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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO Facoltà di Farmacia Corso di Laurea in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche STUDIO DEL MECCANISMO D’AZIONE DEL 17β-ESTRADIOLO SULL’ATTIVAZIONE DI NF-κB Relatore: Chiar.mo Prof. Adriana MAGGI Correlatore: Dott. Elisabetta VEGETO Tesi di Laurea di: Alessandro GUERINI ROCCO Matr. Nr. 561917 ANNO ACCADEMICO 2003/2004

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO

Facoltà di FarmaciaCorso di Laurea in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche

STUDIO DEL MECCANISMO D’AZIONEDEL 17β-ESTRADIOLO SULL’ATTIVAZIONE DI NF-κB

Relatore: Chiar.mo Prof. Adriana MAGGI

Correlatore: Dott. Elisabetta VEGETO

Tesi di Laurea di:

Alessandro GUERINI ROCCO

Matr. Nr. 561917

ANNO ACCADEMICO

2003/2004

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alla musica degli Dei

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INDICE

Pagina

INTRODUZIONE 1

1) Estrogeni e i loro recettori 1Sintesi 2Struttura dei recettori degli estrogeni 5Isoforme dei recettori degli estrogeni 8

2) Meccanismo d’azione degli estrogeni 13Via classica ligando-dipendente 13a) Coattivatori 14b) Corepressori 16c) Fosforilazione 19Via ligando-indipendente 20Via ERE-indipendente 22Via non genomica 24a) ER e PI3K 25b) I recettori di membrana degli estrogeni 26

3) Infiammazione 29Tipi di infiammazione 29Cause dell'infiammazione 30Le cellule della risposta infiammatoria immediata 31a) I granulociti neutrofili 32b) I monociti/macrofagi 33Mediatori dell'infiammazione 36

4) Il fattore nucleare κκκκB (NF-κκκκB) 44

Classificazione dei membri di NF-κB 44Attivazione di NF-κB 47a) L’inibitore di NF-κB e le chinasi IKK 49b) Fosforilazione di NF-κB 51c) Acetilazione di NF-κB 54Geni regolati da NF-κB 55NF-κB e l'infiammazione 56

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Farmaci che agiscono su NF-κB 58NF-κB ed LPS 59

5) Estrogeni ed infiammazione del sistema nervoso 62Estrogeni e patologie a componente infiammatoria del sistemanervoso

63

a) La sclerosi multipla 63b) La leucodistrofia a cellule globoidi 69c) L'artrite reumatoide 71d) L'ischemia cerebrale 73e) La malattia di Alzheimer 76Estrogeni ed infiammazione cerebrale sperimentale 78Estrogeni ed infiammazione del sistema nervoso in modellicellulari

79

Estrogeni ed NF-κB 80

SCOPO DELLA TESI 83

MATERIALI E METODI 84

1) Colture cellulari 84Condizioni di crescita 84Terreni per colture cellulari 86a) DMEM con rosso fenolo + 10% FBS 86b) MEM con rosso fenolo + 10% FBS 86c) RPMI 1640 con rosso fenolo + 10% FBS 87d) RPMI 1640 + 10% FBS-DCC 88e) Strippaggio del siero DCC 89

2) Preparazione di estratti proteici da lisati cellulari 90Procedimento 90Soluzioni 91a) Lysis buffer per estratti totali di proteine cellulari 91b) Lysis buffer per estratti citosolici di proteine cellulari 91c) Lysis buffer per estratti nucleari di proteine cellulari 91d) TEN buffer 92e) PBS 10X 92Determinazione delle proteine con il metodo di Bradford 92

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3) Western blot 93Procedimento 93Immunodetezione 94Soluzioni per western blot ed immunodetezione 96a) Acrilammide 30% 96b) 7,5% separating gel PAGE 96c) 4% stacking gel PAGE 96d) Running buffer 5X 96e) Running buffer 1X 96f) Laemmli buffer 3X 97g) Blotting buffer 97h) TBS buffer 97i) Blocking solution 97l) Stripping solution 97Anticorpi usati nelle western blot 97

4) Immunocitochimica 98Preparazione vetrini 98Fissaggio delle cellule 98Immunodetezione 99Montaggio vetrini 99Soluzioni per immunocitochimica per p65 100a) Soluzione di blocco 100b) Soluzione per anticorpi 100c) Soluzione di lavaggio 100d) Soluzione di avidin-biotin horseradish peroxidase complex 100e) Soluzione di 3,3'-diamminobenzidina 101

5) Schema dei trattamenti delle cellule 101

RISULTATI 102

1) Azione del 17β-estradiolo sulla localizzazione citoplasmaticadi p65 in cellule macrofagiche

102

2) Azione del 17β-estradiolo sulla localizzazione citoplasmaticadi p65 in cellule monocitarie

105

3) Effetto del 17β-estradiolo sulla degradazione di IκBα 1074) Influenza del 17β-estradiolo su IKK 1095) Influenza del 17β-estradiolo su MAPK 111

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6) Influenza del 17β-estradiolo su PI3K 1137) Azione del 17β-estradiolo su altri membri di NF-κB 1158) Azione del 17β-estradiolo sulla localizzazione citoplasmaticadi p65 in cellule non macrofagiche

118

DISCUSSIONE 121

BIBLIOGRAFIA 123

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INTRODUZIONE

GLI ESTROGENI E I LORO RECETTORI

Gli estrogeni fanno parte della famiglia degli ormoni steroidei, che

comprende anche i glucocorticoidi, i mineralcorticoidi, gli androgeni ed il

progesterone. Gli ormoni steroidei derivano tutti dal colesterolo e

condividono lo stesso nucleo ciclopentano-peridro-fenantrenico. Secondo

la nomenclatura sistematica, gli steroidi con 21 atomi di carbonio sono

denominati pregnani, mentre quelli con 19 e 18 atomi di carbonio sono

denominati androstani ed estrani rispettivamente.

Tutti gli ormoni steroidei esercitano la loro azione attraversando la

membrana plasmatica e legandosi a recettori intracellulari. I complessi

ormone-recettore esercitano la loro azione legando elementi responsivi

all’ormone (Hormone Response Elements, HREs) sul DNA ed

influenzando così la trascrizione dei geni bersaglio.

Gli estrogeni sono sintetizzati nella donna dalle cellule della teca e dalla

granulosa nei follicoli ovarici, dal corpo luteo e dall’unità feto-placentare

durante la gravidanza e nell’uomo dai testicoli. Gli estrogeni naturali sono

il 17β-estradiolo (E2), il maggior prodotto della secrezione ovarica,

l’estrone (12 volte meno potente), prodotto in piccole quantità sia nella

donna che nell’uomo anche dalla corticale del surrene, e l’estriolo (80

volte meno potente), derivato dall’ossidazione degli altri due, che si

verifica principalmente a livello del fegato ed in minor misura in altri

distretti dell’organismo.

Il catabolismo degli estrogeni genera inoltre altre molecole dotate di

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attività estrogenica, genericamente indicate come catecolestrogeni, per via

dell’anello catecolico che si forma dopo l’ossidazione dell’anello A. I

catecolestrogeni sono generati per idrossilazione aromatica del 17β-

estradiolo e dell'estrone nella posizione C2 o C4 [1], in vari tessuti [2-7].

Tra i catecolestrogeni un ruolo di primo piano è esercitato dal 4-idrossi-

estradiolo, considerato un estrogeno a lunga azione, per via dei lunghi

tempi necessari per la sua dissociazione dal recettore. Alcuni studi

indicano come i catecolestrogeni possano avere dei propri recettori

distinti da ERα ed ERβ [8-12]. Gli estrogeni sono necessari per la

maturazione dell’organismo femminile e per le funzioni riproduttive.

Tuttavia hanno una serie di effetti anche sui tessuti non riproduttivi, ad

esempio a livello osseo, cardiovascolare e cerebrale.

Sintesi

La prima reazione nella conversione del colesterolo, che ha 27 atomi di

carbonio, negli ormoni steroidei con 21, 19 e 18 atomi di carbonio,

coinvolge il taglio irreversibile di 6 atomi di carbonio dalla catena laterale

con la formazione di pregnenolone ed isocapraldeide. Questa reazione è

finemente regolata ed è il passaggio limitante nella biosintesi degli

steroidi. L’enzima che catalizza la reazione: “enzima che taglia la catena

laterale legato al citocromo P450” (P450-linked side chain cleaving

enzime, P450scc) o desmolasi, è localizzato sulla membrana mitocondriale

interna. Si tratta di un sistema enzimatico complesso costituito da un

citocromo P450 e dalla ferro/zolfo proteina adrenodossina (una reduttasi

del P450). Dopo il distacco della catena laterale del colesterolo, il

pregnenolone fuoriesce dai mitocondri e si localizza nel reticolo

endoplasmatico dove va incontro a modificazioni sequenziali [13].

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Estrogeni e progesterone sono i principali prodotti steroidei delle ovaie.

La sintesi degli estrogeni dipende dalla compartecipazione delle cellule

della teca e delle cellule della granulosa. Si parla di modello “due cellule–

due gonadotropine”. Le cellule della teca, stimolate dall’ormone

luteinizzante (LH), producono androstenedione e testosterone, che

diffondono nelle cellule della granulosa, dove sono convertiti

rispettivamente in estrone e in estradiolo sotto l'azione dell'ormone

follicolo stimolante (FSH). L’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata

a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione e

deidratazione determina l’aromatizzazione dell’anello A degli androgeni

[14]. L’attività aromatasica è indotta dall’ormone follicolo stimolante

(FSH). La sintesi degli ormoni steroidei nelle gonadi è regolata da un

meccanismo di feed-back negativo, in quanto una volta sintetizzati gli

ormoni steroidei inibiscono la sintesi di quelle stesse sostanze che ne

hanno stimolato la produzione: l'ormone liberante le gonadotropine

(Gonadotropine Releasing Hormone, Gn-RH) secreto dall’ipotalamo ed

FSH e LH secreti dall’ipofisi. Gn-RH è liberato dal nucleo arcuato

dell’ipotalamo in maniera pulsatile ed è quindi pulsatile anche la

secrezione di gonadotropine ipofisarie. Elevati livelli di ormoni sessuali

circolanti esercitano un feed-back negativo sulla sintesi del GnRH [15].

L’ormone luteinizzante induce un aumento rapido e marcato della

capacità del P450scc di convertire il colesterolo in pregnenolone. Inoltre a

lungo termine stimola la sintesi del P450scc e di altri enzimi della

steroidogenesi. L’LH agisce sulle cellule della teca stimolando la sintesi

di androstenedione e testosterone. L’FSH agisce sulle cellule della

granulosa stimolando la trascrizione del gene dell’aromatasi [16].

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Estradiolo Estrone17-chetoreduttasi

Testosterone Androstenedione

17-chetoreduttasiaromatasi aromatasi

Sintesi degli estrogeni dal testosterone e dall'androstenedione

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Struttura dei recettori degli estrogeni

I recettori degli estrogeni fanno parte della famiglia dei recettori nucleari.

I recettori nucleari si possono dividere in: 1) recettori per gli ormoni

steroidei; 2) recettori per ormoni non steroidei; 3) recettori orfani, i cui

ligandi non sono ancora stati identificati. I recettori per gli ormoni

steroidei hanno un domino A /B più lungo, e formano sempre omodimeri,

sono complessati con le proteine da shock termico (Heat Shock Proteins,

HSPs) e possono interagire con il DNA solo in presenza di uno stimolo. I

recettori per gli ormoni non steroidei formano eterodimeri con RXR, non

sono complessati alle HSP e sono associati al DNA in assenza di uno

stimolo. I recettori dei glucocorticoidi e dei mineralcorticoidi sono

citoplasmatici ed entrano nel nucleo solo in seguito all’attivazione da

parte del ligando. Gli altri recettori, invece, sembrano essere localizzati a

livello nucleare, ma tale fenomeno dipende dalla quantità di recettore

presente in una cellula. Infatti Castoria e collaboratori hanno

recentemente dimostrato che in cellule NIH3T3 il recettore degli

androgeni non va incontro a traslocazione nucleare in seguito al legame

con l'ormone, poiché in queste cellule la quantità di AR espressa è molto

bassa [17].

I membri della famiglia dei recettori nucleari hanno una struttura

conservata che consta di cinque diversi domini [18-20]. 1) La regione

ammino terminale, detta A/B domain, è la meno conservata tra i diversi

membri della famiglia dei recettori nucleari. Contiene un dominio detto

AF-1 (Activation Function 1), che stimola la trascrizione dei geni

bersaglio in modo indipendente dal ligando. 2) Il dominio C o di legame

al DNA (DNA Binding Domain, DBD), è il più conservato e determina la

specificità del recettore rispetto ad una classe di geni: recettori diversi

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riconoscono infatti diverse sequenze consenso. Nel DBD sono presenti

due strutture digitiformi ad α elica, chiamate “zinc finger”, in cui uno ione

di Zn2+ è coordinato da quattro cisteine. Nella prima si trova il P-box

(Proximal box), che permette di riconoscere una specifica sequenza sul

DNA, mentre nella seconda si trova il D-box (Distal box), che è coinvolto

nella dimerizzazione sul DNA. 3) Il dominio D è una regione “a cardine”

(hinge): collega il dominio C al dominio E ed è sede di legame della

chaperonina hsp 90. Esso può anche contenere sequenze di localizzazione

nucleare (Nuclear Localization Signal, NLS). 4) La regione E, oltre ad

essere il dominio di legame del ligando (Ligand Binding Domain, LBD),

contiene un dominio per la dimerizzazione recettoriale e media

l'interazione con le proteine dello shock termico (HSP). A livello

dell’LBD è localizzato il dominio AF-2 (Activation Function 2),

coinvolto nella trascrizione ligando-dipendente. Infine all'interno del

dominio E è contenuto un NLS. 5) La regione carbossi-terminale F è poco

conservata ed è presente solo in alcuni recettori nucleari, tra cui i recettori

per gli estrogeni.

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AF-1 AF-2

dimerizzazione

A/B C D E F

Hsp90Hsp56

Co-attivatori

DBD LBD

NLS

DR

C

C

C

CZn++

P

Digitazioni Zn-coordinate

C

C

C

CZn++D

(C2)(C1)

DR

C

C

C

CZn++

P

Digitazioni Zn-coordinate

C

C

C

CZn++D

(C2)(C1)

Co-attivatori

Struttura del recettore degli estrogeni

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Isoforme dei recettori degli estrogeni

Gli estrogeni esercitano le loro numerose azioni biologiche tramite i

recettori degli estrogeni ERα ed ERβ, che si possono considerare come

fattori di trascrizione ligando-dipendenti. La prima prova che l’effetto

degli estrogeni fosse mediato da un recettore è di circa 40 anni fa, grazie

agli studi condotti da Jensen e Jacobson basati sul legame specifico del 17

β-estradiolo nell’utero [21]. Nel 1986 due diversi gruppi di ricerca sono

riusciti a clonare ERα, che si credeva l’unico recettore degli estrogeni.

Nel 1993 Korach e i suoi collaboratori, riuscirono a ottenere topi knock-

out per ERα. Si ottennero animali vitali di entrambi i sessi, però questi

animali mostravano una residua capacità di legare il 17β-estradiolo a

livello di diversi organi.

Nel 1995 è stato clonato ERβ da una biblioteca di cDNA di prostata di

ratto [22]. Successivamente sono state descritte diverse varianti di

splicing di ERβ. Alcune hanno un dominio N-terminale più esteso, altre

delezioni o inserzioni a livello della regione C-terminale e nell’LBD. Un

cDNA di hERβ, che codifica per una proteina di 530 aminoacidi è stato

clonato nel 1998 [23]. Era più lungo dell’ERβ di ratto per un estensione

di 45 aminoacidi nel dominio N-terminale.

Sono descritte anche diverse varianti di splicing di ERα, ma non si sa se

tutte sono espresse come proteine e se hanno un ruolo biologico o

fisiologico. Esistono anche diversi polimorfismi di ERα e di ERβ. Una

terza isoforma del recettore degli estrogeni, ERγ, è stata clonata, ma per il

momento è stata solo rinvenuta nei teleostei. ERγ si è originato da una

duplicazione genica di ERβ [24].

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Paragone tra la struttura di ERα e di ERβda Jonathan G. Moggs and George OrphanidesEMBO reports Vol.2 No.9 September 2001 modificata

DNA LIGANDO CN

DNA LIGANDO CNhERαααα

hERββββ

AF-1

cardine

dimerizzazione

AF-2

595

530

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I DBD di ERα e β mostrano un’omologia di sequenza del 97%. In

particolare il P-box, che conferisce specificità del legame al DNA è

identico per ERα ed ERβ. Tramite il P-box gli ER riconoscono specifiche

sequenze sul DNA, gli elementi responsivi agli estrogeni (Estrogen

Response Elements, EREs). Si tratta di sequenze palindrome, ossia

ripetute in modo invertito e speculare rispetto ad un'asse di simmetria

(inverted repeats). La sequenza consenso è AGGTCX, mentre il numero

di nucleotidi che separa le due sequenze per gli ERE è di n=3 ed influenza

l’efficienza del legame al DNA. La specificità del legame al DNA può

essere cambiata mutando alcuni aminoacidi del P-box. Un mutante di ER,

in cui tre aminoacidi sono stati sostituiti così da trasformare l’ER-P-box

in un GR-like P-box, lega gli elementi responsivi ai glucocorticoidi

invece che l’ERE [25]. La struttura tridimensionale del dominio di legame

al DNA di ERα sia in soluzione che legato a un ERE, è stata risolta nei

primi anni ’90 [26, 27].

Nel secondo “zinc finger” è presente il D-box, un’interfaccia di

dimerizzazione. La dimerizzazione tramite i D-box facilita il legame

cooperativo al DNA e quindi stabilizza l’interazione tra i recettori

nucleari e il DNA. Nel caso di ERα, la dimerizzazione a livello del DBD

aumenta il legame anche a ERE imperfetti aumentando così il numero di

sequenze con cui ERα può interagire [28]. Nella parte C-terminale del

dominio di legame al DNA dei recettori degli estrogeni è presente una

regione ricca di aminoacidi basici richiesta per l’interazione con hsp 90

[29]. In quella regione si trova anche un segnale di localizzazione

nucleare [30].

Gli LBD di ERα ed ERβ mostrano un’omologia di sequenza del 55%,

tuttavia le regioni coinvolte nel legame ad agonisti ed antagonisti e l’AF-2

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hanno un grado maggiore di omologia. L’analisi delle strutture cristalline

degli LBD di diversi recettori nucleari ha mostrato l'esistenza di una

struttura conservata composta da 12 α eliche, chiamate H1-H12. La

struttura tridimensionale del LBD di ERα legato al 17β-estradiolo, al

dietilstilbestrolo (DES), al raloxifene e al 4-OH tamoxifene è stata

ottenuta dagli studi cristallografici di Brzozowski [31]. Il sito di legame

all’ormone è costituito dalle eliche H3, H6, H8 ed H11 che formano una

tasca idrofobica. Quando l’E2 o il DES, due agonisti di ERα, si legano al

recettore, l’elica H12 cambia disposizione spaziale posizionandosi sopra

la tasca idrofobica, stabilizzando le interazioni fra il recettore ed il

ligando e formando una superficie di aminoacidi importante per il

reclutamento e l’interazione con proteine nucleari dette coattivatori. E’

stata anche risolta la struttura del ligand binding domain di ERβ legato al

raloxifene: la conformazione è simile al complesso ERα/raloxifene. Il

raloxifene ed il tamoxifene hanno una catena laterale ingombrante che si

estende al di fuori dell’LBD, quando sono legati ad ERβ l’elica H12

subisce una modificazione che non comporta lo spostamento sulla tasca di

legame, senza quindi portare ad esporre il sito di legame dei coattivatori.

Questo meccanismo sembra spiegare l’attività antagonista di tamoxifene e

raloxifene su ERβ e similmente su ERα [32]. Comparando il sito di

legame dell’ormone dei recettori degli estrogeni con altri recettori

nucleari, si è visto che questo sito è più largo; ciò può spiegare la capacità

del recettore degli estrogeni di legare molti composti [20]. Altri studi

hanno evidenziato che quando ERβ è legato al fitoestrogeno genisteina

l’elica H12 non assume la conformazione che ha con gli agonisti, forse

perché la genisteina è un agonista parziale [33].

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H12

H12

A B

H12

H12

H12

H12

A B

A) Struttura 3D di ERα legato ad un agonistaB) Struttura 3D di ERα legato ad un antagonista

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MECCANISMO D’AZIONE DEGLI ESTROGENI

Gli effetti biologici dell'estradiolo sono mediati da almeno quattro diverse

vie di segnale: 1) via classica ligando-dipendente; 2) via ligando-

indipendente; 3) via ERE-indipendente; 4) via non genomica [34].

Via classica ligando-dipendente

L'azione dei recettori degli estrogeni sui siti ERE è un classico esempio di

azione genomica dei recettori nucleari. In assenza di ligando il recettore

degli estrogeni è sequestrato nei nuclei delle cellule bersaglio,

complessato con le proteine dello shock termico hsp 70, hps 90 e hps 56.

In seguito al legame con l’estrogeno il recettore va incontro ad un cambio

di conformazione, che rende possibile il distacco delle HSP e facilita la

dimerizzazione e il legame del recettore a livello degli elementi

responsivi agli estrogeni [35]. L'ER lega il proprio elemento responsivo

come omodimero ed utilizza entrambe le sue regioni di attivazione AF-1

ed AF-2 per reclutare cofattori. L'interazione di AF-2 con i coattivatori è

estrogeno-dipendente [32, 36]; mentre la regione AF-1 ha un'attività

trascrizionalmente molto debole e generalmente sinergizza con AF-2.

Il complesso ER-estrogeno funge da ponte tra il DNA, con cui interagisce

tramite il DBD, ed i cofattori che formano il complesso. Il complesso

recettore/ligando stabilizza il complesso d’inizio della trascrizione

costituito da diverse proteine con il compito di reclutare la RNA

polimerasi II. Il complesso d’inizio si assembla sul TATA box del

promotore del gene che deve essere trascritto, ed è costituito da vari

fattori, tra cui: TFIID, TFIIB, TFIIA, TFIIF, TFIIE (con attività

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ATPasica) e TFIIH (dotato di attività elicasica) [37, 38]. L’interazione

può essere diretta o mediata da proteine chiamate coattivatori, alcune di

queste sono molto importanti per gli ER, in quanto sembrano essere

specifiche per questi recettori.

Coattivatori

La maggior parte di ciò che è conosciuto riguardo le interazioni fra ERα e

coattivatori deriva da studi sulla funzione AF-2 [39, 40]. I coattivatori

sono stati suddivisi in famiglie [41]: 1) p160; 2) p300/CBP (CREB

Binding Protein); 3) TRAP/DRIP.

La famiglia di p160 può essere suddivisa in tre sottofamiglie: SRC-1

(Steroid Receptor Coactivator-1), TIF2 (Transcriptional Intermediary

Factor-2) e p/CIP. Tutti gli attivatori di questa famiglia presentano, oltre

alla sequenza responsabile del riconoscimento del complesso

recettore/agonista, una porzione atta all'interazione con i coattivatori della

famiglia di p300/CBP. SRC-1 oltre ai recettori nucleari interagisce anche

con altri fattori di trascrizione tra cui: NF-κB, AP-1, SRF e p53.

I membri della famiglia di p300/CBP sono dotati di attività acetil-

transferasica degli istoni. p300/CBP interagisce debolmente con ER, ma il

legame con SRC-1 stabilizza questa interazione. Così si forma a livello

del promotore del gene bersaglio un complesso con attività acetil-

transferasica sugli istoni (HAT). Questi ultimi sono acetilati a livello delle

lisine e in questo modo diminuisce la forza del legame fra l'istone ed il

DNA. Ciò facilita la decondensazione locale della cromatina e quindi la

trascrizione [42, 43].

TRAP/DRIP è complesso multiproteico che sembra essere coinvolto nel

reclutamento della RNA polimerasi II.

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nucleo

ERE

RR

DNA

R

inattivo attivo

R

Segnale di trasduzione?RR RR

inattivo attivo

nucleo

ERE

RREREERE

RR RR

E2

DNA

E2

cAMPPI3K

Proteine GProteine GSrcSrcRR

nucleo

citoplasma

MAPK

Akt

Ca++K+

cGMP

E2

RR RR

inattivo attivo

nucleo

Non ERENon ERE

RR RR

E2

DNA

E2

A) Via classica ligando-dipendenteB) Via ligando-indipendenteC) Via ERE-indipendenteD) Via non genomica

A

DC

B

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I coattivatori interagiscono con i recettori nucleari per mezzo di tre

sequenze conservate LXXLL (Leucina-X-X-Leucina-Leucina), chiamate

anche NR box [44]. Gli NR box formano α eliche anfipatiche in cui i

residui di leucina formano una superficie idrofobica su una faccia

dell’elica [36, 45, 46]. Lo studio della struttura cristallina di hERα ha

mostrato che gli aminoacidi nelle eliche 3, 4, 5 e 12 formano una

superficie idrofobica che costituisce il principale sito di legame per la

sequenza LXXLL presente nei coattivatori della famiglia di p160 [32].

Corepressori

I corepressori sono proteine in grado di reprimere l’attività trascrizionale

dei recettori nucleari legandosi al loro LBD. Le proteine inibitorie della

trascrizione per essere definite corepressori devono soddisfare quattro

criteri: 1) interagire con il recettore non associato al ligando; 2)

dissociarsi in seguito al legame del recettore con un ligando in grado di

attivarlo; 3) potenziare la repressione del recettore; 4) reprimere la

trascrizione dei geni ai quali sono reclutati [47].

Fra i corepressori i meglio caratterizzati sono NCoR (Nuclear

CoRepressor) e SMRT (Silencing Mediator of Retinoid and Thyroid

hormone receptors), due proteine di circa 270 kDa, che mostrano elevate

omologie strutturali e funzionali. Le regioni che interagiscono con i

recettori nucleari, (Interaction Domain 1 e 2, ID1 e ID2) si trovano nella

regione C-terminale di entrambi i corepressori. Una piccola regione

presente nell’α elica 1 del ligand binding domain dei recettori nucleari,

chiamata CoR-box, è necessaria per l’interazione con SMRT e NCoR.

Una mutazione in questa regione inibisce infatti il legame tra i recettori

nucleari e i due corepressori. La posizione dell’H12 del LBD regola sia

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ATP

ADP+Pi

Fattori di rimodellamento della

cromatina

SWI/SNF

Fattori di reclutamento del complesso di inizio

TRAP/DRIP

CBP/p300

P/CAFp160

Fattori di modificazione degli istoni

Recettore attivato

HRE

RR

Complesso di inizio della trascrizione

TBP

BD

pol II

ATP

ADP+Pi

Fattori di rimodellamento della

cromatina

SWI/SNF

ATP

ADP+Pi

Fattori di rimodellamento della

cromatina

SWI/SNF

Fattori di reclutamento del complesso di inizio

TRAP/DRIP

Fattori di reclutamento del complesso di inizio

TRAP/DRIPTRAP/DRIP

CBP/p300

P/CAFp160

Fattori di modificazione degli istoni

CBP/p300

P/CAFp160

CBP/p300CBP/p300

P/CAFp160

Fattori di modificazione degli istoni

Recettore attivato

HRE

RR

Complesso di inizio della trascrizione

TBP

BD

pol II

Recettore attivato

HRE

RRRecettore attivato

HREHRE

RR RR

Complesso di inizio della trascrizione

TBP

BD

pol IITBP

BBDD

pol II

Il recettore degli estrogeni e i coattivatori

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l’associazione dei corepressori ai recettori nucleari sia il loro rilascio. In

presenza dell’agonista, l’H12 è ripiegata così da formare un “coperchio”

sulla tasca di legame e blocca l’interazione con SMRT e NCoR. Al

contrario questi corepressori si associano agli ER legati agli antagonisti

[48, 49]. In questo caso infatti l’H12 è spostata verso l’N-terminale

dell’LBD; questa conformazione recettoriale non permette il legame dei

coattivatori, mentre favorisce il legame dei corepressori. NCoR e SMRT

hanno all’N-terminale tre domini di repressione, RD1, RD2 e RD3, le cui

sequenze non sono omologhe tra loro. Esistono diversi meccanismi di

repressione. Il più studiato è quello che prevede il reclutamento, da parte

di RD1 e di una regione a valle di RD3, delle deacetilasi degli istoni

HDAC1 e HDAC2. Un altro meccanismo proposto per l'attività dei

corepressori riguarda l’interazione con i fattori basali della trascrizione.

Anche le HDAC3, 4, 5, 6 e il complesso NuRD (Nucleosome Remodeling

and histone Deacetylation) potrebbero essere coinvolti nel meccanismo di

repressione [47].

Montano e collaboratori hanno identificato un nuovo corepressore,

denominato REA (Repressor of Estrogen receptor Activity), che

interagisce sia con ERα che con ERβ (ma non con altri recettori) [50].

Esistono anche corepressori che interagiscono con il dominio AF-2 dei

recettori degli estrogeni in presenza di agonisti. Ad esempio RIP 140

(Receptor Interacting Protein 140) e SHP (Short Heterodimerization

Partner) mostrano un’attività co-regolatoria negativa perché

antagonizzano SRC-1 in vivo e competono per il legame ad AF-2 in vitro.

SHP è un particolare recettore nucleare che ha un LBD, ma è privo del

DBD. SHP mostra un’interazione ligando-dipendente con ERα ed ERβ,

che risulta nella repressione della loro attività trascrizionale. Tale

repressione è mediata dall’interazione di SHP con gli ER, tramite due

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sequenze similari al NR-box. Anche DAX-1 (Dosage-sensitive sex-

reversal Adrenal hypoplasia congenital X chromosome) ed RTA

(Repressor of Tamoxifene Activity) regolano negativamente l’attività

trascrizionale di ERα ed ERβ. E’ stato ipotizzato che gli ER, utilizzando

SHP e DAX-1 come proteine ponte, possano richiamare proteine

corepressorie ad attività deacetilasica e quindi inibire la trascrizione [51,

52].

Fosforilazione

La fosforilazione degli ER è una modificazione post-traduzionale che

regola l'attività dei recettori nucleari. È stato dimostrato che il recettore

degli estrogeni è fosforilato sia in risposta a dosi fisiologiche di 17β-

estradiolo sia in assenza dell’ormone da altri stimoli, quali IGF [53].

La Ser 118 è uno degli aminoacidi più conservati per il recettore degli

estrogeni lungo la scala evolutiva. Il suo ruolo nel modulare la

trascrizione è a livello della regione AF-1 e potenzia l’interazione con i

coattivatori [54]. La fosforilazione di Ser 167 aumenta invece la capacità

del recettore di legare il DNA [55, 56].

Gli eventi di fosforilazione che riguardano il recettore degli estrogeni

sono specifici del tipo cellulare in cui sono stati osservati. Nelle cellule

COS-1 sito della fosforilazione ligando-dipendente di hERα è la Ser 118,

mentre nelle MCF-7 è la Ser 167 di hERα ad essere fosforilata, sempre in

presenza di E2, dalla casein chinasi II.

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Via ligando-indipendente

La fosforilazione degli ER è importante nell’attivazione trascrizionale

indotta da ligando, ma anche in assenza di esso. Infatti, i fattori di

crescita, gli attivatori della protein chinasi A (PKA), i neurotrasmettitori e

le cicline sono in grado di indurre l’attività trascrizionale degli ER

mediante la fosforilazione del recettore [57]. L’N-terminale di ERα

contiene diversi residui di Ser conservati nel dominio AF-1, che sono

bersaglio di fosforilazione. La fosforilazione della Ser 118 di hERα è

indotta da EGF e dipendente dall’attivazione delle MAPK [58]. Anche E2

è in grado di indurre la fosforilazione della Ser 118, ma questo sembra

essere indipendente dalla MAPK, indicando che diverse vie di

trasduzione del segnale possono agire sullo stesso residuo, a seconda della

presenza o meno dell’E2. La rilevanza fisiologica dell’EGF

nell’attivazione di ERα è dimostrata dal fatto che l’EGF mima gli effetti

dell’estrogeno nell’apparato riproduttivo di femmina di topo e in cellule

epiteliali della ghiandola mammaria [59]. Topi femmina KO per ERα

mancano di una risposta uterotropica all’EGF, dimostrando il

coinvolgimento di ERα nel mediare l’azione dell’EGF in vivo [60, 61].

Altri fattori di crescita coinvolti nell’attivazione di ERα sono l’insulina

[62], i fattori di crescita insulino-simili I e II (IGF-I ed IGF-II) [53], il

fattore di crescita trasformante β (TGF-β) [63] ed il fattore di crescita

trasformante α (TGF-α) [64]. Nella linea cellulare SK-ER3, neuroblasti

umani con espresso stabilmente il recettore per gli estrogeni, l’insulina e i

due fattori di crescita insulino-simili, IGF-I ed IGF-II sono capaci di

indurre differenziamento fenotipico coinvolgendo la via delle MAPK

[53]. In cellule MCF-7 l’attivazione ligando-indipendente di ERα da parte

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dell’IGF-I è mediata dalla PI3K e da Akt [65]. Akt attiva la funzione AF-

1 di ERα fosforilando il recettore a livello della serina 167. La mutazione

di questa serina in alanina distrugge l’effetto.

Anche le cicline e le chinasi ciclino-dipendenti (CDK) sono coinvolte

nell’attivazione ligando-indipendente di ERα. Due differenti cicline, A e

D1, sono state identificate come capaci di attivare ER in modo ligando-

indipendente. La sovraespressione di ciascuna di queste due proteine

determina un aumento dell’attività di ER in assenza di E2. I meccanismi di

attivazione di ER sono diversi per queste due cicline. L’attivazione di ER

da parte della ciclina D1 non coinvolge la fosforilazione e quindi la

presenza della corrispettiva cdk [66]. La ciclina A invece attiva gli ER

mediante fosforilazione, tramite cdk2 nel dominio AF-1 [67].

L’attivazione di ERα in modo ligando-indipendente non avviene solo

tramite la fosforilazione di residui di serina nel dominio AF-1, ma anche

nel dominio AF-2. In questo processo è coinvolto il cAMP, che attiva la

PKA [68]. Agenti che aumentano il contenuto cellulare di cAMP (la

forskolina, l’acido ocadaico e la tossina colerica) determinano un’attività

trascrizionale di ERα ligando-indipendente; inoltre, queste sostanze

sinergizzano con l’attivazione trascrizionale mediata da E2. Anche la

risposta all’agonista parziale tamoxifene aumenta se c’è un aumento della

concentrazione intracellulare di cAMP. In cellule MCF-7, la trascrizione

dei geni bersaglio di ERα, fra cui il recettore del progesterone (PR), P62,

LIV-1 e catepsina D, può essere stimolata o da un analogo del cAMP

(8Br-cAMP), o da una combinazione di un inibitore della fosfodiesterasi

(IBMX) e della tossina colerica, che aumenta la produzione del cAMP

bloccando la subunità αs delle proteine G. Studi ulteriori hanno

dimostrato che le risposte indotte dal cAMP sono inibite dall’antagonista

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puro dell’ER, l’ICI 182,780 [69]. Inoltre i domini E/F di ERα sono

sufficienti per l’attivazione da parte della forscolina più IBMX e questo

fenomeno è accompagnato dalla fosforilazione del recettore.

La Tyr 537 nell’ERα umano e la Tyr 541 nel topo localizzate nell’LBD

sono importanti per la regolazione dell’attività di ERα. La struttura

tridimensionale di ERα indica che Tyr 537 si trova nell’ansa che precede

l’elica H12. Tyr 537 viene fosforilata dai membri della famiglia della Tyr

chinasi, quali Src, in assenza di E2. Tuttavia questa fosforilazione non

induce attività trascrizionale, ma regola la capacità di ERα di legare E2

[70].

Anche ERβ va incontro ad attivazione ligando-indipendente, infatti l’EGF

induce la fosforilazione delle Ser 106 e Ser 124 di ERβ tramite

l’attivazione delle MAP chinasi [58]. Questa fosforilazione determina il

reclutamento ligando-indipendente di SRC-1 e il conseguente aumento

dell’attività trascrizionale. Recentemente, è stata studiata l’attivazione

cAMP-dipendente dell’ERβ [69]. In trasfezioni transienti la forskolina più

l’IBM, che aumentano i livelli intracellulari del cAMP, stimolano

l’attività trascrizionale di ERβ. Questo effetto è bloccato da un inibitore

della PKA ed è dipendente dalla presenza di un ERE.

Via ERE-indipendente

I recettori degli estrogeni modulano l'espressione genica agendo anche su

geni che non presentano ERE nei propri promotori. Ad esempio IL-6,

TNFα e MCP-1 non hanno ERE nei loro promotori, ma la loro

trascrizione è inibita dagli estrogeni. In questo caso gli ER non hanno un

effetto trascrizionale diretto, ma si pensa che l'azione degli ER sia

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mediata dall'interazione con altri fattori di trascrizione.

Infatti parecchi gruppi di ricerca hanno dimostrato che l'E2, agendo

tramite i suoi recettori, è in grado di reprimere l'espressione di IL-6

mediante l'interazione con i fattori di trascrizione della famiglia di NF-κB

[71-76]. L'ER inibisce anche la trascrizione di MCP-1 [77], di TNFα [74]

e di RANTES (Regulated upon Activation Normal T cell Expressed and

Secreted) [78] interferendo con l'azione di NF-κB.

Infatti sia ERα che ERβ possono interagire con il fattore di trascrizione

AP-1 (Activating-Protein-1), costituito da un eterodimero tra Jun e Fos.

Queste due proteine, in seguito all’attivazione della via delle MAPK,

eterodimerizzano per formare il complesso AP-1. A seconda del contesto

cellulare e del gene trascritto l’estrogeno può attivare o sopprimere la

trascrizione genica mediata da AP-1. Infatti l'ER stimola la trascrizione

del gene dell'ovalbumina per interazione con i dimeri Jun/Fos [79] e

potenzia l'attivazione di AP-1 da parte dei fattori di crescita in MCF-7

[80]. In altri contesti l'estrogeno antagonizza l'azione di AP-1, infatti

reprime l'espressione di TNFα [81, 82], di MCP-1 [83] e di molecole di

adesione come ICAM (Intercellular Adhesion Molecule) e VCAM-1

(Vascular Cell Adhesion Molecule type 1) [84, 85].

Un altro esempio di azione indiretta di ER sulla trascrizione è

l’interazione degli ER con il fattore di trascrizione Sp1. In cheratinociti

umani ERβ inibisce la trascrizione di MCP-1 in modo dipendente dalla

presenza di Sp1 [83]. Inoltre, sia ERα che ERβ possono attivare la

trascrizione del gene del recettore dell’acido retinoico (RAR-1), mediante

la formazione di un complesso tra ER e Sp1 sui siti di legame di Sp1

(ricchi di GC) del promotore di RAR-1 [86, 87].

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Via non genomica

Le prime evidenze di effetti degli estrogeni troppo rapidi per essere

mediati dall'attivazione della trascrizione e della sintesi proteica risalgono

agli anni settanta, quando studi elettrofisiologici dimostrarono che

l'estradiolo è in grado di modulare le concentrazioni intracellulari dello

ione Ca2+ entro pochi secondi dalla stimolazione [88]. Un anno più tardi

Pietras e Szego descrissero una rapida formazione di cAMP in risposta

all'E2, presumibilmente mediata dal legame dell'ormone ad una proteina

recettoriale nella membrana cellulare [89, 90]. Dopo questi studi

pionieristici parecchi gruppi si sono dedicati agli effetti non genomici dei

recettori degli estrogeni [91, 92]. Questi effetti mostrano delle

caratteristiche comuni: 1) sono troppo rapidi per essere compatibili con la

sintesi di RNA e di proteine, dal momento che si verificano entro pochi

minuti dalla somministrazione dell’ormone; 2) avvengono in cellule nelle

quali la sintesi di RNA e proteine è praticamente assente, come gli

spermatozoi; 3) sono riprodotti in presenza di inibitori della trascrizione o

della sintesi proteica; 4) possono essere riprodotti usando ormoni legati

covalentemente a molecole impermeabili alla membrana cellulare [93].

Questi effetti non trascrizionali degli estrogeni comprendono la

regolazione del flusso cellulare di Ca2+ [94-102], la modulazione del

contenuto citoplasmatico di cAMP [103-107], cGMP [108, 109], IP3

[110] e la modulazione di recettori associati alle proteine G [111-116].

Inoltre l'E2 attiva chinasi come la PKA [69, 100, 105], la PKB [117, 118],

la PKC [119, 120], la chinasi Ca2+/calmodulina-dipendente (CAMK)

[121], le MAP chinasi [122-124] e tirosin-chinasi [125]; ed attiva fattori

di trascrizione tra cui CREB [115, 116] ed AP-1 [126].

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ER e PI3K

Uno degli effetti rapidi degli estrogeni più recentemente descritti è la

modulazione della via della PI3K e di Akt. Le fosfatidilinositolo 3-chinasi

(PI3K) sono delle chinasi importanti per molti processi cellulari. Sulla

base della struttura e della specificità del substrato sono state identificate

tre classi di PI3K: la classe I fosforila preferibilmente il

fosfatidilinositolo-4,5-bifosfato, la classe II il fosfatidilinositolo-4-fosfato

e la classe III il fosfatidilinositolo. La classe I si suddivide a sua volta in

due sottoclassi: IA ed IB. Esistono tre isoforme di PI3K della classe IA:

p110α, p110β e p110δ; queste sono strettamente associate ad una

subunità regolatoria che contiene due dominii SH2 (Src-Homology 2).

Della subunità regolatoria si conoscono tre isoforme: p85α, p85β e p85γ.

Della classe IB è noto un solo membro: PI3Kγ che è associato alla

subunità regolatoria p101; la classe II è formata dalle isoforme:

PI3K-C2α, PI3K-C2β e PI3K-C2γ, mentre la III classe dal solo enzima

Vps34p. Le due classi IA ed IB sono quelle più importanti e studiate.

Le fosfatidilinositolo 3-chinasi sono coinvolte nella sopravvivenza

cellulare, nel ciclo cellulare, nella mobilità cellulare, nella

degranulazione, nell'immunità, nella regolazione del metabolismo di

glucosio e glicogeno e nella sintesi proteica [127]. Parecchi studi hanno

evidenziato un cross-talk tra le vie di trasduzione del segnale della PI3K e

quelle del recettore degli estrogeni; è stata provata sia un'attivazione di

ER in seguito a fosforilazione da parte di Akt, una chinasi a

serina/treonina attivata dalla PI3K [65, 128-130], sia un'attivazione del

signaling della PI3K in seguito al legame dell'estrogeno al suo recettore.

In cellule MCF-7 è stato dimostrato che l’ingresso in fase S del ciclo

cellulare e l’attività del promotore della ciclina D1 sono mediati

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dall’attivazione della PI3K e di Akt, indotta dal 17β-estradiolo [131]. La

formazione di un complesso ternario tra ERα, la tirosin chinasi non

recettoriale Src e p85 sembra necessaria per l’attivazione della via della

fosfatidilinositolo 3-chinasi.

Inoltre, a livello della parete vascolare la PI3K e Akt mediano il rapido

rilascio di NO indotto dal 17β-estradiolo tramite l’attivazione della

nitrossido sintasi endoteliale (eNOS) [132]. L’NO attiva la guanilato

ciclasi a livello delle cellule muscolari lisce (SMC) della parete vascolare.

La conseguente produzione di cGMP determina il rilassamento della

muscolatura liscia vasale e inibisce la proliferazione delle cellule

muscolari lisce. È stato dimostrato che la stimolazione di eNOS da parte

di E2 è mediata da una sottopopolazione di ERα, localizzato a livello delle

caveole [133, 134]. Infatti, l’E2, tramite ERα, attiva la fosfatidilinositolo

3-chinasi e Akt, che a loro volta attivano e fosforilano eNOS.

L'attivazione da parte dell'estrogeno di PI3K/Akt è inoltre importante

nella neuroprotezione esercitata dall'ormone [135].

I recettori di membrana degli estrogeni

Gli effetti degli estrogeni che non prevedono la modulazione della

trascrizione suggeriscono l'esistenza di recettori di membrana. Le prime

prove dell’esistenza di una sottopopolazione di recettori degli estrogeni di

membrana risale alla fine degli anni ’70, quando Pietras e Szego

descrissero la presenza di siti di legame per l’estradiolo a livello della

membrana citoplasmatica di cellule endometriali [89]. A tutt'oggi,

nonostante gli effetti non genomici di E2 siano coinvolti in diverse vie di

trasduzione del segnale, non esistono indicazioni chiare circa l'esistenza e

l'identità di recettori di membrana che medino tali effetti. Alcuni gruppi

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hanno proposto che i recettori di membrana siano gli stessi ERα e ERβ

che traslocano in membrana [112, 136-138], altri che siano nuovi membri

della famiglia degli ER [139-141], altri ancora che siano recettori

accoppiati a proteine G [111, 113, 142], altri, infine, che possano essere

dei recettori tirosino-chinasici simili a quelli dei fattori di crescita [143].

Studi effettuati sulle cellule endoteliali utilizzando estradiolo legato

covalentemente alla BSA, così da impedire l’ingresso dell’ormone nella

cellula, suggeriscono che la rapida attivazione di eNOS indotta da E2 sia

mediata da un ERα di membrana [93]. Infatti cellule endoteliali intatte

legano estradiolo-BSA e sono riconosciute da anticorpi contro ERα,

suggerendo che questo ER di superficie abbia omologia con ERα. L’ICI

182,780 compete con l’E2-BSA nel legame al recettore di superficie.

Inoltre la stimolazione di cellule umane endoteliali con estradiolo-BSA,

così come il 17β-estradiolo, induce una rapida attivazione di eNOS

tramite la via della PI3K.

In cellule EA.hy926 che non esprimono i classici ER, ma una proteina di

46 kDa, riconosciuta da anticorpi contro il dominio C-terminale degli ER,

l’E 2 è in grado di indurre la rapida attivazione di eNOS [144, 145].

Siccome una proteina di dimensioni e reattività simili è stata trovata

associata alla membrana plasmatica in cellule MCF-7 [146] si è ipotizzato

che questa proteina sia un recettore di membrana degli estrogeni. Flouriot

e collaboratori hanno dimostrato che questa forma di ER di 46 kDa deriva

da uno splicing alternativo di ERα ed è priva dei primi 143 aminoacidi

(regione AF-1) [147]. È stato successivamente dimostrato che l’E2 attiva

rapidamente c-Src inducendo la formazione di un complesso tra la

proteina di 46 kDa, c-Src e p85 [148]. La formazione di questo complesso

risulta nella successiva attivazione della PI3K, di Akt e di eNOS.

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Un lavoro del gruppo di Toran-Allerand ha ipotizzato l'esistenza di una

isoforma di ER di membrana diversa da ERα ed ERβ. È stato osservato

che, in espianti neocorticali sia di topo wild-type che knock-out per ERα

(ERαKO), la somministrazione sia del 17α che del 17β-estradiolo

induceva la rapida fosforilazione e l’attivazione delle chinasi regolate da

segnali extracellulari ERK1 ed ERK2. Secondo il lavoro di Toran-

Allerand questi effetti non sono mediati dai classici ERα ed ERβ, ma da

un recettore associato alla membrana plasmatica, di 62-63 kDa,

immunoreattivo per l’LBD di ERα ma non di ERβ, denominato dagli

autori ER-X [149, 150]. Questo recettore è localizzato a livello di

microdomini simili alle caveole (CLM, omologhi neuronali delle caveole)

nella membrana cellulare di neuroni neocorticali di topi sia wild type che

ERαKO. ER-X è espresso solo nei primi giorni dopo la nascita, ma in

seguito ad attacco ischemico è espresso anche nell’adulto.

Un possibile significato biologico della presenza nella cellula di un pool

di recettori di membrana e di uno di recettori nucleari è la loro

cooperazione. L'E2, tramite il recettore di membrana, può rapidamente

attivare la trascrizione, che viene poi mantenuta attraverso il recettore

nucleare. Il segnale di membrana è importante per le modificazioni post-

traduzionali delle proteine, la cui sintesi può essere incrementata dal

recettore nucleare [91]. Attualmente nonostante le prove che ne

suggeriscono l’esistenza il recettore di membrana degli estrogeni non è

stato ancora né isolato, né clonato, né completamente caratterizzato.

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INFIAMMAZIONE

L’infiammazione, o flogosi, si può definire come un processo dinamico

comprendente l’insieme delle modificazioni reattive che compaiono nelle

strutture vascolari e connettivali di un distretto organico, per arginare e

riparare i danni prodotti da agenti lesivi di diversa natura.

I classici segni clinici dell’infiammazione sono rubor, calor, tumor, dolor

et functio laesa (rossore, calore, gonfiore, dolore e perdita di funzione).

Nonostante l'infiammazione sia un processo localizzato, ai fenomeni

infiammatori locali non rimane estraneo l’organismo nel suo insieme.

Infatti anch’esso risponde agli stimoli flogogeni, sia con modificazioni

neuro-ormonali, sia con l’attivazione del sistema linforeticolare, che

comporta un’esaltazione della fagocitosi ed un aumento della produzione

di anticorpi. Sebbene nella maggior parte dei casi l’infiammazione svolga

un compito difensivo, tendente a soffocare un’azione lesiva o a

circoscriverla ad un territorio limitato, in alcuni casi la reazione difensiva

supera largamente le necessità locali di risposta agli insulti, e produce

essa stessa un danno.

Tipi di infiammazione

Si può distinguere tra infiammazione acuta e cronica.

L’infiammazione acuta è di breve durata: minuti, ore o al massimo pochi

giorni. È caratterizzata da alterazioni vascolari che causano un aumento

del flusso sanguigno, da edema e da migrazione dei leucociti, soprattutto

dei neutrofili provenienti dalla microcircolazione e dal loro accumulo

nella regione del danno.

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L’infiammazione cronica è un’infiammazione di lunga durata in cui i

processi infiammatori, il danno tissutale ed i tentativi di riparo avvengono

contemporaneamente. È determinata dalla persistenza di uno stimolo

infiammatorio. Le cause possono essere diverse, ad esempio un’infezione

batterica persistente, la prolungata esposizione ad un agente tossico, una

malattia autoimmune, l'invecchiamento sono di cause infiammazione

cronica. È caratterizzata dall'infiltrazione di cellule mononucleate

(macrofagi, linfociti e plasma-cellule), dalla contemporanea presenza di

danno tissutale, angiogenesi e fibrosi.

Cause dell'infiammazione

L’origine di un’infiammazione può essere di ordine fisico (caldo, freddo,

correnti elettriche, ultrasuoni, radiazioni eccitanti ed ionizzanti), chimico

(sostanze irritanti, veleni, tossine microbiche, complesso antigene-

anticorpo, prodotti abnormali del metabolismo), biologico (parassiti,

batteri, miceti, protozoi, virus). Le cause fisiche agiscono soprattutto

indirettamente, attraverso la liberazione di sostanze da parte delle cellule

e dei tessuti lesi. Sperimentalmente è facile provocare l’infiammazione

chimica, ad esempio applicando sulla cute sostanze irritanti come l’olio di

croton e la trementina; anche l’aumento in un tessuto della concentrazione

di certi metaboliti endogeni è spesso causa di infiammazione chimica.

Tuttavia le cause biologiche sono tra le più frequenti nell'induzione della

flogosi. In essa l’azione dei microrganismi batterici dipende

essenzialmente dalla loro capacità moltiplicativa e dall’intervento sui

tessuti di prodotti del loro metabolismo (esotossine), o di costituenti

chimici della parete batterica, che si liberano dopo la morte dei

microrganismi (endotossine). Per fenomeni di glicolisi aerobica ed

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anaerobica essi provocano nel territorio infiammato la formazione di

acido lattico e CO2, alterando così l’equilibrio acido-basico dei tessuti.

Le cellule della risposta infiammatoria immediata

Nella risposta infiammatoria si ha un'infiltrazione di cellule leucocitarie

nel tessuto interessato dalla flogosi in particolare del lignaggio mieloide.

Nell'infiammazione acuta la popolazione cellulare è prevalentemente

composta dai granulociti neutrofili, mentre più raramente si ritrovano i

granulociti eosinofili, quando entra in gioco una risposta immunitaria di

tipo immediato. Rappresentano una rara eccezione le infiammazioni acute

dominate da essudazione linfocitaria, come capita in alcune infezioni

virali. Nella tipica infiammazione acuta è caratteristica la precoce e

progressiva sostituzione dei granulociti neutrofili con i monociti, cellule

dotate di una capacità di sopravvivenza molto superiore a quella dei

neutrofili che è di soli 3-4 giorni. Con sostanze ad azione irritante

relativamente blanda, come soluzioni di glicogeno, si è visto che

l'accumulo di neutrofili, che inizia immediatamente, raggiunge il valore

massimo dopo 4 ore e quindi declina rapidamente; mentre l'accumulo di

monociti comincia a manifestarsi dopo 4 ore e raggiunge il valore

massimo dopo 18-24 ore. Neutrofili e monociti non migrano

simultaneamente e perciò non reagiscono nello stesso modo agli stimoli

chemiotattici. In conclusione, la migrazione dei monociti

nell'infiammazione acuta prende inizio solamente quando diminuisce

quella dei neutrofili, ma continua per un periodo molto più lungo.

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I granulociti neutrofili

I granulociti neutrofili sono caratterizzati dal nucleo segmentato e dalla

presenza nel citoplasma di numerosissimi granuli contenenti vari enzimi

proteolitici. Questi, oltre ad essere antimicrobici, possono danneggiare il

tessuto sede di flogosi o comunque esercitare attività flogogena.

I granulociti sono le cellule più frequentemente reperibili negli essudati,

dove svolgono attività fagocitaria verso i batteri o verso materiali estranei,

che possono essere contenuti in vacuoli citoplasmatici di 0,1-1µm.

Sulla membrana cellulare dei neutrofili vi sono dei recettori per le

immunoglobuline e per il complemento, che entrano in gioco nella

immunofagocitosi. Il citoplasma dei neutrofili è ricco di glicogeno. La

produzione di energia nel neutrofilo maturo è affidata più alla glicolisi

(>90%) che alla respirazione. Ciò favorirebbe l'efficienza della cellula nei

tessuti ipossici e negli essudati.

Negli spazi interstiziali i neutrofili sono capaci, con la loro attività di

fagociti, di impedire ai microrganismi patogeni di diffondersi al di fuori

del focolaio dell'infiammazione. Qui però i neutrofili diventano molto

fragili a causa dell'acidità del focolaio infiammatorio o perché lesi da

batteri, che hanno sopraffatto il loro potere fagocitario e microbicida.

Così in breve tempo vanno incontro a fenomeni regressivi

(degranulazione, infiltrazione grassa, vacuolizzazione oppure picnosi del

nucleo) ed a fenomeni di autodigestione per l'attivazione delle proteasi

contenute nei lisosomi. I loro frammenti vengono fagocitati e distrutti dai

macrofagi. La sopravvivenza dei granulociti neutrofili nel campo

infiammatorio comporta la secrezione abbondante gli enzimi proteolitici

di cui sono ricchi tali cellule, in modo da fluidificare e digerire il tessuto o

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Page 39: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

le componenti dell'essudato, come la fibrina. Questi processi sono alla

base del fenomeno della suppurazione (infiammazione purulenta).

I monociti/macrofagi

I monociti (fagociti mononucleati del sangue) e i macrofagi (fagociti

mononucleati dei tessuti) hanno una parte centrale nella resistenza alle

infezioni e nell'infiammazione. Inoltre queste cellule assumono

un'importanza fondamentale nell'immunità specifica attraverso una stretta

associazione funzionale con i linfociti, soprattutto quelli della classe T.

I macrofagi derivano dalle cellule staminali emopoietiche del midollo

osseo che, attraverso lo stadio di monoblasti e promonociti, si

differenziano in monociti e come tali entrano in circolo. Da qui, dopo

poco tempo (36-104 ore), i monociti migrano nei tessuti e nelle cavità

sierose in cui si differenziano a macrofagi. Sotto la denominazione di

macrofagi vengono comprese cellule capaci di svolgere un'intensa attività

fagocitaria, anche verso elementi estranei di dimensioni relativamente

grandi, come batteri ed anche cellule intere.

I fagociti mononucleati comprendono: 1) elementi a locazione

endoteliale: le cellule di Kupffer dei sinusoidi del fegato, le cellule che

rivestono i seni linfatici dei linfonodi (cellule litorali) e i seni venosi della

milza e del midollo osseo; 2) cellule reticolari nei tessuti linfatici; 3)

cellule sparse in tutti i connettivi (cellule migranti a riposo di Maximow)

e cellule situate nella tonaca avventizia dei vasi (cellule avventiziali di

Marchand); 4) macrofagi alveolari dei polmoni; 5) cellule della microglia

del sistema nervoso centrale (SNC); 6) macrofagi liberi delle cavità

sierose (macrofagi pleurici e peritoneali); 7) monociti del sangue

(precursori diretti dei macrofagi tissutali).

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Normalmente i macrofagi dei tessuti non si moltiplicano, se non in certe

circostanze di sovrastimolazione, hanno una lunga durata di vita (100

giorni e più) e sono circa 30 volte più numerosi dei monociti del sangue.

Nell'essudato infiammatorio il numero dei macrofagi comincia ad

aumentare progressivamente quando si va esaurendo l'intervento dei

granulociti neutrofili.

Nell'essudato appena formato i macrofagi non si distinguono praticamente

dai monociti, ma dopo poco tempo cominciano a maturare, cioè cambiano

morfologia ed attitudini funzionali rispetto ai monociti: aumenta il

volume cellulare, il consumo di glucosio, la produzione di lattato,

l'attività fagocitaria, la formazione dei lisosomi, l'attività degli enzimi

idrolitici e la quantità di goccioline lipidiche. Monociti e macrofagi

ricavano energia dalla respirazione e dalla glicolisi.

Una caratteristica importante dei macrofagi è la loro capacità di fagocitare

corpi estranei. La captazione del materiale da fagocitare può avvenire in

due modi: a) attraverso la chemiotassi, con la migrazione dei fagociti

mediante movimenti ameboidi verso le particelle da fagocitare, come

avviene molto attivamente nei focolai infiammatori; b) attraverso il

contatto casuale dei macrofagi con particelle da fagocitare presenti nel

circolo sanguigno e linfatico. L'endocitosi del materiale da fagocitare

avviene attraverso una trasformazione della membrana esterna del

fagocita: vengono emesse delle propaggini digitiformi tentacolari

(pseudopodi), che prima circondano il materiale da fagocitare e poi si

fondono perifericamente formando vescicole (vacuoli citotici o fagosomi)

entro cui viene a trovarsi imprigionata la particella estranea. A questo

punto i granuli (lisosomi) convergono sul fagosoma in formazione, si

fondono con esso, e scaricano il loro contenuto enzimatico nel lume del

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Page 41: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

vacuolo attorno alla particella estranea. Questo processo porta alla

scomparsa dei granuli e si chiama degranulazione.

Le idrolasi acide derivanti dai lisosomi (proteasi, fosfatasi, nucleasi,

glucuronidasi, solfatasi e lipasi) degradano il materiale digeribile

all'interno dei vacuoli fagosomi; inoltre, questi enzimi intervengono nella

digestione di batteri già uccisi precedentemente da vari altri fattori

antimicrobici.

Durante la fagocitosi i macrofagi vanno incontro a un fortissimo aumento

dell'attività metabolica. Il consumo di ossigeno si raddoppia o si triplica,

aumenta la formazione di ossigeno in forma anionica (O2-) e di perossido

di idrogeno (H2O2).

Il significato funzionale dell’aumento dell’attività respiratoria risiede

nella reattività dei prodotti intermedi della riduzione dell'ossigeno che si

formano nei macrofagi, principalmente anione perossido (O2-) e perossido

d'idrogeno (H2O2). Altri prodotti reattivi che si possono formare sono il

radicale idrossilico libero (OH·) ed ossigeno singoletto. Il principale

effetto benefico è di fornire alla cellula un potente sistema microbicida,

che si va ad aggiungere a quello rappresentato dal versamento di enzimi

idrolitici e di altri fattori nel fagosoma. Oltre che per la fagocitosi,

l'esaltazione del metabolismo respiratorio è essenziale per l'attività

citotossica dei macrofagi nei riguardi di vari bersagli cellulari comprese le

cellule tumorali.

Nei fagociti, durante lo scoppio respiratorio, tutto il perossido d'idrogeno

prodotto viene degradato dentro la cellula ad opera di catalasi, perossidasi

e glutatione-perossidasi. Invece una certa quota dell'anione perossido

prodotto viene liberata al di fuori della cellula. Qui si ha di nuovo

formazione di H2O2 ad opera della superossido-dismutasi (SOD) ed

inoltre dalla reazione tra H2O2 e l'anione superossido si genera radicale

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Page 42: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

idrossilico (OH·). Ciò comporta un effetto tossico sul tessuto. Il danno al

tessuto viene poi esaltato dalla liberazione di componenti tossiche da

fagociti morti. L’eccesso di O2- generatosi nel corso dell'attivazione

metabolica è citotossico per lo stesso fagocita che lo produce e finisce per

causare la morte prematura della cellula.

In condizioni normali il radicale O2- viene ugualmente generato come

sottoprodotto tossico del metabolismo ossidativo, mentre può venire

completamente degradato dalla superossido-dismutasi (SOD). Nei

fagociti attivati è stata invece dimostrata una drastica diminuzione di

SOD, cosicché una buona parte di O2- sfugge alla degradazione

enzimatica e si diffonde nell'ambiente extracellulare.

Oltre alle funzioni di fagocitosi, i macrofagi hanno funzione secernente:

producono e secernono una varietà di sostanze biologicamente importanti.

Queste sostanze possono essere raggruppate in tre categorie: 1) enzimi

che agiscono su proteine extracellulari: collagenasi, elastasi, proteasi

lisosomiali, attivatori del plasminogeno; 2) sostanze implicate nei

processi difensivi: componenti del complemento, interferone, lisozima; 3)

fattori che regolano l'attività di altre cellule, citochine e chemochine.

Mediatori dell'infiammazione

Nell’infiammazione è coinvolto un gran numero di mediatori chimici. Nel

plasma sono presenti dei precursori che vengono attivati, in genere in

seguito a scissioni da parte di enzimi proteolitici, per acquisire le loro

proprietà biologiche, come il sistema del complemento. Esistono invece

dei mediatori prodotti dalle cellule, che vengono immagazzinati in genere

all'interno di granuli intracellulari, ed in risposta ad uno stimolo vengono

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Page 43: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

secreti. Le fonti cellulari più comuni sono le piastrine, i neutrofili, i

monociti/macrofagi e le mastcellule.

Tra i più importanti mediatori della risposta infiammatoria abbiamo

l'istamina, la serotonina, il sistema del complemento, la bradichinina, il

sistema della coagulazione, i metaboliti dell'acido arachidonico, il PAF, le

citochine, le chemochine e l'NO.

L'istamina è ampiamente distribuita nei tessuti e si trova

principalmente nelle mastcellule. Viene liberata in risposta a molti

stimoli: danni fisici, reazioni immunitarie, anafilotossine, citochine (IL-1

e IL-8). L'istamina provoca dilatazione delle arteriole ed aumenta la

permeabilità vasale delle venule, però provoca vasocotrizione delle grandi

arterie. Essa rappresenta il mediatore principale della fase immediata

dell'aumentata permeabilità vasale, che si verifica nell'infiammazione

acuta.

La serotonina è un altro mediatore vasoattivo con azioni simili a

quelle dell'istamina. È presente nelle piastrine e nelle cellule

enterocromoaffini.

Un certo numero di fenomeni della risposta infiammatoria è

mediato da tre fattori interconnessi e derivati dal plasma: il complemento,

le chinine e il sistema della coagulazione.

Il sistema del complemento consta di 20 componenti proteici

(insieme ai loro prodotti di scissione) presenti in altissime concentrazioni

nel plasma. Questo sistema agisce nelle reazioni immunitarie contro gli

agenti microbici, che culminano con la lisi dei microbi da parte del

complesso di attacco alla membrana (MAC). Durante il processo

infiammatorio vengono prodotti alcuni componenti del complemento che

provocano l'aumento della permeabilità vascolare, la chemiotassi e

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Page 44: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

l'opsonizzazione. I componenti del complemento presenti nel plasma in

forma inattiva vengono numerati da C1 a C9.

I fattori derivati dal complemento influiscono su molti fenomeni

dell'infiammazione acuta: 1) fenomeni vascolari; 2) adesione dei

leucociti, chemiotassi ed attivazione; 3) fagocitosi. Tra i fattori del

complemento, il C3 ed il C5 rappresentano i più importanti mediatori

dell'infiammazione. La loro importanza è anche aumentata dal fatto che

possono essere attivati da una quantità di enzimi proteolitici presenti

nell'essudato infiammatorio, fra i quali enzimi proteolitici liberati dai

neutrofili. Perciò l'effetto chemiotattico del complemento e gli effetti

attivanti il complemento dei neutrofili possono instaurare un ciclo di

migrazione dei neutrofili che si perpetua da solo.

La bradichinina è un potente fattore vasodilatatore che causa anche

contrazione della muscolatura liscia, essa viene rapidamente inattivata

dalla chininasi.

Il sistema della coagulazione è un altro gruppo di proteine

plasmatiche coinvolte nell'infiammazione, infatti durante la conversione

del fibrinogeno in fibrina si formano fibrinopeptidi, che causano aumento

della permeabilità vascolare ed hanno attività chemiotattica sui leucociti.

I sistemi del complemento, della coagulazione e delle chinine vanno

incontro a cross-attivazioni, che aumentano la potenza della risposta

infiammatoria.

Molto importante è anche il ruolo svolto dai vari derivati dell'acido

arachidonico. Tra questi vanno segnalati il trombossano A2 per l'azione

vasocostrittrice, i leucotrieni C4, D4 ed E4 per l'attività vasocostrittrice e

l'aumento della permeabilità vascolare, la PGI2, la PGE1, la PGE2 e la

PGD2 per la vasodilatazione ed il leucotriene B4 e l'HETE per la

chemiotassi.

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Page 45: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

Il PAF è coinvolto nella genesi di molti fenomeni caratteristici

dell'infiammazione, tra cui: la vasodilatazione e l'aumento della

permeabilità vascolare (è 1000 volte più potente dell'istamina), l'adesione

dei leucociti all'endotelio e la chemiotassi, agisce infine sulla

degranulazione [151].

Le citochine sono polipeptidi prodotti da molti tipi di cellule, ma

principalmente da linfociti e macrofagi attivati, che modulano le funzioni

di altri tipi di cellule. Le citochine più importanti come mediatori

dell'infiammazione sono IL-1, IL-6, IFNγ, TNFα, TNFβ e la famiglia

dell'IL-8.

IL-1 e TNFα hanno in comune molte proprietà biologiche e sono prodotti

da macrofagi attivati, TNFβ è prodotto dalle cellule T attivate [152].

La secrezione di questi fattori può essere stimolata da endotossine,

immunocomplessi, tossine, danni fisici e da una varietà di processi

infiammatori. Le citochine possono agire sulla stessa cellula da cui

vengono prodotte (effetto autocrino), su cellule nelle immediate vicinanze

(effetto paracrino) o per via sistemica (effetto endocrino). Le loro azioni

più importanti nell'infiammazione riguardano l'endotelio, i leucociti, i

fibroblasti e l'induzione delle reazioni sistemiche della fase acuta.

L’interleuchina-1 (IL-1) rappresenta uno dei principali effettori della

risposta infiammatoria nel macrofago. Ne sono note due isoforme, IL-1α,

che si trova per la maggior parte associata alla membrana cellulare, ed

IL-1β, che viene invece secreta. Prodotta da cellule delle linee mieloide e

linfoide, essa veicola un segnale immuno-stimolante e pro-infiammatorio

nei confronti di cellule T e B, dei monociti e dei macrofagi [153]. IL-1α e

IL-1β stimolano l'espressione di vari geni associati all'infiammazione e

alle malattie autoimmuni; tra i più importanti la cicloossigenasi 2

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(COX-2), la fosfolipasi A2 e l'ossido nitrico sintetasi inducibile (iNOS).

IL-1 aumenta anche l'espressione di molecole di adesione come ICAM-1

sulle cellule mesenchimali e VCAM-1 sulle cellule endoteliali. Questa

proprietà promuove l'infiltrazione di cellule dell'infiammazione ed

immunocompetenti nello spazio extravasale [152].

L’interleuchina-6 (IL-6) è considerata una citochina pro-infiammatoria

attiva nella generazione e nella coordinazione della risposta immune. In

particolare, tra i suoi effetti vi sono l’attivazione delle cellule B che

vengono indotte a sintetizzare anticorpi, l’incremento della permeabilità

vascolare e l’induzione delle risposte di fase acuta, ovvero quella serie di

eventi a carico di organi metabolici (fegato) ed esecutivi (cellule

immunitarie) che vanno a supportare l’instaurarsi della difesa

immunitaria. A differenza di IL-1, però, IL-6 può anche veicolare risposte

anti-infiammatorie, inibendo la sintesi di TNFα ed inducendo la sintesi

dei recettori solubili per TNFα ed IL-1, i quali diminuiscono i livelli di

citochine disponibili per l’induzione della risposta infiammatoria [154].

Gli interferoni (IFN) possono essere suddivisi in due gruppi sulla base

delle loro caratteristiche strutturali e dei recettori a cui si legano. Gli IFN

di tipo II comprendono IFNα, IFNβ, IFNω e IFNτ, accomunati dalle

caratteristiche strutturali e recettoriali, mentre la molecola dell’IFNγ (IFN

di tipo I) si differenzia per struttura dalle altre e possiede un recettore

distinto. IFNγ riveste un ruolo di rilievo nella regolazione dell’attività

immunitaria, essendo in grado di indurre l’espressione di molecole di

adesione e del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) di classe

II, di stimolare la risposta umorale e cellulare e l’interazione dei linfociti

con l’endotelio vascolare [155].

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Il tumor necrosis factor α (TNFα), spesso considerato il prototipo delle

citochine pro-infiammatorie, viene prodotto dai monociti/macrofagi, dalle

cellule dendritiche o dai linfociti ed esercita i suoi effetti su una

vastissima gamma di cellule sulle quali può intervenire per influenzarne

crescita e differenziamento.

TNFα provoca l'aggregazione e l'attivazione dei neutrofili, con aumentata

risposta di queste cellule ad altri mediatori, e la liberazione di enzimi

proteolitici da parte delle cellule mesenchimali, contribuendo al

danneggiamento dei tessuti [153].

IL-8 è secreta da macrofagi attivati ed è un potente chemiotattico ed

attivatore dei neutrofili, mentre ha poca attività sui monociti e sugli

eosinofili. La sua produzione viene indotta principalmente da altre

citochine, come IL-1 e TNFα.

Della stessa famiglia di IL-8 fanno parte MCP-1 (Monocyte

Chemoattractant Protein-1), che è un agente chemiotattico ed attivante per

i monociti, e RANTES (Regulated upon Activation Normal T cell

Expressed and Secreted), fattore chemiotattico per i timociti [156].

Le chemochine costituiscono un sofisticato sistema di

comunicazione usato da tutti i tipi cellulari, comprese le cellule

immunitarie. Le chemochine sono classificate in base alla loro

composizione aminoacidica, in particolare per la presenza di un motivo

conservato di quattro cisteine. La posizione relativa delle prime due

cisteine, separate da un aminoacido non conservato o contigue, permette

la divisione delle chemochine in due sottoclassi: CXC e CC. Inoltre tre

molecole omologhe sono classificate come chemochine: CXC3CL1, che

presenta tre aminoacidi tra le prime cisteine, e XCL1 e XCL2, che non

presentano due delle quattro canoniche cisteine delle chemochine.

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A tutt'oggi sono conosciute 43 chemochine umane, tuttavia la presenza di

isoforme, polimorfismi e splicing alternativi aumenta notevolmente il

numero di chemochine che agiscono nell'uomo. Esse agiscono legandosi a

specifici recettori accoppiati a proteine G, nell'uomo ne sono stati

riconosciuti 19. Le chemochine influenzano molti aspetti della cellula non

solo la chemotassi e l'adesione, ma anche la proliferazione, la

maturazione, il differenziamento, l'apoptosi e la trasformazione maligna.

Le chemochine sono indispensabili per la risposta infiammatoria in

quanto coordinano la migrazione delle cellule della risposta immune che

avviene sia in seguito all'esposizione ad un agente infettivo sia nel

normale sviluppo del sistema immunitario [157].

L'ossido nitrico è un gas solubile che viene prodotto dall'enzima

NO-sintasi (NOS) che è espresso in tre isoforme denominate nNOS o

NOS-1, costitutivamente espressa a livello prevalentemente neuronale,

iNOS o NOS-2, inducibile, in particolare nelle cellule della serie

leucocitaria, ma anche in talune cellule endoteliali ed epiteliali, negli

epatociti e nei neuroni, ed eNOS o NOS-3, costitutivamente espressa

principalmente a livello delle cellule endoteliali. Bassi livelli di ciascuna

isoforma possono essere espressi anche in tipi cellulari diversi.

La sua emivita in vivo è molto breve, quindi la sua azione è limitata alle

cellule adiacenti al sito in cui viene prodotto.

L'effetto dell'NO deve essere probabilmente ricondotto ai prodotti della

sua interazione con le specie radicaliche dell’ossigeno. Ad esempio la

reazione con l’anione superossido O2-, prodotto dall’attività della

superossido dismutasi, genera il radicale perossinitrito ONOO- a sua volta

instabile, che, in presenza di CO2 come catalizzatore, libera, fra gli altri,

NO2 e CO3- probabilmente i veri responsabili di gran parte degli effetti

tossici inizialmente ascritti ad NO. Questi comprendono effetti di

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alchilazione del DNA dovuta ad alterazione in senso genotossico di

molecole aggredite da specie radicaliche dell’azoto; oppure alterazione

dell’attività di proteine regolatorie che possono essere nitrate o nitrosate

in corrispondenza di residui importanti per la loro funzione, con un effetto

che può rendersi manifesto a diversi stadi lungo la loro via di segnale,

fino ad influenzare la stessa espressione genica.

Oltre che agire sulla muscolatura liscia vasale, inducendone la

dilatazione, l'NO ha anche altri ruoli nell'infiammazione, fra cui la

riduzione dell'aggregazione e dell'adesività piastriniche.

Inoltre l'NO prodotto dai macrofagi, agendo come radicale libero, è

citotossico sia per i microbi e le cellule tumorali, sia per le cellule sane,

quindi una sua iper-produzione può portare a danno tissutale.

L’induzione della trascrizione di iNOS può essere mediata da una serie di

citochine pro-infiammatorie come IL-1β, TNFα ed IFNγ, che la

modulano attraverso l’attivazione di fattori di trascrizione attivi su

elementi responsivi a STAT1 e ad NF-κB [158].

È stato dimostrato che NO up-regola mediatori pro-infiammatori, come

TNFα, IL-8 e la stessa iNOS. Questi effetti sono mediati dall'attivazione

di NF-κB [159].

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IL FATTORE NUCLEARE κκκκB (NF-κκκκB)

NF-κB è un fattore di trascrizione sequenza-specifico ben conosciuto per

il suo coinvolgimento nell'infiammazione e nella risposta immunitaria

innata. Inoltre è sempre più accertato un suo coinvolgimento nello

sviluppo tumorale [160]. È stato descritto per la prima volta nel 1986

come un fattore nucleare necessario per la trascrizione della catena

leggera κ delle immunoglobuline nei linfociti B, e da qui il nome nuclear

factor-κB [161, 162].

NF-κB è un fattore di trascrizione dimero espresso in modo ubiquitario,

anche se il suo ruolo è più studiato nelle cellule del sistema immunitario.

Nelle cellule B e nelle plasma-cellule, NF-κB è localizzato nel nucleo,

dove lega una regione di dieci paia di basi dell'enhancer intronico kappa e

promuove la trascrizione [163]. Nelle altre cellule è mantenuto

citoplasmatico dal suo inibitore, IκB (Inhibitor of NF-κB) [164-166].

Classificazione dei membri di NF-κB

Le proteine che costituiscono NF-κB appartengono alla famiglia Rel.

Fanno parte della famiglia Rel proteine di Drosophila melanogaster

(Dorsal, Dif e Relish) e di mammifero (p65, RelB, c-Rel, p50, p52)

[167-169]. I vari membri di questa famiglia possono associarsi formando

complessi eterodimerici od omodimerici, eccetto RelB che forma solo

eterodimeri. Il dimero più frequentemente presente è costituito dalla

proteina p65, denominata anche RelA, e dalla proteina p50, chiamata

anche NF-κB1. Ci sono però anche altri dimeri trascrizionalmente attivi

come p50/c-Rel, p65/p65 e p65/c-Rel. Omodimeri di p50 o di p52

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Struttura 3D dell'eterodimero p65/p50

Page 52: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

agiscono invece come repressori [170-174]. L’attività costitutiva di

NF-κB nei linfociti B è principalmente attribuibile agli eterodimeri

p50/c-Rel [163, 175]. Tuttavia nella maggior parte delle cellule l’attività

di NF-κB è largamente inducibile e il dimero più diffuso è p50/p65.

Ciascun membro della famiglia Rel contiene all’N-terminale una regione

conservata di 300 aminoacidi, detta RHD (Rel Homology Domain). Il

dominio RHD contiene sequenze coinvolte nel legame al DNA e nella

dimerizzazione. Nell’estremità C-terminale del RHD è presente anche una

sequenza di localizzazione nucleare (Nuclear Localization Signal, NLS).

Il fattore di trascrizione NFAT (Nuclear Factor of Activated T cells) ha

anch’esso un dominio RHD ed è da alcuni considerato membro della

famiglia Rel [176].

Le proteine appartenenti alla famiglia Rel si possono suddividere in due

classi in base alla loro sequenza C-terminale. I membri della prima classe

sono p105/p50, p100/p52 e la proteina di Drosophila Relish. Queste

proteine sono caratterizzate da domini ripetuti di anchirina, presenti anche

nelle proteine della famiglia di IκB. p100, il precursore di p50, e p105, il

precursore di p52, sono esclusivamente citosoliche, perché i domini

ripetuti di anchirina mascherano le loro sequenze di localizzazione

nucleare [177]. Queste due proteine sono poi digerite nel dominio N-

terminale a livello di regioni specifiche di 23 aminoacidi ricche di glicina

(Glicine Rich Region, GRR) così da generare p50 e p52. p50 e p52 non

hanno domini di transattivazione e quindi sono trascrizionalmente inattive

[163].

La seconda classe include p65, RelB, c-Rel, Dorsal e Dif. Queste proteine

contengono uno o più domini di transattivazione nella loro regione

C-terminale [178]. In particolare, il dominio di transattivazione di p65

contiene due regioni di transattivazione, una di 30 aminoacidi a livello

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C-terminale, detta TA1, e una di 90 aminoacidi, adiacente al TA1,

chiamata TA2. Sia nel dominio TA1 che nel dominio TA2 sono presenti siti

di fosforilazione importanti per l’attivazione di p65. Questi domini,

quando legano le sequenze bersaglio, assumono una conformazione ad α

elica.

Attivazione di NF-κB

In assenza di uno stimolo infiammatorio, NF-κB è localizzato nel

citoplasma complessato con una proteina inibitoria chiamata IκB

(Inhibitor of NF-κB), che maschera la sua sequenza di localizzazione

nucleare (NLS). Quando uno stimolo extracellulare attiva la via di NF-κB

si attivano le IKK, chinasi specifiche per IκB, che fosforilano IκBα sulle

serine 32 e 36. Tale fosforilazione promuove la reazione di

poliubiquitinazione sulle lisine 21 e 22 e quindi la rapida degradazione di

IκBα da parte del proteasoma 26S. In assenza di IκB è dunque

smascherata la sequenza di localizzazione nucleare e NF-κB può migrare

nel nucleo dove attiva la trascrizione dei geni bersaglio. Fra i geni

responsivi a NF-κB troviamo anche IκBα. Quando IκBα è stato

risintetizzato, entra nel nucleo, perché ha, all’interno del dominio di

anchirina ripetuto (Ankyrin Repeat Domain, ARD), una sequenza di

localizzazione nucleare che permette il suo ingresso nel nucleo. Qui si

lega ad NF-κB bloccandone l’attività trascrizionale e complessata a NF-

κB torna nel citoplasma, grazie alla presenza di sequenze di esporto

nucleare (Nuclear Export Sequences, NES) ricche di leucine localizzate

nei dominii C-terminale (aminoacidi 265-277) ed N-terminale

(aminoacidi 45-54) di IκBα [179].

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I membri della famiglia di NF-κBda Sankar Ghosh, Michael J. May and Elizabeth B. KoppAnnu. Rev. Immunol. Vol.16 April 1998 modificata

Page 55: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

Delezioni o mutazioni nelle sequenze NES determinano la localizzazione

nucleare dei complessi NF-κB/IκBα. In più la leptomicina B, inibitore

dell’esportina CRM1, determina un accumulo nel nucleo dei complessi

NF-κB/IκBα inattivi. Esiste quindi un meccanismo di feed-back negativo

che regola l’attività trascrizionale di NF-κB.

È stato quindi proposto un modello dinamico secondo il quale i complessi

NF-κB/IκBα migrano continuamente tra il nucleo e il citoplasma.

Tuttavia la velocità del trasporto dal nucleo al citoplasma è molto

maggiore di quella dal citoplasma al nucleo, in accordo con la prevalente

localizzazione citoplasmatica dei complessi NF-κB/IκBα [180-182]. La

trascrizione di IκBβ invece non è regolata da NF-κB, perciò in cellule in

cui IκBβ è preponderante, l’attivazione di NF-κB è persistente nel tempo.

Gli stimoli in grado di attivare NF-κB possono essere raggi UV, intermedi

reattivi dell’ossigeno, proteine virali, LPS, ma anche diverse citochine

come TNFα ed IL-1.

L'inibitore di NF-κB e le chinasi IKK

Le proteine della famiglia di NF-κB posseggono degli inibitori specifici:

le proteine IκB. Esistono diverse proteine IκB: IκBα , IκBβ, IκBγ, IκBε,

Bcl-3 nei vertebrati superiori e Cactus in Drosophila. Inoltre anche p105 e

p100 hanno regioni simili a IκB. Tutti questi inibitori contengono regioni

di omologia: i motivi ripetuti di anchirina (Ankyrin Repeat Motifs),

necessari per l’interazione proteina-proteina. Ciascun membro della

famiglia IκB differisce per il numero di queste sequenze che conferisce la

specificità per i diversi dimeri NF-κB.

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L'attivazione di NF-κBda Yumi Yamamoto and Richard B. GaynorTRENDS in Biochemical Sciences Vol.29 No.2 February 2004 modificata

Degradazionenel proteasoma

Page 57: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

Sono anche presenti regioni ricche di aminoacidi coinvolti

nell’interazione con le sequenze di localizzazione nucleare e di legame al

DNA di NF-κB. È presente anche una sequenza C-terminale, detta PEST

(pro-glu/asp-ser-thr), coinvolta nella regolazione della degradazione di

IκB.

La proteina meglio caratterizzata della famiglia è IκBα, una proteina di

circa 37 kDa. Sia IκBα sia IκBβ regolano la maggior parte dei dimeri

p50/p65 e p50/c-Rel. IκBε lega esclusivamente i dimeri p65/p65 e

p65/c-Rel, perciò regola l’espressione di specifici geni come IL-8, il cui

promotore lega preferenzialmente i complessi p65 e c-Rel.

Come detto sopra la fosforilazione di IκB è effettuata dalle IκB chinasi

(IKK). IKK è un complesso proteico e ne fanno parte tre polipeptidi:

IKK α, IKKβ, le subunità catalitiche e IKKγ/NEMO, la subunità inibitoria

[183]. IKKα e IKKβ hanno una struttura molto simile. Entrambe

contengono un dominio protein chinasico all’N-terminale, un motivo a

“cerniera di leucina” (leucine zipper) e un motivo elica-ansa-elica al

C-terminale. IKKγ contiene un motivo a “cerniera di leucina” e il dominio

ad α elica, ma non la regione catalitica. I complessi di IKK nativi trovati

nei mammiferi sembrano essere costituiti da eterodimeri IKKα/IKK β e da

un numero imprecisato di IKKγ. L’attivazione di IKK dipende dalla

fosforilazione di IKKβ.

Fosforilazione di NF-κB

L’attivazione di NF-κB coinvolge la fosforilazione di p65 da parte di

diverse chinasi. L’LPS, ad esempio, stimola la fosforilazione PKA-

dipendente della serina 276 nel RHD di p65 e il conseguente reclutamento

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RHD TA2 TA1

PMA

CaMKiV

PKC ζ

S 276 S 529 S 536

LPS

PKAc MSK 1

TNF

CKII IKK

IL-1

Le fosforilazioni di p65da Linda Vermeulen et al.Biochemical Pharmacology Vol.64 No.5-6 September 2002 modificata

1 551

Page 59: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

di CREB binding protein (p300/CBP) [184]. Ciò stimola l’attività

trascrizionale di p65. Il TNFα induce invece la fosforilazione della Ser

529 nel dominio di transattivazione C-terminale. Questa fosforilazione

aumenta l’attività trascrizionale, ma non influenza la traslocazione

nucleare o la capacità di legare il DNA [185]. È stato poi dimostrato che

la fosforilazione della Ser 529 è effettuata dalla casein chinasi II (CKII).

Inoltre si è visto che l’associazione tra IκBα e p65 inibisce la

fosforilazione di p65 da parte della CKII e che, in seguito alla

degradazione di IκBα, CKII può fosforilare p65 e aumentarne l’attività

trascrizionale [186]. TNFα induce anche la fosforilazione, da parte del

complesso IKK, della Ser 536 nel dominio di transattivazione TA1 di p65

[187].

Recentemente si è scoperto che l’LPS induce anche la fosforilazione della

Ser 536 [188]. IKKβ gioca un ruolo essenziale in questa fosforilazione,

mentre IKKα è solo parzialmente coinvolta. Inoltre la fosforilazione di

p65 sulla Ser 536 aumenta la sua attività trascrizionale [189].

Il PMA (un estere del forbolo) induce la fosforilazione del dominio di

transattivazione TA2 di p65, tra gli aminoacidi 442 e 470 e questa

fosforilazione aumenta l’attività trascrizionale. Inoltre una

sovraespressione della Ca2+/Calmodulina chinasi IV determina la

fosforilazione nella regione C-terminale. La PKCζ invece fosforila

l’RHD. Recentemente si è scoperto che p65 è fosforilato a livello della

Ser 276 non solo dalla PKA, ma anche dalla chinasi nucleare MSK-1 in

risposta al trattamento con il TNFα. MSK-1 è a sua volta attivata sia da

ERK che da p38, ed è stata inizialmente identificata come una CREB

chinasi molto potente. La fosforilazione e la conseguente attivazione

trascrizionale di p65 da parte di MSK-1, in risposta al trattamento con il

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Page 60: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

TNFα, è un processo rapido, che raggiunge un massimo 10-15 minuti

dopo l’induzione e ritorna a livelli basali dopo 30 minuti [190].

Il ruolo della fosfatidilinositolo 3-chinasi e di Akt nell’attivazione di NF-

κB è ancora oggetto di studio. Alcuni lavori hanno evidenziato una

potenziale attività antinfiammatoria della PI3K: l'attivazione della via

della fosfatidilinositolo 3-chinasi porta ad un'inibizione dell'espressione di

geni proinfiammatori [191-195]. Tuttavia altri gruppi hanno evidenziato

come l'uso di inibitori farmacologici della PI3K porti ad una diminuzione

dell'attività di NF-κB, quindi un ruolo proinfiammatorio della cascata

PI3K/Akt [196-199]. Sulla base delle evidenze finora pubblicate si

ipotizza quindi che l'effetto della PI3K su NF-κB dipenda dal tipo

cellulare preso in esame.

Acetilazione di NF-κB

L’acetilazione è un'altra modalità con cui NF-κB può essere regolato. Il

TNFα induce l’acetilazione di p65 impedendo così il legame tra p65 e

IκBα. Responsabile di questa acetilazione in vivo è p300/CBP (CREB

Binding Protein), che possiede attività acetil transferasica degli istoni

(HAT) ed è in grado di acetilare, oltre agli istoni, diversi fattori di

trascrizione. p300/CBP acetila le lisine 218, 221 e 310 di p65.

L’acetilazione della Lys 221 aumenta il legame al DNA e inibisce il

legame ad IκBα di p65. L’acetilazione della Lys 310 è invece necessaria

per la completa attività trascrizionale di p65, ma non ha effetti sul legame

al DNA o ad IκBα. p65 acetilata è successivamente deacetilata per

interazione con la deacetilasi degli istoni HDAC3. Questa deacetilazione

promuove il legame con IκBα e ha come conseguenza il trasporto del

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Page 61: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

complesso nel citoplasma [200, 201].

Un recente lavoro giunge però a conclusioni opposte. Gli autori

sostengono che p65 è acetilato da p300/CBP e PCAF sulle lisine 122 e

123. Inoltre affermano che l’acetilazione impedisce il legame al DNA di

p65 e ne favorisce l’esporto dal nucleo mediato da IκBα [202].

Geni regolati da NF-κB

I geni bersaglio di NF-κB contengono nel loro promotore la sequenza

consenso di legame al DNA di NF-κB ossia GGGRNNYYCC (R=purina,

Y=pirimidina, N=una base qualsiasi), ma sono ammesse variazioni che

conferiscono specificità per i diversi eterodimeri [203, 204].

I principali geni bersaglio di NF-κB sono i geni dell’infiammazione [205].

Possiamo distinguere tra geni precoci, la cui espressione è

immediatamente successiva all'ingresso di NF-κB nel nucleo, e geni

tardivi, che vengono espressi in seguito alla seconda fase dell'attivazione

di NF-κB. Tra i più importanti geni precoci abbiamo IκBα, MnSOD e

MIP-2. Tra i geni tardivi, la cui sintesi inizia dopo 90 e 120 minuti

dall'attivazione di NF-κB, vi sono numerose citochine come IL-1, IL-2,

IL-6, IL-8, GM-CSF, INFγ, TNFα ed alcune chemochine come RANTES

e MCP-1 [206]. È stimolata anche la produzione di proteine della fase

acuta. Queste includono la proteina amiloide del siero A,

l’angiotensinogeno, componenti del complemento.

Fanno parte dei geni bersaglio anche la COX-2 e iNOS, molto importanti

per le risposte infiammatorie, e proteine di adesione come VCAM-1 ed

ICAM-1. Citochine come IL-1 e TNFα oltre a essere sintetizzate in

risposta a NF-κB sono anche in grado di attivare NF-κB, con un

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meccanismo di feed-back positivo.

NF-κB e l'infiammazione

L’attivazione di NF-κB è coinvolta nella patogenesi di malattie

infiammatorie croniche, come l'aterosclerosi, l’asma, l’artrite reumatoide

e malattie infiammatorie dell’intestino. In più un'alterata regolazione di

NF-κB è stata riscontrata in malattie come l’Alzheimer, in cui la risposta

infiammatoria è parzialmente coinvolta.

Molti geni proinfiammatori importanti per la patogenesi dell'aterosclerosi

sono regolati da NF-κB, che è presente in forma attivata nella placca

aterosclerotica. Uno dei primi eventi nell'aterogenesi è l'attivazione

dell'endotelio vascolare, che porta al reclutamento di monociti e linfociti

T. Una volta arrivati nella parete vasale, i monociti differenziano a

macrofagi e quindi, una volta fagocitati i lipidi, in cellule schiumose. In

seguito si ha una migrazione di cellule muscolari lisce dalla media

all'intima, con susseguente proliferazione e deposizione di matrice

extracellulare. Ciò porta alla formazione di una placca matura. Gli eventi

acuti si possono originare o da una stenosi del vaso o da una

complicazione trombotica. Alcuni gruppi hanno rilevato la traslocazione

nucleare di NF-κB nell'intima e nella media di lesioni aterosclerotiche, in

cellule muscolari lisce, in macrofagi, cellule endoteliali e linfociti T.

Mentre analisi di pareti vasali sane hanno dimostrato una localizzazione

citoplasmatica di NF-κB [207, 208]. Nel contesto dell'aterosclerosi vi

sono molti stimoli che possono attivare NF-κB, tra cui fattori locali,

come: ingiurie vascolari, LDL modificate, agenti infettivi e citochine

[209].

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Page 63: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

In diversi studi è stato messo in evidenza come l’attivazione dei geni delle

citochine da parte di NF-κB contribuisca alla patogenesi dell’asma, che è

caratterizzato da infiltrazione delle cellule infiammatorie e dalla

deregolazione di citochine e chemochine nel polmone [210].

Anche nell’artrite reumatoide è coinvolta l’attivazione della via di NF-κB.

Nel fluido sinoviale di pazienti colpiti da questa malattia si trovano

elevati livelli di TNFα e di altre citochine [211]. La produzione di TNFα

è indotta da NF-κB, ma TNFα a sua volta stimola l’attivazione di NF-κB,

con un meccanismo di feed-back positivo. Anticorpi contro TNFα o

recettori troncati del TNFα migliorano i sintomi dei pazienti affetti da

artrite reumatoide.

L’attivazione di NF-κB è stata riscontrata in biopsie di campioni

provenienti da pazienti con coliti ulcerative ed il morbo di Crohn [212].

Queste malattie infiammatorie intestinali sono caratterizzate dalla

produzione di citochine proinfiammatorie sia dai macrofagi che dai

linfociti. Il trattamento con antinfiammatori diminuisce i sintomi.

Anormalità nell’attivazione di NF-κB si trovano anche nella malattia di

Alzheimer (AD). Immunoreattività per NF-κB è stata riscontrata nelle

placche precoci, mentre nelle placche mature c’è una riduzione

dell’attività di NF-κB. L’attivazione di NF-κB può quindi essere

coinvolta nell’iniziazione delle placche neuritiche e nell’apoptosi

neuronale durante le fasi iniziali dell’Alzheimer [213].

L’immunoreattività per p65 è infatti aumentata in neuroni ed astrociti

nell’immediata vicinanza della placca amiloide in sezioni di cervelli di

pazienti colpiti dalla malattia di Alzheimer. Altri studi di

immunoistochimica mostrano che nel cervello di pazienti con l’AD

l’attività di NF-κB è accresciuta e che NF-κB è localizzato

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Page 64: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

costitutivamente nel nucleo [214]. Inoltre il peptide β amiloide (Aβ) può

attivare NF-κB in neuroni in coltura. In più è stato osservato che la

regione “enhancer” in 5’ del gene che codifica βAPP contiene siti di

legame NF-κB [215]. E’ possibile così che l’attivazione di NF-κB nei

neuroni porti all’aumento della produzione di APP.

Farmaci che agiscono su NF-κB

Alcuni farmaci, che sono usati per trattare patologie infiammatorie,

svolgono la loro azione inibendo l'attività di NF-κB. Vi sono tre possibili

meccanismi d'azione: 1) inibizione della fosforilazione e degradazione di

IκBα: è stato dimostrato che alcuni FANS come aspirina, sulfasalazina e

sulindac [216-218], la ciclopentenone prostaglandina 15dPGJ2 [219] e

alcuni composti naturali come il resveratrolo [220] inibiscono l'attività di

IKK, diminuendo la fosforilazione e la degradazione di IκBα; 2)

inibizione dell'attività di NF-κB sulla trascrizione genica: interazioni

dirette tra il recettore dei glucocorticoidi ed NF-κB [221, 222] e il

complesso basale della trascrizione [223] sono state proposte per spiegare

l'effetto inibitorio che i glucocorticoidi hanno sulla trascrizione dei geni

regolati da NF-κB. Anche gli agonisti dei PPAR α e γ inibiscono geni

attivati da NF-κB [224]; 3) induzione dell'espressione di IκBα: un altro

meccanismo d'azione proposto per i glucocorticoidi è l'induzione del gene

di IκBα [225, 226], che esporta NF-κB dal nucleo e lo mantiene inattivo

nel citoplasma [182].

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NF-κB ed LPS

L’endotossina batterica lipopolisaccaride (LPS) è il principale

componente della membrana esterna della parete dei batteri Gram-

negativi. La porzione polisaccaridica dell’LPS è costituita da un nucleo

polisaccaridico e dall’antigene-O. La porzione lipidica è rappresentata dal

lipide A, responsabile della tossicità dell’LPS.

L’LPS è trasportato nel plasma dalla proteina legante l’LPS (LPS Binding

Protein, LBP). È poi riconosciuto dal recettore CD14, espresso nelle

cellule della linea mieloide [227]. CD14 ha la funzione di legare l’LPS e

trasferirlo al complesso del recettore TLR-4 (Toll-Like Receptor-4) e

della proteina accessoria MD-2. I recettori della famiglia TLR sono

proteine transmembrana con un dominio citoplasmatico conservato detto

Toll, presente anche nel recettore dell'IL-1, in grado di trasferire il segnale

all’interno della cellula tramite differenti vie che portano all’attivazione di

fattori di trascrizione. NF-κB è uno dei fattori di trascrizione attivato

dall’LPS.

Il dominio Toll di TLR-4 interagisce con la proteina adattatrice MyD88.

Questa proteina contiene dei domini legati alla morte cellulare (Death

Domains, DD) tramite i quali interagisce con i DD della chinasi IRAK,

nota anche come SIIK (Serine/threonine Innate Immunity Kinase). IRAK

attiva TRAF6 (TNFα Receptor Associated Factor). TRAF6 tramite la

proteina ECSIT (Evolutionarily Conserved Signalling Intermediate in

Toll pathways) attiva MEKK1, che a sua volta attiva IKK mediante

fosforilazione. Inoltre TRAF6 tramite la proteina adattatrice TAB2 attiva

la chinasi TAK1 che fosforila IKK. IKK attivata fosforila IκBα,

provocandone la degradazione. L’LPS stimola anche l’attivazione di tutte

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le vie delle MAP chinasi: ERK1/ ERK2, JNK e p38 che, a loro volta,

fosforilano e attivano fattori nucleari come Elk-1, Jun, Fos, ATF-1, ATF-

2 e CREB. Inoltre l'LPS attiva la via di segnale PI3K/Akt.

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Le vie di traduzione del segnale di LPS

LPS

IkBαααα

IKKαααα

kB-site

NF-κκκκB

TLR4

RAS

PI3K MAPKK

ERK1/2

SRE

Elk1 SRFNF-κκκκB

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ESTROGENI ED INFIAMMAZIONE DEL

SISTEMA NERVOSO

Studi clinici e sperimentali indicano che l'E2 influenza l'attività del

sistema nervoso centrale mediante la modulazione dei processi cognitivi

della postura, del movimento fine, dell'umore e dell'affettività. Inoltre il

17β-estradiolo esercita un'azione protettiva contro la neurodegenerazione

e gli insulti al cervello, effetti che possono spiegare l'azione benefica

dell'ormone sulle capacità cognitive, sulla mobilità e sulla sfera affettiva.

Molte ipotesi sono state avanzate per spiegare il meccanismo dell'azione

neuroprotettiva dell'estrogeno: 1) l'attività trofica degli estrogeni. È stato

osservato che il 17β-estradiolo stimola la crescita dei neuriti, la

differenziazione, la formazione di sinapsi. L'ormone inoltre modula la

sintesi di fattori di crescita come NGF, BDNF, IGF-1, TGFβ ed i relativi

recettori. Durante la maturazione del sistema nervoso centrale l'attività

dell'E2 continua ed assicura che i neuroni mantengano le connessioni

sinaptiche indispensabili per il signaling e la sopravvivenza neurale; 2)

l'E2 può regolare positivamente la sintesi di proteine che proteggono il

neurone dall'apoptosi. Questa azione dell'ormone si esplica, molto

probabilmente, attraverso l'attivazione della sintesi di proteine

antiapoptotiche, come Bcl-2 e BclXL, e l'inibizione dell'espressione di

proteine proapoptotiche come BNIP2 [228]; 3) il 17β-estradiolo può

indurre proliferazione delle cellule staminali per rimpiazzare i neuroni che

sono degenerati; 4) l'ormone può influenzare la risposta infiammatoria

controllando la reattività della microglia e la funzionalità vascolare [92,

229].

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Page 69: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

Estrogeni e patologie a componente infiammatoria del sistema

nervoso

Effetti antinfiammatori degli estrogeni sono stati descritti in malattie

dell’uomo, modelli animali di malattie umane ed in sistemi cellulari.

Numerosi studi mostrano che gli estrogeni hanno un effetto protettivo

contro malattie con una componente infiammatoria ritardandone

l’insorgenza e/o attenuandone i sintomi. Tra le malattie a componente

infiammatoria su cui gli estrogeni hanno azione, ricordiamo: la sclerosi

multipla, la leucodistrofia a cellule globoidi, l’artrite reumatoide,

l’ischemia cerebrale e la malattia di Alzheimer.

La sclerosi multipla

La sclerosi multipla (SM) o sclerosi a placche è una malattia cronica

grave del sistema nervoso centrale, che colpisce prevalentemente soggetti

adulti. È caratterizzata dalla presenza di aree di demielinizzazione,

definite placche, e da infiltrazione di linfociti T e macrofagi a livello di

sistema nervoso centrale. Le placche possono essere ovunque nella

materia bianca del sistema nervoso centrale, ma più frequentemente sono

a livello di midollo spinale, cervelletto e nervi ottici. Gli effetti della

perdita della mielina sulle fibre nervose sono molto gravi: è impedita la

conduzione saltatoria e quindi l’impulso è trasmesso più lentamente lungo

l’assone o addirittura c’è un blocco della conduzione a livello del sito

della lesione [230].

Una specifica causa alla base di questa malattia non è stata ancora

identificata. Sulla base dei risultati delle ricerche scientifiche fino ad ora

condotte, si ritiene che siano coinvolti fattori genetici e ambientali. Gli

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Page 70: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

individui assumono il rischio relativo dell'ambiente in cui trascorrono i

primi quindici anni della loro vita [231]. L’incidenza di SM in chi ha un

parente di primo grado colpito dalla malattia è 20 volte maggiore che

nella popolazione generale. Inoltre, studi su gemelli monozigoti mostrano

che il tasso di concordanza è del 30%. Gemelli eterozigoti mostrano un

tasso di concordanza minore del 5% [232].

La SM sembra essere associata ad alcuni alleli di HLA (Human

Leukocyte Antigen): in particolare l’allele DR2 è associato ad un rischio

relativo di sviluppare la malattia 4 volte superiore nella popolazione

caucasica. Questi risultati suggeriscono che sia fattori genetici che

ambientali, probabilmente virali, sono importanti per lo sviluppo della

malattia. Solitamente l’insorgenza della SM è durante il periodo

riproduttivo. Circa il 70% dei pazienti manifesta i sintomi tra 21 e 40

anni. Solo in rare eccezioni la malattia si manifesta prima dei 10 e dopo i

60 anni.

Così come in altre malattie autoimmunitarie, le femmine sono colpite più

frequentemente dei maschi. Le donne hanno una probabilità di sviluppare

la malattia 2-3 volte maggiore degli uomini.

La sclerosi multipla è spesso caratterizzata da episodi di disfunzioni

neurologiche seguiti da periodi di stabilizzazione e di remissione parziale

o completa dei sintomi. Le ricadute seguono spesso un episodio

d’infezione virale alle vie aeree superiori o al tratto gastrointestinale. In

circa la metà dei casi di SM la malattia progredisce fino a diventare

cronica.

I sintomi clinici della malattia sono interamente attribuibili alla patologia

a livello del SNC. I sintomi più comuni includono insensibilità a livello

delle mani e degli arti inferiori, emiparestesie, visione doppia o a macchie

e altri disturbi visivi che possono culminare nella cecità, problemi

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Page 71: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

cerebellari (mancanza di coordinazione e perdita di equilibrio),

intolleranza al calore, disturbi motori (spasticità, paraplegia, paresi),

incontinenza urinaria, depressione, ansietà.

Non c’è ancora una cura per questa malattia, però ci sono farmaci per

trattarne i sintomi. Interferone β-1β (Betaseron) e interferone β-1α

(Avonex) sono usati con successo per ridurre la frequenza e la severità

delle ricadute. Anche i glucocorticoidi sono utilizzati comunemente nelle

fasi in cui la malattia si aggrava.

La SM è una malattia a base autoimmunitaria. I linfociti T per motivi

ancora sconosciuti vengono sensibilizzati contro la guaina mielinica che

riveste gli assoni dei neuroni del SNC. Una volta attivati i linfociti T

attraversano la barriera ematoencefalica ed entrano nel SNC. I linfociti

sono in grado di attraversare i capillari (diapedesi) in virtù di molecole di

adesione come l’integrina α4, CD4 e VLA-4. Attraversate le pareti dei

capillari, i linfociti T producono metalloproteasi, che permettono di

degradare il collagene di tipo IV della matrice extracellulare. Così i

linfociti T possono raggiungere la materia bianca del SNC. Si pensa che

siano i linfociti Th1 a giocare un ruolo critico nell’inizio e nell’espansione

dei danni al SNC. Questa sottoclasse di linfociti T helper è in grado di

produrre citochine e chemochine.

Alcuni studi hanno dimostrato un aumento di TNFα, MCP-1, MIP-1α,

MIP-1β e RANTES nel SNC di soggetti con sclerosi multipla. Queste

citochine e chemochine richiamano nel SNC cellule mononucleate:

linfociti, macrofagi e plasmacellule e attivano la microglia residente. La

risposta infiammatoria acuta di linfociti, plasmacellule e macrofagi

produce demielinizzazione, in quanto i linfociti T producono citochine

che stimolano i macrofagi e la microglia residente a fagocitare la mielina.

Inoltre gli oligodendrociti stessi, che sono le cellule del SNC che

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producono la mielina, possono andare incontro ad apoptosi e la gravità

della demielinizzazione è correlata con la quantità di oligodendrociti

eliminati. Nelle fasi precoci della malattia quanti più oligodendrociti sono

preservati a livello della placca più la remielinizzazione rimane possibile.

Se c’è una perdita completa di oligodendrociti la possibilità di una

remielinizzazione diminuisce drasticamente.

Ci sono diverse osservazioni che supportano l’idea che fluttuazioni nei

livelli degli ormoni sessuali siano correlate a cambi nello status della

malattia [233]. Durante la gravidanza, un periodo durante il quale i livelli

di estrogeni sono molto elevati, i sintomi clinici della SM diminuiscono

fino a scomparire [234]. Al contrario, durante il post-partum, in cui i

livelli degli estrogeni sono bassi, i sintomi si aggravano molto [235].

Nelle donne affette da sclerosi multipla peggioramenti della malattia e dei

disturbi neurologici si possono avere nei giorni interessati dal ciclo

mestruale o che lo precedono immediatamente, quindi in momenti

caratterizzati da basse concentrazioni ematiche di estrogeno [236, 237].

Anche l’uso dei contraccettivi orali riduce la disabilità in donne affette da

SM, anche se non sembra diminuire il rischio di malattia [238]. Gli

estrogeni influenzano la produzione di citochine da parte di linfociti Th1

prelevati da donne con SM e messi in coltura [239]. Inoltre durante la

gravidanza diminuiscono i livelli di citochine Th1 proinfiammatorie e

aumentano quelli di citochine Th2 che hanno una funzione inibitoria.

L’Experimental Autoimmune Encephalomyelitis (EAE) detta anche

Experimental Allergic Encephalomyelitis è un modello animale della

sclerosi multipla. Le caratteristiche patogeniche della EAE sono molto

alla simili sclerosi multipla. La EAE è caratterizzata da placche di

demielinizzazione sparse in tutto il SNC che mostrano infiltrazione di

linfociti T, macrofagi e plasmacellule.

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Page 73: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

L’EAE può essere indotta, in ceppi di animali suscettibili, per iniezione di

omogenati di midollo spinale assieme ad adiuvante completo di Freund

(CFA). Anche l’iniezione di componenti purificati della guaina mielinica,

come la proteina basica della mielina (Myelin Basic Protein, MBP), la

proteina della mielina oligodendrogliale (Myelin OligodendroGlial

protein, MOG) e la proteina proteolipidica (ProteoLipid Protein, PLP)

assieme a CFA può indurre la malattia. Topi e ratti sono gli animali più

usati, ma EAE è stata indotta anche in porcellini d’India, conigli, scimmie

rhesus e macachi.

Anche i sintomi sono simili alla sclerosi multipla: le reazioni

infiammatorie a livello del SNC causano una paralisi progressiva che

colpisce prima la coda e le estremità posteriori e poi gli arti anteriori. Alla

fine c’è una completa paralisi ed eventualmente la morte.

E’ stato dimostrato che diversi tipi di cellule sono coinvolte nella

patogenesi della EAE [240]. La malattia è mediata da cellule Th1 CD4+

specifiche contro MBP. A conferma di questo fenomeno è l’esperimento

di induzione di malattia EAE in animali singenici mediante il

trasferimento di linfociti T specifici contro MBP derivati da animali

affetti da EAE. In seguito all’induzione dell’EAE i linfociti specifici

contro la mielina proliferano a livello della milza e dei linfonodi. In

particolare i linfociti T TNFα+ CD4+ sono coinvolti nell’iniziazione e

nella progressione del danno [203, 204, 241]. Sono infatti in grado di

produrre citochine infiammatorie e chemochine che reclutano altre cellule

infiammatorie del sangue.

L’infiltrazione dei linfociti T nel SNC avviene soprattutto nelle fasi

iniziali della malattia. Macrofagi sono presenti nell’infiltrato

infiammatorio di topi e ratti con EAE nel SNC [203, 204, 241], parte di

questi producono TNFα [204]. In topi non immunizzati solo il 20% della

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Page 74: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

microglia produce TNFα, mentre in topi che sviluppano l’EAE circa il

50% della microglia esprime il TNFα [204]. Le cellule dendritiche (DC)

sono cellule in grado di presentare l’antigene, coinvolte nell’induzione

dell’EAE grazie alla loro capacità di attivare i linfociti T specifici contro

MBP. Durante l’EAE le DC sono presenti nell’infiltrato infiammatorio

del SNC e anche a livello di milza e linfonodi [242].

Diversi studi dimostrano che il trattamento con E2 ritarda l’insorgenza

dell’EAE e riduce la gravità dei sintomi in animali immunizzati per

sviluppare l’EAE. Questi effetti si vedono in topi femmina BV8S2 Tg

[203], in topi femmina C57BL/6 wt [204] o KO per citochine Th2 [243] e

in ratti di Lewis [241]. Inoltre il trattamento con E2 riduce l’infiltrazione

di macrofagi e linfociti T nel SNC dell’80% [203, 204] e la percentuale di

linfociti T CD4+ e macrofagi che esprimono TNFα. Inoltre E2 diminuisce

la percentuale di linfociti T CD4+ TNFα+ a livello della milza: E2 quindi

sopprime la generazione sistemica di linfociti T CD4+ [204]. L’effetto

inibitorio sulle cellule TFNα+ della microglia è minore. Il trattamento con

E2 riduce l’infiltrazione di cellule dendritiche nel SNC e la percentuale di

DC a livello della milza e dei linfonodi. E2 riduce la produzione di TNFα

e INFγ ed inibisce la capacità di presentare l’antigene e di attivare

specifici linfociti T contro la mielina delle cellule dendritiche in coltura

[242]. Il trattamento con E2 riduce l’espressione e la produzione di

citochine Th1, chemochine e loro recettori. Questo effetto è stato visto sia

con il metodo dei “ microarray” sia con il metodo “RNAse protection

assay” (RPA). Un recente lavoro mette in evidenza che gli effetti benefici

dell'E2 nell'EAE sono mediati da ERα e non da ERβ [244].

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La leucodistrofia a cellule globoidi

La leucodistrofia a cellule globoidi (GLD), denominata anche malattia di

Krabbe, è una malattia autosomica recessiva metabolica, che coinvolge la

materia bianca del sistema nervoso centrale e periferico. La causa è un

deficit dell’enzima lisosomiale galattosil-ceramidasi (GALC), dovuto a

una mutazione del gene della galattosil-ceramidasi, localizzato sul

cromosoma 14 nell’uomo. Tale deficit enzimatico porta all'accumulo

dello sfingolipide ceramide galattoside nella sostanza bianca cerebrale,

causando una demielinizzazione. L’insorgenza è prevalentemente nei

primi mesi di vita, colpisce sia i maschi che le femmine con un incidenza

di uno su 40000 neonati.

L’iniziale manifestazione istologica della malattia è la presenza di

materiale positivo alla colorazione con acido periodico di Schiff, sia a

livello extracellulare che all’interno delle cellule microgliali. Queste

cellule accumulano al loro interno i substrati dell’enzima galattosil-

ceramidasi: la galattosil-ceramide e la galattosil-sfingosina (psicosina),

altamente tossica. Così come altre encefalopatie, anche la GLD è

caratterizzata da una demielinizzazione, che coinvolge inizialmente il

sistema nervoso centrale e poi quello periferico. I sintomi sono tremori

degli arti superiori e inferiori, disturbi dell’andatura ed infine paresi

[245].

I modelli animali della GLD sono il topo “twitcher” e il topo

saposina A-/-. Nel 1980 è stata descritta una leucodistrofia autosomica

recessiva del topo “twitcher”, ossia che si muove a scatti, molto simile dal

punto di vista istopatologico e dei sintomi alla malattia umana.

Successivamente è stato dimostrato che il topo “twitcher” è un modello

della patologia umana anche dal punto di vista enzimatico.

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Il topo saposina A-/- è invece utilizzato come modello per le forme

croniche a insorgenza tardiva della GLD. Questo modello animale è stato

generato introducendo una mutazione nel dominio della saposina A, un

attivatore della glucosil-ceramidasi e della galattosil-ceramidasi. La

mutazione è stata inserita nella prosaposina, una glicoproteina acida che è

precursore di quattro saposine denominate A, B, C e D. Il topo saposina

A-/- sviluppa una lenta e progressiva paralisi alle zampe. Le caratteristiche

biochimiche e patologiche sono qualitativamente identiche, ma più lievi

del topo “twitcher” [246].

È stato osservato che le femmine saposina A-/- che avevano portato a

termine delle gravidanze vivevano più a lungo e mostravano un’evidente

diminuzione dei sintomi neurologici rispetto alle femmine saposina A-/-

che non avevano avuto gravidanze o rispetto ai maschi. Inoltre, i classici

segni della patologia come l’infiltrazione delle cellule globoidi e la

demielinizzazione erano quasi scomparsi [247].

Nei topi saposina A-/-, così come anche nei topi “twitcher” è stato

riscontrato un aumento dell’espressione di diverse citochine come

MCP-1, TNFα e ciò suggerisce il coinvolgimento di un’infiammazione

secondaria nella patogenesi della GLD. I livelli di queste due citochine

erano molto diminuiti durante la gravidanza.

Per confermare che gli estrogeni fossero responsabili dell’effetto

protettivo della gravidanza, sono stati impiantati nei topi saposina A-/- dei

pellet in grado di rilasciare E2, così da mantenere gli elevati livelli di E2

tipici della gravidanza. I topi trattati con E2 mostravano anch’essi

preservazione della mielina e una netta riduzione dell’infiltrazione delle

cellule globoidi. Questi risultati suggeriscono che la somministrazione di

estrogeni potrebbe essere un’utile terapia supplementare per alcune

leucodistrofie croniche.

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L’artrite reumatoide

L’artrite reumatoide (AR) è un disordine infiammatorio autoimmunitario

sistemico cronico, che può interessare molteplici organi e tessuti; cute,

vasi sanguigni, cuore, polmoni e muscoli; anche se il bersaglio principale

è costituito dalle articolazioni, dove determina una sinovite proliferativa

non suppurativa, che spesso progredisce fino alla distruzione della

cartilagine articolare ed all'anchilosi.

Le cause dell’AR sono ancora ignote, ma si ritiene che siano coinvolti

fattori genetici ed ambientali. La maggior parte dei soggetti che

sviluppano la malattia (dal 65 all’85%) esprime gli alleli dell’antigene di

istocompatibilità umano (Human Leukocyte Antigen, HLA) DR-4, DR-1

o entrambi. Inoltre è stato riscontrato un alto tasso di concordanza tra i

gemelli monozigoti.

Si pensa che l’iniziatore della malattia sia un agente microbico, come ad

esempio il virus di Epstein-Barr, ma non esistono prove sicure. Circa l'1%

della popolazione mondiale è affetta dall'AR. L’insorgenza è

prevalentemente tra i 20 e i 40 anni e l’incidenza è da tre a cinque volte

maggiore nelle donne che negli uomini.

Gli autoantigeni coinvolti non sono stati identificati con certezza; tuttavia

autoimmunità contro il collagene di tipo II è stata riscontrata nella

maggior parte dei pazienti affetti da AR. Esistono anche prove che la

glicoproteina 39 della cartilagine sia un autoantigene. Sono coinvolti

principalmente linfociti T CD4+ presenti nelle articolazioni negli stadi

iniziali della malattia. Le cellule CD4+ attivate producono citochine e

attivano a loro volta i linfociti B a produrre anticorpi. Nella maggior parte

dei soggetti affetti dalla malattia sono presenti autoanticorpi, denominati

fattore reumatoide, contro la porzione Fc delle IgG e delle IgM. Si

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Page 78: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

formano così immunocomplessi che si depositano nelle articolazioni

[151]. Nel liquido sinoviale s’infiltrano anche macrofagi che producono

citochine come IL-1 e TNFα. Queste due citochine stimolano la sintesi di

molecole di adesione nei capillari sinoviali, determinando così un

ulteriore accumulo di leucociti nel liquido sinoviale. IL-1 e TNFα

stimolano i condrociti a produrre enzimi degradativi come collagenasi,

stromielinasi ed elastasi determinando così la distruzione della cartilagine

[248]. Si è visto inoltre che i fibroblasti sinoviali e i linfociti T attivati

producono RANKL, stimolando proliferazione e attività degli osteoclasti

determinando così osteoporosi [249].

Numerosi studi clinici mostrano che la AR è sensibile alle fluttuazioni dei

livelli ormonali. Durante la gravidanza, caratterizzata da livelli di

estrogeni molto elevati, i sintomi clinici dell’artrite reumatoide, così come

quelli della sclerosi multipla, diminuiscono fino a scomparire. Questo

fenomeno avviene soprattutto nel terzo trimestre della gravidanza. Al

contrario, durante il post-partum, in cui i livelli degli estrogeni sono bassi,

i sintomi si aggravano molto [250, 251].

Il ruolo degli estrogeni è stato studiato anche in modelli animali.

Sono stati utilizzati topi con artrite indotta da collagene. In questi animali

l’ovariectomia aggrava l’andamento della malattia [252, 253]. Il

trattamento a lungo termine con estrogeni invece diminuisce la severità

dell’artrite e diminuisce la risposta immunitaria contro il collagene di tipo

II. Latham e collaboratori hanno visto che il 17β-estradiolo inibisce lo

sviluppo dell'artrite indotta da collagene, diminuendo la produzione di

IFNγ da parte dei linfociti T ed i livelli di IL-10 e GM-CSF prodotti dalla

cellule dei linfonodi [254].

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L’ischemia cerebrale

Con il termine ischemia s’intende una locale diminuzione dell’apporto

sanguigno, dovuta ad ostruzione del flusso sanguigno arterioso o a

vasocostrizione [151, 255]. L’ischemia cerebrale può essere dovuta ad

una diminuzione generalizzata del flusso sanguigno secondaria ad eventi

cerebrovascolari, come uno shock o un arresto cardiaco, o ad

un’occlusione delle arterie della circolazione cerebrale. Nel caso di una

diminuzione generalizzata del flusso sanguigno cerebrale, l’ischemia

risultante è globale, mentre un’ostruzione vascolare causa un’ischemia

regionale e spesso un infarto localizzato.

L’infarto cerebrale è la forma più comune di malattie cerebrovascolari e

rende conto del 70-80% di tutti gli eventi cerebrovascolari o ictus. Causa

principale è l’aterosclerosi, che predispone a trombosi vascolare ed a

eventi embolici, risultanti entrambi in un’ischemia localizzata e nel

conseguente infarto cerebrale. Fattori di rischio per l’infarto cerebrale

sono l’ipertensione, il diabete mellito e il fumo che predispongono gli

individui all’aterosclerosi.

Gli infarti si verificano soprattutto nelle aree irrorate dall’arteria cerebrale

media (MCA). Le occlusioni della MCA sono causate da emboli. Infarti

in questa regione sono caratterizzati da emiparesi controlaterale, perdita

della sensibilità nel lato del corpo opposto all’infarto e nel caso che

l’infarto coinvolga l’emisfero cerebrale dominante, l’afasia. Meno

comune è l’occlusione dell’arteria carotide interna, di solito causata da

trombosi. Rami del sistema vertebro-basilare sono spesso colpiti da

aterosclerosi e sono perciò potenziali siti di trombosi e fonti di emboli

ateromatosi.

La risposta infiammatoria gioca un importante ruolo nell’ischemia

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cerebrale. Studi sull’uomo mostrano che i livelli plasmatici delle

citochine TNFα e IL-6 sono più elevati in pazienti colpiti da ictus che in

soggetti sani controllo [256]. È stato anche dimostrato un aumento

dell’espressione della proteina di adesione ICAM-1 a livello dei vasi

cerebrali. Inoltre un aumento del numero di leucociti, in particolare

monociti/macrofagi e leucociti polimorfonucleati, è stato riscontrato nel

fluido cerebrospinale di pazienti in seguito a ictus.

L’incidenza globale dell’ischemia cerebrale è maggiore nell’uomo che

nella donna in tutto il mondo e aumenta con l’età in entrambi i sessi.

L’ischemia cerebrale è rara nelle donne durante il periodo riproduttivo. In

seguito alla menopausa le differenze d’incidenza tra maschi e femmine si

attenuano notevolmente [257]. Inoltre le donne fino ai 65 anni mostrano

un numero di lesioni aterosclerotiche inferiori agli uomini. Dopo i 65 anni

la frequenza delle lesioni è simile in donne e uomini.

Secondo studi epidemiologici il rischio di ischemia cerebrale e più in

generale di malattie cardiovascolari, è ridotto in donne che sono state

sottoposte alla terapia sostitutiva in seguito alla menopausa. Altri studi

suggerivano che la terapia sostitutiva riducesse la mortalità dovuta

all’ischemia cerebrale [258]. Tuttavia lo studio randomizzato e controllato

HERS ha mostrato un aumento del rischio di eventi cardiovascolari

secondari nel gruppo che aveva seguito la terapia sostitutiva estro-

progestinica (HRT) rispetto al gruppo placebo [259]. Inoltre lo studio

WHI ha mostrato che l’HRT aumentava il rischio di ischemia cerebrale

rispetto al placebo [260]. Di conseguenza l'HRT non viene consigliata per

prevenire eventi cardiovascolari cerebrali.

Studi su modelli animali mostrano il ruolo dei processi

infiammatori nell’ischemia cerebrale [256]. In ratti in cui era stata indotta

l’ischemia occludendo l’arteria cerebrale media (MCA), è stato

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dimostrato un aumento dell’espressione delle citochine IL-1, IL-6, TNFα

e IL-8 e delle chemochine MCP-1 e MIP-1. In topi knock-out per ICAM-

1, in cui era stata occlusa la MCA, è stato osservato una diminuzione

della dimensione dell’area infartuata.

Gli studi effettuati in modelli animali indicano che il trattamento con

estrogeni protegge il cervello da ischemie globali e focali indotte

sperimentalmente [261-264]. Questi risultati sono stati ottenuti in

differenti specie e con diversi modelli animali. Alcuni studi mostrano che

uno dei meccanismi con cui gli estrogeni esercitano un effetto protettivo

sull’aterosclerosi dipende dalla loro azione sull’endotelio. L’adesione dei

monociti alle cellule endoteliali e l’attraversamento dell’endotelio sono

componenti essenziali della risposta infiammatoria, che accompagna il

processo aterogeno. Uno studio effettuato su conigli nutriti con una dieta

ricca di colesterolo ha mostrato che nei conigli maschi l’adesione

leucocitaria e la migrazione attraverso l’endotelio dei leucociti erano

maggiori che nelle femmine [265]. Inoltre femmine ovariectomizzate

avevano un numero maggiore di leucociti aderenti o sottoendoteliali

rispetto a femmine ovariectomizzate e trattate con E2. Il 17β-estradiolo

inibiva l’adesione leucocitaria diminuendo l’espressione della proteina

VCAM-1.

Il 17β-estradiolo riduce inoltre l’adesione dei leucociti nella circolazione

cerebrale di femmine di ratto sottoposte a ischemia transiente (indotta

tramite occlusione dell’arteria carotide comune destra per 30 minuti) e

riperfusione [266]. E’ stata comparata l’adesione dei leucociti in femmine

di ratto ovariectomizzate, ovariectomizzate trattate con E2 e non

ovariectomizzate. L’adesione dei leucociti è stata misurata prima

dell’ischemia e a differenti tempi dopo la riperfusione. Prima

dell’ischemia l’adesione leucocitaria era molto maggiore nelle femmine

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ovariectomizzate rispetto a quelle non ovariectomizzate o

ovariectomizzate e trattate con E2. Anche dopo 4 o 6 ore di riperfusione le

ratte ovariectomizzate mostravano percentuali di leucociti aderenti

significativamente maggiori rispetto alle ratte non ovariectomizzate od

ovariectomizzate e trattate con E2.

La malattia di Alzheimer

La malattia di Alzheimer (AD) è la più comune forma di demenza ed è

responsabile di circa il 50-70% dei casi di demenza. L’insorgenza

dell’AD avviene generalmente in tarda età, ma esistono casi ad

insorgenza precoce collegati a mutazioni del gene del precursore della

proteina amiloide (Amyloid Precursor Protein, APP), della presenilina 1

(PS1) e della presenilina 2 (PS2).

Questa malattia è caratterizzata clinicamente da una progressiva ed

inesorabile alterazione della memoria e delle funzioni cognitive, e

patologicamente dalla presenza di un gran numero di placche neuritiche e

di matasse neurofibrillari. Le placche neuritiche sono grosse lesioni

costituite da depositi di un peptide di 40-42/43 aminoacidi chiamato

peptide β amiloide (Aβ), derivante dall’APP. Le matasse neurofibrillari

sono lesioni intracellulari costituite da filamenti intrecciati della proteina

tau del citoscheletro.

L’APP è una proteina con un singolo dominio transmembrana,

metabolizzata tramite due diverse vie in tutte le cellule. In un caso l’APP

è tagliato nel dominio Aβ, da parte di un enzima denominato α secretasi.

La seconda via comporta un taglio tra gli aminoacidi 671 e 672 dell’APP,

da parte di un enzima denominato β secretasi. Questo frammento è

ulteriormente tagliato dalla γ secretasi. A seconda della posizione del

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Page 83: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

taglio è generato un Aβ di 40 o di 42/43 aminoacidi. Aβ1-42(43) si aggrega

facilmente e forma i depositi di β amiloide [267].

Studi d’immunoistochimica post-mortem hanno rivelato che

nell’Alzheimer è presente uno stato d’infiammazione cronica limitato alle

aree del cervello lesionate. Microglia attivata circonda i depositi

extracellulari insolubili delle placche e produce numerosi mediatori

dell’infiammazione. Citochine come IL-1, IL-6 e TNFα e i recettori delle

chemochine CC-R3 e CC-R5, prodotti dalla microglia attivata associata

alle placche, aumentano nell’AD. La microglia attivata secerne anche

proteasi come ad esempio la metalloproteasi 9 (MMP-9). Inoltre l’Aβ

agisce come attivatore del complemento.

L’infiammazione cronica quindi contribuisce ulteriormente al danno

neuronale e alla progressione dell'Alzheimer. Molti studi epidemiologici

ed alcuni studi clinici mostrano infatti che i farmaci antinfiammatori non

steroidei riducono il rischio e rallentano la progressione della malattia

[268].

Diversi studi mostrano come gli estrogeni hanno un effetto protettivo

contro l’AD. Esistono forti prove che la terapia sostitutiva a base di

estrogeni (ERT) riduce il rischio, ritarda l’insorgenza e attenua i sintomi

della malattia di Alzheimer.

Studi effettuati su modelli animali confermano gli effetti protettivi

degli estrogeni. Femmine di porcellino d’India ovariectomizzate

accumulavano maggiori quantità di peptide β-amiloide. Questa situazione

era revertita dalla somministrazione di 17β-estradiolo.

La privazione di estrogeni inoltre aumenta la formazione delle placche in

topi transgenici utilizzati come modello per l’Alzheimer. Le femmine

sviluppano placche amiloidi a circa un anno d’età. Giovani femmine

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Page 84: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

ovariectomizzate mostrano livelli più elevati di Aβ solubile e accumulato

nella placca rispetto alle femmine non ovariectomizzate. Inoltre il

trattamento con E2 reverte questi effetti [269].

Estrogeni ed infiammazione cerebrale sperimentale

È possibile indurre sperimentalmente l'infiammazione nel sistema

nervoso mediante iniezioni di sostanze infiammatorie nel cervello o nel

liquido cefalo-rachidiano.

Uno studio effettuato nel nostro laboratorio ha utilizzato un modello di

infiammazione cerebrale mediante l'iniezione di LPS nel terzo ventricolo

cerebrale ed ha dimostrato che l’E2 ha azione antinfiammatoria nel

cervello [270]. L'iniezione, nel terzo ventricolo cerebrale, di LPS

determina l’attivazione della microglia e il richiamo di monociti dal

sangue verso la zona lesa. La somministrazione dell’E2, a concentrazioni

fisiologiche, prima dell’LPS inibisce fortemente l’attivazione dei

macrofagi mediata dall’LPS in diverse aree del cervello: la regione CA3 e

il giro dentato dell’ippocampo, la corteccia parietale, la corteccia

cingolata, i nuclei amigdaloidi, la corteccia rinale e i nuclei talamici

postero-laterali. L’effetto dell’E2 è dose dipendente e tempo dipendente.

Il 17β-estradiolo esercita il suo effetto antinfiammatorio limitando

l’espressione di mediatori dell’infiammazione come la metalloproteasi 9

(MMP-9) e il recettore della proteina C3 del complemento (C3R).

Utilizzando topi knock-out per ERα e topi knock-out per ERβ si è

dimostrato che l’effetto antinfiammatorio dell’E2 è mediato da ERα. In

topi KO per ERβ infatti l’E2 inibisce l’attivazione della microglia così

come nei topi wild type, mentre nei topi KO per ERα l’E2 non è in grado

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Page 85: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

d’inibire l’attivazione della microglia. Inoltre topi KO per ERα mostrano

in alcune aree del cervello un’attivazione spontanea della microglia che

aumenta con l’età.

Estrogeni ed infiammazione del sistema nervoso in modelli

cellulari

L’azione antinfiammatoria degli estrogeni è stata studiata nelle cellule

della microglia, i macrofagi residenti del SNC [271]. La microglia “a

riposo” (resting) o la microglia a basso grado di attivazione “allertata”

(alerted) contribuiscono alla funzione e alla sopravvivenza neuronale

producendo fattori neurotrofici. Una volta attivata da stimoli infiammatori

la microglia è in grado non solo di attrarre i leucociti grazie alla sintesi di

chemochine, ma anche di produrre un gran numero di citochine, e altri

mediatori dell’infiammazione, come NO, intermedi reattivi dell’ossigeno,

prostaglandine e metalloproteasi della matrice. In una fase iniziale

l’attivazione della microglia è protettiva per il SNC. Tuttavia

un’attivazione eccessiva o prolungata può contribuire a neuropatologie

acute e croniche. Infatti le molecole infiammatorie secrete dalla microglia

contribuiscono al danno tissutale. La microglia attivata produce una serie

di mediatori dell'infiammazione tra cui citochine, chemochine, proteasi,

specie radicaliche dell'ossigeno e prostanoidi.

Per quanto riguarda le evidenze sperimentali circa il ruolo

antinfiammatorio dell'E2 sulla microglia, sono stati utilizzati i seguenti

modelli sperimentali: nel nostro laboratorio è stato utilizzato il

lipopolisaccaride che induce una cambiamento morfologico della

microglia, che da resting diventa di tipo ameboide. Inoltre, l’LPS induce

la produzione di citochine, chemochine, NO, prostaglandina E2 (PGE2) e

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Page 86: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

metalloproteasi-9 (MMP-9).

Il pretrattamento con 17β-estradiolo di colture primarie di microglia di

ratto previene l’attivazione morfologica indotta dall’LPS [272, 273].

Inoltre il pretrattamento con E2 riduce la percentuale di cellule iNOS

positive e quindi la produzione di NO. E2 previene anche la produzione di

PGE2 e di MMP-9 indotta da LPS. Questi effetti sono dose dipendenti e

avvengono a concentrazioni fisiologiche di E2 e sono bloccati dall’ICI

182,780. Le cellule di microglia in coltura esprimono sia ERα che ERβ e

questi effetti sono perciò mediati dal recettore degli estrogeni [273, 274].

Un altro modello sperimentale prevede l'impiego della proteina

regolatoria Tat del virus HIV, che è in grado di attivare cellule di

microglia in coltura, aumentando sia l’attività fagocitica, che il rilascio

del superossido e del TNFα tramite le MAPK p42 e p44 [275]. Il

pretrattamento con 17β-estradiolo in concentrazione fisiologica riduce sia

la fagocitosi che il rilascio di TNFα e di superossido indotti da Tat,

interferendo con la fosforilazione e quindi l’attivazione delle MAPK.

Estrogeni ed NF-κB

Numerosi studi indicano un'attività antinfiammatoria dell'estrogeno [270,

272, 273, 275, 276], ma non si ha ancora la certezza sul meccanismo

molecolare di questa azione. Esistono evidenze sperimentali di

un’interazione fra i recettori degli estrogeni e NF-κB. Gli studi fino ad ora

effettuati dimostrano che i recettori degli estrogeni impediscono il legame

di NF-κB ai promotori delle citochine IL-6, MCP-1 e TNFα.

Studi effettuati in cellule Saos2, una linea cellulare derivata da

osteosarcoma umano, e in cellule MCF-7, derivate da tumore al seno

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Page 87: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

umano, hanno mostrato che il 17β-estradiolo contrasta l’induzione della

sintesi dell’IL-6 da parte del TNFα [73]. L’effetto del TNFα sulla

trascrizione dell’IL-6 è mediato da NF-κB, che riconosce specifici siti di

legame sul promotore dell’IL-6. Per comprendere il meccanismo

molecolare d’azione dell’E2 è stato effettuato un EMSA (Electrophoretic

Mobility Shift Assays) su estratti nucleari di HeLa, MCF-7 e Saos2.

Come sonda è stata utilizzata la regione -80/-60, contenente siti di legame

per NF-κB del promotore dell’IL-6, in presenza o in assenza di oligo

competitori. Effettuando l’EMSA, aggiungendo hER tradotti in vitro, si è

visto che ER inibisce il legame al promotore dell’IL-6, soprattutto di c-

Rel e in maniera minore di RelA (p65).

Il 17β-estradiolo diminuisce anche la produzione, indotta da IL-1, della

chemochina MCP-1 (Monocyte Chemoattractant Protein-1), in cellule

MCF-7 [77]. L’effetto è dose dipendente, in un intervallo di

concentrazione di E2 da 10-12 a 10-9 M. Un’azione inibitoria analoga, ma

con potenza inferiore è svolta dagli xenoestrogeni (XE), un gruppo di

composti chimici che legano il recettore degli estrogeni e mimano

l’azione dell’E2. Fanno parte degli xenoestrogeni composti molto lipofili

come il bisfenolo A (BPA) e il nonilfenolo (NP). Nel promotore di

MCP-1 sono presenti due siti di legame di NF-κB: A1 e A2. Mutazioni in

queste regioni determinano la perdita della responsività a IL-1. Tramite

EMSA si è dimostrato che l’aumento di MCP-1 indotto da IL-1 è dovuto

al legame di NF-κB al promotore di MCP-1 e che le subunità di NF-κB

coinvolte sono p50/p65 e p50/c-Rel. Sempre tramite EMSA si è

dimostrato che sia l’E2 che gli xenoestrogeni inibiscono il legame di

p50/p65 (e in modo minore di p50/c-Rel) ai siti di legame per NF-κB sul

promotore di MCP-1, in maniera dose dipendente.

Recentemente è stato dimostrato che E2 diminuisce la trascrizione del

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gene del TNFα indotta da Tax, una proteina regolatoria del retrovirus

HTLV. Nel promotore del TNFα c’è un elemento responsivo al TNFα

(TNF-RE), che contiene un sito di legame per NFAT e NF-κB [277].

Dopo l’attivazione da parte di Tax, un complesso costituito da p50/p65 e

Jun lega il TNF-RE, attivando la trascrizione. Mediante EMSA effettuata

su estratti nucleari di U2OS, transfettate stabilmente con ERα ed ERβ e

trattate con E2 si è dimostrato che ERα si lega a questo complesso. Questi

dati suggeriscono che ERα reprime la trascrizione del TNFα legando Jun

e p50/p65 tramite interazioni proteina proteina.

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SCOPO DELLA TESI

Lo scopo di questa tesi è stato lo studio del meccanismo molecolare

dell'azione del 17β-estradiolo sulla risposta infiammatoria nei macrofagi.

Si è cercato di individuare gli intermediari della via di trasduzione del

segnale infiammatorio su cui agisce il 17β-estradiolo per svolgere la sua

azione antinfiammatoria.

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Page 90: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

MATERIALI E METODI

COLTURE CELLULARI

Le cellule RAW 264,7 (linea cellulare di macrofagi murini

immortalizzati), le cellule SK-N-BE (linea cellulare immortalizzata da

neuroblastoma umano da midollo spinale) sono state acquistate dalla

ATCC, le cellule U-937 (linea cellulare di monociti umani

immortalizzati) sono state gentilmente fornite dal laboratorio dei prof

Simonetta Nicosia e GianEnrico Rovati del Dipartimento di Scienze

Farmacologiche di Milano, le cellule SK-ER3 (clone di SK-N-BE che

esprime stabilmente ERα) sono state generate dal nostro laboratorio

mediante una transfezione stabile delle SK-N-BE [278], le cellule HepG2

(linea cellulare immortalizzata da carcinoma epatico umano) sono state

gentilmente fornite dal laboratorio del prof Cesare Sirtori del

Dipartimento di Scienze Farmacologiche di Milano.

Condizioni di crescita

Le cellule RAW 264,7 sono cresciute in terreno DMEM con rosso fenolo

(Invitrogen) supplementato con 10% FBS, le cellule U-937 e le cellule

SK-N-BE in terreno RPMI 1640 con rosso fenolo + 10% FBS, le cellule

SK-ER3 in terreno RPMI 1640 + 10% FBS-DCC, le cellule HepG2 in

terreno MEM con rosso fenolo + 10% FBS a 37°C in atmosfera di aria

umidificata 95% / CO2 5%. Le cellule RAW 264,7 vengono suddivise due

volte la settimana in piastre Petri da 10 cm2 (Corning) alla densità di

1 x 106 cellule/mL. Le cellule SK-N-BE e le cellule HepG2 vengono

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Page 91: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

suddivise due volte la settimana in piastre Petri da 10 cm2 alla densità di

2 x 105 cellule/mL. Le cellule SK-ER3 vengono divise una volta la

settimana in piastre Petri da 10 cm2 alla densità di 1 x 105 cellule/mL. Le

cellule U-937 vengono suddivise due volte la settimana in flask da 75 cm2

(Corning) alla densità di 1 x 106 cellule/mL. Per gli esperimenti di

Western blot e di immunocitochimica le cellule RAW 264,7 vengono

seminate in DMEM + 10% FBS. Dopo 24 h il medium è rimosso e le

cellule sono incubate in DMEM privo di siero. Dopo 6h le cellule sono

trattate. Per gli esperimenti di Western blot le cellule U-937 sono piastrate

in RPMI 1640 + 10% FBS. Dopo 24 h il medium è rimosso e le cellule

sono incubate in RPMI 1640 privo di siero. Dopo 6h le cellule sono

trattate. Per gli esperimenti di immunocitochimica le cellule SK-N-BE

sono piastrate in RPMI 1640 + 10% FBS. Dopo 24 h il medium è

rimosso e le cellule sono incubate in RPMI 1640 privo di siero. Dopo 6h

le cellule sono trattate. Per gli esperimenti di immunocitochimica le

cellule SK-ER3 sono piastrate in RPMI 1640 + 10% FBS-DCC. Dopo 24

h il medium è rimosso e le cellule sono incubate in RPMI 1640 privo di

siero. Dopo 6h le cellule sono trattate. Per gli esperimenti di

immunocitochimica le cellule HepG2 sono piastrate in MEM + 10% FBS.

Dopo 24 h il medium è rimosso e le cellule sono incubate in MEM privo

di siero. Le cellule sono trattate dopo 6h.

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Page 92: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

Terreni per colture cellulari

DMEM (Dulbecco’s Modified Eagle Medium) con rosso fenolo + 10%

FBS

Polvere di DMEM (Invitrogen) 13,38 g/LNaHCO3 1,5 g/LGlucosio 2,5 g/LStreptomicina-penicillina 5 mL/L di un mix da 10.000 UISodio piruvato 0,11 g/LFBS 10%

Procedimento

1. Si scioglie la polvere in 900 mL di acqua distillata, mantenendo in

agitazione. Si aggiunge NaHCO3, si lascia sciogliere e quindi si

porta a pH 7,2 con HCl 1N, mantenendo sempre in agitazione.

2. Si porta a volume di 1 L con acqua bidistillata e si prelevano 105

mL di soluzione, che costituiranno il medium incompleto.

Ai restanti 895 mL, si aggiungono gli altri ingredienti.

3. Si sterilizza per filtrazione, utilizzando filtri disposable 0,22 µm

(sotto cappa sterile) e si conserva a 4°C.

MEM con rosso fenolo + 10% FBS

Polvere di MEM (Invitrogen) 9,53 g/LNaHCO3 2,2 g/LStreptomicina-pennicillina 5 mL/L di un mix da 10.000 UISodio piruvato 0,11 g/LMix aminoacidi non essenziali 1%FBS 10%

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Procedimento

1. Sciogliere la polvere in 900 mL di acqua distillata, mantenendo in

agitazione.

2. Aggiungere NaHCO3, lasciar sciogliere e quindi portare il pH a 7.2

con HCl 1N, mantenendo sempre in agitazione.

3. Portare a volume di 1 L con acqua bidistillata.

4. Prelevare 115 mL di soluzione, che costituiranno il medium

incompleto.

5. Ai restanti 885 mL, aggiungere gli altri ingredienti e lasciar agitare.

6. Sterilizzare per filtrazione, utilizzando filtri disposable 0,22 µm

(sotto cappa sterile). Si conserva a 4° C.

RPMI 1640 con rosso fenolo + 10% FBS

Polvere pronta RPMI 1640 con rosso fenolo (Invitrogen)NaHCO3 2 g/LGlucosio 2,5 g/LSodio piruvato 0,11 g/LPenicillina-Streptomicina 5 mL/L di un mix da 10.000 UIFBS 10%

Procedimento

1. Si scioglie la polvere per RPMI rosso in 1 L di acqua distillata,

mantenendo in agitazione. Si aggiunge NaHCO3 e si porta pH a 7,2

con HCl 1 N, sempre in agitazione.

2. Si prelevano 105 mL di soluzione, che costituiranno il medium

incompleto. Ai restanti 895 mL, si aggiungono tutti gli altri

ingredienti, tranne FBS, mantenendo sempre in agitazione.

3. Si filtra con filtro disposable 0,22 µm da 500 mL prima

l’incompleto e poi il medium completo.

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4. Si aggiungono al medium completo 100 mL di FBS sterile (sotto

cappa). Si conserva a 4°C.

RPMI 1640 + 10% FBS-DCC

Polvere pronta RPMI 1640 (Sigma)NaHCO3 2 g/LGlucosio 2,5 g/LSodio piruvato 0,11 g/LMix aminoacidi 10%Mix vitamine 10%Pennicillina-Streptomicina 5 mL/L di un mix da 10.000 UIFBS-DCC 10%

Procedimento

1. Aggiungere la polvere pronta a 900 mL di acqua distillata, in una

beuta da 1L e sciogliere bene la polvere su piastra agitante. Se il

discioglimento dovesse risultare difficoltoso, aggiungere qualche

goccia di HCl 1 M, facendo attenzione a non abbassare il pH al di

sotto di 6,5.

2. Aggiungere il NaHCO3 e portare il pH a 7,2 con HCl 1 M, sempre

mantenendo in agitazione.

3. Portare a volume di 1 L e prelevare 125 mL della soluzione, che

andranno a costituire il medium incompleto.

4. Ai restanti 875 mL aggiungere tutti gli altri ingredienti.

5. Filtrare prima il medium incompleto e poi il completo utilizzando

filtri disposable 0,22 µm da 500 mL.

6. Si conserva a 4°C.

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STRIPAGGIO DEL SIERO DCC

24 ore prima disattivare il siero tenendolo in bagnetto per 1 ora a 56°C

lasciare quindi a temperatura ambiente per 30 minuti.

1. Pesare 3 g di carbonio attivo e metterli nella bottiglia da 1 L apposta

per DCC

2. Pesare 0,3 g di dextrano ed aggiungerlo al carbonio

3. Aggiungere 1 L di acqua distillata ed agitare per 30 minuti

4. Suddividere la soluzione in 4 recipienti da super centrifuga,

mantenendola in agitazione

5. Centrifugare per 15 minuti a 2500g a temperatura ambiente

6. Scartare delicatamente il surnatante, in modo tale da non

risospendere il pellet

7. Aggiungere il siero, suddividendolo in modo preciso nei 4

contenitori (500 mL di siero)

8. Agitare per 4 ore nell'incubatore agitante e termostatato a 37°C

9. Centrifugare per 15 minuti a 2500g a temperatura ambiente

10.Filtrare su filtro buchner, utilizzare 3 filtri della Whatman in

sequenza D, A, C

11.Filtrare con filtro disposable 0,45 µm

12.Conservare a -20°C.

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PREPARAZIONE DI ESTRATTI PROTEICI DA LISATI

CELLULARI

Procedimento

Dopo aver rimosso il medium ed aver lavato con PBS 1X, si prelevano le

cellule dal pozzetto con 1 mL di TEN buffer 1X utilizzando uno

“scraper”, quindi si centrifuga a 13000 rpm per 15 secondi , si aspira il

surnatante in modo da ottenere un pellet di cellule a cui si aggiungeranno

100 µL di lysis.

Per ottenere estratti proteici totali, si fanno 3 cicli di congelamento-

scongelamento da -90°C a temperatura ambiente. Quindi si centrifuga a

13000 rpm per 30 minuti per precipitare le membrane, si preleva il

surnatante e si mette in tubi da 1.5mL (Eppendorf) per la quantizzazione

dell’estratto con il metodo di Bradford.

Per ottenere estratti di proteine citoplasmatiche e nucleari separate, si

risospende il pellet di cellule nel lysis citosolico, si lascia in ghiaccio per

15 minuti.

Si aggiunge un quantitativo di NP-40 al 10% pari a circa 1/20 del

quantitativo di lysis citosolico usato, si lascia sul vortex alla massima

velecità per 10 secondi e quindi si centrifuga a 4°C, 7200g per 10 secondi.

Si mette il surnatante, che è l’estratto citosolico in tubi da 1.5mL.

Si risospendere il pellet con lysis nucleare, usando un quantitativo pari a

circa 1/3 del lysis citosolico usato, si lascia in ghiaccio per 15 minuti e

quindi si centrifuga a 4°C, 13500g per 15 minuti. Si trasporta il

surnatante, che è l’estratto nucleare in tubi da 1.5mL.

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Soluzioni

Lysis buffer per estratti totali di proteine cellulari

Hepes pH 7,9 20 mMMgCl2 5 mMNaCl 420 mMEDTA 100 nMGlicerolo (Invitrogen) 20%Triton (Sigma) 0,1%β-mercaptoetanolo (Sigma) 5 mMPMSF (Sigma) 100 nMAprotinina (Sigma) 10 µg/mLLeupeptina (Sigma) 1 µg/mLAcqua

Lysis buffer per estratti citosolici di proteine cellulari

Tris-HCl pH 7.8 10 mMMgCl2 5 mMKCl 10 mMEGTA 300 nMSaccarosio 300 mMDTT (Sigma) 500 nMPMSF 1 mMAprotinina 1 µg/mLLeupeptina 1 µg/mLPepstatina A (Sigma) 1 µg/mLAcqua

Lysis buffer per estratti nucleari di proteine cellulari

Tris-HCl pH 7.8 20 mMMgCl2 5 mMKCl 320 mMEGTA 200 nM

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Page 98: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

Tris-HCl pH 7.8 20 mMDTT 500 nMAprotinina 1 µg/mLLeupeptina 1 µg/mLPepstatina A 1 µg/mLAcqua

TEN buffer

TRIS pH 8 40 mMNaCl 150 mMEDTA pH 8 1 mMAcqua

PBS 10X

NaCl 80 g/LKCl 2 g/LNa2HPO4 11,36 g/LK2HPO4 2 g/LAcqua

Determinazione delle proteine con il metodo di Bradford

La determinazione quantitativa delle proteine viene condotta secondo il

metodo colorimetrico di Bradford, basato sull’utilizzo di un reagente in

grado di sviluppare un’intensità di colore proporzionale alla

concentrazione di proteine presenti in soluzione. Requisito fondamentale

di questo tipo di analisi è la preparazione di una retta di taratura standard,

mediante l’utilizzo di diluizioni successive di una soluzione a

concentrazione nota di proteine.

La retta di taratura è preparata a partire da una soluzione di BSA (Bovine

Serum Albumine) 2 mg/mL (Pierce) da cui si ottengono 8 diluizioni

successive (da 1:4 a 1:30). Queste vengono a loro volta diluite 1:50 in

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Page 99: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

piastre da 96 pozzetti (Costar) in cui sono posti 300 µL di Coomassie

(Pierce) e quindi sottoposte a lettura spettrofotometrica alla lunghezza

d’onda di 595 nm.

Per preparare le diluizioni si utilizza lo stesso mezzo in cui sono disperse

la proteine dei campioni, così come è aggiunto al Coomassie per la lettura

del bianco.

I campioni vengono anch’essi aggiunti al Coomassie in rapporto 1:50. Nel

caso in cui la concentrazione sia tale da dare letture superiori al valore

massimo della retta di taratura, i campioni vengono diluiti e la

concentrazione si ricava per confronto con una nuova retta di taratura,

preparata diluendo la BSA in un mezzo a sua volta diluito dello stesso

fattore.

WESTERN BLOT

Procedimento

1. Si preparano il separating gel al 7,5% e lo stacking gel al 4% di

acrilammide.

2. Si utilizza un apparato per Western Blot (Biorad Mini-Protean II

Cell). Per ogni campione si caricano circa 30 µg di estratto cellulare

sul gel portando tutti i campioni a uno stesso volume con il lysis

buffer utilizzato per l’estrazione delle medesime proteine.

3. A ciascun campione si aggiunge un volume 1:3 di Laemmli buffer

3X. Si denaturano i campioni 5 minuti a 95°C, si centrifuga a 13000

rpm per un minuto, si caricano i campioni sul gel (le proteine

denaturate si legano al SDS, diventano cariche negativamente e

93

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migrano attraverso il gel di poliacrilammide in base al loro peso

molecolare). I campioni proteici devono sempre essere tenuti in

ghiaccio; dopo la denaturazione possono essere tenuti a temperatura

ambiente.

4. Nel primo pozzetto deve essere messo il marker per conoscere il

peso molecolare della proteina di interesse, 10µL. Si utilizza il

marker Unstained Precision Protein Standard (Biorad), che deve

essere denaturato come i campioni e caricato. La corsa

elettroforetica è effettuata a 60mA, voltaggio massimo per 2 ore.

5. Per il blotting si usa carta Whatman 3MM e due pezzi di filtro di

nitrocellulosa, membrana Hybond C-extra (Amersham) delle stesse

dimensioni del separating gel.

6. Al termine si colora il filtro per circa 1 minuto con Rosso Ponceau

diluito 1:10 con H2O, per evidenziare l’avvenuto trasferimento e per

localizzare le proteine. (Rosso Ponceau 10X: rosso ponceau (Sigma)

2% w/v, acido tricloroacetico 30% w/v, acido solfosalicilico 30%

w/v). Si sciacqua con H2O distillata e si fa asciugare.

7. Il filtro, decolorato con TBS, può essere conservato a +4°C.

Immunodetezione

1. Si incuba il filtro, mantenendolo in agitazione, in blocking solution

per 1 ora a temperatura ambiente.

2. Si incuba con anticorpo primario overnight a 4°C, sotto agitazione.

3. Si lava in TBST; si effettuano 3-4 lavaggi da 10 minuti a

temperatura ambiente.

4. Si incuba per 1 ora a temperatura ambiente, mantenendo in

agitazione, con anticorpo secondario, diluizione 1:2000, in blocking

94

Page 101: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

solution. Come anticorpo secondario, si utilizza un anticorpo

coniugato covalentemente con la perossidasi di rafano (Horseradish

Peroxidase).

5. Si lava in TBST, 3 lavaggi da 10 minuti a temperatura ambiente, si

mette il filtro nuovamente in TBST.

6. In camera oscura si copre il filtro con 2 ml di una miscela di

soluzione A e soluzione B (1 mL di soluzione A + 1mL di soluzione

B) del Kit per la reazione ECL (Enhanced Chemiluminescence,

Amersham). A contatto con la soluzione A e la soluzione B la

perossidasi di rafano coniugata all’anticorpo secondario genera una

reazione chemioluminescente, in grado d’impressionare una lastra

fotografica, permettendo così la detezione della proteina.

7. Si espone la lastra fotografica al filtro per un tempo variabile da

stabilire sperimentalmente a seconda dell’intensità del segnale. Per

sviluppare la lastra, la si mette nel liquido di sviluppo fino a quando

non si vedono comparire le bande. Si sciacqua la lastra e la si mette

nel liquido di fissaggio. Si sciacqua la lastra sotto acqua corrente e

la si lascia asciugare.

8. Si sciacqua il filtro con TBST e si conserva a +4°C. Il filtro può

essere utilizzato per eventuali successive ibridazioni con altri

anticorpi dopo lo “strippaggio” (il filtro deve essere lasciato nella

stripping solution per 30 minuti a 50°C e successivamente

sciacquato con TBS).

95

Page 102: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

Soluzioni per western blot ed immunodetezione

Acrilammide 30%

Acrilammide (Biorad) 29,2 gBis-acrilammide (Biorad) 0,8 gAcqua q. b. a 100 mL

Si deve filtrare non sterilmente e usare guanti e mascherina perché

l’acrilammide e la bisacrilammide sono tossiche.

7,5% separating gel PAGE (dosi per 2 gel)Acqua 6,8 mLAcrilammide 30% 4,9 mLTris 1M pH 8,8 8 mLSDS 20% 100 µLAPS (Biorad ) 10% 100 µLTemed (Biorad) 10 µL

4% stacking gel PAGE (dosi per 2 gel)Acqua 6,8 mLAcrilammide 30% 1,7 mLTris 1M pH 6,8 1,25 mLSDS 20% 50 µLAPS 10% 100 µLTemed 10 µL

Running buffer 5X

Tris base (Merck) 15,2 g/LGlicina (Biorad) 65 g/LAcqua

Running buffer 1X

Running buffer 5X 20%SDS 1%Acqua

96

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Laemmli buffer 3X

Tris pH 6,8 150 mMGlicerolo 30%SDS 6%β-mercaptoetanolo 1,5 mMblu di bromofenolo (Biorad) 0,1%

Blotting buffer

Tris base 3,03 g/LGlicina 14,4 g/LMetanolo (Merck) 20% v/vAcqua

TBS buffer

Tris pH 7,5 50 mMNaCl 150 mMAcqua

Blocking solution

TBS bufferLatte scremato in polvere (Regilait) 5%TWEEN 20 (Sigma) 0,2%

Stripping solution

Tris-HCI pH 6,7 62,5 mMSDS 2%β-mercaptoetanolo 100 µMAcqua

Anticorpi usati nelle Western blot:

p65 rabbit 1:500 (Santa Cruz)β-actina mouse 1:5000 (Sigma)IκBα rabbit 1:500 (Santa Cruz)Fosfo IKK rabbit 1:250 (Cell Signaling)Fosfo ERK1/2 mouse 1:1000 (Cell Signaling)ERK1/2 rabbit 1:1000 (Cell Signaling)c-Rel rabbit 1:500 (Santa Cruz)

97

Page 104: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

p65 rabbit 1:500 (Santa Cruz)p50 rabbit 1:1000 (Santa Cruz)

IMMUNOCITOCHIMICA

Preparazione vetrini:

Immergere per alcuni giorni i vetrini in HCl 7%. Rimuovere l'HCl dai

vetrini, lavare con acqua bidistillata per 3 volte. Sotto cappa sterile aprire

una petri e mettere nel coperchio dell'alcool e nel fondo acqua per vetrini,

quindi immergere vetrini nell'alcool, poi trasportarli con una pinzetta

nell'acqua. Prendere un vetrino alla volta ed asciugarlo sulla fiamma del

bunsen, infine riporre il vetrino in una piastra da 24 pozzetti sterile.

Fissaggio cellule:

Aspirare il terreno di coltura, lavare con PBS 1X non sterile, fissare le

cellule per aggiunta di paraformaldeide al 4% per 5 minuti. Aspirare la

paraformaldeide, e lavare per 3 volte con PBS 1X non sterile, mettere

infine PBS + NaN3 conservare a 4°C.

98

Page 105: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOalessandrogr.altervista.org/Tesi.pdfL’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione

Immunodetezione:

1. Togliere il PBS + NaN3, aggiungere la soluzione di blocco per 45

minuti a temperatura ambiente.

2. Incubare con la soluzione contenente l'anticorpo primario overnight a

4°C.

3. Fare 3 lavaggi da 10 minuti, nella soluzione di lavaggio

4. Incubare con la soluzione contenente l'anticorpo secondario per 1 ora a

temperatura ambiente.

5. Fare 3 lavaggi da 10 minuti, nella soluzione di lavaggio

6. Incubare con la soluzione ABC per 1 ora a temperatura ambiente.

7. Lavare due volte con PBS 1X non sterile per 10 minuti.

8. Lavare infine con TRIS HCl 50mM pH 7.5 per 10 minuti.

9. Aggiungere la soluzione con la DAB per circa 5 minuti, fermare la

reazione per aggiunta di PBS 1X non sterile.

10.Lavare con PBS 1X non sterile.

Montaggio vetrini:

Su ogni vetrino mettere una goccia di PBS + glicerolo (1/1), riporre il

vetrino sul porta vetrini, ricoprire con il vetro copri-vetrini, sigillare con

Eukit

99

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Soluzioni per immunocitochimica per p65:

Soluzione di blocco

PBS 1X non sterileBSA (Sigma) 3%Siero di goat (Gibco) 10%Triton 0,2%

Soluzione per anticorpi

PBS 1X non sterileSiero di goat 10%

Anticorpo primario:

p65 1:500 (Santa Cruz)

Anticorpo secondario:

Biotinilato goat anti rabbit IgG 1:200 (Vector Laboratories)

Soluzione di lavaggio

PBS 1X non sterileBSA 3%TWEEN (Sigma) 0,1%

Soluzione di avidin-biotin horseradish peroxidase complex

(ABC kit, Vector Laboratories)

10µL di A + 10µL di B per ogni mL di PBS 1X non sterile

agitare su piastra agitante per 30 minuti

100

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Soluzione di 3,3’-diaminobenzidina (DAB) (Sigma)

1 pastiglia urea + 1 pastiglia di DAB in 5mL di acqua

vortexare fin quando tutto è ben sciolto

SCHEMA DEI TRATTAMENTI DELLE CELLULE

Negli esperimenti le cellule sono state trattate con i seguenti reagenti:

• 17β-estradiolo (Sigma) 10-9 M 10 minuti seguito dagli stimoli

infiammatori:

• LPS (isotipo 0111:B4, Sigma) 50 µg / mL 30 minuti

• TNFα (Sigma) 20 ng / mL 30 minuti

• IL-1β (Peprotech) 10 ng / mL 30 minuti

• LY 294002 (Sigma) 50 µM 1 ora prima del trattamento con E2

101

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RISULTATI

1. Azione del 17ββββ-estradiolo sulla localizzazione

citoplasmatica di p65 in cellule macrofagiche

Studi preliminari effettuati dal nostro laboratorio hanno messo in

evidenza che l'E2 è in grado di bloccare il legame di p65 al DNA.

I fattori di trascrizione della famiglia di NF-κB una volta attivati

traslocano dal citoplasma al nucleo. Per questo motivo abbiamo voluto

valutare l'influenza del 17β-estradiolo sulla localizzazione subcellulare di

p65 in cellule dell'infiammazione; ci siamo serviti della linea cellulare

RAW 264,7 in quanto già ben caratterizzata sia nel nostro che in altri

laboratori [274].

La valutazione della localizzazione subcellulare di p65 è stata effettuata

con due tecniche: immunocitochimica e western blot.

Mediante immunocitochimica condotta sulle cellule RAW 264,7

osserviamo che in condizioni di assenza di stimolo la localizzazione di

p65 è citoplasmatica, condizione che non è perturbata dal trattamento con

l'ormone in concentrazione fisiologica.

Il trattamento con LPS, come previsto, porta ad un massivo accumulo

nucleare di p65; il pretrattamento di 10 minuti con il 17β-estradiolo prima

dell'LPS comporta una localizzazione citoplasmatica simile alle cellule

controllo (Figura 1A e B).

Per confermare l'effetto ottenuto tramite immunocitochimica è stata

effettuata una western blot su estratti citoplasmatici e nucleari dalle

cellule RAW 264,7. La tecnica di immunocitochimica permette di

valutare la variazione subcellulare di una proteina, ma non si ha la

102

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certezza che l'anticorpo riconosca la proteina in esame; tramite western

blot si ha invece la possibilità di capire se la proteina rilevata

dall'anticorpo ha il medesimo peso molecolare di quella di interesse.

Questo permette di aggiungere informazioni ai dati di immnocitochimica.

I risultati che abbiamo ottenuto per western blot nelle RAW 264,7

confermano quelli precedentemente ottenuti per immunocitochimica.

Infatti il trattamento con LPS porta ad una diminuzione dei livelli di p65

citoplasmatico, mentre il pretrattamento con E2 seguito dall'aggiunta di

LPS al terreno di coltura mostra una quantità di p65 citoplasmatico simile

alle cellule controllo (Figura 1C).

103

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104

p65

β−β−β−β−actina

Den

sità

otti

cap6

5/ββ ββ -

actin

a

50

100

150

75

50

100

p65

cito

plas

m.

(% c

ell p

os /c

ell t

ot)

25

B

CTRL

LPSE 2

E 2+L

PS

Figura 1. Effetto del 17β-estradiolo sulla localizzazione subcellulare di p65 nelle cellule RAW 264,7

A) Immunocitochimica per p65B) Quantizzazione dell'effetto visto in A) mediante conta cellulareC) Western blot per p65 su estratti proteici citoplasmatici

C

75

50

37

100

A C E2

LPS E2+LPS

CTRL E 2

LPS

E 2+L

PS

CTRL

LPS

E 2 E 2+L

PS

CTRL

LPS

E 2 E 2+L

PS

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2. Azione del 17ββββ-estradiolo sulla localizzazione

citoplasmatica di p65 in cellule monocitarie

Per valutare se l'effetto osservato nelle RAW 264,7 fosse un meccanismo

conservato nelle cellule mieloidi abbiamo utilizzato le cellule U-937, che

sono monociti umani immortalizzati [279] Utilizzando ancora la tecnica

di western blot osserviamo come nelle U-937 non stimolate p65 sia

prevalentemente citoplasmatico, mentre il trattamento con TNFα

20 ng/mL per 30 minuti porti ad una pressoché totale traslocazione di

p65. Anche in questo caso un breve pretrattamento con l'ormone in

concentrazione fisiologica blocca l'effetto del TNFα (Figura 2A e 2B).

Da questi risultati abbiamo concluso che il 17β-estradiolo è in grado di

influenzare la localizzazione subcellulare di p65 in due tipi di cellule

mieloidi.

105

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p65

β−β−β−β−actina

CTRL

E 2+T

NFα

TNFα

E 2

A

p65

β−β−β−β−actina

B

Figura 2. Effetto del 17β-estradiolo sulla localizzazione subcellulare di p65 nelle cellule U-937

A) Western blot per p65 su estratti di proteine citoplasmaticheB) Western blot per p65 su estratti di proteine nucleari

50

100

150

Den

sità

otti

cap6

5/ββ ββ -

actin

a

50

100

150

Den

sità

otti

cap6

5/ββ ββ -

actin

a

CTRL

E 2+T

NFα

TNFα

E 2

75

50

37

75

50

37

CTRL

E 2+T

NFα

TNFαE 2

CTRL

E 2+T

NFα

TNFαE 2

CTRL

E 2+T

NFα

TNFα

E 2 CTRL

E 2+T

NFα

TNFα

E 2

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3. Effetto del 17ββββ-estradiolo sulla degradazione di IκκκκBαααα

L'ipotesi più logica, sulla base delle conoscenze circa la regolazione della

localizzazione subcellulare di p65, che potesse spiegare l'azione di E2

prevedeva che l'estrogeno inibisse la degradazione di IκBα.

Abbiamo così valutato se i livelli di proteina di IκBα fossero aumentati in

seguito al trattamento con E2 ed LPS. Abbiamo effettuato un esperimento

di tempo-dipendenza, analizzando l'azione di LPS dopo 5, 10, 20, 30 e 60

minuti dall'aggiunta di questa endotossina al terreno di coltura. I livelli di

IκBα sono quindi stati valutati mediante western blot sugli estratti

proteici citosolici. Per valutare l'effetto di E2 una serie analoga di

campioni trattati con LPS ai tempi citati sopra è stata previamente trattata

per 10 minuti con l'ormone. Dal grafico di figura 3 vediamo come i livelli

di IκBα inizino a diminuire circa 5 minuti dopo l'aggiunta di LPS e

raggiungano il minimo a 20 minuti. Dopo trenta minuti si osserva un

aumento dei livelli di IκBα. Ricordiamo infatti che IκBα è uno dei geni

precoci indotti da NF-κB. L'aumento di IκBα può essere ricondotto

all'effetto trascrizionale di NF-κB sul promotore di IκBα [206]. Dopo

un'ora di trattamento con LPS i livelli di IκBα sono tornati simili alla

situazione non stimolata.

E' interessante notare che il pretrattamento con 17β-estradiolo non è in

grado di prevenire la diminuzione dei livelli di IκBα, infatti il grafico è

sovrapponibile a quello ottenuto con il solo LPS (Figura 3). Questo

suggerisce che p65 rimane citoplasmatico nonostante si IκBα degradi.

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Figura 3. Effetto del 17β-estradiolo sulla degradazione di IκBαWestern blot per IκBα su estratti totali da RAW 264,7

ββββ-actina

I κκκκBαααα

E 2 LPS

E 2+L

PSC

TRL

E 2 LPS

E 2+L

PSCTR

LE 2 LP

SE 2

+LPS

CTR

L5’ 10’ 20’

E 2 LPS

E 2+L

PSCTR

LE 2 LP

SE 2

+LPS

CTRL

30' 60'

CTRLE2

LPSE2+LPS

60

100

5' 10'

Tempo

20

20' 30' 60'

Den

sità

otti

caI κκ κκ

Bαα αα /

ββ ββ -ac

tina

75

50

37

25

50

37

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4. Influenza del 17ββββ-estradiolo su IKK

La degradazione di IκBα è susseguente alla sua fosforilazione da parte di

IKK, che a sua volta viene attivato mediante fosforilazione [183].

Come ulteriore conferma dei risultati su IκBα tramite western blot

abbiamo valutato la fosforilazione di IKK in seguito ai trattamenti; come

era lecito attendersi i livelli basali di fosforilazione sono quasi nulli,

l'ormone di per sé non influenza questi livelli. L'LPS, come documentato

in letteratura, provoca la fosforilazione di IKK, mentre il pretrattamento

con l'estrogeno non blocca l'attivazione di IKK da LPS, come prevedibile

sulla base dell'esperimento su IκBα (Figura 4).

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Figura 4. Effetto del 17β-estadiolo su IKK Western blot per fosfo IKK su estratti totali da RAW 264,7

Fosfo IKK

β−β−β−β−actina

E 2+L

PS

CTRL

LPS

E 2

25

50

Den

sità

otti

caIK

K/ ββ ββ

-act

ina

100E 2

+LPS

CTRL

LPS

E 2

75

50

37

100

E 2+L

PS

CTRL

LPSE 2

75

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5. Influenza del 17ββββ-estradiolo su MAPK

Il legame dell'LPS al suo recettore porta all'attivazione di più cascate di

trasduzione del segnale [227], quindi abbiamo voluto verificare se il 17β-

estradiolo giocasse un ruolo anche in queste vie.

Abbiamo perciò posto la nostra attenzione sulla via delle MAP chinasi: si

è valutata la fosforilazione di ERK1/2, che poi porta alla loro attivazione.

Come si può vedere dalla figura 5 l'LPS stimola l'attività delle MAPK, ma

l'estrogeno non è in grado di prevenire questa attivazione.

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Fosfo ERK1/2 ERK1/2

E 2+L

PS

CTRL

LPS

E 2

Figura 5. Effetto del 17β-estadiolo sulle MAPKWestern blot per fosfo ERK1/2 su estratti totali da RAW 264,7

25

75

100

Den

sità

otti

caP

-ER

K1/

2/E

RK

1/2

E 2+L

PS

CTRL

LPS

E 2

75

50

37

100

E 2+L

PS

CTRL

LPSE 2

50

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6. Influenza del 17ββββ-estradiolo su PI3K

Un'altra via di segnale attivata da LPS è quella della PI3K, abbiamo

quindi valutato l'azione di E2 anche su questa via di segnale.

Per raggiungere il nostro scopo abbiamo trattato le RAW 264,7 con un

inibitore farmacologico della PI3K: l'LY 294002.

Quindi abbiamo fatto un'immunocitochimica per valutare la

localizzazione subcellulare di p65. Come si vede da figura 6 l'LY 294002

previene l'effetto dell'estrogeno, quindi è necessaria l'attivazione della

PI3K per avere il blocco della traslocazione di p65 mediato dall'ormone.

Da notare che l'inibitore della fosfatidilinositolo 3-chinasi da solo non

influenza la distribuzione subcellulare di p65 (Figura 6).

113

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114

LY+LPS

25

75

100

CTRL E 2

LPS

E 2+LP

S LYLY+E 2

LY+E 2

+LPS

Figura 6. Effetto del 17β-estadiolo sulla PI3K Immunocitochimica per p65 in RAW 264,7

p65

cito

plas

m.

(% c

ell p

os /c

ell t

ot)

50

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7. Azione del 17ββββ-estradiolo su altri membri di NF-κκκκB

NF-κB è una famiglia di fattori di trascrizione composta, oltre che da p65,

anche da p50, c-Rel, RelB e p52 [163]. Di conseguenza ci siamo posti la

domanda se l'azione del 17β-estradiolo fosse specifica per p65 o

interessasse altri membri della famiglia di fattori di trascrizione NF-κB.

Per rispondere a questa domanda abbiamo fatto degli esperimenti di

western blot ed immnocitochimica sia in RAW 264,7 che in U-937.

Come risulta dalle figure 7A e 7B anche la traslocazione nucleare di c-Rel

è bloccata dal pretrattamento per 10 minuti con concentrazioni

fisiologiche di estrogeno (Figure 7A e 7B).

Anche p50 in seguito al trattamento con LPS si concentra nel nucleo,

mentre un pretrattamento con 17β-estradiolo riporta la situazione uguale a

quella del controllo (Figura 8).

Da ciò abbiamo concluso che l'ormone femminile è in grado di bloccare

la traslocazione nucleare di tutti i membri della famiglia NF-κB in cellule

infiammatorie, e questo può rendere conto dell'attività antinfiammatoria

dell'estrogeno.

115

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c-Rel

β−β−β−β−actina

CTRL

E 2 TNFαE 2

+TNFα

Figura 7. Effetto del 17β-estradiolo su c-RelA) Western blot per c-Rel su estratti citoplasmatici da U-937B) Immunocitochimica per c-Rel in RAW 264,7C) Quantizzazione dell'effetto visto in B) mediante conta cellulare

A

100

50

CTRL E 2

LPS

E 2+L

PS

25

75

B C

50

100

75

25Den

sità

otti

cac-

Rel

/ ββ ββ-a

ctin

a

75

50

37

100

CTRL

E 2 TNFαE 2

+TNFα

CTRL E 2

TNFα

E 2+TNFα

LPS E2+LPS

c-R

el c

itopl

asm

.(%

cel

l pos

/cel

l tot

)

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117

p50 ββββ-actina

100

200

300

400

Den

sità

otti

cap5

0/ββ ββ -

actin

a

Figura 8. Effetto del 17β-estradiolo su p50 in cellule RAW 264,7Western blot per p50 su estratti nucleari

CTRL

E 2 LPS

E 2+L

PS

75

50

37

100

CTRL

E 2 LPS

E 2+L

PS

CTRL E 2

LPS

E 2+L

PS

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8. Effetto del 17ββββ-estradiolo sulla localizzazione

citoplasmatica di p65 in cellule non macrofagiche

Anche se il suo ruolo principale è nelle cellule del sistema immunitario,

NF-κB è un fattore di trascrizione espresso in modo ubiquitario. Per

questo abbiamo deciso di valutare se l'estrogeno inibisse la traslocazione

di p65 anche in cellule non infiammatorie.

A tale scopo abbiamo condotto un'immunocitochimica su MCF-7,

SK-ER3 ed SK-N-BE. Le cellule MCF-7 sono derivate da un carcinoma

mammario umano positivo per ERα e sono spesso usate per studiare gli

effetti degli estrogeni; le SK-ER3 sono cellule di neuroblastoma

transfettate stabilmente con ERα e sono state generate nel nostro

laboratorio per studiare l'azione del 17β-estradiolo, le SK-N-BE sono il

loro controllo negativo, in quanto non esprimono gli ER.

Ogni tipo cellulare è stato trattato con lo stimolo che produceva

l'attivazione di p65. Infatti abbiamo osservato che LPS non attiva NF-κB

nelle MCF-7, nelle SK-N-BE e nelle SK-ER3, perché queste cellule non

hanno il recettore per l'LPS. Quindi abbiamo usato il TNFα, stimolo che

porta all'attivazione di NF-κB in vari tipi cellulari.

Come si vede dalle figure 9 e 10 in nessuno di questi tipi cellulari un

pretrattamento di 10 minuti con 17β-estradiolo 10-9 M è stato in grado di

prevenire la traslocazione nucleare di p65 (Figura 9 e 10).

L'azione dell'estrogeno è perciò limitata alle cellule che prendono parte

alla risposta infiammatoria.

118

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119

25

75

100

CTRL E 2

TNFα

E 2+T

NFα

Figura 9. Effetto del 17β-estradiolo su p65 in cellule diverseImmunocitochimica per p65 in MCF-7

C

TNFα

E2

E2+TNFα

p65

cito

plas

m.

(% c

ell p

os /c

ell t

ot)

50

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120

25

75

100

CTRL E 2

TNFα

E 2+T

NFα

Figura 10. Effetto del 17β-estradiolo su p65 in cellule diverseA) Immunocitochimica per p65 in SK-N-BEB) Immunocitochimica per p65 in SK-ER3

p65

cito

plas

m.

(% c

ell p

os /c

ell t

ot)

p65

cito

plas

m.

(% c

ell p

os /c

ell t

ot)

50

25

75

100

50

CTRL E 2

TNFα

E 2+T

NFα

BA

C E2

TNFα E2+TNFα

C E2

TNFα E2+TNFα

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DISCUSSIONE

Numerosi studi indicano che l'estrogeno blocca la generazione della

risposta infiammatoria nelle cellule macrofagiche [270, 273, 275, 280];

questa proprietà può spiegare il ruolo protettivo degli estrogeni endogeni

ed esogeni in molti modelli animali di patologie a componente

infiammatoria, delle quali l'ormone ritarda l’insorgenza e attenua

i sintomi [243, 281-286]. Il meccanismo molecolare di questa azione deve

essere ancora chiarito.

Lo scopo che ha animato questa tesi è stato quello di determinare quali

eventi molecolari vengano influenzati dal 17β-estradiolo per svolgere la

sua attività inibitoria della via di segnale di LPS.

In particolare ho focalizzato il mio studio sui fattori di trascrizione della

famiglia di NF-κB.

Visto che questi fattori di trascrizione, una volta attivati, migrano nel

nucleo, abbiamo analizzato se l'E2 potesse modificare tale meccanismo di

distribuzione subcellulare di p65.

Un pretrattamento di 10 minuti con il 17β-estradiolo 10-9 M seguito dalla

stimolazione con LPS o TNFα per 30 minuti risulta comunque in una

localizzazione citoplasmatica di p65.

Questa azione dell'ormone non è limitata a p65, ma interessa anche gli

altri membri della famiglia di NF-κB: infatti abbiamo ottenuto gli stessi

risultati quando abbiamo focalizzato la nostra attenzione su p50 e c-Rel.

Sorprendentemente l'E2 non blocca la fosforilazione di IKK, né protegge

IκBα dalla degradazione. Quindi il 17β-estradiolo non agisce sulla via di

IKK/I κBα dell'attivazione di NF-κB né sull'attivazione delle MAP

chinasi.

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E’ invece coinvolta l'attivazione della PI3K, visto che l'inibitore

farmacologico della PI3K, l'LY 294002 ha bloccato l'effetto del 17β-

estradiolo. Questo dato è in accordo con i risultati di altri laboratori, che

vedono attività antinfiammatoria della fosfatidilinositolo 3-chinasi [191-

195], ed interazioni tra ER e la subunità regolatoria della

fosfatidilinositolo 3-chinasi sono state descritte in più sistemi cellulari

[131, 132].

Valutando questi risultati si può ipotizzare che l'azione dell'E2

sull'attivazione di p65 è un evento non genomico, in quanto si esplica in

tempi troppo brevi (dieci minuti) per essere compatibili con una

attivazione della espressione genica.

È importante inoltre notare che il 17β-estradiolo blocca l'attivazione di

p65 in modo indipendente dalla degradazione di IκBα, differenziandosi in

questo dai FANS, che invece agiscono inibendo IKK.

Infine in questa tesi dimostriamo che l'azione inibitoria del 17β-estradiolo

sull'attivazione di NF-κB si esplica solo nelle cellule macrofagiche.

Ulteriori studi sono necessari per meglio caratterizzare gli intermedi che,

oltre alla fosfatidilinositolo 3-chinasi, mediano l'azione dell'estrogeno.

Questi studi potranno servire per individuare dei nuovi bersagli nella via

di attivazione di NF-κB che agiscono a monte della trascrizione di geni

infiammatorii. Lo sviluppo di nuovi farmaci che agiscono in modo simile

all'E2 potrà essere utile per prevenire l'insorgenza di quelle malattie dove

la componente infiammatoria svolge un ruolo cruciale nella loro

patogenesi.

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Ringraziamenti

Ringrazio la Professoressa Adriana Maggi, per avermi dato la possibilità di svolgerequesta tesi presso il suo laboratorio,e la Dottoressa Elisabetta Vegeto per avermi seguito da vicino ed aver coordinato inmodo egregio il mio lavoro.Inoltre voglio ringraziare tutti i componenti del laboratorio Maggi, delle personemolto preparate e disponibili; in particolare le “cellule” per avermi sopportato perquesti 18 mesi.Ringrazio i miei genitori per tutto il loro affetto ed il loro supporto, che sono statimolto importanti durante i miei studii.