che le perso-ne rivolgono al proprio corpo: industrie e venditori, case farma-ceutiche e personal trainers, cosmetologia e dietologia, tutto unmondo, non regolamentato da leggi precise, che spesso, sfruttaaspetti ipocondriaci più o meno gravi, creando delle somatizza-zioni nei soggetti più fragili e predisposti.

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• Ipocondria e isteria

Nonostante il DSM IV abbia dato autonomia nosologica al di-sturbo ipocondriaco, la coesistenza dell’ipocondria con altresindromi psichiatriche è così comune che diversi studiosi nonla considerano una sindrome indipendente, ma un sintomocomplesso di varie forme psichiatriche. I sintomi ipocondriaci,infatti, possono talora mascherare un episodio depressivo: inquesto caso, solitamente, si accompagnano ad altri sintomi de-pressivi, come sentimenti di disperazione, abbassamento del-l’autostima etc. La relazione tra ipocondria e disturbi d’ansia è,invece, complessa. Molti pazienti con disturbo da attacchi dipanico, agorafobia e disturbo d’ansia generalizzato hanno pau-re e convinzioni ipocondriache. Nei pazienti ansiosi i sintomiipocondriaci non costituiscono l’alterazione dominante, ma so-no piuttosto la componente di un disturbo più generalizzato.Infine, il disturbo da somatizzazione (che si connota per la pre-senza di sintomi somatici inspiegabili) non comporta, a diffe-renza dell’ipocondria, la paura e la convinzione di essere am-malato. È più frequente nel sesso femminile e si accompagnasolitamente ad uno stile relazionale isterico, diverso da quellopiù ossessivo dell’ipocondriaco. Infatti, alla base dell’isteria diconversione è stata riconosciuta una struttura ipocondriaca co-sì frequentemente, da far pensare che questa sia un’organizza-zione stabile della conversione isterica. Nel momento in cuil’Io “si vede schiacciato da un livello o da un’organizzazioneestremamente complessa di ansie di vario tipo, di identificazio-ni femminili e maschili, di pulsioni libidiche e aggressive”, puòcontrollare tutto questo o attraverso “l’ipocondria, ossia la suadepositazione in un organo” o attraverso “un’altra possibilità,che consiste nella conversione isterica” 23, appunto.

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23 J. BLEGER, Psico-igiene e Psicologia istituzionale, (ed. orig. 1979), Libreria Ed. Laure-tana, Loreto 1989.

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• I disturbi dell’alimentazione

È innegabile che i Disturbi dell’Alimentazione presentino, negliultimi anni, una diffusione ed una pervasività mai registrate pri-ma nel mondo occidentale. La società idealizza e pubblicizza ca-ratteristiche comportamentali e fisiche che “costringono” i gio-vani ad una ridefinizione della propria personalità e del propriocorpo. Intorno agli anni ‘70 negli Stati Uniti si prende atto diquesto fenomeno sommerso, misconosciuto, ma di una gravità ditipo epidemico; questo riconoscimento offre l’opportunità di af-frontare il problema anche dal punto di vista socioculturale.L’anoressia, ad esempio, si sviluppa rigogliosamente a partire dalribaltamento del ruolo della donna rivendicato dal movimentofemminista. Sul corpo, poi, si focalizza l’attenzione dei mezzi dicomunicazione di massa fino a giungere all’odierna esaltazionedell’androgino. E se essi raggiungono una tale influenza e perva-sività è anche dovuto al fatto che la scuola - da ideale dispositi-vo di educazione - è stata relegata a centro di formazione-lavo-ro, azzerando ogni opportunità di sviluppo di un’intelligenza chenon sia quella logico-matematica, quella razionale e funzionali-stica. È scontato, quindi, che un adolescente, privato di uno svi-luppo armonico dell’intelligenza emotiva, di quella intrapsichicae interpersonale, sia particolarmente predisposto alle seduzioni ealle imitazioni, proprio perché privo di una struttura dell’Io ca-pace di filtrare, analizzare, decodificare parole, gesti e suggeri-menti.

• L’anoressia

L’anoressia colpisce prevalentemente giovani donne ed è considera-ta un disturbo del comportamento alimentare; in realtà il nucleocentrale del problema non è l’alimentazione disturbata ma l’ecces-siva preoccupazione nei confronti del peso e delle forme corporee,che si esprime in una forte paura di ingrassare e in una costante ri-cerca della magrezza. Nasce da un’immagine distorta del proprio

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corpo che porta ad una perdita eccessiva di peso, provocata, solita-mente da una diminuzione volontaria di cibo, nonché da esageratoesercizio fisico. Ormai sono numerose le osservazioni epidemiolo-giche secondo cui i disordini del comportamento alimentare sonoin considerevole e costante aumento nel mondo occidentale.

Nel 1990 Richard Gordon, all’interno della sua analisi sul-l’anoressia e la bulimia, suggerisce come i disturbi del compor-tamento alimentare possano essere considerati “disturbi etnici”cioè caratterizzati da un modello deviante che, per le sue dina-miche, viene ad essere un’espressione delle contraddizioni cru-ciali e dell’ansia di fondo di una particolare parte della societàumana in un particolare momento storico. L’uso del termine “et-nico” acquista qui il significato di “cultura” o comunque diquanto è «fondamentalmente inerente a una cultura». L’anoressiamanifesta – sul versante individuale, inconscio, sottostante alcomportamento disturbato, l’organizzazione di quel nucleo chefa della persona un essere completo24 – alcune caratteristiche pe-culiari e costanti: l’incapacità di esprimere verbalmente senti-menti, desideri, paure, rifiuti, emozioni in genere; la sensazioneche le attitudini interne siano derivate da fantasie e necessitàpressanti dall’esterno; la percezione distorta ed illusoria del pro-prio corpo; l’impressione di non essere padroni della propria vi-ta e del proprio destino; l’impossibilità di gestire le spinte fisio-logiche all’autonomia e all’indipendenza; il sentimento di bassaautostima per un miraggio di perfezione inesaudibile; la mancan-za di uno sviluppo armonico dell’identità personale.

C’è anche, contemporaneamente, l’elemento relazionale, e nel-lo specifico le comunicazioni che intercorrono tra i membri del-la famiglia. Di solito, la famiglia è caratterizzata da un’atmosfera dirigida chiusura verso la sessualità, con netta contraddittorietà econflittualità rispetto a modelli sociali proposti. Il sentimento

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24 A. DEGANIS (a cura di), I disturbi alimentari: un progetto integrato comunitario, FrancoAngeli, Milano 2005, pp. 56-57.

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d’inadeguatezza è accentuato dalle richieste di prestazioni elevate,per cui scatta il meccanismo a causa del quale la pressione al suc-cesso incita alla dimostrazione di capacità e di riuscita, innescan-do un circolo vizioso di soddisfazione e di frustrazione.

Gran parte delle anoressiche, per altro, dimostra un legame vi-schioso con la madre che compensa, attraverso la figlia, una disar-monia nel rapporto con il coniuge; la vischiosità, perciò, diventa ilmezzo di sostentamento per la sbiadita figura materna, ma ancheil dispositivo più paralizzante per chiudere qualunque prospettivad’emancipazione. Del resto, il minimo anelito di indipendenza fascattare il sentimento di colpa per l’idea di tradire la perversa al-leanza, con un’ulteriore e più grave ricaduta nella simbiosi repres-siva. In quest’atmosfera “tossica” a livello comunicativo, il collantedell’ingannevole armonia familiare si trova nella manifestazioneesteriore di attenzione nei confronti della figlia da parte della ma-dre che, in questo modo, ricambia il supporto filiale. Da parte del-la figlia, per altro, il digiuno diventa uno strumento di dimostra-zione della propria potenza e della propria volontà da un lato, edall’altro un metodo di controllo e di ricatto per mantenere inscacco entrambi i genitori. Il mondo, infine, è la realtà esterna checondiziona e inquadra con sottile suggestione le mode e i valoridei quali, la snellezza e le diete sono gli esempi eclatanti e vinco-lanti di un modo di volere/dover essere. Nella società moderna siè determinato un cambiamento radicale dei ruoli femminili, conla conseguenza che le donne sono costrette a gareggiare e a com-petere per centrare i nuovi idoli di riuscita lavorativa e di afferma-zione pubblica. Basti pensare che malattie organiche come l’infar-to e l’ulcera gastrica, un tempo prerogative maschili, stanno attac-cando con frequenza progressiva anche le donne.

• Dall’anoressia alla bulimia

Strettamente legata all’anoressia è la bulimia: il mangiare senzafame, senza uno scopo preciso. L’unico motivo è quello di placa-re uno stato d’ansia. Almeno il 65% delle persone diagnosticate

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come anoressiche sono in realtà bulimiche. Molti pazienti pre-sentano tutte e due le forme: molti di loro passano da una for-ma all’altra. Comunque, in entrambe le forme, si rivela un iden-tico terrore d’ingrassare, in entrambe l’apparenza estetica è deter-minante per lo stato psicologico.Tra le differenze, laddove i duedisturbi non coesistono, è importante invece rilevare come:– Il disturbo di tipo anoressico si presenti nella maggior parte

dei casi come accettato ed esibito, un atteggiamento di fana-tica ricerca di una magrezza estrema di cui vantarsi;

– La bulimia tende invece ad essere avvertita come un impulsorifiutato e irrefrenabile che ha per conseguenza un compor-tamento da nascondere con forte vergogna.Il comportamento anoressico-bulimico è un sintomo ambi-

valente interpretato come:– Un tentativo disperato di ottenere ammirazione e conferma,

di sentirsi unici e speciali.– Un tentativo di attacco alle eccessive aspettative genitoriali (se

i genitori tendono a prendersi cura del bambino in funzionedei propri bisogni, piuttosto che di quelli del figlio, il bambi-no sviluppa nella prima infanzia un falso Sé, per far piacere aigenitori, ma cova le matrici di futuri comportamenti testardie negativisti, che in adolescenza userà per aggredirli).

– Un tentativo di sviluppare, attraverso la disciplina del corpo eil controllo del cibo, un senso di autonomia e di individuali-tà (per tentare di uscire da una dimensione psicologica ed esi-stenziale di dipendenza e di impotenza).La maggior parte dei pazienti con anoressia e/o bulimia per-

cepisce dentro di sé la convinzione di essere completamente ina-deguata e impotente, sentendosi incapace di sostenere il giudiziodegli altri. L’anoressia, e la bulimia, rappresentano la necessità dicomunicare, di esprimere paure, pensieri, sogni: un modo di col-legarsi con il mondo esterno non con parole o azioni particola-ri, non piangendo, non urlando, non sorridendo, ma solo abban-donandosi alla propria tristezza. Queste malattie sono delle gri-da silenziose di aiuto, che si manifestano in una forma, di per sésemplicissima: togliendo ciò che serve per sopravvivere, il cibo.

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La bulimia, poi, presenta rispetto all’anoressia altri tratti distinti-vi: la difficoltà di separazione fisiologica dall’atmosfera familiare;il senso di minaccia da parte del mondo degli adulti per la pro-pria identità; l’eccessivo bisogno di dipendenza e di accudimen-to; l’ambivalenza nel desiderio di autoaffermazione; i sentimentipervasivi di vergogna e di inadeguatezza; la paura della perdita diuna patologica gestione della libertà; la scissione comportamen-tale oscillante tra la dipendenza e la ribellione.

La bulimica, poi, manifesta una scarsa considerazione per lamadre, percepita come indistinta ed inadeguata, e dalla qualeprova necessariamente a differenziarsi e a prendere le distanze.Il padre, dal canto suo, viene avvertito con estrema ambiguità edoppiezza: da un lato, la figlia soffre per le disapprovazioni e leumiliazioni del genitore nei suoi confronti, dall’altro subisce ilfascino di un personaggio irraggiungibile e perturbante. La suadifficoltà ad instaurare relazioni importanti e costruttive con gliuomini deriva proprio dall’aver fondato il modello di riferi-mento maschile nel padre, con una conseguente frustrante efallimentare identificazione degli uomini con il suo ideale. L’in-capacità a verbalizzare i propri stati d’animo mantiene ed ali-menta una rabbia permanente e pervasiva ma sempre segreta:interiormente si esprime con i rituali furiosi dell’abbuffata edel vomito, esteriormente manifesta un imperturbabile e ac-condiscendente conformismo. Anche qui, è la realtà quotidia-na, della pubblicità, delle biografie delle dive, che predispone al-l’iniziazione del comportamento bulimico - ovviamente su unagià stabilita predisposizione psicologica. Le frustrazioni cheemergono da un’atmosfera di pressante richiesta di prestazionie di produttività sono già distruttive per le cosiddette personenormali; esse esplodono con devastante violenza psicologica inquelle persone che, per costituzione personologica e per copio-ne familiare, presentano dei punti di minore tolleranza agli in-successi e alla competitività.

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• I disturbi dell’alimentazione in relazione all’isteria

Come sappiamo, la Grande Isteria rappresentava un quadro clini-co tipico dell’Ottocento ed esprimeva, in una forma compatibi-le con il contesto culturale del tempo, la crisi dell’identità fem-minile; i disturbi dell’alimentazione, oggi, assurgono ad espres-sione critica dei dilemmi di quella stessa identità, utilizzandoun’espressione “formale” diversa in sintonia con il contesto cul-turale attuale. È un fattore culturalmente indotto, ed è ovvio chele analogie tra isteria e disturbi alimentari devono fermarsi quitrattandosi di forme di disagio psichico radicalmente diverse. In-fatti, l’anoressia non è riducibile all’isteria: innanzitutto perchénella clinica s’incontrano soggetti anoressico-bulimici struttural-mente ossessivi oppure - per uscire dall’ambito nevrotico - per-versi, paranoici, schizofrenici; secondariamente, perché l’anores-sia non è l’espressione contemporanea dell’isteria incontrata daFreud e per tre ragioni almeno:1. può rappresentare, per il soggetto confrontato con la questio-

ne della femminilità, un punto d’impasse oppure una rispostadifferente rispetto a quella tipicamente isterica;

2. può costituire per il soggetto non solo una difesa del deside-rio, ma anche una difesa dal desiderio;

3. infine, si presenta spesso non solo come rifiuto della doman-da dell’Altro, ma come rifiuto dell’Altro tout court.

• Il disturbo borderline

L’ultimo disturbo che affronterò è quello borderline. Sebbenenegli ultimi vent’anni la letteratura sulla patologia borderline sianotevolmente aumentata, il raggiungimento di un accordo sulconcetto e sui criteri diagnostici, che caratterizzano questo di-sturbo, continua ad essere materia di dibattito tra le diverse scuo-le. I primi tentativi di definire le condizioni psicopatologiche ‘diconfine’ risalgono alla fine del secolo scorso, quando gli psichia-tri cominciarono a gettare le basi per la costituzione dei moder-

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ni schemi nosografici, per concludersi all’inizio degli anni ‘50,quando il termine borderline comincia a imporsi sullo scenariodella psichiatria nord americana. A questa prima fase si può farrisalire il “peccato originale” che, nonostante l’imponente lette-ratura sull’argomento, rende ancor’oggi la diagnosi di disturboborderline controversa e problematica. Infatti, il termine presen-ta un’intrinseca ambiguità: essendo un disturbo situato lungo la“linea di confine” con altre sindromi psichiatriche, gli aspetti cli-nico-diagnostici sono stati per lungo tempo definiti sulla basedelle differenze che i pazienti, a cui veniva assegnata l’etichetta“borderline”, presentavano rispetto a quadri sintomatologicimeglio definiti.

Nel corso degli anni il disturbo borderline è stato via via con-siderato come forma sub-clinica della schizofrenia, della patolo-gia affettiva, di gravi forme isteriche o di altri gravi disturbi del-la personalità. Ma a partire dagli anni ‘50, il termine cominciò adessere considerato in modo distinto da quello di schizofrenia, as-sumendo così una maggiore autonomia e dignità psicopatologi-ca. Un altro aspetto rilevante nell’evoluzione del concetto fu lacrescente tendenza a considerare questo disturbo come espres-sione di un livello di «organizzazione della personalità», che po-teva manifestarsi attraverso quadri sintomatologi diversi. Taletendenza venne ulteriormente sviluppata da Otto Kernberg, ilquale, nel 1967, pubblicò un lavoro in cui per la prima volta iltermine borderline veniva associato chiaramente al concetto diorganizzazione di personalità.

Con l’espressione “organizzazione di personalità borderline”Kernberg identificava un gruppo di pazienti che presentavanouna notevole varietà di sintomi, che comprendevano un’ansia li-bera e fluttuante, fobie multiple, sintomi ossessivo-compulsivi,reazioni psicotiche, brevi disturbi dissociativi, preoccupazioniipocondriache, spunti paranoidi e disturbi del controllo degliimpulsi quali bulimia, promiscuità sessuale, abuso di sostanze eatti autolesivi. Per Kernberg, comunque, il quadro sintomatolo-gico non costituiva l’aspetto caratterizzante del disturbo border-line: gli aspetti chiave di questa condizione andavano ricercati

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nell’analisi strutturale della personalità, che permetteva di evi-denziare quattro elementi fondamentali.1. Debolezza dell’Io.Tale situazione si esprime in una scarsa tol-

leranza all’angoscia, nella difficoltà del controllo degli impul-si e nella mancanza di adeguati canali sublimatori.

2. Processi di pensiero primario. Sebbene l’analisi di realtà sia man-tenuta, questi pazienti mostrano una tendenza ad un pensierosimil-psicotico in situazioni poco strutturate o sotto la solle-citazione di eventi stressanti e/o di intensi stati affettivi.

3. Meccanismi primitivi di difesa. È questo l’aspetto più innovativodella formulazione di Kernberg. Secondo quest’autore, il mec-canismo di difesa fondamentale della personalità borderline ècostituito dalla scissione. Sul piano clinico gli effetti principalidella scissione sono evidenziabili nella tendenza ad avere com-portamenti palesemente contraddittori, ai quali si associa lapresenza di immagini di sé altrettanto contraddittorie e rapida-mente oscillanti. L’impressione che spesso si ha nel dialogarecon questi pazienti è quella di trovarsi di fronte a un caos.

4. Relazioni interpersonali (relazioni oggettuali) disturbate. È questaun’altra caratteristica importante introdotta da Kernberg. Ipazienti borderline, a causa della scissione, presentano unaspiccata tendenza a catalogare le altre persone secondo crite-ri dicotomici del tipo “tutti buoni” o “tutti cattivi”, oscillan-do continuamente tra idealizzazione e svalutazione.In seguito, grazie agli studi psicoanalitici all’inizio degli anni

’70, il concetto di borderline non fu più definibile da una sindro-me clinica ben definita, ma poteva presentare una sua espressivitàsintomatologica alquanto eterogenea. Proprio l’allargamento deicriteri clinico-diagnostici, comunque, dette l’impulso a migliora-re ulteriormente la definizione di ciò che, ormai, veniva ampia-mente accettato come uno specifico disturbo di personalità.

Da tutte queste considerazioni è facile evincere come la di-scussione su questo argomento sia tutt’altro che conclusa, anzi,in merito a questa continua evoluzione dei criteri diagnostici, èutile accennare al DSM-IV. Qui il paziente borderline è descrit-to come «colui che intraprende relazioni interpersonali pervasive e in-

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stabili», come indicato da almeno cinque dei seguenti elementi:sforzi frenetici di evitare abbandoni reali o immaginari; relazioniinterpersonali intense; disturbo dell’identità e, quindi, distorsionipersistenti dell’immagine di sé (sentimenti di non esistenza o diincarnare il male); impulsività in almeno due aree che sono po-tenzialmente dannose per il soggetto (abuso di sostanze); ricor-renti minacce, gesti o comportamenti autodistruttivi; affettivitàinstabile; marcati cambiamenti d’umore; sensazione cronica divuoto; rabbia immotivata e intensa, o mancanza di controllo del-la rabbia; ideazione dissociativa o paranoide transitoria.

Secondo alcuni autori, traumi infantili quali la trascuratezzada parte dei genitori, abusi sessuali, gravi violenze domestiche, e,in minor misura, separazioni, perdite significative e confusionenell’ambiente in cui vive il bambino, sarebbero la causa del di-sturbo. L’enfasi posta su tali esperienze infantili permette di con-siderare la strenua ricerca di rapporti interpersonali (la “fame dioggetto”) e l’instabilità affettiva come una ricerca di “cure geni-toriali” carenti. Inoltre, gli studi familiari hanno permesso di co-minciare a valutare l’importanza delle esperienze traumatichenella patogenesi borderline: in questa prospettiva i gravi disturbidel carattere di questi pazienti sarebbero l’espressione dell’effet-to di ripetuti e continui traumi provenienti da strutture e rela-zioni familiari gravemente compromesse.

• Isteria o sindrome borderline?

Negli ultimi anni l’attenzione per l’isterico si è indebolita nellaletteratura psicoanalitica, ma si sono anche riscontrati molti casi diisteria, come se nella comunità dei terapeuti si facesse strada unarichiesta inconscia di riconsiderare tale forma di nevrosi. Bollasavanza l’ipotesi che l’ascesa della personalità borderline negli anniCinquanta abbia costituito un movimento isterico all’interno del-la stessa comunità psicoanalitica. Può essere successo che la psicoa-nalisi abbia desessualizzato il proprio linguaggio e le proprie teo-rie introducendo il significante “borderline”, che si è poi tradotto

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in una rimozione del termine “isteria”. Poiché gli isterici cercanodi diventare gli oggetti del desiderio dell’altro, può essere accadu-to che abbiano percepito il desiderio dell’analista per il borderli-ne e abbiano presentato il Sé in questo modo, utilizzando la loropeculiare capacità mimetica, molto tempo prima che la comunitàclinica celebrasse questo termine.Anche Green riconosce la legit-timità di un paragone tra isteria e stati limite, poiché sono entitàcliniche entrambe proteiformi, che richiedono di non riferirsitanto alle manifestazioni sintomatiche, quanto piuttosto a un qua-dro concettuale che permetta di descrivere i movimenti struttura-li che le sottendono. Green è dell’opinione che l’isterico manife-sta una tendenza regressiva ma labile verso l’oggetto della pulsio-ne, contingente, spostabile, sostituibile; mentre il ‘caso limite’, do-po vari tentativi regressivi, di cui può far parte anche la dimensio-ne isterica, si aggrappa a un polo, a un oggetto non sostituibile e,anzi, necessario alla sopravvivenza dell’individuo.

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