Cinerama 1.3

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CINERAMA 1.3 DA #SCRIVIMIANCORA A UN MINUTO DE SILENCIO. PASSANDO PER BOYHOOD. LE RECENSIONI PUBBLICATE SULLA RIVISTA FILMTV DI TUTTI I FILM USCITI A OTTOBRE 2014. Mason siamo noi

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Mason siamo noi Da #ScrivimiAncora a Un minuto de silenzio passando per Boyhood Le recensioni pubblicate sulla rivista FilmTv dei film usciti in sala a ottobre 2014

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CINERAMA1.3

DA #SCRIVIMIANCORA A UN MINUTO DE SILENCIO. PASSANDO PER BOYHOOD.LE RECENSIONI PUBBLICATE SULLA RIVISTA FILMTV DI TUTTI I FILM USCITI A OTTOBRE 2014.

Mason siamo noi

Il Cinerama (dal greco κινεσις = movimento e οραω = vedere), è un sistema di ripresa e proiezio-ne atto ad offrire un’immagine di grandi dimensioni (sino a 28 m x 10 m) su uno schermo cur-vo di 146 gradi di ampiezza e 55 gradi di altezza. Tale imma-gine è perciò molto simile alla percezione dell’occhio umano (visione periferica).

Cinerama è anChe il raCCoglitore digitale delle reCensioni PUBBli-Cate sUl settimanale Filmtv. BUona lettUra!

#ScrivimiAncorA di Christian Ditter ... e fuori nevicA! di Vincenzo Salemme un Albero indiAno di Silvio Soldini e Giorgio Garini

Amore cucinA e curry di Lasse Hallström Amoreodio di Cristian Scardigno AnnAbelle di John R. Leonetti Annie PArker di Steven Bernstein lA bAndA dei SuPereroi di Davide Limone biAgio di Pasquale Scimeca björk: bioPhiliA live di Nick Fenton, Peter Strickland Boxtrolls - le scatole magiche di Graham Annable, Anthony Stacchi boyhood di Richard Linklater buoni A nullA di Gianni Di Gregorio capitan harlock - l’arcadia della mia giovinezza di Tomoharu Katsumata capulcu voci da gezi di Benedetta Argentieri, Claudio Casazza, Carlo Prevosti, Duccio Servi, Stefano Zoja chagall - malevich di Alexander Mitta clASS enemy di Rok Bicek confuSi e felici di Massimiliano Bruno criStiAdA di Dean Wright la danza della realtà di Alejandro Jodorowsky

drAculA untold di Gary Shore i due volti di gennAio di Hossein Amini

CINERAMA1.3INDICE ALFABETICO DELLE RECENSIONI DEI FILM USCITI A OTTOBRE 2014

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the equalizer di Antoine Fuqua el eStudiAnte di Santiago Mitre Fango e gloria - la grande guerra di Leonardo Tiberi

un fAntASmA Per Amico di Alain Gsponer unA folle PASSione di Susanne Bier frAnk di Lenny Abrahamson frAtelli unici di Alessio Maria Federici il giovAne fAvoloSo di Mario Martone guArdiAni dellA gAlASSiA di James Gunn hermitAge di Margy Kinmonth io Sto con lA SPoSA di Antonio Augugliaro, Gabriele Del Grande, Khaled Soliman Al Nassiry the judge di David Dobkin lASt Summer di Leonardo Guerra Seràgnoli lei diSSe Sì di Maria Pecchioli limbo di Matteo Calore, Gustav Hofer maze runner - il laBirinto di Wes Ball medianeras - innamorarsi a Buenos aires di Gustavo Taretto meet the fokkenS di Gabrielle Provaas un milione di modi Per morire nel WeSt di Seth MacFarlane lA moglie del cuoco di Anne Le Ny

my little Pony equeStriA girlS: rAinboW rockS di Jayson Thiessen one direction: Where We are - il Film concerto di Paul Dugdale

CINERAMA1.3INDICE ALFABETICO DELLE RECENSIONI DEI FILM USCITI A OTTOBRE 2014

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Pelo mAlo di Mariana Rondón perez. di Edoardo De Angelis PerfidiA di Bonifacio Angius

Piccole crePe, groSSi guAi di Pierre Salvadori unA PromeSSA di Patrice Leconte il regno d’inverno - Winter sleep di Nuri Bilge Ceylan ritorno a l’avana di Laurent Cantet il SAle dellA terrA di Wim Wenders, Juliano Ribeiro Salgado sin city - una donna per cui uccidere di Frank Miller, Robert Rodriguez SoAP oPerA di Alessandro Genovesi spandau Ballet: il Film - soul Boys oF the Western World di George Hencken lA SPiA di Anton Corbijn tAke five di Guido Lombardi third PerSon di Paul Haggis lA trAttAtivA di Sabina Guzzanti tutto molto bello di Paolo Ruffini tutto Può cAmbiAre di John Carney un minuto de Silencio di Ferdinando Vicentini Orgnani

CINERAMA1.3INDICE ALFABETICO DELLE RECENSIONI DEI FILM USCITI A OTTOBRE 2014

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La scrittura tra lo spazio e il tempo. Tratto dal romanzo omonimo (al netto dell’hashtag) di Cecelia Ahern, #ScrivimiAncora sembra un film arrivato diretta-mente dagli anni 90, qualcosa che sta tra P.J. Hogan e Richard LaGravenese (che della Ahern aveva adattato P.S. I Love You), combinando commedia sentimen-tale/matrimoniale e racconto epistolare. Rosie e Alex si conoscono da bambini, sono sempre stati molto legati e attratti reciprocamente, ma non se lo sono mai detto. Alla fine del liceo, però, lui va a studiare a Boston mentre lei resta incinta. Come una favola, con due giovanissimi attori in rampa di lancio, Lily Collins e Sam Claflin: una Biancaneve e un Principe che però non si incontrano mai.Il cineasta tedesco Christian Ditter sa catturare pulsioni improvvise, frasi non det-te, restando sempre sui loro sguardi incollati l’uno all’altro. Gli eventi travolgo-no il loro desiderio e i due protagonisti sembrano cogliere immancabilmente il

#SCRIVIMIANCORAREGIA DI CHRISTIAN DITTER

di Simone Emiliani

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momento sbagliato, tra lettere d’amore mai recapitate e dichiarazioni a cuore aperto quando tutto è perduto. È di immediato impatto, #ScrivimiAncora, con la macchina da presa che indugia spesso sui volti di Rosie e Alex. Con la luce di una fiaba, ma anche con un’efficace impronta realista che cattura la vita di Rosie e della figlia, come in un film di Frears tratto da Roddy Doyle. Solo l’epilogo viene improvvisamente velocizzato e quindi bruciato. Ma resta l’entusiasmo di un cine-ma semplice e vitale.

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 30 ottobre

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#SCRIVIMIANCORAREGIA DI CHRISTIAN DITTER

GRAN BRETAGNA / USA · 2014 · COMMEDIA · DURATA: 102’CON LILY COLLINS, SAM CLAFLIN, TAMSIN EGERTON, JAIME WINSTONE

Tre fratelli, la perdita di una madre, l’handicap mentale di un figlio, l’eredità da gestire, la malinconia napoletana e il solito campionario umano di ansie, incom-prensioni e piccolezze. Con la bellona di turno (Margareth Madè, in versione non vedente) inutile ai fine della storia e il verbo comico tutto sulle spalle di Nando Paone, con Vincenzo Salemme e Carlo Buccirosso a fargli da spalla. Di fronte a ogni opera del regista napoletano il problema è sempre lo stesso: chi non è più giovanissimo, ama il teatro e ha rispetto - quasi soggezione - per il suo ruolo di tramite della tradizione della commedia di Eduardo de Filippo sente quasi imba-razzo ad affossare i suoi film.Non è un caso, probabilmente, che il suo maestro non si sia mai fidato del grande schermo; in qualsiasi opera di Salemme il grande assente è sempre il cinema. ...e fuori nevica!, tratto proprio da una sua regia teatrale di 20 anni fa, non fa asso-

... E FUORI NEVICA!REGIA DI VINCENZO SALEMME

di Adriano Aiello

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lutamente eccezione, nonostante non sia privo di alcuni momenti riusciti. Toni e interpreti sono rodati: equivoci, giochi linguistici e gag sono più o meno centrati (per quanto scolastici), ma il senso del tutto annega nel vuoto circostante e nel dubbio che nonostante l’anima popolare del film, questo sia paradossalmente un prodotto per nessuno. Al tutto si aggiunge l’irrinunciabile happy end posticcio che non porta da nessuna parte e tramuta in fastidio la sensazione di vaga tenerezza che accompagna la visione.

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 16 ottobre

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... E FUORI NEVICA!REGIA DI VINCENZO SALEMME

ITALIA · 2014 · COMMEDIA · DURATA: 94’CON VINCENZO SALEMME, CARLO BUCCIROSSO, NANDO PAONE, MAURIZIO CASAGRANDE

Felice Tagliaferri è uno scultore. Lavora soprattutto con la creta, che modella con movimenti rapidi delle dita, utilizzando i polpastrelli come fossero i suoi occhi. Fe-lice Tagliaferri è cieco dall’età di 14 anni, solo a 25 (ricorda più volte, a riprova che «non è mai troppo tardi») ha scoperto di poter essere un artista, pure bravo, e di saper dare una forma fisica a immagini che vedeva solo con la mente. Come una sorta di spinoff di Per altri occhi, documentario del 2013 in cui Soldini raccontava la disabilità in chiave antiretorica, Un albero indiano sceglie uno dei personaggi del cast corale del film precedente e lo segue in un viaggio in terra straniera. L’India, per la precisione: Tagliaferri vi si reca per tenere un corso di scultura in una “scuola inclusiva”, che accoglie bambini e ragazzi affetti da handicap diversi (fisici, mentali, psicologici, sociali), in un contesto di per sé culturalmente ostile, complicato dalla povertà di mezzi e risorse. Un progetto portato avanti con testar-

UN ALBERO INDIANOREGIA DI SILVIO SOLDINI, GIORGIO GARINI

di Alice Cucchetti

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daggine da un manipolo di insegnanti e sostenuto dalla Onlus italiana CBM, che infatti è anche produttrice di Un albero indiano; ma Soldini aggira, senza negarla, la committenza esterna, come in Per altri occhi disegna personaggi con pochi tocchi ben assestati e lavora attraverso libere associazioni d’idee, tracciando un’i-dentificazione tra il coraggio semplice e quotidiano di chi è disabile e quello di chi lavora per e con loro, tra cento difficoltà. Che «l’unione fa la forza» sarà banale, ma è anche vero.

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 9 ottobre

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UN ALBERO INDIANOREGIA DI SILVIO SOLDINI, GIORGIO GARINI

ITALIA · 2014 · DOCUMENTARIO · DURATA: 43’

Uno strano e seducente incrocio quello tra Steven Knight e Lasse Hallström. Come se l’auto di Locke finisse la corsa in quel luogo del sud della Francia dove la famiglia di Hassan Kadam si è trasferita dall’India per aprire un ristorante proprio vicino a quello di Madame Mallory, classico esempio di cucina francese premiata anche dalla guida Michelin. Ci sono tracce di una fiaba spielberghiana (qui tra i produttori), forse presente in quei colori pastellati di Always - Per sempre che divampano nell’inquadratura come un dipinto che sta prendendo forma.Hallström torna nella vecchia Europa come un cineasta statunitense in trasferta. Il romanzo omonimo di Richard C. Morais diventa solo un pretesto non tanto per perdersi nei luoghi, ma per catturarne gli odori, i sapori, l’aria, le luci. Il desiderio di un viaggio senza ritorno come Scott in Un’ottima annata. Il titolo italiano spiaz-za: il cuore inebriante di questo film sta proprio in quella breve distanza tra i due

AMORE CUCINA E CURRYREGIA DI LASSE HALLSTRÖM

di Simone Emiliani

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luoghi (The Hundred-Foot Journey in originale). Tradizioni e classi sociali si scon-trano fondendosi caoticamente con una magica ubriachezza che scioglie anche la tecnica di Helen Mirren, lasciando prevalere il piacere del gioco sul mestiere. Il gruppo di famiglia in un interno è quello di Buon compleanno Mr. Grape, le attese di Hachiko - Il tuo migliore amico. Hallström qui non ha più freni; lascia volare i personaggi, anche con lo sfondo del cielo stellato.

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 9 ottobre

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AMORE CUCINA E CURRYREGIA DI LASSE HALLSTRÖM

USA · 2014 · COMMEDIA · DURATA: 124’CON HELEN MIRREN, ROHAN CHAND, CHARLOTTE LEBON, MANISH DAYAL

Dopo Amanda Knox (girato per la statunitense Lifetime Television da Robert Dor-nhelm e ispirato all’omicidio di Meredith Kercher) e In nomine Satan (diretto da Emanuele Cerman per la factory di Stefano Calvagna e dedicato a storia e figure delle Bestie di Satana) è ora il turno del film sul delitto di Novi Ligure. Erika e Omar qui si chiamano Katia e Andrea, e se il 2001 s’è aggiornato (per amor di denuncia sociologica) all’epoca di Facebook, Whatsapp e fotocamere di smartphone, le di-namiche restano quelle del fatto di cronaca.Lei è una giovane anaffettiva, i suoi sentimenti sono stati mortificati dal rigore della famiglia, dai bisogni bassoventrali dei compagni di scuola, dalla superficia-lità del gruppo di pari. Sesso alcol droga & sassi lanciati dal cavalcavia sono solo espressione di questo deserto. L’omicidio è il passo successivo. Andrea, plagiato, la segue per bisogno d’amore. Scardigno, regista e sceneggiatore, guarda il mon-

AMOREODIOREGIA DI CRISTIAN SCARDIGNO

di Giulio Sangiorgio

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do dall’inerte punto di vista dei giovani, ma non riesce ad attivare il dilemma mo-rale, soffocato da un evento mille volte raccontato dai media e dunque mai aperto al possibile, da un eccesso di sociologismo (i genitori guardano la tv, ascoltano gli psicologi, non vedono la figlia), dalla leziosità della messa in scena e da certe facilonerie (la proposta omicida che riecheggia fuori campo sul volto di Andrea). Le inebetite interpretazioni degli attori dialogano con i cuori svuotati dei protago-nisti. Lo scambio di battute finale riecheggia anche in I nostri ragazzi di De Matteo.

AMOREODIOREGIA DI CRISTIAN SCARDIGNO

ITALIA · 2013 · DRAMMATICO · DURATA: 105’CON FRANCESCA FERRAZZO, MICHELE DEGIROLAMO, CHIARA PETRUZZELLI, RAFFAELE BURANELLI

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 9 ottobre

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«Non si può più lasciare la porta aperta, il mondo è cambiato»: da questa consi-derazione, enunciata da Mia al marito John, emerge l’intrigante nucleo teorico del mediocre spinoff di L’evocazione, il cui direttore della fotografia Leonetti migra alla regia con Wan coproduttore. Volgono al termine gli anni 60, i televisori trasmettono le immagini di Manson e dei suoi efferati omicidi, la vita delle famiglie americane sta mutando e la sicurezza domestica è compromessa. Lo sarà per sempre. Wan e Leonetti risalgono le radici dell’horror postmoderno, quasi interamente basato sulla messa in crisi delle istituzioni tradizionali (casa, chiesa, famiglia), per confe-zionare un prodotto la cui dimensione vintage sposa una messa in scena piena-mente contemporanea. Gli oggetti quotidiani diventano perturbanti, le porte vanno chiuse a chiave, nel nido familiare si covano traumi. Wan dissemina il testo di rife-rimenti a L’evocazione - sposta gli oggetti da un film all’altro come d’abitudine (vedi

AnnAbelleREGIA DI John R. LEonEttI

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di Claudio Bartolini

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la saga Saw) - ma in scena scorrono accozzaglie sconnesse di riferimenti e cifre di genere. Fantasmi, tecnologia ribelle, bambole assassine, ribellioni atmosferiche; Rosemary’s Baby, Shining, L’esorcista, The Strangers; false soggettive in avvicina-mento, grandangoli a casaccio, facili spaventi annunciati dal sound design o dal buio improvviso, presenze demoniache nel secondo piano prospettico. Costruito come un vortice ossessivo dal finale irrilevante, Annabelle non alza mai l’asticella dell’horror anni 10.

ANNABELLEREGIA DI John R. LEonEttI

USA · 2014 · hoRRoR · DURAtA:98’Con AnnAbELLE WALLIS, WARD hoRton, ALfRE WooDARD, tony AmEnDoLA, ERIC LADIn

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 2 ottobre

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Tre vite parallele, poi convergenti, per raccontare una storia vera. Quella di Annie Parker, che negli anni 60 vede morire la madre e nei 70 la sorella a causa di tumori al seno che i medici si ostinano a non riconoscere come ereditari. Quando anche Annie si ammala, inizia a condurre studi in parallelo a quelli ufficiali di Mary-Claire King, la donna che scoprì il legame genetico all’origine del cancro. Annie Parker racconta la vicenda privata di un’eroina sottovoce della modernità, la lotta del buon senso contro l’ottusità scientifica e l’ostinata ricerca di una donna che non accetta quell’ottusità. Se la prima pista, retta dalla gigantesca performance della Morton, funziona a meraviglia limitando al massimo le propaggini ricattatorie e il facile abbandono alla lacrima, e la seconda sfrutta in controtendenza i codici della do-cufiction per accedere sottopelle al livello emotivo del racconto, la terza fatica a trovare limpidezza espositiva e si cristallizza in una King alla quale Helen Hunt

Annie PArkerREGIA DI StEvEn BERnStEIn

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di Claudio Bartolini

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non riesce a donare la terza dimensione. L’ossessione per un destino già scritto (l’autopalpazione al seno come automatismo), la perdita di carisma sessuale e di grazia materna agli occhi del marito e del figlio, l’analisi dei meccanismi empatici al cospetto di una malattia che deforma e mutila: i sottotesti funzionano, lontani dalla pornografia del dolore dei recenti cancer movie americani. A mancare è uno sguardo più ampio sul contesto, in grado di fotografare un universo medico sul ciglio di una svolta epocale.

Annie PArkerREGIA DI StEvEn BERnStEIn

USA · 2013 · DRAmmAtIco · DURAtA:91’con HElEn HUnt, SAmAntHA moRton, AARon PAUl, coREy Stoll, mAGGIE GRAcE

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 30 ottobre

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«Uno su mille ce la fa». A scalare la salita di morandiana (e sfiancante) memoria e a farsi distribuire un film realizzato con passione e un po’ d’incoscienza. Ma a volte è auspicabile che siano gli altri 999 a farcela. Non ce ne voglia Davide Limo-ne, detto Davidekyo - autore, regista, scrittore catanese con alle spalle la palestra sociale di YouTube - ma la sua è tra le commedie meno divertenti che la stanca memoria riporti a galla. Racconta le disavventure di un regista indolente che sfora il budget e decide di mettere su una banda di supereroi per derubare i ladri e recu-perare l’investimento. Metacinema? Anche no. Intendiamoci, affossare un’opera prima italiana low budget può apparire esercizio di severo sadismo o di catarsi, ma la necessità di mettere qualche paletto qualitativo non può scomparire per spirito divino. Limone si cuce addosso lo stereotipo del tipo sconclusionato, men-titore cronico, incapace di prendersi una responsabilità e far fede a un impegno, a

LA BANDA DEI SUPEREROIREGIA DI DAVIDE LIMONE

di Adriano Aiello

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il suo film è una radura creativa, con gag ripetitivi e senza ritmo.Sarà il suo stile, avrà un suo seguito e le sue velleità, ma si fatica davvero a tenere il filo di questa comicità naïf, con personaggi che appaiono e scompaiono senza logica, recitazione sempre sotto il livello di soglia. E senza che la condizione deldilettantismo trovi mai giustificazione in un guizzo, un’urgenza, una sterzata. Ci sono i supereroi ma non è Super, non è Kick-Ass e non è nemmeno Defendor. E la durata è davvero esagerata.

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 16 ottobre

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LA BANDA DEI SUPEREROIREGIA DI DAVIDE LIMONE

ITALIA · 2014 · COMICO · DURATA: 110’CON DAVIDE LIMONE, MARCO MERRINO, MARCO MAZZAGLIA, JACOPO CAVALLARO

Into the Wild, tra le montagne siciliane, per dare un senso all’esistenza e provare a “salvarsi” (ma da che cosa?). Biagio lascia tutto e diventa un eremita. Solo lui e la natura. Fino all’incontro con un cane, che salva dalla morte, e con due pasto-ri. Luoghi e persone che Scimeca conosce bene, visto che è cresciuto in quelle montagne (e si vede). Poi c’è la svolta, l’incontro con San Francesco e con Dio, il pellegrinaggio ad Assisi, la scelta di dedicarsi agli ultimi tra gli ultimi nella sua Palermo, diventando “frate Biagio”. Come evitare sia la cronaca distaccata (“raf-freddare” il soggetto sarebbe come tradirlo) sia l’adesione appassionata (a rischio agiografia)?Scimeca lo fa mettendo in scena il film e il suo autore, la storia di Biagio e le ragioni per cui vale la pena raccontarla, la vicenda emblematica del personaggioma soprattutto l’incontro con la persona. Cerca di “indicare” piuttosto che spiega-

BIAGIOREGIA DI PASQUALE SCIMECA

di Fabrizio Tassi

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re. C’è la vita di Biagio Conte evocata per episodi, luoghi, visioni. Ma c’è anche il regista che racconta la propria crisi – personale e creativa - e che cerca una rispo-sta nelle scelte di un missionario laico. Ci vuole coraggio per girare un film così fragile e sincero, così denso e sconnesso. Un film che a volte sembra voler dire troppo e a volte invece si ritrae con pudore, lasciando in sospeso tra l’emozione di aver conosciuto un uomo giusto, un puro, e lo stupore per ciò che in lui eccede la nostra comprensione: la fede, il dono totale di sé, la “felicità senza limiti”. Bello.

BIAGIOREGIA DI PASQUALE SCIMECA

ITALIA · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 90’CON MARCELLO MAZZARELLA, VINCENZO ALBANESE, SILVIA FRANCESE, OMAR NOTO

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 30 ottobre

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L’abito come una crisalide, fatto di materia organica non identificata eppure lumi-nescente, come le meduse, oppure le lucciole. Il volto - la proverbiale “faccia da folletto”, naturalmente più appesantita rispetto a quella della ragazzina islandese che tutti vogliono ricordare, ma non per questo meno ipnotica - è sormontato da una massa gigantesca di ricci multicolori, e questo, insieme al coro tutto femmi-nile che danza a piedi nudi e con i capelli sciolti, dà all’esperienza Biophilia un’at-mosfera da psichedelia anni 70, vagamente hippie, considerati anche l’organo di legno chiaro che suona da solo e i visual che rincorrono allucinazioni naturalisti-che e suggestioni da tecnologia vintage.ll film concerto diretto da Peter Strickland (Berberian Sound Studio) e dal monta-tore Nick Fenton (e curato da Björk in ogni dettaglio) è la porzione più convenzio-nale dell’universo multimediale proposto dalla cantante con il suo ottavo album

BJÖRK: BIOPHILIA LIVEREGIA DI NICK FENTON, PETER STRICKLAND

di Alice Cucchetti

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in studio (che è stato distribuito anche sottoforma di app interattive) e raggiunge l’obiettivo di rendere le sue più recenti sperimentazioni accessibili anche a un pubblico di non iniziati. Le opposizioni evocative tra i momenti dell’ultimo live del tour (tenutosi a Londra nel 2013) e le elaborazioni grafiche su segni geometrici, impulsi luminosi, elementi naturali moltiplicano il fascino di un’artista debordan-te, che sembra edificare mondi con la modulazione della voce. E che incanta fino al travolgente finale, in cui dichiara, potentissima: Declare Independence.

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 23 ottobre

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BJÖRK: BIOPHILIA LIVEREGIA DI NICK FENTON, PETER STRICKLAND

GRAN BRETAGNA · 2014 · DOCUMENTARIO · DURATA: 97’CON BJÖRK

La tecnica è sempre quella. Un misto - perfetto - di stop motion, disegni tradizio-nali e animazione in computer grafica. Insomma, ciò che ha reso famosa la Laika Entertainment. Che, dagli studi in Oregon, ha partorito due perle come Coraline e la porta magica e ParaNorman. Ora con Boxtrolls, tratto dal libro di Alan Snow Arrivano i mostri (in Italia pubblicato da Mondadori), la sfida si fa più difficile, spe-cialmente per la mancanza di un immediato e riconoscibile mondo di riferimento. Anche se, a ben guardare, la distinzione tra i poveri e progressisti Boxtrolls, che vivono nelle viscere di Pontecacio riciclando gli oggetti del mondo di sopra, e i ric-chi e conservatori residenti dalle tube bianche della ridente cittadina che venera i formaggi, con l’eroe umano/non umano chiamato a cambiare lo stato delle cose, rispecchia perfettamente la cifra narrativa della Laika.Stavolta, però, il meccanismo scorre meno liscio, soprattutto per il tardivo ingresso

Boxtrolls - le scatole magicheREGIA DI GRAhAm AnnAblE, Anthony StAcchI

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di Pedro Armocida

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del protagonista. Ma, se lo sviluppo narrativo mostra qualche incertezza, la bellez-za del film risiede nella (ri)costruzione fantastica di questo paesino e dei suoi abi-tanti di epoca vittoriana (e un po’ viene da pensare a La sposa cadavere, a cui Laika ha collaborato) dipinti con curiosi anacronismi tanto cari al filone steampunk e con una raffinata e intelligente ricercatezza nel linguaggio, nei costumi e nella musica (come la divertente incursione vocale di Eric Idle dei Monty Python).

Boxtrolls - le scatole magicheREGIA DI GRAhAm AnnAblE, Anthony StAcchI

USA · 2014 · AnImAZIonE · DURAtA:100’

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 2 ottobre

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Che sia l’ambizione più nobile o solo quella più radicata è irrilevante: raccontare la vita al cinema è assioma indissolubile. Linklater sulla questione ha detto molto - e bene - in passato, con una sensibilità a volte trascurata, ma non più trascura-bile. Boyhood segna uno scarto significativo sotto il profilo autoriale (celebrando il cambiamento invece della nostalgia) e di contenuto, che rigenera l’idea stessa di racconto di formazione. La storia di una famiglia filtrata dallo sguardo acuto e paziente di Mason, da quello di sua madre Olivia e sua sorella Samantha, rac-contata in 12 anni realmente trascorsi, con soli 39 giorni di ripresa, è un saggio di equilibrio e finezza miracoloso: ci porta nel flusso di parole, immagini, suoni e riti di passaggio, accompagnati dal nostro bagaglio biografico. Che si attiva duran-te la visione, scatenando un’empatia che cresce e si sviluppa per molto tempo successivo. Come nella migliore serialità (la crescita di Mason ricorda quella di

BOYHOODREGIA DI RICHARD LINKLATER

di Adriano Aiello

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Claire Fisher in Six Feet Under) l’opera di Linklater agisce sotterraneamente e ci trascina lì dentro; seleziona nel caos i dettagli sensibili e ti rende impossibile un addio. Ma lo fa con una scrittura gentile e mai coercitiva, senza strilli, scene madri, sottolineature enfatiche o ruffianate. Perché alla fine «non si coglie l’attimo, ma è l’attimo a cogliere te» come chiosa Mason durante la prima giornata della sua seconda vita al college, con quell’esistenzialismo scapigliato che è irrilevante sondare se sia un castigo o un dono (l’importante è che non sia una posa), ma che lo costringe alla diversità dai coetanei. A volte semplicemente si è così: ci si chiede il perché delle cose, altre volte si nasconde un cartellone pubblicitario di McCain a favore di quello di Obama, senza farsi tante domande, perché te l’ha chiesto tuo padre. Che si fa vedere ogni tanto, ma va bene così; ti vuole bene, ce la mette tutta: inutile gettargli sulle spalle le colpe di un’istituzione fallace e arbi-traria. Ma Mason rimane un riflessivo: assorbe, ascolta e codifica l’esistente. Non può farne a meno. Però la serenità è lì, da aggrappare in un momento, non c’è troppo da starci a pensare. Insomma, la vita scorre, l’America cambia, le ragazze sono strane, i ragazzi bulli, i padri vanno e vengono, Patricia Arquette ingrassa e continua a sbagliare mariti (il modo un po’ didascalico con cui escono di scena è l’unica debolezza dello script), ma il senso delle cose rimane in quegli attimi irripetibili in cui si sbaglia, si gioca, si ferisce e si ama; gli attimi che nascondono la tirannia del tempo. Che è anche quella della visione. Ne vuoi ancora ma non ce n’è più. Stacco. Nero. Arcade Fire. Fine. Commozione.

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 23 ottobre

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BOYHOODREGIA DI RICHARD LINKLATER

USA · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 164’CON PATRICIA ARQUETTE, ETHAN HAWKE, ELLAR COLTRANE, LORELEI LINKLATER

È una bella sensazione quella di tornare ancora una volta dentro l’universo così personale e riconoscibile di Gianni Di Gregorio, autore del sorprendente Pranzo di Ferragosto e poi di Gianni e le donne. Un mondo dove tutte le banalità del quotidia-no che ben conosciamo - dalla difficoltà dell’attraversamento pedonale al sopruso di chi parcheggia male con il Suv o al fastidio delle riunioni condominiali - trovano nella cifra poetica e distaccata dell’autore la possibilità di uno sguardo leggero, ma non per questo meno pungente o compiaciuto. Anzi, in questo terzo episodio, il nostro Monsieur Hulot prova a ragionare su come si possa sopravvivere a tutte le angherie giornaliere, magari mettendo da parte il buonismo connaturato all’animo umano. Un teorema che porta il regista narrativamente un po’ più lontano dalle sue messe in scena precedenti e che, soprattutto, lo costringe a confrontarsi con un altro personaggio a cui, un po’ forzosamente, cede il passo. Senza nulla togliere

Buoni a nullaREGIA DI GIAnnI DI GREGoRIo

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di Pedro Armocida

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alla bravura di Marco Marzocca, perfetto nel ruolo del collega dell’ufficio di un mi-nistero di fantozziana memoria che dice sì a tutti e viene schiavizzato anche dalla prorompente Cinzia (l’autoironica Valentina Lodovini), il film a un certo punto soffre d’un improvviso sbilanciamento narrativo. Poi però basta un attimo, uno sguardo benevolo e grazioso di Gianni, a riportarci dentro un cinema a misura d’uomo che pensavamo non potesse più esistere in Italia.

BUONI A NULLAREGIA DI GIAnnI DI GREGoRIo

ITALIA · 2014 · CoMMEDIA · DURATA: 87’Con GIAnnI DI GREGoRIo, MARCo MARzoCCA, VALEnTInA LoDoVInI, DAnIELA GIoRDAno

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 23 ottobre

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Quello di Capitan Harlock - L’Arcadia della mia giovinezza, in sala per un unico gior-no di programmazione in versione restaurata e ridoppiata, è un evento felicemen-te paradossale. Uno sberleffo spaziotemporale che contrappone la recente infor-nata di gioventù scafata e globalizzata - il cui amore per i bucanieri si è nutrito del macchiettismo di Johnny Depp - al fronte delle vecchie glorie analogiche, matusa cresciuti negli anni 70 con le tigri malesi dell’esotico Salgari (viaggio più lungo mai compiuto: Verona -Ivrea) e con un pirata spaziale giapponese. Uno che alle faccette buffe di Jack Sparrow - al netto della benda sull’occhio destro, la cicatrice sotto quello sinistro e la folta chioma a fare ombra a entrambi - non ci ha neanche mai pensato. Rimandato in piaggeria, Capitan Harlock recupera con un piglio da eroe d’altri tempi, da vero uomo romantico a cui si addicono lunghi aggettivi in tedesco. Misterioso, sprezzante (di tutto), coraggioso; e - soprattutto e per fortuna, visto che

Capitan HarloCk - l’arCadia della mia giovinezzaREGIA DI TomohARu KATsumATA

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di Nicola Cupperi

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è la sua unica guida - con il cuore dalla parte giusta, quella della libertà. Tanto nero il mantello quanto bianco il cuore, cantano di lui. Ma dimenticate la storica prima serie tv e gli scontri con la crudele regina Raflesia: L’Arcadia della mia giovinezza ci riporta alle origini del mito. Alla lotta del (non ancora) pirata Harlock contro gli alie-ni colonizzatori Illumidiani e all’abiura verso gli umani al potere che con codardia e opportunismo si sono inchinati all’invasore. Meglio la libertà, meglio l’avventura.

Capitan HarloCk: l’arCadia della mia giovinezzaREGIA DI TomohARu KATsumATA

GIAPPoNE · 1982 · ANImAzIoNE · DuRATA:130’

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 15 ottobre

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Il parco urbano di Gezi, a Istanbul, è un luogo simbolo dell’identità turca: qui ri-mangono gli ultimi acri che rievocano la demolizione del serraglio militare otto-mano. Çapulcu - Voci da Gezi racconta l’occupazione pacifica degli abitanti - e la relativa repressione - seguita al progetto di trasformarlo in un centro commercia-le. I cantieri partono il 28 maggio 2013 ma immediata è la mobilitazione per pre-servare il suo aspetto originario. Poche ore dopo la polizia inteviene duramente e brucia le prime tende. L’effetto automatico e spontaneo è l’aumento progressivo della protesta e della partecipazione popolare e l’inizio di un periodo di sensibiliz-zazione causato paradossalmente dai poteri forti dello Stato. Poco importa che alla fine, dopo 4.900 arresti e 8.038 persone ferite, le proteste hanno lasciato il passo alle imposizioni militari, perché successivamente forum di confronto sono nati in molti luoghi. Doc d’impostazione classica, Çapulcu parte dalla cronaca e si

ÇAPULCU - VOCI DA GEZIREGIA DI ARGENTIERI, CASAZZA, , PREVOSTI, SERVI, ZOJA

di Adriano Aiello

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smarca (non sempre agilmente) dalla narrazione empatica, trasformandosi in un riuscito testo sull’istinto primario alla conservazione. Dei propri simboli e luoghi di appartenenza, chi per interesse ecologicisti, chi politici, chi semplicemente per sentire comune. Ne esce un ritratto vivido delle contraddizioni che animano la cultura repressiva da una parte e di Istanbul, crocevia di culture e biografie a cui si sta sottraendo la memoria storica con una urbanizzazione brutale e acritica e con la costante sottovalutazione del sentimento popolare.

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 13 ottobre

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ÇAPULCU - VOCI DA GEZIREGIA DI B. ARGENTIERI, C. CASAZZA, C. PREVOSTI, D. SERVI, S. ZOJA

ITALIA / TURCHIA · 2014 · DOCUMENTARIO · DURATA: 60’

Dopo la Rivoluzione d’ottobre, Marc Chagall ritorna, entusiasta, a Vitebsk, sua città natale, con l’incarico di “commissario culturale”: liberata dal recinto dell’intratteni-mento borghese, l’arte è ora per tutti e da tutti praticabile, così il pittore fonda una scuola, progetta un museo, sogna di trasformare il piccolo villaggio russo della sua infanzia nella Parigi in fermento della sua giovinezza. Nonostante l’amorevo-le e incondizionato sostegno della moglie Bella (è con lei che lui sogna di volare nei cieli limpidi dei suoi quadri), troppi ostacoli si ammassano lungo la strada: la miopia schizofrenica dei comunisti (che appoggiano l’ideale portata innovatrice del progetto, ma poi lo osteggiano ripetutamente), complicata dalla passione per Bella dell’ex amico d’infanzia di Marc, ora capo della polizia, fino all’arrivo in città di Kazimir Malevich, profeta del suprematismo capace di mutare gli studenti in adepti dell’astrattismo e di rivoltarli contro il precedente maestro. Le idee interes-

CHAGALL - MALEVICHREGIA DI ALEXANDER MITTA

di Alice Cucchetti

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santi del film - prima fra tutte la volontà esibita di illustrare la biografia di Chagall con l’estetica fantasiosa e variopinta dei suoi lavori - si infrange purtroppo contro la ristrettezza dei mezzi e l’ingenuità dei toni: troppo spesso i personaggi sem-brano più in maschera che in costume, e paiono afflitti dalla necessità di pronun-ciare solo battute tremendamente esplicative. L’intuizione è di raccontare la storia del più fiabesco tra gli artisti come se fosse una favola, ma Chagall - Malevich non riesce ad afferrare la consistenza del sogno.

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 21 ottobre

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CHAGALL - MALEVICHREGIA DI ALEXANDER MITTA

RUSSIA · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 120’CON KRISTINA SCHEIDERMAN, LEONID BICHEVIN, ANATOLY BELIY

In una scuola slovena a sostituire la professoressa di tedesco incinta arriva un docente molto formale, appassionato di Mozart e Thomas Mann. Con la classe “migliore” il rapporto è subito difficile, finché una studentessa si suicida. I compa-gni prendono di mira il professore, lo accusano di nazismo e sadismo, mettono in atto ritorsioni passive e attive che finiscono per coinvolgere la scuola tutta e le famiglie. Diretto da un regista ventottenne, Rok Bicek, Class Enemy ha fatto discutere per come affronta frontalmente, con qualche schematismo, problemi pedagogici universali.Il prof di tedesco incarna l’insegnamento antico, austero, formale, algido; per con-tro la sostituta, la preside e il resto del corpo docenti sono il “nuovo che avanza”, un po’ insegnanti e un po’ amici, accondiscendenti rispetto alle intemperanze identitarie di studenti adolescenti. A sorpresa, la cosa più interessante del film

CLASS ENEMYREGIA DI ROK BICEK

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di Mauro Gervasini

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riguarda la Storia con la maiuscola: Slovenia, ex Jugoslavia, l’imprinting del con-flitto che affonda nella Seconda guerra mondiale (la dura occupazione tedesca) e si rivela oggi nella sua più chiara metafora (alla fine gli studenti si scannano tra loro, e il solo lucido pare essere il... cinese). Sullo studio dei caratteri pesa in-vece una certa programmaticità (l’insegnante di tedesco, molto ben interpretato da Igor Samobor, è fin troppo esemplare), perdonabile in un’opera prima (corti a parte) di notevole forza.

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CLASS ENEMYREGIA DI ROK BICEK

SLOVENIA · 2013 · DRAMMATICO · DURATA: 112’CON IGOR SAMOBOR, NATAŠA BARBARA GRACNER, TJAŠA ZELEZNIK, MAŠA DERGANC

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 9 ottobre

Vedi alla voce grandi metafore. Marcello - psicanalista di basso profilo, alta resa economica e nessun risultato - riesce a vedere il mondo di fronte ai suoi occhi solo nel momento in cui rischia di perdere la vista: a sostenerlo nella malattia (prima per egoismo, poi col cuore in mano) i pazienti e la segretaria.Massimiliano Bruno, dopo essersi ispirato a stato della crisi e squallida cronaca con la escort di Nessuno mi può giudicare e dopo aver firmato un affresco grotte-sco su nuovi e antichi mostri con Viva l’Italia!, abbandona la satira politica e la far-sa sociale di questi due film non privi d’interesse. E, lontano dal confronto diretto con la commediaccia del nostro paese reale, mostra tutta la miseria di un cinema che la commedia non sa costruirsela da solo, riducendosi a una rassegna di tipi da teatro dell’arte incapace di restituire personaggi minimamente credibili (anche se Giallini e Foglietta sono in grado di sfumare perfino macchiette marmoree).

CONFUSI E FELICIREGIA DI MASSIMILIANO BRUNO

di Giulio Sangiorgio

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Confusi e felici, altro titolo ammiccante a una canzone pop, altro film stancamente bisiocentrico, finisce per essere un susseguirsi di numeri di cabaret malamente messo in scena, con simbolismi sciocchi prima che elementari e una colonna so-nora didascalica sino all’offensivo (vedi il finale su Superstition di Stevie Wonder). Una versione spaghetti e trash di Non buttiamoci giù, che sfocia (come anche gli acidi film precedenti del regista) nel sentimentalismo ecumenico di un Özpetek pecoreccio.

CONFUSI E FELICIREGIA DI MASSIMILIANO BRUNO

ITALIA · 2014 · COMMEDIA · DURATA: 105’CON CLAUDIO BISIO, MARCO GIALLINI, ROCCO PAPALEO, MASSIMILIANO BRUNO

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 30 ottobre

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Messico, 1926. Il presidente Plutarco Elías Calles prende misure estreme per li-mitare le ingerenze della chiesa cattolica nel governo del paese, rendendo proibite le messe e dando il via a una cruenta persecuzione anti-religiosa. La resistenza dei fedeli si organizza nel movimento dei Cristeros, protagonisti di una guerra sanguinosa e raramente ricordata, in cui il totale dei caduti su entrambi i fronti raggiunge le 90 mila unità. Il generale Enrique Gorostieta Velarde, veterano della rivoluzione e fieramente ateo, è coinvolto al fianco dei Cristeros per amore della moglie e della giusta causa: la battaglia feroce e la fine tragica di un soldatino di Cristo, un ragazzino torturato e giustiziato per il suo credo, faranno posto nel suo cuore per la fede.Parzialmente finanziato dall’organizzazione cattolica dei Cavalieri di Colombo, il film di Dean Wright (già collaboratore di James Cameron e Peter Jackson, qui alla

CRISTIADAREGIA DI DEAN WRIGHT

di Ilaria Feole

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sua opera prima) è un affresco storico dalla produzione sfarzosa: cast di lusso (c’è anche un cameo di Peter O’Toole in tonaca, in una delle sue ultime appari-zioni), fotografia patinata, colonna sonora di voci bianche e grande dispiego di ralenti al servizio di una retorica debordante. La visione manichea di un capitolo di storia poco frequentato trasforma i personaggi in figurine di un’epica di stam-po televisivo, e la totale adesione alla causa dei Cristeros si traduce, anche, in un tripudio di momenti gore che ricordano con un brivido il fervore della Passione secondo Mel Gibson.

CRISTIADAREGIA DI DEAN WRIGHT

MESSICO · 2011 · DRAMMATICO · DURATA: 143’CON EVA LONGORIA, BRUCE GREENWOOD, ANDY GARCIA, PETER O’TOOLE

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 15 ottobre

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Pellegrinaggio alle origini dei sogni e dei traumi di un artista, il ritorno al cinema di Jodorowsky dopo 23 anni di assenza prende le mosse dall’autobiografia omo-nima e romanzata del 2006. Ambientata nella natìa Tocopilla, in pieno Cile anni 30 dove impera il dittatore Ibáñez, la vicenda del piccolo Alejandro si articola in un realismo fiabesco tra realtà e fantasia, ideologia e trascendenza. Musica(l), folklore circense, teatro, surrealismo, misticismo, teosofia, meditazione, simbolismo e cri-stologia miracolosa sono reazioni all’intransigenza dell’educazione a lui impartita dal padre, stalinista omofobo e dispotico, destinato a un asse narrativo autonomo in un percorso di crisi esistenziale e politica che lo conduce - nella seconda parte dell’opera - alla purificazione e alla catarsi ideologica. In mezzo ci sono i freak, i rituali e tutte le figure della carriera del cineasta cileno, inserite come fantasmi del passato masticati dalla vita e ricordati in lampi confusi, disomogenei, scon-

LA DAnzA DeLLA reALtàREGIA DI AlEjAnDRo joDoRowsky

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di Claudio Bartolini

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nessi. Figure filosofiche, sciamaniche, numeri primi della poetica di un creativo da sempre ben oltre ogni classificazione, come la psicomagia da lui praticata. In un accumulo di dottrine spirituali e momenti trash (il pissing curativo, l’amplesso di Ibáñez a cavallo, la rissa “supereroica” contro i nazisti), questa summa dell’imma-ginario conosce il proprio apice negli incontri tra il regista e il sé bambino: «Per te, io non esisto ancora. Per me, tu non esisti più». Difficile immaginare congedo più coerente dal proprio cinema.

LA DANZA DELLA rEALtàREGIA DI AlEjAnDRo joDoRowsky

CIlE · 2013 · BIoGRAfICo · DURATA:130’Con lUCA ZInGARETTI, GIAnpAolo fABRIZIo, MARCo D’AMoRE, sIMonA TABAsCo

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 30 ottobre

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Promettere fin dal titolo rivelazioni scottanti, a maggior ragione se si sta parlando di uno dei personaggi più frequentati e rivisitati dell’immaginario contemporaneo, è rischioso. In realtà, al posto di “Untold” ci starebbe perfettamente “Begins”, un po’ perché quest’ennesima incarnazione del conte transilvano è essenzialmente supereroistica (e dell’origin story da comic e cinecomix percorre pedantemente tutte le tappe), un po’ perché, con tutti questi pipistrelli svolazzanti, il collegamen-to con Batman è spontaneo e istantaneo.A tratti, Dracula Untold sembra pure la versione al maschile di Maleficent : un placido padre di famiglia e saggio governante, che tutti amano e chiamano con affetto “l’Impalatore” (ah, i peccati di gioventù!), viene forzato a votarsi al male dal-la crudeltà altrui, ma non sfiora mai, per tutta la durata della pellicola, il pericolo di diventare davvero cattivo. Invece, sperimenta i suoi nuovi poteri tra i boschi,

DRACULA UNTOLDREGIA DI GARY SHORE

di Alice Cucchetti

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elimina da solo moltitudini di nemici in computer grafica, attento a non versare troppo sangue per evitare la censura; acquisisce la super-vista notturna a zoomda videogame in soggettiva e il super-controllo di super-volatili soprendente-mente letali e malleabili; inscena un plot melodrammatico troppo consumato dall’uso, con abuso di effetti speciali da spot fantasy e con la speranza - dei pro-duttori - di lanciare un nuovo franchise sui mostri Universal ricopiato da quello sui Vendicatori Marvel. Restare “untold”, in definitiva, era un’idea migliore.

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 30 ottobre

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DRACULA UNTOLDREGIA DI GARY SHORE

USA · 2014 · FANTASY · DURATA: 93’CON LUKE EVANS, DOMINIC COOPER, SARAH GADON, CHARLES DANCE

Hossein Amini, sceneggiatore di origine iraniana, ha legato il suo nome al suc-cesso di Drive di Nicolas Winding Refn, ma ha un solido curriculum da autore di drammi in costume (da Le ali dell’amore a Le quattro piume) e un presente da firma di blockbuster fantasy (Biancaneve e il cacciatore, 47 ronin) dai risultati al-talenanti. Luci e ombre di una carriera che con I due volti di gennaio, adattamento di un romanzo di Patricia Highsmith, segna il suo esordio dietro la macchina da presa di un lungo: storia di un meno talentuoso Mr. Ripley, truffatore poco abile che nel bel mezzo di una vacanza a Creta con l’ignara moglie si trova smasche-rato e costretto a un omicidio quasi accidentale.Testimone e complice è un giovane suo concittadino, americano che in Grecia si arricchisce con le tasche dei turisti: fra i due, criminali mediocri e arroganti, nasce una rivalità virile, tra stima reciproca e competizione fatale, che nella moglie ora

I DUE VOLTI DI GENNAIOREGIA DI HOSSEIN AMINI

di Ilaria Feole

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non più ignara trova il vertice del triangolo. Più ombre che luci nella trasposizio-ne patinata firmata da Amini: storia di personaggi che si nascondono sotto le apparenze, è paradossalmente schiava della sua lussuosa apparenza di con-fezione thriller. Viggo Mortensen e Oscar Isaac (due fuoriclasse delle rispettive generazioni attoriali) si scambiano con godibile gigioneria il ruolo del gatto e del topo, ma le tensioni che innervano l’opera della Highsmith non rompono mai la superficie di una narrazione scontata come la Grecia da cartolina che la ospita.

I DUE VOLTI DI GENNAIOREGIA DI HOSSEIN AMINI

GRAN BRETAGNA / USA / FRANCIA · 2014 · THRILLER · DURATA: 96’CON VIGGO MORTENSEN, KIRSTEN DUNST, OSCAR ISAAC, ALEIFER PROMETHEUS

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 9 ottobre

C

Il vendicatore non rende giustizia alla funzione sociale di Robert McCall, bilanciere che fa tornare i conti dove per umano squallore non quadrano: mosso dall’istinto del Giusto che non gli ha impedito di fare del male (era nella CIA), occhio per oc-chio è una formula che sprizza sangue vivo se la macchina da guerra viene risve-gliata. Nel sonno conduce un’esistenza tranquilla, ogni sera cena alla solita tavola calda dove mantiene la giusta distanza tra la sua solitudine mesta e composta e il grumo di dolore portato dalla giovane Alina, che si fa chiamare Teri quando si prostituisce.Sarebbe un legame evocativo e struggente, se il personaggio della Moretz avesse l’insolenza e/o la tenacia della Mathilda bessoniana e quello di Washington fosse carne deperibile sotto il cappotto. Invece non c’è sacrificio anche quando chiama l’urgenza del riscatto, McCall è un demolitore tanto spettacolare quanto smacca-

THE EQUALIZERREGIA DI ANTOINE FUQUA

di Chiara Bruno

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tamente infrangibile, Alina un docile pretesto per uccisioni acrobatiche dispensa-te con ipnotica perizia visiva. Dagli occhi di lui, fari di pregevole understatement nonostante l’intorno esplosivo, s’irradiano i singoli gesti di esecuzioni multiple: The Equalizer è molto forte e incredibilmente lontano per l’accoppiata di Training Day, depotenziato dalla sua stessa tempra. Al netto del cuore, resta una festa per gli occhi che infila almeno una scena grandiosa - l’escalation di violenza al ralenti nel negozio di arredi casalinghi.

THE EQUALIZER - IL VENDICATOREREGIA DI ANTOINE FUQUA

USA · 2014 · AZIONE · DURATA: 128’CON DENZEL WASHINGTON, CHLOË GRACE MORETZ, MELISSA LEO, MARTON CSOKAS

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 9 ottobre

C

Opera prima di Santiago Mitre (classe 1980, già sceneggiatore degli ultimi tre film di Pablo Trapero, responsabile di un cinema di esemplare realismo civile, qui co-produttore), El estudiante racconta di Roque, giunto a Buenos Aires dalla provincia argentina, dalle inconcludenze e dalle indecisioni di chi si culla nel proprio innocen-te qualunquismo in cerca di futuro. E se finisce per capire che il privato è politico, è solo perché s’innamora: Roque incontra Paula, assistente e militante, la seduce fingendosi quel che non è, poi s’appassiona, ed entra nel micromondo della politica universitaria, della lotta per il rettorato. Scoprendo di essere in grado di manipolare il mondo ai suoi fini. Trovando la sua via. L’ascesa. E la caduta. Mitre dirada un fitto tessuto di nebbia, tra incontri e scontri, compromessi e raggiri, ipocrisie e accordi farlocchi, ricostruendo e registrando con precisione le trame dell’agire politico, il palcoscenico delle sue strategie, le sue quinte bugiarde. E raccontando l’educa-

EL ESTUDIANTEREGIA DI SANTIAGO MITRA

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di Giulio Sangiorgio

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zione etica e morale di un giovane cresciuto come avanguardia e infine sacrificato dalla stessa squallida ideologia di sistema, trova nel monosillabo su cui si chiude il film l’unica risposta possibile alle domande (realmente politiche) che Roque era deciso a non porsi. In un digitale a bassa definizione, l’esatta veduta di una parte che sta per il tutto, un invito al pensiero critico. Scritto con l’efficacia di sintesi e il senso per la lingua come teatro bellico dell’Aaron Sorkin di The Social Network.

EL ESTUDIANTE REGIA DI SANTIAGO MITRA

ARGENTINA · 2011 · DRAMMATIcO · DURATA: 110’cON FEThI GhARES, DIANA SAbRI, AhMED hAFEz, WASSIM MOhAMED AjAWI

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 6 ottobre

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Cent’anni fa la Grande guerra, e solo un decennio dopo la fondazione dell’Archi-vio storico dell’Istituto Luce. Doppio anniversario celebrato dal regista Leonardo Tiberi, per il Luce e la Baires Produzioni, con questo Fango e gloria. Storia di tre ragazzi della riviera romagnola, Emilio, Agnese e soprattutto Mario, l’io narrante, diversamente coinvolti negli eventi bellici. I due giovani destinati alla trincea, la fanciulla a casa a resistere, aspettare, sperare e lavorare.L’originalità del progetto non è però nella narrazione, quanto nella modalità di realizzazione. Alle scene che vedono al centro Mario e gli altri protagonisti si me-scolano le immagini “vere”, quelle recuperate con archeologico sforzo da Tiberi tra le migliaia dell’Archivio storico. Colorizzate e sonorizzate così da rendere fluido l’amalgama. Il problema sta proprio qui. Al di là di una voce fuori campo un po’ invadente, le parti girate ex novo paiono quelle di una fiction tv, con i volti giova-

FANGO E GLORIA - LA GRANDE GUERRAREGIA DI LEONARDO TIBERI

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di Mauro Gervasini

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ni che mal combaciano con quelli arcaici dei documentari. Su tutto pesa poi un certo didascalismo. Non v’è dubbio che l’operazione sia alta e nobile, tanto da meritarsi il patronato della Presidenza della Repubblica e il patrocinio del Mini-stero della difesa. Può darsi che possa funzionare in un contesto scolastico, per rendere più accattivanti e attuali le immagini di un tempo (che sono però la vera forza del film). Ma da un punto di vista cinematografico i dubbi sono più che leciti.

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FANGO E GLORIA - LA GRANDE GUERRAREGIA DI LEONARDO TIBERI

ITALIA · 2014 · DOCUMENTARIO · DURATA: 90’CON EUGENIO FRANCESCHINI, VALENTINA CORTI, DOMENICO FORTUNATO, FRANCESCO MARTINO

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 16 ottobre

Un po’ come il più celebre Casper, anche lo spettro creato dalla penna del tedesco Otfried Preußler è in tutto e per tutto come un ragazzino: vivace, curioso e insoffe-rente alle regole. Quelle che lo attanagliano sono particolarmente rigide: può sve-gliarsi e gironzolare per il mondo soltanto un’ora per notte, secondo l’implacabilescandire di un antico orologio, e i suoi unici interlocutori sono i pomposi soggetti di quadri risalenti a tre secoli prima. Una noia letteralmente mortale, da cui il fantasmino tenta di evadere manomettendo gli ingranaggi per non dover tornare a dormire prima che sorga il sole. Il piano ha successo, ma la ribellione dell’ecto-plasma in miniatura si intreccia con quella di un “coetaneo” in carne e ossa, che crede agli spettri nonostante gli sfottò dei compagni di classe.Tratto dal classico per ragazzi Il piccolo fantasma (1966), tradotto anche in Italia e già trasposto in alcune versioni animate, il lungometraggio di Gsponer mette il

UN FANTASMA PER AMICOREGIA DI ALAIN GSPONER

di Ilaria Feole

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piccolo protagonista spettrale realizzato in computer grafica in mezzo a un ma-nipolo di leziosi bimbi veri, al centro di un’avventura polverosa quanto le mura del castello dove è ambientato. Il baby spettro non è graziato dal dono della simpatia, e nonostante l’ambientazione sinistra, non c’è pericolo di saltare sulla sedia: iner-te e paradossalmente datato, il film rischia di lasciare indifferente anche il suo target di bimbi in età scolare.

UN FANTASMA PER AMICOREGIA DI ALAIN GSPONER

GERMANIA / SVIZZERA · 2013 · COMMEDIA · DURATA: 92’CON JONAS HOLDENRIEDER, EMILY KUSCHE, NICO HARTUNG, HERBERT KNAUP

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 30 ottobre

C

Titolo originale Serena, dal nome del personaggio di Jennifer Lawrence, cavalle-rizza dal passato oscuro che affascina il possidente Bradley Cooper, titolare di una ditta di legname impegnato nella pionierizzazione della Carolina del Nord. Anni 30 del secolo scorso, (ri)nascita di una nazione. La passione tra i due quasi si irradia, nel senso che colpisce altri, ad esempio il lavorante Rhys Ifans, con strascichi morbosi e malsani; ma c’è di più, tipo un bambino che non nasce, uno che è già nato, uno sceriffo impiccione... Molta carne al fuoco in questo melodramma in trasferta americana del premio Oscar Susanne Bier. La storia, così arzigogolata, sarebbe anche intrigante, purtroppo manca un po’ d’anima, come se la regista, adattando l’omonimo romanzo di Ron Rash, non riuscisse a cogliere lo spirito del tempo, come non le appartenessero la Storia e le storie rappresentate.I personaggi restano “sulla carta”, mai del tutto definiti, in particolare proprio Se-

UNA FOLLE PASSIONEREGIA DI SUSANNE BIER

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di Mauro Gervasini

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rena a cui la protagonista non conferisce l’ambiguità necessaria per diventare finalmente (o meglio: fatalmente) dark. Lo stesso scenario (un villaggio in fieri tra fango, tronchi d’albero e cantieri) appare posticcio, evidentemente ricostruito, un po’ fasullo. A salvare la baracca non Bradley Cooper, sottotono pure lui, ma i comprimari, i caratteristi come Toby Jones (lo sceriffo) e soprattutto Ana Ularu, attrice romena molto brava che dà vita a una “donna redentrice” sui generis.

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UNA FOLLE PASSIONEREGIA DI SUSANNE BIER

USA / REPUBBLICA CECA · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 110’CON BRADLEY COOPER, JENNIFER LAWRENCE, TOBY JONES, RHYS IFANS

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 30 ottobre

Jon ha un tale orecchio musicale da trasformare in melodia qualunque sua ri-flessione. Il gioco diventa meno solipsistico quando la band degli impronunciabili Soronprfbs lo ingaggia per una serata. In realtà, è per un ciclo di registrazioni sen-za fine in una remota zona d’Irlanda. Jon segue Frank, leader della band, un tizio geniale che gira sempre con una testa di cartapesta. Il regista di Adam & Paul e Garage, ma anche del notevole What Richard Did, inedito in Italia, conferma il suo talento gentile, rivolto a storie apparentemente marginali che invece contempla-no straordinarie, benché minimali, idee di mondo.Dietro la maschera di Frank, come noto, Michael Fassbender, in una prova tutta voce (quindi, il doppiaggio, brrrr). La vicenda si ispira a una storia vera e tenta un confronto tutt’altro che timido con la disabilità mentale e la schizofrenia di un per-sonaggio irraggiungibile, psicologicamente parlando. A sorprendere sono i toni

FRANKREGIA DI LENNY ABRAHAMSON

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di Mauro Gervasini

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partecipi, ma soprattutto il punto di vista, quello di Jon, giovane tastierista che cerca di forzare l’isolamento del gruppo attraverso la condivisione online delle “stranezze” di Frank e degli altri musicisti. In verità il film mette in relazione scato-le di solitudine diversamente vissute, pompando una colonna sonora sperimen-tale che aumenta lo straniamento. La bizzarria di fondo è divertente, ma amara.

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FRANKREGIA DI LENNY ABRAHAMSON

GRAN BRETAGNA / IRLANDA · 2014 · COMMEDIA · DURATA: 96’CON MICHAEL FASSBENDER, DOMHNALL GLEESON, MAGGIE GYLLENHAAL, SCOOT MCNAIRY

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 30 ottobre

Il modello della neocommedia all’italiana, quando si svincola dagli stereotipi re-gionali, sembra incapace di trovare un altro sguardo sul paese: si butta l’occhio, allora, oltreoceano, a modelli statunitensi sempreverdi. L’opera terza di Federici inizia come un Rain Man in chiave comica, con lo scapigliato Argentero a occu-parsi di un momentaneamente ritardato Raoul Bova, e si chiude con un mono-logo-dichiarazione alla Jerry Maguire: in mezzo, in una commedia sentimenta-le talmente slegata dal contesto socioculturale che il product placement risalta come luminol sulla scena di un delitto.Lo smemorato fratello maggiore è affidato in custodia allo svogliato minore, ma il plot accantona presto la memoria familiare perduta per concentrarsi sul bud-dy movie, con il casanova Francesco (che di mestiere, altra incongruenza tutta ammerigana, fa lo stuntman per gli inseguimenti automobilistici come il Gosling

FRATELLI UNICIREGIA DI ALESSIO MARIA FEDERICI

di Ilaria Feole

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di Drive) che istruisce Pietro, regredito alla preadolescenza, sull’arte di sedurre le donne. Federici asseconda senza guizzi la melassa dello script, ma indovina brillantemente la direzione degli interpreti: corpi attoriali «con la faccia da bravo ragazzo e lo sguardo da figlio di puttana», Argentero e Bova sono molto più a loro agio in vesti comiche di quanto lo siano mai stati in quelle drammatiche/action. L’uno in versione Romain Duris nostrano, l’altro in una vincente parodia di se stesso, impegnato a simulare lo “sguardo intenso”, funzionano più dello script.

FRATELLI UNICIREGIA DI ALESSIO MARIA FEDERICI

ITALIA · 2014 · COMMEDIA · DURATA: 89’CON RAOUL BOVA, LUCA ARGENTERO, CAROLINA CRESCENTINI, MIRIAM LEONE

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 2 ottobre

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Il Migliore, un film su Togliatti. La madre di Giuda, su Giuda Iscariota. Sono questi titoli, in Il regista di matrimoni, a contendersi il David di Donatello. Un film per ogni parrocchia del potere (perché «la destra - dice il regista Smamma al protagonista - non ha mai contato un ca**o nel cinema»). Due opere biografiche, perché «in Italia sono i morti che comandano». Sono passati 8 anni da quel film, e se tacciamo le «magnifiche sorti e progressive» parrocchiali, constatiamo che l’industria culturale s’è discostata dalla Storia ridotta ad albo di figurine, dall’ideologia semplificata a santino da fiction tv, solamente con i crucci etici e la resa spettacolare dell’epica mafiosa da asporto (il post Gomorra film) e con il carnevale culturale (La gran-de bellezza). Il giovane favoloso si confronta dunque con uno standard del nostro immaginario, con il format del biopic-con-attore-di-richiamo-che-s’impegna-(seriosamente-grottescamente-ridicolmente)-nei-costumi-del-morto-notevole-

IL GIOVANE FAVOLOSOREGIA DI MARIo MARtonE

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di Giulio Sangiorgio

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di-turno. E lo rivolta. Perché, accostandosi alla figura di Leopardi, Martone sceglie un distacco teatrale - in dialogo con la sua versione delle Operette morali - cer-cando un realismo irrequieto, che smentisce l’ottusa superficie delle cose («non attribuite al mio stato quel che si deve al mio intelletto» urla Leopardi), un realismo astratto e frustrato dalla colonna sonora di Apparat (musicista tedesco, autore di uno degli album centrali dello scorso decennio elettronico, Orchestra of Bubbles con Ellen Allien), lacerato da prospettive immaginose, aperture fantastiche, squar-ci d’orrore interiore, e straniato nella recita di un Elio Germano che è sotto e (spes-so) sopra le righe, sempre fuori dalla giusta, mortificante misura. Come Leopardi. Che sceglie di essere se stesso, di difendere la propria infelice e lucida visione del mondo contro riti e retoriche, contro lumi e ragioni di partiti e consorterie, contro le istruzioni per l’uso del mondo di famiglia e religione. «Il mio cervello non concepi-sce masse felici fatte da uomini infelici». Leopardi conosce i conflitti irrisolvibili del reale. E odia solo quel che comprende. Quel che riesce a vedere. E amare, persino: il padre padrone, la donna che l’umilia, chi lo circonda ridendo. Perché Il giovane favoloso è un racconto sull’Italia di ieri e di oggi, un biopic antiscolastico e insieme uno struggente compendio poetico, lontano dal romanzo storico e dalla biografia mélo. Ma soprattutto un film che non dimostra, ma nemmeno si limita a mostra-re: scuote il suo realismo, e cerca, come il poeta, di vedere.

IL GIOVANE FAVOLOSO REGIA DI MARIo MARtonE

ItALIA · 2014 · DRAMMAtICo · DURAtA: 137’ Con ELIo GERMAno, IsAbELLA RAGonEsE, MIChELE RIonDIno, AnnA MoUGLALIs

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 16 ottobre

C

Ci sono un contrabbandiere, un’assassina verde, un wrestler tatuato, un albero umanoide e un procione con un bazooka. Non è una barzelletta, e neppure un frullato di termini pescati a casaccio dal dizionario, ma l’ultimo stratosferico suc-cesso Marvel, che ha superato i 600 milioni di $ d’incasso nel mondo. Aweso-me Mix Vol. 1 è il titolo della compilation scritto a pennarello sulla musicassetta consumata dal protagonista Peter Quill, ma potrebbe stare benissimo in calce al poster di Guardiani della galassia: come nel walkman girano hit anni 70 che spaziano da Bowie ai Jackson 5, così su pellicola si susseguono la space opera, la commedia, l’avventura, il cinecomix e la sua parodia, perfino il western e il pri-son movie. Peter Quill è insieme Ian Solo e Indiana Jones, ma anche il bimbetto di E.T. che ha probabilmente visto la saga di Lucas al cinema, negli anni 80; il film ha l’epica scalcinata e romantica di Firefly e il gusto per l’esplorazione di universi

GUARDIANI DELLA GALASSIAREGIA DI JAMES GUNN

di Alice Cucchetti

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immaginifici di Star Trek, e tutto è innaffiato copiosamente dell’ormai proverbia-le ironia Marvel (e un po’ scuola Joss Whedon). Guardiani della galassia non è sovversivo né rivoluzionario, come pure qualcuno ha scritto, anche perché non inventa nulla. Forse, però, lo sembra perché nel cilindro infila praticamente tutto e poi ne estrae due ore di intrattenimento puro, filato e inattaccabile, agganciando gli spettatori navigati alla nostalgia e i teenager allo spettacolo pirotecnico. In una parola: awesome.

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 22 ottobre

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GUARDIANI DELLA GALASSIAREGIA DI JAMES GUNN

USA · 2014 · SUPEREROI · DURATA: 122’CON CHRIS PRATT, DAVE BAUTISTA, LEE PACE, MICHAEL ROOKER

Una San Pietroburgo innevata si presenta allo spettatore come una dama imbel-lettata che non porta i segni del tempo e del dolore vissuto. Sono le scene iniziali di Hermitage, il documentario firmato Margy Kinmonth, che ci accompagna in un viaggio tra le stanze più belle di uno dei più spettacolari musei del mondo. Sin da subito si è immersi totalmente in una realtà fatta di splendore e opulenza, una bellezza che riempie gli occhi. Angoli chiusi ai visitatori e collezioni nascoste al grande pubblico (come quella dei meravigliosi cammei imperiali) vengono svelati allo spettatore.Ma la parte più interessante del documentario non è questa, anche se sarebbe un motivo sufficiente per andare a vederlo al cinema. La parte più avvincente è la narrazione delle acquisizioni e delle storie di quei personaggi (direttori, curatori o semplici dipendenti) che, sin da quando nel 1764 la zarina Caterina II cominciò ad

HERMITAGEREGIA DI MARGY KINMONTH

di Elisa Bonazza

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accumulare opere d’arte con un preciso progetto collezionistico (e politico), pro-tessero i cimeli da vendite, vandalismi e ruberie spesso a discapito della propria vita. L’arresto e la deportazione nei gulag sono solo alcune punizioni che subirono coloro che si opposero alle cessioni forsennate delle collezioni sotto il regime comunista. Purtroppo, l’argomento è solo accennato e sempre coperto da un pol-veroso velo di nazionalismo: sarebbe stato molto più intrigante approfondire la questione, ma forse i tempi non sono ancora maturi. Peccato.

HERMITAGEREGIA DI MARGY KINMONTH

GRAN BRETAGNA / USA / OLANDA / RUSSIA · 2014 · DOCUMENTARIO · DURATA: 83’

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 14 ottobre

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Ad Aleppo il brandello immacolato di un vestito da sposa può salvare la vita: i cecchini non sparano a chi ha il capo incoronato di bianco. Così al giornalista Ga-briele Del Grande è venuta l’idea per Io sto con la sposa, dall’accostamento tra l’abito nuziale e il tradizionale segno di resa divenuto, negli anni, per molti, segno di pace. Da Milano a Malmö la strada è lunga, soprattutto per i rifugiati obbligati dalle leggi internazionali a restare nel primo paese europeo su cui mettono pie-de. Ma nessuno fermerebbe un vivace corteo matrimoniale, dicono Del Grande, Augugliaro e il poeta Soliman Al Nassiry, imbastendo il pretesto da cui muove il film: un gruppetto di profughi siriani e palestinesi in abiti da cerimonia che risale faticosamente il continente, percorrendo a piedi i sentieri già calpestati in passato dai contrabbandieri italiani e francesi, trovando accoglienza da amici solidali in ri-fugi di montagna, studiando le strade meno battute e gli stratagemmi più efficaci,

IO STO CON LA SPOSAREGIA DI ANTONIO AUGUGLIARO, GABRIELE DEL GRANDE, KHALED SOLIMAN AL NASSIRY

di Alice Cucchetti

C

respirando di sollievo a ogni passaggio di confine. C’è molta scrittura, in Io sto con la sposa, girato nei 4 giorni che ci vogliono per arrivare dall’Italia alla Svezia, con una strizzata d’occhio a Kusturica e un’altra agli espedienti da commedia, ma soprattutto con piglio da on the road intimista, così che infine sono i racconti, le storie, le chiacchiere di viaggio a prendere il sopravvento. Tracciando una condivi-sione di clandestinità tra i migranti e chi li aiuta, che è soprattutto la testimonianza di una necessaria disobbedienza civile.

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 9 ottobre

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IO STO CON LA SPOSAREGIA DI ANTONIO AUGUGLIARO, GABRIELE DEL GRANDE, KHALED SOLIMAN AL NASSIRY

ITALIA / PALESTINA · 2014 · DOCUMENTARIO · DURATA: 89’CON TASNEEM FARED, ABDALLAH SALLAM, MC MANAR, ALAA BJERMI

Hank Palmer è Robert Downey Jr., che interpreta Robert Downey Jr. in veste d’avvocato. Ovvero la copia della copia di se stesso: uno smargiasso di successo, spumeggiante e burbanzoso, eticamente scorretto con irresistibile brio. E un fi-gliol prodigo, che ritorna dalla metropoli nell’Indiana profondo, in occasione delle esequie della madre. A non attenderlo ci sono un amore antico, due fratelli e soprattutto un padre, Joseph Palmer/Robert Duvall, che è giudice integerrimo del paese e genitore rude e risentito. Il giorno dopo la cerimonia quest’ultimo è accusato di omicidio, per aver investito un vecchio errore di gioventù. Il figlio cerca in ogni modo di prendere le sue difese (legali), nonostante l’opinione del genitore. The Judge è un dramma legale che si deforma in tragedia familiare, in un proces-so che è quello a un passato rimosso, a frotte di sentimenti che riaffiorano d’un tratto, a cerchi che si chiudono di scatto, tutti insieme: fino ad arrivare a un finale

THE JUDGEREGIA DI DAVID DOBKIN

di Giulio Sangiorgio

C

in cui il tribunale non è solo il luogo in cui l’eroe dimostra d’esser responsabile al netto della Legge (caratteristica ricorrente dell’eroe americano di oggi, vedi per esempio Flight), ma il teatro in cui esplode il taciuto, inverosimile e virilissimo melodramma. Un film di attori (in ruoli solo apparentemente secondari caratte-risti di primissimo piano), un forum in cui si dibattono sentimenti fortissimi, ma scritto con pericolante senso del dramma e diretto con sciatto classicismo.

THE JUDGEREGIA DI DAVID DOBKIN

USA · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 141’CON ROBERT DOWNEY JR., ROBERT DUVALL, VERA FARMIGA, VINCENT D’ONOFRIO

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 23 ottobre

C

Naomi è una madre: lo dice la biologia, lo dicono gli occhi a mandorla del piccolo Kenzaburo, uguali ai suoi. A dire il contrario è la legge, che l’ha privata definiti-vamente della custodia di suo figlio: la barca su cui alloggia è un mondo a parte, sospeso sul limbo tra incontro e separazione. Una parentesi concessa dal padre americano del bimbo, invisibile e innominabile, che offre a Naomi e Ken l’imbar-cazione, uno staff impeccabile e quattro giorni di tempo: tanto resta alla donna per compiere un’impresa impossibile, quella di riconquistare la fiducia del bambino e, simultaneamente, prepararlo alla sua scomparsa (almeno fino alla maggiore età di Ken). Un legame viscerale che la distanza ha messo alla prova, e che riaffiora faticosamente, nell’acqua del mare che si fa liquido amniotico, a riunirli per un definitivo e innaturale taglio del cordone ombelicale.Esordiente nel lungo, il regista usufruisce di maestranze di lusso: costumi e sce-

LAST SUMMERREGIA DI LEONARDO GUERRA SERÀGNOLI

di Ilaria Feole

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nografie, ricercatamente minimali, sono firmati da Milena Canonero, le cui ge-ometrie spigolose (negli abiti di Naomi come nelle superfici lisce della barca) parlano per (e più dei) protagonisti: abitato dai silenzi sceneggiati in complicità con Banana Yoshimoto e Igort, sorretto dall’intensità imbronciata di Rinko Kiku-chi, Last Summer è più ambizioso che riuscito. Un ritratto di donna anomalo e pudico il giusto, che non pretende di spiegare e non specula sulle colpe della madre, ma spesso resta a pelo d’acqua.

LAST SUMMERREGIA DI LEONARDO GUERRA SERÀGNOLI

ITALIA · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 94’CON RINKO KIKUCHI, LUCY GRIFFITHS, YORICK VAN WAGENINGEN, LAURA BACH

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 30 ottobre

C

21 giugno 2013: Lorenza e Ingrid oggi spose. In Svezia, perché per le coppie le-sbiche in Italia il matrimonio, manzonianamente, non s’ha da fare, e per gli omo-sessuali non ci sono angeli custodi nel regno dei diritti civili, ma un contrariato Angelino Alfano e sentinelle silenziose che si oppongono al disegno di legge sulle unioni di fatto. In un Paese - dice in un lucido commento Lorenza - che ha educato alla negazione totale delle aspettative gay e lesbiche. Il film delle due novelle spose, diretto da Maria Pecchioli, è un diario in cui si riassumono due storie personali e le confessioni di un amore, un quaderno d’immagini affettuose che segue annuncio e preparitivi, cerimonia e postumi del matrimonio svedese, raccogliendo in inter-viste il coro delle persone che si stringono intorno alle protagoniste, cantando tutti insieme appassionatamente di un altro mondo possibile. E inverandolo, nella pra-tica dei fatti. Solare documentario sociale, con nessuna idea di linguaggio, Lei disse

Lei disse sìREGIA DI MARIA PEcchIolI

C

di Giulio Sangiorgio

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sì scorre a ritmo di musica e racconta di un «progetto di vita che è anche un pro-getto politico» (coerentemente prodotto ricorrendo al crowdfunding), descrivendo una grande famiglia in cui legami non sono necessariamente biologici, ma fatti solo d’affetto e rispetto. E non tacendo, comunque, paradossi (come l’amica che sostiene il matrimonio come via istituzionale per la comunità gay: sua trita retorica della trasgressione o loro imborghesimento? Buona la prima).

Lei disse sìREGIA DI MARIA PEcchIolI

ItAlIA · 2014 · DocuMEntARIo · DuRAtA: 67’

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 21 ottobre

C

Assomigliano a container, i CIE (Centri di identificazione ed espulsione), scatolo-ni prefabbricati, abbandonati nella periferia altrettanto anonima delle grandi città italiane, stipati di persone che hanno viaggiato sulle stesse rotte delle merci, ma hanno ricevuto una diversa accoglienza. Non serve compiere un reato, per essere imprigionati in quella che, a tutti gli effetti, è una prigione. È sufficiente non pos-sedere il permesso di soggiorno (o averlo perso, magari dopo anni di residenza in Italia, insieme al posto di lavoro) per rischiare il rimpatrio immediato, e, prima, trascorrere un periodo indefinito (dai pochi giorni ai 18 mesi) in questa terra di nessuno, a far passare il tempo e l’angoscia in condizioni di profondo disagio e senza nulla da fare.Il Limbo del titolo è una doppia dimensione parallela: quella dei reclusi e quella delle famiglie spezzate (mogli, compagne, figli, madri, suocere) che a casa aspet-

LIMBOREGIA DI MATTEO CALORE, GUSTAV HOFER

di Alice Cucchetti

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tano il cruciale verdetto, o anche solo la possibilità di una telefonata, di un incontro. La produzione ZaLab (partecipata e dal basso, anche a livello distributivo), sotto il coordinamento di Andrea Segre, aggiunge un altro tassello alla mappatura della condizione dei migranti in Italia, si sposta dalle coste del Mediterraneo al resto della penisola e assembla un lavoro di solida denuncia per cui è stato necessario quasi un anno di lavoro. E nella riuscita contrapposizione tra i volti e un paesaggio urbano alieno, indica chiaramente che questo limbo d’ingiustizia ci riguarda tutti.

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal -

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LIMBOREGIA DI MATTEO CALORE, GUSTAV HOFER

ITALIA · 2014 · DOCUMENTARIO · DURATA: 56’

Un tizio si risveglia in una radura, in mezzo a una foresta: con lui, un gruppo di sconosciuti costretti a collaborare per assicurarsi la sopravvivenza, attorno a loro una quantità imponente e compatta di misteri. Se il plot suona familiare a quello di Lost è perché Maze Runner sfrutta intelligentemente il pregio inizia-le della serie di Lindelof & Cuse. Ovvero scaraventarci nel cuore di un universo ostile, senza preamboli e senza informazioni, sovrapponendoci al protagonista affamato, come noi, di curiosità e risposte. Non c’è nessun incidente aereo, però, nessun’isola enigmatica e irrintracciabile, e i personaggi, senza passato, sono tut-ti adolescenti: ci muoviamo nell’ormai frequentatissimo territorio delle distopie per giovani adulti tratte da saghe letterarie (in questo caso, una trilogia più pre-quel scritta da James Dashner).Ma, rispetto ai numerosi epigoni di Hunger Games, Maze Runner asciuga tutto, o

MAZE RUNNER - IL LABIRINTOREGIA DI WES BELL

di Alice Cucchetti

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quasi, sull’essenzialità dell’azione, correndo veloce sulla strada dell’intrattenimen-to puro, infilandosi di tanto in tanto in qualche venatura orrorifica genuinamente spaventosa, agganciandosi alle dinamiche da videogame più efficaci (superare un livello per passare al successivo), ignorando (per ora) ogni deriva sentimen-tale. Purtroppo non siamo in tv, posticipare le risposte e vivere di cliffhanger non è un ritmo che si sostiene a lungo, e infatti la pellicola s’incarta nel (molteplice) finale. Che lascia tutto in sospeso fino al prossimo episodio: il pubblico è avvisato.

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 9 ottobre

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MAZE RUNNER - IL LABIRINTOREGIA DI WES BELL

USA · 2014 · FANTASCIENZA · DURATA: 113’CON DYLAN O’BRIEN, THOMAS BRODIE-SANGSTER, KAYA SCODELARIO, WILL POULTER

Martin disegna siti web, soffre di svariate fobie, la sua spina dorsale cerca di co-municargli, tramite radiografia, che passa troppo tempo al computer. Mariana ha studiato architettura ma fa la vetrinista, ha il cuore infranto e un minuscolo appartamento invaso da manichini, proprio nel condominio di fianco a quello di Martin. Ascoltano la stessa musica, guardano contemporaneamente Manhattan di Woody Allen, assistono basiti al sucidio di un cane che si getta dal balcone, si incrociano quotidianamente per strada, ma li separano le medianeras, ovvero le pareti cieche dei rispettivi palazzi; almeno fino a quando, simultaneamente, in sfida alla regolamentazione urbanistica, non decidono di aprirsi una finestrella per far entrare un po’ di luce nell’esistenza.La metafora è lampante, ed è solo una fra le tante nell’opera prima dell’argentino Gustavo Taretto, che arriva nelle sale italiane con tre anni di ritardo e, volendo

MEDIANERAS - INNAMORARSI A BUENOS AIRES

REGIA DI GUSTAVO TARETTO

di Alice Cucchetti

C

parlare, tra le altre cose, dell’alienazione tecnologica moderna, sbaglia irrimedia-bilmente il tempismo. Tra scene vagamente surreali e qualche momento stuc-chevole, il film insegue le atmosfere della commedia romantica alla Sundance, affastellando microframmenti narrativi e affollandosi di ammiccanti citazioni pop, denunciando la sua natura d’esordio (per giunta stiracchiato da un precedente mediometraggio) nell’onnipresente voice over e nella stratificazione di allegorie. Ma sostituendo la simpatia al cinismo, almeno asseconda la nostra voglia di te-nerezza.

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 2 ottobre

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MEDIANERAS - INNAMORARSI A BUENOS AIRESREGIA DI GUSTAVO TARETTO

ARGENTINA / GERMANIA / SPAGNA · 2011 · DRAMMATICO · DURATA: 91’CON PILAR LÓPEZ DE AYALA, JAVIER DROLAS, INÉS EFRON, RAFAEL FERRO

Louise Fokkens, 69 anni all’epoca delle riprese del documentario, si è ritirata dopo 40 anni d’attività per il sopraggiungere di un’artrite. Sua sorella gemella Martine, invece, è lontana dalla pensione, e ha ancora una serie di habitué affezionati e parecchi curiosi clienti occasionali. Il loro mestiere è il più vecchio del mondo, pra-ticato nella più celebre via a luci rosse del mondo, quella di Amsterdam; dalla sua vetrina, Martine rimbrotta la giovanissima dirimpettaia che, straniera, ancora non ha imparato l’olandese, ma non teme la concorrenza né il progresso tecnologico in fatto di sex toys. In veste, spesso, di mistress, lascia entrare registi e spettatori nella stanza dove uomini di ogni età e classe sociale pagano per farsi frustare, calpestare e soffocare da lei. Provaas e Schröder captano il potenziale cinemato-grafico di queste due sorridenti signore, che fra le inquadrature da cartolina di una Amsterdam fiorita raccontano, vestite in coordinato, aneddoti faceti sugli uomini

MEET THE FOKKENSREGIA DI GABRIELLE PROVAAS

di Ilaria Feole

C

passati per le loro mani. Già ammiccante nel presentare Louise e Martine come personaggi al limite tra folklore e fiction, il doc non raddrizza lo sguardo ambiguo quando si passa al cuore cupo della storia personale delle gemelle, costrette a prostituirsi da mariti-magnaccia, a suon di botte, e ad abbandonare per anni i propri figli. Il carisma delle gemelle è incanalato per il pubblico in funzione co-mica o tragica, con un affetto che poco approfondisce e spesso si confonde col ricatto emotivo.

MEET THE FOKKENSREGIA DI GABRIELLE PROVAAS

OLANDA · 2011 · DOCUMENTARIO · DURATA: 80’CON LOUISE FOKKENS, MARTINE FOKKENS

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 5 ottobre

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Nelle serie animate I Griffin e American Dad Seth MacFarlane si confrontava con la sitcom e lo smercio di un sogno catodico borghese, mettendo in loop e in ridicolo gli automatismi di autorappresentazione di una nazione, smontandoli nel nonsen-se come uno Zucker/Abrahams/Zucker con alto senso per la bassa scatologia. In Ted, suo primo film, il trattamento era riservato alla commedia di formazione tardiva che impera oggi, in una bromance acida con protagonisti un quarantenne Peter Pan e un orso di peluche sessuomane e drogato. In Un milione di modi per morire nel West MacFarlane guarda in alto, e indietro nel tempo, e affronta il genere fondativo americano: il western. Ambientandoci un’altra storia di formazione ritar-data, quella di un pastore di pecore (da lui stesso interpretato) che - abbandonato dalla fidanzata perché non in linea con la retorica macha di frontiera - incontra una donna in fuga e finisce per trovare l’amore e un altro se stesso. Così, tra canoni di

UN MilioNe di Modi per Morire Nel WeSTREGIA DI SEth MAcFARlAnE

C

di Giulio Sangiorgio

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oggi e di ieri, nonostante la trama esilissima, c’è paradossalmente troppa aria per la commedia umana, che soffoca il fuoco di fila delle derive idiote a cui ci ha abitua-to MacFarlane, gli anacronismi divertiti e i giochi meta (in un cameo non casuale c’è il Doc di Ritorno al futuro), i rovelli da cultore nerd della materia e i gag triviali. Il comico e la commedia sono campi da gioco differenti. Nel primo Seth ci sa fare (come autore, non come corpo o come attore). Nel secondo, semplicemente, no.

Un milione di modi per morire nel WestREGIA DI SEth MAcFARlAnE

USA · 2014 · coMMEDIA · DURAtA: 116’ con AMAnDA SEyFRIED, chARlIzE thERon, lIAM nEESon, nEIl PAtRIck hARRIS

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 16 ottobre

C

Marithé lavora in un istituto di formazione per adulti aiutandoli a trovare la loro vera vocazione, a seguito di un licenziamento, o semplicemente di un profondo disagio. Un giorno si presenta Carole, direttrice di sala e proprietaria di un risto-rante di lusso, ma soprattutto moglie infelice e stanca di vivere all’ombra del ma-rito, Sam, acclamato ed energico chef dal fascino burbero e ammaliante.Anne Le Ny dirige scientificamente una commedia agile quanto scontata, par-tendo dall’attenzione per l’imperante cornice gastronomica (amplificata dal titolo italiano), e si adagia su temi, situazioni e volti visti e rivisti. La confezione ruffiana e leggera azzera qualsiasi graffio, ma l’usuale qualità del casting tiene in piedi il tutto (in Italia perfino un film del genere sarebbe impossibile). Siamo, però, dalle parti del classico ritrattino di grana grossa dell’insoddisfazione della borghesia francese, con tanto di scontato triangolo amoroso e livello siderale di empatia.

LA MOGLIE DEL CUOCOREGIA DI ANNE LE NY

di Adriano Aiello

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Ovviamente le relazioni e le contrapposizioni socioculturali fungono da disvela-mento interiore dei personaggi e di tanto in tanto fa capolino qualche questione morale molle molle. Insomma, funziona tutto piuttosto bene: il film fila, Karin Viard e Emmanuelle Devos sono una coppia perfetta, un paio di gag strappano il sorriso, ma se si è in cerca di qualche guizzo o inusualità meglio rivolgersi altro-ve. Magari in trattoria.

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 16 ottobre

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LA MOGLIE DEL CUOCOREGIA DI ANNE LE NY

FRANCIA · 2014 · COMMEDIA · DURATA: 92’CON EMMANUELLE DEVOS, ROSCHDY ZEM, KARIN VIARD, PHILIPPE REBBOT

Chi non avesse visto il film precedente, My Little Pony - Equestria Girls, potrà forse stupirsi di trovare una quantità di quadrupedi così ridotta in un film con “pony” nel titolo. Ma il fandom dei cavallini psichedelici - che comprende, per chi non lo sapesse, un consistente gruppo di maschi adulti - sa che nel loro mondo multicolore può tranquillamente esistere una realtà parallela dove ogni puledra dalla chioma fluente ha una controparte umana, adolescente e liceale, altrettanto variopinta e capelluta.Un espediente che si sposa bene all’inaspettato ampliamento di target di un car-toon televisivo creato in origine per spacciare una linea di giocattoli a bimbe se-ienni: Rainbow Rocks è rivolto a uno specifico pubblico di infanti e di “iniziati”, non perde tempo a ricapitolare l’antefatto né a presentare caratteristiche e ruoli delle sue protagoniste, srotola un’avventura placidamente standard un po’ teen drama

MY LITTLE PONY: EQUESTRIA GIRLS - RAINBOW ROCKS

REGIA DI JAYSON THIESSEN

di Alice Cucchetti

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un po’ fantasy iper-colorato per bimbi in età scolare, con un accenno all’attualità della passione dilagante (anche tra i giovanissimi) per i talent show. La scarsa ac-cessibilità allo spettatore casuale è probabilmente il peggio che si possa rimpro-veragli: scontato ma con ritmo, manicheo ma con ironia, ribadisce il sempreverde messaggio sull’amicizia che supera ogni problema e ogni avversità con l’accor-tezza di non rendersi eccessivamente stucchevole. E pure l’animazione bidimen-sionale regge meglio di altri omologhi tentativi in tridimensionalità stentata.

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 6 ottobre

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MY LITTLE PONY: EQUESTRIA GIRLS - RAINBOW ROCKSREGIA DI JAYSON THIESSEN

CANADA / USA · 2014 · ANIMAZIONE · DURATA: 72’

Prodotto confezionato per l’home video, il film-concerto della data degli One Di-rection allo stadio di San Siro (registrato il 28 giugno 2014) sbanca il botteghino ci-nematografico non grazie alle fan che a Milano mancarono all’appuntamento con gli adorati cantanti, bensì grazie alle migliaia di ragazzine che a San Siro c’erano. Esperienza di estatico prolungamento del live, il documentario costituisce per le ammiratrici (difficile scovare, almeno in sala, ma anche nella folla dello stadio, fan di sesso maschile) un “richiamo” alla dose di esibizione in diretta già assunta du-rante il concerto: nelle sale italiane il pubblico di under 16 esulta e strilla come se fosse ancora lì. Rendendo naturale e perfino necessaria la regia piatta di Dugdale, mestierante al servizio del preciso e pianificato schema di luci, movimenti dei pal-coscenici e, soprattutto, momenti di protagonismo del pubblico. Continuamente chiamato a partecipare attivamente sfoderando smartphone in funzione “torcia”,

ONE DIRECTION: WHERE WE AREIL FILM CONCERTO

REGIA DI PAUL DUGDALE

di Ilaria Feole

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fotografie, bandiere italo/britanniche. Con la trascurabile premessa di 20 minuti di quello che sarà un extra del dvd (un’intervista corale ai cinque ragazzi, che si premurano di inserire San Siro nella top 5 delle loro migliori esibizioni), il film ha per protagoniste le stesse ragazzine che dalla poltroncina guardano la propria immagine sul grande schermo: a caccia di un’inquadratura di se stesse, delle lacrime versate sulla canzone favorita, restano in sala (fenomeno infrequente) lungo tutti i titoli di coda.

ONE DIRECTION: WHERE WE ARE - IL FILM CONCERTOREGIA DI PAUL DUGDALE

GRAN BRETAGNA · 2014 · MUSICALE · DURATA: 90’CON HARRY STYLES, NIALL HORAN, ZAYN MALIK, LIAM PAYNE

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PROGRAMMAZIONEal cinema dall’11 ottobre

C

Junior ha i capelli ricci, li vorrebbe lisci, e ne ha fatto un’ossessione. Junior ha solo i capelli per dire chi è e cosa vuole, ma non i capelli che la natura gli ha dato: i capelli che sente di avere. Pelo malo racconta la storia della sua fragile identità, è un coming of age sulla diversità come tanti, tutto giocato sul difficile rapporto fra ilprotagonista e la madre preoccupata per la sessualità del figlio. Mariana Rondón (che con questo film ha vinto premi a San Sebastián, Salonicco e Torino) per for-tuna, però, non forza la mano, gira con precisione neorealista, sottolinea la difficile situazione della famiglia di Junior (la madre senza lavoro, il padre assassinato, la nonna protettiva e sinistra, il fratellino da sfamare) e ne disperde il dramma nell’alveare fatiscente di un mega-condominio di Caracas.Junior e sua madre non sono soli, infatti, Pelo malo non è il melodramma del loro disamore. Pelo malo è un ritratto spietato del rapporto fra pubblico e privato

PELO MALOREGIA DI MARIANA RONDÓN

di Roberto Manassero

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in una nazione segnata dall’ideologia. La testardaggine di Junior, e in fondo an-che la sua arrendevolezza, affogano nel contesto sociale del Venezuela di oggi, con la rivoluzione bolivariana di Chávez incapace di destare una quotidianità fatta di violenza e povertà inevitabili. La Rondón non ne fa una questione politica ma identitaria, raccontando con tutta la pietas del mondo la storia minima e terribile di un ragazzino soffocato, rasato a zero, in nome della normalità.

PELO MALOREGIA DI MARIANA RONDÓN

VENEZUELA · 2013 · DRAMMATICO · DURATA: 95’CON SAMUEL LANGE ZAMBRANO, SAMANTHA CASTILLO, BETO BENITES, NELLY RAMOS

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 30 ottobre

C

L’avvocato Perez (Zingaretti senza punto) è la pecora nera dell’avvocatura di Na-poli, destinato a cause perse, quasi invisibile ai piani alti della procura. Perché il terribile Buglione (l’ottimo Massimiliano Gallo), camorrista di livello, sceglie proprio lui come difensore una volta costituitosi? C’entra il fatto che la figlia di Perez, Tea (Simona Tabasco), sia innamorata del guappo emergente Marco D’Amore? Noir vero questo Perez., con il punto a chiudere inesorabilmente qualunque via di fuga al protagonista. Il quale, spalleggiato da un altro collega in disarmo, Ignazio Merol-la, forse il personaggio migliore del film, non pensa mai a un riscatto, a un colpo d’ala imposto dal pericolo, ma a una resistenza “ordinata”, nonostante tutto. Un bell’antieroe, ambiguo e sfumato, calato in un contesto algido, quasi innatu-rale. Di Napoli nel film ci sono solo le cadenze e gli umori, ma non lo sguardo, che aderisce anzi a un set alienante e straniato, il Centro direzionale dell’archistar

PEREZ.REGIA DI EDoARDo DE AnGElIs

C

di Claudio Bartolini

C

giapponese Kenzo Tange. Nel noir, però, il diavolo si nasconde più facilmente nei dettagli. E nonostante il cosceneggiatore, insieme al regista Edoardo De Angelis, sia Filippo Gravino, che già firmò lo script del notevole Una vita tranquilla, qualcosa nel finale si slabbra, perdendo coerenza e credibilità (per dire: un collaboratore di giustizia sotto protezione va tranquillamente in bicicletta a tarda sera senza con-trollo?). Peccato.

PEREZ.REGIA DI EDoARDo DE AnGElIs

ITAlIA · 2014 · DRAmmATIco · DURATA:94’ con lUcA ZInGARETTI, GIAnpAolo FAbRIZIo, mARco D’AmoRE, sImonA TAbAsco

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 2 ottobre

C

Non fa niente tutto il giorno, Angelo: parafrasando i CCCP, nella sua Sardegna pro-vinciale e paranoica lui non studia, non lavora, non guarda la tv, non va al cinema e non fa sport. Al massimo, infila monetine nella slot machine del bar di periferia dove condivide la noia con una manciata di coetanei.Rasenta la non esistenza: impresa impossibile per il padre Peppino accorgersi di lui, più arduo ancora provare a conoscerlo, a trovargli un lavoro o un interesse. Peppino, vedovo e pensionato, scava nel solco generazionale aggiungendo attivi-smo a uno spirito attivo, e decide di buttarsi in politica. Il divario insanabile fra un Peter Pan apatico e il genitore è scavalcato da un evento tragico che li costringe a una vicinanza mai esperita prima, vissuta con disagio prima che con dolore, e che sprofonda Angelo in un nuovo tipo di solitudine. Lo sguardo del sassarese Angius è tagliente ed empatico allo stesso tempo: nel vuoto ottuso che attanaglia il suo

PERFIDIAREGIA DI BONIFACIO ANGIUS

di Ilaria Feole

C

protagonista c’è il languore di una generazione intera, un calore sorprendente nella descrizione del microcosmo incolore e gelido della provincia. Con un occhio alla messa in scena asettica della nuova onda greca, il regista si aggancia al suo territorio (la Sardegna, ma anche l’Italia tutta) dissezionando una famiglia per-vasa di quotidiana, normale follia. E mantenendo il suo registro in un equilibrio straniante fra realismo e grottesco, abbozza il ritratto nero e vitale di un paese.

PERFIDIAREGIA DI BONIFACIO ANGIUS

ITALIA · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 103’CON STEFANO DEFFENU, MARIO OLIVERI, NOEMI MEDAS, ALESSANDRO GAZALE

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 23 ottobre

C

Sceso dal palcoscenico dei concerti rock per infilarsi nell’anonimato della guardiola di un condominio, Antoine è un performer che rifiuta la platea: cerca solitudine, indifferenza, l’esatto opposto di un pubblico. Non è qualificato per il lavoro di guar-diano del palazzo, ma Catherine Deneuve lo assume perché non sa mentire, virtù accidentale di un uomo che ha disimparato a essere al centro dell’attenzione. La sua aria dimessa e riservata, però, diventa calamita per l’empatia del microcosmo condominiale: dagli inquilini più pedanti a quelli incapaci di seguire le regole, dagli squatter ai disseminatori di volantini, tutti si rivolgono ad Antoine, trovano in lui un silenzioso, goffo punto di riferimento. Così è pure per la splendida Deneuve, che nelle crepe del suo appartamento scorge la fine: del palazzo, del quartiere, della sua felicità, e sull’orlo di un’apocalisse isterica si aggrappa al guardiano con tutte le unghie. Gustave Kervern, comico e regista francese che in coppia con Benoît

PICCOLE CREPE, GROSSI GUAIREGIA DI PIERRE SAlvADoRI

C

di Ilaria Feole

C

Delépine ha firmato i cult Louise-Michel e Mammuth, qui è protagonista assoluto, il cuore impacciato di un universo condominiale pervaso dall’ansia e da un mal-destro sentimento comunitario: poche battute bofonchiate, fisicità ingombrante e diversità irriducibile, porta con sé una dose edulcorata dello straniamento che die-tro la macchina da presa è la sua cifra. Dando vita con Deneuve a un passo a due dolente e misurato, manuale in forma di commedia amara su come stuccare le crepe della vita.

Piccole crePe, grossi guaiREGIA DI PIERRE SAlvADoRI

CoN CAthERINE DENEuvE, GuStAvE KERvERN, FEoDoR AtKINE, NIColAS BouChAuD, PIo MARMAïFRANCIA · 2014 · CoMMEDIA · DuRAtA:97’

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 16 ottobre

C

Giovane ingegnere di belle speranze ma umili origini nella Germania di inizio No-vecento, Friedrich Zeitz crede nell’etica del lavoro e conquista, con l’impegno e l’intelligenza brillante, il favore dell’anziano capo dell’acciaieria, Karl Hoffmeister. Il quale lo prende sotto la propria ala, lo elegge a segretario personale, lo ospita nella sua bella casa borghese, gli chiede di partecipare all’educazione del figlio. Naturalmente, il vecchio e malato Karl ha una moglie giovane e bellissima, Lotte; inevitabilmente, tra Lotte e Friedrich si accende il sentimento. Ci si aspetta un mélo tradizionalissimo e infallibile, date le premesse (il film è tratto dal romanzo breve Il viaggio nel passato di Stefan Zweig), ma il dramma dell’amore impossibile, per respirare, necessiterebbe di conflitto, passione, disperazione. Invece i due prota-gonisti s’attraggono per dovere di script, ma senza alchimia visibile, per quanto Rebecca Hall e il Richard Madden di Il trono di spade ci credano molto, mentre un

UNA PROMESSAREGIA DI PAtRIcE LEcontE

C

di Alice Cucchetti

C

Alan Rickman stanco (e pur sempre impeccabile) li osserva bonario da lontano, rassegnato a vedersi soppiantare più per regole narrative che per l’irruenza irre-frenabile del desiderio. Ingabbiato nell’eleganza anonima di cento altri film in co-stume, il tormento di Una promessa sta tutto nell’accanito tentativo di raccontare i silenzi, i non detti, i gesti sospesi - almeno fino a quando non inonda lo schermo con vagonate di lettere mortalmente verbose; e in definitiva, finisce per non dire proprio nulla, a nessuno.

UNA PROMESSAREGIA DI PAtRIcE LEcontE

FRAncIA, BELGIo · 2013 · DRAmmAtIco · DURAtA:95’ con RIchARD mADDEn, REBEccA hALL, ALAn RIckmAn, ShAnnon tARBEt, JonAthAn SAwDon

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 2 ottobre

C

La definizione di “miglior regista turco di oggi” non spiega molto di Nuri Bilge Cey-lan: è il classico autore difficile e inimitabile che tradizionalmente viene onorato dai premi speciali della giuria. Anche se quella di Cannes 2014 gli ha riservato la Palma d’oro. Come si fa a parlare di un cinema in cui la solitudine e l’estraneità del mondo e della società vengono rotti da estenuanti confronti verbali che parlano di tutto tranne della verità che il film ci mostra? Il protagonista, ex attore, columnist su un quotidiano locale, proprietario terriero e gestore di un pregiato resort in Anatolia, è un controverso enigma per lo spettatore come per la giovane e bellissima moglie e la sorella divorziata con le quali vive. Entrambe finiranno per rimproverargli la protezione e la generosità con le quali le avvince. Ma è proprio il disturbo della sua immagine la cosa più interessante del film: è un torpido patriarca che dispensa per chiunque bonomia e attenzione o un anziano disincantato e arido il cui controllo

Il regno d’Inverno - WInter SleepREGIA DI NuRI BIlGE CEylAN

C

di Mario Sesti

C

del territorio compensa antiche ambizioni insoddisfatte? Dolcezza e cinismo, ras-segnazione e rancore sbozzano il volume della sua figura per una durata fluviale: 196 minuti che vedono quasi sempre in scena il protagonista, Haluk Bilginer, attore dal volto nobile e carismatico che ha alle spalle molto teatro britannico. Non è facile entrare. All’inizio è come sedersi in una casa fredda e umida in cui qualcuno tenta con esasperante lentezza di accendere un camino. Ma se rimanete non sarà facile uscirne. La densità cecoviana di rimpianti del passato e sentimenti irrisolti, l’irrom-pere della maestosa indifferenza della natura (una tempesta di neve e un cavallo da domare filmati magnificamente), la qualità ipnotica del passare del tempo: Il regno d’inverno - Winter Sleep, più che un film, è uno spettacolo da incontrare, an-che fortuitamente, come una quercia centenaria o un ciclopico cumulonembo nel cielo. O come un formidabile romanzo: al pari di Theo Angheopoulos, Nuri Bilge Ceylan sembra ascoltare in ogni istante il rumore perenne dell’eternità; come il suo connazionale Orhan Pamuk trasforma la provincia in un altrove misterioso; come Haruki Murakami sembra sapere che in uno sguardo si celano sempre più cose di quelle che si trovano tra cielo e terra.

Il regno d’Inverno - WInter SleepREGIA DI NuRI BIlGE CEylAN

TuRChIA, FRANCIA, GERmANIA · 2014 · DRAmmATICo · DuRATA:196’ CoN hAluk BIlGINER, mElIsA sözEN, DEmET AkBAG, AyBERk PEkCAN, sERhAT musTAFA kIlIç

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 9 ottobre

C

La delusione per l’ultimo film di Laurent Cantet (che fa il paio a dire la verità con quella per il penultimo, Foxfire - Ragazze cattive, 2012, altro passo falso) è inver-samente proporzionale alla grandezza generale del suo cinema. A tempo pieno (2001) resta uno dei titoli più importanti e problematici del nuovo millennio men-tre La classe - Entre les murs, Palma d’oro a Cannes nel 2008, è esemplare e irraggiungibile nelle sue modalità (poi imitate da moltissimi). Ritorno a l’Avana racconta di cinque “reduci”, amici sulla cinquantina, che si incontrano di nuovo dopo anni su una terrazza alla Ettore Scola. Dove si confrontano, anche duramen-te, sugli anni della lotta, sul regime comunista, sulla Revolución tradita, sulla gio-ventù e gli ideali, su chi doveva restare e invece se ne è andato. Senza soluzione di continuità con le bevute, la convivialità, il tabacco, i tramonti, i sorrisi e le canzoni.Unità di tempo, azione e luogo (i balcon “condivisi” sono un must della cultura

RITORNO A L’AVANAREGIA DI LAURENT CANTET

C

di Mauro Gervasini

C

cubana, dice Cantet) per raccontare una storia che continua a incartarsi tra le pieghe del già visto e del già sentito, secondo uno schema di messa in scena francamente consumato. Non sorprende, la ronde di maturi personaggi di que-sto epilogo di odissea esistenziale e politica, nonostante l’indubbia bravura degli interpreti, perché Cantet non ritaglia alcuno stupore tra il fiume di parole.

C

RITORNO A L’AVANAREGIA DI LAURENT CANTET

FRANCIA · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 95’CON JORGE PERUGORRíA, PEDRO JULIO DIAZ FERRAN, ISABEL SANTOS, FERNANDO HECHEVARRIA

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 30 ottobre

Il mondo attraverso lo sguardo di Sebastião Salgado, fotografo delle minoranze, delle difficoltà, degli angoli di umanità costretti a vivere allo stremo delle proprie forze. Dai primi scatti in Niger del 1973 ai continui ritorni all’amato Brasile, passan-do per la Papua Nuova Guinea, l’Etiopia, il Kuwait e la regione del Sahel, Salgado illumina le ombre di vite impossibili in contesti estremi tanto nella loro condizione, quanto nella muta immensità dei loro paesaggi. Seguendo il rigore cronologico dei viaggi dell’artista attraverso i continenti, il racconto documentario adotta tre punti di vista attestati da altrettante voci narranti: quello soggettivo, affidato allo stesso Salgado; quello interno, restituito dal di lui figlio maggiore Juliano Ribeiro; quello esterno, preso in carico da Wenders e da una macchina da presa che com-pie una passo indietro a beneficio della fotografia e del ritratto umano dell’artista brasiliano, ora sovrapposto frontalmente alla sua creazione, ora colto al cospetto di

IL SaLe deLLa terraREGIA DI WIm WEnDERs, JulIAno RIbEIRo sAlGADo

C

di Claudio Bartolini

C

quest’ultima come in un dialogo, ora inserito in un quadro che, da immobile, si ani-ma nella sovrapposizione vertiginosa tra medium fotografico e filmico. Salgado è i suoi scatti, tra i quali contempliamo il commovente ritratto di una Tuareg cieca o lo sconvolgente cadavere disidratato di un uomo nel Sahel. Ma è anche l’ecologismo attivo, la narrazione politica, lo sguardo anticapitalista. Al centro del suo mondo l’uomo, «il sale della terra», immortalato nella fotogenia della sua sofferenza.

IL SaLe deLLa terraREGIA DI WIm WEnDERs, JulIAno RIbEIRo sAlGADo

FRAncIA, GERmAnIA, PoRtoGAllo · 2014 · DocumEntARIo · DuRAtA:100’

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 23 ottobre

C

Botte, strip, poker, fumo, whisky, sangue (bianco), donne sexy e brutali, anime incenerite e un pugno di volti ciancicati. Il ritorno alla città del peccato è come te l’aspetti, ma contemporaneamente ti sorprende. Centra l’obiettivo più dell’origi-nale e riaggiorna l’estetica messa in campo un decennio fa - e masticata più o meno criticamente negli anni successivi - senza stravolgerla, ma rendendola più coerente ed espressiva.Sì, c’è il 3D nativo e funziona anche bene, ma non svolge un ruolo così deter-minante; soprattutto non cannibalizza l’attenzione o acceca la vista con invasivi giochi di prospettiva, mentre la scrittura (al netto di alcuni dialoghi legnosi e po-sticci) è agile e il film scivola via perfettamente. Si susseguono - tra fedeltà al fumetto e aggiunte cinematografiche - le storie dello spaccaossa annoiato Marv, lo struggimento di Nancy, il dissidio morale di Dwight, incapace di sottrarsi ai

SIN CITY - UNA DONNA PER CUI UCCIDEREREGIA DI FRANK MILLER, ROBERT RODRIGUEZ

di Adriano Aiello

C

piani manipolatori di Ava, il cinismo di Roark e la voglia di rivalsa di suo figlio. Noir puro, quasi calligrafico nelle sue linee guida (ma non è un male), anche se l’impianto generale paga qualche momento di stanca e la figura della femme fatale è didascalica e sorretta dalle gloriose nudità che Eva Green esibisce senza parsimonia. Ma ci si scopre intrattenuti e divertiti, nonostante, paradossalmente, sia un film per pochi. Sorpassato a destra e a sinistra dal ridondante e muscolare sfarzo della Hollywood di oggi, in Usa non ha fatto breccia, ma forse da noi può funzionare meglio.

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 2 ottobre

C

SIN CITY - UNA DONNA PER CUI UCCIDEREREGIA DI FRANK MILLER, ROBERT RODRIGUEZ

USA · 2014 · AZIONE · DURATA: 102’CON JOSH BROLIN, EVA GREEN, ALEXA VEGA, JAMIE CHUNG

Francesco ama Anna, ma l’ha tradita e lei l’ha lasciato. Paolo, il miglior amico di lui, in attesa di divenire padre del bimbo di Elena, soffre di una crisi d’orientamento sessuale. Gianni e Mario sono fratelli gemelli: il secondo è ridotto per colpa del primo su una sedia a rotelle, e questi lo cura. Alice è una prosperosa e promiscua starlette da soap opera, amante degli uomini in divisa. Piccole storie d’ambiente condominiale (un condominio sezionato come il pensionato femminile di L’idolo delle donne, che citiamo solo per ricordarci del bel cinema) diventano una sola quando un residente si suicida e a casa di Francesco giunge l’amore del defunto. Soap opera è la solita neocommedia dell’arte in cui gli attori ripropongono stan-camente le proprie maschere, se possibile televisive.Ma anche un film in cui l’esterofilo Genovesi ricalca scene e andamento del Cuori di Resnais (come Happy Family, scritto dal regista, remixava Wes Anderson). Un

SOAP OPERAREGIA DI ALESSANDRO GENOVESI

di Giulio Sangiorgio

C

film che non sa minimamente cosa sia un tempo comico e pronuncia battute ir-ricevibili. Ma anche un film che tra figurine di contorno, sciocche sino al grottesco, e un unico protagonista a tutto tondo (si fa per dire), sceglie di lasciare un perso-naggio (quello di Elisa Sednaoui) in un pudico mistero, fermando di fronte a lei bozzettismo e psicologia da due euro. Soap opera ci interessa solo perché tenta una nuova via (autoriale ma popolare, televisivamente italiota ma con ambizioni europee) per la nostra commedia. Rimanendo comunque un fallimento.

SOAP OPERAREGIA DI ALESSANDRO GENOVESI

ITALIA · 2014 · COMMEDIA · DURATA: 87’CON FABIO DE LUIGI, RICKY MEMPHIS, CRISTIANA CAPOTONDI, DIEGO ABATANTUONO

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 23 ottobre

C

Noi c’eravamo e soprattutto, credevamo. Che gli Spandau Ballet fossero feno-meno modaiolo degli anni 80 storicizzato, archiviato, punto. Non disprezzabile (Through the Barricades è una bella canzone) ma, appunto, passeggero. Invece no, tornano. Anzi sono già tornati. E questo lungo documentario racconta la loro epopea di band di successo quasi per caso (quando cominciano a vendere sul serio alcuni di loro abitano ancora con i genitori). Sono simpatici, forse più della media. Tony Hadley è uno che come unica tappa italiana di un tour va alla fe-sta patronale di Andria (probabilmente complice Caparezza), senza menarsela, anzi divertendosi. E questa non artefatta schiettezza un po’ traspare anche dal docu, divulgativo, modello Julien Temple (ma moooolto più scolastico) forte di immagini di repertorio quelle sì, belle (impagabile una scena della Thatcher che si presenta a Westminster con uno spazzolone, per «spazzare via il socialismo

SPANDAU BALLET: IL FILMREGIA DI GEORGE HENCKEN

C

di Mauro Gervasini

C

dalla Gran Bretagna»). Gli Spandau (il nome da una scritta trovata sul muro di un cesso di Amburgo) hanno vissuto quel periodo lì, dei minatori in sciopero, delle Falklands, di Feed the World (con il micidiale coretto: «Do they know it’s Chri-stmas time?») Live Aid e soprattutto Lady Diana, che “impose” con il suo stile il look a tutti, a partire dai Duran Duran. I fratelli Kemp, attori sin da bambini, hanno poi proseguito con l’originaria professione (soprattutto l’eastender Martin) per poi rimettere insieme la band. Loro contenti, noi boh.

C

SPANDAU BALLET: IL FILM - SOUL BOYS OF THE WESTERNREGIA DI GEORGE HENCKEN

USA · 2014 · DOCUMENTARIO · DURATA: 102’CON TONY HADLEY, MARTIN KEMP, STEVE NORMAN, GARY KEMP

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 21 ottobre

Fa sicuramente uno strano effetto rivedere Philip Seymour Hoffman al cinema mentre ancora metabolizziamo la sua perdita. Non sorprende affatto, invece, la solita impressionante aderenza con cui tratteggia un anomalo agente segreto ciancicato e sfatto, consumato dall’alcool e dalla disillusione, con un tracollo lavo-rativo alle spalle e un’allergia sistematica alla politica e alla burocrazia. Hoffmanè infatti Günther Bachmann, una delle ultime spie uscite dalla penna di John le Carré (in Yssa il buono, del 2008) e portato al cinema dal regista olandese di Con-trol e The American, Anton Corbijn.Le vicende prendono vita ad Amburgo, nelle cui acque torbide, che aprono i titoli di testa, annegano le contraddizioni dello spionaggio occidentale intento a «ren-dere il mondo un posto più sicuro», ma mai più logico. Non fa eccezione il caso di un fuggitivo ceceno in odore di adesione al terrorismo che finisce sotto i riflettori

LA SPIA - A MOST WANTED MANREGIA DI ANTON CORBIJN

di Adriano Aiello

C

dell’unità di intelligence tedesca diretta da Bachmann. Corbijn si muove bene tra le pagine del romanzo e ne asseconda lo spirito freddo e disilluso con una regia secca e sobria e un bel cast (Rachel McAdams è sorprendentemente brava, Ro-bin Wright è inappuntabile, mentre Willem Dafoe gira a vuoto) e ne fa una riuscita riflessione sulle apparenze, la legittimità del dubbio, i confini della manipolazione e l’impossibilità di fare andare le cose per il verso giusto. Sarà ricordato come l’ultimo film con Hoffman, senza essere l’ultimo film con Hoffman, ma c’è molto di più.

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 30 ottobre

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LA SPIAREGIA DI ANTON CORBIJN

GRAN BRETAGNA / USA / GERMANIA · 2014 · THRILLER · DURATA: 121’CON PHILIP SEYMOUR HOFFMAN, RACHEL MCADAMS, GRIGORIY DOBRYGIN, WILLEM DAFOE

Take Five come la partitura jazz di Dave Brubeck, ma alla napoletana. Meno sghemba e “free”, più viscerale ma anche a rischio confusione. Un noir mescolato alla commedia e al mafia movie, con idee che basterebbero a una serie di 13 puntate, non sempre amalgamate al meglio. Cinque rapinatori: un idraulico, un pugile, un fotografo, un ricettatore, un vecchio arnese della mala in depressione. Insieme per l’audace colpo nel caveau di una banca, nel cuore della città. Ma la camorra ha occhi dappertutto (in questo caso la vedetta è l’ottimo caratterista Antonio Pennarella) e non ci sta a restare ai margini.Partiamo dal gruppo di soliti ignoti, malfattori sui generis, all’inizio descritti come derelitti (chi infartuato, chi con il demone del gioco, chi naïf...) verso i quali è na-turale una certa empatia, e poi pronti a sbranarsi quando il gioco si fa duro, con sbalzi esagerati del registro narrativo, un po’ incerto tra commedia nera o tragedia

TAKE FIVEREGIA DI GUIDO LOMBARDI

C

di Mauro Gervasini

C

grottesca. Il tutto rappresentato con una magniloquenza a volte non giustificata da storia e contesto, come se fossero i ralenti il segno distintivo della modernità cinematografica (ma non è vero!). Dove Guido Lombardi coglie nel segno è invece nella scelta di caratteri e maschere: i personaggi, insomma. Superato lo sche-matismo iniziale si muovono nella partitura con improvvisazioni riuscite, merito anche di “solisti” talentuosi come Peppe Lanzetta, Salvatore Striano o Gaetano Di Vaio (anche produttore).

C

TAKE FIVEREGIA DI GUIDO LOMBARDI

ITALIA · 2013 · DOCUMENTARIO · DURATA: 100’CON GAETANO DI VAIO, GIUSEPPE LANZETTA, CARMINE PATERNOSTER, SALVATORE RUOCCO

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 2 ottobre

Lo strano caso di Paul Haggis, autore di sceneggiature esemplari (Million Dollar Baby, Casino Royale), di un film importante (Nella valle di Elah), ma anche del premio Oscar più (giustamente) dimenticato della storia (Crash – Contatto fisico) e dell’inguardabile The Next Three Days. Third Person appartiene a quest’ultima categoria. Uno scrittore a Parigi (Liam Neeson) riceve un’amica particolare (Olivia Wilde) dopo avere lasciato la moglie, ma la loro relazione non decolla. Apparen-temente autonome si incrociano altre due storie, quella di Mila Kunis a New York, accusata di avere tentato di uccidere il suo bambino e per questo cacciata dal ma-rito James Franco; e quella di Adrien Brody in Italia, fulminato dall’incontro con Moran Atias che gli chiede di aiutarla a uscire da una situazione terribile. La “terza persona” del titolo riguarda lo scrittore, deus ex machina di tutta la combinazione narrativa. Imbarazzante l’episodio italiano, che riesce a rendere oleografica anche

THIRD PERSONREGIA DI PAUL HAGGIS

C

di Mauro Gervasini

C

la Taranto dei bassifondi, ma è tutta la struttura a non stare in piedi, soffocata da una sorta di sentimentalismo intellettuale e da una pesante programmaticità. Il film “a tema” (inizio, svolgimento, fine di una storia d’amore che ambirebbe a un respiro universale, pur cambiando gli attori) avrebbe bisogno di una fluidità che qui non c’è, e a farne le spese sono prima di tutto gli interpreti (tra i quali anche Riccardo Scamarcio e l’incolpevole Vinicio Marchioni).

C

THIRD PERSONREGIA DI PAUL HAGGIS

USA · 2013 · DRAMMATICO · DURATA: 130’CON LIAM NEESON, MARIA BELLO, MILA KUNIS, ADRIEN BRODY

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 23 ottobre

«Nessuno ha mai potuto contestare Salvatore Giuliano, perché non c’è fatto o pa-rola che non siano stati scrupolosamente riscontrati con le indagini e il dibattito in aula»: così Francesco Rosi, al Festival di Taormina 2013, in una conversazione con Tornatore, difendeva la convinzione di un metodo che ancora oggi sembra unire il cinema e il buon giornalismo. Sabina Guzzanti, che si ispira a quel cinema (e soprattutto a Petri: che insieme ad altri “lavoratori dello spettacolo” mise in scena il controverso suicidio di Pinelli), potrebbe dire lo stesso. La prima ora del film, in cui lavoratori dello spettacolo inscenano gli antri più riposti dei rapporti tra mafia e Stato, sarebbe potuta diventare un prolungamento di quel sottogenere televisi-vo che sono le ricostruzioni “recitate” dei documenti (interrogatori, intercettazioni, resoconti), divenendo una specie di protesi del prodotto più appiccicoso ed ende-mico dei palinsesti televisivi, il talk politico. Invece la scoperta teatralità scabra ed

La trattativaREGIA DI SAbInA GuzzAntI

C

di Mario Sesti

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elettronica del set, il mix di straniamento, satira e noir degli interpreti (da segna-lare Ninni Bruschetta, Sergio Pierattini e soprattutto Filippo Luna, che interpreta un Massimo Ciancimino di follia pirandelliana), la precisione degli affondi (e chi sapeva che dietro la figura di un generale, Mori, potessero accumularsi tanta am-biguità e raccapriccianti sospetti?), fanno di La trattativa qualcosa che è più vicino a Dogville di Von Trier che a Santoro. È anche la conferma, dolorosa, che se i milioni che si investono in questi programmi tv ravvivassero il grande schermo, i risultati, non solo espressivi, sarebbero diversi. Ed è la conferma, più che gradevole, che la Guzzanti è diventata brava con il cinema (ma Draquila già lo aveva fatto capire). Forse nella parte finale si fa prendere la mano dalla indignazione/commozione (la prima metà, invece, riesce a penetrare nella coltre della nostra desensibilizzazione da eccesso di esposizione grazie a un orientamento opposto), ma chiunque di noi cambi canale quando in un talk qualcuno inizia a parlare dei misteri italiani rimarrà sorpreso scoprendo quanto già si conosce quando si usa il giusto metodo e am-mirando quale cinema buono, allarmante e sodo se ne può ricavare.

LA TRATTATIVAREGIA DI SAbInA GuzzAntI

COn EnzO LOmbARDO, SAbInA GuzzAntI, SAbInO CIvILLERI, FILIppO LunA, FRAnz CAntALupO ItALIA · 2014 · DOCumEntARIO · DuRAtA:108’

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 2 ottobre

C

Giuseppe sta per diventare papà. Incontra Antonio, sorta di Candido che lo co-stringe suo malgrado a una fiabesca odissea. Il primo è un esattore delle tasse razionale e formale, il secondo è simpatico e comunicativo a prima vista. Un po’ rifacendosi allo schema (alto) di Un biglietto in due (John Hughes, 1987), Paolo Ruffini (anche regista) e Frank Matano tornano sul grande schermo dopo il suc-cesso inatteso di Fuga di cervelli. Il risultato è simile (a Fuga di cervelli, non a Un biglietto in due...): una storiella ridotta ai minimi termini, nonostante a scrivere la sceneggiatura si siano messi addirittura in quattro, per una regia esilissima, quasi da sitcom. A sorprendere negativamente è proprio Ruffini nel suo rappor-to con il linguaggio del cinema. Animale da palcoscenico, bravo capocomico in tv, qui l’attore livornese maneggia male i tempi, costruisce sketch troppo lunghi (come il commiato da Chiara Francini in ospedale o la successiva, interminabile

TUTTO MOLTO BELLOREGIA DI PAOLO RUFFINI

C

di Mauro Gervasini

C

scena in pizzeria) indulge su battute e doppi sensi elementari e non è mai - mai - corrosivo come l’italica commedia di riferimento (almeno fino al finale edificante e posticcio) farebbe sperare. Per dire: l’arabo interpretato da Ahmed Hafiene fa venire in mente Daniele Formica di Ricchi, ricchissimi... praticamente in mutande con Pozzetto, ma è edulcorato al massimo, quasi per un pubblico di nonne. E stiamo citando Sergio Martino, mica Wilder...

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TUTTO MOLTO BELLOREGIA DI PAOLO RUFFINI

ITALIA · 2014 · COMMEDIA · DURATA: 90’CON PAOLO RUFFINI, FRANK MATANO, CHIARA FRANCINI, PAOLO CALABRESI

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 9 ottobre

Chitarre e canzonette, passeggiatine a New York City, personaggi disfunzionali assortiti alla corte di John Carney (Once) e Judd Apatow, produttore esecutivo di un’operazione con quel carisma ostentatamente indie che ormai da tempo non riesce più a stupire. Ci sono un artista rampante, una fidanzata che ne è la mente creativa e un ex produttore alcolizzato. Il primo ha successo e tradisce la seconda. La seconda lascia il primo. Entra in gioco il terzo e con la seconda nasce il progetto di un album da registrare on the road. I tentativi di eversione dai canoni sono stipati nel primo tempo, condensato di flashback in camera a mano, tautologici com-menti musicali a sottolineare lo statuto emotivo di ogni sequenza e costruzioni narrative a piste multiple, ognuna corrispondente a un punto di vista. Tutto molto vecchio. Il prologo, lungo mezzo film, adotta la logica del “come si è arrivati alla pri-ma sequenza?”, per poi lasciare campo libero a un racconto lineare e appiattito da

TuTTo può cambiareREGIA DI John CARnEy

C

di Claudio Bartolini

C

un nucleo tematico relegato colpevolmente in secondo piano (la dicotomia indu-stria discografica vs. autenticità artistica), in nome di una ribalta riservata a conflitti interpersonali improvvisati e motivati soltanto dalle bizzarrie emotive di caratteri che perdono definizione a ogni snodo narrativo. Al netto della buona chimica della coppia Knightley-Ruffalo - e di una compilation musicale variegata e incalzante - non si vede mai la tanto agognata vita reale. Solo plastica, che qualcuno si pre-murerà di riciclare nuovamente.

TUTTO PUÒ CAMBIAREREGIA DI John CARnEy

USA · 2013 · DRAmmAtICo · DURAtA:101’ Con KEIRA KnIGhtlEy, mARK RUffAlo, hAIlEE StEInfElD, CAthERInE KEEnER, ADAm lEvInE

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PROGRAMMAZIONEal cinema dal 16 ottobre

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È un film sulla caducità del potere e su come questo cambi repentinamente chi lo detiene. In fondo, la Bolivia raccontata da Ferdinando Vicentini Orgnani sembra un pretesto. Tutto nasce con Rade Šerbedžija (l’attore croato che con il regista ha gira-to Ilaria Alpi - Il più crudele dei giorni), la cui moglie ha come zio Gonzalo Sánchez de Lozada, due volte presidente della Bolivia negli anni 90 prima dell’esilio negli Stati Uniti dopo gli oltre 60 morti dell’ottobre nero del 2003 in seguito alle contesta-zioni popolari represse dalle forze armate.Partendo quindi da posizioni ideologicamente distanti da quelle empatiche di Oli-ver Stone, ad esempio, con i protagonisti dei suoi tre documentari sudamericani, Vicentini Orgnani cerca di mostrare le contraddizioni sia di Evo Morales, il primo presidente indio che ora si scaglia contro una minoranza etnica indigena contra-ria alla costruzione di un’autostrada “per i narcotrafficanti” nel parco nazionale del

Un minUto de silencioREGIA DI FERDInAnDo VIcEntInI oRGnAnI

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di Pedro Armocida

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Tipnis, sia di Gonzalo Sánchez de Lozada che, partito nel 1993 con le migliori in-tenzioni, ora è riparato negli Stati Uniti che ne negano l’estradizione. Le responsa-bilità dei due, che il regista non omette, non sono certo paragonabili, rimane però l’evidenza delle parole, riferite a Morales ma quasi universali, di un indigeno: «Uno o due passi importanti li ha fatti, ma un cambiamento no, sarebbe come sognare a occhi aperti». Nonostante i numi tutelari (Che Guevara, Túpac Amaru...) ricordati nel minuto di silenzio di inizio mandato di Morales.

UN MINUTO DE SILENCIOREGIA DI FERDInAnDo VIcEntInI oRGnAnI

ItAlIA, BolIVIA · 2014 · DocumEntARIo · DuRAtA:85’

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