· Web viewForte è la resistenza della popolazione e dei sacerdoti greco-bizantini: l’episodio...

31
1 CENNI STORICI di ROSSANO LA BIZANTINA. SAN NILO il migrante”: memoria storica e attualità. di Francesco Filareto Rossano, 28 ottobre 2016 2° Incontro Internazionale di Interscambio Culturale e Religioso La Nuova Tebaide del Mercurion ************************************************** w̃ ́ ́ ́ ¢ ́ ̃ ́ ́ ́ ́ ́ ̉ . ́. ́ ́ω. .́ ́. Salve, ospiti e amici, siete i benvenuti tra noi, vi accogliamo con grande gioia nella nostra Città di Rossano la Bizantina. Ho rivolto a Voi Organizzatori del Convegno, Relatori e a tutti i presenti il saluto nella lingua greco-bizantina, che era la coiné (“”), la lingua ufficiale e corrente in quest’area della Calabria fino alla metà del sec. XV. Per mentalità e cultura non mi è congeniale la sintesi, che se aiuta la divulgazione ed è in sintonia con l’attualità, sacrifica però l’analisi, il ragionamento, la dimostrazione e quindi la qualità della ricerca e dell’informazione. Perciò, mi scuserete per alcuni passaggi presentati a volo d’uccello, che, eventualmente, potremmo approfondire nel dibattito finale di questo interessante Convegno.

Transcript of  · Web viewForte è la resistenza della popolazione e dei sacerdoti greco-bizantini: l’episodio...

22

CENNI STORICI di

ROSSANO LA BIZANTINA.

SAN NILO il “migrante”: memoria storica e attualità.

di Francesco Filareto

Rossano, 28 ottobre 2016

2° Incontro Internazionale di Interscambio Culturale e Religioso

La Nuova Tebaide del Mercurion

**************************************************

ῖ̃́́ὶ́ἔ̃́́́

ὔ́̉ή̣ ὴ̣́ ́́ώ̣̣̣́

Salve, ospiti e amici, siete i benvenuti tra noi, vi accogliamo con grande gioia nella nostra Città di Rossano la Bizantina.

Ho rivolto a Voi Organizzatori del Convegno, Relatori e a tutti i presenti il saluto nella lingua greco-bizantina, che era la coiné (“”), la lingua ufficiale e corrente in quest’area della Calabria fino alla metà del sec. XV.

Per mentalità e cultura non mi è congeniale la sintesi, che se aiuta la divulgazione ed è in sintonia con l’attualità, sacrifica però l’analisi, il ragionamento, la dimostrazione e quindi la qualità della ricerca e dell’informazione. Perciò, mi scuserete per alcuni passaggi presentati a volo d’uccello, che, eventualmente, potremmo approfondire nel dibattito finale di questo interessante Convegno.

Mi corre obbligo, ma è esigenza – credo – avvertita dai presenti, di ringraziare quanti hanno reso possibile questo evento culturale, che ri-afferma la centralità di un’area vasta, quella che possiamo battezzare Calabria del Nord-Est o Mediterraneo Jonico-Silano (un tempo tra i centri irradiatori di Civiltà e oggi emarginata e umiliata). In particolare, ringrazio il Preside Antonio Venturelli e la dottoressa Viktoria Petrova.

Prima di entrare nel merito del tema assegnatomi, ritengo che sia opportuno ricordare, sia pure telegraficamente, che questo ampio territorio ha una storia molto antica e complessa.

E’ il comprensorio dove vivono e operano le popolazioni pre-elleniche, italiche e autoctone degli Enotrii (ἴ) prima e dei Brettii o Bruziέ) dopo[footnoteRef:2]. Enotriie Brettii, tra il XVIII e il II secolo a. C., costruiscono una originale e inconfondibile Civiltà, ancora poco studiata e poco conosciuta, la Civiltà della Mesògaia(ό), ossia la Civiltà delle zone interne e della montagna o semplicemente la Silanità[footnoteRef:3]. [2: La loro presenza è attestata dagli scavi archeologici, scarsi di numero eppure significativi, di Broglio di Trebisacce, Francavilla Marittima, Torre Mordillo, Paludi, Caloveto, Pietrapaola, Cariati e anche di Rossano (ex campo sportivo Maria de’ Rosis, Basìli Tavola di Fate, Bucita, S. Croce ecc.).] [3: Quella degli Enotrii e deiBrettiiè la Civiltà minore dei vinti nella storia, benché rimossa nella memoria della cultura ufficiale dei vincitori, vituperata o negata, ancora sepolta sotto terra, trasmette alle future generazioni, un lascito e una eredità, che costituiscono, tuttora, sia pure in maniera residuale, la parte più antica dell'Identità collettiva della popolazione di questo territorio.Per esemplificare, ricordo l'amore e l'attaccamento atavico per la collina e la montagna, percepite dall'immaginario collettivo di tanti di noi non solo come beni materiali, che ci hanno sfamati e fatti sopravvivere per secoli, ma anche come valori, esistenziali e civili, e come il grembo materno di questa terra, rassicurante, protettivo, e concorrenziale con il mare, sentito viceversa come pericolo, minaccia, luogo di provenienza dei troppi invasori, che ci hanno tolto beni e vita. L'amore e l'attaccamento per le aree interne si allarga e si espande ai Centri Storici. L'amore e l’attaccamento per la propria terra e il proprio paese – struggenti per molti di noi - si aprono a imbuto e generano la fierezza, la tenacia, la caparbietà, il senso della libertà, il senso della famiglia e dell'amicizia, l'etica del lavoro, l'etica della responsabilità, valori che siamo soliti riassumere in una sola parola: la "dignità". Laboriosi o resistenti o ribelli o emigranti, in relazione alle diverse circostanze della storia, spesso perdenti, ma sempre fieri,dignitosi e tenaci, e con la testa alta, la schiena dritta, come i nostri più antichi progenitori Enotrii e Brettii.]

La Civiltà della Mesògaia precede e poi accompagna in una sorta di condominio (dalla vita complessa e dialettica) talora conflittuale, altre volte complementare,la prima Ellenizzazione del territorio, operata, in fasi successive, dai Minoici, dai Micenei e, infine, dai Greci. Sulle fondamenta della Civiltà degli Enotriie deiBrettii si innestano - progressivamente a incastro - le Civiltà e le culture di “popolazioni migranti ” provenienti dal Mediterraneo orientale: Civiltà e culture indotte dai nuovi arrivati, prima subite dalle popolazioni indigene e, successivamente, da queste assimilate e ricondotte a sintesi unitaria.

Questi primi migranti Greci creano e introducono in quest’area una nuova Civiltà, italiota, la Civiltà della Magna Grecia o Megàle Ellàs (άἩά), attraverso la fondazione, in tempi diversi, delle tre Sibari (ύ). La I Sibari nasce nel 721/720 ed è distrutta dai Crotoniati nel 511/510 a.C., la II Sibari o“ύ” o Thuriiè voluta da Pericle nel 444/443 viene poi occupata dai Romani e da questi rifondata, nel 193 a. C., nella colonia latina di Copia Thurii (che sopravvivrà fino al 597 d. C.), e infine la III città magno-greca è la misteriosa Sibari sul Trionto (ύέὶῦό), che ha una breve vita dal 445/444 al 330 circa a.C., occupata e distrutta dai Brettioi, è tuttora di incerta ubicazione. Una popolazione greca, inoltre, vive sulla collina del quartiere di S. Stefano a Rossano, probabilmente è una parte di quella scampata all’eccidio della prima Sibari, come attestano i corredi funerari di una necropoli databile tra il 510 e il 443 a.C.[footnoteRef:4] [4: Tra i quali segnalo uno splendido specchio bronzeo, un pendaglio a forma di gallo e uno strigile, conservati nel locale Museo Diocesano, che sono stati inventariati e studiati da Paolo Orsi (Specchio in bronzo greco del secolo V da Rossano, Roma 1919 ; Idem Le Chiese basiliane, Firenze 1929).]

Con l’avvento delle città magno-greche, Rossano entra nella storiografia e si affaccia nella storia intorno al sec. V a. C. Ne parla un’eloquente fonte narrativa posteriore, “I discorsi sulle guerre(“ἱόὲῶέ“), un libro-reportage di cui è autoreProcopio di Cesarea (? – 565 d. C.), storico ufficiale di Giustiniano del VI sec. d. C.,nel quale ci vengono trasmessedue informazioni molto importanti su Rossano, frutto di ricognizioni dirette e de visu.

La prima recita: ἐί”“Qui, lungo la costa c’è Ruskìa o Ruskiané, ossia Rossano, il porto di Thurii”(“Ἐάάήἀήίήἐί,ὸί).Procopiocodifica ufficialmente una consolidata tradizione, orale e scritta, che accredita l’esistenza sulla costa jonica della Calabria del Nord-Est di un porto (e verosimilmente di un arsenale)a servizio della città magno-greca di Thurii dal nome “ί”o “ή”le cui origini risalgono al V sec. a. C., oggi, però, di incerta ubicazione[footnoteRef:5].La prima Rossano, dunque, è un centro portuale magno-greco sullo Jonio. [5: I termini “ί” o “ή”, che derivano dal greco “rus” (), salvifico, e “àcron” (), promontorio, ha un evidente riferimento a quel segmento della costa jonica, presso il quale ritengo che si trovasse il porto canale del territorio, garante di salvaguardia delle imbarcazioni, ma, oggi, di incerta ubicazione. ]

I Greci portano in questo territorio il primo Ellenismo, ossia la Civiltà del mare o semplicemente la Jonicità. Dallo scontro, incontro e integrazione delle due Civiltà, quella della montagna e quella del mare, si forma, in quei secoli, una nuova Civiltà nella Calabria del Nord-Est, che possiamo definire la Mediterraneità Jonico-Silana, la quale, ancora oggi, costituisce il fondamento dell’identità culturale collettiva di appartenenza della popolazione in quest’area. La Mediterraneità Jonico-Silana èuna sintesi dialettica, nuova, originale,di pluralità e diversità, nella quale gli Enotrii-Brettii costituiscono la tesi e forniscono il contributo dei principi-valori delle aree interne autoctone o Silanità, mentre i Greci rappresentano l’antitesi e danno l’apporto di altri principi-valori specifici della cultura degli immigrati ellenici provenienti dal mare o Jonicità.

Poi, nella seconda metà del II secolo a. C., arrivano i primi spietati e voraci dominatori e colonizzatori, i Romani. Sulla conquista romanaProcopio di Cesarea, nel libro suddetto, ci tramanda la seconda notizia, che parla di una fondazione romana in collina; egli si esprime nei seguenti termini:“sopra questo(ossia sopra il porto Ruskìa o Ruskiané), distante sessanta stadi, i Romani anticamente costruirono un frùrion, ossia una fortezza molto salda ”(“ὺὐῦόἀόίἐήύἐώἐίἰάά”). Secondo lo storico bizantino i Romani fondano sull’attuale acrocòro, esattamente dove è ubicato l’ex Ospedale civile, un castello fortificato o “Frùrion”, corrispondente al latino “Castrum”o “Oppidum”, intono al quale ci sono preesistenti villaggi sparsi, di origine enotria, e intorno al quale si forma, nel tempo, la città storica di Rossano. Questo “Castrum”o “Oppidum” romano è una fortezza militare, una sorta di acropoli, fondato poco dopo la conquista di Thuriie la fondazione di Copia Thuriida parte dei Romani, intorno al 193 a. c. Il “Castrum”o “Oppidum”svolge bene il suo ruolo di castello inespugnabile nei secoli successivi, fino al sec. XVII.I Romani latinizzano il precedente toponimo di “Ruskìa”o “Ruskiané” e battezzano il centro urbano sulla collina formatosi intorno al loro Castrumo Oppidum con il nome di“Roscianum”[footnoteRef:6]. [6: Nel ‘600, persa la sua funzione di presidio militare, l’antica fortezza romana esso sarà riconvertita e riattata(nel 1631-1658)a Monastero dei Cappuccini fino al 1811, quando,durante il Decennio francese, nel quadro della soppressione degli ordini monastici, dei loro monasteri e conventi e della conseguente statizzazione dei loro beni immobiliari (1808-1815), passa alla proprietà dello Stato; successivamente, nel1876, sarà trasformato in Ospedale civile zonale fino al 1986, ora è sede di Distretto sanitario, Casa di accoglienza per ragazze madri, Uffici comunali.]

L’imperialismo romano, in circa sette secoli, dal 193 a. C. al 476 d. C., attraverso una serie di “ville” o latifondi, sfrutta intensamente il territorio, sottraendogli il legname della vasta montagna, dai Romani battezzata “Silva” e poi Sila, la rinomata “pix bruzia”, cereali, vino, produzioni lattiero-casearie, i famosi cavalli bruzi; ma non si limitano a drenare le ricchezze del comprensorio, perché latinizzano le popolazioni, imponendo la loro lingua e la loro cultura, con la ragione della forza, fino al genocidio di quanti difendono con fierezza e coraggio la loro libertà e fino alla damnatio memoriae dei ribelli Bruzi.

In seguito alla crisi e alla scomparsa dell’Impero Romano d’Occidente (476), il centro urbano di Roscianum, climaticamente molto salubre, è percepito da tanti come garanzia di certezza di vita, di ospitalità, di sicurezza. Perciò, diventa la meta preferita di un grande esodo di popolazione, che, atterrita dall’insicurezza generale e dallo stato permanente di guerra, abbandona la pianura all’inselvatichimento e alla palude malarica. Di conseguenza, l’originario agglomerato urbano si incrementa continuamente di abitanti, fino a connotarsi progressivamente come una vera e propria città. Roscianum, distesa su un ampio pianoro di quattro km2 circa, è collocata “in alto et excelso loco”,a strapiombo, a 300 m. di altezza, inaccessibile e imprendibile, con ben cinque Porte di accesso e altrettante strade che la collegano alle colline, alla Sila greca, alla pianura, al Porto[footnoteRef:7]. [7: La Porta del Castelloo Porta Grande, ribattezzata nel ‘600 Porta Cappuccini, ad ovest, la più grande e importante; la Porta dell’Acqua o Tironeo Portìo Arringo o del Ringo, a sud; la Porta della Rupe o Rupa, a est, a fianco dell’Oratorio del Pilerio e sopra la valle dei mulini ad acqua; la Porta Nardi o Pente, a nord-est; la Porta dei Giudei o Giudecca, a nord-owest. Neisecc. XV-XVI, se ne aggiungono altre due: la Porta Melissa, poi ribattezzata Porta Bona, in onore di Bona Sforza, principessa di Rossano e regina di Polonia, a est; e la Porta Piccola o Portello, a ridosso del Castello del Ciglio o Maschio aragonese, a sud. Segnalo, inoltre, un numero imprecisabile di cunicoli ipogei, che attraversano il ventre della città facendone una groviera urbana, in parte censiti ed esplorati dai CAI di Trieste, la cui natura e destinazione attendono uno studio di archeologi specifici, ipotizzando che essi furono ideati e realizzati come vie di fuga dalla città in caso di grave pericolo e come camminamenti sotterranei per approvvigionarsi dall’esterno di uomini, viveri e altro in caso di assedio.]

Finita la potenza di Roma, l’Italia si frantuma nei Regni romano-germanici, tra i quali quello degli Ostrogoti (489). Giustiniano Imperatore della seconda Roma, Costantinopoli, durante i suoi quarant’anni circa di governo (527-565), tenta, con grande spiegamento di mezzi militari e risorse economiche, di realizzare un progetto molto ambizioso: la Renovatio Imperii, la Reductio ad Unum, ossia la restaurazione dell’Impero Romano-Cristiano di Costantino e la ricostruzione dell’unità Mediterraneo-Europa, previo abbattimento dei Regni romano-barbarici. L’azione politico-militare si rivolge, tra l’altro, anche verso l’Italia, a danno del Regno goto di Teodorico con un lungo e devastante conflitto, noto come la guerra greco-gotica (535-553).

Allora, Roscianum diventa uno dei teatri più significativi del conflitto fra Bizantini e Ostrogoti per il dominio sull’Italia. Il narratore di quelle vicende è il già ricordato Procopio di Cesarea, uno storico-reporter, quasi certamente presente ai fatti. La città subisce un alternarsi continuo di occupazioni: prima gli Ostrogoti (dal 489 al 539), poi i Bizantini(dal 539 al 545), quindi nuovamente i Goti (dal 545 al 549) e, infine, definitivamente i Bizantini, che, dal 549 fino al 1059, ne fanno il loro presidio politico-militare più sicuro delle Regioni bizantine d’Italia. Roscianum, diventata bizantina, cambia il tuo toponimo in Rusiànon (“ά”). Essa è una città murata, una città-fortezza inespugnabile, dotata di un porto-arsenale dell’antica “Ruskìa”, dove si costruiscono (utilizzando l’abbondante legname e la famosa pece bruzia dei boschi della vicina Sila greca) navi leggere di piccolo cabotaggio o chelàndie e che viene utilizzato come approdo nelle campagne militari marittime e come importante snodo commerciale nell’import-export tra la regione e i Paesi del Mediterraneo. Rossanoè, inoltre, la sede di officine artigianali (attive fino agli anni Sessanta del secolo scorso), di botteghe d’arte, di produzione di Codici e di libri, di pergamene lavorate, di preziosa oreficeria sacra[footnoteRef:8]. Particolarmente nel sec. X, Rusiànon è menzionata come un “chora” (“ώ”) oppure come una “città fortificata”(“ύό”) o, anche, come la città-fortezza di frontiera (“ύ”), la più importante dell’area bizantina del Sud, arroccata su un alto pianoro, è la chiave del Bruzio, l’avamposto bizantino più settentrionale della Regione, l’unico presidio bizantino della Calabria a non essere mai espugnato dai Longobardi del Ducato di Benevento e dai Saraceni islamici della Sicilia. [8: Ne ricordo due provenienti sicuramente da Rossano. Il primo è segnalato da Alfredo Gradilone nella sua “Storia di Rossano” e si tratta di un Encolpio o Brattea o Bratteata d’oro, un disco di sottile lamina d’oro purissimo circolare con lavorazione a sbalzo, in cui è rappresentato un busto di Cristo barbuto con a lato due angeli, probabilmente il coperchio di un’ampolla o teca sacra, risalente al sec. VI o VII, che sarebbe stata acquistata da Paolo Orsi nel 1928 e da questi donata al Museo Archeologico di Siracusa, dove tuttora è custodito ed esposto. Il secondo è un medaglione d’oro con l’immagine di S. Teodoro a cavallo, è anch’esso un Encolpio o Brattea o Bratteata d’oro, un disco di sottile lamina d’oro purissimo circolare con lavorazione a sbalzo, appartenente a un reliquiario o scatoletta(con l’iscrizione: “”), risalente al sec. IX; si trova esposto nel Museo di Reggio Calabria.]

Il biografo di S. Nilo, S. Bartolomeo, descrive nei seguenti termini Rossano qual è nel secolo X: “Io credo che non vi sia alcuno tra noi che non conosca ά(Rossano) non solo come quella città che presiede ai confini della Calabria, assai grande e inespugnabile ad un tempo, ma anche come la sola città, la quale, nella quasi generale devastazione di tutta la regione calabra e nella conseguente caduta di tutte le altre città nel dominio dei Saraceni, non soggiacque alla legge della comune rovina … Rusiànon (ά) è una così importante città …, città-fortezza di Dio e dell’Imperatore”.

Rusiànon, perciò, diventa un agglomerato urbano molto importante, tanto da prendere il posto di Copia Thurii quale centro direzionale dell’ampio comprensorio della Calabria Nord-Orientale. Rossano è, perciò, la sede di alti dignitari dell’amministrazione bizantina e di uffici pubblici e ospita contingenti militari impegnati costantemente nella difesa e nella controffensiva nei confronti di nemici esterni: come, all’inizio, contro i Longobardi del Ducato di Benevento, che arrivano a occupare Cassano allo Jonio e Copia Thurii (597), ma si arrestano sotto le mura di Rusiànon e, poi, contro i Saraceni musulmani dell’Emirato della Sicilia. Questi ultimi, dai primi del secolo IX e per circa tre secoli, tentano continuamente di strappare ai Bizantini i territori italiani e di islamizzarli, arrivando fino al sacco di Roma (846). La Calabria è la più esposta alle scorrerie saracene, che devastano, saccheggiano e arrivano a occupare intere zone e numerose città.

Nel 951, cade anche Reggio Calabria sotto il dominio politico-religioso dei Saraceni, guidati dall’Emiro Hasan Ibn Alì. Allora, lo“Stratego”(ό, ossia il Governatore politico-militare del Thema di Calabria e Longobardìa, Vicario dell’Imperatore di Bisanzio, che lì risiedeva, si trasferisce a Rossano. La città diventa, così, una sorta di capitale dei domini bizantini nell’Italia meridionale per un trentennio, dal 951 al 982/983. È il momento della massima potenza e notorietà per Rossano, che le valgono i titoli onorifici di “Ravenna del Sud”, “la perla bizantina della Calabria”, “la Bizantina”[footnoteRef:9]. [9: La capitale dei domini bizantini in Italia è, inizialmente, Ravenna (con l’Esarca, dal 553 al 751, quando la città è conquista dai Longobardi), poi Siracusa (con il Pretore, dal 751 circa all’878, quando viene occupatadai Saraceni), Reggio Calabria(con lo Stratego, dall’878 circa al 951, quando passa sotto il dominio conquista dei Saraceni dell’Emirato di Sicilia), Rossano(con lo Stratego, dal 951 al 982, quando è occupata daOttone II di Sassonia) e, infine,Bari (con il Katepano, dal 982/983 al 1059/1060, quando passa sotto i Normanni). Durante il trentennio circa in cui Rossano è la capitale della dominazione bizantina nell’Italia Meridionale continentale, i Basileis di Bisanzio sono: Costantino VII (944-959), Romano II (959-963), il duopolio di Basilio IIe Costantino VIII (963), il treispolio di Niceforo II, Basilio II e Costantino VIII (963-969), il treispolio di Giovanni I Tzimiskes, Basilio II e Costantino VIII (969-976), il duopolio di Basilio II e Costantino VIII (976-1085). ]

Perciò, nella città di Rusiànon sono attive le più alte Istituzioni politico-amministrative bizantine e qui risiedono oppure giungono e operano tanti alti dignitari, laici ed ecclesiastici, provenienti i più da Bisanzio. Ne cito soltanto alcuni. Nella città risiedono i Vescovi greci (in stretti rapporti gerarchici con il Patriarcato e la Corte di Bisanzio), l’esattore imperiale Gregorio Malena (όὁύῖ), probabilmente imparentato con gli Imperatori di Bisanzio e alla cui famiglia aristocratica originaria di Bisanzio verosimilmente appartiene S. Nilo, inoltre Eufràsio il Giudice imperiale d’Italia e di Calabria (Ἐάὁό,), Basilio lo Stratego dei due Themi di Calabria e Longobardìa (ίὁό) e anche il famoso medico-scienziato l’ebreo Domnolo (ὁ Ἰῖ

ἰόό). Giungono e soggiornano a Rossano in momenti diversi: tre Metropoliti della Calabria (ί), Teofilatto (ά), Blattone (ά) e Stefano (έ); inoltre, Leone il Domestico (έ,) o capo di stato maggiore dell’esercito bizantino”, Nicola il Protospatario o alto ufficiale bizantino (όὁά), Polieutostratilate ossia capitano dell’esercito bizantino” (ύὁά), il Magistros Niceforo Hexakionites, ossia il Governatore dei due Themi di Calabria e Longobardìa” (ὁίόὁά), l’eunuco Cubiculario il parakimòmenos Giuseppe Bringas (“Ἐῦὁί,), in quegli anni la personalità più influente dell’Impero bizantino.

Rossano diventa, inoltre, una città accogliente e ospitale, multi-etnica e multi-religiosa: ospita, infatti, una Sinagoga (oggi Chiesa di S. Martino) per la nutrita comunità ebraica, la più importante della Calabria e una delle più importanti del Sud Italia, che vive e opera, dal sec. X al sec. XVI, nel quartiere ancora oggi denominato “la Jureca”, la Giudecca.

La città, inoltre, mentre per un verso è molto attrattiva, per l’altro verso è altrettanto molto appetibile, ambìta prima dai Longobardi e dai Saraceni e, nella seconda metà del sec. X, anche dagli Imperatori tedeschi dei ricostituiti Sacro Romano Impero d’Occidente e del Regnum Italicum. Chiusa la parentesi drammatica dell’anarchia feudale (888-962),il nuovo Imperatore, Ottone I di Sassonia (962-972), si presenta in Italia con l’ambizioso programma di restaurazione delSacro Romano Impero di Carlo Magno: è il primo che arriva fino alla Calabria, nel tentativo di strappare le regioni meridionali ai Bizantini e, nel 968-969, si spinge fino a Cassano Jonio occupandola e forse fino a Rossano, tanto da imporre al Basileus bizantino, Giovanni I Tzimiskes, un gravoso trattato di pace. Questo prevede, tra l’altro, il matrimonio tra il figlio, il futuro Ottone II, e la principessa bizantina Teofania, che, nel 972 (14/4) porta in dote al marito tedesco tutti i possedimenti bizantini dell’Italia meridionale. L’accordo, però, è disatteso da Bisanzio, che conserva i territori italiani e, nel 976, tenta una controffensiva contro i Saraceni della Sicilia. In quell’anno, morto il Basileus Giovanni I Tzimiskes, gli subentrano i due Basileis Basilio II e Costantino VIII, che inviano a governare le due Province di Calabria e Longobardìa il Maestro Imperiale (ί), Niceforo Hexakionites, che fa costruire dai Rossanesi una flotta di navi leggere o chelàndie, la quale però è distrutta dagli stessi cittadini di Rossano. Nello stesso anno l’offensiva bizantina contro gli Islamici della Sicilia (guidati da Abulel Kasem) naufraga miseramente.

Poco dopo, nel 980,giunge nel Mezzogiorno con un forte esercito il nuovo Imperatore tedesco, il diciottenne Ottone II di Sassonia (963-983), per rivendicare dai due Basileis Basilio II e Costantino VIII di Bisanzio, fratelli della moglie, i possedimenti dell’Italia Meridionale, che gli spettano per la dote della consorte e per ri-costruire l’unità territoriale dell’antico Sacro Romano Impero di Carlo Magno. Rossano, dal 981 al 982, entra in un circuito politico europeo, diventando de facto la sede del Sacro Romano Impero. Essa, infatti, è ambìta dall’Imperatore tedesco. Questi, giunto, nell’estate del 980, in Campania, Puglia e infine in Calabria, entra in Rossano alla fine del 981(è la seconda volta dal tempo del re Goto Teodorico, 545-549), accolto favorevolmente dalla popolazione stremata dal dispotismo e dal duro giogo fiscale dell’Impero bizantino d’Oriente e ne fa, per alcuni mesi, la sede della corte imperiale germanica,del suo quartiere generale con funzionari politici e militari e dell’esercito italo-tedesco. Da Rossano organizza l’ardua impresa di sconfiggere le armate arabe e bizantine, alleatesi contro il comune nemico, e annettere al suo Impero tutto il Mezzogiorno d’Italia. Al seguito dell’Imperatore sassone ci sono anche la moglie l’Imperatrice Teofania e il figlio, il futuro Imperatore Ottone III (980-1002), e anche il suo principale consigliere, diremmo oggi il suo primo ministro, il rossanese Giovanni Filàgato (), padrino di battesimo e precettore di Ottone III, poi Archimandrita del Monastero di Nonantola, Arcivescovo di Piacenza e, infine, Papa o Anti Papa con il nome di Giovanni XVI. L’avventura calabrese di Ottone II dura molto poco: sconfitto duramente dai Saraceni condotti dall’Emiro di Palermo, Abulel Kasem, nella battaglia di Stilo (13 luglio 982), a stento riesce a salvarsi e si rifugia a Rossano (almeno fino al 31 luglio) e, subito dopo, si dirige nelle sue province del Nord Italia assieme alla sua famiglia, alla corte, ai resti del suo esercito, con il proposito, non realizzato, di ritornare per la rivincita, ma muore a Roma l’anno successivo.

Fallita l’impresa degli Imperatori tedeschi, i Basileis Basilio II e Costantino VIII recuperano i territori meridionali perduti, ma trasferiscono la sede del Governo dei Themi di Calabria e Longobardìa da Rossano a Bari, sia per allontanarla dalla Sicilia arabo-musulmana e sia per disaffezione per la città calabrese, rea di avere accolto l’Imperatore tedesco.

Il ritorno del dominio bizantino sul Sud continentale d’Italia, però, ha breve vita. Arrivano nuovi e imprevisti conquistatori: i Normanni, guidati da Roberto d’Altavilla detto il Guiscardo (1015-1085), che, in poco più di due anni, dal 1059 al 1060, strappano le terre bizantine della Calabria ai Basileis Basilio II e Costantino VIII. L’offensiva normanna è concordata tra il Guiscardo e il Papa Niccolò II, il quale, con l’accordo di Melfi (1059), investe del titolo di Signore della Puglia e della Calabria e duca di Sicilia il capo dei Normanni, legittimandone le conquiste fatte e quelle da fare; viceversa, il Guiscardo, in cambio, si riconosce Vassallo della Santa Sede e si impegna a ri-latinizzare la Chiesa dell’Italia meridionale, de-grecizzandola e sottoponendola all’autorità e alla giurisdizione cattolico-latina del Papa. Tutto il Sud Italia, compresa la Sicilia, in pochi anni passa sotto il dominio dei Normanni [footnoteRef:10]. [10: l’Italia meridionale continentale sotto il Guiscardo, mentre la Sicilia viene strappata ai Saraceni islamici dal gran Conte Ruggero, fratello di Roberto, nel 1061-1091, infine, il figlio di questi, Ruggero II, unifica i due regni in un unico complesso politico, il RegnumSiciliae, nel 1130. ]

Di fronte alla forte resistenza di Rossano, Roberto d’Altavilla con un compromesso di realpolitik si accorda con il governo della città, che riconosce l’autorità dei Normanni, accettandone la presenza di un contingente militare, stanziatosi in una Torre, della zona alta, denominata tuttora il Ciglio della Torre,ma mantiene l’autonomia amministrativa del governo locale e l’autonomia della Chiesa, che, pur passando sotto la giurisdizione del Papa, mantiene l’organizzazione, la liturgia, il rito, la lingua greco-bizantini e l’antico privilegio del clero diocesano di eleggere il Vescovo (jus eligendi).

Nel 1088, Romano (ό), da poco nominato primo Arcivescovo Metropolita di Rossano, e Basilio, Metropolita di Reggio Calabria, sono designati dal Patriarca della Chiesa greco-ortodossa di Bisanzio, Nicola II Grammatico, a rappresentarlo nella trattativa con il Papa, Urbano II (1088-1099), al fine di riunificare le due Chiese cristiane, separatesi 34 anni prima, nel 1054, con lo scisma d’Oriente di Michele Cerulario. Quando alla fine del sec. XI o inizi del XII, muore l’Arcivescovo Romanos, il sovrano normanno (Ruggero: ?-1111), pressato dal Papa (Urbano II o Pasquale II), tenta un’azione di forza sulla Chiesa rossanese e fa nominare alla guida della Diocesi un Vescovo di liturgia latina, la popolazione si ricusa di riceverlo e non cede fino a quando Ruggero, temendo una rivolta, desiste e ripristina il diritto per la città di essere guidata da un Pastore di liturgia e lingua greche nella persona di Nicola Maleinos.

Rossano, anzi, sotto i nuovi dominatori, consolida la sua bizantinità, grazie a ben quattro innovazioni importantissime volute dai Normanni.

Le prime tre innovazioni, realizzate alla fine del sec. XI, riguardano la creazione di una nuova e imponente Cattedrale, quella attuale (con l’abbandono di quella della Grecìa, intitolata a S. Maria della Pace, ); la nuova Cattedrale viene ri-dedicata a Maria la “Theotokos”o“MéterTheù”, la Madre di Dio, in continuità con la tradizione, ma, in discontinuità con la stessa, è dedicata al nuovo titolo dell’ “Achiropita” (Ἀή); contemporaneamente viene attuato il trasferimento, accanto alla nuova Cattedrale, di un nuovo Episcopio, in sostituzione di quello precedente; inoltre, la Chiesa di Rossano acquista un ruolo di maggiore importanza, grazie all’elevazione della Diocesi ad Arcidiocesi (fino ad oggi) e ad autonoma Metropolìa (fino alla metà del secolo scorso): il primo Arcivescovo Metropolita (Ἀίί) di Rossano è il su menzionato Romanos (che guida la Diocesi dal 1085 fino al 1103 oppure fino al 1093).

La quarta novità riguarda la nascita di un nuovo Monastero greco-bizantino, “S. Maria la Nuova Odigitria” (“”), più noto come il “Patìr”o “Patìre” o “Patìrion”.

Pertanto, Rossano resta, de facto et de jure,bizantina e greca per un periodo eccezionalmente lungo, durato esattamente altri 400 anni dopo la fine del dominio di Bisanzio nel Sud d’Italia e nonostante l’enclave nella quale è costretta dalla latinizzazione forzata di tutto il Mezzogiorno[footnoteRef:11] [11: per 150 anni durante il regno dei Normanni (1059-1190); per oltre 70 anni sotto gli Svevi tedeschi (1190-1266); per 176 anni sotto gli Angioini francesi (1266-1442) e, infine, per alcuni anni sotto gli Aragonesi spagnoli (1442-1462). ]

In quei 400 anni continuano ad essere presenti e operanti nella città ben 7 Monasteri maschili e 2 Femminili, tutti di lingua, liturgia, rito greco-bizantini: due sono urbani, S. Anastasia e Santi Anargiri Cosma e Damiano; gli altri cinque sono extra urbani, S. Opoli o Arenario, S.Giovanni Battista, S. Onofrio, Santo Salvatore, S. Maria Nuova Odigitria (Ἡάίίἡέ Ὁή) o Patìr o Patìre o Patìrion. Quest’ultimo è il più importante. Si tratta della rifondazione, avvenuta tra il 1090 e il 1105, di un precedente Monastero niliano, quello di “S. Maria Rochoniate”, per opera di S. Bartolomeo da Simeri (1050 ca./19-8-1130) e grazie al patrocinio e ai finanziamenti della Corte normanna (il Re Ruggero, la moglie Adelaide e il ministro Cristòdulo), il più grande e longevo del Mezzogiorno bizantino, ancora oggi, in gran parte, integro, famoso per il suo Scriptorium, la sua ricca Biblioteca, i suoi immensi beni feudali, per la sua autonomia dall’Arcivescovo di Rossano e il passaggio sotto la giurisdizione diretta della Santa Sede, grazie all’ottenimento da parte del Papa Pasquale II del privilegium immunitatis et diocesis nullius.

Ma, poco dopo la metà del Quattrocento, giunge a conclusione il processo di logoramento e di accerchiamento dei Papi e della Chiesa latino-cattolica per assorbire l’ultima isola greco-bizantino-mediterranea di Rossano, in concomitanza a quattro avvenimenti storici destabilizzanti: la crisi che investe il Monastero del Patìr, la fine dell’Impero di Bisanzio per opera dei Turchi (29/5/1453), l’insicurezza del Mediterraneo determinata dalla pirateria turchesca e barbaresca e , infine, la perdita di centralità del Mediterraneo e della sua progressiva periferizzazione ed emarginazione causate dalle grandi scoperte geografiche e dallo spostamento dell’asse economico del mondo dal Sud-Europa al Nord-Europa e all’Atlantico. La bizantinità e la mediterraneità di Rossano terminano, tra il 1459 e il 1462, con la morte dell’ultimo Arcivescovo greco, Domenico de’ Lagonessa (1452-1458/59) e con l’arrivo del nuovo Arcivescovo, il reggino Matteo Saraceno (6/2/1460-1481), francescano (frate minore osservante), discepolo di S. Bernardino da Siena, noto per il suo intransigente integralismo e la sua spietata attività di Inquisitore, con l’incarico da parte del Papa, Pio II (1458-1464), di latinizzare completamente e a qualsiasi costo la Chiesa rossanese. L’azione del nuovo Pastore è dura, coercitiva e opera su più settori: impone la liturgia, il rito e i testi sacri nella lingua e nella prassi latine in tutte le chiese diocesane, vieta al clero greco-bizantino di celebrare in Cattedrale, inibisce loro l’accesso in quel luogo e lo relega nell’antica Chiesa di S. Nicola al Vallone della Grecìa (vero e proprio apartheid religioso!). Contemporaneamente, avvia la costruzione di un imponente Convento e annessa Chiesa di analoghe proporzioni in stile tardo-gotico, i primi latino-cattolici della città in contrapposizione a quelli bizantini, e li intitola al suo Maestro S. Bernardino da Siena, affidandoliall’Ordine francescano dei Minori Osservanti. Forte è la resistenza della popolazione e dei sacerdoti greco-bizantini: l’episodio più eclatante di contrasto è la distruzione di notte di quanto viene edificato di giorno del costruendo immobile di S. Bennardino, operato da ecclesiastici e laici legati alle tradizioni millenarie precedenti. Non si arriva ad una guerra civile e di religione, perché prevalgono il buon senso e il compromesso. Il movimento religioso e laico filo bizantino-greco rinuncia ad ogni azione di resistenza e di ritorsione; lascia ultimare l’immobile del S. Bernardino, dopo avere inciso sulla facciata sinistra del grande portale della Chiesa e sull’acquasantiera croci greche e altri simboli della loro religione, quali segni di riaffermazione della loro fede umiliata. In cambio, Matteo Saraceno deve impegnare l’Arcidiocesi, anche per i secoli a venire, che, una volta all’anno, la domenica delle Palme, l’Arcivescovo o suo delegato e tutto il Presbiterio, dopo avere iniziata e interrotta la messa in Cattedrale, si rechino, con i paramenti sacri bizantini (dalmate) e in solenne processione, dal Duomo nella Chiesa di S. Bennardino, per esprimere la continuità tra l’attuale Chiesa diocesana latina con quella precedente bizantina e l’omaggio della prima resa alla seconda anche attraverso il canto e la lettura in greco, nel corso della celebrazione della messa, dell’epistola e del passo evangelico della ricorrenza; quindi si fa ritorno in Cattedrale per concludere la messa. L’impegno viene mantenuto, nei successivi 544 anni fino ad oggi, da tutti i 62successori di Matteo Saraceno, fino all’attuale Arcivescovo Giuseppe Satriano.

In tre anni circa, dal 1460 al 1462, il progetto di latinizzare la Chiesa diocesana di Rossano viene attuato.

Finisce un’epoca! Termina l’Età per così dire eroica, pur con le sue ombre e i suoi chiaroscuri, che vede Rossano al centro di grandi avvenimenti. Un periodo lungo della storia, durato dieci secoli, in cui Rossano si inserisce, molto presto, nella Civiltà Bizantina, integrandosi, progressivamente, nella cultura e nella religiosità del Mediterraneo Cristiano. La città, pertanto, nel corso di quel millennio, è un attivo soggetto-protagonista del processo di ri-grecizzazione o ri-ellenizzazione della Calabria, operato dai Bizantini, che determina la trasformazione profonda della spiritualità, della religiosità, della Chiesa, della liturgia, ma anche del costume, della mentalità individuale e collettiva, della cultura, della lingua. Rossano la bizantina è, prima di tutto e soprattutto, una città di cultura importantissima, che conserva, consolida e divulga la Civiltà, la religiosità e la cultura del Secondo Ellenismo, e di questo diventa la custode per circa mille anni: inizialmente, dal 540 al 1059, durante la dominazione di Bisanzio sull’Italia meridionale, e poi anche dopo con l’avvento dei nuovi invasori ricordati prima, per altri quattrocento anni, fino alla metà del secolo XV, Rossano è uno degli ultimi presìdi della religiosità e della civiltà greco-bizantine e mediterranee in Italia.

Peraltro, le radici cristiane della città sono molto antiche: infatti, la presenza di una comunità paleo-cristiana nel territorio è documentata da due epitaffi latini e cristiani su una lastra marmorea databile al IV secolo e rinvenuti nel territorio di Rossano [footnoteRef:12]. Molto presto, la religiosità cristiana si incentra a Rossano sul culto e sulla venerazione di Maria, la Theotokos (ό) o la MéterTheù (ήοῦ), la Madre di Dio, chevengono introdotti dai Bizantini, all’indomani della guerra greco-gotica e della conquista della città (549-553). Alla Theotokos (ό) o MéterTheù(ήοῦ) o Madre di Dio è dedicata la prima Cattedrale della città, diventata sede di Cattedra Vescovile della Diocesi della Sibaritide; e la Cattedrale o “Catholiché Ecclesìa” (ή Ἐί) o Chiesa Grande (άἘί) è consacrata all’ “Ἀίἰή”(AghìaEirèneo S. Maria della Pace). La Cattedrale e l’attiguo primo Episcopio sono ubicati originariamente nella Grecìa, nel quartiere bizantino ad oriente della città. Ciò avviene – verosimilmente – poco dopo il 597, in seguito alla distruzione della limitrofa Copia Thurii da parte dei Longobardi di Benevento, oppure dopo il 680: allora la sede episcopale della Sibaritide viene traslata a Rossano, città fortificata, la più importante della Calabria bizantina, garanzia di sicurezza per gli abitanti e per il sopraggiunto Vescovo. Il Vescovado di Rossano, continuazione di quello di Thurii, rimane tale fino al 1085/1086, quando sarà elevato ad Arcivescovado e a Metropolìa autonomi, come ho argomentato prima. [12: Nella Contrada Frasso/Amarelli e precisamente tra il 313, anno dell’Editto di Milano dell’imperatore Costantino, e il 380, anno del trionfo del Cristianesimo sul Paganesimo ad opera dell’Imperatore Teodosio (Editto Tessalonica).]

Nei secoli VI-VIII, Rossano rientra nel processo di de-latinizzazione, per un verso, e, per l’altro verso, di ri-ellenizzazione o ri-grecizzazione delle regioni bizantine italiane, noto come il II Ellenismo[footnoteRef:13]. I due processi sono voluti e indotti, dall’alto, dalla politica dei Basileis di Bisanzio[footnoteRef:14] e sono fortemente sostenuti anche dal basso, tanto da avere un consenso sociale diffuso, grazie alla presenza e alle iniziative del Monachesimo greco-bizantino, che si radica in Calabria e a Rossano grazie a due fattori concomitanti. Per un verso, importanti sono i massicci flussi immigratori di religiosi della diàspora, inizialmente quelli provenienti dall’Oriente bizantino di monaci greci in fuga dall’espansionismo arabo-islamico dei secc. VII-VIII, poi quelli determinati dalla spietata politica iconoclastica e monacomaca degli Imperatori Isaurici dei secc. VIII-IX, infine quelli causati dall’occupazione violenta della Sicilia da parte dei Saraceni musulmani nei secc. IX-X. Per l’altro verso, il processo di ri-grecizzazione è reso possibile grazie anche – e direi soprattutto - dal Monachesimo calabro-bizantino nato, formatosi e radicatosi per forza autonoma nella Regione e nella città. A Rossano tutto diventa greco-bizantino: il Vescovo, la Diocesi, la religiosità, la liturgia, il rito, la lingua, la cultura, la mentalità. La città consolida così il suo ruolo di protagonista del Secondo Ellenismo nell’Italia bizantina per secoli, e diventa, di conseguenza, anche una delle più attive porte di accesso della Civiltà Mediterranea in Italia e in Europa, della quale occuperà costantemente un ruolo strategico di centralità. [13: che ovviamente “ investe anche la classe dirigente della Chiesa in Calabria”)] [14: inizialmente, dal BasileusEraclio (610-641), che avvia il processo di omogeneizzazione dell’Impero in senso ellenico, “proclamando la lingua greca come la sola lingua ufficiale dell’amministrazione statale e dell’esercito”, poi sostenuto dal BasileusCostante II(641-668), e infine è imposto dal BasileusLeone III l’Isaurico(717-741), l’iconoclasta,che, dal 732-733 in poi, stacca d’imperio le regioni italiane bizantine da Roma, sottraendo all’autorità del Papa le Chiese del Sud Italia e ponendole gerarchicamente sotto la giurisdizione del Patriarca di Bisanzio.]

Rossano,ri-grecizzata e ri-mediterraneizzata, ospita, per secoli, un consistente Movimento monastico detto impropriamente basiliano, proveniente, come ho riferito sopra, tra i secc. VII e X, in parte dall’Oriente bizantino e dalla Sicilia islamizzata e in parte formatosi in loco. Questo nuovo Monachesimo calabro-greco si afferma e si diffonde così prepotentemente da fare della collina e della montagna rossanesi, una delle più importanti zone ascetiche dell’Italia Meridionale (assieme ai Monasteri dell’Aspromonte e delle Serre, della famosa regione ascetica del Mercurion, sulle pendici del Pollino, ai sassi di Matera, alle gravine pugliesi), ed è spesso citata come la “Tebaide dell’Ellenismo” o il “Monte Athos” o l’ἌὌ, la Montagna Santa della Calabria.

I primi insediamenti monastici sono prevalentemente di architettura ipogea e rupestre: all’uopo i monaci riutilizzano pre-esistenti grotte trogloditiche (di probabile origine enotria) e altre ne “edificano scavando” nella roccia arenaria tufacea. Due sono le organizzazioni e le tipologie degli insediamenti rupestri monastici presenti nel territorio di Rossano. Il primo è costituito da singoli Eremi per anacoreti eremiti, che, in grotte arenarie solitarie, amano l’ascèsi dell’ “ἐίὶἐί”, ossia la solitudine e la pace contemplativa solitaria: singole grotte ipogee eremitiche sopravvivono ancora nelle zone Suda, Pente, sotto Porta Cappuccini (la grotta dei Greci),quelle presso le contrade di S. Maria delle Grazie, di S. Onofrio, quella ricordata da fonti letterarie de “u’ Santo Patre”presso il Patìr ecc. Il secondo tipo d’insediamento in escavazioni tufacee è formato da Laure, ossia gruppi di grotte monastiche contigue, con al centro una Chiesa/Cripta, per la doppia ascèsi eremitica e comunitaria, che anticipano e preparano i Monasteri: segnalo ben sei Laure, quattro nei quartieri urbani di S. Marco, S. Nicola al Vallone, Pente e Rupe S. Giovanni, e due nelle Contrade extra moenia di Calamo Grotte e Forello.

Successivamente, dal sec. X in poi, sorgono a Rossano gli insediamenti monastici ascetici perigei o sub-divali o fuori terra o in muratura. Ricordo,innanzi tutto, gli Oratori urbani, che sorgono e si diffondono, numerosi,per le pratiche religiose monastiche in comune: alcuni ancora esistenti, come S. Maria Anastasia, oggi S. Marco,il capolavoro dell’architettura sacra bizantina in Calabria,S. Angelo di Tropea, dal sec. XVI,S. Maria del Pilerio, S. Maria Panaghìao la Tutta Santa, S. Maria Theotokos Achiropita, che è il primo nucleo dell’attuale Cattedrale,S. Maria della Rocca, oggi sede dell’Archivio Diocesano, S. Nicola delle olive, SS. Apostoli Pietro e Paolo, dal’600S. Maria di Costantinopoli;altri Oratori sono scomparsi o diruti, come quello di S. Vito, S. Antonio Abate, SS. Trinità, S. Nicola al Vallone, S. Nicola la Placa, S. Nicola Lucifero, S. Basilio, S. Michele Arcangelo di Condigno, S. Teodoro, dal ‘500 S. Isidoro, di cui resta soltanto una colonna, S. Andrea, SS. Fabiano e Sebastiano, S. Maria del Soccorso, S. Ciriaco, S. Leonardo, S. Pantaleo o Pantaleone, S. Elena di Giffone, S. Gregorio, S. Felicita, SS. Mauro e Felice, S. Trifone, S. Stefano etc.

Altrettanto noti, perché ricordati dalle fonti letterarie e oggi trasformati o diruti, sono i numerosi Monasteri, ognuno, almeno fino al sec. XI, con il proprio “” (il Tipico o Codice di regole), ispirato in generale alla Regola di S. Basilio di Cesarea, perfezionata da S. Teodoro Studita di Bisanzio: quelli urbani sono stati tutti trasformati, come quelli di S. Maria Anastasia, dei SS. Anargiri Cosma e Damiano, di S. Nicola la Comisia, di S. Maria ad Nives o la Nuova; mentre quelli extra-urbani, alcuni sono stati trasformati, come quelli di S. Biagio di Vale, di S. Daniele, di S. Maria “Rochoniate”, rifondato, a cavallo dei secc. XI e XII, nel Monastero di S. Maria Nuova Odigitriao Patìro Patìre o Patìrion; gli altri Monasteri extra moenia, tutti perduti o di cui restano soltanto ruderi o memorie letterarie,sono quelli di S. Giovanni Battistao S. Janni (nella contrada montana di “Forello”), del S. Salvatore o il Salvatore (sopra la contrada collinare di “S. Maria delle Grazie”), dell’Arenario o S. Opoli (nella contrada montana del “Rinacchio” o in quella di “Ceradonna” o in quella popolarmente denominata “Vadda era Patissa”), di S. Onofrio (nella contrada montana della “Mimosa”di cui sopravvive soltanto un eremo, luogo di una delle più antiche feste pastorali d’Italia), di S. Maria de la Mioni etc.

I monasteri suddetti, sia quelli rupestri e sia quelli murari, sono protagonisti e artefici di cambiamento e rinnovamento in quei secoli drammatici.

Sono prima di tutto, luoghi ascetici e religiosi, di intensa religiosità individuale e associata, di “metànoia” ossia di perfezionamento spirituale fino alla santità; luoghi che fanno opera di evangelizzazione e di promozione umana, di servizio e di prossimità, di istruzione e assistenza medica, di tutela dei diritti più elementari degli ultimi e degli invisibili, di contrasto ai potenti, prepotenti e tirannelli, e sono le riserve di energie spirituali e morali alle quali la Chiesa attingerà nei secoli successivi e sulle quali costruirà il suo prestigio e la sua autorevolezza. I Monasteri di Rossano si guadagnano grande credibilità tra le popolazioni e fama al di là della Regione, tanto da promuovere la nascita di altri Monasteri: ricordo quelli fondati da S. Nilo (il S. Anastasia, il S. Giovanni Battista, l’Arenario a Rossano, il S. Adriano nell’attuale S. Demetrio Corone, il Vallelucio presso Montecassino, il Serperi a Gaeta, il S. Maria di Grottaferrata presso Roma), cito, inoltre, la riorganizzazione-rifondazione sul Monte Athos in Grecia del Monastero di S. Basilio dei Calabresi odel Calabrese(1108 ???) e la fondazione di quello del San Salvatore a Messina (tra il 1125 e il 1132), entrambi per opera di S. Bartolomeo del Patìr, ricordo, infine, il Monastero di “Rousianoù”o di Rossano ubicato su una delle “Meteore”presso Kalambàka nella valle della Tessaglia in Grecia, oggi noto con il nome di Russanu, attivo Convento femminile, fondato da due monaci rossanesi, Nicodemo e Benedetto (nel 1388 o nel sec. precedente).

I monasteri rupestri e quelli murari di Rossano sono anche centri di aggregazione sociale, animatori economici di aziende agricole e intraprese artigianali, in un mondo de-urbanizzato e ruralizzato, dove le popolazioni disorientate e terrorizzate trovano le condizioni e le opportunità di ospitalità, di lavoro, di vita.

Sono, inoltre, gli unici centri di cultura e di civiltà nel contesto di un’Europa ruralizzata, regressiva, ignorante, in stato di permanente di guerra di tutti contro tutti, dove l’istinto di sopravvivenza oscura ogni altra necessità. Infatti, soltanto presso i monasteri si produce cultura, si divulga cultura, si fa scuola di formazione e cultura: qui sorgono le Scuole di amanuensi, gli Scriptoria, le Case editrici ante litteram, officinae librorum, fornaci inesauribili di libri e codici,dove pazienti e oscuri monaci colti producono Codici manoscritti di fattura eccellente, copiando testi antichi della sapienza sia cristiana che pagana e conservandoli in grandi Biblioteche, fondamenti dell’Umanesimo-Rinascimento e delle future Civiltà,le quali fanno memoria dell’identità collettiva di appartenenza, cristiana e pagana, salvandola, valorizzandola e trasmettendola alle future generazioni nella consapevolezza che non ci sarà albero se si recidono le radici.

Di questi codici esemplari a Rossano e in Calabria oggi non resta più nulla. Molti sono andati perduti in incendi, terremoti, naufragi. Molti altri, trafugati o acquistati da spregiudicati mercanti d’arte o espatriati d’autorità e si trovano in Biblioteche italiane (come l’Ambrosiana di Milano, a Napoli, a Messina, a Firenze, nella Criptense di Grottaferrata) o all’estero (come nella Vaticana, dove, secondo p. Russo, si trovano circa 60 Codici provenienti dal Patìr, la Nazionale di Vienna, quella dell’Escurial di Madrid, le Biblioteche di Parigi, Londra, Lipsia Monaco, Jena, Patmo, Monte Athos, Sinai).

L’unico sopravvissuto è il Codex Purpureus Rossanensis, ma questo è rossanese di adozione: gli viene assegnata come patria di origine uno Scriptorium di Antiochia di Siria o di Cesarea di Palestina, come periodo di nascita il V o VI secolo, come committente l’Imperatore di Bisanzio, come destinazione un uso liturgico e dottrinale, ma ignoriamo tuttora quando e perché giunge a Rossano. Personalmente ritengo verosimile l’ipotesi che

esso giunga nella città bizantina intorno al secolo X, quando Rossano, diventata la città più importante dell’area bizantina del Sud, intrattiene intensi e complessi rapporti con la corte d’Oriente, dalla quale proviene il Codex, molto probabilmente al seguito di uno di quegli alti dignitari di Bisanzio o dell’Imperatrice Teofania, nipote del Basileus Giovanni I Tzmiskes, ricordati prima, il quale o la quale, per qualche ragione a noi ignota,fa donazione al Vescovo della città del prezioso bene personale o dotale della propria famiglia, ossia l’Evangelario purpureo miniato.

È inevitabile, direi quasi fatale, che Rossano, la città più bizantina della Calabria e dell’Italia per oltre mille anni, eserciti sul mondo religioso e laico un fascino suggestivo, un’attrazione forte, irresistibile e che, da allora fino a oggi, essa divenga la patria adottiva del Codex Purpureus, meglio noto appunto come il Rossanensis, assicurando a questo le condizioni ottimali di un ambiente bizantino, se non unico, certamente raro, per storia, cultura, arte, spiritualità, mentalità individuale e collettiva.

Il Capitolo della Cattedrale e la Chiesa diocesana, venuti in possesso del prezioso e sacro manoscritto, lo custodiscono e lo utilizzano come parola di Dio, scritta e visivamente commentata, e come elemento fondamentale della liturgia bizantino-greca almeno - ritengo - fino al 1460-1462, quando l’Arcidiocesi di Rossano passa al rito, alla liturgia e alla lingua latini. Successivamente, la Chiesa di Rossano, durante la latinizzazione indotta e imposta da Roma, attuata dall’Arcivescovo Matteo Saraceno (1460-1481), lo accantonerà, lo condannerà al silenzio e lo sradicherà dalla memoria della popolazione fino a tempi a noi prossimi: è la rimozione del passato greco-bizantino con la conseguente damnatio memoriae. La nuova Chiesa latino-cattolica lo mette in disparte, lo oscura, lo condanna al silenzio in un dimenticato angolo della Chiesa metropolitana di Rossano, ma non lo distrugge né se ne disfa, anzi lo tratta sempre con estremo riguardo e come una reliquia sacra: perciò, lo conserva con grande cura, proteggendolo dalle ruberie, dai mercanti d’arte e trasmettendolo ben conservato alle generazioni future.

Da quest’ambiente della Rossano bizantina, così complesso, in cuigli avvenimenti politici si intrecciano con la religiosità e la cultura, ricco di fermenti attivi e di stimoli escono personalità rossanesi di rilievo nazionale e oltre.

Ricordo alcuni Papi rossanesi: forse Zosimo (417-418) come riferiscono alcuni storici, sicuramente è la patria di Giovanni VII Sanidèga (1/3/705–18/10/707)e di Giovanni XVI Filàgato (metà circa sec. X- inizi sec. XI circa). Questi è l’ultimo Pontefice (o anti Papa) italo-greco (da febbraio 997 a marzo 998, de facto, oppure a maggio de jure) ed è anche l’ultimo protagonista del progetto di mantenere la Chiesa cristiana nel solco della tradizione greco-bizantina e mediterranea, fallito il quale la Chiesa greco-ortodossa si separa definitivamente da Roma, nel 1054, con lo scisma del Patriarca di Bisanzio, Michele Cerulario.

Ricordo, infine, i due Santi più illustri di Rossano, Nilo e Bartolomeo:

ἄίlὁέ, S. Nilo Juniore (910-1004)[footnoteRef:15], è “il più illustre figlio di Rossano” (Francois Lenormant): asceta,uomo coltissimo,intellettuale organico, profeta, dalla lunga e operosa vita (novantaquattro anni ! …, nonostante i tempi drammatici e nonostante le privazioni, le sofferenze e un attivismo senza sosta e risparmio di energie), è il rifondatore del Monachesimo italo-greco, calligrafo e Capo-Scuola nella tecnica calligrafica della copia dei codici, innografo, poeta,fondatore di numerosi Monasteri (come i già ricordati S. Anastàsia, Arenario, S. Giovanni Battista a Rossano, S. Adriano nell’attuale S. Demetrio Corone, Vallelucio in Campania, Serperi a Gaeta, S. Maria di Grottaferrata presso Roma)[footnoteRef:16] [15: ί ὁέ“ίὶί”, Grottaferrata 1972 ; Giovanelli G., San Nilo di Rossano fondatore di Grottaferrata”, Grottaferrata 1966; AA. VV., Atti del Congresso Internazionale su S. Nilo di Rossano (28/9-1/10/1986), Rossano-Grottaferrata 1989.] [16: Le tappe del suo pellegrinaggio terreno sono: Rossano (910-940): nasce da famiglia aristocratica, imparentata con gli Imperatori di Bisanzio (probabilmente i Maleinos, ), nel cuore della Grecìa, il quartiere orientale bizantino più antico, nella Piazza San Nico (diminutivo di Nicola, il suo nome di battesimo), che è la prima Piazza o Agorà (“Agora”) di Rossano, dove ancora si conserva il primo nucleo del suo palazzo (secondo tradizione consolidata); si costruisce una solida e vasta cultura (greca, latina, araba) nelle Scuole presso la prima Cattedrale della città, dedicata alla Theotòkoso MéterTheùdi Santa Maria della Pace (AghìaEiréne); si forma una famiglia, con moglie e una figlia (930); vive gli agi e i privilegi della sua condizione sociale e partecipa al governo di Rossano; Monastero di S. Nazarionel Salernitano, dove soggiorna per poco tempo, e la zona ascetica del Mercurionsul Pollino (940 - 952/953): a trent’anni sente la forte chiamata del suo Dio, che lo chiama alla “fuga mundi” e alla scelta esclusiva e radicale di dedicarsi a Lui, perciò rinuncia a tutto (ricchezza, potere, privilegi, famiglia, città natale) e si fa monaco eremita o anacoreta presso l’Oratorio di S. Michele Arcangelo del Mercurion sulle pendici del Pollino, dove alterna il più rigoroso ascetismo, lo studio e la trascrizione delle opere della sapienza cristiana e antica in centinaia di codici di eccellente fattura e in scrittura niliana, alcuni dei quali pervenutici; la Montagna Santa () o zona ascetica di Rossano e di S. Adriano ora S. Demetrio Corone (952/953-982): ritornato, dopo circa 12 anni, nel suo territorio, riforma il Monachesimo calabro greco cosiddetto “basiliano” in senso eremitico-cenobitico e in senso contemplativo-operativo; fonda i Monasteri di “S. Anastasia” (oggi S. Marco) nella sua città, di “S. Giovanni Battista” o “Santu Janni”, di “S. Salvatore”, di “S. Opoli o dell’Arenario” nella zona montana di Rossano, e successivamente quello di “S. Adriano” nell’attuale S. Demetrio Corone; intrattiene rapporti con i potenti del suo tempo (il vice-imperatore di Bisanzio parakimòmenos Giuseppe Bringas, lo Stratego di Rossano e della Calabria Basilio, il Giudice Imperiale Eufràsio, l’Emiro saraceno e musulmano di Palermo AbùlelKasém, il Metropolita della Calabria Teofilatto ecc.), rifiuta il Vescovato di Rossano (976), soccorre i poveri e gli indifesi, condivide le sofferenze dei suoi concittadini durante un grave terremoto (970), salva dalle spietate ritorsioni del Magìstrosdell’Italia bizantina Niceforo Foca (976) la sua città e la sua gente, resesi protagoniste della distruzione della flotta bizantina nel porto-arsenale di Rossano (Puskia, Ruskìa);Principato di Capua e presso Montecassino (982 - 994): quando Rossano passa sotto il dominio del Sacro Romano Impero (981-982) e ospita l’Imperatore Ottone II di Sassonia, con la sua Corte (e la moglie Teofania e il figlio Ottone III) e il suo esercito (poi sconfitto dai Saraceni a Stilo), S. Nilo lascia la sua terra ed emigranella regione latina della Campania, prima a Capua e, poi nel territorio del Monastero benedettino di Montecassino, dove fonda il Monastero di Vallelucio (ora S. Elia Fiumerapido), con oltre 60 monaci, tra i quali il concittadino Bartolomeo, suo discepolo prediletto, autore del “Bios” () o “Vita di S. Nilo”, con-fondatore della Badia di Grottaferrata;Ducato di Gaeta, dove fonda il Monastero diSèrperioSàrapo, e Roma (994 - 1004): da Gaeta si sposta a Roma (998) per incontrare Ottone III di Sassonia, Imperatore del Sacro Romano Impero (lo re-incontrerà a Sèrperi nell’anno 1000), il Papa Gregorio V, il Papa Giovanni XVI (Giovanni Filàgato, suo concittadino e amico); Grottaferrata (primavera - 26/9/1004): dopo un soggiorno presso il Monastero greco di S. Anastasio alle tre Fontane nella città eterna, ottiene dal Principe Gregorio di Tuscolo il rudere della Cryptaferrata (dove sorgeva il Tusculanum di Cicerone) e il territorio circostante, dove avvia la costruzione della Chiesa e del Monastero dedicati a S. Maria di Grottaferrata, che saranno ultimati da S. Bartolomeo (1024): muore al tramonto del 26 settempre 1004 (“… con il sole tramontò il sole”, scrive il suo biografo) proferendo queste ultime parole: “seppellitemi nella nuda terra, perché i migranti possano riposarvi, in quanto anch’io fui migrante (, xénos) per tutti i giorni della mia vita”. ]

Nilo, a differenza dei tanti anonimi della storia, ha vissuto una vita intensa, ha lasciato segni incancellabili di cambiamento a servizio degli uomini-persone e, perciò, resta sempre vivo nella memoria individuale e collettiva, con una meta-storicità e un’attualità sconcertanti. Infatti, egli è stato riconosciuto, fin dal 1618, Com-Patrono di Rossano (insieme a Maria Achiropìta), poi, nel 1958, anche Com-Patrono della Calabria (insieme a S. Bartolomeo di Rossano e S. Francesco di Paola), e la sua festa cittadina viene stabilita il 26 settembre (con Delibera Giunta Municipale n. 883 del 4-9-1989, promossa dallo scrivente). Inoltre, è Patrono di Grottaferrata, Patrono di Gaeta, e, dal 25-9-2012, “Cittadino gaetano benemerito” (“civis cajetanus”), al quale è dedicata, il 16-9-2010, l’omonima chiesa parrocchiale, che, il 16-9-2014, viene elevata a Santuario di S. Nilo (il primo in assoluto).

Nilo è l’uomo della testimonianza della scelta radicale, perché vivere non è lasciarsi vivere, lasciarsi trascinare dalla corrente conformistica delle mode e delle tendenze della propria epoca, ma imboccare la propria strada esistenziale, con la consapevolezza, con libertà e con la responsabilità che la vita è missione e servizio. Egli sceglie Dio, convinto che la fede è dialogo con l’Assoluto, amore personale e diretto, che richiede l’esclusività di quel rapporto e la rinuncia ai valori e dis-valori del mondo (status sociale, ricchezza, potere, famiglia). Ma la sua non è una fede devozionale, intimista, rituale e, perciò, egocentrica, egoista, estranea alla storia e all’umanità, bensì è la fede-àgape, comunitaria, associata, solidale, condivisa, donata, è la fede-carità del farsi prossimo, la fede della misericordia: non si ama né si serve il proprio Dio se non si ama e non si serve l’umanità di cui si è parte integrante. Egli ama e serve l’umanità dolente, quella che vive nel bisogno e nella marginalità, quella che subisce i soprusi dei potenti e dei prepotenti, quella della sua Rossano e del suo territorio per 70 anni, e quella della Campania e del Lazio per gli altri 24 anni. Nilo è l’uomo della testimonianza della Riforma religiosa del Monachesimo, conciliando l’Anacoretismo del rapporto eremitico-personale-solitario uomo-Dio con il Cenobitismo del rapporto comunitario-solidale uomo-Assoluto, la vita contemplativa (il “biostheoreticòs”) con la vita operativa (il “biospraticòs”), il pensare (il “léghein”) con il fare (il “pràttein”), la fede con la vita. E’ il fondatore di diversi Monasteri, sopra ricordati e con le caratteristiche sopra ricordate. Nilo è l’uomo della testimonianza dell’importanza della Cultura, segnatamente nei periodi burrascosi e quando le coscienze individuali e collettive sono sbandate, perché la cultura è valore, risorsa, finalità: è valore perché in essa si esprimono i principi dell’Umanesimo (teista, laico, ateista), ossia la creatività, l’intelligenza, i sentimenti, l’autonomia critica, la vision della realtà e del futuro, il senso e il progetto di vita dell’uomo singolo e associato, in questi valori riconosciuti e condivisi si ritrovano comunità e popolo, perché essi ed essi soltanto fanno autentica coesione sociale e danno unità di identità, di appartenenza, di fierezza; è risorsa perché è in grado di produrre la risorsa economica immateriale più grande in assoluto, quella universalmente valida, quella che non è mai soggetta alle variabili del mercato, è il capitale umano, il capitale intellettivo, il capitale delle capacità e delle professionalità; è finalità di ogni ambizioso progetto di sviluppo endogeno e auto-propulsivo per l’oggi e per il domani, che punti su una società a misura d’uomo, più giusta, più eguale, più fraterna, più solidale, più pacifica, più rispettosa della vita e dell’ambiente.

Nilo è l’uomo della testimonianza della “Mediterraneità”, ossia della Civiltà e della cultura mediterranee greco-bizantine, che, arricchitesi e perfezionatesi nel Mezzogiorno d’Italia, in Calabria e segnatamente a Rossano, rappresentano il contributo originale, qualificante e il fondamento della Civiltà europea e contemporanea, sintesi di culture e sensibilità diverse.

Nilo è l’uomo della testimonianza dell’Unità e dell’Ecumenismo, impegnato costantemente, da Cristiano greco-bizantino, nel dialogo, mediante il rispetto e l’apertura, e tra eguali, con i credenti e le persone dei tre Monoteismi del Mediterraneo: i Cristiani orientali e occidentali, i Musulmani-islamici, gli Ebrei-giudei. Il suo messaggio di appello all’unità e alla solidarietà tra diversi, ma aventi in comune principi e valori condivisi, oggi, in cui ritornano a spirare venti inquietanti di divisione e di odio, è di un’attualità cogente, che ci richiama alla responsabilità di trovare le ragioni dello stare insieme.

Nilo è l’uomo della testimonianza della profezia dell’Unità dei Cristiani, resa visibile con l’apposita fondazione del Monastero di “S. Maria di Grottaferrata”, quale luogo e laboratorio di idee, d’incontro, di dialogo, di sintesi tra le due anime del Cristianesimo, quella orientale-greco-bizantina e quella occidentale-latino-cattolica, in rottura o in autonomia fino ad oggi in seguito allo scisma del 1054. Grottaferrata, Rossano e Gaeta sono i luoghi dell’Ecumenismo, chiamati a essere artefici attivi nel promuovere iniziative qualificate per individuare principi, valori e strategie al fine di avvicinare le posizioni del Cattolicesimo e quelle dell’Ortodossia, in vista dell’auspicabile ricostituzione dell’unità fra i Cristianesimi.

Nilo è l’uomo della testimonianza-simbolo del migrante calabrese meridionale, che, per costrizione del bisogno o per pulsione o per libera scelta di éxodos (“”), va altrove, oltre, oltre ogni confine, alla ricerca di nuove opportunità e condizioni di vita, accettando - con coraggio - la sfida della novità e fiero di portare nel bagaglio la sua identità operativa, la sua Calabresità, la sua Meridionalità, la sua Mediterraneità. S. Nilo è, dunque, la personificazione del Calabrese/Meridionale migrante e/o pellegrino della Verità: un simbolo, una metafora che ha saputo cogliere il più grande scultore del ‘900, Pericle Fazzini, in un pregevole bozzetto, che l’Amministrazione comunale ha voluto realizzare, con i fondi dell’Area Urbana Rossano-Corigliano (nel 2010-11, quando lo scrivente era Sindaco della città), nella fontana di Piazza Steri a Rossano, nella quale Nilo l’emigrante, pellegrino della Verità, s’incammina da Rossano per Grottaferrata, portando con sé e nel mondo la Civiltà greco-bizantina e quella dell’olio, rappresentate dall’Oratorio del S. Marco e dall’ulivo secolare.

Nilo è l’uomo della testimonianza di un “exemplum”, di un modello di riferimento, valido mille anni fa e ancora attuale: è il modello del coraggio della scelta del “pensiero forte” solidale e tollerante, dei principi e dei valori forti; è il modello della fedeltà a quella scelta del pensiero forte, dei principi e valori forti; è altresì il modello della coerenza comportamentale tra ciò che si pensa, ciò che si dice, ciò che si fa. Un “exemplum” universale ed eterno che caratterizza tante persone e tanti cittadini onesti e operosi, paghi di aver fatto la propria parte e il proprio dovere, di avere lasciato tracce di sé e di avere contribuito a costruire un mondo migliore per quelli che verranno. Di queste persone-cittadini esemplari – ieri e oggi – la società e i giovani hanno bisogno,per non perdere, anzi per consolidare la fiducia e la speranza nel futuro.

Altro illustre rossanese è ὁἄί ὁέ, S. Bartolomeo Juniore(980-1055)[footnoteRef:17], co-fondatore e Abate del Monastero di Grottaferrata, consigliere di Papi, riformatore della Chiesa, calligrafo, innografo, autore della più importante agiografia e opera storica bizantino-greca sul secolo X, ossia il ί, la Vita di San Nilo (1030/32-1040/42). [17: “Il Bios di S. Bartolomeo Juniore confondatore e IV Egumeno di Grottaferrata. Testo greco e versione italiana con note illustrative”, Grottaferrata 1962; “Vita di S. Bartolomeo Juniore IV Egumeno e confondatore di Grottaferrata. Versione dal greco con note illustrative”, Grottaferrata 1962.]

Numerosi e preziosi sono i lasciti e le eredità della Civiltà Bizantino-Greca e del II Ellenismo sia sulle popolazioni e sull'identità di questo territorio, sia sulla cultura della Civiltà europea e della modernità, che ancora orientano intellettualmente e nella prassi di vita persone e aggregazioni sociali, per cui questo territorio e, in generale, il Meridione magno-greco e bizantino vantano un grande credito nei confronti dell’Italia post-unitaria, dell’Europa e della modernità: un credito inestinguibile e ancora aperto[footnoteRef:18]. [18: Non possiamo tacere né minimizzare quelli negativi, neanche quando siamo mossi dall’amore per il natio loco e dalla passione di parte, perché si farebbe un’operazione apologetica, retorica, enfatica, tanto falsa quanto inutile nel comprendere e nell’operare: come le posizioni formali, verbose, capziose, lamentose e vittimistiche alle quali corrispondono comportamenti astratti e inconcludenti oppure indolenti, passivi e deleganti e quindi scarsamente operativi. Sono le ombre e i chiaroscuri, inseparabili dalle luci, che appartengono al cittadino singolo e associato di questo territorio, come di qualsiasi area del mondo. La cultura ufficiale dei numerosi vincitori, invasori e sfruttatori, che si sono avvicendati nell’ultimo millennio nel Mezzogiorno d’Italia, segnatamente quella del Neo-Classicismo, del Romanticismo, del Liberalismo capitalistico hanno enfatizzato quei difetti e deficienze della Civiltà bizantina, hanno creato e diffuso pregiudizi e luoghi comuni, tuttora persistenti, che ci vogliono convincere e purtroppo molti se ne sono convinti che noi, eredi del I e del II Ellenismo, siamo figli di un Dio minore, siamo degli inferiori, dei perdenti, degli scarti della società italiana. Particolarmente, è la cultura ufficiale post-unitaria e attuale che, riproponendo i vecchi stereotipi, ha preteso e continua a pretendere la legittimazione ideologica della Questione Meridionale. Prendere coscienza di tutto ciò può aiutarci, per un verso, a liberarci dallo stato di minorità, dagli atteggiamenti vittimistici, dalla sub-cultura del fatalismo e della rassegnazione e, per l’altro verso, a diventare cittadini responsabili e attivi impegnati insieme nel difficile ma possibile processo di emancipazione della nostra terra.]

“In primis”, la Civiltà bizantina, dopo avere assimilato quella magno greca, lascia tracce e testimonianze originali e ineguagliabili: mi riferisco alle emergenze architettoniche e artistiche dei numerosi e bellissimi Centri Storici, segnatamente quello medievale e bizantino di Rossano, i quali sono i sacrari della visibile memoria storica collettiva, sono grandi libri aperti che ci parlano della vita materiale e umana dei nostri predecessori, sono le riserve di energie culturali e morali per i giovani di oggi e le generazioni di domani, contro i rischi del pensiero unico e di imbarbarimento della società; mi riferisco, inoltre, alla monumentalità sacra ricordata prima, particolarmente di “Rossano la bizantina ”; mi riferisco agli innumerevoli Codici e oggetti artigianali e d’arte trafugati ed oggi sparsi in tutto il mondo; mi riferisco all’ Acquasantiera Fonte Battesimale del Patìr oggi in bella mostra al Metropolitan Museum di New York; mi riferisco –anche e soprattutto- al Codex Purpureus Rossanensis, Evangelario greco miniato, in oro e argento, capolavoro dell’arte sacra bizantina, un unicum, di valore inestimabile, iscritto dall’UNESCO, il 9 ottobre 2015, nel “Registro della memoria del mondo”, quale patrimonio dell’umanità. I Bizantini in continuità con i Greci, inoltre, hanno trasmesso tantissime conoscenze e discipline (come la matematica, l’astronomia, la filosofia, la medicina, la musica ecc.) e tantissimi termini di evidente origine greca, che tuttora permangono nel linguaggio corrente, nell’onomastica, nella toponomastica, nella terminologia scientifica universale. Con i Greci e i Bizantini, poi, si affermano principi, valori, codici di comportamento, che – ancora – sono ben assimilati e diffusi qui e altrove: come la priorità e il primato del “bìostheoreticòs” (“ίό”), ossia del modello di vita teoretico, contemplativo, riflessivo, quello che prepara e rende possibile il “bìosprakticòs” (“ίό”), cioè la prassi, la vita pratica: una mentalità, che se non esalta le capacità operative della nostra gente, ci rende - ancora – uomini di buon senso, di forte equilibrio, pacifici, tolleranti. C’è, quindi, il modello della raffinatezza della vita, che esprime il senso della Bellezza (ό) e dell'Armonia (Ἀί). Il Bello per noi, eredi della cultura ellenico-bizantina, non ha soltanto un valore estetico-artistico-letterario, ma ancor di più ha un valore teoretico-morale e persino ontologico: la Bellezza, infatti, è rivelatrice, anzi è l’immagine visibile della Verità e della Virtù, per cui il Bello(ό), il Vero (Ἀἡ) e il Bene (Ἀό) si identificano nel grande valore laico-greco della “Kalokagathìa” (ί)e nel valore più alto religioso-teologico dell’ Unità e Trinità di Dio. Forte e diffuso – e i forestieri lo colgono e lo apprezzano subito – è il valore dell’ ospitalità e dell’accoglienza: questa nostra è, per eccellenza, la terra dell’ospitalità e dell’accoglienza (il cui simbolo è la quercia per la sua folta chioma). Ricordo, poi, l'equilibrio, la misura, in greco il metron (έ). E, quindi, la pulsione di uscire, di emigrare, di andare altrove e oltre,in greco “éxodos” (έ),e quella opposta e complementare di tornare, in greco “nostos” (ό), che fa chiudere il circolo della vita. I Bizantini, inoltre, introducono nella cultura della nostra gente un’intensa spiritualità, un’intensa religiosità, una mentalità escatologica, nutritasi talora di sofferto misticismo, come nei monaci della zona ascetica della Montagna Santa(Ἀ Ὄ); più spesso quell’intensa spiritualità si nutre di partecipata religiosità, tesa alla continua ricerca del senso e del progetto di vita, della missione che ogni singola persona è chiamata a svolgere nella storia da Dio, Essere Assoluto, garante del trionfo del bene e dell’immortalità individuale. Questa mentalità, pur sacrificando il senso laico della vita e, con questo, il senso politico, partecipativo e rinnovatore della vita sociale, ha reso le fatiche, le sofferenze, le ingiustizie patite dai nostri progenitori piene di senso, prove di vita, viatici di salvezza e di eternità. Da qui, il simbolismo bizantino-greco della religiosità e della mentalità delle popolazioni di quest’area: un simbolismo che cerca costantemente i segni della Provvidenza divina, i segni del disegno divino per ogni uomo, i segni del futuro, nella convinzione di potere penetrare nel mistero della vita, decodificare i messaggi misteriosi della natura e della storia, e rendere così meno arduo il percorso dell’esistenza.

Dunque, sulle fondamenta enotrio-brettie, i Rossanesi e le popolazioni del territorio sono diventati greci e bizantini e, in gran parte, lo sono ancora nell’ identità culturale di appartenenza, ossia nell’eredità linguistica, nella “forma mentis” e nel “modus vivendi et operandi” dell’uomo singolo e associato, nella religiosità, nella solarità di tanti volti e di tanti animi, nel valore dell’ospitalità e dell’accoglienza, nella cultura, nel costume, nei rapporti con la natura e con la divinità, nel senso del bello, della gioia, del dolore e della morte, nelle abitudini di vita e persino nella gastronomia. Inoltre, in quei secoli quest’area del Nord-Est della Calabria vive l’eccezionale condizione di porta, crocevia e sintesi: essa, infatti, è la porta d’accesso del Mediterraneo sull’Europa e viceversa, è il ponte, il crocevia e la cerniera nelle interazioni tra il Mediterraneo (Medio Oriente, Grecia e Paesi balcanici, Nord Africa) e l’Europa, è, infine,il luogo della sintesi unitaria e organica nei processi sia economici sia antropici dell’amalgama di popoli diversi sia, e soprattutto, nell’integrazione delle culture e Civiltà greco-bizantine e latine,mediterranee ed europee, orientali e occidentali, che sono alla base della modernità.

Oggi abbiamo fatto memoria della Rossano bizantina e, in generale, della Civiltà bizantina, greca e mediterranea, l’abbiamo fatta nella consapevolezza che, come ci ha detto l’indimenticabile Umberto Eco, “la memoria è il presente del futuro”, a cui sommessamente mi sembra opportuno aggiungere che la memoria è il fondamento dell’identità del nostro popolo e dà coesione e orgoglio di appartenenza, è il fondamento della nostra vision della vita, ed è anche il fondamento di un progetto di sviluppo locale, sostenibile, autopropulsivo, la memoria alimenta la speranza per il futuro.

Rossano, 28 ottobre 2016. Prof. Francesco Filareto