Per saperne di più - La Scuola · 2014. 12. 31. · que «tesoro» di ogni genere. -...

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IL λόγος STORICO ED ERODOTO 733 convocati gli Indiani chiamati Callati – quelli che mangiano i genitori –, alla presen- za dei Greci che comprendevano quanto veniva detto attraverso un interprete, chiese loro in cambio di quali ricchezze avrebbero accettato di bruciare con il fuoco i padri morti. I Callati, gridando forte, esortarono Dario a non pronunciare parole empie. Le usanze sono fatte così: e mi sembra che Pindaro fosse nel giusto quando diceva che «l’usanza» è «regina del mondo». Per saperne di più Ridere da stolto In III 28 Erodoto raccontava che Cambise si era fatto portare l’uomo che gli Egiziani credevano essere il dio Api ricomparso fra loro e lo aveva colpito mortalmente con un pugnale: ap- punto per il crimine ai danni di Api «Cambise, come raccontano gli Egiziani, impazzì immediatamente, lui che già prima non era assennato». Seguono la rievocazione dei suoi delitti contro il fratello Smerdi e contro la sorella/sposa e il ricordo di altre follie perpetrate contro i Persiani: ad esempio colpisce al cuore con una freccia il figlio del dignitario Pressaspe per dimostrare che il vino non gli ha condizionato la mira; tenta di colpire Creso che lo ha esortato a essere «padrone di se stesso». La violazione delle tombe a Menfi e l’ingresso nel tempio di Efesto/Ptah e nel santuario dei Cabiri, con l’incendio delle sta- tue di questi demoni di origine microasiatica, rappresentano gli ultimi atti di un elenco di misfatti compiuti da colui che Erodoto ci prospetta come il modello di un modo perverso di porsi di fronte alle altre culture e ai loro dèi non meno che di fronte al proprio popolo. Dileggio e irrisione scandiscono i moti di un istinto irresistibilmente trascinato a violare prin- cipî etici e immagini sacre, culti e memorie: il successore di Ciro sul trono persiano ride all’indirizzo dei sacerdoti egiziani dopo aver ferito Api (29, 1 γελάσας), ride e diventa eufo- rico quando scopre che la freccia che ha scagliato contro il figlio di Pressaspe si è andata a conficcare nel cuore (35, 3 γελάσαντα καὶ περιχαρῆ), deride a lungo (37, 2 πολλά ... κατεγέλασε) la statua di Ptah (che gli appare buffa se non grottesca: un nano con la testa calva e la barba diritta), leva motti di scherno (37, 3 κατασκώψας) verso le immagini dei Cabiri prima di incendiarle. Altra faccia della ὕβρις e della follia, il riso di scherno verso «le cose sacre e le tradizioni religiose» (divinità, riti, usanze) suscita l’esplicita condanna di Erodoto. Le vicende che nell’ultimo trentennio del VI secolo portarono Policrate, potente tiranno di Samo, ad abbandonare l’alleanza con Amasi, il faraone egiziano della XVII dinastia (cfr. I 30, 1 T4), e a passare dalla parte di Cambise, il re persiano succeduto a Ciro il Grande, offrono a Erodoto l’occasione per arricchire con spun- ti novellistici la sua esposizione storica. Rovesciando i dati effettivi, egli inseri- sce un racconto che costituisce una sorta di aition del passaggio del tiranno dal re egiziano al re persiano: nella sua esposizione è Amasi che decide di lasciare Policrate, troppo fortunato e immancabile futuro bersaglio dello φθόνος θεῶν, per non essere poi lui stesso travolto nella rovina. Amasi, nei panni del saggio ammonitore, di fronte alla incessante buona sorte dell’alleato, lo convince a pri- varsi della cosa che ha più preziosa, per procurarsi un dispiacere che interrompa la sua inconcussa felicità e, anticipandola, impedisca l’invidia divina. Quando però l’anello gettato in mare viene miracolosamente recuperato nel ventre di un pesce e riportato al tiranno, Amasi, informato di tali accadimenti da una lettera di Policrate, capisce che per quanto un uomo possa ingegnarsi non può sfuggire al suo destino. Si vede dunque con quanta abilità Erodoto abbia utilizzato un racconto tradizionale intorno ad un oggetto prezioso o miracoloso, perduto e ritrovato inaspettatamente, per mettere in evidenza uno dei principi tipici della Grecia arcaica come lo φθόνος θεῶν e l’ineluttabilità del destino. L’anello di Policrate T. 5 L’ANELLO DI POLICRATE

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    convocati gli Indiani chiamati Callati – quelli che mangiano i genitori –, alla presen-za dei Greci che comprendevano quanto veniva detto attraverso un interprete, chiese loro in cambio di quali ricchezze avrebbero accettato di bruciare con il fuoco i padri morti. I Callati, gridando forte, esortarono Dario a non pronunciare parole empie. Le usanze sono fatte così: e mi sembra che Pindaro fosse nel giusto quando diceva che «l’usanza» è «regina del mondo».

    Per saperne di piùRidere da stoltoIn III 28 Erodoto raccontava che Cambise si era fatto portare l’uomo che gli Egiziani credevano essere il dio Api ricomparso fra loro e lo aveva colpito mortalmente con un pugnale: ap-punto per il crimine ai danni di Api «Cambise, come raccontano gli Egiziani, impazzì immediatamente, lui che già prima non era assennato». Seguono la rievocazione dei suoi delitti contro il fratello Smerdi e contro la sorella/sposa e il ricordo di altre follie perpetrate contro i Persiani: ad esempio colpisce al cuore con una freccia il figlio del dignitario Pressaspe per dimostrare che il vino non gli ha condizionato la mira; tenta di colpire Creso che lo ha esortato a essere «padrone di se stesso». La violazione delle tombe a Menfi e l’ingresso nel tempio di Efesto/Ptah e nel santuario dei Cabiri, con l’incendio delle sta-tue di questi demoni di origine microasiatica, rappresentano gli ultimi atti di un elenco di misfatti compiuti da colui che Erodoto ci prospetta come il modello di un modo perverso di

    porsi di fronte alle altre culture e ai loro dèi non meno che di fronte al proprio popolo. Dileggio e irrisione scandiscono i moti di un istinto irresistibilmente trascinato a violare prin-cipî etici e immagini sacre, culti e memorie: il successore di Ciro sul trono persiano ride all’indirizzo dei sacerdoti egiziani dopo aver ferito Api (29, 1 γελάσας), ride e diventa eufo-rico quando scopre che la freccia che ha scagliato contro il figlio di Pressaspe si è andata a conficcare nel cuore (35, 3 γελάσαντα καὶ περιχαρῆ), deride a lungo (37, 2 πολλά ... κατεγέλασε) la statua di Ptah (che gli appare buffa se non grottesca: un nano con la testa calva e la barba diritta), leva motti di scherno (37, 3 κατασκώψας) verso le immagini dei Cabiri prima di incendiarle. Altra faccia della ὕβρις e della follia, il riso di scherno verso «le cose sacre e le tradizioni religiose» (divinità, riti, usanze) suscita l’esplicita condanna di Erodoto.

    Le vicende che nell’ultimo trentennio del VI secolo portarono Policrate, potente tiranno di Samo, ad abbandonare l’alleanza con Amasi, il faraone egiziano della XVII dinastia (cfr. I 30, 1 T4), e a passare dalla parte di Cambise, il re persiano succeduto a Ciro il Grande, offrono a Erodoto l’occasione per arricchire con spun-ti novellistici la sua esposizione storica. Rovesciando i dati effettivi, egli inseri-sce un racconto che costituisce una sorta di aition del passaggio del tiranno dal re egiziano al re persiano: nella sua esposizione è Amasi che decide di lasciare Policrate, troppo fortunato e immancabile futuro bersaglio dello φθόνος θεῶν, per non essere poi lui stesso travolto nella rovina. Amasi, nei panni del saggio ammonitore, di fronte alla incessante buona sorte dell’alleato, lo convince a pri-varsi della cosa che ha più preziosa, per procurarsi un dispiacere che interrompa la sua inconcussa felicità e, anticipandola, impedisca l’invidia divina. Quando però l’anello gettato in mare viene miracolosamente recuperato nel ventre di un pesce e riportato al tiranno, Amasi, informato di tali accadimenti da una lettera di Policrate, capisce che per quanto un uomo possa ingegnarsi non può sfuggire al suo destino. Si vede dunque con quanta abilità Erodoto abbia utilizzato un racconto tradizionale intorno ad un oggetto prezioso o miracoloso, perduto e ritrovato inaspettatamente, per mettere in evidenza uno dei principi tipici della Grecia arcaica come lo φθόνος θεῶν e l’ineluttabilità del destino.

    L’anello di Policratedi Policrate

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    to male, scalzato nelle radici»; pare im-probabile che πρόρριζος «dalle radici» (πρό e ῥίζα) alluda, come alcuni inten-dono, all’assenza di figli (perché mai do-vrebbero essere «radici» e non – se mai – «rami» dell’albero?): si tratta piuttosto di un’immagine che caratterizza la ca-duta, senza possibilità di ristabilimento, come di una pianta che, giacendo oriz-zontalmente, presenta le radici davanti a sé. - πρὸς τὰς εὐτυχίας: «contro gli eventi fortunati», dunque: «a bilanciare i successi».

    τὸ ἂν εὕρῃς … ἀλγήσεις: «ciò che eventualmente tu trovi essere per te di più valore e per la cui perdita soprat-tutto soffriresti nell’animo»; ἀλγεῖν ἐπί τινι è «soffrire per qualcosa». - ὅκως … ἐς ἀνθρώπους: «(in modo) che non possa più comparire tra gli uomini»; ὅκως (= ὅπως) consecutivo è costruito qui con il futuro ἥξει (da ἥκω). - Ἤν τε … προσπίπτωσι: «e se in seguito (τὠπὸ τούτου) non ancora tali fortune si veri-ficheranno alternativamente con le sven-ture»; τὠπό è crasi per τὸ ἀπό. Il senso generale del periodo appare chiaro, ma il testo è assai incerto nella tradizione ma-noscritta. - τρόπῳ … ἀκέο: «rimedia (ancora) nel modo che ti è stato da me suggerito»; ἀκέο è imperativo ionico di ἀκέομαι.

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    dell’oggettiva (τὸ θεῖον) è fatto oggetto del verbo reggente (ἐπισταμένῳ, parti-cipio attributivo concordato con il prece-dente ἐμοί). Le parole di Amasi ripetono quasi alla lettera la risposta di Solone a Creso in I 32, 1 (v. T3 p. 727). L’invidia degli dèi, che presuppone una concezio-ne della divinità come sostanzialmente ostile all’uomo, è, in origine, a-morale e solo la successiva riflessione cercherà di collegarla ad un precedente peccato di ὕβρις da parte dell’uomo. - καὶ αὐτός … ἂν κήδομαι: «sia io stesso, sia coloro che mi stanno a cuore»; τῶν vale come pronome relativo. - τὸ δὲ προσπταίειν: «in qualche altra (correlativo al preceden-te τὸ μέν τι τῶν πραγμάτων) fallire»; προσπταίω è propriamente «inciampa-re»: naturale qui il suo significato traslato che lo oppone a εὐτυχεῖν. - διαφέρειν … τὰ πάντα: «trascorrere la vita con fortune alterne più che avere sorte favo-revole in tutte le cose»; l’espressione διαφέρειν τὸν αἰῶνα significa «passare la vita», mentre il verbo πράττω (ionico πρήσσω) con avverbio ha valore intran-sitivo: ἐναλλὰξ πράττω «sto in modo alterno», «ho alterna fortuna».

    οὐδένα … ὅστις: «non conosco ancora nessuno, per averne udito parlare, che…»; λόγῳ è dativo strumentale. - οὐ κακῶς … πρόρριζος: «non sia fini-

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    εὐτυχέων … ὁ Πουκρά-της: della notevole potenza di Policrate, che aveva occupato numerose isole e ave-va sconfitto e fatto prigionieri i Lesbii, Erodoto aveva parlato nel capitolo prece-dente. - ἀλλά … ἐπιμελές: «ma ciò gli procurava inquietudine». Il senso proprio di μέλω (di ignota etimologia) è quello di «darsi pensiero», «preoccuparsi di». - πολλῷ … γινομένης: «diventando a lui la fortuna molto più grande; πλέονος è forma ionica per πλείονος. - γράψας ἐς βυβλίον: «avendo scritto su un foglio di papiro», dunque «avendo scritto una let-tera». La comunicazione epistolare (Poli-crate scriverà a sua volta ad Amasi) è, per il tempo, abbastanza eccezionale e dato che, come si vede dal contenuto, essa pre-suppone la conoscenza della sorte di Po-licrate, è una evidente, felice, invenzione. - Ἄμασις … λέγει: formula incipitaria frequente nella comunicazione da parte dei sovrani.

    ἄνδρα … πρήσσοντα : «che un amico e ospite abbia successo», εὖ πρήσσω (= πράττω) significa «sto be-ne», «ho fortuna». Il rapporto Amasi-Po-licrate è presentato come un rapporto di amicizia e di ospitalità, dunque di natura interpersonale. - τὸ θεῖον … φθονερόν: «sapendo che la divinità è invidiosa». Fre-quente la costruzione per cui il soggetto

    III 40, 1

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    La lettera di Amasi a Policrate

    III 40 [1] Καί κως τὸν Ἄμασιν εὐτυχέων μεγάλως ὁ Πολυκράτης οὐκ ἐλάνθανε, ἀλλά οἱ τοῦτ’ ἦν ἐπιμελές. Πολλῷ δὲ ἔτι πλέονός οἱ εὐτυχίης γινομένης γράψας ἐς βυβλίον τάδε ἐπέστειλε ἐς Σάμον· «Ἄμασις Πολυ-κράτεϊ ὧδε λέγει. [2] Ἡδὺ μὲν πυνθάνεσθαι ἄνδρα φίλον καὶ ξεῖνον εὖ πρήσσοντα, ἐμοὶ δὲ αἱ σαὶ μεγάλαι εὐτυχίαι οὐκ ἀρέσκουσι, τὸ θεῖον ἐπισταμένῳ ὡς ἔστι φθονερόν. Καί κως βούλομαι καὶ αὐτὸς καὶ τῶν ἂν κήδωμαι τὸ μέν τι εὐτυχέειν τῶν πρηγμάτων, τὸ δὲ προσπταίειν, καὶ οὕτω διαφέρειν τὸν αἰῶνα ἐναλλὰξ πρήσσων ἢ εὐτυχέειν τὰ πάντα· [3] οὐδένα γάρ κω λόγῳ οἶδα ἀκούσας ὅστις ἐς τέλος οὐ κακῶς ἐτελεύτησε πρόρριζος, εὐτυχέων τὰ πάντα. Σύ νυν ἐμοὶ πειθόμενος ποίησον πρὸς τὰς εὐτυχίας τοιάδε. [4] Φροντίσας τὸ ἂν εὕρῃς ἐόν τοι πλείστου ἄξιον καὶ ἐπ’ ᾧ σὺ ἀπο-λομένῳ μάλιστα τὴν ψυχὴν ἀλγήσεις, τοῦτο ἀπόβαλε οὕτω ὅκως μηκέτι ἥξει ἐς ἀνθρώπους. Ἤν τε μὴ ἐναλλὰξ ἤδη τὠπὸ τούτου αἱ εὐτυχίαι τοι τῇσι πάθησι προσπίπτωσι, τρόπῳ τῷ ἐξ ἐμέο ὑποκει-μένῳ ἀκέο».

    Erodoto III 40-43

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    è genitivo di materia. - ἔργον … Σαμίου: «era opera di Teodoro di Telecle, samio». Teodoro era, oltre che incisore, anche ar-chitetto e scultore e aveva inventato alcune tecniche per la fusione dei metalli.

    ἐς τὸ πέλαγος: «in mare aperto»; πέλαγος è per questo significato distinto tanto da θάλαττα, nome per così dire co-mune del mare, quanto da πόντος che de-signa il mare in quanto elemento attraver-sabile. - περιελόμενος τὴν σφρηγῖδα: «sfilatosi l’anello». Il movimento implica un avvitamento (περι-). - πάντων … τῶν συμπλόων: «sotto gli occhi di tutti coloro che navigavano insieme con lui». Genitivo assoluto. - συμφορῇ ἐχρῆτο: «la sentiva come una disgrazia», e dunque: «si addolo-rava».

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    e significa «ciò che si conserva e resta fer-mo» (in opposizione a beni «che si muo-vono», come greggi, armenti, ecc.), dun-que «tesoro» di ogni genere. - σφρηγὶς … ἐοῦσα: «un sigillo, che portava di solito, incastonato in oro e fatto di pietra smeraldo». Anche l’elsa della spada di An-timenide, il fratello di Alceo, era definita χρυσοδέτα (fr. 350, 2); σμαράγδου λίθου

    ἐπ’ ᾧ ἂν … τῶν κειμηλίων: «la cosa, tra i suoi tesori, per la cui perdi-ta più si sarebbe addolorato nell’animo»; ἀσαόμαι è verbo denominativo rispetto ad ἄση, in cui l’idea di «saziarsi», connessa all’aoristo omerico ἆσαι, si orienta verso quella di «sentire disgusto», «sentire pe-na profonda»; τῶν κειμηλίων è partitivo: κειμήλιον è sostantivo derivato da κεῖμαι

    III 41, 1

    Policrate dà ascolto all’amico e si priva dell’anello

    III 41 [1] Ταῦτα ἐπιλεξάμενος ὁ Πολυκράτης καὶ νόῳ λαβὼν ὥς οἱ εὖ ὑπετίθετο ὁ Ἄμασις, ἐδίζητο ἐπ’ ᾧ ἂν μάλιστα τὴν ψυχὴν ἀσηθείη ἀπο-λομένῳ τῶν κειμηλίων, διζήμενος δ’ εὕρισκε τόδε. Ἦν οἱ σφρηγὶς τὴν ἐφόρεε χρυσόδετος, σμαράγδου μὲν λίθου ἐοῦσα, ἔργον δὲ ἦν Θεοδώ-ρου τοῦ Τηλεκλέος Σαμίου. [2] Ἐπεὶ ὦν ταύτην οἱ ἐδόκεε ἀποβαλεῖν, ἐποίεε τοιάδε· πεντηκόντερον πληρώσας ἀνδρῶν ἐσέβη ἐς αὐτήν, μετὰ δὲ ἀναγαγεῖν ἐκέλευε ἐς τὸ πέλαγος· ὡς δὲ ἀπὸ τῆς νήσου ἑκὰς ἐγένε-το, περιελόμενος τὴν σφρηγῖδα πάντων ὁρώντων τῶν συμπλόων ῥίπτει ἐς τὸ πέλαγος. Τοῦτο δὲ ποιήσας ἀπέπλεε, ἀπικόμενος δὲ ἐς τὰ οἰκία συμφορῇ ἐχρῆτο.

    Immagini topiche

    Il gesto simbolico del lancio dell’anello in mare ha avuto diverse interpretazioni: una delle più fortunate è quella che lo interpreta come un atto rituale di «matrimonio col mare», che anche i dogi veneziani avrebbero ereditato da Policrate (D. Asheri).

    L’anello in mare

    Una pesca prodigiosa

    III 42 [1] Πέμπτῃ δὲ ἢ ἕκτῃ ἡμέρῃ ἀπὸ τούτων τάδε οἱ συνήνεικε γενέ-σθαι. Ἀνὴρ ἁλιεὺς λαβὼν ἰχθὺν μέγαν τε καὶ καλὸν ἠξίου μιν Πολυκρά-τεϊ δῶρον δοθῆναι. Φέρων δὴ ἐπὶ τὰς θύρας Πολυκράτεϊ ἔφη ἐθέλειν ἐλθεῖν ἐς ὄψιν, χωρήσαντος δέ οἱ τούτου ἔλεγε διδοὺς τὸν ἰχθύν· [2] «Ὦ βασιλεῦ, ἐγὼ τόνδε ἑλὼν οὐκ ἐδικαίωσα φέρειν ἐς ἀγορήν, καίπερ ἐὼν ἀποχειροβίοτος, ἀλλά μοι ἐδόκεε σέο τε εἶναι ἄξιος καὶ τῆς σῆς ἀρχῆς·

    Πέμπτῃ … ἢ ἕκτῃ ἡμέρῃ: «dopo quattro o cinque giorni»: nelle espressioni di tempo di questo tipo, pre-senti anche in latino, nella traduzione ita-liana il numerale ordinale va diminuito di un’unità (letteralmente «nel quinto o sesto giorno»). - τάδε οἱ … γενέσθαι:

    III 42, 1 «avvenne che gli capitarono queste cose», «gli accadde questo». - ἠξίου … δοθῆναι: «ritenne degno che fosse donato a Policra-te»; μιν sta per αὐτόν. - χωρήσαντος δέ οἱ τούτου: «essendogli questo riuscito». L’uso assoluto di χωρέω ha significato di «riuscire»; οἱ sta per αὐτῷ.

    οὐκ ἐδικαίωσα … ἐς ἀγορήν: «non ritenni giusto portarlo al merca-to»; ἀγορή (= -ρά) è qui «piazza del mercato», «mercato». - καίπερ … ἀποχειροβίοτος: «per quanto io viva del lavoro delle mie mani». L’aggettivo ἀποχειροβίοτος tornerà, dopo Erodoto,

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    … ἀνδρός: «affinché, quando una terribile e grande sventura avesse colpito Policrate, non dovesse egli stesso soffrirne nell’animo, come per un ospite». In Erodoto Amasi ha tratti antieroici: anche questa sua volontà di non soffrire rientra nel profilo erodoteo del personaggio.

    διαλύεσθαι … τὴν ξενίην: «an-nunciava di sciogliere il patto di ospitali-tà». Secondo la maggioranza degli storici moderni (nonostante Diodoro I 25 sia sul-la stessa linea di Erodoto) è più probabile che a cambiare alleato sia stato Policrate, preoccupato che i Persiani coinvolgessero Samo nelle loro mire sull’Egitto. - ἵνα μή

    2 ὅτι ἐκκομίσαι … πρήγμα-τος: «che era impossibile per un uomo sot-trarre un altro uomo al destino che deve per lui realizzarsi». L’ottativo εἴη è obliquo, come il successivo μέλλοι. - οὐκ εὖ … Πολυκράτης: «non sarebbe finito bene». - ὃς … εὑρίσκει: «lui che trovava anche le cose che gettava via».

    III 43, 1

    no pieni di gioia». - Τὸν δέ … τὸ πρῆγμα: «e lui, appena gli venne in mente che la co-sa era divina». Si affaccia subito alla mente del tiranno l’origine prodigiosa del feno-meno. - πάντα … καταλελάβηκε: «tut-te le cose che aveva fatto e quali gli era-no capitate»; καταλαμβάνω (la forma di perfetto λελάβηκα è frequente in Erodoto, invece di εἴληφα) vale qui per «capitare».

    μέγα ποιεύμενος ταῦτα: «conside-rando gran cosa quell’invito» (ποιεύμενος = ποιούμενος): μέγα ποιεῖσθαι ha, come al solito, valore estimativo. - ἐν τῇ νηδύϊ: «nel ventre». Il termine designa generica-mente tanto lo stomaco quanto l’intestino o il ventre femminile.

    ἔφερον χεχαρηκότες: «lo portava-

    3

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    in Senofonte e Luciano. - ἡσθεὶς τοῖσι ἔπεσι: «contento per queste parole»; ἥδομαι implica lieta soddisfazione per le lusinghiere espressioni del suddito. Forse a Policrate ha fatto particolarmente piacere essere apostrofato con il titolo di βασιλεύς, lui che si era impadronito di Samo con una rivolta. - χάρις διπλῆ: «a te va doppia gratitudine».

    σοὶ δή μιν φέρων δίδωμι». Ὁ δὲ ἡσθεὶς τοῖσι ἔπεσι ἀμείβεται τοῖσδε· «Κάρτα τε εὖ ἐποίησας καὶ χάρις διπλῆ τῶν τε λόγων καὶ τοῦ δώρου· καί σε ἐπὶ δεῖπνον καλέομεν». [3] Ὁ μὲν δὴ ἁλιεὺς μέγα ποιεύμενος ταῦτα ἤιε ἐς τὰ οἰκία. Τὸν δὲ ἰχθὺν τάμνοντες οἱ θεράποντες εὑρίσκου-σι ἐν τῇ νηδύϊ αὐτοῦ ἐνεοῦσαν τὴν Πολυκράτεος σφρηγῖδα· [4] ὡς δὲ εἶδόν τε καὶ ἔλαβον τάχιστα, ἔφερον κεχαρηκότες παρὰ τὸν Πολυκρά-τεα, διδόντες δέ οἱ τὴν σφρηγῖδα ἔλεγον ὅτεῳ τρόπῳ εὑρέθη. Τὸν δὲ ὡς ἐσῆλθε θεῖον εἶναι τὸ πρῆγμα, γράφει ἐς βυβλίον πάντα τὰ ποιήσαντά μιν οἷα καταλελάβηκε, γράψας δὲ ἐς Αἴγυπτον ἐπέθηκε.

    Fine di un’amicizia

    III 43 [1] Ἐπιλεξάμενος δὲ ὁ Ἄμασις τὸ βυβλίον τὸ παρὰ τοῦ Πολυκρά-τεος ἧκον, ἔμαθε ὅτι ἐκκομίσαι τε ἀδύνατον εἴη ἀνθρώπῳ ἄνθρωπον ἐκ τοῦ μέλλοντος γίνεσθαι πρήγματος καὶ ὅτι οὐκ εὖ τελευτήσειν μέλλοι Πολυκράτης εὐτυχέων τὰ πάντα, ὃς καὶ τὰ ἀποβάλλοι εὑρίσκει. [2] Πέμ-ψας δέ οἱ κήρυκα ἐς Σάμον διαλύεσθαι ἔφη τὴν ξεινίην. Τοῦδε δὲ εἵνε-κεν ταῦτα ἐποίεε, ἵνα μὴ συντυχίης δεινῆς τε καὶ μεγάλης Πολυκράτεα καταλαβούσης αὐτὸς ἀλγήσειε τὴν ψυχὴν ὡς περὶ ξείνου ἀνδρός.

    Fortuna letteraria L’anello di Policrate: Schiller e LeopardiPuoi leggere on line la Ballata di F. Schiller «L’anello di Policrate» insieme a una pagina dello Zibaldone, in cui Leopardi accenna al «dogma dell’invidia degli dèi». Quando nel 1797 Schiller comincia a scrivere le Ballate, L’anello di Policrate

    è tra le prime a essere composta. Fonte ne è Erodoto, ma il poeta tedesco apporta alla scena alcune modifiche. Egli immagina, tra Policrate e Amasi, un dialogo a Samo, nel castello del tiranno. Mentre Amasi sta via via manifestando i

    suoi timori, la ininterrotta felicità di Policrate si rivela attraverso tre consecutivi annunci di successi: l’uccisione del suo più pericoloso nemico; il rientro, carico di preda, della flotta a Samo; la distruzione, ad opera di una tempesta, della

    terribile flotta cretese. Quando anche l’anello viene ritrovato miracolosamente, Amasi, sgomento, dichiara di non poter più restare ospite ed amico di uno che gli dei vogliono chiaramente rovinare «e rapido fu a bordo».

    ERODOTO

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    Come abbiamo visto nel passo precedente, nel suo ultimo viaggio verso la morte che Orete gli ha tramato, Policrate porta con sé, tra i molti accompa-gnatori, «anche Democede, figlio di Callifonte, di Crotone […] un medico che praticava la sua arte meglio di tutti i suoi contemporanei» (III, 125). Quando Dario salì al potere, dopo anni di torbidi e rivolte successivi alla mor-te di Cambise, riuscì a vendicare la morte di Policrate, eliminando il potente satrapo Orete, che da Sardi reggeva i distretti di Frigia, Lidia e Ionia. I suoi beni vennero così portati a Susa e, appunto, tra i suoi schiavi c’era Democede. Le vicende che porteranno questo medico a divenire potente alla corte di Dario hanno indubbi tratti novellistici (ascesa di un personaggio dalle catene alla reggia, dall’estrema umiliazione alla più sfolgorante fortuna e potenza), di chiara derivazione orientale (si sono ricordate le novelle della Bibbia con protagonisti Giuseppe, Esther, Daniele, ecc.), ma la presenza di un crotoniate in Persia, per lo più di un medico, si accorda con dati storici in nostro posses-so che attestano la presenza di Greci in Persia nel periodo di Dario; in seguito altri medici greci avranno una posizione simile a corte (si possono ricordare Apollonide di Coo e Ctesia di Cnido). Peraltro Erodoto avrà potuto attingere a testimonianze orali di Crotoniati, e forse addirittura di discendenti di Demo-

    cede, in occasione del suo soggiorno a Turii. Gli eventi narrati, che presuppongono un periodo di pace, dopo che Dario ha faticosamente ripristinato l’ordine nell’impero, si collocano cronologicamente negli anni intorno al 520 a.C.

    Democede: un medico

    alla corte di re Dario

    alla corte di re

    T. 7

    Ritratti

    «Accanto alla matematica, musica e astronomia, anche la medicina trovò posto negli interessi della scuola filosofica. Erodoto ci racconta la storia di grande interesse del medico Democede di Crotone, il cui padre era sta-to sacerdote di Asclepio a Cnido. La sua grande fama di medico lo portò

    ad Egina, ad Atene, alla corte di Policrate a Samo e da ultimo a quella di Dario a Susa, dove grazie alla guarigione di una slogatura al piede del re e

    poi di un’ulcera al petto della regina Atossa, mise in ombra i medici egiziani e si cercò di trattenerlo a forza, così che alla fine egli doveva fuggire per ritor-

    nare finalmente nella sua patria. Nulla sappiamo sull’ambito e il tipo delle sue conoscenze medico-scientifiche se non che egli istituiva un rapporto tra attitudini spirituali e fisiche, che insieme crescono e diminuiscono nell’uomo».

    [W. Nestle, Vom Mythos zum Logos, Stuttgart 1942, 109]

    Il medico Democede

    Atossa, la regina curata da Democede.

    Gli ammonimenti di Amasi, faraone d’Egitto, all’ospite Policrate, non erano riusciti a distogliere il tiranno dalle sue mire di dominio: egli aveva così ac-cettato di recarsi a Magnesia, dove Orete avrebbe dovuto mettergli a dispo-sizione le sue ricchezze, che, con l’inganno, gli aveva fatto credere essere enormi. Puoi leggere l’episodio .

    Policrate viene ucciso a

    tradimentoviene ucciso a

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    DEMOCEDE: UN MEDICO ALLA CORTE DI RE DARIO

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    ἰητρικήν: «quelli fra gli Egiziani che erano ritenuti essere i primi nell’arte medica»; τὴν ἰητρικήν è accusativo di relazione. L’Egitto faceva parte dell’impero persiano dopo la conquista di Cambise. - στρεβλοῦντες … ἐργάζοντο: «storcendo e agendo con forza sul piede aggravavano il male». La medicina egiziana godeva di grande prestigio nell’an-tichità, ma forse più nell’ambito oculistico che ortopedico.

    Ἐπ᾽ ἑπτά: il numero sette è tipi-co delle scansioni temporali della novella. - ἀγρυπνίῃσι εἴχετο: «era angustia-to dall’impossibilità di prendere sonno»: ἀγρυπνία è propriamente la condizione di chi non dorme in casa sua, ma nell’ἀγρός, evidentemente prendendo malamente o per nulla sonno: di qui il significato di «veglia», favorito peraltro dalla falsa etimologia che lo spiegava come composto di ἀγρέω e ὕπνος. - οἷα δή … ἐν Σάρδισι: «uno, in quanto aveva udito anche prima a Sardi», dunque quando Democede era presso Orete. La fra-se appare anacolutica: ἔχοντί οἱ (= αὐτῷ) φλαύρως è retto da ἐπαγγέλλει, ma il ver-bo, distante dal participio dativo, è seguito da τῷ Δαρείῳ. La situazione è analoga a quella raccontata nella storia di Giuseppe in Genesi 41, 9-14 (vedi nota di approfondimento). - ὅκου δὴ ἀπημελημένον: «in quanto getta-to in un angolo»; ὅκου (come anche talvolta l’attico ὅπου) ha valore causale. - ῥάκεσι ἐσθημένον: «vestito di stracci»; ἐσθημένον è part. perf. di ἕννυμι. La rappresentazione sottolinea la condizione dell’uomo che è giunto al punto più basso della sua fortuna, così che più inaspettata e fulminea risulti la sua successiva risalita: è un meccanismo so-lito nella novella (ma si veda anche l’Odis-sea di Omero).

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    testimonia Senofonte. - στραφῆναι τὸν πόδα: «si slogò un piede»: στραφῆναι è inf. aor. pass. di στρέφω, con l’accusativo di relazione τὸν πόδα.

    ὀ γάρ οἱ … ἐκ τῶν ἄρθρων: «a lui (οἱ = αὐτῷ) l’astragalo uscì fuori dall’ar-ticolazione». Si è dunque trattato propria-mente di una lussazione. - Νομίζων: qui vale «avendo la consuetudine di», che è il significato originario del verbo: il significato estensivo-opinativo di «ritenere» presup-pone l’idea di «ritenere, basandosi sul fatto che di solito è così». - Αἰγυπτίων … τὴν

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    Ἀπικομένων … ἐς τὰ Σοῦσα: «Giunti e trasportati i beni di Ore-te a Susa»: ἀπικομένων = ἀφ-, Ὀροίτεω = Ὀροίτου (gen. ionico). Orete era stato ucciso per ordine di Dario, grazie all’abi-le stratagemma di Bageo e i cospicui beni erano stati appunto trasportati nella capita-le persiana, perché fossero a disposizione di Dario. - συνήνεικε … ὕστερον: «ac-cadde, non molto tempo dopo»: συμφέρω, qui usato impersonalmente, ha il valore di «avvenire», «accadere». - ἐν ἄγρῃ θηρῶν: «a caccia di animali selvatici»: era un fre-quente esercizio alla corte persiana, come

    III 129, 1

    Un incidente di caccia

    III 129 [1] Ἀπικομένων δὲ καὶ ἀνακομισθέντων τῶν Ὀροίτεω χρημάτων ἐς τὰ Σοῦσα, συνήνεικε χρόνῳ οὐ πολλῷ ὕστερον βασιλέα Δαρεῖον ἐν ἄγρῃ θηρῶν ἀποθρῴσκοντα ἀπ’ ἵππου στραφῆναι τὸν πόδα· [2] καί κως ἰσχυροτέρως ἐστράφη· ὁ γάρ οἱ ἀστράγαλος ἐξεχώρησε ἐκ τῶν ἄρθρων. Νομίζων δὲ καὶ πρότερον περὶ ἑωυτὸν ἔχειν Αἰγυπτίων τοὺς δοκέοντας εἶναι πρώτους τὴν ἰητρικήν, τούτοισι ἐχρᾶτο. Οἱ δὲ στρεβλοῦντες καὶ βιώμενοι τὸν πόδα κακὸν μέζον ἐργάζοντο. [3] Ἐπ’ ἑπτὰ μὲν δὴ ἡμέρας καὶ ἑπτὰ νύκτας ὑπὸ τοῦ παρεόντος κακοῦ ὁ Δαρεῖος ἀγρυπνίῃσι εἴχε-το. Τῇ δὲ δὴ ὀγδόῃ ἡμέρῃ ἔχοντί οἱ φλαύρως οἷα δὴ παρακούσας τις πρό-τερον ἔτι ἐν Σάρδισι τοῦ Κροτωνιήτεω Δημοκήδεος τὴν τέχνην ἐπαγγέλ-λει τῷ Δαρείῳ· ὁ δὲ ἄγειν μιν τὴν ταχίστην παρ’ ἑωυτὸν ἐκέλευσε. Τὸν δὲ ὡς ἐξεῦρον ἐν τοῖσι Ὀροίτεω ἀνδραπόδοισι ὅκου δὴ ἀπημελημένον, παρῆγον ἐς μέσον πέδας τε ἕλκοντα καὶ ῥάκεσι ἐσθημένον.

    Erodoto III 129-138

    Immagini topiche

    La casuale convocazione del medico Democede al cospetto del re Dario, lui che in un pri-mo tempo era stato ospite di Policrate a Samo, poi precipitato nel baratro della schiavitù sotto Orete e in seguito alla corte di Susa, ricorda la vicenda di Giuseppe che leggiamo nella Genesi. Giuseppe, tradito dai suoi fratelli e venduto schiavo, si trova abbandonato nelle prigioni del faraone, prima che il capo dei coppieri, un tempo suo compagno di pri-gionia, si ricordi delle sue qualità (la capacità di interpretare i sogni) e induca il sovrano a mandarlo a chiamare. Da lì inizierà l’ascesa di Giuseppe, che diventerà braccio destro del faraone, così come Democede verrà assunto al rango di consigliere del re.

    Genesi, 41, 9-14: Allora il capo dei coppieri parlò al faraone: «Io devo ricordare og-gi le mie colpe. Il faraone si era adirato contro i suoi servi e li aveva messi in carcere nella casa del capo delle guardie, me e il capo dei panettieri. Noi facemmo un sogno nella stessa notte, io e lui; ma avemmo ciascuno un sogno con un significato parti-colare. Ora era là con noi un giovane ebreo, schiavo del capo delle guardie; noi gli raccontammo i nostri sogni ed egli ce li interpretò, dando a ciascuno spiegazione del suo sogno. Proprio come ci aveva interpretato, così avvenne: io fui restituito alla mia carica e l’altro fu impiccato». Allora il faraone convocò Giuseppe. Lo fecero uscire in fretta dal sotterraneo ed egli si rase, si cambiò gli abiti e si presentò al faraone.

    Giuseppe viene chiamato presso il Faraone

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    aliquem aliqua re; δύο è qui indeclinabile (come sempre in Omero). Democede de-ve aver visto in questo una metafora della sua prigione dorata, che lo tiene lontano da Crotone. - εἴ οἱ διπλήσιον … νέμει: «se a bella posta raddoppiava il suo male»: è un’interrogativa indiretta, con il verbo (νέμει) che, come è norma, mantiene il presente della forma interrogativa diretta. - ἡσθείς: «rallegrato», da ἥδομαι. - παρὰ τὰς ἑωυτοῦ γυναῖκας … εὐνοῦχοι: l’harem e gli eunuchi sono elementi fissi delle corti dei re orientali. - τὴν ψυχὴν ἀπέδωκε: «aveva restituito la vita»: l’espressione è volutamente amplificata per stimolare la reazione delle donne a es-sere generose con il medico.

    Ὑποτύπτουσα … ἐς τὴν θήκην: «facendo pressione con la coppa…» e dun-que: «affondando la coppa nello scrigno d’oro». - οὕτω δή … δωρεῇ: «con una così ricca generosità». - στατῆρας: lo sta-tere persiano era la moneta altrimenti nota come «darico». - οἱ χρῆμα … συνελέ-χθη: «mise insieme una grande fortuna», οἱ è dativo d’agente.

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    atteggiamento ostruzionistico nei confronti di Dario. - φάς … τὴν τέχνην: «dicendo di non conoscere con esattezza l’arte ma, avendo frequentato un medico, di averne cognizioni superficiali»; φάς è in attico frequentemente sostituito con φάσκων; evidente l’opposizione fra ἀτρεκέως ἐπίστασθαι e φλαύρως ἔχειν.

    ὥς οἱ ἐπέτρεψε: «dopo che (Dario) gli si affidò». - Ἑλληνικοῖσι ἰήμασι: i medicamenti greci si contrappongono alle precedenti cure dei medici egiziani. - ἤπια … προσάγων: «applicando cure blande, dopo quelle forti»: rovesciando dunque la terapia rispetto a quella egiziana. - ὕπνου … λαγχάνειν: «riacquistare il sonno». - ὑγιέα … ἀπέδεξε: «fece sì che tornasse sano». - ἀρτίπουν ἔσεσθαι: «che avreb-be avuto il piede mobile»: ἄρτι- nei com-posti conserva spesso l’originario valore di «giusto», «che cade a tempo debito»; il significato temporale di ἄρτι è successivo.

    Δωρέεται … ζεύγεσι: «Dario, do-po di ciò, gli fa dono di due coppie di cep-pi d’oro»: δωρέομαι τινί τινα = lat. dono

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    Σταθέντα … ὁ Δαρεῖος: «A lui che stava in piedi nel mezzo Da-rio chiedeva…»: Σταθέντα è part. aor. passivo con significato intransitivo. - εἰ ἐπίσταιτο: «se conosceva»: è ottativo obliquo. - ἀρρωδέων μή … ᾖ ἀπεστε-ρημένος: «temendo che, una volta rive-latosi (ἐκφήνας è da ἐκφαίνω), venisse privato completamente della Grecia»: che Democede, una volta affermatosi a corte desideri rientrare a Crotone lo vedremo be-ne in seguito; che i medici venissero spesso sequestrati da corti straniere quando si era-no resi famosi lo si vede all’inizio di questo libro a proposito della sorte del medico egi-ziano finito lontano dai suoi, alla corte di Ciro: ma qui questo timore appare quanto meno prematuro, viste le condizioni senza prospettiva in cui versa Democede.

    Κατεφάνη … ἐπιστάμενος: «A Dario parve chiaro che simulava, pur cono-scendo (l’arte)». - μάστιγάς τε … ἐς τὸ μέσον: «di portare, mettendole bene in vista, staffili e pungiglioni»: gli strumenti di tortura sono messi in bella vista per dis-suadere Democede dal proseguire nel suo

    III 130, 1

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    A cospetto del re Dario

    III 130 [1] Σταθέντα δὲ ἐς μέσον εἰρώτα ὁ Δαρεῖος τὴν τέχνην εἰ ἐπί-σταιτο· ὁ δὲ οὐκ ὑπεδέκετο, ἀρρωδέων μὴ ἑωυτὸν ἐκφήνας τὸ παράπαν τῆς Ἑλλάδος ᾖ ἀπεστερημένος. [2] Κατεφάνη δὲ τῷ Δαρείῳ τεχνάζειν ἐπιστάμενος, καὶ τοὺς ἀγαγόντας αὐτὸν ἐκέλευσε μάστιγάς τε καὶ κέ-ντρα παραφέρειν ἐς τὸ μέσον. Ὁ δὲ ἐνθαῦτα δὴ ὦν ἐκφαίνει, φὰς ἀτρε-κέως μὲν οὐκ ἐπίστασθαι, ὁμιλήσας δὲ ἰητρῷ φλαύρως ἔχειν τὴν τέ-χνην. [3] Μετὰ δὲ ὥς οἱ ἐπέτρεψε, Ἑλληνικοῖσι ἰήμασι χρεώμενος καὶ ἤπια μετὰ τὰ ἰσχυρὰ προσάγων ὕπνου τέ μιν λαγχάνειν ἐποίεε καὶ ἐν χρόνῳ ὀλίγῳ ὑγιέα μιν ἐόντα ἀπέδεξε, οὐδαμὰ ἔτι ἐλπίζοντα ἀρτίπουν

    ἔσεσθαι. [4] Δωρέεται δή μιν μετὰ ταῦτα ὁ Δαρεῖος πεδέων χρυσέων δύο ζεύγεσι· ὁ δέ μιν ἐπείρετο εἴ οἱ διπλήσιον τὸ κακὸν ἐπίτηδες νέμει, ὅτι μιν ὑγιέα ἐποίησε. Ἡσθεὶς δὲ τῷ ἔπεϊ ὁ Δαρεῖος ἀποπέμπει μιν παρὰ τὰς ἑωυτοῦ γυναῖκας· παράγοντες δὲ οἱ εὐνοῦχοι ἔλεγον πρὸς τὰς γυναῖκας ὡς βασιλέϊ οὗτος εἴη ὃς τὴν ψυχὴν ἀπέδωκε. [5] Ὑποτύπτουσα δὲ αὐτέων ἑκάστη φιάλῃ τοῦ χρυσοῦ ‹ἐς› τὴν θή-κην ἐδωρέετο Δημοκήδεα οὕτω δή τι δαψιλέϊ δωρεῇ ὡς τοὺς ἀποπίπτοντας ἀπὸ τῶν φιαλέων στατῆρας ἑπόμενος ὁ οἰκέτης τῷ οὔνομα ἦν Σκίτων ἀνελέγετο καί οἱ χρῆμα πολλόν τι χρυσοῦ συνελέχθη.

    La moglie di Putifarre insidia Giuseppe che non cede alle sue lusinghe. Da una miniatura del XIV secolo.

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    poco si sa della successiva notizia dell’eccel-lenza della scuola di Cirene, cui, in connes-sione con Apollo, accenna Pindaro (Pitica V 63 s.).

    καὶ Ἀργεῖοι … πρῶτοι: «anche gli Argivi avevano fama di essere i primi tra i Greci nella musica»: ἀκούω ha qui il senso di «go-dere fama» (cioè: «sentir parlare di sé»). Ar-givo era Sacada, di epoca arcaica, e dell’Ar-golide, in tempi più vicini a Erodoto, Laso di Ermione, che le notizie antiche mettono in rapporto con Atene e indicano come maestro di Pindaro. La frase parentetica, considerata autentica da alcuni editori, viene dai più rite-nuta una tarda interpolazione.

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    che. - Πολυκράτει ἐπισπόμενος: «che aveva accompagnato Policrate», quando il tiranno si recò da Orete, che l’avrebbe ucciso. - ἦν δὲ μέγιστον πρῆγμα: «era cosa preziosa», cioè: «godeva di altissima stima».

    strumenti che servono per esercitare l’arte».

    ταλάντου … μισθοῦνται: «gli Egi-neti lo stipendiano a spese pubbliche per un talento l’anno». Dunque, già nella seconda metà del VI secolo ci sono medici «condot-ti» pagati dalla comunità: a meno che Ero-doto non estenda automaticamente al passato quel che è consueto ai suoi giorni. - καὶ ἀπό τούτου … εὐδοκίμησαν: «e a partire da lui i medici crotoniati ebbero non poca fama»: la scuola medica di Crotone aveva ricevuto impulso dalla fiorente scuola pitagorica di Alcmeone, Filolao e altri. Se di Crotone era famosa la salubrità dell’aria e l’efficacia della dieta, che tanti famosi atleti aveva prodotto,

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    μέλλοντας ἀνασκολοπιεῖσθαι: «destinati a essere impalati». La tremenda punizione era tipica nel mondo persiano. - βασιλέα … παραιτησάμενος: «avreb-be chiesto grazia al re». È stata notata la frequenza di esempi di solidarietà tra col-leghi (specie tra filosofi) nelle fonti gre-

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    Ὁ δὲ Δημοκήδης οὗτος: l’attacco «Orbene, questo nostro Democe-de…» prelude ad una rapida sintesi delle vi-cende che hanno portato il medico alla corte di Dario. Crotone era colonia achea fondata alla fine dell’VIII secolo a.C. - Πολυκρά-τει ὁμίλησε: «entrò in contatto con Poli-crate»: del potente tiranno di Samo abbiamo visto la vicenda nelle pagine precedenti. - Πατρὶ συνείχετο: «era afflitto dal padre»; συνέχω ha spesso al passivo valore di «esse-re oppresso», «essere schiacciato» ed è co-struito con il dativo. - οἴχετο ἐς Αἴγιναν: «se ne andava ad Egina». Alcune fonti riferi-scono che nell’isola si sposò. - καὶ ἔχων … ἐργαλήια: «e non avendo nessuno di quegli

    III 131, 1

    ὁμοτράπεζος βασιλέϊ: «commensale del re»: anche Senofonte (Anabasi I 8, 15) conosce questo titolo onorifico persiano, cui Erodoto (IV 14, 4) allude con σύσσιτος, termine di eviden-te simile formazione. - πλήν τε … τοῦ: «tranne che una cosa, il fatto di…».

    III 132, 1

    Gli antefatti

    III 131 [1] Ὁ δὲ Δημοκήδης οὗτος ὧδε ἐκ Κρότωνος ἀπιγμένος Πολυ-κράτεϊ ὡμίλησε. Πατρὶ συνείχετο ἐν τῇ Κρότωνι ὀργὴν χαλεπῷ· τοῦτον ἐπείτε οὐκ ἐδύνατο φέρειν, ἀπολιπὼν οἴχετο ἐς Αἴγιναν. Καταστὰς δὲ ἐς ταύτην πρώτῳ ἔτεϊ ὑπερεβάλετο τοὺς ἄλλους ἰητρούς, ἀσκευής περ ἐὼν καὶ ἔχων οὐδὲν τῶν ὅσα περὶ τὴν τέχνην ἐστὶ ἐργαλήια. [2] Καί μιν δευτέρῳ ἔτεϊ ταλάντου Αἰγινῆται δημοσίῃ μισθοῦνται, τρίτῳ δὲ ἔτεϊ Ἀθηναῖοι ἑκατὸν μνέων, τετάρτῳ δὲ ἔτεϊ Πολυκράτης δυῶν ταλά-ντων. Οὕτω μὲν ἀπίκετο ἐς τὴν Σάμον, καὶ ἀπὸ τούτου τοῦ ἀνδρὸς οὐκ ἥκιστα Κροτωνιῆται ἰητροὶ εὐδοκίμησαν· [3] (ἐγένετο γὰρ ὦν τοῦτο ὅτε πρῶτοι μὲν Κροτωνιῆται ἰητροὶ ἐλέγοντο ἀνὰ τὴν Ἑλλάδα εἶναι, δεύτεροι δὲ Κυρηναῖοι. Κατὰ τὸν αὐτὸν δὲ τοῦτον χρόνον καὶ Ἀργεῖοι ἤκουον μουσικὴν εἶναι Ἑλλήνων πρῶτοι).

    In una gabbia dorata

    III 132 [1] Τότε δὴ ὁ Δημοκήδης ἐν τοῖσι Σούσοισι ἐξιησάμενος Δαρεῖον οἶκόν τε μέγιστον εἶχε καὶ ὁμοτράπεζος βασιλέϊ ἐγεγόνεε, πλήν τε ἑνός, τοῦ ἐς Ἕλληνας ἀπιέναι, πάντα τἆλλά οἱ παρῆν. [2] Καὶ τοῦτο μὲν τοὺς Αἰγυπτίους ἰητρούς, οἳ βασιλέα πρότερον ἰῶντο, μέλλοντας ἀνασκολοπιεῖσθαι ὅτι ὑπὸ Ἕλληνος ἰητροῦ ἑσσώθησαν, τούτους βασι-λέα παραιτησάμενος ἐρρύσατο· τοῦτο δὲ μάντιν Ἠλεῖον Πολυκράτεϊ ἐπισπόμενον καὶ ἀπημελημένον ἐν τοῖσι ἀνδραπόδοισι ἐρρύσατο. Ἦν δὲ μέγιστον πρῆγμα Δημοκήδης παρὰ βασιλέϊ.

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    κοῖ μιν … φέροντα: «e le fa giurare che avrebbe ricambiato con ciò che le avesse chiesto, ma che non avrebbe chiesto nulla di quelle cose che comportano disonore»; ἦ è frequente particella asseverativa che intro-duce giuramenti; δέομαι è costruito prima con il genitivo della persona (αὐτῆς), poi con quello della cosa (οὐδενός); ἐστὶ φέ-ροντα è pressoché equivalente a φέρει.

    participio perfetto neutro. - φαίνεσθαί τι ἀποδεικνύμενον: «si faccia vedere realizzare qualcosa». - ἵνα καί … ἄρχον-ται: «affinché anche i Persiani impari-no che sono governati da un vero uomo»; ἀνήρ ha qui il suo significato più pregnan-te. - ἐπ᾽ ἀμφότερα δέ τοι φέρει: «ti giova in due sensi». - καὶ ἵνα σφέων … τὸν προεστεῶτα: «e affinché i Persiani sappiano che è un uomo colui che ne è a ca-po»; σφέων è retto da προεστεῶτα (part. perf. di προίστημι). - σχολὴν ἄγοντες: «standosene in ozio», «avendo tempo a di-sposizione e agio».

    Νῦν γάρ … ἔργον: «ora infatti po-tresti proprio realizzare qualche impresa»: 3

    piccolo» di quanto sarebbe poi diventa-to. - κρύπτουσα καὶ αἰσχυνομένη: «nascondendolo e avendone vergogna»: si tratta del pudore femminile per la sede del tumore. - ἐν κακῷ ἦν: «si venne a trovare in cattive condizioni».

    φὰς ὑγιέα ποιήσειν: «dopo averle assicurato che l’avrebbe guarita». - ἐξορ-2

    que come prima cosa egli organizzerà una spedizione in Scizia. Non è naturalmente sfuggito quanto di eziologico è contenu-to in questo dialogo notturno, di intimità famigliare, a spiegare l’origine della spe-dizione contro la Grecia: c’è dunque una donna alla radice della guerra, così come una donna, anche se con diversa responsa-bilità, sta all’origine della guerra omerica. - κάτησαι: «te ne stai inoperoso»: κάθη-μαι ha non di rado questo valore figurato. - οὔτε τι … Πέρσῃσι: l’acquisizione di un popolo è incremento che va a vantaggio dei Persiani tutti.

    Οἰκὸς δέ ἐστι: «invece è naturale»: οἰκός (= attico ἐοικός) è propriamente un 2

    ἐπὶ τοῦ μαστοῦ ἔφυ φῦμα: «si sviluppò un tumore sul seno»: ἔφυ φῦμα è involontaria figura etimologica. Si sarà evidentemente trattato di qualcosa di benigno. - ἐκραγέν … πρόσω: «essen-do scoppiato (ἐκρήγνυμι) si diffondeva». - ἦν ἔλασσον: «era piccolo». Non si trat-ta del cosiddetto «comparativo assoluto»: semplicemente si vuol dire che era «più

    III 133, 1

    διδαχθεῖσα: «istruita» da Democede. Le ragioni di Atossa suggeri-tele da Democede non possono non trovare Dario consenziente: avendo un grande po-tere non può non trovare giusto estendere il suo dominio e realizzare imprese che lo facciano riconoscere «un vero uomo»; che, d’altra parte, sia per lui conveniente tenere impegnati i sudditi con la guerra, evitando che, nell’ozio, possano costituire per lui un pericolo è principio che Erodoto fa esporre alla regina e che risponde a una communis opinio dei politici greci. Però Dario riman-da la spedizione in Grecia che ad arte la re-gina gli suggeriva, provvedendo a mandare prima degli osservatori (e in questa occa-sione ci sarà la fuga di Democede): dun-

    III 134, 1

    La regina è colpita da un tumore

    III 133 [1] Ἐν χρόνῳ δὲ ὀλίγῳ μετὰ ταῦτα τάδε ἄλλα συνήνεικε γενέ-σθαι. Ἀτόσσῃ τῇ Κύρου μὲν θυγατρί, Δαρείου δὲ γυναικὶ ἐπὶ τοῦ μα-στοῦ ἔφυ φῦμα, μετὰ δὲ ἐκραγὲν ἐνέμετο πρόσω. Ὅσον μὲν δὴ χρόνον ἦν ἔλασσον, ἡ δὲ κρύπτουσα καὶ αἰσχυνομένη ἔφραζε οὐδενί, ἐπείτε δὲ ἐν κακῷ ἦν, μετεπέμψατο τὸν Δημοκήδεα καί οἱ ἐπέδεξε. [2] Ὁ δὲ φὰς ὑγιέα ποιήσειν ἐξορκοῖ μιν ἦ μέν οἱ ἀντυπουργήσειν ἐκείνην τοῦτο τὸ ἂν αὐτῆς δεηθῇ, δεήσεσθαι δὲ οὐδενὸς τῶν ὅσα ἐς αἰσχύνην ἐστὶ φέροντα.

    Confi denze coniugali

    III 134 [1] Ὡς δὲ ἄρα μιν μετὰ ταῦτα ἰώμενος ὑγιέα ἀπέδεξε, ἐνθαῦτα δὴ διδαχθεῖσα ὑπὸ τοῦ Δημοκήδεος ἡ Ἄτοσσα προσέφερε ἐν τῇ κοίτῃ Δαρείῳ λόγον τοιόνδε· «Ὦ βασιλεῦ, ἔχων δύναμιν τοσαύτην κάτησαι, οὔτε τι ἔθνος προσκτώμενος οὔτε δύναμιν Πέρσῃσι. [2] Οἰκὸς δέ ἐστι ἄνδρα καὶ νέον καὶ χρημάτων μεγάλων δεσπότην φαίνεσθαί τι ἀποδεικνύμενον, ἵνα καὶ Πέρσαι ἐκμάθωσι ὅτι ὑπ’ ἀνδρὸς ἄρχονται. Ἐπ’ ἀμφότερα δέ τοι φέρει ταῦτα ποιέειν, καὶ ἵνα σφέων Πέρσαι ἐπίστωνται ἄνδρα εἶναι τὸν προεστεῶτα καὶ ἵνα τρίβωνται πολέμῳ μηδὲ σχολὴν ἄγοντες ἐπιβουλεύωσί τοι. [3] Νῦν γὰρ ἄν τι καὶ ἀποδέξαιο

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    Argo, Attica, Corinto, Atossa può averne avute anche prima dell’invio di osserva-tori in Grecia da parte di Dario. - ἄνδρα … κατηγήσασθαι: «come uomo più di ogni altro adatto a mostrarti ogni cosa della Grecia e a guidarti»; δέξαι (aoristo ionico di δείκνυμι) è infinito limitativo retto dal superlativo ἐπιτηδεότατον.

    ἐπεὶ τοίνυν τοι δοκέει: «dal mo-mento che ti pare opportuno». - οἱ μαθό-ντες … ἡμῖν: «che dopo essersi informati e aver visto riferiranno di loro a noi ogni co-sa»; ἐξαγγελέουσι è futuro. - ἐξεπιστά-μενος: «avendo esaurienti conoscenze». - καὶ ἅμα … ἐποίεε: «e contemporane-amente fece parole e azione», cioè: «diede realizzazione immediata alle sue parole».

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    tintende un verbum curandi.

    ὅκως ἐξηγησάμενος … ἥξει: «(lo 2

    ὕβρις la volontà di congiungere ciò che la natura e il dio hanno voluto separato.

    Ὅρα νυν … ἔασον: «Prestami ora attenzione, rinuncia ad andare in primo luogo contro gli Sciti»: τὴν πρώτην è av-verbiale. - ἔσονταί σοι: «potranno essere tuoi». Pare quasi che Erodoto voglia sotto-lineare la sicurezza fuori luogo dei grandi imperi, quando affrontano popoli in qual-che misura più arretrati: l’esito della cam-pagna scitica sarà infatti disastroso. - Σὺ δέ μοι … στρατεύεσθαι: «Fa’ per me una spedizione contro la Grecia»: μοι è dativo di interesse, più che dativo etico; στρατεύε-σθαι è infinito con valore di imperativo. - λόγῳ πυνθανομένη: «informata da quan-to ho sentito». Certo, notizie sulla Laconia,

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    ὅκως τε μὴ διαδρήσεται: «e (di preoc-cuparsi) che Democede non sfuggisse loro»: ὅκως + futuro (qui, di διαδιδράσκω) sot-

    ἂν ἀποδέξαιο è potenziale. - αὐξομένῳ … αἰ φρένες: «insieme con il corpo che cresce crescono anche le qualità dell’ani-mo». Il principio pitagorico dell’ἁρμονία ha profondamente influenzato anche le scuole mediche. - καὶ ἐς τά … ἀπαμ-βλύνονται: «e si ottundono verso ogni iniziativa».

    ἐκ διδαχῆς: è uguale al διδαχθεῖσα precedente. - πάντα ὅσα … εἴρηκας: «hai detto tutte le cose che io stesso ho in animo di fare». - ἐγὼ γὰρ βεβούλευμαι … στρατεύεσθαι: «sono infatti deciso a gettare un ponte da questo all’altro conti-nente e fare una spedizione contro gli Sciti». - ἔσται τελεύμενα: «saranno realizza-te». Erodoto ed Eschilo interpretano come

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    Ἐπείτε γὰρ τάχιστα : «Non appena», introduce la temporale della precedenza immediata (lat. ut primum). -

    III 135, 1

    ἔργον, ἕως νέος εἶς ἡλικίην· αὐξομένῳ γὰρ τῷ σώματι συναύξονται καὶ αἱ φρένες, γηράσκοντι δὲ συγγηράσκουσι καὶ ἐς τὰ πρήγματα πάντα ἀπαμβλύνονται». [4] Ἡ μὲν δὴ ταῦτα ἐκ διδαχῆς ἔλεγε· ὁ δ’ ἀμείβετο τοῖσδε. «Ὦ γύναι, πάντα ὅσα περ αὐτὸς ἐπινοέω ποιήσειν εἴρηκας. Ἐγὼ γὰρ βεβούλευμαι ζεύξας γέφυραν ἐκ τῆσδε τῆς ἠπείρου ἐς τὴν ἑτέρην ἤπειρον ἐπὶ Σκύθας στρατεύεσθαι. Καὶ ταῦτα ὀλίγου χρόνου ἔσται τελεύμενα». [5] Λέγει Ἄτοσσα τάδε· «Ὅρα νυν, ἐπὶ Σκύθας μὲν τὴν πρώτην ἰέναι ἔασον· οὗτοι γάρ, ἐπεὰν σὺ βούλῃ, ἔσονταί τοι. Σὺ δέ μοι ἐπὶ τὴν Ἑλλάδα στρατεύεσθαι· ἐπιθυμέω γὰρ λόγῳ πυνθανομένη Λακαίνας τέ μοι γενέσθαι θεραπαίνας καὶ Ἀργείας καὶ Ἀττικὰς καὶ Κορινθίας. Ἔχεις δὲ ἄνδρα ἐπιτηδεότατον ἀνδρῶν πάντων δέξαι τε ἕκαστα τῆς Ἑλλάδος καὶ κατηγήσασθαι, τοῦτον ὅς σεο τὸν πόδα ἐξιήσατο». [6] Ἀμείβεται Δαρεῖος· «Ὦ γύναι, ἐπεὶ τοίνυν τοι δοκέει τῆς Ἑλλάδος ἡμέας πρῶτα ἀποπειρᾶσθαι, κατασκόπους μοι δοκέει Περσέων πρῶτον ἄμεινον εἶναι ὁμοῦ τούτῳ τῷ σὺ λέγεις πέμψαι ἐς αὐτούς, οἳ μαθόντες καὶ ἰδόντες ἐξαγγελέουσι ἕκαστα αὐτῶν ἡμῖν· καὶ ἔπειτα ἐξεπιστάμενος ἐπ’ αὐτοὺς τρέψομαι». Ταῦτα εἶπε καὶ ἅμα ἔπος τε καὶ ἔργον ἐποίεε.

    Missione esplorativa: obiettivo Grecia

    ΙΙΙ 135 [1] Ἐπείτε γὰρ τάχιστα ἡμέρη ἐπέλαμψε, καλέσας Περσέων ἄνδρας δοκίμους πεντεκαίδεκα ἐνετέλλετό σφι ἑπομένους Δημοκήδεϊ διεξελθεῖν τὰ παραθαλάσσια τῆς Ἑλλάδος, ὅκως τε μὴ διαδρήσεταί σφεας ὁ Δημοκήδης, ἀλλά μιν πάντως ὀπίσω ἀπάξουσι. [2] Ἐντειλάμενος

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    pio di ἐπιτρέχω ha spesso, anche in attico, il significato di «senza riflettere», «su due piedi». - ἵνα ὀπίσω … ἔχῃ: «perché, una volta ritornato, li ritrovasse»: Democede è ingannevole, Dario invece, come pen-sa Erodoto, sincero. - ἐντειλάμενος … ταῦτα: «avendo dato anche a lui queste di-sposizioni»: ταῦτα non è insostenibile, al-ludendo alle disposizioni che Dario ha dato in ordine alla nave da carico, ma appare preferibile ταὐτά, «le stesse» disposizio-ni date ai suoi uomini, senza, ovviamente, le raccomandazioni a prestare attenzione a Democede.

    † ἐκ Κρηστώνης τῆς † Δημο-κήδεος: pare da preferirsi la lezione ἐκ ῥῃστώνης τῆς Δημοκήδεος «per volontà di favorire Democede». - Ἀριστοφιλίδης … ὁ βασιλεύς: «Aristofilide, tiranno dei Tarentini»: βασιλεύς non sembra diverso da τύραννος. È vero che la monarchia, nella spartana Taranto parrebbe naturale, ma a Sparta i re erano due. - τοῦτο μέν … νεῶν: «da un lato sciolse i timoni delle navi persiane»: τοῦτο μέν è correlativo del

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    λέεσθαι: «disse che avrebbe contribuito ai doni». - ὁλκάδα: ὁλκάς è una nave da carico che Dario fa riempire (πλήσας da πίμλημι) di ogni bene. - τὴν ἅμα οἱ πλεύ-σεσθαι: «che avrebbe navigato con lui».

    δοκέειν ἐμοί: «a mio parere»: è un infinito assoluto. - ἀπ᾽ οὐδενός … νόου: «senza alcuna cattiva intenzione». - μή ἑο … Δαρεῖος: «(temendo) che Dario volesse metterlo alla prova»: ἀποπειράομαι (cfr. πεῖρα) è costruito con il genitivo (εὑ è ionico epico per οὗ = αὑτοῦ). - οὔτι ἐπι-δραμών: «per niente in fretta»: il partici-

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    ne non è determinante a individuare un’ori-gine semitica del termine, che può spiegarsi con etimologia indoeuropea. - προσίσχο-ντες … ἀπεγράφοντο: «volgendo la prora a terra, osservavano le (sue) località costiere e le disegnavano». - ἐς ὅ … ἐς Τάραντα: «finché, dopo aver ben osservato la maggior parte e i più famosi luoghi giunsero a Taranto in Italia». L’espressione τῆς Ἰταλίης ἐς Τά-ραντα è analoga alla precedente Φοινίκης ἐς Σιδῶνα (il genitivo ha funzione partitiva).

    pregò) dopo aver esposto e mostrato ai Per-siani tutta la Grecia, di ritornare indietro». Dario chiede cioè al medico di rientrare in Persia, una volta compiuta la missione esplorativa. Il costrutto con δέομαι + fu-turo è anche della prosa attica. - δῶρα … ἀδελφοῖσι: «come doni per suo padre e i suoi fratelli»: è appositivo di ἔπιπλα «sup-pellettili». - φὰς ἄλλα … ἀντιδώσειν: «dicendo che le avrebbe rimpiazzate con altre più numerose»: la promessa ha evi-dentemente lo scopo di indurre Democede a rientrare in Persia. - πρὸς δέ: ha valore avverbiale: «e in aggiunta». - ἔφη συμβα-

    καὶ Φοινίκης ἐς Σιδῶνα πόλιν: «e precisamente a Sidone di Fenicia». - καὶ γαυλόν: «anche una nave mercanti-le»: si tratta della stessa imbarcazione prima chiamata ὁλκάς. Γαυλός è il nome di parec-chi recipienti a forma tondeggiante e quando esso definisce vascelli dallo scafo arrotonda-to, pare preferibile come raccomandavano già i grammatici antichi (cfr. Erodiano 1, 156) la forma con accento ritratto γαῦλος. L’apparente origine fenicia dell’imbarcazio-

    III 136, 1

    δὲ τούτοισι ταῦτα, δεύτερα καλέσας αὐτὸν Δημοκήδεα ἐδέετο αὐτοῦ ὅκως ἐξηγησάμενος πᾶσαν καὶ ἐπιδέξας τὴν Ἑλλάδα τοῖσι Πέρσῃσι ὀπίσω ἥξει· δῶρα δέ μιν τῷ πατρὶ καὶ τοῖσι ἀδελφεοῖσι ἐκέλευε πάντα τὰ ἐκείνου ἔπιπλα λαβόντα ἄγειν, φὰς ἄλλα οἱ πολλαπλήσια ἀντιδώ-σειν· πρὸς δὲ ἐς τὰ δῶρα ὁλκάδα οἱ ἔφη συμβαλέεσθαι πλήσας ἀγαθῶν παντοίων, τὴν ἅμα οἱ πλεύσεσθαι. [3] Δαρεῖος μὲν δή, δοκέειν ἐμοί, ἀπ’ οὐδενὸς δολεροῦ νόου ἐπηγγέλλετό οἱ ταῦτα· Δημοκήδης δὲ δείσας μή εὑ ἐκπειρῷτο Δαρεῖος, οὔτι ἐπιδραμὼν πάντα τὰ διδόμενα ἐδέκετο, ἀλλὰ τὰ μὲν ἑωυτοῦ κατὰ χώρην ἔφη καταλείψειν, ἵνα ὀπίσω σφέα ἀπελθὼν ἔχῃ, τὴν μέντοι ὁλκάδα, τήν οἱ Δαρεῖος ἐπαγγέλλεται ἐς τὴν δωρεὴν τοῖσι ἀδελφεοῖσι, δέκεσθαι ἔφη. Ἐντειλάμενος δὲ καὶ τούτῳ ταῦτα ὁ Δαρεῖος ἀποστέλλει αὐτοὺς ἐπὶ θάλασσαν.

    Fuga a Crotone

    ΙΙΙ 136 [1] Καταβάντες δὲ οὗτοι ἐς Φοινίκην καὶ Φοινίκης ἐς Σιδῶνα πόλιν αὐτίκα μὲν τριήρεας δύο ἐπλήρωσαν, ἅμα δὲ αὐτῇσι καὶ γαυλὸν μέγαν παντοίων ἀγαθῶν· παρεσκευασμένοι δὲ πάντα ἔπλεον ἐς τὴν Ἑλλάδα. Προσίσχοντες δὲ αὐτῆς τὰ παραθαλάσσια ἐθηεῦντο καὶ ἀπε-γράφοντο, ἐς ὃ τὰ πολλὰ αὐτῆς καὶ ὀνομαστὰ θεησάμενοι ἀπίκοντο τῆς Ἰταλίης ἐς Τάραντα. [2] Ἐνθαῦτα δὲ † ἐκ Κρηστώνης τῆς † Δημο-κήδεος Ἀριστοφιλίδης τῶν Ταραντίνων ὁ βασιλεὺς τοῦτο μὲν τὰ πη-

    DEMOCEDE: UN MEDICO ALLA CORTE DI RE DARIO

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    una lieve sfumatura ironica. - Ἐν ᾧ δέ: «e nello stesso tempo in cui». - ἐς τὴν ἑωυ-τοῦ: «nella sua patria»: frequente e natura-le l’ellissi di γῆν.

    accetterà pacificamente l’oltraggio (τάδε περιυβρίσθαι è lett.: «essere stato umiliato in queste cose»). - Κῶς … καλῶς: «Co-me potrà finire bene per voi, se ci derube-rete…»: καλῶς ἔχω ha il valore di «andar bene», «avere buon esito». - Ἐπί τινα δέ … πόλιν: «Contro quale città prima di que-sta condurremo l’attacco?». Cioè: questa sa-rà la prima città che attaccheremo. - Τίνα δέ … πειρησόμεθα;: «Quale ridurremo in schiavitù prima (di questa)?». Le due do-mande presuppongono un riferimento alla (futura) modalità di inizio della prima spe-dizione persiana, che si apre con l’attacco, la conquista e l’asservimento di Eretria.

    τὸν ἅμα ἤγοντο: «che portavano al loro seguito». - οὐδ’ ἔτι … ἐκμαθεῖν: «né cercarono più, giunti più avanti nella Grecia, di chiedere informazioni»: τό va con προσωτέρω, come spesso in Erodoto; προσωτέρω τῆς Ἑλλάδος non significa «più lontano dalla Grecia», con Ἑλλάδος genitivo di allontanamento, ma «più avan-

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    come fossero spie»: αὐτούς si oppone alle navi («sciolse i timoni delle navi» / «rin-chiuse gli uomini»); δῆθεν «davvero», la particella conferisce, come spesso accade,

    δὲ ἀντάπτοντο: «altri si opponevano»: sono gli oligarchi amici di Democede. - προϊσχομένους … τάδε: «che lanciava-no queste minacce». - ὁρᾶτε τὰ ποιέετε: «attenti a quel che fate»: τά è relativo. Inu-tile lo scrupolo razionalistico di chiedersi come i Persiani riescano a farsi capire, così come quello di domandarsi come essi avessero potuto raggiungere Crotone da Taranto: avrebbero potuto nel primo caso avvalersi di un interprete, nel secondo aver fatto ricorso a una guida opportunamente ingaggiata: in ogni caso Erodoto avverte tali particolari come inutili elementi ritar-danti. - ἄνδρα … ἐξαιρέεσθε: «ci state sottraendo uno schiavo fuggito dal re»: se era grave portar via uno schiavo fuggitivo, lo era doppiamente se tale schiavo era del gran Re.

    κῶς ταῦτα … περιυβρίσθαι: «e come al re Dario potrà sembrare sufficiente aver subito una tale umiliazione?»: ἐκχράω vale «bastare»: il senso è che Dario non

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    successivo τοῦτο δέ «da un lato … dall’al-tro»; τῶν νεῶν è genitivo di separazione. - αὐτοὺς τοὺς Πέρσας εἶρξε … ἐό-ντας: «rinchiuse i Persiani stessi, proprio

    εὑρόντες δέ … αὐτοῦ: «avendolo trovato mentre era in piazza, lo prendevano». Come il nome d’azione ἀγορά (da ἀγείρω) indica tanto l’as-semblea (ma in attico il nome tecnico è ἐκκλησία), quanto lo spazio in cui essa si raccoglie e dunque «piazza del mercato», «mercato», così il verbo ἀγοράζω può ri-ferirsi a qualsiasi attività che uno effettua nella piazza (anche genericamente «bighel-lonare») o al mercato (dunque «comprare» e, più raramente, «vendere»). Dunque è difficile precisare se Democede «fosse in piazza» semplicemente o stesse «compran-do» qualcosa al mercato.

    καταρρωδέοντες … πρήγματα: «temendo la potenza persiana»: πράγμα-τα sono «le condizioni» in cui ci si trova: in questo caso: «situazione di potenza». - προϊέναι … ἦσαν: «erano pronti a lasciarlo nelle loro mani»: προϊέναι è da προίημι. Costoro sono i nemici politici di Democede, che di suo era un oligarca. - οἱ

    III 137, 1

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    δάλια παρέλυσε τῶν Μηδικέων νεῶν, τοῦτο δὲ αὐτοὺς τοὺς Πέρσας εἶρξε ὡς κατασκόπους δῆθεν ἐόντας. Ἐν ᾧ δὲ οὗτοι ταῦτα ἔπασχον, ὁ Δημοκήδης ἐς τὴν Κρότωνα ἀπικνέεται· ἀπιγμένου δὲ ἤδη τούτου ἐς τὴν ἑωυτοῦ ὁ Ἀριστοφιλίδης ἔλυσε τοὺς Πέρσας καὶ τὰ παρέλαβε τῶν νεῶν ἀπέδωκέ σφι.

    Gli emissari di Dario si ritirano

    ΙΙΙ 137 [1] Πλέοντες δὲ ἐνθεῦτεν οἱ Πέρσαι καὶ διώκοντες Δημοκή-δεα ἀπικνέονται ἐς τὴν Κρότωνα, εὑρόντες δέ μιν ἀγοράζοντα ἅπτο-ντο αὐτοῦ. [2] Τῶν δὲ Κροτωνιητέων οἱ μὲν καταρρωδέοντες τὰ Περ-σικὰ πρήγματα προϊέναι ἕτοιμοι ἦσαν, οἱ δὲ ἀντάπτοντό τε καὶ τοῖσι σκυτάλοισι ἔπαιον τοὺς Πέρσας προϊσχομένους ἔπεα τάδε· «Ἄνδρες Κροτωνιῆται, ὁρᾶτε τὰ ποιέετε· ἄνδρα βασιλέος δρηπέτην γενόμενον ἐξαιρέεσθε. [3] Καὶ κῶς ταῦτα βασιλέϊ Δαρείῳ ἐκχρήσει περιυβρίσθαι; Κῶς δὲ ὑμῖν τὰ ποιεύμενα ἕξει καλῶς, ἢν ἀπέλησθε ἡμέας; Ἐπὶ τίνα δὲ τῆσδε προτέρην στρατευσόμεθα πόλιν; Τίνα δὲ προτέρην ἀνδραποδί-ζεσθαι πειρησόμεθα;» [4] Ταῦτα λέγοντες τοὺς Κροτωνιήτας οὐκ ὦν ἔπειθον, ἀλλ’ ἐξαιρεθέντες τε τὸν Δημοκήδεα καὶ τὸν γαυλὸν τὸν ἅμα ἤγοντο ἀπαιρεθέντες ἀπέπλεον ὀπίσω ἐς τὴν Ἀσίην, οὐδ’ ἔτι ἐζήτησαν

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    φανῇ è epesegetico del prolettico κατὰ δὲ τοῦτο «per questa ragione». Come al solito, c’è nella condotta di Democede nei confronti di Dario un che di ingannevole ed Erodoto non manca di sottolinearlo.

    Ἀναχθέντες … ἐς Ἰηπυ-γίην: «Salpati da Crotone, i Persiani furono sbattuti con le loro navi sulla costa della Iapi-gia». La Iapigia corrisponde circa alla peniso-la salentina. - σφέας … Δαρεῖον: «essendo ridotti in schiavitù, li salvò allora Gillo, un esu-le di Taranto, e li ricondusse al re Dario».

    III 138, 1

    trenta volte nei giochi panellenici; fu strate-go dei Crotoniati nella decisiva vittoria sulla nemica Sibari (510 a.C.). - ἦν οὔνομα … βασιλέϊ: «grande era la fama presso il re». Si tratta certo di un’illazione, ma Erodoto non può immaginare che Dario non lo co-noscesse. Non è comunque casuale il matri-monio, essendo Milone legato ai Pitagorici, sostenitori dell’oligarchia. - σπεῦσαι … μεγάλα: «abbia affrettato questo matrimo-nio, spendendovi grandi ricchezze». - ἵνα … δόκιμος: «per far vedere a Dario di essere uomo illustre anche nella sua patria»; ἵνα

    ti», «più all’interno», con Ἑλλάδος geni-tivo partitivo. - τοῦ ἡγεμόνος: la guida è naturalmente Democede.

    σφι … ἀναγομένοισι: «a loro mentre stavano salpando». - κελεύων … γυναῖκα: «raccomandando che dicessero a Dario che Democede aveva in moglie la figlia di Milone»: ἁρμόζω «adattare» significa al medio «con-giungere a sé», «sposare» e quindi al perfet-to (ἅρμοσται è la terza persona) «avere in moglie». Milone di Crotone è il più celebre atleta del mondo greco arcaico, vincitore per

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    τὸ προσωτέρω τῆς Ἑλλάδος ἀπικόμενοι ἐκμαθεῖν, ἐστερημένοι τοῦ ἡγεμόνος. [5] Τοσόνδε μέντοι ἐνετείλατό σφι Δημοκήδης ἀναγομένοισι, κελεύων εἰπεῖν σφεας Δαρείῳ ὅτι ἅρμοσται τὴν Μίλωνος θυγατέρα Δημοκήδης γυναῖκα. Τοῦ γὰρ δὴ παλαιστέω Μίλωνος ἦν οὔνομα πολλὸν παρὰ βασιλέϊ· κατὰ δὲ τοῦτό μοι δοκέει σπεῦσαι τὸν γάμον τοῦτον τε-λέσας χρήματα μεγάλα Δημοκήδης, ἵνα φανῇ πρὸς Δαρείου ἐὼν καὶ ἐν τῇ ἑωυτοῦ δόκιμος.ΙΙΙ 138 [1] Ἀναχθέντες δὲ ἐκ τῆς Κρότωνος οἱ Πέρσαι ἐκπίπτουσι τῇσι νηυσὶ ἐς Ἰηπυγίην, καί σφεας δουλεύοντας ἐνθαῦτα Γίλλος ἀνὴρ Τα-ραντῖνος φυγὰς ῥυσάμενος ἀπήγαγε παρὰ βασιλέα Δαρεῖον.

    Anno 490. L’armata persiana, conquistata Eretria, saccheggiati e incendiati i santuari e fatti schiavi gli uomini, secondo gli ordini di Dario, punta ora minac-ciosa contro l’Attica: su consiglio di Ippia, il tiranno figlio di Pisistrato cacciato da Atene e ora influente consigliere dei barbari, lo sbarco avviene presso Mara-tona, in quanto più vicina per chi proviene da Eretria, ma anche la pianura più adatta per le manovre della cavalleria. Gli Ateniesi non commettono l’errore degli Eretriesi di attendere in città i barbari ed escono con l’esercito verso Mara-tona. Li comandano 10 strateghi tra i quali (o forse con più autorità tra questi) Milziade, figlio di Cimone, esiliato da Pisistrato, del γένος dei Filaidi, a cui sono fieramente avversi in Atene gli Alcmeonidi. Filippide un ἡμεροδρόμης (capace cioè di correre per un giorno intero) era stato inviato a Sparta a chiedere aiuto e gli Spartani avevano risposto positivamente, ma la legge imponeva loro di par-tire solo dopo che si fosse avuto il plenilunio. Così gli unici altri Greci, che ave-

    vano inviato un contingente erano stati i Plateesi: grati per sempre agli Ateniesi per il soccorso loro prestato in passato contro i Tebani, avevano fatto atto di dedizione ad Atene. È così che nel sesto giorno di Boedromione (settembre-ottobre) si combatté la battaglia, che l’abile propaganda ateniese celebrò come la più grande vitto-ria (pressoché solamente ateniese) dei Greci, o meglio degli opliti greci, sui barbari.

    La battaglia di MaratonaLa battaglia di Maratona

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    Il tumulo di Maratona nel quale furono sepolti gli Ateniesi caduti nella battaglia nel 490 a.C. contro i Persiani. Gli scavi condotti alla fine dell’Ottocento hanno rivelato la presenza di uno spesso strato di ceneri, provenienti dai roghi sui quali furono cremati i cadaveri.

    LA BATTAGLIA DI MARATONA