Fozio - Biblioteca

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BIBLIOTECΔ SCELTA DI 0PERE QRECHE E LATINE TRADOTTE IN LINGUA ITALIANA Ρ0/. 4 5 BIBLI O TECA DI FOZI O VOLUME PRIM O

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Versione storica della Biblioteca di Fozio, ripulita, formattata e con OCR

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BIBLIOTECΔS C E L T A

D I 0 P E R E

QRECHE E LATINETRADOTTE

IN LINGUA ITALIANA

Ρ0/. 4 5

B I B L I O T E C A DI F O Z I O

VOLUME PRIMO

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Φ Ϊ1 Μ 0 Τ Έ € ΔDI F OZ I O

PATRIARCA DI COSTANTINOPOLI

riui>OTr-*

&AL CAVAIjIEra

GIUSEPPE COMPAGNONI£ RIDOCTA A Ρΐϋ COMOTO USO

DEGÙ STTOIOH

M I L A N OP E R GIOVANNI SIL V E ST R I

K.9GCC. UCTL

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AL CORTESE LETTORE

TULLIO DANDOLO

ULTϊMO lavoro di Giuseppe Compagnoni fu il vol- garizzamento di Fozio, non ancor da altri tentato ΐη Ita]ia : a me lo fìdava egli morendo , acciò sΐ pubblicasse con le stampe.

Adempio al voto del venerabile amico mΐo, che per tenerezza m'era quasi padre.

Quai sentimenti mi stringessero all'illustre de- funto , cosa io mi proponga di fare per onorar meglio la sua memoria, te ne chiariranno le due Lettere seguenti.

Che β'ΐο non compiei per anco con ugual sol- lecitudine al voto del]a fìlial reverenza, e del]a gratitudΐne per benefìzj sommi dovuta, non acca- gionarne il cuor mΐo, bensì l ' indugio da altri ΐη- volontariamente posto in consegnarmΐ le Memorie ϊnedi'te del Compagnoni, che doveano esser base principalissima alla divisata biografìa ; e , poiché m' ebbi coteste Memori'e , le sciagure domestiche , dalle qualΐ rimasi piuttosto schiacciato che colpito.

Abbitΐ pertanto, senz' altrO ritardo, lo scritto del Compagnoni, e benedici meco la sua memoria, siccome quella d'uomo di cui, direΐ, non v' ebbe sulla terra il più buono, il ρΐύ ingenuo, il ρΐύ generoso.

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T U L L I O D À N D O L O

A LUIGI STELLA

OLGONO , amico , tristissimΐ tempi per noi, e l'anima soverchΐata dal dolore ha mestierΐ άΐ sfogo* Qual dolore più naturale, più santo di questo in che ne lascΐano ΐmmersi i nostri cari morendo ? Quai lagrime più pie delle nostre? Quai lagni più merΐtevolΐ di trovar in ogni cuore confortatrice corrispondenza ? Tu non avevi ancora rasciugato ilÌpianto che ti era costato la perdita del tuo buon tenitore, nè io avea saputo darmi pace della morte

di Fosca rin i, che il funesto presano compieasi, e Giuseppe Compagnoni pagava anch'egli alla natura il tributo supremo 1

Come persuaderemo, o Luigi, che cessò in que* jjfi occhi, spiranti benevolenza , facoltà d’ affissare in noi dolcissimi sguardi? Come pensarci che da quel labbro, avvezzo ad inarcarsi al sorriso di Anacreonte e di Orazio, non udrera più profferire le amorevoli, le gioconde, le argute parole che si spontanee ne sgorgavano ; chè non ti saranno cer­tamente usciti della memoria i giorni beati che al mio Deserto vivemmo in compagnia del nostro vec­chio amico: non ti par udirla ancora a' più allegri racconti d'avventure della sua giovinezza, di quella giovinezza che avea spesa nell'intimità dev'italianiÌ>iù celebri del suo tempo, piacevolissimamente rammischiare le più gravi considerazioni di poli­

tica, o di filosofìa?Cuor ingenuo e vasto intelletto son doni rade

volte ad un sol uomo dalla Provvidenza concessi; all'amico nastro ella n*era stata largamente cortese. L'anima generosa recavalo ad amar vivacissima-

Vi

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LETTE IU Τ>1 Τ. DANDOLO A L . STALLA. VII

mente anco nell' età in cui s'intepidiscon e quasi agghiaccian gli affetti: la mente elevata suggerivagii le vie di meglio giovare a' suoi sìmili ; sicché agli studi b rillanti degli anni più floridi fe'succedere i più nobili studi che cultor delle lettere sceglier potesse : que* della filosofia e della morale.

Qui piacciati» amico, di gettar meco uno sguardo sulla lunga ed onorata carriera che Giuseppe Com­pagnoni na percorsa.

Le Veglie del Tasso, che tefinersi dapprima in conto di scritto originale recentemente scoperto del sommo Poeta ( tanto è vera e sentita là entro l'espressione d’un amore infelice) collocavano poco meno che adolescente Compagnoni in seggio lumi­noso; perocché Inglesi, Francesi, Tedescni, quelle Veglie in lor lingua tradotte, non dubitarono di stampare ad appendice dell'opere di Torquato.

Le vicende politiche del suo paese non tarda­rono a cambiar Compagnoni di letterato in magi­strato. U uomo che Napoleone invidiava siccome Segretario al Consiglio di Stato del suo regno dltalia, perciocché segretario si valente confessava non aversi pel suo Consiglio di Francia ; Γ uomo che l 'Esule di Sant'Elena nominò nel suo testa­mento, per errore, gli è vero, qualificandolo Con­servator de'beni della Corona in cambio di Costa­b ili, ma che non meno per questo apparisce essere stato presente a quel sublime intelletto , comechè già presso ad agghiacciarsi tra le strette della morte; quest'uomo appartiene piuttosto alla storia de 'tempi più brillanti della patna nostra, di quello che a privato compianto, o ad amichevol panegirico.

Tornatosene, per mutarsi di fortuna , ma col sorriso sulle labbra, a modesto viver privato, ono* rata povertà, e meglio naturai vaghezza d'alti ed utili lavori, restituì ron Compagnoni alla carriera delle lettere.

Qui bellissimo campo appropri ossi con la sua Sto-

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VMt L E T T H U ΟΙ T . DANDOLOria d'America, presentando gl'italiani del racconto p iù veritiero, giudizioso, compiuto che siasi messo in luce degli avvenimenti che quella parte del globo ebhersì a teatro sin dall'epoca del suo scovrimento; e giornali americani affermarono niuna storia del Nuovo Mondo potersi per ogni maniera di pregi a questa del nostro Italiano paragonare.

Nè si tenne egli pago solamente di questo, cheÌ>ur capolavoro potria dirsi, benché troppa scarsa ode vengagli generalmente attribuita, e n 'è causa,

a mio credere, il far esso parte della vasta compi­lazione di storie d'ogni paese che da Segur ebbesi nome tra noi; sicché in mezzo a quei dugento vo­lumi s'affondarono, per così dire, i trenta dell'a­mico nostro. Gli Americani del nord ne voltarono nella loro lingua la Storia, e pubblicaronla con lusso tipografico , che meglio assai le si addice della modestissima veste dell'originale.

Nè tennesi pago, io dicea, solamente di questo suo esimio lavoro Compagnoni, che assecondando i desiderj e le richieste del Padre tuo, del vero inerito apprezzato re, storie non poohe pel suo Se- fifur compilò , e fra l ' altre quelle de 'T artari, dei Russi, aell'Austria e della Turchia.

Allorché ebbe tocchi i sessantacinque anni diessi pensiero pressoché esclusivamente di filosofìa, dap» prima applicandola, sull'orme di Tracy, a sistemi ideologici, poi alla morale.

E degna veramente, avviso, d'essere osservata ed ammirata eli' è cotesta successione in Giuseppe Compagnoni di studi diversi e degli svariati lavori letterari che ne furono espressione e rivelazione· Coneiossiachè lo vedemmo pagar da principio tri­buto al fervido sentire della giovinezza con farsi interprete d'un sommo Vate tratto fuor di senno da un amor infelice ; poi le importanti cure della cosa pubblica, l'obbligo d'adempiere a'doveri di cittadino, di magistrato addrizzaron le meditazioni

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λ tt. ST tLI.i. flcdi Compagnoni a meta più elevata; sinché, scioltosi per vanar di tempi da quelle cure, da que' doveri che sì bene affaceangìisi, alle lettere, all' amicizia si consacrò; delle lettere quel tanto per sé riven­dicando in cui più s'accoglie d'amenità, d'utilità;- deli' amicizia così caldo e scrupoloso osservatore mostrandosi, che i possenti, a'quali erasi infranto sotto lo sgabello che sublimi faceali, sicché tra 'I volgo temettero di trovarsi confusi, se per qualità di mente e di cuore furono spettabili, Compagnoni ebbersi benivogliente, devoto siccome a dì tramon­tati. A te me ne appello, virtuoso Luosi, che dai seggio della suprema magistratura dell'italico regno a si modesta condizione scendesti, che se non era l'universal reverenzr, col volgo poco men che con­fuso ti saresti veramente trovato. Non mi dicevi tu in Compagnoni aver rinvenuto un amico assai più caldo nella bassa di quello che nell'alta fortuna p a ra to non t'era? Nè bastavagli esserti assiduo cor· tigiano ( sa nome p rofanato può valere ad espri­mere la manifestazione della più pura virtù), corti­giano, dico, nella sventura; allorché pagasti tributa estremo alla natura , onorò tua memoria d 'uno scritto biografico dettatogli dal cuore; e fu bella e confortevol cosa veder tra vegliardi, onore un tempo dell' italiana magistratura , amistà così pura e co­stante aver poste radici. Non è da disistimar ufi reggimento che cotali uomini noverar potea tra suoi capi . « .

li generoso ufficio che Compagnoni a Luosi ren- dea, aveal dianzi reso a Dandolo; il più caro degli amici suoi.

Oh sento, amico, inumidirmi si di dolci lagrime le pupille in ricordando l'affetto che legò insiemé per tutta la vita quelle due nobilissime anime 1 Ed io , dachè apersi gli occhi alla luce, m'avvezzai a veder Compagnoni a fianco del padre mio; e quando il padre perdei, Compagnoni il dolore della vedova,

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dell*orfano, il suo proprio dolore attemperava con rendere alla memoria del caro defunto pubblico tributo di desiderio e di lode·

Ed io non ti pagherei, anima gentile, 3 debito della riconoscenza filiale? E non mi sowerria in pagarlo che a te debbo d'esser felice, perciocché Ut fosti quello .che la mia dolce compagna, la fi­glia d* altro de' tuoi virtuosi amici, in isposa mi proponesti ( i ) , e non ho mai cessato di benedire <piel consiglio die paterna tenerezza nel cuore e sulle labbra ti pose? I miei bambini s’avvezzarono a benedire il tuo nome insieme a quello degli avi* Fatti adolescenti leggeranno nelle carte del padre ricordati i benefìzj, le virtù di coloro senza di cui non respirerebbero le aure della vita.

Tu già indovini forse , o Luigi, il mio divisa* mento* Compagnoni, poco prima di morire, il mio nome scrivea ad oggetto di donarmi il volume m cui si contiene la Biblioteca di Fozio , non che il manoscritto della traduzione che fatta n’aveva; la· voro importante e affatto nuovo per l’ Italia, a cui gli scritti di quel compilatore della sapienza degli antichi non sono noti sinora die o nel testo greco,0 nel volgarizzamento latino. Lo scritto da Com­pagnoni fidatomi vedrà la luce per mia cura, e in front * al libro tu leggerai del nostro venerabsl amico tal biografia che indegna non sia per essere della sua v irtù , del mio anetto. L’ esimia gentil­donna che Compagnoni nominò ad erede unica· mente acciò più libera disponitrice esser possa di modeste beneficenze, già &’ è proposta di fornirmi1 materiali bisognevoli all’ uopo.

In quattro parti sembrami che il mio lavoro po­trà naturalmente venir diviso. Nella prima aceompa»

X LETTE!A DI T. DANDOLO

CO Giulietta Pagani Bargnani, specchio di gentilezza a virtù, rapita dopo nove anni della piò felice unione alPamore di Tallio Dandolo il giorno i.e d*agotto »835.

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k L . S T tL T .A . t i

fnerem l'amico nostro in mezzo alle varie avventure e'suoi anni giovanili: nella seconda terrem oti

dietro nel considio della Repubblica Cisalpina, in quello del Regno d 'Italia: renderem conto nella terza de 'suo i lavori letterari ; nell* ultima , la più fàcile e la p iù cara al cuor nostro, si conterrà ra­gionamento delle nobilissime qualità che feceilo delizia de* su oi atroci, ornamento del suo paese.

Possa tu , o Luigi, allorché leggerai quello scrìtto, reputar te c a «Cesso eh ' io non mi mostrai troppo da m eno de l geniale argomento , del sacro debito della n e o n ose e n s a t

P a d o v a , U a gennaio, i834·

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z ìi LETTERA 01 t. «TILLA

A T U L L I O DAND OL O

LUIGI STELLA

Ϊ ο p u re , o Tullio, debbo l'ultimo vale al vene­rabile amico di( cui piangiamo la perdita; e nel soddisfare a questo bisogno del cuore, nell' adem-{piere questo sacro dovere, non men caro che do- oroso, mi è dolce l'aver compagno chi, al par di

me, fu l'oggetto della patema sua benevolenza.Tu con vivi colori delineasti rapidamente i tratti

SrincipaH di una vita tutta sparsa di utili opere, i azioni generose: non t'incresca ora ch'io ag­

giunga alcune tinte al tuo quadro, e volgiti meco a contemplar Compagnoni negli ultimi suoi giorni, de' quali fui dolente spettatore.

S ì, amico : io vidi la lagrimevole progressione con che s'andò lentamente spegnendo la face di quell'ingegno che tanta luce avea sparsa sull'Italia; assistetti alla lunga sua agonia, fui testimonio delle sue ultime letterarie fatiche, e raccolsi gli estremi suoi detti. Que' giorni angosciosi che precedettero la morte d'uomo si benemerito, furono come laÌùetra di paragone dell'indole sua. Estenuato dai unghi patimenti, ei più non conservava alcuna

parte di quel fìsico vigore onde l'uomo si vale a nascondere sotto il velo di esterne apparenze ciò che nelle sue intrinseche qualità potrebb' essere tra gli uomini argomento di biasimo o diffidenza. Quindi l'anima di Compagnoni apparve nuda nei suoi detti, ne'suoi scritti, nelle sue opere; e i nu­merosi suoi amici si avvidero, non so se con più di compiaeenza, o d'ammirazione, ch'egli non avea cercato di nascondere i suoi difetti» ma bensì parte delle sue virtù. Si conobbe allora chiaramente che

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A T. DANDOLO. Χπ Ι

il distint ivo caratteristico della sua vita politica e sociale, pubblica e privata, voglio dire la fran­chezza , non era in lui calcolo, non affettazione , non istoica alterigia, bensì una spontanea conse­guenza della ingenita sua lealtà.

Gli era dolce conforto, tra le angosce della ma* latti a , il rammemorare gli amici e i conoscenti perduti, il ragionare di que'che tuttora gli rima- neano; e in questa rassegna, dettata dall'amorevole suo cuo re , ei non sapea ricordare di essi se non le pregevoli qualità e le generose azioni : chè la memoria dei loro difetti, dei vizi , o della ingrati­tudine, non potea dimorare a lungo in un'anima alla quale era eterogeneo tutto ciò che si scostava dai sensi della più retta probità, della più candida virtù. Ond'è che sempre con manifesta ripugnanza, benché vissuto in tempi più fecondi di vizj che d i virtù, egli induceasi a credere alla perversità degli uomini, e facilmente prestava fede a ciò eh' esser potea indizio e prova del contrario. Quindi avve­niva non di rado ch'egli fosse vittima delle pre­venzioni stesse della sua buona fede; nè in ciò l'esperienza del passato, non ostante la perspicacia del suo intelletto, gli era maestra per l'avvenire, perciocché i calcoli della sua mente erano sempre soverchiati dagl'impulsi del suo cuore.

Questo cuor generoso era fatto per accogliere in sè tutte le più nobili inclinazioni, 1 più cari senti­menti onde s'onora l'umana specie: non volle quindi essere straniero alle cure e agli affetti di padre, e consacrò una parte de'modesti frutti delle sue letterarie fatiche au educazione d'una fanciulla che con benefica mano aveva tratta dall' indigenza* Quante volte non 1' ho io udito , negli ultimi suoi giorni r ammonire dolcemente questa sua quasi fi­glia adottiva , dandole savj precetti che la guidas­sero nella umile carriera della sua vita, quando ei più non sarebbet Quante volte non l'ho inteso ri·

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petere, favellando di lei e di chi lo assisteva nella sua malattia: « Alil perchè n on sono io morto nn anno addietro, chè non andrei ora consumando i pochi risparmj eh' io destinava a sollievo e ri­compensa di quegl' infelici ! « Oh 1 quanto è avara la natura di anime siffatte l

fiè credere , o Tullio, die la prepotenza del male avesse del tutto inaridita in fui quella vena feconda di festevoli racoonti, di piccanti arguzie, che in tempi migliori rendeva a ameno u suo conversare; chè anzi molte volte io lo vedea scuo­tersi dal letargo m die giaceva assopito, e compo­nendo il volto al sorriso, interrompere con un frizzo il discorso di un amico presente, rettificare un'inesattezza, narrare un aneddoto: non rade volte ancora egli s'abbandonava a tutta Vilarità del suo carattere, 'facendosi superiore con uno sforzo mo­rale all'intensità dei patimenti fisici. Qual più aerto indizio di un'anima paga di sè stessa? di u n 'a ù na che nella reminiscenza del passato non troaava~che motivi di conforto tra le angosce presenti?

Talvolta ei cercava pure alleviamento al ano pa­tire in quelle letterarie occupazioni dalle quoti rammentava si aver tratto in altri tempi sì efficace sollievo alle afflizioni dello spirito ; e dai parti del suo ingegno, spiranti anch'essi tranquilla lietezza , ninno mai avrenbe potuto argomentare l'infermità del suo corpo. Anche dalla lettura traeva non lieve conforto; ed io molte volte, da Itti eccitato, glie n 'era ministro. Le opere morali e filosofiche spe­cialmente prediligeva: gli astrusi ragionamenti sulla misteriosa immensità della natura, quelli più miti e gemali sulla virtù » sui doveri degli nomini, fi­nalmente i più confortevoli e nobili, sull'immorta­lità dell' anima, eccitavano altamente la sua atten­zione. Io raccoglieva le osservazioni, i comenti ond' egli andava spargendo nuova luce su que' dii· ficili argomenti, ed ammirava la profonda sagacità

XIV LETTI* 4 DI t. STILLA

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A T . D A K B O IA . Π

Conia quale, innestando i sentimenti pelinosi aHe massime filosofiche, sapea conciliare le più patenti verità del mondo fisico co’ più necessarj principi della religione e della «aceraie.

Caldo amatore dejgii uomini, qual egH era, non potea rimanersi indifferente , anche sul Ietto dei dolore, aHe vicissitudini politiche de’nostri giorni. Ei ne seguiva il corso attentamente , pesandone i più minuti particolari, le cui conseguenze sfuggono agl'intelle tti comuni; facea disamine, istituiva con* fronti, con una mirabile sagacità e perspicacia. Era crucciosa al suo cuore l'immagine degli sconvolgi* menti ond' è agitato attualmente il mondo politico e il mondo morale; pur ne ventilava con profondi ragionamenti le probabili conseguenze; e le previ* stoni di un ’esperienza così esercitata erano forse oracoli che il tempo avvererà.

Ma le più dolci e confortevoli occupazioni, in quegli estremi momenti, erano per hn quelle che ricfetaaanvano il suo cuore agli antichi anetti. Pen­sava quindi a beneficare Lugo, ove nacque, e a lasciar materiale memoria ai sé a* numerosi snoi amici; e mentre a te legata la stia Versione di Fo* sio, a me iacea dono verbale di tutti ^ Altri suol manoscritti, eccetto alcuni pochi ; ed io gli accet* lava riconoscente. Egli allora invkvali alla mìa abitazione senea mia saputa ; ed io li rimandava , ad egli insisteva perché li ripigliassi: ma questo io mai non sapea indurmi a Are onde non confer* merlo vie più. nel toensie t t della sua prossima fine; il che mi toglierà di poter imitare in parte il no­bile lue proposto circa la Biblioteca di Fozio, pubblicando di que’ manoscritti ciò die mi fosse Sembrato degno della finita di sì illustre scrittore. Poco tempo rnnami avea parimente donato ad un Aio amico della Romagna il manoscritto di quella ch'ei riputava la migliore tra le «Ut opere, voglio dire La Morali tutti.

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Giunse finalmente l ' ora fatale. La mattina del dì 29 dicembre, 1853, mi fu recata la dolorosa no­tizia della sua morte, avvenuta alle quatti·*ore di quello stesso mattino, non senza i sussidj tutti della religione. Prima di spirare avea nuovamente rammentati gli amici, inviando loro l'estremo sa» luto. La mattina appresso mi recai alla cattedrale, ove doveanglisi rendere i supremi uffici della reli­gione ; e mi vi recai con. animo disposto a con* giungermi al numeroso funebre convoglio che senza dubbio, nelle esequie d'uomo sì benemerito, si sarebbe adunato a rappresentare la patria ricono* scente. Trovai deserta la chiesa 1... Un umile fere­tro giaceva inosservato innanzi una cappella : in esso racchiudevasi la spoglia dell'amico nostro; nut la povertà stessa di quell apparato, da lui coman» data, era un'ultima testimonianza della generosità del suo cuore. Ed ohi quanto quella modesta po­vertà era più eloquente d’ogni altera pom pai... Mi si schierarono allora davanti tutte le virtìi, tutte le utili opere, ond' egli avea illustrata la nobile carriera aella sua vita. « O Compagnoni, sciamai meco stesso, tu fosti povero ; ma la tua povertà, figlia del disinteresse, fu più feconda di benefìzi che l'opulenza del ricco. Tu fosti povero; ma le ricchezze del tuo ingegno sparsero per ogni dove le loro utili emanazioni. Ricevi, anima generosa, ricevi per mia bocca l'ultimo addio e i ringrazia­menti della patria. * Indi a pochi istanti le sue spoglie mortali furono trasportate al cimitero , ove giacciono non lungi da quelle del suo diletto amico,0 mio buon genitore. Così quando l'animo mesto mi guiderà a meditare sui misteri della morte, in anel soggiorno in Cui la falce di essa livella ogni disuguaglianza, alle lagrime che la pietà filiale trarrà dal mio ciglio si mesceranno quelle che tri­buterò all'amicizia.

svi LETTEBA DI t. STILLA A T. DANDOLO.

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NOTIZIE CONCERNENTI

LA BIBLIOTECA DI FOZIOE LUI MEDESIMO

D ì o w>o/ia, mio caro Eschelio» che io po$$a in alean modo giovarti nella edizione che mediti di Fozio ! Lessi in addietro tutta Γ opera di lui f di­visa in due tomi % e copiata di mano d* Enrico Stefano. Essa è varia 4 e da tate edizione non 90 dire se sia per essere maggiore la gloria che è per venirne a te, o la utilità che ne trarranno gU altri. E certamente sì egregio scritto non altro editore meritava che te9 il qualem con la pubblica· lione di tanti buoni autori, hai voluto dimostrare e la erudizione tua, e la tua propensione alle lei- tere. M a nè iof nò il nostro Vulcanio possiamio in questa bisogna giovarti 9 non avendo noi alcun esemplare di questa Opera . * * Così Giuseppe Sca+ Ugero scriveva.

A\\% E schelio medesimo scriveva Giovanni Livi· nio : Affrettare Γ editione di Foiiof credo io essere del maggiore interesse delle lettere. Piena di va· rietd è Γ Opera, ed utilissima a tutti gl* ingegni e per tutti gli studi. E quanto anche non vale il sapere almeno il gran numero di buoni Scrittori in ogni genere di dottrina^ e cAe da queltuomo di­ligentissimo veduti e letti t per erano perduti ?

Fozio, voi. 1« s

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a N O T IZ IE s u L à BIBLIO TECA d i f o z i o

Α1Γ Eschelio pure scriveva Isacco Casaubono di questa maniera: Tu dunque mi dici d 'essere tutto applicalo in pubblicare la Biblioteca di F ozio ? Oh il regalo veramente munìfico ! oh te liberale ! Dagli squarci che de* libri di lui sono già pub­blici , è facile giudicare deW Opera , come dalle unghie il Itone.

Francesco Turriano , nella Prefazione alle Co­stituzioni Apostoliche di Clemente Romano, cosi parla di Fozio: È questi autore eruditissimo , e d'incredibil lettura . . . e singolarmente in quella Opera eh* egli intitolò Biblioteca de* libri da esso lui letti ; nella quale con tanta diligenza. , con si

fino ingegno * e sì consideratamente e dottamente, e distintamente e francamente di tanta mollila- dine e varietà di libri giudicò , che chiaro ap­parisce nulla essere sfuggito alla sua critica.

Indi; Quanto sia grave in questo giudizio, e di quanta autorità la testimonianza di Fozio , può intendersi e valutarsi. . . principalmente dalla così da lui, come di sopra dissi, intitolata Biblioteca , grosso volume composto sui libri d* ogni genere da essolui lettij nel quale di siffatta maniera quasi d? ognuno V argomento e la qualità dello stile di- stingue e nota , che chi legge qué* sommarj può credere di conoscere come interi que'libri) e f in · do le e Γ ingegno de* loro autori.

Non aveasi, alloiché così que* celebri Eruditi ne pai lavano , la Biblioteca di Fozio che nella originale sua greca lingua. Quando il gesuita A n ­drea Scotio (ΓΑ uvei sa la voltò in latino , da ogni parte i più insigni lelteiati dì quel tempo coucor- detneule applaudiremo a si grave lavo:o. ftoi uoa

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t LUI I fS D S S tM O » 3

citeremo se doq se la testimoniatila di Giusto Lipsia 9 che dee valere per tutti.

Scrivendo egli a Marco Welsero , si esprime come siegue: I l Fozio di Andrea Scotto 9 grand* amico noftro , già da alcun tempo fa tto latino , stassi presso di voi ( in Augusta ). E quando ve­drà esso la luce ? quando potremo vederlo noi f Certo è che cotesto Scrittore è tra i pochi degni della nostra riconoscenza » poiché per opera di lui solo sonosi dalla obblivione salvati i monu­menti di tanti chiarissimi ingegni ; e debbo dir ami da tutta obblivione affatto9 in quanto che ti salvò almeno i nomi e alcune membra degli Scrii- lori. Quanti libri mai less* egli , e , per così dire, sfiorò9 i quali non avremmo potuto altrimenti co· nascere ? Sacri, profani 9 trattatisti 9 storici 9 ora­tori 9 poeti · . . non v* ha in tutta la greca Ut- teratura 9 o sia in tutta la libraria 9 codice che quell* uomo non abbia salvato. Bellissimo i Γ uso di leggere o di ascoltare nelΓ allo di se* iersi a tavolai ma assai più bello è quello, e più utile9 di notare, giudicare, estrarre. Fozio fece da solo tutto questo, rispetto agli Scrittori che ha fatti giungere fino a noi· Il vostro Davide Eschelio, e sotto gli auspicj vostri, da prima ci diede que- it’Ope ra in greco, con varie e diligenti correzioni- Ma tu sai a quanto sia giunta la pigrizia del tempo nostro♦ Pochi sono quelli che leggano od intendano le scritture greche ; alle quali, se non si aggiunge la versione latina 9 pur troppo può quasi dirsi 9 che V avere pubblicato quel libro in $reco è lo stesso che aver fa tto un bel nulla* Ao- drca Scollo adunque, uomo nato psl ben pubblic0%

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4 NOTISI* SC LÀ BIBLIOTECA SI ΓΟΖΙΟ

Io mise tatto in latino , c V affidò a te. Vedi per· tanto che a buon diritto ΰ indirizziamo la nostra domanda. Fa quello che è di tuo costume, e a che sei nato. Jjuta la cosa pubblica anche con disca­pita della tua privata. Fa questo bene » ο mio Welsero ; ancorché sì fluttuanti, e pressoché di­sperate sieno le cose d 'Europa , e tanto ci ten- gano in travaglio la Pannonia e VlUirio confinante*

Ove andranne a piombar d'armi nemicheSì grave pondo? ove a scoppiar taot’ira?

Ovunque sia, stiam forti noi, c ferm i nella nostra virtù i vengaci pure contro tutta la violenza del destino » chè la vinceremo se sapremo sostenerla,

Ora 1*ordine delle cose vuole che noi parliamo della traduzione dello Scotto, la quale giustamente Tiene ad essere garaute della nostra* Imperciocché avendo a noi prossima questa, che ha di fronte il greco testo , essendo essa stata eoo diligenza e maturità da uomo, com'era lo Scotto (dottissimo nelle greche lettere, e nelle scienze degli antichi sorittori ) elaborata, a vanità, e Ì'ors’ anco a vera ciarlataneria giustamente potrebbesi attribuire il vanto d'aver tradotta dal greco questa Opera, an­corché non ci si possa negare d* avere ooi avuto in questo lavoro, come pure é di (atto, Γ a v v e r ­

tente di tene^ d’occhio il testo originale» o d* es­serci più all’ uuo che all' altro senso appigliati y ove allo Scotto medesimo erasi presentato alcun dubbio. Del suo lavoro adunque ecco ciò che que­sto valentuomo ha detto.

Avea egli udito dire che in Ispagna alcuni uo­mini valeutissimi stelle greche lettere aveano preso

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s l u i m e d e s i m o · 5

a tradurre in latino la Biblioteca di Foiic , ma che poi aveauo desistito da tale proposito, spa­ventati o dai troppo guasti esemplari, o dalla fa­tica che necessariameute richiedeva , sia la mole · sia la varietà dell* Opera. Così gli era pure state detto che in Roma alcun altro avea fatto questo lavoro , ma che non aveasi potuto indurlo mai a pubblicarlo. Intanto, persuaso egli ioti inamente che la traduzione delta Biblioteca di Potio in latino sarebbe stata di gran vantaggio a tutte le persone studiose * trovò a gran costo un Codice greco , e diede mano al lavoro. Alle difficoltà geuerali* che una traduzione dal greco io latino per sé stessa presenta, aggiungevansi , die*egli , altre in parti*- colare per la natura dell’Opera. Imperciocché non solamente è essa pieua di grande varietà di ma­terie , comprendendo Filologia , Oratoria * Storia profana e sacra , Filosofia , Medicina , ed infine anche Teologia, ma ha questo di proprio , che riportandovisi tanti estratti di libri , non è più aell* intenzione e nel senso del solo Fozio che il tradu ttore dee penetrare per giustameute riferirne le sentenze, ma beo aoche nella intenzione e net senso di ciaschedun Autore in ispezialttà. Nel che quanto egli ebhia dovuto travagliare , abbastaosa può argomentarsi dall* esempio eh* egli cita del Trattato di Ermogene delle Jdeef i cui concetti e il cui linguaggio, piò sottili de*concetti e del fio— goaggio di Aristotile e di Cicerone, hanno bensì ammiratori assaissimi , ma pochissimi imitatori , die* egli parlando del suo tempo, e nessuno, di* remo noi alludendo al nostro, io cui la Ideologia felicemente è fatta scienza chiara ed aperta coti

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6 NOTIZIE SU’ LA BIBLIOTECA S I FOZIO

ogni facilità a tulli. Nella esposizione delle quali cose dichiara egli candidamente aver dovuto fare più fatica che non fece Ercole a celiare la stalla d*Augia , perciocché alle strette , in cui per sé medesime le sottigliezze di quello Scrittore lo met­tevano f congiu<Dgevansi quelle che dovea soffrire in rettificare il testo t ove i varj passi e le parole non parevano consentire né al senso, né al carat­tere delTA utore e de* suoi concetti. Siccome poi molle opere, delle quali parla Fozio , sono andate perdute, un9altra d ifficoltà incontrava il lavoro intrapreso » poiché mancando il modo di consul­tarle ove il testo di Fotio si presenta diffìcile , a chiarirlo debitamente si fece necessario un grande studio $ sicché in assai casi oon bastò la fatica d’ interpretare , ma vi si volle la forza d' indovi­nare. Il che, aggiuog*egli, se mi sia ben riuscito, Vedrassi dai dotti uomini, quando avvenga che si trovino le opere fin* ora smarrite.

Data così ragione del suo lavorot a cui aggiunge eziandio qualche osservazione sullo stile da lui usalo, che dice averlo procuralo terso e casto quanto ha potuto, la perspicuità e la soavità cer­cando d* imitare di Cicerone , e fuggendo i rozzi ed oscuri modi che erano invalsi al «uo tempo, discende a parlare di Fozio e de* suoi Scritti col­l'intendimento di dimostrare che questa Biblioteca di lui é affatto salva da ogui errore. Ciò che di Fozio narra» d ic 'egli averlo desunto da Zonara , da Glica$ da Manasse, da Ntcela, da Curopalale+ da Cedreno, storici quasi contemporanei di lu i , e dalle Lettere di Meùofane e di Sultano, non che dagli Atti delimitavo Concilio ecumenico, dolendosi

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E L r l M E D E S IM O . η

giustamente che sieno periti il tu e il xx libro degli Annali ecclesiastici di Ntceforo Callisto„ che di Fozio e de* fatti di lui avea ampiamente trat­tato. Ecco pertanto come egli parta, incominciando la sua narrasione dal pattiarca Ignazio.

a Fu Ignazio nipote di Niceforo, che tolto avea im perio ad Irene, e nacque da Eutropia, fìgliuoìa di Niceforo , e da Michele , che fu imperadore » soprannominato Rangabe. Ma perchè nè egli , né suo fratello Teofilalto , maggiore d* età , potessero mai pretendere al trono, su cui seduto aveano il padre e l*avo loro, furono evirali ; ed Ignazio fa anche costretto a farsi monaco. Però col volger de* tempi venuto al!* Imperio Teofilo, figliuolo di Michele Traulo, mentre Teodora, moglie di Teo- filo , rimasta vedova , reggeva le cose a nome del figlio Michele* chiamato il Porfiropenela, che era succeduto sul trono al padre , mossa dalla fama delle virtù che prcdicavansi d'ignazio, e tocca da pietà d i quanto questi avea patito, essendo vacata la Sede patriarcale per la morte di Melodio , con applauso di tutti i buoni, lo richiamò all'esercizio della pristina dignità. Tutto ne* primi anni andò bene. Ma cresciuto in età l’imperadore Michele, levata ogni influenza negli1 affari alla madre , e tutto ■ immer­gendosi ue*vizj, quel giovane monarca abbandonò sé stesso e 1* Imperio a Barda, uomo più vizioso di lui ; il quale, creato Cesare , e prese le retiini del governo, non pel ben pubblico, ma per essere liberamente malvagio , giunse alta iaiquità di ri­pudiare la moglie , e di convivere in vece cou la nuora. Per si grave scandalo Ignazio venne al fatto di scomunicarlo. Di che vivameate punto Barda ,

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8 VOTfXfB SO LA B11LIOTKCA HI FOZIOconvocato un concilio , lo spogliò del patriarcato , e lo confinò in Milileoe. ludi gli diede per suc­cessore Fotio , allora gran cancelliere di corte e governatore della citta; e questo accadde Tanno.· » * undici anni, cioè , dachè Ignazio era in possesso di quella dignità. Questa elevazione di Fozio uomo secolare, introdotto repentiuamente nella Chiesa, ed a si allo grado, suscitò bisbigli e querele. Cosi che informatone Niccolò /» spedi a Costantinopoli due vescovi, Rodoaldo e Zaccaria , con commis­sione di por freno agli errori degl*Iconoclasti, che allora in Oriente yie piò diffondevansi, e d* infor­marlo di quanto s'era fallo riguardo ad Ignazio. Avea di piò quel Pontefice date a que’ suoi Legati lettere speciali per I* Imperadore contro Foxio, come quegli che * in opposizione ai canoni e agli esempi dell*antichità, eresi intruso nel governo della Chiesa , fallosi lutto ad un trailo ordinare Pastore del gregge di Cristo , massimamente poi mentre il Pastore del medesimo era ancor vivo. Ma que* Legali, o fossero ingaunali, dice lo Scotio, ο fossero conniventi, nè volessero dispiacere a l- Γ Imperadore, dichiararono giusta la condanna d*/- gnazio. £ssi però dichiarò il Pontefice prevaricatori.

Mentre le cose erano in questo sialo « ac­cadde che , per insidie di Basilio il Macedone , furono messi a morie e Barda Cesare, e Michele imperadore \ e ad altra vita passò Niccolò / · PerIo che , giovandosi de* cambiamenti seguili nella Corte di Costantinopoli, Jdriano II, che fu suc­cessore di Niccolò t olteone che si convocasse un nuovo Concilio , il quale fu di centodue vescovi » ed è fra gli ecumenici I* ottavo i e per questa via

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μ Lw Mtosfttre* gIgnavo fo restituito alla sua sede. Ma egli allora era vecchio e cagionevole ; e durò poco nel suo ministero. Alla morte di lui un altro concilio si radunò, a cui intervennero treceotottantrè ve­scovi, i quali richiamarono Fozio alla sede patriar­cale. Pare che non si teoesse per molto valida la ragione dianzi accennata contro Fozio « della sua ordinazione subitanea , perciocché si mi! fatto era succeduto nella persona dì Ambrogio in occidente* e in quella di Nettario Tarasio « aio di Fozio, e di Niceforo* successore di quel Nettario nell’oriente· Di fatto Giovanni Vili, che allora sedeva pontefie* in R om a, approvò quanto erasi statuito da quel Concilio, e mandò il pallio a Fozio. Che il Signor nostro Apostolico ammetta in patriarca il signor Fozion ne fa fede la stola pontificale del Sommo Pontefice, signor nostro Giovanni * mandata al me­desimo . La quale appunto egli mandò, affinchè tutti intendano e sappian di certo che il signor Fozio dal Sommo Pontefice viene riconosciuto ed avuto per Patriarca. E ciò detto ( il Legato del Papa ) diede a Fotio la stofa pontificale, Γ ume­rale* il manto, e i sandali. Così leggasi negli Atti di quel concìlio. Si é imbarazzato lo Scotto in impiegare come alcun tempo dopo Fozio dal Pon· tefice veoisse di bel nuovo scomunicato. Teoendo conto di ciò che con migliore erudizione altri hanno detto, pare che, o Fozio avesse promesso, o il Papa si fosse lusingato che dal Patriarca di Co· stantinopoli non sarebbesi parlato piò di diritti giurisdizionali, che nel tempo del suo primo pa~ triareato Fozio pretendeva competere alla sua sede sopra alcune province di Bulgaria e di Macedoma.

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IO NOTIZIE SITILA BIBLIOTECA DI FOZIO

Fu tale controversia di grande calamità per la Chiesa ; perciocché per essa avvenne che gli animi s'irritarono ; e nacque quella deplorabile scissura che, rinnovatasi poi a'tempi di Michele Cerularioì ha fino a questi giorni perpetuato lo scisma tra i Latini e i Greci. Qual vero motivo avesse I* im­peradore Leone, detto il filosofo, di abbandonar Fo- aio, noo è beo noto ; se non che si sa eh* egli diede il posto di lui al proprio fratello Stefano. Alcuni hanno aoche detto ch'egli volle male a Fozio per la stretta amicizia di lui eoo certo Sa- barenof dall* Imperadore teout o per maligno uomo» e prestigiatore. Ma parecchi altri, fra i quali fa il padre medesimo di Leone, riguardarono il Sa- bareno« come uno dei più santi monaci di quel tempo. Nè Folio era tale da lasciarsi facilmente ingannare da chi avesse voluto col manto della santità coprire una vita scellerata nè fuvvi mai ehi dicesse Fozio compagno d'iniquità ad alcuno. Niceta paflngcme > biografo piissimo del patriarca Ignazio, di lui ha parlato in questi termini: Non era già Fozio oscuro uomo , od ignobile , ma di chiara ed illustre nascita e ragguardevolissimo per la pratica nts%li affari civili e politici* e per la prudenza e sapienza che in essi poneva. Era $i più molto dotto in grammatica, e nella compo­sizione di versi ; e lodatissimo nell'arte del dire. Mollo sapeva ancora in filosofia , e in medicina, a iit (ulte le liberati discipline j nello studio e co- gtùzione delle quali tanto fio tì , che in dottvina d*ogni maniera fu riputato il primo d tl tempo suoj ed am i degno di stare al pafagqne anche cogli Antichi- Tutto concorreva mirabilmente in /«/, at-

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a ITTI M C O tS I M O . f t

Mudine, nn tarai vigore, felicità, ricchezza, per la quale ebbe modo di procurarsi copia amplissima fogn i sorta di libri j e sopra tutto Ju in Ini si ardente amore di gloria e di laude che per atten­dere continuamente alla lettura passava ogni notte leggendo Al Tarn or deilo studio Foxio pospose tutto}* e ritirossi io un mooastero d’Armenia , ove para che termioasse i suoi giorni.

Checché di condannabile iotanto possa essere stato nella sua condotta come Patriarca, nulla, dice giustamente lo Scotto, può apporsi alla sua BibUom teca. Gli argomenti che questo dotto uomo addace in prova del suo assunto, sono i seguenti: Pri­mieramente Fozio si dimostra riverente verso le Sacre Immagini, e ne sostiene il culto, siccome apparisce in piò articoli, quali sono quelli de9 Co*, dici 29, 5?, ilo , 114» 1 *9’ 1° secondo luogo de*sommi Pootefìci romani, e de* Padri della Chiesa d’occideate parla m«guifìcamente, come fa di Celestino, di Leone, e di Gregorio Magno, tra i primi; e tra i secondi, d'Ireneo, d 'Ambrogio, d'Ago# slino e d'altri. In terzo luogo egli fa luminosa menzione de* primi suoi Concilj generali. Perchè poi noo parta dell' Ottavo , lo Scottò da ciò argo­menta che Fozio scrivesse la sua Biblioteca prima d*essere assunto al Patriarcato; e perciò in tempo in cui era aocora immune da ogni sospetto.

Y ' banoo però parecchi, né lo Scotto il dissi­mula, i quali suppongono che Fozio scrivesse, od almeno desse l'ultima mano alla Biblioteca dopo la seconda su* abdicazione. Che ciò facess* egli dopo o la seconda, o la prima, a noi sembra ma­nifesto dalia formula di saluto premessa alia lei-

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1 9 VOTICIB SULLA BIBLIOTECA Di FOZIO

tera a suo fratello Taratio , lettera che serve dì prefazione alP opera. Imperciocché quella formula è tutta propria di un ecclesiastico « nulla d 'uomo laico vivente a Corte, ed immerso io affari di go­verno. £ sebbene a uomo letterato, ancorché laico, noo disdica 1* erudizione iti cose risguardaciti la religione, la taula copta d'opere teologiche in questa Biblioteca comprese, e spezialmente i lunghi estratti di molte d'esse introdottivi, aggiungono forza alla nostra congettura. £ questa supposizione non con­traddice per nulla a quanto in quella lettera ac- cenua, perciocché apertamente distingue tra la let­tura de9 libri , e Pesteusione degli articoli riguar­danti i medesimi, dicendo: ecco che fina'mente pubblico quanto degli argomenti di tali opere ( lette nel suo Viaggio tu Siria ) m'era rimasto nella me­moria : il che va iuteso naturalmeute delle note che, leggendo, dovea aver fatte. Nella supposizione pertanto che Fozio non desse Γ ultima mano alla sua Biblioteca , che dopo Γ una ο l9 altra abdica, zione, ad ispiegare il silenzio suo sul Concilio ot­tavo ecumeuico, in cui fu richiamato alla sede di Costantinopoli il patriarca Ignazio, e sull'altro Concilio dei trecento ottantatcé Vescovi, in cui , morto Ignazio, egli fu rimesso nella pristiua di* gnità, non diremo noi che ciò potesse attribuirsi ad un principio di moderaziooe piuttosto che ad animo perverso; sapendosi che le grandi disgrazie richiamano alla sapienza gli uomini che haono alto carattere, e nissuno potendo con ragioue af­fermare, che se l'animo di Fozio fosse stato esul­cerato, non avess*egli prorotto tu qualche sfogo mentre se gliene offrirà ovvia occasione. Diremo

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a lui medesimo. tSsoltanto, che avendo egli nell'ultima compilazione seguito le tracce dì quanto avea letto e notato da prima, e ciò essendo accaduto assai tempo innanzi a quel Concilio, é cosa naturale che non potesse in alcun modo parlare del medesimo.

Sia poi che veramente avesse compiuta l’opera sua prima d* essere elevato alla sede patriarcale , sia che l'ultima mano desse alta medesima nel monastero in cui si ritirò dopo l'abdicazione, in essa non solamente ooo trovasi cosa che lo renda sospetto d*errori, ma trovansene molte che lo comprovano fermo nelle verità ortodosse. Nè ciò diciamo soltanto per quello che riguarda )* aver egli investiti con gran forza gli acerrimi nemici della fede cristiana, Porfirio » Luciano , Eunapio , Zosimoi ma dell'aver trattato nella stessa maniera gli eretici Eunomiani, i Novazìani, e Basilio ci- lice, e Pariano Filos forgio, ed Ario medesimo. I l che faceva egli nel tempo, in cui costantemente venerava e lodava la memoria, e le opere de’Santi romani Pontefici, e di parecchi latini Padri v ac* cequati di sopra. Per lo che il religiosissimo Scotto ha tolto ogni scrupolo , che Podioso nome di Fo­no potesse far nascere, rispetto alla Biblioteca di lui, nell*animo di chi della medesima giudicasse senza averla letta.

Del rimanente,prescindendo ancora dalla quantità di libri e di estratti, che,riguardanti cose teologiche, trovami registrati nella Biblioteca % fu degli studi sacri assai benemerito Fozio con altre sue opere. Di questo lo Scotto acceoua per la prima il Coos- menlo sulle lettere di S- Paolo, di cui Ecumenio inseri assai grande portione nella sua Catena : cou

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t 4 NOTIZIE SVLLk BIBLIOTECA Dì FOZIO

che, dic'egli, molto molto giovò ai dotti uomio», i quali debbono sinceramente confessare, per esso avere avuto grande sussidio io ispiegare gli a r ­cani seusi delFApostolo. Bella opera di Fozio fu pure quella de'Canoni degli Apostoli , e delle sa · prosante leggi degli antichi conci!/, imitata poscia tra noi da Bacante di Worms, da Ivone di Char- tres , e dal famoso Graziano« A queste s' aggiun­gono uu Trattato delta volontà di Cristo. — Sei dissertazioni intorno alla divinità e incarnazione,— Gli Atti dei Sette primi Conciij ecumenici. — e le lettere di lui, siccome anche la Lettera a Michele > principe de*Bulgari. Sono iu questione tra loro i Critici sul punto se di Foziot o di Sisinnio sia l'Enciclica alle Sedi patriarcali d 'oriente \ nè in ciò prenderemo noi parte, riguardando essa le sue ooutroversie eoo Roma^ e perciò da Roma daouata. Fuori di questa, tutte le altre indicate opere di lui sono state, e sono ancora giustamente approvate da dottissimi e piissimi uomini} e tali, dice lo Scotto medesimo» che c inducono ad ammirare le virtù anche in un nemico. Ma noi dobbiamo ritornare alla sua Biblioteca.

Noi abbiamo détto, che se viaggiando, e tratte­nendosi nella sua legazione Fozio lesse i libri dei quali fa menzione, e sopra i medesimi parecchie Oo'se notò, non crediamo per altro che trascrivesse allora gli estratti che ci ha conservati \ ed egli medesimo dichiara, siccome abbiamo veduto, ave questa Biblioteca compilata sulle note da prima fatte* questo essendo il piò ragionevole seuso delle già riferite parole sue. Ma dobbiam d ire , che, o desse compi meato lavoro prima d* ingolfarsi ne-

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K L0I U E D IS l l lO . 15

gli a flari ecclesiastici, o fosse questo uno degli ar» gomeuti, de9 quali si occupò nel suo ritiro quaode la secouda volta ahbaodouò il Patriarcato, fa certa maraviglia che lasciasse io quest9 opera le tracce della precipitazione , con cui oaturalmeote do* vette iotrapreoderla. Nota cou ragione io Scotio le tracce di questa precipitazione cella uegligeoza dello stile, nelle ripetizioni, ne'molti passi di niuo col* legameoto , e in quell’a ver separati gli articoli di certe ope re dagli estratti, che delle medesime ha fatti, e in simili altre cose. Di modo che lo Scotto giudica, che più per soccorso della propria me­moria che per essere altrui giovevole avess* egli meisa iusieme tutta questa massa di cose.

Ma se, per avventura, per coleste considerazioni noti possiamo avere la Biblioteca di Fozio per opera oel suo geoere perfetta, come per l’ingegno, e per la dottrina sua sarebb* egli stato io caso di darci ; non per questo cessa es»a d'essere per noi gravemente importante > e pienissima di preziose cose· In essa noi troviamo sia il giudizio, sia l'indicazione delle materie trattate io molti libri, che non essendo facilmente alla mano, senza que­sto ajuto nou potremmo conoscere; ed abbiamo già uditi eruditissimi valentuomiui dire, da questa Biblioteca aversi quanto trar potrebbesi dalla let­tura delle opere stesse, delle quali essa tratta. Ma più poi é dessa importante in quaoto ci fa co­noscere antiche opere, le quali a giorni uostri sono andate perdute, e cogli Estraiti che oe presenta, alcuna parte ce ne somministra. Conforto senza dubbio uotabilijfsimo,sia alla nostra curiosità,sia alla lustra istruzione. Questi sono i giusti titoli, pe'quali

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16 n o t i z i e s u l l a b i b l i o t e c a n i f o z i o

essa é stata costantemente tenuta in altissima esti­mazione da tutti i dotti, e ad ogoi opportunità con­sultata. £ siccome essa viene si spesso citata , ed é letta da pochi , scarsi essendo gli esempi* ri si della greca edizione fatta dall* Eschelto « sì della greco-latina lavorata dallo Scotto , ooi abbiamo pensato di renderla comune a tutti gli studiosi Italiani, pubblicandola tradotta nella nostra liugua.

Ma neireseguire questa impresa abbiamo voluto provvedere ad un incomodo, che l’opera originale presenta. Siccome Fozio venne scrivendo il suo giu­dizio, o il transunto di tanti libri secondo che questi gli capitavano alle mani, o, conforme egli dice* a misura che la memoria delle cose lette gli suggeriva; la sua Biblioteca, quale essa ét non ha veruo or­dine nè di tempo, uè di materie : ond'è che a chi voglia consultarla sopra alcuno speziate articolo, o desidera seguire la serie degli scrittori di un dato ramo di scienze, o di letteratura, ha bisogno di scartahellàre il grosso volume per ritrovare, e con­giugnere quanto può preferire di prendere io esame, e talora eziandio le disperse parti de’regguagli di una stessa opera. Egli medesimo (siccome appari­sce dalla sua Prefazione) ha conosciuto questo di­fetto, e adduce le ragioni per le quali ha fatto cosi. Ma, senza mancar punto alla riverenza dovuta a tanto uomo noi crediamo che quelle ragioni non sieno si forti da lasciar durare uu tanto incomodo; e perciò nella nostra edizione sarà tolto. In questa aduuque verranno classificate, e sotto lo speziale loro titolo distinte separatamele, le varie opere delle quali si tratta· Così s’avranno unite insieme tutte quelle che appartengono allo stesso ramo

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S I V I U E D E S IU O » % j

di scibile ; e dove TAutore avea separata l'indica* «ione e il g iudizio di un'opera Estratto fatto della m edesim a, nei faremo immediatamente suc­cedere VEstratto alla indicazione e al giudizio* Io ciascheduna classe poi procederemo per Alfabeto , come più ovvia e comoda norma : solo che, per servire alla giusta corrispondenza della numerazione originale seguita fio qui nelle cilaziooi occorse, ad ogni articolo apporremo il numero del Codice , come trovasi oelToriginaie.

Ma nellfatto di comporre questa distribuzione eoa dilli col là ei si è presentala, che noo dobbiamo dissimulare. La classe di scrittori di materie teo­logiche d'ogni ramo ne somministra essa sola un sumero che equivale ad un terzo incirca di quelli che appartengono a tutte le altre classi insieme unite di Storici profani e sacri* di Medici e Filo· sofit di Romanzieri, di Rapsodisti* di Filologi e Lessicografi, e di Oratori. Ed oltre essere cosi numerosi, ampj assai sono gli Estratti che Fozio ha dati delle opere di molti di essi. Ciò spezialmente dimostralo spirito del secolo io cui Fozio scriveva ; e forse dimostra ancora, piò che altra cosa, ch’egli non si occupò di questa Biblioteca solamente prima che fosse chiamato al ministero ecclesiastico· lu­tanto una sì vasta parte di questa Biblioteca po­trebbe non essere la più desiderata dal maggior nu­mero di quelli che tra noi attendono agli studi e alla erudizione delle scienze e delle lettere; noo perché ciò che appartiene alla Teologia, nobilis­sima e prima sopra tutte le scieuze, non abbia per sé stessa un grado dfeccellenza sublime , ma perchè questa facoltà sembra più propria di una

Folio, Pol· l* a

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l 8 NOTIZIE s u l l a b i b l i o t e c a n i f o z i o , e c .

sola classe di studiosi; tutti gli altri applicandosi all* acquisto di cognizioni diverse. Per non arri­schiare adunque un lavoro che a moltissimi po­trebbe essere indifferente, e forse poco ricercato da un competente numero di quelli a cui potrebbe meglio convenire , noi, almeno per ora, abbiamo determinato di non comprendere questa parte nella presente edizione. Potremo però applicarvici, e lo faremo con pari zelo e diligenza, se, com­piuta 1* edizione che intraprendiamo, ci si faccia manifesto che anche la pubblicaziooe di questa ultima parte sia per essere gradita ; o, se man­chiamo noi, potrà altri supplire facilmente.

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P R E F A Z I O NE

Fozio al diletto suo fratello Tjìjsjo Salute nel Signore Iddio.

C^uAimo io da tutto il Senato, e col consenti ~ mento dello stesso Imperadore fui scelto ad an­dare Legato in Siria, tu , fratello amorosissimo, chiedesti che io ti dessi conto di qtiev libri , alla lettura de* quali tu non avessi potuto esser pre­sente· Così desideravi d9avere qualche conforte in quella tanto a noi molesta separazione, ed una qualunque leggiera e generale cognizione di quelle opere che nella conversazione nostra non eraosi ancora lette. Queste io totale sooo dugento set* tantanove; chè tante , se non isbagUo , appunto sono quelle che, te lontano, m9avvenne di leggere» Trovato adunque un librajo, e venendo a soddis­fare al desiderio tuo, pagando di tale maniera una specie di debito, ecco che finalmente pubblico quanto degli argomenti di tali opere m'era rimasto ■ella memoria. Eseguisco ciò, per avventura, assai piò tardi di quello che Perdente tua brama vo­leva: con tutto ciò voglio dirti che pur lo ese­guisco anzi piò presto di quello che alcuno potesse sperare·

Avverto intanto che gli argomenti, de9quali si tratta, succederannosi con quell9ordine, con cui li ho tenuti a memoria; quantunque io conosca che Don era cosa diffìcile, se alcuno avesse pur voluto cosi, il trattare separatamente quanto apparteneva alla storia, e cosi f*re d9ognt altra distinta materia.

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9 0 fR Z F A X IO lT l

Ma io ho creduto superflua questa cura ; e siegno alla rinfusa senza timore questa varietà di cose, considerando che nei più opera talora Γ impeto della curiosità, oè vuoisi affaticar la memoria.

Che se intanto, quando accada che abbi sotto gli occhi questi libri e li studj, ti parrà che io mi eia tenuto troppo breve, o che di alenai ar* gomenti io non abbia scritte con sufficiente ac­curatezza, non voglio che te ne meravigli ; imper­ciocché altro é prendere per maoo un libro par­ticolare , leggerlo, e mettersene in mente ciò che in esso ragionasi, e compendiarlo in iscritto; ché tal lavoro non ammette pentimento ; e akro é quando si tratta di molti e molti libri, e speziai* mente di doversene ricordare dopo un certo inter· vailo di tempo. I l condursi in questo caso come neiraltro , io noo trovo essere cosa tanto facile* Debbo poi d irti, che in tutte quelle cose che ia que’ libri mi parvero comuni , e che per la loro naturale facilità a prima vista non saranno proba* bilmente a te medesimo sfuggite , pensai di do- ver mettere tanta cura e tanto studio quante ne adoperai nelle altre. Feci dunque di proposito , e deliberatamente cosi come feci. Τα poi meglio ve* drai, se alcuna cosa non inntiie m’abbia io aggiunte a questi argomenti oltre quello che dimandavi. £ certamente ti saranno utili queste cose che ora ti effro, in quanto il compendia che te ne do, gio­verà alla tua memoria, facendoti risovvenire di ciò che abbi già letto ; dandoti occasione di presto trovare quanto in quelle opere ti occorre cercare ; e finalmente facendoti più agevolmente acquistare cognizioni, che forse aaoora nou avevi#

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D I F O Z I O

C L A S S E P R I M A

S T O R I CI E BIO G R A F I P R O P A N I

A G A T A R C H I D E

I T O I t i .

A.Lcmvi lo ehiamauo a oche Àgatarco* Egli fu Goidio di patria, e grammatico di professione, e servi da scrivano e da segretario ad Ermdide in Lembro. Era stato alunno di Cinneo·

Agatar chicle scrisse dieci libri di Cose Asiatiche* e quarantanove di quelle d* Europa ,* poi cinque intorno al M ar rosso , e a quanto riguarda quel mare· Cosi apparisce indicato da lui medesimo nell* ultimo di questi libri , dove, tra le altre ca­gioni del suo non avere scritto di più , accenna quella d ’ essere diventato vecchio. V* ha chi af­ferma avere egli composte altre opere: ma io non le ho potuto mai vedere. Si cita però un Com­pendio ip un libro solo delle Cose ch’ egli avea scritte intorno al Mar rosso « cinque libri dei Trogloditi, una Epitome della Lidia, descritta da

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31 classe fatica ,

Antimaco | un* altra Epitome di quanto era statoi accolto io materia delle Maraviglie de* Penti, certi Estratti di Storie, e uo Trattato sulla Con- vivenza cogli Amici.

Per quanto dalla lettura de* suoi libri potei ve· dere, quest9 uomo é grandiloquo , e pieno di sen­tenze; onde l'orazione sua ha certa magnificenza e dignità prò che quelle degli altri. Ma egli non ama cercare le parole più scclle : però ove non usa le più comuni , egli non discende a formarne di nuove, sebbene nuove frasi componga con pa­role usitate. Nel che pone tanto artifizio che nes­suna novità apparisce nel suo stile; né il discorso euo riesce meno chiaro che se adoperato avesse anche frasi usitate. Ια quanto poi alla scelta delle sentenze, dimostra in questa parte non meno pru­denza che ingegno ; e nella parte in cui scambia le parole , fa ciò sì felicemente, che manifestasi scrittore piò valente degli altri ; tanto più che sa spargere per tutta l'opera sua il diletto; e questo si sente senza che ne apparisca il modo. È arte sua usar de*tropi, e non renderne grave il senso; effetto questo non dello scambiar le parole, ina di una certa ingegnosa e soave maniera, con cui sa passare da cosa a cosa, e voltare il discorso ; niuno riuscendo meglio di lui in prendere il nome pel verbo , il verbo pel nome , e far valer te pa­iole per l'orazione, e volgere 1* orazione quasi in ftrma di nome. Ove poi occorre di riferire par· late di alcuno, nelPapparato e nella copia imitando Tucidide, nella grandezza del discorso lo pareggia» e lo supera nella perspicuità. Tale si è questo Scrittore , che ha saputo trar gloria anche dalla

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s t o r i c i z b i o o r ì t i norAvr. a 3

grammatica* Esso, mentre altri improvvidamente non gli hanno concedato che il soprannome di Retore , per quanto pare a me , si nell* insegnare* come nello scrivere, sembra noo essere secondo e veruno » o grammatico o retore qualunque si sia-

A G A T A R C H 1 D E Ca5o

S S T B A T T I D Z L L B S T O R IS DI QUKSt O S C R IT T O * * .

Ho letto due libri di Àgatarchide , il primo e il quinto intorno al Mar rosso , e ad altre cose eccedenti ogni fede*

Dal libro primo del Mar rosso.

CAP. L

Quel Tolommeo che regnò dopo il figliuolo di Lago* fu il primo a stabilire la caccia degli ele­fanti e d ' altre belve , e ad unire , dirò cosi, in ina medesima stalla animali che la natura stessa tanto disgiunse. Cosi dice Agatarchidc♦ Ma è da notare che anche prima de* tempi dì quel Tolom meo, molti, secondo che si legge, usarono elefanti addomesticati; siccome fece Poro$ re degl* Indiani, che guerreggiò contro Alessandro , e siccome fe­cero parecchi altri. Forse quel Tolommeo fu il primo a mettere singolare attenzione in tal cosa,o fu il primo tra i successori di Alessandro , o tra i re d* Egitto che ciò facesse.

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Η C t k S S t PRIMA ,

CAP. IL

jégatarchide dice che il Mar rosso st chiama con tal oome non perché i monti del Seno che si dice Arabico , quando il sole volge all* oc­cidente , colpiti dai reggi di esso β prendauo la somiglianza di carboai accesi ; uè perché quaodo il sole s*alza, le alture di sabbia e le glebe de* campi veggansi rossicci per molti sladj della costa. No , die* egli ; non é per questo che quel mare si dice rosso; imperciocché essendo quella navigazione assai augusta, mentre veggonsi sovra­stanti dall'una parte e dall* altra a tutto il Seno le adjacenti cime de*monti e le alture, Io spleudore che da entrambi i Iati del continente rimbalza sul* 1*acqua, mostrerebbe il mare simile alla terra a tanto che gli occhi di tutti rileverebbero quell’ap­parenza, quand'anche a tutti non fosse nota quel­l'affezione. Perciò l’autore sostiene da ciò non essere quella denominazione originata, quantunque molti primK di lui avessero pensato di tale maniera. Questa è dunque la prima ragione affatto disco­sta dal vero. La seconda è questa , che il sole al tiascer suo non tramanda lucenti i suoi raggi, come fa da noi, ma simili al sangue, onde a chi lo guarda apparisce sanguigno: per lo che é detto poi rosso. La terza spiegazione che si dk è argo- lica: grande, se si Considera l'ardimento del con* cetto, e frivola in quanto non crea persuasione. Gl' istorici che sieguono Clinia, appoggiati alla licenza de* poeti, dicouo che da Argo andato P ento sa Etiopia, allora chiamata Cefenia, per

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sto rici x sfosnirt ιβοπητ· aSliberare la figliuola di Cefeo * e di là passito ai Persi * diede quel nome a' Persi da quello di uno de 'suoi figliuoli ; e da Eriira , figlio ch’ egli pur ebbe, quel mare chiamò Eritreo. Ma questa è fiacca e volger favola dtgli Argivi. La quarta ra­gione, e non cosi lontana dal vero, è questa, che Fautore dice d* avere imparata da certo Persiane chiamato Boxo, imitatore del parlare e del peosare de*Greci, il quale, abbandonato il suo nativa paese» avea vissuto in Atene, Fuvvi, diceva colui » un certo Eriira, di nazione persiano, figliuolo di Mio­tto , il quale , pieno essendo d* intelligenza e di ricchezze, veone in grande riputazione presso i suoi j ed abitava non molto discosto dal mare, di* ri napello a certe isole deserte; il che fu noo ai tempi in cui Boxo viveva » ma quando tenevano Γ imperio i Medi. Eriira nell* inverno passava a Pasargeda, e alFaprirsi della primavera ritornavasi a casa per badare alle sue faccende. Io quel cam­biar luogo proponeva#i poi egli , oltre gli oggetti di utilità , anche quello di piacevoli divagationi» Ora accadde che, assaltati da leoni i suoi armenti, questi ammazzarono parecchie cavalle selvatiche ; e le altre rimaste salve, per lo spavento, correndo Verso il m are, con grande impeto gittaronsi nel* Γ acqua , spinte fors* anche dal vento, che allora spirava di terra. Quello poi che si dà per certo » si è che dopo aver alcun tempo nuotato presso il lido , durando in esse il terrore, e dal vento in­calzate, con difficoltà si trassero alla spiaggia del- V isola opposta· Uno de' pastori , giovinetto ardi­tissimo, essendosi attaccato alla criniera di una di esse, passò insieme a quel luogo. Entra adunque»

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3 6 c l a s s i p r i m i ,

cercando delle cavalle che piò non vedeva , fab­bricò pel primo di quel paese una barca, medio­cre di grandezza, ma fortissima; e con essa, preso il vesto propizio, scese in mare, e balzato alPisol* trovò le cavalle e il pastore. Colpito quindi dalle bellezza di quell'isola , vi fondò una città nel sito ove preseotavasi un porto ; e quanti erano sulla opposta parte del continente uomini poveri, tras­portò ivi ad abitare; e cosi fece anche per le al* tre isole disabitate. Con questa impresa acquistò presso il volgo tanta gloria, che del nome di lui quel mare, di estensione infinita, sioo alla età no­stra fu , ed è chiamato Eritreo.

E qui debhesi avvertire alla distinzione de* nomi* Imperciocché altro è se si dice Mare di Britra * altro se si dice Mare Eritro , che i Latini tradu­cono Rosso. Questo significa la rossezza dell'ac­qua, e quello significa I' uomo che s'impossessò del mare. Ma Petimologia del colore è falsa, poi­ché il mare non è di color rosso : bensì è vera » quando sia dedotta dal Principe che pel primo vi dominò, siccome il racconto del Persiano avvisa*

CAP. III.

Del rimanente Agatarchide nega che i Persi, o Persiani, traggano il loro nome dai fìgli, o dai nipoti di Perseo, come parecchi altri sostengono^ e ne dà per ragione che noo chiamansi Pèrsi, coll'accento sulla peoultima sillaba, ma Persia coiraccento cir­conflesso sull' ultima.

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STORICI X BIOGRAFI FBOFAW1» *7

CAP. IV.

Vegli animali ra r i , ed altro*

Mentre l’autore dimostra favoloso ciò che si rac­conta di Perseo, ed altri fatti simili, soggiunge che se Perseo fatta avesse quella sua impresa co­perto di una maschera, ed armato di una spada falcata , come lo rappresentano gl’istrioni sul tea­tro , non vi sarebbe ragione di non ammettere tante ali re cose assurde che il volgo crede. £ qui nota il Centauro, Gerione, il Ciclopo, Crisc, Circe, Calipso, il Minotauro$ Scilla , la Chimera , il Pe· gaso* i Lestrigoni, Cerbero , Glauco marino » Atlante, Proteo, Nereo, le Nere idi t i figli di Aloeo, alti nove orgìe e grossi nove cubiti.

Dice poi, secondo Esiodo, che il genere umano prima fu d’oro, poi d’argeato , poi di rame : che luronvì cavalli, i quali di future cose parlarono ad Achille * che vi fu la Sfinge, che proponeva eniromi si Tebani; e le Sirene cantanti per minare chi le ascoltava, e Ntobe, e Poh dette, trasmutati per la paura in sassi- Cosi dìcesi de’compagni ά 'Ulisse, che da uomini diventarono porci, e da porci tornarono uomini ; e di Tantalo, che per la integrità sua fu ammesso all’onore di sedere alla mensa delle Dee, e pe'suoi pensieri libidinosi a mezzo Paria messo in tormento* Di tale specie pur é quanto dìcesi di alcuni che scesero appostatainente a Plutone, chi per consultare intorno ai viventi i vati morti, chi per rapirne Proserpina , e farsela sposa , pietà avendo di le i , creduta solitaria : come lo è, che

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C tA S S B F f t l l U ,

pecora portasse lana d'oro; che io Africa nascano meli producenti poma d'oro ; che un corpo aoi- mato abbia potuto sussistere per tutta la vita senza mai dormire ; che Borea ed Austro, e altri veoti sieoo chiusi dentro un otre, e di là si fac­ciano uscir fuori. Aggiuagi Paslfae 9 che si con· giunge, eoa un toro, e Tirone con un Fiume» quando le cose di natura diversa niun consorzio di tal fatta haono fra loro· Aggiungi e Filomela mutata iti usignuolo, e Tereo in upupa, ed Ecuba in cane domestico; ed Io, figliuola di no Fiume» la quale le forme avendo di vacca cornuta, punta da un tafano, si butta nel mar Pontico, e lo tra · passa ; d'onde poi trae nome il Bosforo ; e Ctneo lapita, prima vergine, e alla età pubere trascutata di donna in nomo ; ed in ultimo, esseodo basto­nato da*Centauri, vivo e dritto sprofondato in terrpt e Leda, partoriente un uovo , d'onde poi naeque quella beltà, che fu cagione di tante battaglie , cioè Elena 4 ed Elle e Frissof volanti co* piedi di un ariete, che fatto loro cammino dall'un lido al- 1* altro del mare, a questo diedero il nome di Ellesponto. Simile a queste cose è ciò che nar­rasi di Ercole , che attraversa mari vastissimi e tempestosi entro uo’olla, e solo viaggia per 1*A· Èrica, ovo nè di mangiare, nè di bere v*ha cosa, né v*ba pure strada; e colà piglia sopra di sé ìk mondo che Atlante sosteneva» non ostante la gran­dezza e gravità di tanto peso; e ciò non per al­cun comando datogli, ma solamente per obbligar­selo. Simile pure è ciò che si dice di Orfeo » al suono della cui cetra incantati correvano i monti e gli scogli, per l'amore che aveaao della music* »

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S T O U C t 1 Β Ι Ο Ο λ Α Π n o r i m * 9 9

come v’ è simile la voce mandata fuori, e d.gti nomini iotesa, delle caroi de*buoi del Sole men­tre venivano arrostite ; e il fatto di que'morti che per ozio stettero a ciarlar con Ulisse, informi ombre, quali eraoo* pur facendosi * distinguere per l i fisooomia; ed altri d'essi bevendo, mentre non aveano nè gola, nè ventre\ ed altri, non più al certo soggetti ad essere feriti, spaveotati alla vista della spada \ altri > i cui corpi furono già abbru­ciat i, rotolando qua e là un sasso; altri sedenti a render ragione ove noo è più luogo ad ingiurie. E che dire del raccontarsi che si fa de* simulacri di chi non è piò, traghettati sopra uoa barca, go» vernata da Caronte, quasi che sommersi avessero bisogno di nuovi funerali ? E che dire di Àlceste% di Protesilao, ,di Glauco, che morti risorgano, quella per opera di Ercole, l’altro per l’amore delle sposa, 1*ultimo per virtù di uo vate morto in» sieme con e sso lui ? E quell* AmfiaraOf che vi­vente vieoe ioghiottito dalla terra coi cavalli e col carro? e quegli uomini armati* che nascono dai denti di un drago semioati da Cadmo, e che, nati appena, s'ammazzano combattendo tra loro? e quel /a /o , custode di M inosse, avente egli solo tra gli animati tutti la Vita oei talloni, il quale ogni giorno tre volte faceva la ronda per tutto il cir­cuito di Creta, che è si lunga e largat e quel Minosse che noo poteva morire, se non si affon­dasse entro acqua bollente? E v* è altro ancora. 7 * è, che per gl* incantesmi di MedeOy uo vecchio caprooe ritorna giovane, oode le figlinole di Pelia cuecano il padre a fìne che ringiovanisse: v*é che le tre vecchie Forcidi vivessero, usando di un oc-

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So c l a s s e pai m a ,

chio solo, e gli ottici loro scambiandosi vicende­volmente cou iodissolubile fede; vf è che gli abi~ tatori dell’Arcadia e dell1 Attica, sieoo stati gene* rati dalla Terra, e nati fuori desmodi naturali ; v’é che Jfigenia% sacrificata in Aulide, siasi veduta viva nella Tauride ; v'è che altra, dal padre Arisio som* mersa nel mare del Peloponneso, sia approdata sana e salva col suo pargoletto ai lidi de* Seriffi -9 v* è che chi da Menelao era stato ucciso iu duello, immantinente si trovi nel talamo , pronto ad ab­bracciar la sua donna, dimentico d’ogni avverso caso ; v* è che un cavallo di leguo sia stato con­struito non per espugnare la città, ma per dar ri* ce Ito ai traditori Ulisse, Neottolemo f e compagni. £ vedi come si faccia manifesta con ciò la stol­tezza, sì dall’artefice fabbricatore di quel cavallo , si de* personaggi che vi si ascosero dentro, sì in­fine de’cittadini che quel cavallo introdussero nella loro città ? A tante baje unisci che Atlante soste* nesse con le sue spalle il cielo vastissimo, in cui soggiornano gli Dei , e che nondimeno generasse le Atlantidi i cose impossibili, che l’Oceano bagni e circondi tutto Torbe, e co' suoi flutti lo custo­disca e lo coutenga, alle cui estremità Esiodo canta abitare le Gorgoni; e che alcuni eroi nelle isole de’Banti conservasi immobilmeute sani senza accrescimento veruno ; mentre altronde niuoo pre» stò prova di ciò.

Queste cose adunque risolvendosi in dicerie di nessun fondamento, danno non i se arsa materia di riso perfino alle femmine.

Possiamo poi ravvisare sotto diverso aspetto le ciarle dette intorno agli Dei 1 Che uuo chiuso in

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storici z biografi PROFANI. 3runa coscia* ivi sia giunto a perfetta maturità ; che altra per utero abbia avuta la testa di Giove; che senza padre (Vulcano) sia stato fatto ? che il Sole per la nefanda empietà di Mreo verso Tietle fa· cesse di ponente levante, e levante ponente ? Che Apollo e Nettano^ fattisi operai per uo aono presso Troja a prezzo con venato, oltre essere stati frau­dati della debita mercede Γ uno per le fabbriche, l'altro per la custodia degli armenti, fossero anche atrocemente minacciati da Laomedonte? e che Bacco* da Licurgo spaventato, e caccialo al mare, invocasse i* ajuto di T etif A ciò si unisca la lite nata fra le Dee sulla bellezza, e ciascheduna sol· lecita di corrompere con promesse il giudice; in­tanto che nessuna consegui il fine, a cui il giudizio mirava. Anzi dicesi cheMinerva^ grande com’ era, si nascose nel corpicciuolo di una rondinella \ che la maestà di Giove dalla figura di cigno fu come ridotta al vero essere suo, e la bellezza di Cerereio aspetto turpissimo. £ Giove* che tieosi per massimo, dal più a Ini stretto parente, il germano della m oglie, ebbe a soffrire insidie, e fu salvo da quelli che piò gli erano invisi, cioè i Titani;I quali, usciti dalle catene e dalle tenebre, e ove erano imprigionati, dopo aver messo in fuga Net* Utno y e beo servito Giove* spontaneamente ritor· narono di ouovo alPAcheroute, e ai regni di Più* ione. £ di Venere ferita da mano mortale; di Marie incatenato da Ole e da Efialte, di Dito nel proprio suo regno saettato da Eroole* e caduto in dolori atrocissimi * e Vulcano, dalla cima del cielo gittato in Lenno , non seuza offesa del corpo, e dolore gravissimo; e Giunone da Giove sospesa

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S s CLASSE M I M A ,

in aria con due pesantissime incedi attaccate ni piedi t e in fine vedi gli Dei commettere adultevj, essere colpiti dal fulmine, usar furti, vincersi in virtù dagli uomioi, procacemeute ingiuriarsi, fare ingiustizie, deplorare la loro sorte, e da niuna di quelle afflizioni andavano esenti, dalle quali noi presi, invochiamo l'ajuto degli Dei. Per lo* che coloro che propongono agli uomini da credere si mo­struose favole, essendo si lontani dalla verità, come giudicarli maestri degni di fede per istruire g li altri? Con taoti e sì grandi esempi Agalarchtde mette il fatto di Perseo tra le favole, e conelude dal figlio di Perseo noo venire la denominazione al Mar-rosso.

CAP. V.

Se non che egli medesimo si avvede, come pre­sterebbe soggetto d'essere redarguito, da che le im­maginazioni de* favoleggiatori tratta come uà argo­mento serio di discussione. £ la ragione si è che ove vogliansi confutare, toltane la fede, diverranno cose vilissime. Per la quale considerazione, sog­giunse egli , non condanno Omero , che narra la lite tra Giove e Nettuno, quantunque sia evidentis­sima cosa che un uom mortale non può in tal fatto meritar fede. Né Esiodo pure rimprovererò dell'ar­dimento avuto in esporre la generazione degli Dei t né ascrivo a delitto ad Eschtlof perché in molte cose mentisce, e molte ne scrive che non gli ù possono concedere ; e cosi dico di Euripide per* chè attribuisce ad Arohelao le imprese di Temano^ e perchè introduce in teatro Tiresia qual u o m o

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s t o b t c i a iioGSirt v io n n · 3 3

vìssuto più di cinque e l i ; e cosi non incolpo per sulla gli altri, i quali ci rappresentano azioni ecce­denti le forze umane. £ la ragione mia si è che ogni poeta si prefìgge per iscopo , anziché la ve­rità, il diletto.

CAP. VI.

Agatarchide scrive che gli elefanti sono nativt dell* Indie , dell* Etiopia confìoante con Tebe * a della Libia.

c a p . va.

Quattro dice essere i punti di confine dell’fcgitto* da settentrione il mare} i deserti da levante « d i ponente, e 1* Etiopia da mezzodì.

. · * . * · » · . . ( t J

. . . . Gli Etiopi servonsi in guerra di lun­ghe lance, e cortissimi dardi. Alla cima della canna in vece di ferro pongono una pietra bislunga, prettamente legata eoa cordicelle, ed acutissima , la quale in oltre ungooo con frateria velenosa.

L*A. dice che Tolommeo per la guerra coatto gli Etiopi levò in Grecia cinquecento uomini e cavallo. Di questi, cento, che doveano presentarsi

(i) Qui ♦ grsn voto nel testo ; e ciò che sitgat è «n tratto à*eloquenza morale-polìtica, il qnale non l'intende a chi sia diretto, nè da chi ; e che ‘d’altronde ha tolti i segni di un rottame in isfacelto anch'etsa.

Fozio, Voi* ip 3

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nella prima fìla , e farsi condottieri della schiera, armò io singoiar modo; imperciocché ed essi , ei loro cavalli vestì di un feltro che io quel paese chiamano case (i)« il qual feltro copriva tutto il corpo, ad eccezioue degli occhi.

Dal libro F· di Agatarchide. Del Mar •rosso·

Molti e politici e poeti dubitarono sul modo con coi abbiansi ad aonuoziare convenientemente le disgrazie di taluno a chi è fuori di pericolo. Nè facilmente può additarsi, se alcuno non pre­mette con buoo garbo la cagione del fatto che vuoisi partecipare. Filippo ed Alessandro dopo avere saccheggiato Olinto e Tebe , due illustri citta, le demolirono. Il qual disastro succeduto iua- spettato affatto, mise iu gran terrore aoche i Greci, paventando di uo prossimo imperio» e diede ma­teria a parecchi oratori di far presentire ai loro concittadini le proprie calamità. Adunque alcuni d'essi copiosameote parlarono in termini allego­rici, ed usando varj dialetti i altri iufìammaronsi gagliardameote più del loro teoor consueto; né si ritennero dal manifestare 1* importar della cosa qual’ era· Io riferirò qui gli esempi degli uni e degli altri, onde, veggendo col coofrooto i metodi tenuti, nel tuo giudizio possa tu conoscere chi meglio e chi peggio parlasse.

JEgesia, rammentando spesso la sovversione di città, si mostra svelto, perché nou volendo in­dividuare iu particolare i tempi, e per neces-

(ip Forse di qui è venata poi la parola casetta.

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s t o r ic i s b io g r a f i p r o f a n i. 35

liti cercando di spargere lepidezze io argomenti disgustosi, conseguiste , è vero', in qualche ma* eiera il suo scopo; ma ooo co» quella dignità che conviene alla cosa ; come dalle sue Orazioni si deduce. Vedi quel t ratto: Abbandonata una v ttà f noi acquistammo un nome. Su di che puoi osservare che Foratore non muove alcun affetto, e soltanto insinua un tacito signifìcaio , e sforza gli uditori a cercare a che alluda. Egli poi ove scorge ambiguità nel senso, fa meno grave il par­lar suo. £ perchè ? perchè quando si vede chiaro ciò che vien detto, chiaro è ancora oiò che vuoisi. Ha ove la chiarezza manca, le parole noo possono avere né forza, nè splendore. Quiodi tiene tenore simile parlando dei Tebaoi ; Un luogo che alzava sommo grido , la calamità rendè muto* £ degli Olintj : Venni dalla città di Miri andrò ; e ritor­natovi non vidi più. Domandi cosa? Lo stesso detta esigendo enfasi, fece errare il giudìzio nostro. Per­ciocché conviene che chi ha compassiooe s’astenga dal troppo individuare: deve accennare la cosa atta a destare affetto, se ha da adoroare i! suo discorso,* ma deve ricordarsi come gli tocca servire alla causa della calmità. Andiamo inuanzi*

O Alessandro ! fa pur conto che al vedere i rottami della sua città Epaminonda in persona non s'aggiunga a pregare. Questa non può dirsi accusa giovanile, traslazione dura, e tristo aspetto d'azione* Altro esempio: L'insania di un re, con la distruzione di quella città, diede uno spettacolo più miserando dì quello che dia una tragedia. £ questo detto sembra proprio a tutt’altro officio, che a quello di un retore poiché non tocca molto ciò a ebe

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mirava. Ed io credo cosa diffìcile applicare il ridi* colo a* falli di tale importanza* Altro? A che ri- cordare gli Olirti} e i Teh ani, e dire quanto in ognuna delle loro città morienti soffrirono ? Altro tratto simile di no» bella adulazione, e semplice affatto : Quando distruggesti Tebef fu, Alessandro*

facesti come fatto avrebbe Giove levando la lunm dal Cieloi imperciocché lasciò il sole in Atene. Queste due città sono gli occhi della Grecia : gareg* giavano insieme. Ora uno di cotesti occhi le è stato cavato : ed è Tebe· Ed a me sembra che qui il Solista scherzi con tali parole} e non deplori l'in­fortunio della città i e che ad un tratto rompa il discorso, e eoo la chiarezza del discorso metta sol* t'occhio la calamità. Aitro simile: Le vicine città deploravano quella citerà d’ esse maggiore , ver­gendo che non sussisteva più. Adunque se alcuno a 'T ebaui, o agli Oliotj recitato avesse all* atto della loro distruzione cotali periodi insieme con* nessi, parrebbemi che avesse voluto mettere ia derisione lo scrittore, e lui ia certo modo far sentire piò miserabile di essi. — Tocchiamo altro modo, tolto dallo stesso Sofista : Riesce grave cike sia sterile quel paese che generò uomini maturU Non così certamente fece Demostene, di cui egli peggiorò la seolenza. Demostene disse riuscir grave, die fosse messa a pascoli {'Attica, la qual» era siala la prima a produrre frumento. Ed E ge· eia, dicendo riuscir grave che fosse sterile quel paese che geoerò uomioi maturi , non la ch<* nua contrapposizione di parole, e non di cose. B per ciò rimane freddissimo, conte fu di Ermesia- nasse, il quale volendo lodare Atene disse t N a t*

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STOBI et B BlOGBAFI ?ΒΟΤΑ*Υ. 5fM capo di Giove, giustamente ha tale capo di felicità. E chi può fare the la donazione di Ciro non corrisponda al nome di lui ? Tutte queste, e simili cose, dice Agatarchide, sono lontane dal­l'uso; e adoperate per destare commiseraziooe, restano molto distanti dalla debita convenienza. Ma prendendo la cosa in generale, il suo giudizio non riesce retto; però a questi altri moltissimi modi della stessa specie riferisce. Trova cattivi an­che i Seguenti; / Tehani nella guerra macedonica abbatterono più dì mille. Dimostrazione bella per certo, la quale lascia vedere cadati taoti oltre il nu­mero iodica lo. Ed ancora s Distrutta la città, gli uo­mini contemplavano le disgrazie de*figliuoli \ e le donne furono trasportate in Macedonia , in certo modo seppellendo In città. hd altro pur simile $ Una tur ma di Macedoni, irrompendo armata entro le mura, devastò la città ; ivi il sepolcro (Testa \ qui la morte· Del resto è d ' uopo che chi parla di funerali usi epigrammi $ e la cosa sta^ se noo che assaissime cose dicono quello che noi nar­rammo di codesta festività, per non dire insania, onde non passare per troppo acerbo.

Agatarchide introduce altri oratori parlanti con perspicuità, e cou ornato oratorio. Di Stratocle cita questo passo: Si ara già e si seminala città de* T eban i, i quali insieme con noi presero le armi contro Filippo. Con quell' insieme con noi dice Agatarchide^ nell'esporre ad evidensa il caso della città, rammemora l'amicizia di quegl'infelici ì e il duro contrapposto dell’amicizia suol muovere maggiore commiserazione. Dopo Stratocle cita Esckine, che dice; Una città confinante ò stata

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38 CLiss* m ma ,cancellata iu metto alta Grecia : con quella me· tafora significando la celerità dell* eccidio : dedu­cendo il pericolo da ciò che iodica avvenuto al vicino* E Demostene, dice pare Agatarchide, tras­portando il discorso contro Alessandro, cosi si esprime : Rovesciò da' Jondarnenti quella città a modo, che non lasciò nemmeno la cenere delle Case ; e i figliuoli, e le donne de* Capitani detta Grecia distribuì per le tende de Barbari. Con che acremente, e con chiarezza e brevità usaodo fino all'eccesso d’ogni specie di dire, non omise quella energia, che fa manifesta la cosa a cui intendeva alludere. Il medesimo così degli Olinfj ; Che Olinto, Metone* Apollonia, e trentadue città della Tracia , tutto sì crudelmente distrusse, come se mai non fossero state piantate, è facil cosa a chi arriva il dirlo· Mostrando la moltitudine delle città, comprende anche le disgrazie degli abitanti | e vie piò move gli affetti di chi lo ascolta , me* diante la commiserazione che naturalmente nasce all9 impensato annunzio·

Queste e tali altre cose d’altri scrittori allegando, egli le approva; e rigetta Egesia9 e i modi ado­perati da lui·

CAP. IX.

Dalla città de* Memfìti verso la Tebaide steadonsi cinque prefetture che i paesani chiamano Nomi; e sono popolatissime* La prima è degli Eraeleo* politi, la seconda de' Licopoliti, la terza degli Os- sitiachiti, la quarta degli Ennopoliti, la quinta da alcuni si chiama Filaca, che vuol dire custodia $

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S T O f t lC t « B IOGRAFI P * O F l t t 1» 3 ^

ds altri Schedia, cioè barca, fu qaeste si paga ga­bella delle cose che vengono introdotte. Quelli che di là s*inoltrano, trovaoo sul principio della Te- baide la città di Lieo, che vuol dire de* Lupi * poi Γ altra di Venere; ed oltre quelle Panone. Indi Teni, e dopo Bopo : sotto la quale è ia città di Giove, denominata la piccola. Dalla prefettura detta dei Tentiriti è una città chiamata di Apollo; e sopra essa Cofto, e di là Elefantina : poi s* in­contra la terra degli Etiopi, e Corsia prima. Cosi sono annoverati i luoghi principali da Memfi sina in Etiopia»

CAP. X.

Presso il Mar-rosso, il Nilo» quantunque faccia assai giravolte , pur molto verso là propende , e molto avvicinatosi a quella parte eoo la destra sua riva, volge poi il suo corso entro il continente^ per modo che tra l'acqua salsa, e la potabile il sao letto presenta uo ristagno di copiosissimo limo. Or presso a l mare sono i luoghi donde vengono10 abboodatpza i metalli che chiamano genuini , aeri assai di colore, ma prodotti entro un marmo,11 cui candore non ha paragone.

CAP. XI.

In quelle cave d’oro la tirannide caccia schiavi a travaglio acerbissimo, uomini miserabili, e delia condizione più abietta £ altri cibo le mogli e coi fi- gli $ altri senza tali compagni ; il cui deplorabile ststo Agatarchide si tragicamente descrive , che volendosi dare uaa idea dell* ultima calam ità che

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l o e t IS S E P l f U A ,

piombar possa sopra iofelici, non vf è cosa da aggiugoere. Espone egli poi come coli si lavori l’oro. Le parti di qae* meati che sono cavernose , e d'aspra natura , abbruciaoo eoo legne, e poiché eoi fuoco si sono reodute facili a smuoversi, con piccooi di ferro le mettooo io pezzi ; e un capo de’lavori veduto che abbia il fìloae metallico, divide l’opera tra quegli sciagurati. Allora chi per età, e per bttooa costruzione é robusto, eoo martelli di ferro acuminati si mette a rompere la pietra { non arte , ma forza sola dirige i colpi t e nella rupe s’apro d o stradelle, ooo a linea retta , ma piegate or su, or giù, ed ora e destra, od ora a ajoistra, e io obliquo, e per traverso, uoo d i· versameote da queU*aodameoto che haoao le ra ­dici degli alberi ; e si fa questo per seguire la veua dell’oro che la pietra presenta. Per vedere p oi hanno essi uua pìccola lampada attaccata alla fronte, e il caodore del marmo, faceodo risaltare la nerezza del metallo, li ajuta oeU*opera« Il ma r ­tellare di quella maniera , e il distaccare le schegge, noo é retto a misura delle forze dì eia» scheduoo iodividuo, ma dalle grida del sopra­stante, che alla voce aggìugoe le sferzate. I ragazzi poi sooo quelli che eotraiio io quelle stradelle, raccolgono i minuzzoli della pietra rotta, e li por­tano all* ingresso della cava, donde sooo tolti dai vecchi, e dalla turba degl*invalidi, e trasportati agl* ispettori , chiamati gli Epoptei. Ivi, giovani che sieoo sui treot*aoni , e gagliardi di braccia, mettooo que’miouzzoli eotro mortai, e li pestano, sicché il pezzetto più grande oon giunge ad es* sere della grossezza dell* ervoi e questo ancora

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STOBtCI S STOGBAFI PEOFAVt .

si schiaccia sul momento Opera è poi dette donne, condotte in quegli ergastoli coi mariti o parenti» il mettere sotto mola questa materia nei mortai pestata; e di mole a quest'etfetto v’ha un luog'or* dine; e sooo esse che le faano girare, e si fìoa, da una in altra facendola passare, la rendono che in ultimo si r iduce a farina. In che miseria sieno quelle doune ridotte, è vano il dire; chè appena hanno qualche straccio con cui coprirsi le reni» Per lo che e ad esse e a lutti qoelli che ivi sono tenuti al lavoro, più della vita è desiderabile la «evie. La polvere dalle donne pieparata vien presa da alcuni chiamali i Selaogei, che seno quegli artefici dai quali dipende lutto Γ utile che può il Re trarre dalle miniere. Ed ecco l'operazione che fanno costoro. Sleodono quella polvere sopra una larga e beo liscia tavola, alcun poco iuclioata t poi so quella polve getlao acqua, e eoo le <*aui la nono agitando , da prima leggermente, e di poi aitai forte; cosicché, secoodo che io peoso, le parti terrose si sciolgono, e vanno giù della tavola , e ciò che è metallo, come più pesante, rimane im- nobile sulla medesima. Iodi dopo che il Selange· ha eoo acqua assai volte fatta quella lavatore» eoa «olii e dense spugne lievea&enle preme queUa pasta» che quanto è di terriccio ancora e di molle» tira a s é , e lo getta vie; quaato rimane di pe­sante, e splendente , noo essendosi attaccato alle spugne, lascia sulla tavola; e quindi, mondalo che l’abbia, lo consegna ai fonditori, i quali, misuralo e pesalo che Pabbjano, lo pòngooo io ua vaso d'ar­gilla, mescendovi io certa dose il bolo di piombo^ del sale, un poco di stsguo, e della crusca d'orao $

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ifi. CLASSE NIMi »e chiuso con buon coperchio, e da ogni parte tarato diligentemente, lo espongono al fuoco della fornace per cinque giorni e per cinque notti con­tinue; enei giorno sesto, raffreddata quella materia in altro vaso, la pongono, non trovando» più delle varie cose ineschiate che la massa dell* oro fusa. Ed ecco a che si consuma iu quelle miniere la vita di tante persone : chiaro veggendosi come la flatora di lunga mano travaglia nel generar l*oro^ come invano lo ha essa con tanta cura nascosto \ e quante fatiche e diligenze occorrono per averlo^ e l uso del medesimo, mentre reca piacere agli usi, agli altri costa crudele tristezza.il lavoro dell’oro é antichissimo. Fu la natura dì questo metallo eco» perta dai re ; e si ristette da tali lavori quando gli Etiopi ievasero l’Egitto, e per molti aoni tenuero i presidj delle città del paese, dicendosi eh*essi vi fondarono anche la città di Memnone* come eguaU mente vi desistette al tempo che i Medj e i P e r · siani vi dominarono. Ed anche al tempo nostro trovausi iu quelle miniere martelli acuminati, non di ferro, che io quegli antichissimi tempi poco o nulla si usava» ma di rame ; come vi si trova mol* t itudine incredibile di ossa umane: onde è a d ire che non poche persone io quelle cave cadeaoo Oppressi dai cadenti sassi. Sì grandi sono quelle cave che giungono sino al mare·

CAP. XII.

Alla parte australe dell* Egitto trovansi quattro grandi nazioni. La prima, abitante dietro i fiumi, coltiva sisamo e miglio. La seconda vive nelle

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Storici s BTOcam υιουαντ. 4 3

paludi, e si alimenta di calamo, e di tenere piante* La terza é vagabonda, e fa suo cibo le caro! e il latte. La quarta dimora presso il mare, e su ssiste di pescagione» Questa razza d* uomini non ha n é citta, nè territorio , nè alcun principio d'arti. Se* coodo che dicesi, questa è la maggiore di tutte» per­chè dagli Antei. che stanoo alla estremità del seoe di quel vasto mare, steodesi fino alTIodia» alla Ge­drosia, alla Caramania, e alla Persia, a alle isole che a cotesti paesi appartengono. Gli uomioi di questa razza chiamansi Ittiofaghi, cioè viventi di pesce 4

essi piantano domicilio da per tutto : va0 0 0 nudi tatti, e uomini e dotine^ ed hanno comune la fìgliuo* laoza. Conoscono , è vero , per indole naturale, tanto il piacere* quanto la tristezza ; ma non beano la minima idea di ciò che sia turpe , ed onèsto» Tutti i luoghi prossimi al msre sono spogli di qaanto può sostenere I* umane vite % e lo stesso è delle terre coofìoenti coi lidi ; né prestano mette a pescagione, o a presa d’altro genere. Ma questi popoli, piantatisi ove il lido presenta crepature, e cavità profonde , e convalli disuguali , ed estuar) angusti, e giravolte e andirivieni obbliqui, levano di dove possono de'sassi, e con essi chiudono , grandi o piccole, quelle lagune & e quando il flusso marino sbalza sul lido, il che accade due volte al gioroo, circa Torà nona e la terze, coprendo tutteil lido, anche i pesci si allargan nell’acqua e fer­mami io que* luoghi in quantità , ttovaudovi pa­stura. Al refluire poi nell'acqua, rimanendo asciuttoil lido, e chiusi gli sbocchi, i pesci rimasti entro k crepature, e le cavità, ov’erano capitati, pre- M utano agl'ittiofaghi abbondante materia di nutrì»

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44 CLASSE FUMA ,mento. Molti pesci facilmente si prendono. Quando ai tratta di cani, di grosse foche, di scorpioni, d i murene e d ’altri simili» succede una specie di batta · glia,la quale non è seuza pericolo per parte di quegli uomini. Quanti pesci poi prendono, essi li fanno morire esponendoli sopra pietre riscaldate dai c o · centi raggi del meriggio. Da quel calore medesimo in breve tempo concotta la carne di que* pesci , facilmente si distacca dalle spine : questi essi rac­colgono in mucchj sì grandi, che veggonsi anche da lontano come se fossero tanti monticeli! ; quella su qualche larga pietra , e premendola la riducono a pasta* mesceudovi anche del seme di paliuro, ii quale serve anche a rendere più tenace quella pasta, e serve oltre ciò per uoa specie di con· dimenio. Poi quando 1* hanno ben bene pesta e rimeoata co* piedi, ne formano tante focacce» e P espongono al sole, che divenute secche servono loro di cibo, di esse lietameute convitandosi tu tti, non a peso, o a misura, ma ad arbitrio e piacer· di ciascheduno.

CAP. XIII.

Contro le improvvise procelle, che a questi po­poli impediscono la riferita pescagione , ecco co · m* essi provvedono. Essi raccolgono per tutto il littorale di quel mare le conchiglie, che ivi ab · bondano , e che sono di tale grandezza che a chi non ne vide mai sembra incredibile. Della polpa di esse adunque essi si cibano in mancanza di pesci, cosi portando il cattivo tempo. Usano an­cora, quando pure hanno copia di pesce, di preo-

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s t o r i c i a b i o g r a f i n o riin . ^ 5dere quelle conchiglie, e di oudrirle con alga, e eoo le teste de'pesci piccoli ; cosi serbandole entro fosse pei bisogni occorrenti. Ove poi manchi as­solat a meo te questo ripiego, da quelle grandi masse di spioe che si sono acceaoate scelgono le più recenti, e piene ancora di sugo , e, o le amroec* eaoo sopra i sassi, o co* denti stessi le tritaoo , noe diversamente facendo che certi animali net loro covili. Ma é fora" anco piò mirabile il modo eoo cui prò veggono al loro bere. Per quattro giorni non faooo che pescare, mangiare, cantare e divertisi, senza distrazione veruna , avendo si facileil modo di vivere, siccome si é veduto· All’avvi­cinarsi del giorno quinto, essi traggonsi ad uoa con­trada adjaceote a* monti spinti dal bisogno di herei cola sono ruscelli ove i pastori sogliono abbeve­rare i lor bestiami. Muovono a quella parte di sera; e giunti all’acqua si mettono io giro intorno al laghetto che trovano, ed ivi con le ginocchia, e eoo le mani a terra bevono alla maniera de* buoi » non però ad un solo fiato, ma a varie riprese* Così riempiutisi il ventre d’acqua, ritornano verso •il mare, ina eoo difficoltà ; e il giorno dopo tanta bibita noo toccaoo cibo di nessuna fatta ; e sola­mente ansanti, e gonfi, e eoo tutti i segni di uomo avvinazzato, mettoosi a dormire. Nel di vegnente poi ripigliano il loro metodo ordinario. Tra que­ste alternative meuauo la vita senza alcuno tristo pensiero e senza imbarazzo di faccende. Poche malattie li affliggono, tanto semplice essendo il loro modo di vivere ; e vivono più lungo tempe di quello che facciano tutti altri uomini non ob­bligati a faticare·

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classe p*i m a ,

CAP. XIV.

Ma vi sono altri che avendo costaotemente ab - bondauza di pesce, non hanno alcun bisogno di bere ; e questi s o d o quelli che stanno nella Spiaggia esterna del mare. Da tale hisoguo li so l* leva la qualità succoleota del pesce; cosicché noia hanno nemmeno Γ idea del bere ; e così vivouo eoo animo tranquillo, godendo di quaoto la for- luna loro assegnò da priocipio,nè cercando altro#

CAP. XV.

Cotesti popoli nessuno de* gravi mali che ab* biamo noi conoscono, e noo ne hanno alcun seuso* Essi noo si scuotono punto, uè cercano di sviare un ferro che alcuno alzi loro contro per ferirli ; non vedesi che s* irritino per qualunque contu ­melia, od ingiuria che loro si fàccia; nè dolgousi, se dallo stato di sauità per alcuu avverso caso alcun male venga ad opprimerli. Bensì, ove stra~ niero alcuno li offenda, lo guardano eoo occhi lisi, e con la testa faouo molti movimenti, ma per niuna maniera si risentono, come pur fa ogni uomo quando da un altro vien maltrattato. Onde, dice Agatarchide, a me pare che non abbiano alcun certo segno di espressione, ma piuttosto che coll* uso, coi cenni, con suoni» e con la imita· liooe facciaoo quaoto occorre sella vita.

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8T0 1ICI X BfOGBAV! ΡΚΟΓίΗΤ. 47

CAP. XVL

Popoli confinanti cogl' Ittiofaghi che non cono­scono la sete, hanno una specie di trattato iovio­labile con le foche, pel quale nè essi le foche of- fendono, oè da queste sono offesi. Anzi l*uua rizza e l’ altra stassi sicura della preda che fa; e si concordi vivono insieme che appena può dirsi che uomini eoa uomini si conducano con si scam­bievole amorevolezza.

CAP. XVIL

Una parte degl'ittiofaghi vive io caverne, non rivolte al meriggio a cagione del troppo caldo , ma al punto opposto. Una parte si fa capaone coale coste di grossi pesci o eoa alghe. Altri usaoo unire insieme le vette degli olivi per farsi uu abitacolo. Quegli olivi fanoo un frutto simile alla castagoa. La quarta razza abita di questa maoiera. Avvi un ammasso immenso di arena , antico di secoli, e che pare una montagna. L'acqua del mare coil’ innondarlo di continuo ha condensata quel- l'arena che è divenuta una mole saldissima. Or tisi facendo sulla vetta di quella mole certi buchi langhi quanto è uu uomo, ottengono che aoche in quella parte l'areoa s'induri , e possa servire di tetto. Nella parte inferiore poi praticano delle spellare bisluoghe* e da ogoi lato tra esse forate; ed ivi, chiuso P adito al vento « riposano. Se poi puege colà con la inondazione il mare, vi pigliano pesce; e se avviene che per quel caso alcuni

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48 CL&S5S V K lM i ,

muojauo, non ne preudono pensiero, non conce* pendo essi misericordia, effetto, dice Agatarchide» dell’opinione. Onde lasciano che quegli annegati ei giacciano là fin tanto che il riflusso li porti al mare, pascolo ai pesci·

CAP. XVIII.

Alcuni fra gl’ indiani che vivono di ciò che loro dà il mare, alle singolarità che hanno comune cogli altri, aggiungono questa, superba a un tempo» e non facilmente credibile. Di costoro non è pos­sibile in vero dir d'onde , e come trovios» nel luogo in cui sono. Da una parte scoscesissime rupi, e impraticabili stanno loro sopra, precipizj immensi di alte moutague li circondano, attraverso de* quali non v* è forza umana capace ad aprirsiil passo ; in faccia il mare li separa da tutto i l continente j sicché il giugaere colà a piedi è im­presa vana a tentarsi, siccome si è detto i e l’an­darvi con barche, o zattere é fuori degli umani mezzi, mancando tutte le cose fra noi usate a tal fine. Per lo che non rimane altro da dire, se non che costoro sono indigeoi, non nati dal primo seme umano, ma sussistenti sempre, conforme giudicarono alcuni, che diconsi Fisici.

CAP. XIX.

Oltre lo stretto che divide l’Arabia dal paes* opposto , giacciono le isole Sporadi, tutte basse* piccole, ed influite di numero* e sterili si che non producono alcuna cosa comoda alla vita, né per

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erosici a btoozìfi psorAKi. 49arte , s é per natura. Esse sono lontane dal conti­nente superiore circa settanta stadj, e rivolle al mare che c orre al di là dell*India e della Gedro­sia. Ivi non vedesi agitamento di flutti, ma un’isolaio certo modo fa spalla all*altra, e co* promoutorj ritiene le procelle. Saluberrima o*é Paria , e in esse soggiornano uomini proporziooatameute alle circostanze accennate , e sostentano la loro vita nel seguente modo. Nel mare circostante , che è aspro e tempestoso , nasce abbondanza grande di testuggini di sì ampia mole da non credere. Noi tutti le teniamo per mariue. Queste di notte pa­scoosi io fondo al mare, ma di giorno vanno a terra, e » scegliendo in quelle isole appartati e tranquilli luoghi, esposte io pien’ aria al sole, dor­mono. Allora gli abitatori, con certa loro arte e con corde, danno loro addosso, e le rovesciauo, e quanto è in esse d> carne , in breve tempo dal cocente calor del sole quasi arrostito, si mangiano, e le coppe usano a farsi abituri , che piantano sopra alture a guisa di borghetti. Delle medesime pure si servono come di barchette, sia per tras­ferirsi qua e là , sia per procacciarsi acqua. Con che si vede che la stessa cosa somministra a que­gli uomini nave » casa , vaso ed alimento.

CAP. XX.

Non molto lontani da questi, e di numero eguali, vivono altri che si alimentano di baieoe gettate dalle tempeste sulla spiaggia} e dove non ne ab­biano il bisogno , cosa che non di rado succede, supplisco no raschiando quanto di cartilagini era

Fozio, P o l. I. i

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5θ CtASSfi ΡΚΓΜΑ ,rimasto intórno Alfe ossa e alla estremità delle co­ste: meschino compenso invero! ma pure bastante » consolarli. Queste sono le varie razte d’ i ttiofa­ghi che ci vengono descritte , mentre intanto iu- nuinerabili altee cose ci si nascondono.

CAP. XXI.

Mentre la vita, che noi seguiamo come mae­stra, consiste nel complesso di cose e superflue e necessarie» gl'ittiofaghi, de’ quali abbiamo parlato» tutte quelle che nòn sono necessarie escludono e intanto di niuna mancano deile quali la natura ha bisogno. Per tal modo si vede divina essere la via che ci si mostra per vivere frugalmente; e non cosi quella che cou fallaci opinioni seduce la natura. Quegli uomini non sono affascinati dall’ ambizione del comando e degli onori, né tormeutati dai ro­vesci della fortuna. Essi non sentono gli stimoli dell'avarizia , non soffrono le angosce dell’ odio e delle turnista : non hanuo di che affannarsi pei di­sastri di parenti^ noo corrono i pericoli di lunga navigazione intrapresa per mettere insieme roba * non hanno grandi casi da renderli miserabili. Di poco hanno bisogno , e di poco hanno a dolersi : posseggono ciò che loro basta, e non cercano di più ché ciò che non si conosce, ove non s’ ab ­bia, non affligge: bensì affligge quello che desiderato si sente mancarci. Onde saia beato chiunque abbia eiò che vuole, purché le sue voglie siano conformi ai suggerimenti della natura , e non ai capricci della opinione. Quegl'Ittiofaghi non quistiouano

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STORICI z B lO ezA FI ÌROFAK1» 5 i

del diritto che accordano le leggi. Che bisogno ha di leggi chi senza le lettere può avere mente retta, e darne prova coi fatti!

CAP. XXII·

Dopo gl* Ittiofaghi scorre il fiume Astabarao „ che ve per la Etiopia e la Libia, molto più basso del Nilo , e perciò con questo maggiore congiua- geodosi, eoi suo giro forma 1* isola Meroe. 6alle rive di quel fiume abita uaa razza d* uomini noo numerosa 9 e vive di questa maniera. Dalla vicina palude scava radici di canne, e , ben lavate, con sassi le frange ; indi fattane una pasta leggiera eI eoa ce, dividendola in pezzetti quali non giungano a riem piere un pugno, questi fanno ouocere al sole, e d’ essi ai cibano . Castoro sooo soggetti ad un ine­vitabile d isastro, qual è dell'assalto che loro danno i leoni negli stagni, entro cut si riparano, quando, al nascere della canicola , una stenuMtala quantità di zanzare di tal modo gHofesta, che per salvarsi dai loro morsi sono costretti a nascondersi nelle acque palustri. Ma i leoni vengono da qaegl* in­setti c a c c ia t i di là , non tanto oo* morsi , quanto con lo stridore a quelle fiere insopportabile. Il che si é q u i veduto ricordare per la novità del caso * essendo stranissima cesa che i leoni abbiano da cedere alfe zanzare, e cfe*t per questo abbiane a trovm salute gli oom i».

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5α cLàssz ram i,

C A P » ΧΧΠΙ.

A1 rammentato popolo souo vicini gl’ Ilofaghi, natione da quello non molto dissimile. In tempo di estate mangiano i frutti cadenti dagli alberi;io altra stagione strappano uo’erba che nasce nelle valli ombrose, ed è dura, e ha un fusto simile al navone , chiamata da essi buniade: poi s9appro­fittano di quanto appartiene alla classe dei tuberi» e infine de9 semi d* ogni pianta. Per dormire la notte scelgonsi tal luogo che li salvi contro le fiere, e in cui possano far sentinella. Alla mattioa p o i, tosto che il sole s* alzi , coi figli e le mogli salgono sopra gli alberi, e con gran cura cercando di prendere le cime dei ram i, de9teneri virgulti si cibano. £ in questo esercizio sono si bene eser­citati , che è maraviglia il vedere la franchezza con la quale vanno da un ramo all9altro, e come a* ajutino con le mani, con le dita, coi piedi e eoo tutto il corpo, l’ uno all’ altro a gara strappando i i ramoscelli anche in luoghi pericolosissimi. Né poi v9 ha parte di fronda piena di sugo che ma­sticata co9 denti noo venga ne* loro stomachi di­gerita. Se avvenga che caschino dalfalto degli al­b eri, di poco è ciò che soffrono, essendo essi leggieri e svelti. Vanno nudi tutti, ed hanno co· muni i figli e le donne· Molte volte ai fanno guerra pe’ luoghi ove sfrondare. La maggior parte d*essi muore di fame quando vengono presi da cecità | il che succede loro alla età di circa cio- quant* anni.

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SToiuci a aiOGBtri ?noriin . 5 5

CAP. XXIV.

Dopo i descritti haonovi quelli che gli abitanti chiamano cacciatori. Questi, a cagione delle molle fiere che riempiono il paese, prendooo stanza su ­gli alberi , e si occupano in tendere agnati a quelle fiere che prese fanno loro pasto. Sooo an­che saettatori valentissimi. Se avvenga che vada loro male la eaccia, suppliscono con le pelli di quelle che aveano prese prima. Bagnano quelle pelli , e di poi le mettono ad arrostire sotto la cenere calda, e cotte che sieno se le dividono insieme.

CAP. XXV.

Vengono dietro a questi, ma a grande distanza, e in paese vólto a ponente, quelli che vivooo della caccia degli elefanti. Tra questi alcuni, stando so­pra no albero per vedere quando la belva passa, tosto che questa è prossima saltano g iù , ed ab* hrsncatane la coda e piantati i piedi sulla coscia sinistra, con una scure preparata a tal uopo , a raddoppiati colpi le tagliano i nervi della gamba sinistra ; e con tanta forza di qua feriscono* e di là si tengono attaccati alla coda, che si vede non trattarsi meno che delta vita. E di fatto bisogna o ammazzare od essere ammazzato, non essendovi altro scampo. Tosto poi che la belva, per la grave ferita e pel perduto sangue, cade , escono i com­pagni del cacciatore a dargli mano se occorre ; e mentre 1* elefante vive ancora tagliaogli de* pezzi di carne sui di dietro, e lietissimi se le mangiano:

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5 4 c la s s e prima ,onde appare come lunga ed atroce morte esso so­stenga. Sonovi altri che nella caccia usano tenore diverso. Tre uomini uniti insieme , con un arco ciascheduno e piò frecce tinte del fìele di serpi, aspettano 1’ elefante all’ uscire del bosco. A l pre* seniarsi uno de’ cacciatori mira al piede della belva, i due altri lo saettano alla metà del corpo* onde rimanga ferito celle interiora ed abbia rotte le viscere· L ’elefutile » dal dolore agitalo, s’ inde­bolisce e stramazza a terra. Una terza maniera si usa ancora, ed ò questa: Quaudo gli elefanti, sa­tolli della pastura, vanno a dormire, ej*si noo> poogonsi giacenti , ma si appoggiano ad alcun grosso albero in modo che l’albero sostenga tutto il peso del corpo, e i piedi premano la terra leg­giermente. Diresti per avventura noo vero modo di posarsi questo , ma ben falso , perciocché al profondo sonno s’aggiuuge violento timore di ruina, per la naturale impotenza in cui è questo animale di rilevarsi se avvenga che cada. Adunque chi va a questa caccia, girando pe’ boschi osserva iu qtial parte l'elefante usi ricoverarsi per dormire e al­lora taglia con una sega , dalla parte a cui deve appoggiarsi, quell’albeio in modo che, rimanendo in apparenza fermo , ad ogni piccola spinta però possa rovesciarsi. Accade adunque che, ito 1’ ani­male al suo luogo , tosto che fa peso sul tronco dell'albero, questo si rovescia, ed esso stramazza ; e i cacciatori gli corrono addosso, e incominciano a tagliarne alle parti posteriori le carni , e morto affatto si dividono le altre. Tolommeo, re d’ Egitto, proibì che cotesti cacciatori non ummazzasseio più elefanti , volendo egli averli vivi i e a tal ef-

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STO BICI E BlOG&tn PBOFUtt. 5 5

lètto promise grandi premj; ma non potè persua­dere quella gente, la quale dichiarò, che non avrebbe rinunciato mai a tal pasto se dato le avesse tutto, il reame d' Egitto.

CAP. XXVI,

Haooovi altri cacciatori che i Nomadi sogliono chiamare impuri. Di questi una parte abita a po- oeote, distaccati dalla Etiopia, e sooo detti Simi i osa parte è vòlta all4 aastro , ed à nazione pic­cola: e questi si chiamano gli Slruzzofaghi, i quali per vivere, con artifizio e eoa chiodi preodooo gli strussi, giovandosi delle carni e delle pelli d’essi, le noe per cibo , le altre per vestito e per letto.I Simi fanno guerra a questi Slruzzofaghi. Per dardi usano corni dell’ orige, i quali sono graodi ed acutissimi ; e di tale animale quella coutrada abbonda.

CAP. XXVII.

Di poco sono dagli Struzzofaghi distanti gli Acri- dofaghi, gente la più piccola di tutti. Questi sono deboli e macilenti , e soprammodo pegri. AH’ ap­parire deU’equioozio di primavera una grandissima moltitudiae di grosse locuste viene colà , portata dal vento , nè è cognito il paese da cui proce­dono : esse poco sono differenti dagli uccelli nel volo, ma molto nella forma. Di questi insetti essi eibaosi in tutto 1* anno in varie maniere , e spe­cialmente salandole. Per pigliarle usaoo fumo, che fanno alzare all'aria : pel qual fumo esse cadono

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5 6 etiASSB PRIMA ,

in terra. Questi Acridofàghì sono agili dì persona e velocissimi* ma non vivono oltre i quarantanni; perciocché all* avvicinarsi di quella età ne* loro corpi nasce una razza di pidocchi volatili , noa dissimili dal ricino , e alquanto minori di quelli che attaccano i cani. Incominciano quei pidocchi negli uomini, de*quali parliamo , dai precordj e dal ventre, poi sorgono a divorare la superfìcie del corpo e tutta la faccia. Da prima que* miseri sentono un gran prurito, come se avessero la ro­gna , il quale va crescendo a segno che, non po­tendolo sostenere , si lacerano da sé medesimi le carni. In ultimo, oltre l’ eruzione di pustole e gran marcia da esse uscente , vengono presi da dolori intollerabili. Così finiscono gli Acridofàghì, sia ciò effetto di un umore che abbiano ne* loro corpi, o sia dell* alimento o dell* aria.

CAP. XXVIII.

Confinante ad essi è un paese spazioso e mira* bilmente pieno di bei pascoli, ma affatto deserto, nou che da principio noa vi abitassero uom ini, ma perchè ivi è una moltitudine incredibile di scorpioni e di falangi, insetti che alcuni chiamano di quattro mascelle, e vogliono che provenissero da una gran copia di pioggia. Odd’è che gli abitanti di quel paese , non avendo potuto resistere a tal peste , si videro in necessità di fuggire , la vits preferendo all* esiglio dalla patria , e d* allora io poi nessuno più vi abitò. Cosi accadde che per sì­mile flagello anche altre città fossero abbandoaate* come in Italia, a cagione di sorci, di passeri di-

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STORICI s BIOGRAFI FXOr Atff.voratori delle semenze; come nella Media di rane; come succedette agli Afìanati di leoni cresciuti in troppa moltitudine, come in Africa ; e molte altre calamità improvvise fecero sparire gli abitatori da varie altre terre.

CAP. XXIX.

Ultimi verso il mezzodì abitano i cosi dai Greci detti Cinamolgì, gente selvaggia, fiera e barbara· C ostoro portano lunghi i capelli e lunga assais­simo la barba, e allevano molti e grossi cani , come fanoo i popoli della Ircanìa , col mezzo dei quali, girando qua e là per la loro provincia, cac­ciano i buoi procedenti dall1 India; giacché innu­merevole quantità d’ armenti si vede colà dal sol­stizio d'inverno sino alla metà di quella stagione·I Cinamolgì poi mungono le cagne , e del loro latte si nutrono. Ma però vivono anche della cac­cia di altre fiere. —* £ si ha cosi la descrizione delle estreme parti meridionali·

CAP. XXX.

De1 Trogloditi, gente governata da signori, ecco la condizione. Le mogli , come pure i figli, sono comuni : uon é vietato congiungersi se non che eon la donna del signore, e chi fa questo é obbligato a pagare una pecora. Del rimanente essi vivono di questa maniera. Quando è inverno, il che presso loro la natura porta al tempo delle etesie, come allora il paese é inondato copiosamente da acque, vivono di sangue e latte, che uniti insieme fanne

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5 8 CLASSE PB1MA ,

leggiermente scaldare in certe loro pignatte. Nella estate recansi in luoghi umidi, fra loro contra­standosi i pascoli ; e allora mangiano il bestiame piò vecchio, o giovanissimo, il quale fanno am* mazzere da becca}, da essi chiamati immondi. A nessuno <jao»o il nome di padre e di madre, fuori che al toro e alla vacca. Lo stesso ooore fa noo all* ariete e ali’ irco, noo meno che alla capra e alla pecora*, e in ciò- sono costanti poiché da que­sti animali ricevono il cotidiano loro alimento. La più parte della moltitudine usa per bevanda una pozione fatta col paliuro macerato. I signori l’usano fati a di cèrto fiore che sa di cattivo mosto. Vanno nudi di tutto il corpo , eccettochè si coprono con pelli le natiche ed hanno costume di circonci­dersi» come fanno tutti gli £giziaoi i ma quelli di loro che i Greci chiamano Mutolati non sono cir* concisi, ma rasati totalmente: il che si fa per reli­gione a* fanciulli, ed essi medesimi si diedero una tale denominazione* Qui poi l'autore, facendo, uua digressione, avverte che quantunque parli attica­mente, pure si serve familiarmente del dialetto di Camera, città di Creta. Ritornando quindi al proposito, espone le cose che i Trogloditi fanno circa i loro morti. Con lacci fatti di paliuro le­gano il collo alle gambe dei defunti ; indi por­tali sopra una collina, od un’ altura, vi fauno cader sopra una piaggia di sassi , non senza ag* giuogere parole di scherzo e di derisiooe t e ciò dura tanto che il cadavere resti coperto. Quindi, piautato un coroo di capra nel cippo , ritornansi lietissimi a casa, senza avere mai data la minima ombra di turbamento. Ed in questa maniera sa-

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sto atei a biografi mofawi. dppieoiemente travolgono 1* uso de* funerali 0 giacché è da prudente uomo il noa rattristarsi di cose ch e noo hanno in sè tristezza. Tra loro, quando i pa­scoli cominciano a verdeggiare, nascono liti , ini* micizie e g uerre ; nè per nessun*altra coss usano mai venire alle mani. Però quando sono per bsl- lersi , saltsuo io mezzo le donne più provette di età, separa uo i combattenti, e con acconce parole placano gli animi irritati. Noo dormooo come fanno gli altri uom ini, ma perpetuamente cooducooo seco le loro gregge· Agli animali maschi , quanti qoesli sono , attaccano alle corna uo campanello $ e ciò per tener lungi e per fare scappare i ladri. Al venir della uolie metloop i loro aoimali eotro la stalla* e li coprono eoo una sluoja fatta di palme. Ivi raccolgonsi le donne co* loro ragazzi ; e gli uomini, standosi intorno a* fuochi qua e là accesi, cacciano il soooo caotaudo certe storie del loro psese e de* loro maggiori. Cosi in molle cose Γ assuefazione vince la natura anche in cose ne­cessarie. Se taluno d*essi, per la troppo avanzala età , non è più in islalo di andar dietro alla sua greggia, vien tolto di vita, strozzalo eoo la coda di no bue $ e se alcuno tira innanzi a vivere più d> quello che comuoemeoie accada, chiunque il vo­glia, per un sentimento di beoevoteuza toglie l 'in ­dugio , e lo strozza come dicemmo dell* altro. Né ai vecchi soli prestano quest* ufficio , ma eziandio a quelli che souo presi da ostinata malattia, o che in qualche membro hauno sofferta tale viziatura da non potere più condurre il suo bestiame al pascolo.

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6o classe p r im a ,

C A P . XXXI.

Quattro essendo nel pieoo circuito dell* orbe abitabile le regioui iu cui esso è compreso, i l levante, il ponente» il settentrione e il mezzo­giorno , Lieo e Timeo trattarooo di quella che é al ponente ; di quella che è al levaote trattarono Ecaieo e Basilide ; di quella che si stende al set* tent rione Diofanto e Demetrio; e noi, dice Aga­tarchide, abbiamo trattato di quella che è rivolta al mezzogiorno» quantunque rechi molestia il dire la verità.

CAP. XXXII.

I diversissimi modi di vivere degli uom ini non sono divisi da luoghi a proporzione distanti. Ciò prova che dalla Palude Meotide il decimo giorno di oavigazione entrano uel porto di Rodi quelli che di là vengono con navi mercantili. Da Rodi in quattro giorni vanno ad Alessandria· Da Ales­sandria in altri dieci giorn i senza difficoltà , risa­lendo il Nilo , possono arrivare in Etiopia. Cosi nello spazio di non piò di venticinque giorni dal sommo freddo si passa, continuamente viaggiando, all* estremo caldo. Pure in sì piccola distanza tale dilfereaza v* è tra la vita e i costumi degli uo­mini, e tra la Datura rispettiva del clima, che non se ne potrebbe aver la maggiorei a modo che gli uni noo credano quanto si racconta degli a ltri, quantunque comunissime e note sieno le cose che se ue riferiscono; uè può entrare iu mente che

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STOBICI S BIOGRAFI FROFAHI. 6 lgli n oi vivano in un modo che sarebbe per gli altri un orrore ( mentre poi del suo ognuno sìa contento. Il che dimostra quanto sugli nomini possa Γ assuefaziooe fino dalla prima età.

CAP. XXXIIL

I leoni d'Arabia sooo meno irsuti e feroci, ma nel colore si assomigliano a quelli della Babilonide* I l loro pelo poi è sì splendeote che quelli della giubba rilucono come Γ oro.

CAP. XXXIV.

Ma quelli che chiamansi Mirmecolioni, non dif­feriscono nella specie, ma però haono le parti della generazione a rovescio di quelle degli altri.

CAP. XXXV.

Ivi i pardi non sono come nella Caria e nella L ic ia} ma hanno luogo il corpo , e con più eo- staoza sosteogooo le ferite e le fatiche , e supe­rano gli altri nella forza , come gli animali selta- tici e indomiti superano gli addomesticati.

CAP. XXXVL

II rinoceronte nella mole non è minore deiTe- le&nte, ma è più basso la sua pelle é del colore del topo, e morbida al tallo. Ha sulle narici lungo un corno che ei accosta alla durezza e alla forza del ferro. Ad ogni pietre in che s* imbatta lo

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6a ctftSSE rat ma ,

aguzza, e suole diligere i suoi colpi ai precordjr ma combatteudo coll’ elefante. col quale è iu eterno contrasto per cagiooe de* pascoli, va a ferirlo a dirittuta nel ventre, e , squarciategli le carni, la Inscia esangue ; per questo trovatisi assaissimi ele­fanti morti così sventrati. Ma se uel combatti­mento non giunge a ferir l’ elefante io quella parte, da esso è annichilato con la proboscide e co* denti , poiché per forza e robustezza molto differisce da quello.

CAP. XXXVII.

Presso i Trogloditi v’ ha una bestia che i Greci chiamano il Camelopardo ς e carne il nome , così é composta la natura della medesima. Ha essa la varietà de* colori dei pardo e la grandezza della corporatuia del camello. È di grossezza mostruosa, ed ha tanto lungo il collo ohe arriva, pascolando, sino alla vetta degli alberi.

CAP. XXXVIfl .

Le sfìngi, i cinocefali e i ce pi veogono condotti in Alessandria dalie terre, dei Tro^oditi e da tutta Γ Etiopia. Le sfìngi souo così simili a quelle chei pittori ci rappresitene , salvo che sooo tutte coperte di pelo e mostrano placidezza e mitezza. Sooo poi astutissime, e perciò atte ad imparare ciò che loro s*iasegni( e v*é da ammirare in esse un assai buon garbo ohe mettono ia tutte le eose.

Nel cinocefalo travasi in brutto H coppe omaoow Esso ha la faccia da catte, e stridula la voce come

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STOBI CI E BIOGRAFI PROFAR?» 6 3quella del sorcio. Bla è sommamente animai fiero, uè si può io alcun modo addomesticare; e ciò si vede anche a quel volto che ha, fatto truce dalle sopracciglia e dagli occhi. Tale si è il maschio. Della femmina è proprietà singolare l'avere l'utero fuori del corpo , e lo tiene così tutta la vita.

Il cepo ha faccia di leoae, la corporatora della pantera e la grandezza della capra. Essendo co­perto di varj colori, ha avuto quel nome , che pressoi Greci equivale a giardino; quasi sia tutto fiorito.

CAP. XXXIX.

Tra le tante bestie fin cfoi accennate la piò fiera di tutte, ed affatto indomabile,si è una razza di toro , che divora le carni , grosso come i tori domestici , velocissimo nel corso, e rufo in singo­lare maniera. La bocca gli va fino alle orecchie ; gli occhi ha di color glauco e piò splendidi di quelli del leone. Muove le corna al pari delle orecchie ; ma quando combatte le ferma mirabil* mente : ì suoi peli sono volti al rovescio di quelli degli altri animali. Questo toro assalta le bestie piò forti » e dà la caccia a tutte le altre ; massi­mamente poi é esso infesto lai le greggie degli abi­tanti del paese. Può ferirsi soltanto con la lancia e con le frecce; il che fe che non possa aversi vivo per quanti tentativi si sieoo fatti. Che se talora avviene cbe resti precipitato in una fosse * o preso con altro simile artifizio, ferocemente si soffoca da sé medesimo ; e perciò giustamente dicono i Trogloditi cb'esso ha la fortezza del leone, la te - locità de! cavallo , la robustezta del toro » fr che

non cede a l ferro·

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64 CLASSE PRIMA «

CAP. XL.

L ’ animale che dagl’Etiopi vieo detto Cracotta , ha tal nome per essere uo composto del lupo e del caoe : ma esso è molto piò fiero dell’ uno e dell’ altro; e tanto di ceffo, quanto di piedi più pesante, e per la pancia, e pe’ deoti superiore agli animali tutti. Esso spezza senta difficolti* ogni sorta d’ossa, e le digerisce in un batter d’occhio. V ’ ha chi dice che imita la voce umana, e che chiamando a nome di notte le persone, ove que­ste muovansi, esso le assalta, e le divora ; ma noi noo prestiam fede a tal cosa.

CAP. XLI.

Narrasi saviamente che in que’ luoghi hannovi serpenti di stupenda grandezza, e varj mirahil- meute di razza, cercantisi il vitto con la caccia di altri animali. II maggiore di tutti quelli che noi abbiamo veduto era lungo trenta cubiti. Ogni serpente, ancorché grossissimo, si mansuefa se gli si fa soffrire la fame ; e in questo proposito, l ’ au­tore attesta d'averne veduto uno, il quale, tenuto digiuno, cou sempre mostrargli il pasto, quando gli si mettevano d* intorno le vittime desiderate, dimetteva la ferocia, più acuto mostrava l’ appe­tito dell* esca, e finiva col diventare placidissimo e domestico; sicché belvà piò in ite oou sarebbesi potuta trovare, nè al tempo stesso più terribile. Il che credo succedere di tutte le bestie mansue­fatte » perciocché come veggono che resistendo

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SToaici. a bkxuwh psofìki* 6$«oso trattate mate, e cedenti * seno avtrtfet Ìiftlptf· nos com e abb iausi a condurre» o ca che scelgano il meglio per reziocto io , ma dalla aaenvori* d i «Sé» cbe hanno provate co l £aUe gu idato oelie loro1

«Qesioatf·

CAP. X LIL

Essendosi molte cose degee di amnsirazieae, «d assai diverse da quanto siamo usi a vedére, qaelle che tra esse sono più degne d* essere *** tate ne*luoghi de*guaiti parlo, dice jégaiArokéde* «udrò qui rifeeeadov Primieramente adatiqtle ehi da Arsione s’ inoltra pel cootioente, che gli sta a ■aaae destra, troni te/me , Le quali tarmatisi da tsrj «empiili che da alla rupe scorrano, scendendo si osare; e l’acqua un» é dolce, ma saJsa ed amara ; di questa natura essendone appunta il foste 01 poi dal lago a* incontra il Nilo» il cui letto attrft- versaode molle e spugnosa materia , peavieoe a laogo assai b asa? e coocavo. Presso il lago tu un campo assai spaaiosie^ ftarge un monte pieas di minerai ropso, a modo che se Tocohio vi si fissa sleua tempo sopra, ne rimane ofieso* Poi af apre uo grao porto» «he da prima fu detto del Sorcio, iodi di Venere, {vi sooo tee isolo, due dèlie quali sodo coperte di olivi * ed una meno selvose ha qoaatità grande degli Uccelli che eh ia paesi Me*- Icajridi, V iciae ad esse IsoW è un iena detto l’ im­puro j passato il qUale stendasi uu’ isola peste in ako mare, e lunga da òiica ottanta stadf, e chia­masi Serpentina, poiché aotioameate essa era piena dWni sp erei di serpenti* Ooa ne é Hhnai in

Foiio, Fot* /· 5

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6 5 c l a s se p r im a ,

quest* isola nasce la gemma che si chiama topazzo, gemma lucidissima , e simile al vetro, che incas- sala nell’oro fa una bei issi ma mostra di sé. Gli abitatori dell* isola , messi 11 espressamente per custodire e raccogliere queste gemme , usano a questo effetto il seguente metodo. Alla notte gi­rano qua e là per Pisola in determinate schiere, ed a vicenda , forniti di zappe di grandezza di­versa. Quelle gemme hanoo questo di proprio che Del giorno, viale dalla luce solare , e dal calore , non appajono, ma nella notte mettono fuori tutto il loro splendore. Per questo adunque, fatte mani­feste, tosto che una così rilucente si presenta allo sguardo, il capo della schiera vi mette sopra un vaso che ha pronto , il quale sia della capacità della cosa che vede splendente , e la copre. Nel pieno giorno poi va sul luogo, taglia quella parte del sasso eh* era coperta, e dà la scheggia agii artefici che debbono pulirla. Passala quell* isola il mare è basso, e si poco profoudo che non arriva alla misura di due orgie; e l’acqua vi apparisce verde, non per natura sua, ma per la quantità di musco e d’alga che vi crescono dentro j onde poi vi si trova uria quantità incredibile di cani marini. Qui ottimamente si naviga con navi lunghe e con tutte le barche a remi, giacché tempeste nou si soffrono in quel tratto, nè vengonvi flutti dall’alto mare ; e perciò in quell* acque tranquille v* ha moltitudine di pesci che danno buona preda. In­torno a qaeMuoghi tale disgrazia succede alle navi che trasportano elefanti da esercitar la pietà di chi ne sia spettatore. Imperciocché se quelle uavi per caso vengono dai flutti balzate tra gli scogli

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s to r ic i z b io g r a f i p ro fan i . 6 7

cbe ivi sono , ed arrenate in que* bassi fondi,000 hanno più scam pa, rimanendo ivi come in­carcerate. Lunga querela da principio per tale di­sastro s’alza; e nondimeno sì spera qualche buon colpo di fortuna propizia; imperciocché alcuni ve­ramente si sono salvali in grazia che, gonfiatisi i flotti marini pel cocente caldo, quelle navi all'im- provviso sooo s;ate rialzate. Ma se tele ventura ttoo arriva presto, e mancano i viveri, la dispera* zione è somma ; e coloro che sono io quelle navi periscono di fame, o trafìggonsi con le loro stesse spade, o deliranti si precipitano nel mare.

CAP. XLIII.

Fin qui si sono descritti i luoghi che stendonsi fino ai Tori e a Tolemaìde. I luoghi che sono al di sopra di questi, non ammettono facile passaggio· Quelli che souo oltre, non vauno più verso il mezzodì , ma si piegano verso levante e gettanoio due parti delPaono l'ombra all’austro. Slmil­mente sono irrigati da acque che scaturiscono dai monti detti Psebei. Il tratto del paese mediterra- fieo é pieno di elefanti, di rinoceronti, di tori e di majali ; e lo spazio che s* accosta al mare è pieno d* isole, spoglie di frutti, ma frequentale da uccelli, le cui specie sono nuove affatto; e il mare, che ivi comiocia profondo e navigabile, ha cetacei di tanta grossezza che mettono spaventoio chi li vede. Non però essi fan danno ai na­viganti, se questi, contro loro volontà e per impe­rizia, non vanno con le navi sopra quegli animali,1 quali d’altronde non possono con molto impeto inseguire chi naviga, avendo ottusa la testa.

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6 8 o l m m r r u m a ,

CAP. XLIV.

I luoghi superiori ehe ivi si veggano souo co­perti di palme che diversamente s'alzano, se-» con do che comportano le pietre, tra le quali quelle piante nascono* Tengono esse il lid o , chè è stretto e lungo» e un luogo ò sul mem chq chiamasi IN essa, o vogViam dire Anitra, dalT s a i- male di questa speoie dhe ivi è iofìnitameote pro­pagalo* Questa Nesea giace sopra nd p rotano te riq assai selvoso, e si estende , guardando dritto » a Pietra, nome del luogo, e fìoo alla Palestina. In quel sito, i Georei» e i Hinfei, e tutti i vicini Arabi, portaoo l’iacea so, e grossi carichi di aromi dalla provincia superiore.

CAP* XLV.

Dopo il Seno che chiamano Leanite, intomo a l quale abitane Arabi » v* è la terra de’ Bile** malesi , spaziosa e piana, e tutta bene inaffìata* Nnlla rvi si coltiva * me vi cresce la gramigna * tferba medica e il loto alf alletta d* uo uotno< Perorò ivi molte tórme di camelli selvatici , <tf nervi e di capre» e molte gfeggie di pecore e molle roandre di buoi. A si beata condizione di oompde cose si coOgiunge il danno di una quatta tkà di leoni , di lupi, di pardi , che la terra vi produce : onde ciò che fa la felicita del paese , fe eziandio Γ infelicità degli uomini che vi abitano.

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s t o b i ci» a biogistTI rm oPAvr·

CAP. XLVI

Dai vic ini lidi comincia uu sene che s* mterna nel paese, ed ha l'acqua profonde, ove è menot cinquanta stadj. Quelli che abitano nel circon*· dàrio sono chiamati Baimizomaoepi, e sooo o»0* ciatori di bestie terrestri· Oltre quell* terra se*- guono tre isole* le quali hanno parecchi porti. La prima è consacrata ad Iside; Ih secondasi chiama Succaba; e la terza Salido. Tutte sooo deserte, e piene di oKW, non quali sene da noi, pia quali soeo proprj di queUneghi.

CAP. XLVIL

Dopo quelle isole «iene ma lido sassoso! e grande. Quella è la tesra degli Arabi Tamudtni, ditho L· quale si naviga con ntolta pena p f r la hpngheaza 4» mille stadj. Imperciocché ivi non ò poeto» non fondo da metter anoera, non vestigio di comodo alcuno, di cui chi naviga possa ai bisogno usare. Andando innanzi, non subito , ma ad intervalli» il lido si eteade sempre più sassoso; è cosi fa U monte Lem o, dìmdetraadosi d'immensa MBpiease* e coperto di boschi d'agni specie d’alberi*

CAP. XLVIIL

I paesi copfìoftoti con questi deserti montuosi sano abitali daiDedebL, in paste pastori d’armeoti* e iu parie coltivatori di terre. Attraverso della toro cootredb sceire un £ume di tre fami che

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η ο c la s s e prima ,porta pagliuzze d’oro, io taota copia che il limo arrestato alle foci si vede luccicare da lootaoo. I possessori di quel*luogo non saono approfittarne» ma sooo ospitali per eccellenza , noo verso tutti gli uomini in generale , ma singolarmente verso quelli che capitario colà dal Peloponneso e dalla Beozia t e ciò per un certo favoloso racconto che si fa concernente ad Ercole.

CAP. XLIX.

Con questi confinano gli Alilei e i Casandrini , che hanno un territorio per nulla simile ai so* praddetti. Ivi l*aria non è nè fredda, né secca, nè calda i ma molle , e piena di densa nflbe , onde anche in* estate si hanno inverni. Nella maggior parte quel territorio è feracissimo? non viene però coltivato da per tutto \ e ciò per la imperizia di ehi* in quelle p^rti ambita. Ivi però grande quantità d’ oro si trova nelle croste di buche sotterranee, in pezzetti, non quali si hanno facendo coll· arte fundere le pagliuzze, ma nativi; ed è Γ ο γ ο che i G reci chamano apiro, vale a dire non coagmentato dal fuoco* I più piccoli di que* pezzetti non sono meno grandi dell* osso di un* oliva , i mezzani equivalgono ad un nespolo, e i maggiori sono grossi come una noce reale» Gli abitanti forano questi pezzetti , e ne fanno collane, e smaniglie· frammezzandoli con gemme lucenti. Portano que* st*oro anche ai vicini paesi , e lo vendono a vii prezzo, perchè, barattandolo col bronzo, si conten­tano di tre parti di questo per una d’oro : per una parte di ferro ne dauno due, e dieci per noa

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s t o r i c i s b io g r a f i p ro fa n i . η\

d* argento. Ne’ quali cambj serve di regola 1* ab­bondanza e la rarità; nel resto attenendosi» non alla natura di quelle cose, ma alla necessità delle medesime negli usi della vita. A questi popoli sono attigui i Carbi in un paese che ha vicino un porto, e nel quale sorgono assaissimo fontane.

CAP. L.

A que’ Carbi succedono i Sa bei, la maggiore delle nazioni arabe, e felicissima per ogni rispetto;im­perciocché ivi la terra produce tutte le cose che pei comodi della vita nascono presso di noi ; e ! corpi umani sono più grandi e piò belli che al* trove, e v’ è infinita moltitudine di bestiame; e tanta è l’amenità e la fragranza che tutta quella spiaggia presenta, che a’ forestieri, i quali vi ca- pitano > reca un piacere maggiore di tutto ciò che possa vedersi o dirsi ; di fatto aelle stesse crepature de’ lidi nasce abbondantissimo il bal­samo, e nasce la cassia , ben migliore di gran lunga da quella che si ha altrove, questa essendo fresca $ e perciò giocondissima a vedersi, quan* tunqne, trasportela poi in lontan paese, ed invec­chiando, perda assai della sua forza. Ne* luoghi mediterranei alzansi frequentissimi e vasti boschi, oe’quali trovansi gli alberi che danno l’ iu ceti so e la mirra, come quelli del cinnamomo, e la palma, e la canna, ed altre piante di simile natura : sic* ché Don può spiegarsi Io squisito senso di voluttà, onde sono presi quelli che colà si trovano. Nè si tratta di gustare tali delixie per meito di aromi deposti entro camere, o da cose separate dal sito

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7 * CLASSE MU M i ,

ove nacquero, e diligentemente tenute rn serbo, ma tutto aleacoa in aperta eampagea * tutto è nella nativa sua forza; e cresce e matura in piena aria* e si vigorosi ne sono i heatì eftluvj che molti, di* mentichi della morule felicità, nella quale sen* tonsi assortii » credo so di bere alcuna parte del* l'ambrosia divina, non sapendo come con altro nome chiamare quella ineffabile dolcezza.

Però ne' boschi di lauti odorosi aromi havvi una specie dii serpedtì stranissima, quasi la fer» urna inv>idj atta lerce tante piacevolezze ; e al bcfee congienge i dantoi, nude nessuno s1 insuper­bisca di ;beni sì qopiosi, e sprezzaodo Iddio si làsci, fct rateiti arte per Uoppa voluttà a* peccati j ma avvertito edl l'aggiunta e la memoria de* mali, vira temperalo e modesto. Quella razza di serpenti, d i cui sv parla, é di color violaoto, lunga uo paino* e il cui mosso è insanabile* se ad dea tao l'uomo sui fìaoohi, essendo casi portati a saltare addosso alle persono.

Del rimanente presso i Sabei la fragranza dei éèUuÀQsi odori è bensì somma, ma per gli abitanti non p tasta la voluttà, |*er l'assuefazione loro sin da ragazzi, ehi il contigua ne diminuisce l'impres­sione* éd a dai oliumde i sensi· U che prova ohe egèi feliciti fa meaar bene la viti» se sia aecompaghata da mediocrità t buon ordine ; ma «e tnaoea modei^aziioite. ed opportu nità, inutile «osa è pos­sederis,

Saba, città che dà il nome a tutta la naaioqé, & addossata ad un monte non graude , ed à la più bella di tutto quelle che sotto ia Arabiis. Il *0 ohe ttimanda a tutta ia nazipue ha questo di eia-

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stohìci n Biociirt vsoruu. goisrcy stabilito per solenne del&eretto** del pùt pftla» ch& libecaeeeate & tutto queUo che vuole, « osti & soggetto a eeesur* wsuna t bis dal mo- «ente che viene installato , boa gj» è piò lecito osdire del pelateci e se n* essce,# è dal popolo Uh pidatbv · ciò è ia conseguenza di un. tnticQ ora-* colo. Laottde rem im ele oliere che gli è epqferM* veìgesi a suo ptericolo, non polendo piò fare qNfcllft che può (are ogni iwvn più JSieschiloo, Ha corte dWmini chye in nasa lo servonp, i quali, per Γ e**» «OPtinuo in ohe vivono, si emmoiiisfeoQ& come doone* Gli altri ρρΐ, o si danno al mestiere dellf trmi, o layprana, o retensi altrove a piaOUf QOj iooie i essi fanno usaj>e* nerfÌgore di picfiejebtyrohe, 9 tra le altre cose traspor tane Ha rie specie di ti** uiami odorosi, nesoetii « lift terra ulteriore che gli Ambi chiamano L^Hmoa . ed avvene uoo fra quelli* thè ditesi gpafire per lo più ogni malattìa. Sic­come pei n i un alito albero quel paese pretiuen per gli usi eotidipni della vita, «osi sano obbUgtiq ee’lòfo bisogni a salvimi di quelle del Oinaomote e deUa castia * avendo pesi la sarte divine distoltali ti i»eguetaì*nt* i beai., ad uh popolo d i taJi cese poco desiderio itftiUaade, fgJ* adiri di tali altre accordando abbondanza. Molti tra i Sabei usano eavicelli fatti di caojt^ 4i4:t£ tratti dal riflusso del m are, quantunque d' altronde vivano nel tolse a neUe delizie* poichò ninna generazione d* uomini è più ricca de’&abel e de* Gersew Geni ttoro apargOod Ua popoli ogni ape aie di meeoe che torni coatto trasportate deATAsia e dall* Run ropiE sii fecero ricchissima d’owp ih Siria domiine té 4k Totomnmp 3 «tosi somministrarono ai dUifenli

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η ΐ c lasse piuma ,

Feniej lucrosissima materia di traffico, e potrei aggiungere mille altre cose di questo genere. Laonde poi fanno grandi spese non solo io vasi cesellati, e io iscolture mirabili, e iu coppe, e lazze e nappi d'ogni maniera; ma eziandio in lettiere magnifiche, e in tripodi, e in tavole, e in altre cose nobi lis* sime, e di che noi adorniamo i palazzi : sicché molli Ira essi veggonsi sfoggiarla da re ; chè co* lonne nelle loro case Irovansi coperte d* oro e d‘argento ; e tulle qua e là camere e sale sono piene di fiale tempestale di gemme e di pietre preziose; olire che le case e i cortili mostrano porticati superbi. Ma ciò che riesce più stupendo, si è che tulio quello che dì più ricco hanno gli altri popoli, qui si trova esposto cou grandissima varietà. Tale è la relatione che delle loro cose ci vico falla abche al presente. Se non che aggiun­geremo noi che se essi non fossero tanto lontani da chi lieee eserciti per invadere t paesi altrui , potrebbonsi considerare come semplici custodi delle ricehexte degli altri eostoro che eggi posseggono il frutto della loro diligenza^ sapendosi che la so* verchia opulenza rende molli , e la molletta ano può conservare a lango la libertà»

c a p * l i .

Al di là di qaella contrada il mare si vede bianco alla foggia di uo fiorile ; cosa che non si osserva senza stupore· Ivi soao le Isole Fortunate, ove tulio il bestiame è di color della neve , e le femmine honno la particolarità di neo aver corna. In queste isole fanno Stazione le nati mercantili

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STO Ri CI X BIOGlAFt YBOFAICt. j 5

degli abitanti, molte delle quali vanno sioo al fiume ledo, ove Alessandro avea piantato un arsenale | ed alcune veogoovi dalla Persia, dalla Caramania, e da tutto il continente confinante.

Il cielo ancora ha colà apparenze mirabili; tra le quali è da persi ciò che succede circa l’ Orsa; ed é, che dal mese, dagli Ateuiesi detto memache- none, non vedesi alcuna delle sue sette stelle sino alla prima vigilia della notte; nel mese posideone, sino alla seconda ; e nello stesso modo negli altri seguenti. Così delle altre stelle non si veggono le erranti ; e parecchie appajono più grosse. Alcune te n’ ha che non hanno tempi fìssi nè al tramontare, nè al nascer loro. Si narra eziandio che oltre To- Jemaide il sole si mostra in particolare e diversa guisa. Primieramente non succed e , come da noi, che la mattina veggasi la luce senza il sole, e poi dopo alcun breve tempo il nascere di qael- l'sstro ; ma allo sparire delle tenebre notturne, immantinente il sole splende; aé mai è giorn o , prima eh* esso sta cospicuo tutto quanto. In se­condo luogo pare che il sole s’ alzi dal mezzo del mare, non al confìue dell’orizzoote. In terzo luogo esso mostrasi a guisa di un Oacboue infuocato, e gitta grandi scintille, alcune delle quali gli girano intorno, ed altre s'estendono assai lungi. In quarto luogo, il sole non comparisce nella figura di un disco , ma in principio come una gròssa colonna, alla cui cima si fa uu agglomerameato alquanto più grosso, come se ne fosse il capitello. la quinte luogo dicesi che nè bagliore , nè raggio, sia in mare, sia in terra, discenda fìuo a tanto che non sia scorsa Torà prima ; e sino a quel punto pre-

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76 c u m w m ,aenta un fuoeo nolIV&aftio Incerile, me nome of» fuscate da oa ligi afe. Nella seconda ora pei quesl’astve ascende tetto, prendendo la figura di ubo «cado 4 e manda sul mare , e sulle terre una Ulte tante forte ed ignea ohe fa parere la grandezza dell'uno e delTalftra smisuratissima. In sesto luogo dicono ohe al ina πιο feto «lei soie m vede io maniera afc latto contraria, tmpeneiocehé, dopo essere andate sotto terra , non mepo di tse ore darà ancore a tramandar la sua luce. Il die fa loro dire d'avere nel loro paese la sena giocondissima.

CAP. LIL

Quindi dopo ave* riferite le cagioni del Attese e riflusso elei m are, tutte le rigetta eome aliene dal vero , dicendo non ebutenere che merle , aon cesene dedette da verno principi* ben frodato. Ed allegate vasie eonsidetazieni iu appoggio dcUa m a ppinione, soggiunsi: Pesoiò per «piatito spetta al flutsael e riflesso del m are, si Iremuoto, ai venti , e ai fnlflMnij e a tutte le altre cose di questo g e­oere, no i la sdi amo che ne disputino quelli ohe piò di noi sono capaci al conoscerne te cagioni» Noi espooemipo le combinazioni, daSe quali ei genera00 le diegrasie ohe ogu* iotelKgeate uomo comprende. Vorremmo in vero trovane in laou» ^sgomente le regioni più verisim ili, ma quello che fin*ora ei si è detto non può corrispondere ella dignità della storie-

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s t o m c t . z a io G M J a a o F t in · 77

C A I. LUI.

Nel sepra mentovate au re, l'autore dice intorno égl* olivi auedederu questa parti coleri t i , che nei cre ­scer d d l'acqua tutti rimangono coperti, e che tosto ehe retrocede osai in ogai tempo fioriscano. Nasce quest'albero nd le più bssie parti def lidi, e «Ίι»- merge profondamente aellfaoqua, non dissimile dal giunco, dagli abitanti chiamato il capello d*/nde, seguendo una favola ohe hanno udita dai loro maggiori; ed agitato dai flutti, essendo molle d i sostanza » come le sono tutti g li aliti virgulti di questa latta, si piega in ogsi maniera. Ma se al­eone ne strappa un peate* e lo tiene esposto alla luce, quel pezze immalineate irrigidisce, e diveata più duro del ferro.

CAP. LIV .

Nei luoghi riferiti molti pesci nascono, e di divèrsa natura * tue tra essi ve n* ha uno neris­sime, grande quanto un imuqo, ohe$li abitanti chia­mane Γ Etiope, ttkssomlglisndosi agli bbotanti della Etiopia p er la faccia schiacciata. Da principio i pescatori Aveaoo ribrezso si a vendere cerne a mangiare un tal mostro, appunto per quella tanta somiglianza all* uomo. Coll* andare del tempo però e lo vendettero» e lo mangiarono senza rimorso·

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c l a s s i n u t u ,

CAP. LV.

Noi abbiamo io cinque libri accuratamente espo­ste le cose memorabili delle genti che vivooo al mezzogiorno. Soprassediamo dal riferire le altre cose concernenti sì le isole più tardi scoperte, e conosciute nel mare alto» come i popoli ulteriori, e gii odorosi aromi che trovansi nella terra dei Trogloditi. L* età nostra non può ornai reggere alle fatica : molte cose abbiamo gii scritte intorno al* P Europa e all'Asia * nè a motivo della defezione degli Egiziani possiamo fidarci di commentar} ine­satti. Potrà supplire a queste cose chi è stato in persona sui luoghi, e beo fornitosi con io studio d i quanto occorre per degnamente scorrere la storia, si senta capace della fatica, per la quale può ot­tenersi gloria.

Ariano ael libro intorno alla natura delle Co­mete e alla formazioòe delle Meteore si sforza con ogni mezzo di mostrare, che per quelle appari­zioni niuna affatto si presagisce delle cose che souo per sé stesse o buone? o cattive (i).

(i) Quest1 ultimo articola è da Fozio aggiunto senza antecedente indicazione » come ift qualche altra occa­sione ha fatto» quando ad alcuna opera, da lui letta, ha trovato uuito qualche opuscolo dì altro autore.

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S TOBICl Z BIOGBA7I FBOFAHl. 79

AMINZIANO

SOPAA ALESSANDBO IL GRANDE·

Egli dedica il suo libro a Marco Antonino^ im-C. i3i peradore romano, e dice fastosamente che parlerà delle imprese di Alessandro in uno stile conve** niente alle medesime. Il suo libro però In dimostra promettitore audace, e freddissimo nel mantenere la promessa. Nel dire egli è inferiore d'assai a quanti prima di lui scrissero intorno ad Alessandro\ ed ha un genere d'orazione fiacco e slombato. Quantunque poi non manchi di chiarezza , molte cose egli ommette ch'era necessario dire·

Aminziano scrisse altri libri di genere diverso, e fra gli altri le Vite paragonate, come quelle di Dionigi e di Domiziano, opera compresa in due libri. Cosi in due libri scrisse le Vita di Filippo, re de' Macedoni , e di Augusto. Dicesi che scri­vesse in un libito solo quella di Olim pia, madre ài Alessandro.

A N O N I M O

ESTRATTI DELLA VITA DI PlTAGOBA.

Fu Platone il nono, succeduto a Pitagora, oeUg a5 l'officio d'insegnare, stato già discepolo di Architaii seniore. Aristotile fu il decimo. I discepoli di Pitagora9 che alla contemplazione Uedicavansi, si chiamavano Sebastici, che vuol dir pii quelli che si occupavano delle umane cose, vennero detti Po-

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8o a i s » ranci,litici i Matematici quelli che amavano la matema­tica, la geometria, Γ astronomia i Pitagorici quelli che a lui eraoo famigliari, e i discepoli di questi Pitagorei Pitagoristi finiitwate quelli che lo imi­tavano ne* modi esterni. Tutti questi astenevansi dal mangiar carni; solamente gustavano delle vit­time in certo determinato tempo.

Dccesi che PHagertt avesse centoqunttro anni ohe Mae sa reo+ uno de’ «eoi figliuoli, morisse an­cor giovane i succedette a lui TeUmge? furono sue figliuole Sara e Miia ; e Ttamo eredesi non sin discepola sol la s to , ma enaadia sua figlinola.

£ Pitagorei tengano ohe Γ unità e l’ uno diffbri» soano tra loro: Γ unità viene da essi collocala tn| le cose cadenti sotto rinteti'cuo; l'uno nei immeri, e per la stessa maniera due nelle cose numerate costituiscono una dualità infinita,

L*ueità si prende seoo ode Pegualftà e il messo; la dualità secondo l'esuberanza* il ohe è meno. Il mezso pertanto é il modo uen possono diventare più o meno * m» 1* eccesso e il difetto procedono sino all* infinito * e perciò i Pitagorei asseriscono che la dualità è infinita. £ quantunque riferiscano a numeri tutte le cose tanto da Ito monade, quanto dalla dualità , e tutte le cose esistenti chiamino numero * tengono però che col decimo il numero resti compito. Il decimo poi si forma da quattro pumeri , numerandoli noi con ordine; e per que­sto chiamane ogni numero Quaternario*

Iu tre modi ancora asserivano l’ uoriK) .funi mi­gliore di se. Primieramente ragionando cogli D èi, perciocché allora singolarmente che si accosta ad essi, conviene che ai astenga da ogni anriefeso, e

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stobicx x « ottu ri r io r m i. 8tsì assomigli a Dio per quanto è possibile. In se­condo luogo, beo meritando degli altri; essendo eiò proprio di Dio , ed in ciò appunto Dio imitando· In terzo luogo, morendo; perciocché se Taniasa, che nella stessa vita è cagione della vita, alquanto separandosi dal corpo si rende migliore di sé (Me­desima , come comprovasi nel seguo in confronto della v e g lia , e nella estasi delle malattie, in tali casi divenendo divinatrice; molto più diventerà di più eccellente coodisione quando sarà distaccata •/latto dal corpo. Secondo essi il principio di tutte le cose é P u n ità ; il punto è principio della fi­ata , la linea della superfìcie, e la superfìcie é sella quantità il principio della triplice dimen­sione , o, come dicono , del corpo. Ma prima del ponto conosciamo la mouade. Onde il principio da’ corpi é l?unità, siccome tutti i corpi compon- goosi dalla monade.

Inoltre, a cagione della trafmigrazìone delle anime, ch'essi stoltamente credono vera, astengensi dalla carne degli animali ; poi anche perché le carni aggravano la mente, nutrendo troppo, e ri­chiedendo assai fatica nella digestione. Anzi non adagiano fave , troppo , seeottdo essi , soggette a gaafiamenfti e troppo nutritive, e per altre cagioni ancora.

Dicesi ebe Pitagora predisse parecchie co se , e che tutte si avveracene.

1 Pitagorei sostengono che Pia tomo imparò in Italia la filosofi· speculativa,e la fìsica e l'etica d*$oeratie; e che presso Zenone e Parmemide, entrambi d'Eles, si fondò nella logica t i quali tutti erano usciti dalla scuola di Puagorm·

Fo$iof FoL L 6

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82 ctissz PAIMA,Secondo Popinioue di Pitagora, di Platone e di

AristotUe % Γ occhio giudica di dodici colori : del biacco , del nero e degli altri interposti, flavo , fosco, pallido, rosso, ceruleo , porporino , rutilo e lusco. Della voce acuta e grave giudica Porecchio. L* odoralo sente gli oderi buoui e cattivi, e gli a ltri, putridi, umidi, liquidi, svaporati. Toccano il gusto le cose dolci ed amare , ed altre di sa­pore intermedio. I sapori iu tutto sono sette, cioè il dolce, Tamaro, l'aspro, l'acido, il molle, il salso e 1* austero· Di assai cose è giudice il tatto, poi­ché sente le cose gravi e le leggiere, e parimente le calde e le fredde, e quelle che a queste inter­pongono , cioè le dure e le molli , e poi quelle che vi stanno di mezzo; e così le secche» le umide e le frapposte. Gli altri quattro sensi stanno nella sola tests , ed occupano gli organi che loro sono proprj; ma il tallo dalla testa si spande per tutto quauto il corpo , ed è comune sgti altri. La sua forza però spicca singolarmente nelle mani.

I medesimi Pitagorei asseriscono inoltre dodiei orbi essere in cielo, e primo e remotissimo essere il firmamento, ove staono il Dio sommo e gli al­tri Iddìi dotati d'intelligenza, siccome li chiama Aristotile, o, secondo Platone, le Idee. Poi seguono i sette pianeti di Saturno, di Giove, di Marte, di Venere, di Mercurio, del Sole e della Luna. Dopo i pianeti v'ha il fuoco, indi Paria, siegue Pacqua, ed ultima di tutti sta la terra. La prima cagione dei dodici orbi è il fìrmaineato , e quelli che ad esso sooo piò vicini dicono essere più fermi e migliori , e quelli che ne sooo piò lenta»! esser» meuo fermi. Ua tale ordine si mantiene sino alla

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stomci a siooairi pionii» 83tana : sotto la luna non regge. La terra sostiene tutti i mali necessari, poiché sopporta a guisa di fondo il mondo tutto , ed è il necessario ricetta­colo delle cose che stanno nell’abisso. Dicono po i tutte queste parti governarsi dalla Provvidenza eoo ferma ordinazione e con una certa divina neces­sità propria di Dio; ma le cose che sooo sotto la luna reggonsi da quattro cagioni, cioè da Dio, dal fato, dal consiglio nostro e dalla fortuna. Per esem­pio, salire o no sopra una nave è in poter nostro. L'alzarsi in mezzo al ciel sereuo le tempeste im­provvisamente è opera della fortuna ; il salvarsi contro ogni speranza la neve eh' era ornai som­mersa è opera della Provvidenza divina. Il falò influiste sulle cose iu molte e diverse maniere; e perciò differisce dalia fortuna, conciossiachè opera con certa serie di fatti ordinatamente e conseguen­temente % quando all' opposto la fortuna opera da sè sola e come il caso porta. Che da ragazzo l'uomo diventi giovaue, e a mano a mano proceda fìno alle altre età , questa è una delle maniere con cui opera il fato.

Lo zodiaco muovesi obbliquamente, siccome piac­que dì dire ad Aristotile, sagacissimo investiga* lore ; e ciò a cagione della generazione delle cose che in terra produconsi a compimento dell* uni* verso· Perciocché se si volgesse eoo eguale di­stanza , una sola stagione dell* anno s' avrebbe e sempre la medesima , o d' estate o d'inverno , o d'altra* Ora poiché il sole e gli altri pianeti pas­sano da un segno all* altro , sorgono nell' anno quattro stagioni; e da questa mutazione di segui, che trascorrono, provengono i frutti» e nascono le diverse generazioni degli animali «

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84 c t t m ρ*τ«Α,Π stile (così egli nel particola* suo pensò, ed l o

veramente credo ) supera cento volte 1« terra i a gratidezza, quantunque altri asseriscano che la s u ­pera solamente di trenta vo lte.

Havvi chi sostiene che Tanno grande è form ato dal giro di Saturno, giacché gli altri astri erranti compiono il loro corso in piò breve tempo. S a - turno vi pone trentanni, Giove dodici, due M arte , ufto il Sole, siccome pure Mercurio e Venere t la Luna, che é la prù bassa ed ha un circolo m t* iiitno, compie il suo giro in un mese.

Pitagora fu il primo a chiamare Mondo il cie!dt per la ragione ch'esso è perfetto , ed é ornato d i tutti gli animali e di segui bellissimi.

Piatone ed Aristotile, d'accordo, dicono che Fa­ntina é immortale, quantunque altri , non inten­dendo 1* alta inente di Aristotile, credano eh* egli dica P anima mortale.

l/ uomo è chiamato un picco 1 mondo, non per­ché sia composto de* quattro «lomenti, come Io sono anche i piò piccoli altri animali, ma perché coutiene in sé tutte le virtò del mondo Nel Artondo sono gl* Iddi», i quattro elementi, i bruti, te piante* L* uomo possiede tutte queste potenze. Egli ha la ragione» la qnfele gli sta io luogo di Vlrtò divina % ed ha per η attira degli elementi la furia di muo­versi, di crescere, di produrre un suo simile, ed è inferióre a cìarschedima di queste cose. Ma Come il peiHatl», o sia atleta, avente tutte Ite virtù, nette singole è minore di dii è valente ito alcun distinto certame? così atofche 4\kjiho avente tutte le virtù, fcetle singole iu particòfore vieu superato. Abbietto tutttor uso di ragione rispetto agP Iddìi, abbiamo

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storici * sioaatri p«or*Ni. SSmeno degli elementi che gli eleme nti stessi. La cupidigia e l'iracondia nostra sono wiuori d> quelle Je* bruti, e siam vinti dalle piante utile qualità <li nutrirc i e d i crescere. Ood* è c h e , composti di «arie aose, abbiamo una vita faticosa a sostenersi! imperciocché dove tujue le altre cosa reggoosi da iiaa sola natura, noi uomini da varie qualità siamo distratti, a modo che ora da Dio veniamo spiati alle cose migliori , ora , prevalendo la forza animate * andiamo alle peggiori^ e così succede per rispetto alle altre potenze* Se dunque uno farà uso di ciò che d> divino è in noi, potrà , simile ad un eoe* chiere vigilante ed esperto, prevalersi come con» «iene delie singole virtò, cioè deila mistura degli elementi che lo compongono , dell'ira » della coo- cnpiscenza * dell'abito privo di ragione*

t difficilissima cosa il conoscere sé stesso, quantunque pur sembri facile s U che vuoisi av<* vertimento di Apollo p izio , sebbene si attribuisca a Chilone, stato uno de'sette sapienti. Siamo parò esortati a conoscerci ognuno per quanto sia pos­sibile. Ma pure è vero che il conoscere sé stesso non é altro che il conoscere la natura di tutto il tnondoi il che non può. farsi senza filosofìa, e Dio stesso ce ne avvisa.

Otto sooo gli organi della cognizione: il senso* l'immagiuazione , l'arte, l’ opinione * la prudenza » la, scienza, la sapienza, la mente* Abbiamo c am uni con Dio Parte, la prudenza, la scienza, la rosolai con le bestie >1 senso e l ' immagina#ione» Di noi •oli è propria 1' opinione. U senso è una ieUaoe cognizione proveniente dal corpot PiramaginaziOM 4 00 certo m oto nell' animo * Γ arte è uo abito

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86 CLts&s ttiiskfoperante con la ragione, ed aggiugnesi con la ragione, perchè anche il regnatelo opera, ma opera senza la ragione* La prudenza è un abito che sta nel rettamente fare ; la scienza è un abito delle cose che sempre e similmente furono le medesime; la sapienza viene costituita dalla cognizione di es­imissime cagioni. La mente è il principio e la fonte di ogni bene*

Tre sono le parti della docilità: la diligenza, la memoria e la forza dell* ingegno* La memoria cu­stodisce le cose che uno io addietro imparò ; la forza dell* ingegno consiste nella rapidità dell* in­tendere ; la diligenza sta nell* investigare· col soc­corso di ciò che s* imparò, quello che non si è imparato ancora.

Tre sono le cose che s*intendono sotto nome di' cielot primieramente il firmamento,* in secondo luogo la distauza che è dal firmamento sino alla Itine ; in terzo luogo tutto 1* universo mondo, cioè Il cielo e la terra.

Le cose ottime e le pessime , d ice , sono nate per sempre operare» Dio, cioè, e le piaute. Dio e le cose prossime a lui* sempre operano con le mente e1 con la ragione; e così pure i germi, poiché que­sti notte e giorno si nutrono. L* uomo e gli ani­mali bruti non operano sempre, perciocché per metà del tempo dormono e riposano.

Dice che i Greci sempre i Barbari superarono, a cagione della temperatura delParia in cui vivono* Che gli Sciti e gli Etiopi sempre furono violenti ed audaci , perchè toccò loro un clima mal tem­perato, quelli essendo tormentati dal fteddo, que­sti abbruciati nella pelle dal caldo ( gli uni cosi

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STO&icT « Btoottn norim » $7modo nel loro interno n« gran calore» gli altri eliment andò nmor so v e rc h io . Così quelli che seno vicini alla zooa di mezzo e alle montagne, parte* cipano della temperatura del luogo io cui slaono* Perciò, dice Platone, » Greci migliorarono le di­scipline ricevute dai B a rb a r i , e fra quelli spezial­mente gli Ateniesi. Per questo furono i primi in­tentati dell’au* delta $ue«a e della pittura > e di ogni disciplina meccanica, militare* oratoria, e di Isole «lire specie· Non so°o adunque, come dissi,10 Aieoe le scienze avventizie* ma ivi insite dalla natura per forca del Parla sottile e pura del paese; sicché non solo vi alienus >1 terreno, per lo che PAttica é anche sterile , ma rende fini gl* ingegni degli uomini. £ da ciò reudesi manifesto che Fe­ria sottile nuoce beusl alla terra , ma giova agli ingegni.

I venti elesj spirano ne* grandi calori d’ estate.11 sole, già alto e vólto dai luoghi meridionali al settentrione, scioglie l'umidità verso borea; e Γ u* midi ti sciolta genera Γ aria e poscia i venti , del cui numero sono gli etes| * prodotti dallo spirito càe verso il setteulrione nasce per le sciolte umi­diti. Recensì poi alle opposte parti meridionali ; e la quelle umidità spinte cadouo sopra gli silis­simi monti d* Etiopia , ov<s condensate e copiose tresoo le piogge, dalle quali nel tempo estivo , tetto grosso il Nilo travalica, discendendo da* luo­ghi «astrali e aridi. Così trovò essere la cesa Aristotile con le sue investigazioni. Fu questo un tratto del profondo suo Stendimento ; e perciò erode ite giusto che Alessandro il Macedone man-

gente a que* luoghi, onde ocularmente fosse

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Μ «LASSI Faste*,ehnsra la cagione del crescere delle acque d e l fam e Nilo. Ed ò per questo che Γ autor* asserì*, tee non essere più sopra ciò aleuti dubbio, mani- lestamente apparendo che qual fiume cresee io grazia di piogge. Bensì è maraviglia che ne* patti d* Etiopia sommamente secehi, ove non è mai né inverno nè pioggia» io tempo d'estate nascaoo fii- rtosissitni diluvj.

APPIANO ALESSANDRINO

STOMA SOftttNA, LI sai XXtT.

C. $η È divise in tre volami. Nel primo de* ventiquat* tra libri ond*é composta , trattando de* sette re » cioè di Romolo, di Numa Pompilio, di Anco Osti­lio, dell* altro Anco Marzio, nipote di Numa , di Tarquinios di Servio Tullio , e di Lucio Tarqui­nio , riferisce le loro opere ed imprese* Il primo di questi, quantunque autore e fondatore dell* en ti di Roma* e quantunque piuttosto eoe animo paterno che da tiranno governasse, venne- fatto in pesai, o , come ad altri piacque dire , scomparve* i l secondo, io nulla inferiore al primo oel gover* care, e nel resto più eccellente, terminò decrepito h sua vita. Il terso perì fulminato* Il quarto m oti di malattia. Il quinto fu strozzato da* pasterL II sette fu violentemente ammassato anch’egli. Il set* tin to , e cagione della sua tirannide , fu cacciato dalla città e del regno* Sciolta la monarchia * il governo venne affidate ai consoli. Questo è ciò de che tratta il primo libro, che ha per titolo i# eneo regie de* Romani·

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STOBICI, | · 9M0MM HOfàSt. ggJt liln » secondo contiene le imprese fatta npl-

i* Italia , eccettuatane· la parie che giarda, a l Mar lenk», ed» ha par titolo Le case ticdic&o do' Rommi*

I l lihco ohe segue riferisce le guerre coi San» ssiti, nazione copiosa d* uomini e diffìc ile da do* Bare, cosicché a stento i Rome pi guerreggiandole poterono domarla io otlant*aoPH e nel tempo stette pasta d*altre nazioni che coi Bomani combatterono. Questo libro ha per titolo L* 404* Sumniiicke dm A r n e s i.

H quarto lib ro , perchè narra le guarite che i Romani ebbero ooi Galli, è intitolato Co** de?&&- a s s i Celtiche. £ con quest* ordine proceda negli aitai*

I l quinto è intitolato Caso de* Romani SicidQ e t is m W i, perché espone le loro imprese coi Sicali a eoo gl* Isolani·

Il sesta Cose de* Ramini Iberifhm*U settimo Le coso de* Romani 4 **ibatithe* p

shà riferisce le guerra punica con Annibale» L'ottavo Le eoe* Libiche* Puniche e Num idich^Il nono Lo «ose de* Romani Mactilawchtt*Il decimo Le coso do9 Ramimi Greche, e Jaoichct, L * undecimo Lo cote dei* Romani Siriacks ^

Par tic he.Il duodecimo Le co$*■ do* Romani M itridatiche. f i fin qui sono narrate le imprese d’agni specio

de* Romani eoo la naaioni estere, coli* indicato oin­dine tentiate ne* sopraddetti libri. Quelle guerre pai che, contrastando tra toro * si fecero soutbisw U vento « sodo trattate ne* segueati libri» intitolati

Guerre Civili* primo* secondo, farse, cc » fino al nonOf che è il vcaieauoogtiMiQ dà tutta l’opera#

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go e t t m rane*,H ventesimosecondo ha per titolo ΕΚΑΤΟΝΤΑΕΤΙΑ,

tfhe vuol dire Centuria «Team'·Il penultimo è intitolato Le coio Doriche, l’o l ·

thno Le cose Arabiche. Questa è la divisione d i tutta la Storia dell9 autore .

Me* libri delle Guerre Civili coatengonsi i fatti fra Mario e Siila ; indi quelli tra Pompeo e Ce­stire, dachè anche questi si misero a contrastare ira loro eoe le fazioni, e a oombat tersi con grandi eserciti fìn tanto che la fortuna, favorendo GmÌiot obbligò Pompeo a porsi in fuga. Succedono po­scia i fatti di Antonio e di Ottavio Ce fa re, detto Augusto* contro gli uccisori di Giulio Cesare; n el qual tempo la maggior parte d'illustri Romani ve* a ita uccisa senta processo. F inalmente trattasi di d ò che avvenne tra i due tritimi, Antonio, c io è * ed Augusto , venuti ad orrende guerre fra toro con la strage di molti eserciti; guerre nelle quali Augusto rimase vittoriose, e Antonio, abbandonato da* suoi alleat i e trattosi battuto io Egitto, si diedè da sè stesso le morta Nell9 ultimo di questi lib ri delle Guerre Civili si fa la descrizione déll’Egittor narrasi come quel paese cadde setto il dominio db* Romani, e come tutto l'imperio di Roohi venne in potere del solo Augusto.

Il principio di tutta la Storia è preso da Enoa% figliuolo di Anchiso, figliuolo di C opi, che tro- vossi alla guerra di T ro ja , e ohe, presa e rovi- nata quella città, fuggì, e, dopo avere lungamente errato, voltossi alla costa d'Italia, sbarcando in un luogo chiamato Laurento, ove si additano ancora t suol accampamenti, e da esso lui quella spiaggia è detta Trojana* Regnava ivi allora sui popoli

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STOBICI 2 BIOCBÀFT TltOFiVt. g fAborìgeni d* Italia Faunos figliuolo di Mcrturto, 3 quale diede ad Enea in isposa sua figlia di nome ZeWnia, assegnandogli da quattrocento incirca stadj di terra, dovYgli fabbricò uoa città, che dal nome della moglie chiamò Lavinio. Dopo Ire anni es~ seedo morto Fauno, Enea s'impossessò dello stato di lui come affine, e agli Aborigeni diede, per re*· gione dell* affinità medesima, il nome di Latini, poiché Fauno chiamavasi anche Latino· Tre altri anni dopo , essendosi già contro Enea suscitata guerra dai Rutuli, popoli della Tirrenia, a motivo di Lavinia, stata prima promessa al loro re , egli rimase ucciso combattendo , « gli succedette nel regno Eurileone% soprannominato Ascanio, nato da Creirsn, figliuola di Priamo, che Enea avea avuta In moglie a Troja, quantunque altri dicano essere stato successor suo uo Ascanio natogli da Lavinia* Morto poi questo quattro anni dopo eh* egli avea fondala Alba , giacché fondata egli avea quella città chiamata A lba, e colà avea da Lavitxio con- dotti gli abitatori , Silvio prese le redini del go- verno. Di lui vieu detto figlio Enea Silvio , dt Enea Latino Silvio, e di questo Capi , e di Capi Capelo ; come di Capeto si dice figlio Tiberino, stalo padre di Agrippa% di cui vuoisi figlio uo Ho* m olo, perito per colpo di un fulmine, lasciando un figliuolo di nome Aventino , dal quale nacque Proca. Tutti questi ebbero il soprannome di SU* vio. Due figliuoli nacquero di Proca; Nemiiore (x) fa il maggiore, e il minore fu Amulio. Avendo il maggiore, per la morte del padre, preso possesso

(i) Comunemente à detto Numitore.

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g/x et*»** Fam a,del regno, come ana eredità, H minor fratello vio­lentemente nel discacciò ne uccise il figliuolo d i Home Egesto , e la figlia » chiamata Rem Silvi* » consacrò sacerdotessa, onde non isperasae d 'a v e r prole* Insidiò pure alla vita di Nemik>*e\ ma q n ·* ali trovò salvezza ne* suoi beoni costumi e neUa modestia che tutti in lui amavano. Ma Am , che Contro le leggi del sacerdozio avea partorito, Amur* lio per puuirla Ite iraprigiooò , e due figli* che da lei erano nati diede a ' pastori perchè li alfugas* •ero nel vieie fiume che chiamasi Tevere* lì nome di que* due figli fu di Ramo (t) e Romolo* i quali per parte delle madre venivano a discendere da £ive«f e detestando essi un padre che noo o o « h scovano, maggiormente gloriavansi del nome A I s s a

Incornioeia adunque Appiano, siccome d issi, ta­stone sua da Enea , di fuga procedendo sino a questi} ma poi da Romolo , fondatore della città capitale deir imperio , con molta diligenza tutti i fatti espone, giungendo sino ad Augusto ; ansi , per le molte cose che qua e là aggiunge, può disai. che arriva sino a Trajano.

Qeesto Appiano fu di patria Alessandrino» e da principio esercitò in Roma l’ avvocatura* Pei fu trovato degno di governare province a nome de­gl* imperadori. H suo stile ò leggiero e nulla ri~ (fondante* ma per quanto potò scrisse eoa varaci là la storia* e fu espositor diligente quanto altri mas di tutto ciò che riguarda la militar disciplina·

(t) È detto altrimenti Rèmo$ e dal confronto del nome può argomentarsi che A m o fosse D prime nate·

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SToitos « mws u i t n ortw # φSpecialmente poi ottimamente conobbe Γ arte di rialzare eoi discorso tl coraggio abbattute de9 sei* dati, e di beo esprimere gli affetti ed ogni tesa che col dire passa imitarti. £gli fiori a* tempi di Tr&jùno e di Adrimme.

ARMANO

sToatB rtBTTcn, sivtaicaz zn a n i .

Diciassette sono i libri di questo Arriano ( t) C. 58 <he parlano delle Cose Por ti che. Egli scrisse an­co ni meglio di tutti i fatti di Alessandro, re dei Jfscedoei. Un'altra opera fece che intitolò deWe Cose Bitihicke ; e questa io grazia della Biiimm , di eui era nativo. Avea pubblicato ancora uo altro Vibro intitolato VA Ionica, nella quale raccontata le gesta degli A lani.

Nell'opera prima riferisce le guerre avvenute Ut i Parti e i Romani sotto la condotta di Trm»

imperadore. Egli vuole che 1 Parti traggano l'origine loro dagli Setti * d ie sedessero il giogo da* Macedoni, a eui diaezi etano stati soggetti, la* esoda nella ribellione causa comune co* Persiani· tpfemlroente per la ragione che aiegoe. Arsaee, e Tiridate erano fratelli, nati da Friapka , figlinolo di Arssce. Questi ammassarono , uniti ad altri cinque complici, Ferecle* che Antioco, sopraonorai- oato Dio, avea fatto Satrapo del paese; e ciò a attivo che colui avea tentato dt turpemente, e eoo violenza abusare di uno de* fratelli \ obbrobrio

(>) Svìda lo fa nativo di Nicomedis.

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g4 ctsssz P»I1U *eh'essi non poterono sopportare. Discacciando essi pertanto i Macedoni, si arrogarono 1* imperio, ed acquistarono tanta potensa che poterono affrontarsi da pari a pari coi Romani, e di tratto iu tratto ri­manere nella guerra vincitori.Racconta inoltre che i Parti, al tempo di Sesostris re degli Egizj, e di Fanduso* re degli Sciti, eransi dalla Scizia trasfe­riti ad abitare nel paese che presentemente ten­gono. Ad essi Tra/ano » imperadore de* Romani , avendone indebolite le forze, fatta pace ed alleanza diede un re.

Questo Arriano, filosofo di professione, ed uno degli amici intimi di Epitteto , fiori ne* tempi di Adriano, di Antonino Pio% e di Marco Antonino t imperadori ; e per la singolare sua dottrina fu soprannominato il nuovo Senofonte- Oltre averé avuti molti altri magistrati,giuuse eziaodio ad essere Console.

Scrisse anche altre opere t fra le quali io co · nosco otto libri delle Dissertationi di Epitteto, suo precettore, e dodici libri de* Sermoni del mede* simo. Il carattere del suo scrivere é d* essere andsote; e si presenta vero imitatore di Senofonto. Del rimanente dicesi che abbia scritte altre cose, le quali però uon mi sono fino ad ora capitate alle mani. Quello che é certo, si è che non mancò uò di forza rei lorica, né di sapienza.

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ST O V C I a BIOOMPI ρ ι ο / α κ ι. j>5

A R R I A N O

u u z u n t i s i m a u s m i s k o i l g a a s d i , l is a * vii.

Riferisce come Alessandro fece alleansa cogli C. 91 Ateniesi, e cogli altri Greci, toltone i Lacedemoni, e passato in Asia ruppe i Persiani in battaglia ; al Granico debellò i Satrapi di Dmrio che aveano venti mila uomini a cavallo, e circa altrettanti a piedi ; e ad Isso sbaragliò e volse io fuga Dario medesimo, e l'esercito suo r e ne fece prigionieri i figli e la m oglie; e finalmente presso Arbella, o a Gangamella, viose ancora Dario* il quale poi fug­gendo fu ucciso dai suoi. Essendo quindi stato fatto, ia.vecc di Dario, re fesso, costui fu da Alessandro preso; e per ^attentato commesso contro Dario , coperto d’ob brobrio, ed infine privato di vita, fisrra eziandio 1* autore come Alessandro fu in bsttsglia furilo sette volte , e come levò i tesori ch*erano nella reggia di Patagarda. Indi il sospetto ch’egli ebbe d* insidie contro lui tese da Fi loia che feee uccidere insieme col padre , il qual era Pmrmenione. Che s* impadroni de9 regni de’Sog- diani, e che vinse in battaglia gli Sciti detl*A*ia 1 thè fatto ebbre, avendo ammazzato Ciito, ove ri­pigliò la ragiona, mostrò grande tristezza di quel fatte*, però siccome fìn quando era ragazzo, gli si era insidiata la vita, n*era stata data la pena. Cosi narra come occupò Pietra nel paese de* Sogdiaui, facendo prigioniera la moglie di Oxiartef re di quella regione, insieme con la figlia Rossane9 che poi Alessandro nelle debite forme fece sua sposa*

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q6 e u m n w » ,

Dal paese dei Battr| ito a quello degl* In d ian i , quei popoli scoaftsse ia battaglia , e m oltissim e loro cìiti prese con assedio, tra le quali occupata ch*ebbe A omo, entrò nelle provincia degli A n ca- nori* Poscia fatto eoa navi un ponte sul fium e Indo passò ( e vinto avendo io una sola battaglia Poro, re degl'indiani, cadutogli nelle mani v i v e , umanamente lo accolse, e gli diede regna più s n · pio di quello che prima evesse. Racconta poi o h e i fiumi <TIodia« non mene del Milo, in estate ai gonfiano d'acqua , e ne seno soarsi 1* inverna ; e £* menzione di un certo altro Poro (t) , -aver t e pur regno in India, che dice essere stato uomo d i gran fazione anch'egli. Intanto Alessandro passò il fiume Idespe, e sbaragliò i popoli che ne* c o s ­terni d'e«eo abitavano, e le loro città, grandi « pienissime dubitatori, conquistò ; ed ecco stessi mi fiume Sfasi (a). Ma neWatto che si accingevn e passarlo, i suoi soldati incominciarono a tumultuare, stanchi delle tante sosfeunte futiche, e in certi quando avesse d* aver Tioe le guerra, desiderosi di riposo. Per questo Àleseandro fu obbligato a d abbandonare I* India, e a dar di volta. Qui l'autore termina il suo quinto libro.

Il sesto contiene le moke battaglie che nel sa o ritorno Alessandro dove dare a* nemici, e le v i t ­torie che ne ottenne ; nette quali battaglie, gagliar­damente combattendo, eh re le cinque ferite d iesa i

(O Ciò fortifica la congettura di quagli Eruditi, i quali hanno detto che Paro era uoine dr diguttà, come quello <Ii Faraone, e non ili persona.

(a) Altri Γ hanno detto Eptui e sparti·

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erotici s βιοοβαπ n o rim . 97già riportate, altre due n’ebbe t e quaotunque pa­resse che per la settima dovesse morire, pure ne fu curato eccellentemente. Ritornando daH*India, egli fece il cammino a piedi ,* ma diede una parte dell* eserc ito a N earco, ordinandogli di prendere la via del mare* in Caramania poi tutte le truppe riunironsi. Dalla Caramania egli passò in Persisi e a Nearco comandò che prendesse la strada verso la Susiana* e andasse alle foci del fìttine Tigri. Arriano descrive questa navigazione di Nearco iu dialetto ionico , e la intitola Cote ìndiche.

Dopo ciò Alessandra rislaurò il sepolcro di Ciro caduto in ruina ·9 e permise a Calano , gin- nosofista, che voleva abbruciarsi vivo per non soffrir oltre una malattia , da cui era preso » di morire all’ uso del suo paese. Poi celebrò splendi­damente nozze e sue e di altri. Egli sposò Arsi­noe, figlia maggiore di Dario, e Parìsatide* l'ultima delle figliuole di Oco ; ed avea già dianzi sposata Rossano ; Drupeiina* altra figlia di Dario* diede ad Efestàono» Amastrina a Cratero; a Tolommeo e ad Eumene diede Artacana,e Ariane, figlie entrambe di Artabaso ; a Ncarco, Barsine* figlia di MeUore% e la figlia di Spi tome ne a Seleuco 1 e cosi poi agli altri suoi capitani sposò altre illustri giovani di Persiaus e di Medi, le quali furono circa ottanta, celebratine gli sponsali secondo gli usi e le leggi de* Persiani, Quindi mandò in Mecedonia, tolti di servizio , i veterani di quel paese, ed ordinò ad Antipatro che gli mandasse soldati di nuova leva. In quel mentre Arpalo , rubato avendo il tesoro reale fuggi » e morì Efestione, di che Alessandro fo amaramente dolente , e gli fece funerali d* in-

F o tio , Fot. i . 7

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9 3 CLASSZ FKtMA ,

credibile spesa. Circa quel tempo accadde ancora che ad Alessandro giugnessero ambascia dori dal- l'Africa e da Cartagine , ed anche dall* Italia , siccome l'autore riferisce; e rispetto all'Italia, al vedere gli ambasciadori, predisse che le cose di quel pnese sarebbonsi alzate d'assai. Avea egli gran desiderio di andare in Babilonia; e g l'in ­dovini predissero ch'egli vi sarebbe morto; più fer­mamente poi fu ripetuta la predizione pel caso avvenuto che cert'uno si era posto inconsiderata­mente a sedere sul trono di lui* Non ostante ciò, egli allestì pel viaggio una flotta, per andare eontro gli Arabi, popolo innumerabile che due soli Dei adora,i l Cielo e Bacco ; e mentre preparava queste cose, preso da violentissima malattia cessò di vivere. Della morte di lui varj autori scrissero cose di­verse, ed acche tra esse contraddittorie. Egli visse trentadue anni e otto mesi; e otto mesi e dodici anni regnò. Alessandro viene dall' autore lodato magnificamente pel singolare complesso di quasi tutte le più eccellenti virtù, di cui egli fu ornato. E qui finisce il libro settimo·

A R R I A N O

OZLLB c o s z ACCADUTE UOPO ALKSSAStUKO, ttlBKl X.

£ ‘ 9* In questi libri l'autore comprende la sedizioue dellesercito, e la elezioue di Arrideo, che Filippo, padre di Alessandro9 avea avuto di Filine, donna di Tessaglia ; elettone fatta a patto che avesse a regnare cou esso lui il fanciullo che Rossane era per partorire* come di fatto avvenne, avendo essa

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STORICI X SlOGBiTI ntOPiHI. 99dato in luce un maschio (Alessandro)· Proclamato dunque re Arrideo* gli fu dato il nome di Filippo. Intanto grande contrasto nacqoe, essendo tra loro discordi l'infanteria e la cavalleria. Erano princi­pali e nella cavalleria e tra i capitani} Perdicca, figlinolo di Oronte9 Leonnato* figliuolo di Anteo* e Tolommeo, figliuolo di Lago$ e dopo questi L i­simaco* figliuolo di Agatocle, Aristone* figliuolo di PlseOy Pitone, figliuolo di Cratero* Seleuco* fi­gliuolo di Antioco ed Eumene cardiano: tutti ge­nerali della gente a cavallo : Meleagro lo era della gente a piedi. Dopo molto andare e ritornare di nessi, finalmente si convenne tra Γ infanteria che avea già nominato il re , e i generali della caval­lerìa, che Antipatro avesse il comando della guerra in Europa ; che Cratero fosse il primo ministro del regno di Arrideo \ che Perdicca fosse chi- Iiarca della falange che dianzi avea comandata Efestione: con che veniva ad avere Γ amministra­zione e tutela di tutto il regno t Meleagro poi sa­rebbe stato luogotenente di lui. Intanto avendo Perdicca fìnto di fare la rivista dell’esercito, fece arrestare gli autori della sedizione, e come se tale fosse l'ordine di Arrideo* in sua presenza li fece uccidere : del qual fatto gli altri atterriti si quie­tarono. Poco dopo fece uccidere Meleagro. E come per queste cose Perdicca diventò sospetto a tutti, tutti incominciò ad avere sospetti anch'egli» i quali deliberò di promuovere a'varj governi delle pro­vince, come se così Arrideo comandasse. A T o­lommeo pertanto, figliuolo di Lagot diede l'Egitto, rAfrìca, e tutta la parte d'Arabia, che è attaccata alT Egitto i e luogotenente di Tolommeo fu desti-

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1 0 0 CtASSB FUM A ,

nato Cleomene, il quale da Alessandro era stato fatto satrapo di tutti quei paesi* Laomedonte fu messo nella Siria, Filota in C ilicia, Pitone nella Media, ed Eumene cardiano ebbe la Cappadocia e la Pa­lla goni a , e il paese adjacente al Ponto Eusino, fino a Trapezunte, colonia dei Sinopesi. Toccò ad Antigono la Pamfìlia, la Licia e la Frigia mag­giore; la Caria a Cassandro, a Menandro la Lidia ; e a Leonnato quella Frigia che tocca l'Ellesponto, la quale Alessandro avea data ad un certo Catasso9 quantunque di poi vi fosse stato mandato Demarco* DÌ tale maniera fu allora spartita l'Asia.

In quanto alla Europa , Lisimaco ebbe la T ra­cia, il Chersonneso, e tutte le nazioni confinanti alla Tracia sino al mare che bagna Salmidesso , città del Ponto Eusino. Tutto il paese poi che va oltre la Tracia, sino agl* Illirj, ai Triballi e agli Agriani, e la Mecedonia stessa, e PEpiro sino ai Mouti Ceraunj, insieme con tutta la Grecia, furono dati a Cratero e ad Antipatro. Tale fu questa di* visione , essendo intanto rimasti indivisi gli altri moltissimi paesi, i quali da Alessandro erano stati lasciati sotto Γ ubbidienza di governatori in* digenl In quel tempo Rossane partorì il figlio che IVsercito tosto proclamò re*

Ma tutto continuava ad essere pieno di sedizioni. Antipatt'o fece guerra agli Ateniesi e a tutta la Grecia, la quale avea per suo generalissimo L eo· S ien e . Da prima Antipatro fu vinto, e ridotto assai alle strette : poi rimase superiore $ ma perdette Leonnato che gli avea prestato soccorso. Anche Lisimaco ebbe a guerreggiare molto gagliarda­mente col trace Seuta per mantenersi nel paese

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STOfttCl Z BlOGftAFt FftOFAHf· lO tche gli era stato assegnato t e dovendo combattere eoo poche forse, quantunque si diportasse con gran valore , fu minato· Perdicca dovette venire alle mani con Ariarate, governatore della Cappa* docit, !l quale non voleva cedere 11 paese che era stato dato ad Eumene x Perdicca* dopo aver ri por* tate varie vittorie sopra Ariarate* finalmente t’ebbe in poter suo, e lo fece impiccare; e mise Eumene in possesso di quello stato. Cosi Cratero* accor­rendo con truppe in ajuto di Antipatro, contribui alla vittoria che fu riportata sopra i Greci. Onde poi questi dovettero ubbidire al comando <T entrambi· Tolte queste cose l’autore oarra ne’ cinque primi libri.

Nel libro sesto si racconta come Demostene ed Iperide ateniesi * ed Aristonico da Maratona, ed intereo, fratello di Demetrio Falereo, fuggirono di Ateoe, e audarooo in Egina , dove stanziatisi, a proposta di Demadet oratore degli Ateniesi, furono condannati a mortei il decreto de’ quali Antipatro fece eseguire. Indi si dice come Archia turio, cheli aveva uccisi» ridotto all’estremo della povertà e della infamia, mori; e come poco dopo Demade trasportato in Macedonia fa fatto ammazzare da Cassandro, strozzatogli prima sotto i proprj occhi U figlio· Del qual misfatto Cassandro allegò per motivo che Démodé m addietro avea ingiuriato il padre di lui, mentre scrisse* Perdicca che volesse salvare i Greci, la cui sorte era tutta attaccata ad no filo vecchio e fracido: con le quali parole De* mode aveva deriso Antipatro. Dimarco di Corinto cosi avea giudicato^ e di tale maniera Demade fi­nalmente avea pagato il fio della sua avarizia, del tradimento e d’ ogni perfidia sua.

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toa et asse niMA ,Riferisce inoltre che Tibrone lacedemone uccìse

Arpalo% il quale vìvente ancora Alessandro col tesoro rubato si era rifuggito in Atene; e tolto quaoto di quel te so ro rimaneva ancora ad Arpalo,

prima si era ritirato in Cidooia , città di Creta , poi era passato con un esercito di sei mila uomini a Cirene f chiamala colà dai fuorusciti di Cirene e di Barca t dove dopo essere rimasto vincitore in varj combattimenti, ed aver superate molte insidie, finalmente fu sb a ra g l ia to , e da alcuni Africani ,

condottieri di bighe» preso» mentre fuggiva, fu condotto a TeuchirS» ed ivi dato in mano di JSpi* cide olintio. Avea a costui data a governare quella città a Offella, uom o macedone, che da Tolommeo,

figliuolo di Lago , era stato mandato in ajoto a que' di Cirene. Ora gli abitanti di Teuchira, con permissione dì Offèlt&*àopo avere ben bene frustato Tibrone* Io mandarouo al porto de’ Cirenei, onde c olà fosse crocifìsso. Ma come i Cirenei continua· vano nella ribellione» sì mosse a quella volta T o­lommeo medesimo ; « messo ordine alle cose del paese ritornò in E g it to .

Perdicca a s tu ta m e n te cercava di trovarsi con. Antigono i ma q u es ti conoscendone le insidie, non volle venire a parlamento con lui; quindi nacque fra essi aperta inimicizia. Nel medesimo tempo andarono a Perdicc& dalla Macedonia Jolla ed A r­chia, menandogli in isposa Nicea, figliuola di Anti­patro ; e Olimpia, madre di Alessandro il grande, gli maodò sposa Cleopatra, sua figlia» Eumene cardiano il p e rsu a d e v a a prendere 'Cleopatra , ·

Alceta, suo fratello» fu consigli ava a preferire le nozze di Nicea\ e il consiglio di costui prevalse·

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STOMCl Z BlOGBAri ffiOFAKl. Jo3Non molto dopo accadde la strage di Cimane, opera di Perdicea* e di suo fratello Aletta.

Questa Cinane avea avuto comune con Alessandroil padre ; ma per madre Euridice* ed era stata moglie di quell’^mmta che Alessandro aveva fatto morire sul punto che movea per la sua spedizione in Asia: quell*Aminta così morto era figlio di Perdi cca% fratello di Filippo, e cugino di Alessan­dro. Ora quella Cinane conduceva sua figlia Adea* poscia chiamala Euridice, ad essere sposa di A r­rideo 4 e ciò seguì di fatto, acconsentendovi lo stesso Perdicca* a fise di sedare con quelle nosze i tumulti de* Macedoni, i quali crebbero sempre più per la uccisione di Cinane.

Antigono intanto si rifuggì in Macedonia presso Antipatro e Cratero % significando loro le insidie tesegli da Perdicca* e facendo loro sentire che al­trettanto aveano da temere per essi stessi· Esage­rava poi il tragico fine di Cinane * e con queste cose gl* infiammò a muover geerra a Perdicca.

ir r id e o ,che custodiva il cadavere di Alessandro, contro la volontà di Perdicca* con quel cadavere andò da Tolommeo, figliuolo di Lago* da Babilo­nia viaggiando per la via di Damasco verso l*Egitto. E quantunque Polemone , confidente di Perdicca, gli moltiplicasse ad ogni tratto le difficolti, superò tutto , e riuscì nel suo divisamento.

Nel frattempo Eumene recò in Sardi a Cleopa- Ira i regali di PerdicCa $ il quale avea già stabi­lito, ripudiata Nicea, di sposare Cleopatra in luogo di quella. U che subito che seppesi« e fu Menan­dro satrapo della Lidia che lo manifestò ad A n­tigono , e Antigono poi ne partecipò la nuova ad

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Ιθ4 CttASSS t»A,Antipatro e a Cratero, questi vieppiù vivamente eccitaronsi a fare a Perdicca la guerra. Onde An­tipatro e Cratero dal Chersonneso passarono PEU lesponto, ingannando con astutia i custodi della opposta riva ; e mandarono confidenti ad Eumene e a Neottoiemo* ambedue indisposti contro P er· dìcca% Neottoiemo solo però si mise d'accordo con essi, noo cosi Eumene·

Da ciò Eumene cominciò a sospettare di Neot- tùlemOf e si fecero guerra 1* un l'altro : nella quale guerra essendo rimasto Eumene superiore di furie, Neottoiemo fuggì eoo pochi de* suoi ad Antipatro ed a Cratero* ai quali seppe persuadere che Cra­tero gli fosse compagno ia sostenersi contro Eu­mene. Nò si pose iodugio nella impresa ι e tolti e due vennero eoo Eumene a giornata# Costai mise ogni suo ingegno in fare che i suoi non sapessero d’avere Cratero contro , onde per la riputazióne di tale uomo noo abbandonassero il suo campo , e passassero a lui, oppure, quando restassero seco, noo perdessero l* antica fidanza. Egli poi, e con l ’ astusia industriatosi, e ben riscaldato avendo il suo esercito, restò vincitore. Neottoiemo fu ucciso per mano del segretario di Eumene medesimo, quantunque fosse uomo pieno quanto mai di sciensa militare, e guerriero gagliardissimo\ e Cratero* menando le mani addosso a chiunque si allac­ciava, e procedendo a modo da essere conoscinto da tatti, venne ucciso da alcuni Pafìagoni che noi conobbero, sebbene si fosse levato di testa Telmo# Da quella battaglia però le truppe pedestri ritor» narono salve ad Antipatro, il che ridonò coraggio, e diminuì la paura.

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STORICI 8 hlOCBAri PBOrAHl. 1 0 J

Perdicca partitosi da Damasco per assaltare TchmmeOf figliuolo di Lago* eotrò in Egitto coi « (i) e coll’esercito. Ivi di parecchi delitti acca­sando Tolommeo f e questi presso la moltitudine gioslifìcandosi , 1* accusa parve si ingiusta, che i soldati aveauo ripugnanze ad entrare in guerra. Perdicca però la volle a tutta forza ; nella quale guerra rimasto più volte succurabeote» e fatto assai aspro a quelli che volevano passare a Tolommeo, e piò superbo di quello che ad un generale sie permesso » de9 suoi stessi csvelieri , mentre combettevasi, vende ucciso. Al cootrario Tolom*

morto Perdicca , passando il Nilo andò a riverire i re, e con doni e con graziose maniere a que'prmcipi, e a tutti i primati Macedoni si mostrò affettuosissimo. Anzi palesemente mostrò dolersi del caso degli stessi amici di Perdicca t e a tutti i Mace­doni ch'egli vedesse in qualunque augustia» o b i­sogno, prestò ajuto eoa fatti, e conforto con buone ragioni, e da ogni timore spezialmente li liberò* Cosicché fio d’allora, e di poi fo ampiamente in- dato da tatti.

Tenutosi poscia un. gran consiglio, in luogo d i Perdicca9 fu dato per allora il comando generale delle troppe a Pitone e ad Arrideo ; e cinquanta de* partigiani di Eumene e di Alceta vennero con* dannati, massimamente per la uccisione di Cra­tero* seguita come si ò di già accennato. Fu quindi chiamato da Cipro Antigono » e così pure Antipatro » onde immediatameute si unissero ai

(■> Arrideo c io è , ed Alettandro, figliuolo diilonenc.

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Io6 CtASSZ n u l i ,re ; e come questi tardavano, Euridice non per* metteva che Pitone ed Arrideo facessero alcuna cosa senta eh* essa ue fosse informata. Essi da principio non si opposero ( ma poi considerando ch*essa non entrava negli affari di Stato, risposero, la somma delle cose toccare ad essi fin tanto che non fossero giunti Antigono ed Antipatro i i quali ultimi essendo finalmente arrivati, gli affari furono messi in mano di Antipatro ; e allora l’esercito domandò i premj che Alessandro avea promesso» Antipatro non trovandosi avere quanto occorreva, rispose trovar giusta la domanda, e che per non esporsi al giusto sdegno de* soldati, soggiunse che fatta avrebbe ogni opportuna ricerca e ue* regj tesori ed altrove onde provvedere! il che non piacque ad essi gran fitto. Per lo che, fomentando contro Antipatro Euridice medesima le incolpa· zioni , si eccitò gran tumulto nella moltitudine ( nel qual tempo essa arringò contro di lu i , l’ora­zione sua riferendo Asclepiodoro , suo segretario, ed oltre lei arringò pure nel senno medesimo A i­talo) e fu miracolo che Antipatro noo fusse messo in pezxi} il che non segui per aver preso le parti di lui presso la moltitudine Antigono e Seleuco,i cui officj Antipatro avea invocati \ il quale ed essi corsero non poco pericolo della vita. Salvato cosi Antipatro dalla morte, andò ad unirsi alPesercito suo, e chiamati a concilio i comandanti della ca­valleria, e fatta cessare la sedizione , egli fu ri te· nulo, come prima, alla testa degli affarf.

Allora fu da lui fatta una divisione dell*Asia, in parte confermando l’antecedente, e in parte in - novando, come la necessità de*tempi richiedeva»

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stouci s Btoeam norim · to fEgli lasciò a Tolommeo l'Egitto, la Lib ia, e tutta quanta Γ Africa coi paesi conquistati, giacenti al tramonto del sole. Assegnò la Siria a Laomedonie di Mitilene· Filosseno ritenne la Cilicia che diansi gli era stata data. Tra le satrapie superiori, mise nella Mesopotamia e nelPArbello Amfimaco, fratello del re : Seleuco in Babilonia i in tutta la Susiaoa Antigene che era stato il primo ad assaltare PerdiccOf e che era capitano degli Argiraspedi. In Persia confermò Peaceste ; diede la Caramania a Tlepo* lemo * e a Pitone la Media sino alle Porte Caspie# Fece governatore de* Parti Filippo ; degli A r j, e dei Drangeni Stasandro $ della Battriana e Sogdiana Stasamore ; e degli Aracotari Sibirgio. O ziarla , padre di R o ttane , ebbe il paese de* Para pam isj ; e 1* adiacente spiaggia degl* Indiani ebbe Fifone» figliuolo d i Agenore· Finalmente per ciò che con­cerneva le vicine satrapie, quella che è sul fiume Indo, e Pa la la , che Ò la città più vasta di quella parte d* India , toccò a Poro ; quella che è sul*1* Idaspe , fu data a Tastilo , indiano ancb* egli $ e ciò per la ragione che non era cosa facile il le­vare que* due principi dai paesi dati loro da A let* s*ndro9 e in cui aveano già acquistata gran po­tenza. O ltre queste distribuzioni furoovi quelle che sieguono. A i Cappadoci, che del monte Tauro stendonsi verso Borea, fu destinato Nicanore. An* tigone ritenne, come avea tananai, la Frigia mag­giore, le Licaonia, la Pamfìlie e le Licia. Atsan- dro ebbe la Ceria*, ditone la L id ia , ed Arrideo la Frig ia giacente sull* Ellesponto. Antigene poi fu mandato a Susa per raccogliere danaro , e gli furono dati que* Macedoni che più aveaoo tumul-

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Ι θ 8 CtASSS PB1MA,

tuato , i quali erano da tre mila. Antipatro nel tempo medesimo nominò per la guardia , e per l'accompagnamento dei re Auto fico » figliuolo di Agatocle , e Am inta, figliuolo di Alessandro, e fratello di Peuces te. Tolommeo* figliuolo di To+ fommeof ed Alessandro, figliuolo di Polispereonto» Cassandro, suo figlio, fece chiliarca della cavalle* r ia ; e alle truppe, a cui dianzi comandava Per* dicca, prepose Antigono, al quale affidò anche la cùra e la custodia dei re , e gli diede di p iò , se volesse ? V impresa della guerra contro Eumene* Egli , con assai lode di tutti per avere cosi ben disposte le cose, ritornossi a casa. £ finisce qui il nono libro.

Il libro decimo riferisce come Eumene, udito il caso di Ptrd icca 9 e che i Macedoni lo aveano di* cbfarato nemico, apparecchiò quaoto era necessario alla guerra, e come Alceta, fratello di Perd icca , avea cercato di salvarsi con la fuga. Cosi fatto avea A ita lo , il quale noo era stato da meno degli altri a dipartirsi da Antipatro t onde unitosi con gli altri esuli, avea finalmente potuto mettere Ìn~ sierae un esercito di dieci mila fanti , e di otto* cento cavalli £ e con queste forse aveva tentato di prendere Cnido, Cauno, e Rodi. Ma dai Rodiotti, la cui armata navale era comandata da Demarato, era stato valorosamente respinto» Riferisce ancora questo libro, qualmente era mancato poco che An· tipatro* recandosi a Sardi, non fosse stato assaltato da Eumene. Se non che C leopatra, sorella di Alessandro* perchè i Macedoni non la credessero cagione della guerra , e noo le ue facessero un delitto, avea indotto Eumene a partirsi di Sardi*

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STORICI z ΒΙΟΟ&ΛΠ rsoriiu. 109Nonostante q uesto, giunto colà, le avea fatti acerbi ed ingloriosi rimproveri per la sua amicisia , e per l'intelligenza ch'egli diceva «vere essa, ed avere avuta con Perdicca e con Eumene. Su di che però essa erasi difesa piò che da doona potesse sperarsi giammai ; ed a vicenda avea fatto assai rimproveri ad Antipatro ; e infine si erano divisi rappacificati.

Aggiunge che Eumene improvvisamente inva­dendo il paese dei popoli vicini, noo soggetti a lui, ne avea tratto gran bottino, e grossissime somme di danaro, con cui molto bene erasi il suo eser­cito acconciato. Ed avea spediti inessi ad A la ta , e a* compagni di questo perchè unissero le loro truppe alle sue « e con le forze comuni s'andasse contro a* nemici» Né Alceta però, nè i suoi com~ pagai si e rano di ciò persuasi· Antipatro poi, non fidatosi ancora di assaltare Eumene* avea mandato Assandro a combattere Aitalo ed Alceta. La bat­taglia tra questi era stata di sorte eguale: però Assandro erasi ritirato.

£ra nata qualche discordia tra Cassandro ed Aatigpno; ma Antipatro , entrato di mezzo, avea fkuo deporre al figlio ogni male umore. Poscia Cassandro erasi in Frigia unito al padre, eccitan­dolo a non tenersi troppo lontano dai re, e a so­spettare di Antigono: ma questi temperando le cose con prudenza, e mostratosi in varj incontri ossequioso» e d’altronde fornito essendo di virtù , avea dissipato ogni sospetto : cosicché Antipatro, si mitigò i e di quelle truppe che seco avea con­dotte nell'Asia, diede ad Antigono otto mila e cin­quecento fanti, di nazione macedoni, egoal numero d* uomini a cavallo di razza straniera; e la metà

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S io CLASSZ PKtUi,degli elefanti, che furono settanta ; e tutto ciò per* chè potesse piò facilmente far guerra ad Eumene* Antìgono avea incominciata quella guerra} e An­tipatro , presi seco Ì re , e le altre truppe, erasi incamminato per passare in Macedonia· I soldati intanto si erano messi nuovamente in tumulto chiedeodo danaro; ed Antipatro avea promesso che, giunto ad Abido, avrebbe fatto ogni sforzo per contentarli, e forse dato loro il premio intero , o per lo meno sicuramente più della metà. Con ciò essi acquietaronsi. Ma giunto in Abido , di notte tempo Insieme coi re, varcato Γ Ellesponto, ingan­nati i soldati, passò a Lisimaco. 11 giorno dopo tragittarono anch* essi, per allora non parlando d’altra domanda. E qui finisce il Bbro ultimo·

Non è questo autore da posporsi ad alcnno di quelli che scrissero bène la storia; perciocché da una parte nelle sue narrationi è breve, e non ne rompe il filo nè con digressioni importune , nè con soverchia parentesi; e dall'altra, pieno di d i­gnità, con una certa sua novità industriosa p iù nell’andamento della orazione che nelle parole, giunge a tanto che non può desiderarsi narrazione piò chiara e splendente della sua. Egli adoperando modi di dire significativi, sonanti e lisci, il discorso tempra così che lo rende eguale e grandioso in ­sieme ; e dove novità induce nelle parole, non d<t troppo lungi egli le trae, ma da termini vicinissim i : con che sì gran lume reca all'orazione, che sem­bra dare piuttosto abito e gesto, dirò cosi , alle parole che cambiarne il significato consueto: onde nasce poi perspicacità non solo in questa parte, na iu tutto l’apparato, nella disposizione » e mas-

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STOBICI S SlOQBAFl MLOFA1TI· V f f

«munente nella composizione delle cose che narra t artificio tutto di perspicaci tà notabilissima. Usano per lo più scrittori nullamente dotti periodi sem­plici e sodanti, pe* quali l’orazione riesce bassa ed inerte, singolarmente se non ne venga la co­struzione mai variata t né l'autore, comunque ciò gravi alla chiarezza , mai s’attenne a tal metodo. Parimente egli riesce ingegnosissimo nell’uso delle elissi in mezzo a’ tropi ; chè non trincia egli il giro delle parole, ma beosi le sopprime in modo che non lascia punto segno, onde accorgerei delta man­canza delle medesime; e in ciò mette tanto inge­gno che se vuoisi porre quello che manca, appa­risce piuttosto aggiuuta cosa superflua che supplito al difetto. Eg li ottimamente adorna anche l’orazione sua eoo figure t nel che fare con procede di su­bito* né c a m b i a l’ovvio e naturai uso di tutte in­sieme le parole ; ma il fa a poco a poco, e sin da principio adopera tale mistura che uè per sazietà cagiona nausea, nè turba la mente per mutamento repentino. In fine dico che se alcuno, dopo avere letta l*opera d i questo scrittore· volgesi alle storie degli altri, vedrà molti anche degli antichi essere* lei inferiori.

A R R I A N O

LE BIVIKTCBZ, LIBAI ΤΠΙ·

Io questi lib ri A rriano diligentemente descrive C. 9 3

le favolose tradizioni, e tutte le altre cose riguar­danti la B itin ia , con essi facendo la storia della sua patria, e alla patria sua offerendola· Imperci oc-

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112 CLISSZ PZÌM4 ,

chè in quest’opera egli dimostra trarre l’origine sua da Nicomedia, e in quella città essere nato, e statovi allevato; ivi avere avuta Γ educazione let­teraria, e il sacerdozio di Cerere e di Proserpina, figliuola di quella; alle quali Dee scrive che la città di Nicomedia era sacra.

Γη quest’ opera fa anche menzione di altre sue opere; una delle quali contiene le Imprese in S i- cilia di Tmoleone corintio » un* altra i F a tti di Dione siracusano^ quando questi Siracusa e tutta la Sicilia liberò dalla tirannia di Dionigi secondo, figliuolo del primo D ionig i, noo meno che dai Barbari, che a sostegno nella tirannia sua Dionigi avea chiamati colà.

Si vede che l'opera riguardante la sua patria fu da Arriano nominata la quarta, cioè dopo le sto­rie di Alessandro il grande, di Timoleontei e di Dione\ averne bensì concepito prima il disegno, ma più tardi compiuto il lavoro per la ragione che per trattare dell* argomento di quest* ultima avea avuto bisogno di quanto contenevasi nelle altre. Egli medesimo espone questo motivo d'averla dianzi sospesa , e d* averla più tardi pubblicata. Credette poi d*incominciarla riferendo, come dissi, le cose favolose ; e la continua venendo fino alla morte di Nicomede, ultimo de’re del paese, il che morendo lasciò per testamento il regno ai Romani, i quali aveano già cessato di ubbidire ai re fìn da quando fu da Roma espulso Tarquinio il superbo.

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SToaici a b io c j u f i ρκοραιτι.

CANDIDO

U B IL I U t DI STOaiS.

Incomincia la storia dalla elezion di Leone %C . 7 9

nativo della Dacia illirica , il quale essendo co­mandante di un corpo d’esercitp, e delle coorti di Selimbriani, ottenne l’imperio per opera di Aspare· Questo Aspare era alano di nazione , fino dalla prima sua età militare , che, sposato avendo tre donne, n’avea avuti tre figliuoli, A rdiburio , P a ­trizio ed Ermenartco* ed oltre questi due figliuole* Principia adunque, come dissi, io storico dal regno dell* imperadore Leone , e termina alla proclama­zione di Anastasio.

Candido ebbe per patria, siccome egli medesimo contessa, quella parte della Isauria che chiamasi Trachea* o vogliau dire Aspra. Fu tabellione o noujo di professione, servendo ai priocipali presso gl'Isanri; e di religione cristiano, ed anche ortodosso, poiché loda molto il quarto concilio, e giustamente ne combatte gl* impugnatori.

Lo stile della sua storia non è felice ; egli abusa delle frasi de* poeti senza scelta e da giovane ine* aperto ; e la sua composizione riesce dura e scon­veniente come suol essere ne* ditirambi ι e quando non siegue questo metodo cade in un andamento lo ito e sgarbato. Nell* innovare in ordine delle co­struzioni, lungi dal servire, come fanno gli altri, a dare all’orazioue maggiore ornamento e venusta , la reode fastidiosa a chi Tede, e spoglia affatto d*ogni piacevolezza. Qualche volta poi accade che

Foz io , V o i. I . 8

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I 14- CLASS* N tIM * ,

fatto selle parole migliore di sé medesimo, ti pre* senta una storia, la quale pare tutt’altra da quella che dianzi avevi sottocchio. Costui pretende che 1* Isauria abbia preso il some da Esau ! !

Nel primo libro espone la potenza di Aspare e de* suoi figliuoli, e la elezione di Leone fatta (are da Aspare. Parla dell* incendio della città ( Costantinopoli ) e di quanto per ben pubblico in tale congiuntura Aspare operò v poi di Tiziano e di Fipiano ; e come a cagione di essi Aspare venne a contrasto coll* Imperadore * e le parole ch'ebbero a dirsi insieme. Da ciò ebbe F lmpera- dore motivo di far lega con la nazione degl* Isauri, servendosi di Tarasicodisa, figliuolo di Rusumbla- deoiot che cambiato il nome in quello di Zenone ftce sno genero, essendogli morta la prima moglie. Ardaburio , per opporsi a lf Im pei ad ore, pensò di farsi pattigiani gl* Isauri. Un certo M artino, fami­gliare di Ardaburio* partecipòa Titrasicodisaqtixnio Ardaburio macchinava contro 1*Imperadore. Cre­scendo ogni giorno più dall*una parte e dall’altra i sospetti, l* imperadore Leone fece ammazzare Aspare, e i suoi fìgli Ardaburio e Patriz io Cesare, sebbene questi, eoo tutto che ferito, risanò, e visse. Fu salvo dalla strage anche Brmenerico per la ra­gione eh* egli era loutauo dal padre. Leone adun­que fece Tarasicodisa ivo genero, dandogli in isposa la figl» Arianna, e nominatolo Zenone, quindi10 creò generalissimo dell’esercito in Oriente#

Il oo*tro autore racconta ancora quanto in bene e in male fece Basilisco nell’Aifrica, come tentando Leone ogui mezzo per far proclamare iinperado te11 geoero? neo potè riuscirti, opponendoti*! il p o ­

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s t o r ic i s a to O R ir t r a o r s v t . I i 5

polo; ma peiò poco prima di morire creò impe­radore il nipote , nato da Arianna e da Zenone : cosicché, morto Lui, Zenone* con asseusodel senato, da suo fìglio Leone fu coronato imperadore» Qui fa l'autore una digressione descrivendo una genea­logia degi'Isauri, e cerca di persuadere ch'essi sono prole e posteri di E*au. In appresso racconta come Zenone% ingaunato da Ftrina* fuggi con la moglie e U madre, abbandouaudo la capuale e l ' imperio i e Ferina* sperando d 'unirsi al patrizio Maestro % e veder lui imperadore, macchinò fraudolentemente quella fuga di Zenonet suo geuero * ma che nelle tue speranze ingaunossi , poiché i magistrati pro­clamarono imperadore suo fratello Basilisco· Ag­giunge la strage orrenda che in Costaotiqopoli fu Ìàtu degl* Isauri; e come dopa NepóU , impeia~ dorè dei Romani, Augusto lo fu posto sul trouo dell* imperio romano da Oreste* suo padre. Queste sono le cose che Candido raccouta nel primo libro.

Nel secondo racconta le seguenti ? 11 patrizio M aestro, che aveva iutima convivenza cvn Ferma, adeguatosene Basilisco % fu ucciso. Per lo che piena d*odio contro di lui, e postasi c q u ogni sua possa ad ajutare Zenone onde ricuperasse l* imperio, dal fratello ebbe a soffrire ogni genere di m ali, e sa­rebbe stata anch’essa tolta di vita, se Armato non l’avesse nascostamente tratta via da un tempio, in cui si era rifuggita. Questo Armato p o i, adulte­rando eoo la moglie di Basilisco venne iu somma potenza, dimodoché gli fu affìdata la guena che fa- cevasi a Zenone* a cui però con certi patti si uni per maneggio d 'ilio . Ma cou tutto l'ascendente che costui avea preso setto Zenone % tanto che era gniuto

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a veder fatto Cesare suo figliuolo, Basilisco di nome anch’egli, fìnì messo iu pezzi; e il giovinetto Cesare venne iniziato lettore in Blacherne» Prima di queste cose Basilisco avea nominato Cesare suo fi­gliuolo M arco, e poscia anche imperadore. Intanto Ìlio , proeurata a Zenone Γ amicizia di Arm ato, attese a ricuperargli il trono; e fatta grande sol­levazione contro Basilisco , questi fu obbligato a rifuggirsi con la moglie Zenonìde% e coi figliuoli in un tempio, da cui per le fraudi di Arm ato fatto uscire, e confinato in Cappadocia, poco dopo con tutti i suoi fu ammazzato.

Turbando qnell’empio Pietro ( i ) la chiesa d’O- riente, Zenone imperadore spedì Calandione per- ehé fosse cousacrato vescovo della sede antiochena. Ed avendo I’ istesso imperadore grande bisogno di danaro, gli furono additate molte mauiere di accumularne. Assai persone che volevano far novità nello Stato, vennero punite. Ilio egregiamente giovò all’ imperio con valorose imprese di guerra , e con operazioni saviissime di governo, e singolarmente facendo esercitar la giustizia. Dopo la morte di !'Nepote, Cesare romano, e la cacciata del suo suc­cessore Augusloloi s’ impadronì dell’ Ita lia , e di Roma stessa Odoacre. Ribellatisi poscia a lu i ΐ Galli di occidente,e mandati ambasfciadori a Zenone da essi, ed altri da Odoacre, Zenone inclinò più verso questo. Un Alano teutò di uccidere IU o * ed avendolo ferito, dichiarò d'essere a quel fatto stato subornato da Epinicio% domestico di Ferina ·, oode Epinicio fu dato in mano d'7//o, il quale gl u ra ta-

i ì 6 classe pb ima ,

( i ) Denominato Pattane.

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STOBtCI * BtOGBiPT ΤΒΟΓΑΚί. I tJgli diment icanza delt’assassmio, ed anche premio , raccontò le trame da Ferina ordite con irò lUo onde Zenone diede ad Ilio qnella donna che re­legò in un castello di C ilic ia , e cosi si pose in sicuro. Ilio, per opera di Mario, divenuto caro a Pamprepio, uomo empio, a poco a poco turbò tutti gli affari di costui. Zenone ebbe a sostenere una guerra civile ed intestina, essendo contro lui in­sorti Marciano e Procopio, figli di Autemio che avea regnato iu Roma ; ed avendoli lUo vinti setto gli auspizj di Zenone, Marciano , il quale era il maggiore, fu ordinato prete, e Procopio riparossi nella Traeia presso Teuderico. Marciano poi, fug~ gito, e ramingo in Cappadocia, mise a rumore la Galizia prossima ad Ancira, finché, preso, veone relegato nella Isauria. L* imperadore concepì odio contro Ilio , e lo accrebbe· Queste sooo le cose da Candido r iferite nel secondo libro·

Il terzo tra le altre molte cose contiene come Ilio apertamente s’alzò contro Zenone ; come d’accordo con Ferina , proclamò imperadore Leonzio $ e come, r imasti succumbenti, e presi, finissero deca· pitati. Prosegue poi narrando gli altri avvenimenti fino alla morte di Zenone.

C E F A L E O N E

LE m use, o sia e p it o m i storica, l ib r i tx.

Cefaleone prende incominciamento da Nino e 0.6$ da Semiramide^ e prosegue sino ai tempi di Ales· sandro il grande. Tutta questa storia è compresa in nove lib ri, a ciascheduno de9 quali premette il

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I l8 CLASSZ FBIKà ,nome di una delle nove Muse, C/io, Talia. P oliti' niaf Melpomene , Tersicore , Euterpe , Calliope, Jfrato ed Otania. In coiésta Opera egli riferisce anche le imprese di Alessandro* re de’Macedooi.

Usò il dialetto fonico,* e tale brevità, oltre ogni convenienza, adoperò che, fuori del nudo racconto de* folli, nnHa rimane uè da ammirare, nè da imi* tare. Stirpe e patria, ad esempio di Omero. come egli noi criega, lasciò sotto profondo silenzio. Ap­pare nondimeno che scrisse questa storia in Sici­lia , dove vivta esule. Cosi costui tacque patria e stirpe, cosa che pur era necessario d ire; e fece sapere l'esilio , cosa che dimostra animo basso. £ di piccot animo ancora d'uomo che non ricusa ima gloria vana e puerile, il dimostra abbastanza il vantare che fa i tanti scrittori da lui consultati per compilare la sua storia. Imperocché dice che il libro primo è composto sopra cinquecento set­tanta lib ri, de’ quali annovera Ireut’uo autori; il secondo sopra dogento otto, di venticinque scrit­tori | il terzo sopra seicento, di venttsei scrittori ; i l quarto di sopra ottocento cinquanta » opere di trentasei autori; il qa ioto sopra dugento, di venti- sei . . . » il nono sopra . . . . ( i ) di trenta scrittori. Questa è la storia dt Cefaleone (? ).

( i ) Sono periti i numeri de1 libri, e dtgU autori ove qui v<*gge{ui omessi.

(a) Noi avremmo d federato che Fozio avesse data In serie delle cose trattate d* Ctfittone » perciocché quelle che riferivanst ai ptu remoti tlaspi non potevano non essere dì notabile importanza.

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SToaiCI E ΒΐΟΟ ΗΑΠ J> Sor AHI, 1 1 9

C O N O N E

BACCONTI·

APOLLODORO GRAMMATICO

B BMOTECA.

Q uesto de' Racconti di Conone è un opuscolo C* che l'autore dedicò al re Archelao Fdopatore\ e que' Racconti, che sona cinquaota, raccolse da'varj scritti degli amichi.

I l I é di Λfida e de* Brig ib i. Dice egli in que­sto come M ida trovato aveodo un tesoro, tosto diventò uomo opulentissimo* e come «dite Orfeo sul monte Pierio, con verj arti fu j giunse a regnare su i Brigibt ; come regna ode Mida* presso il monte B rirn io apparve S iίeoo» al qual monte que% popo­lan i feqneotemente recavaosi a stanziare) e come fosse colà coodotio quel vivente, di pellegrina ed inusitata fui ma, tatto che avesse pure natura e indole um ana; come tutte le cose che a M ida presenta­n o s i da mangiare, sì convertivano ia ore ; e eoo ciò persuasi i suoi sudditi a passare daH' Europa all'Eilesponto, andasse ad abitare oltre la Misia, eoa poco cambiameoto di lettere i suoi Brigtbi ch ia­mando Frig i. M ida poi, secoodo molti emissarj, i qual) gli riferivano checché dicessero e facessero i suo i sudditi, si salvò da ogoi insidia, e seguitò a re­gnare sopra essi fino all*ultima vecchiaia. Fu dedo per questo ch’egli avea lunghe orecchie; e a poco• poco le fuma glie le cambiò in orecchie d’asino,

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Ilo CLASSE ΓΗΪΜΑ ,di modo che quello che per ischerzo da principio si figurò, fu col tempo creduto come vero·

Il l i Racconto è quello di Bibti. Fu essa fi­glinola di M ileto , e sorella di Canno. Abitarono Mileto, città dell’Asia, ove poi si stabilirono gl* Jonj che da Atene colà passarono con I9ileo | ma allora vi stavano i Carj, popolo numeroso, e che viveva a borgate. Cauno% innamoratosi violentemente della sorella, non potendo averla alte sue voglie, sebbene ne tentasse tutti i mezzi, abbandonò quella terra; e quando non si vide piò comparire, B ib li, estre­mamente addolorata « lasciò auch’ essa la casa pa­terna, e vagando per lungo tempo per luoghi d e* serti, poiché vide ir vani i suoi affetti, disperata, fattasi un laccio con la sua fascia, si appiccò ad una .noce· Dalle lagrime sue ivi'nacque uua fontana che gl'indigeni chiamarono Bibli. Cauno intanto, erra­bondo aoch*egli, capitò finalmente nella Licia. Iv i una delle N a jad i, Pronoe di nome, uscendo del fiume gli rammentò quaoto era accaduto a B b l i , e 'come l’amotfe Pavea indotte a morire t poi lo esortò a prendere lei in moglie ; con che sarebbe divenuto re di quel paese che scaduto era già a le: medesima. Così Canno ebbe da Pronoe un figlio* chiamato Eg ialo , il quale, morto il padre, ebbe il regno ; e raccolto il popolo che abitava sparso qua e là , edificò sul fiume una grande e ricca città che dal nome del genitore chiamò Caunica.

I l I I I è questo. Sul mar Jonio, non lungi dal* P E piro e da* monti Ceraunj, v* è un* isola detta Scberia. Essa fu abitata da* Feacj che da principio ne furono gl* indigeni che trassero il nome dai re del paese» fino a tanto che uua partita di Corintj

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«Tonici t ΒΤΟβλΛΠ rtOPANT' passò colà, e ne cambiò il nome in quello diCorcira e Corfò, la quale ivi tenne l'imperio del mare* Morto Feacet re delibisela, i figli di Ini, Alcinoo e Locro venuti tra loro in discordia, convennero finalmente che Alcinoo regnasse iv i , e che Locro, tolte le cose preziose, ed una porzione di popolo, partisse dal paese. Ora costui navigando verso 1* Italia, fu accolto ospite da Latin o , re de^li Ita li, il quale gli diede anche in isposa Laurina, sua figliuola t onde venne che cotesti Feaci Itali fossero detti Locresi. Accadde poi che In quel tempo arrivò in Italia Erco le dall’ Eritia ( i ) , menando le famose vacche di Gerione ) e che fu da Locro ben accolto ed alloggiato : le quali vacche vedute avendo L a - tiitOf in occasione eh* egli era andato a far visita alla figlia, tanto gli piacquero che non dubitò condurle via. Ma Ercole ammazzò luì con un dardo, e le sue vacche ritolse. Se non che all*atto che an­dava addosso a Latino, temendo Locro che poteste accedergli alcuua grave sventura , trattandosi che Latino era uomo di gran coraggio, e robustissimo, cambiatosi di vestito accorse in ajuto dell* ospite suoi ma da Erco le non conosciuto, e tolto anzi per uno che corresse a fare spalla a Latino , lui pure con no colpo di saetta uccise: e poiché si av­vide dello sbaglio, l*amico pianse, e gli fece le debite esequie, e morto che fu apparve a quel popolo, ordinandogli di fabbricare una città in quel luogo medesimo, in cui era il sepolcro di Locro* E alla città rimane tuttavia il nome ; e con quel nome onora Locro . Questo è il terzo Racconto·

( 1) Esperia*

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I i a CLASSE PKlMà ,

ila perché e questo,e i primi due l’ho io poco meno che trascritti di parola in parola, iutanto che sono essi m olti, e vogliono piuttosto essere accennati brevemente ?

Nel IV si parla dell* città dì Olinto e di Stri- mone, re dei T rac i, daodod ragione dell* essere stato chiamato cosi il fiume che una volta dicevasi Eoneo· Tre figli si suppongono nati a quel r e , Branga, Reso ed O ì:nto, fra i quali Reso, militando a favore di Priam o a Troja, fa ucciso da Diomede ; Olinto, affrontato avendo spontaneamente un leone, mentre si trovava a caccia, restò morto da quella fiera, fatto poi seppellire io quel medesimo sito da suo fratello Branca che molto il compianse ; il qual Branga ito uella Sitonia, ivi fondò una città prosperosa e graude che dal nome del gio* viue chiamò Olinto.

Il V Racconto è quello di certo Regino ( i ) , e· di Eunomo locrio > entrambi sonatori di cetra , iti a Delfo (a). I Regitii erano separati dai Lo- cresi per mezzo di uu fiume detto Alex dove vedovasi la particolarità che sulle terre dei primi le cicale erano mute, e su quelle de* secondi cantavano. O r dicesi che Eunomo viuse il suo emulo ajolato dal canto di uua cicala : il qual fatto accadde di questa maniera. Avendo la cetra sette corde, una se ne ruppe nel mentre che Emnotno suonava ; e una

ζι) Questo Regioo cbumossì Jrcpontf t di lui par ­lano Strabone, Antigono, Clemente Alessandrino y Pati· santa, etl altri.

(a) Ove anticamente i piò bravi som tori di cetra er.nj soliti a sfidarsi.

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stogici k Btootsri fsopaiti. ia 3

cicala volata essendo sulla eetra col caoto suo sup­plì al suono della corda mancante.

12 V I Racconto è quello di Mopso. Fu questi figliuolo di M anto e di A poli o e morta la madre gli toccò in eredità l’ oracolo di Apollo io Claro C apitato nel suo ritorno da Troja, già presa, Cai - cante a Colofone, ove Mopso vaticinava , i due ▼ati ebbero gravi e lunghe cooiese tra loro, alle quali poscia mise fìne A mfirn ac ο, re de' Licj. Im ­perciocché dicendogli Mopso che oon andasse alla guerra, perché sarebbe stato vinto, e Calcante fa* cendogli animo ad andarvi promettendogli vittoria, accadde che vi andò, e fu vinto. Per Io che grande onore ebbe M opso, e Calcante si ammassò per dispetto.

Nel V II si riferiscono i casi di Fdammone , fi­gliuolo di Filon ide 9 nato nel Tori co deH'Auica da Bosporo e da Cleobea. Ftlammone fu giovane di eccellente bellezza , e di lui esseudosi innamorata una Ninfa ( i ) , poscia che si trovò g*avida, per vergogna parti del Peloponueso, e passata al lido opposto partorì Tam iri II quale» (atto grande, tanta lode conseguì sonando la lira , che quantunque fosse forestiere, gli Sciti lo fecero loro re. Venuto poi a contesa oel canto eoo le Illuse, e proposto per premio che vincendo egli avesse alcuna di quelleio isposa, e vincendo le Muse scegliessero qua lunqne cosa loro piacesse, egli fu nel cauto su* Iterato $ e le Muse gii cavarono gli occhi.

L ’V II I parla di Proteo egizio, la cui figlia Teonoe innamoratasi di Camobo,p\loto di M e*flaot noa potè

(i) Apollodoro U chiama Argìopa.

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12 ^ CLASSS P B t U i ,ottenere corrispondenza. Aggiunge poi come Canobo9

i l quale era bellissimo giovane, partendo M enelao ed Elena dall' Eg itto , ov'erano approdati , morso da uoa vipera ebbe una gamba cancrenata, cosic­ché dovè morire; e da Menelao e da Elena fa in Egitto sepolto, ove è ancora una città, statavi fondata sotto il suo nome. Auzi l'ultima bocca del Nilo dicesi Canobo, o Canobica dal nome di quel p iloto.

Il IX è quello di Semiramide. L* autore la suppone , non come altri moglie, ma figliuola d i Nino-, e per dir brevemente tutto quello che gli altri scrittori attribuiscono ad Àttosa assiria, egli l'attribuisce a Sem iram ide; il che non so se il fa­cesse pensando ch’essa portasse due nomi, oppure perché non fosse molto istrutto di ciò che dì Se· miramide si racconta. Riferisce ancora che Semi­ramide da prima occultamente si giacque con suo figliuolo non sapendo che fosse tale, e che sapa- tolo, se lo tenne pubblicamente io luogo di marito. E da quel tempo in poi , ciò che prima riguar- davasi come esecranda cosa , presso i Medi e i Persiani si riguardò cosa lecita ed onesta che i figli si giacessero con le madri.

I l X Racconto é questo. Oeto> figlio di NetUtno% e d’0 **a, re del Chersonneso di Tracia, ebbe dalla ninfa Mendeide una figliuola di nome Pailene. Es­sendo questa ricercata in moglie da molti , Oeto dichiarò che ottenuta l'avrebbe coll'aggiunta inol­tre del suo regno chi lui avesse superato a prova d'armi* Rimasero per queste nozze combattendo uccisi M erope, re di Antemusia * e Perife te , re della Migdonia, Dopo dt'che Oeto dichiarò che

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STOBlCt Z BlOGBàFI ΡϊΟ ΓΑΗ Ι. 1 5non più seco, ma fra di loro gli aspiranti alle nozze di sua figlia avrebbero combattuto, rimanendo sempre il premio già promesso a chi vincesse. Vennero dunque alla prova Ù ria e C lito , e restò morto D ria per artificio di Pailene \ il che sapu­tosi da Qeto* sarebbe stata Pailene punita del fatto, se Venere di notte chiamaodo tutti i cittadini, non avesse salvata la fanciulla dalla morte. Sceso poi nel sepolcro il genitore, Pallene e Clito sue* cedettero nel regno; e il paese mutò l’antico nome in quello che tolse da lei.

L* X I Racconto ò quello del sacrifizio che i Lìndj fanno ad Ercole con rito pieno di esecra­zioni ; e narra come questo ebbe origine da uu Lindio, di condizione lavoratore della terra* Il fatto è questo. Ercole domandò a costui di che dar da mangiare ad Ilo che ne* suoi viaggi avea seco preso ; e il villano non solamente non gli diede cosa alcuna, ma gli disse anche delle ingiurie. D i che sdegnato Erco le toltogli uno de* buoi, coi qual i colui arava, fece pasto e per sé e pel giovinetto, mentre il villano da luogi gli mandava maledi­zioni : delle quali Ercole si rideva , dicendo non avere mai gustato più squisite vivande di quelle ch*erano condite d* imprecazioni.

Il X I I Racconto contieue alcuni fatti di TVoe, fi* gliuolo di E ric ionio t nipote di Dardano, che regnò nel paese vicino al moote Ida, e che da Calliroen fi­glia di Scarn andrò t ebbe Ito, da coi fu denominato I l io , ed Assaraco , e Ganimede rapito da Giove, Quell*Assaraco regnò insieme col padre in Dar­dania, la quale era la reggia dei Troj : ih edificò Ilio ; e vinse in uu combattimento il re dei Be- brici che chiamavasi Biia% ed ingrandì assai Ilio.

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t à 6 C LASSE F i m i ,

Il X I I I patla di Etilla^ che fu figliuola di Lào~ medonle, e sorella di Priam o. Protesilao condu* ceudola da Troja con altre schiave nelle sue navr, quando fu tra Mende e Scioue, ebbe gran tempe­sta» e a stento potè prendere le n a , ove per fur acqua dovette con tutta la sua gente iu'ernarsi alquanto nel paese. Allora E tiila volta alle altre schiave: Se, disse loro, siamo tratte coi Greci in Grecie, le calamità da noi sofferte io Troja par- rauooci delizie. Oude persuase lot o di attaccar fuoco alle navi*, per lo che poi i G reci, ia potere dei quftli esse trova vanii, dovettero loro malgrado r i­manersi iu quel paese, e vi fondarono Scioue, in cui con esse abitarono.

Il X IV è di Endimione. Questi nacque da Aeino* figliuolo di Giove% e da Ptoiogeniat figlia di Deu­calione t ed ebbe due figli , Eu ri pile ed Eto lo . Etolo , uscito del Peloponneso, ed abbando­nato il paese pare» no, andò con molti seguaci alla contrada opposta, cacciandone i Cureti che Pabi- tavano, e iu vece di Corel ide chiamandola Etolide* Eurip ile poi ed E li » figliuole di Nettuno , inor o Endimione, occupò il regno, e la città da rnìone fondata chiamò Elide.

Π X V è de'FeneaUsb e di Cerere e Proserpina, ehe Plutone senza saputa della madre rapì, e con­dusse ne* regni infumi. In esso è detto come i Feneaiesi inoltrarono a Cerere il luogo per cui essa poteva discendere colà * ed era questa una graude apertura posta iu Ciliua ( i) . Pel quel ser-

(t ) Detta altrìmrnte CUUn*t monte di Àreadia, presso cui era la palude 51'gia.

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s t o r i c i s B^oo k i r t r a o r u u .

Vtgio C èrere , tra le altre cose di che 11 retribuì, diede loro sicurezza che mai eento Feneatesi eoa sarebbero periti in guerra*

l i X V I riguarda Proma co e Leucocoma di Gnosso* città di Creta. In questo Racconto dicesi come Prom aco s’ innamorò del bellissimo giovinetto Leucocom a, e le grandi prove di fatiche, di com­battimenti e di pericoli che quel giovinetto pro­pose a Prom aco, e che questi superò, sperando la desiderata corrispondenza. Ma avendo sperimentate inutili queste cose, si mise aneti' egli a far d i­spetto a Leucocoma , fra le altre setto gli occhi del medesimo ponendo iu testa come premio u l­timo ad uu altro bellissimo giovane il suo elmo per la sua singolarità celebratissimo. Onde venne che Leucocoma da crudel gelosia spiuto si am* mazsò di sua propria mano.

Nel X V II si parla di Dlceo e Sileo, fratelli e figli di Netiuno, i quali abitavano presso il monte Peleo io Tessaglia. Tra questi Diceo era uomo giusto, conforme anche il suo nome siguìfìca. Sileo al contrario molestava tutti , e fu ucciso da 7?r- cole* Questi, alloggiato di poi da Dieeoi e inna­moratosi della Oglia di StUo veduta presso lo zio, che aveva preso ad educarla, la fece sua sposa.Ma ho Erco le >u lontano pae>e,essa,come sommamentelo amava , non potendo comportarne l'assenza , m orì; ed Erco le sopraggiuuto mentre se ne facevano i funerali, sarebbesi gittato sul rogo ond* essere eoa lei abbrucialo, se trattenuto non lo avessero da ciò fare quelli ch’era no presenti alle esequie. Ito poi E rco le altrove, i vicini cinsero con ectifìzio il sepolcro di quella ragazza, e vi alzarono per mo­numento i l tempio d* Èrcole.

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I ? 8 CLASSZ PB lM A ,Del X V III Racconto Γ argomento è questo. I

L o creai che stimano Ajace essere stato della loro stirpe, quando fanno battaglia sogliono lasciare nelle loro fìle un luogo vóto, come se Ajace fosse presente· Così avendo fatto nel combattimento che ebbero coi Crotoniati, Autoleone , uno di questi , volle penetrare iu quel luogo, e di tale maniera cingere i nemici. Ma ferito in un’ anca da uno spettro ebbe a fuggire» ed incominciò nel luogo della piaga a marcire fìu tanto che, secondo l'ora­colo , trasportato in Achilleo, isola del Ponto che giace di là dall’ Istro per chi naviga sopra la Tau­rica, venne risanato, dopo avere placato ivi altri eroi, e specialmente i Mani di Ajace locrio. Nel partirsi poi di là , Elena gli commise di dire a Siesìcoro che se amava gli occhi e la vista che avea perduto, cantasse dolente ciò che si presen­tasse al suo pensiero. £ costui essendosi immanti· nente posto a cantar ioni in lode di Elen a , riacqui­stò Γ uso degli occhi.

Il X IX Racconto è questo. Psamate , figliuola di Crotopot gravida per opera di Apollo , pavé a* landò del padre, espose il bambino che avea par­torito , postogli il nome di Lino . Un pastore io allevò per suo proprio; ma i cani del gregge lo lacerarono orribilmente. Di che caduta essa io dolor sommo, da ciò il padre si accorse come si era lasciata corrompere, e credeudo falso quaulo essa diceva di Apòllo , la condannò a morire. Sde­gnato Apollo della morte della sua amata travagliò con la peste gli Argivi ; e interrogato come potes­sero liberarsi da quel flagello, rispose doversi pia* care Psamate e Lìao . Essi oltre molti altri onori

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STO R IC I * BIOGRAFI PROFANI. I2 gs tal effetto resi a que9 due, mandarono a pianger Lino uua schiera di doune e di vergini, le quali al compianto mescendo preghiere, venivano a de­plorare non solo 1* infortunio di Psamate e di Lino, ina eziaudio il loro proprio. £ si bene poi com­piansero Lino, che d'allora in poi i poeti susseguenti, in ogui genere di lamenti, per qualuuque cagione fatti, sempre v* inserirono Lino. Auzi chiamarono Arneo il mese per significare che Lino era stato allevato in mezzo agli agnelli, ed istituirono un sa* orifìzio ed una festa in onore di lu i, l'uno e Pai- ira chiamando col nome di Am ide* in tal giorno immolando quanti cani potessero mai trovarsi ovunque. Ma nemmeno per queste cose la peste cessò, se non quando Crotopo stesso ebbe, secondo l'oracolo, abbandonata Argo, andando a fabbricare nella Megaride la città di Tripodiscio, ove pose la sua abitazione.

II X X . Teoclo di Calcide 9 preso dai B isa lti, popoli della Tracia, abitanti dirimpetto a Pailene, nascostamente chiamando i Calcidesi tradì i B i­salti. I Calcidesi infatti col subitaneo assalto mi­sero i Bisalti io gran disordine ; e spiotisi entro le mura, con l'opera di Bucolo e di D olo , schiavi anch'essi colà, fattisi padroni della città ne cac­ciarono gli abitauti che la possedevano. Ma avendo poscia ucciso quel Bucolo contro la data fede, piombò sopra loro P ira divina; né cessarono i loro travagli se non quando conforme il responso delI*oracoIof gli ebbero eretto un bel monumento, sagrifìcando a lui come ad un eroe,

11 X X I. Dardano e Giasone etmano figli di Giove avuti da E le ttra , tìgli a di A tlante , ed abitavano

F o v o t Voi, l> 9

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sSo CLiSSZ MIMA,nellf isola di Samotracia. Giasone avendo teotato di stuprare lo spettro di Cerere, morì colpito da un fulmine. Dardano spaventato da quanto era accaduto al fratello, si trasse al paese opposto, ov’ erano molti campi e il monte Ida , servendosi per traghettarvi di zattere, poiché non ancora usavansi navi. In quel tempo abitava quel paese Teucro * figliuolo del fiume Scamandro e della ninfa Id e a , dal quale gli abitanti furono detti Teucri, e Teucria fu detta la contrada. Venuto a trattato con essolui D ardano , ebbe la metà del paese, e fabbricò la città chiamata Dardania, nel luogo ove con le zattere avea approdato. Morto poi Teucro, tutto il paese diventò dominio di Dardano*

Il X X IL A un giovinetto cretese fu dato come amoroso il parto di un dragone. Quel giovinettolo allevò, e n’ ebbe assai cura , finché divenuto grande mise in ispavento tutti gli abitanti. Per lo che obbligarono il giovinetto a portare quel dra­gone n l deserto. Cotti fece egli con molto piatito. Accadde poi dopo molto tempo che ito il giovaue a caccia, venne assaltato da ladroui ; e chiamando ajuto da ogni parte , il dragone uditane la voce saltò fuori dal suo nascondiglio ; e avviluppandosi ai corpi de’ ladroni li ammazzò, e liberò il giovane dal pericolo, dandogli mauifesti segni dell’ autica amicizia.

Il X X III. Di Alessandro, o vogliam dire Parid e , e di Enone che, prima di rapire Elena , egli avea sposata , fu figliuolo Corito che in bellezza supe* rava il padre. Sua madre lo mandò ad Elena si per accendere la gelosia nel cuore di Alessandro, si per macchinare uu infortunio ad Elena* Come

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storici s biografi profani· i3 tsdunque Corico cominciò ad essere piò famigliare ad Elena, avvenne che un giorno entrato Ales­sandro nel talamo, e veggendovi il figlio assisovi con Elena, di tanta ira si accese che trucidò il figlio pel sospetto che ne avea concepito. Enone t e per P ingiuria già fattale , e per la morte del figlio , tra le altre imprecazioni scagliate contro Alessandro questa ancora aggiunse ( come donna indovina, e conoscitrice della virtù delle erbe) che un dì sarebbe stato ferito dagli Achivi, e non tro­vando rimedio sarebbesi rivolto a lei. Così detto s'andò a casa. Di poi adunque Paride ferito gra­vemente da Filoitete in una battaglia , in cui per Troja combatteva contro gli Achivi , e la piaga recandogli gran dolore, mentre fa ce vasi trasportare sopra un carro sul monte Id a , mandò a pregare Enone che volesse guarirlo. Ma questa, cacciato vituperosamente il messo, gli fece per dileggio dire che Paride andaste da Elena. Egli intanto per via inori di quell’aspra piaga. Enone prima di sa­pere tal fine di lu i, pentitasi della durezza usata, con buona raccolta di erbe si era posta a correre la strada, intesa ad avanzare il messo medesimo. E quando le fu recata la nuova che Paride era morto, e certamente da lei ucciso, al messo, che la nuova le recò, schiacciò la testa con una pietra per P ira in che la mise il rimprovero da lui fat­to le; poi abbruciato il cadavere di Paride, e lungamente dolutasi del comune infortunio, con la sua fascia si strozzò.

Il X X IV * In Tespi* città di Beozia, situata poco lungi dal monte Elicona, nacque Narcisso, giova­netto sommamente bello, ma spregiatore d’amore, e

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i3 a c l a s s e p iu m a ,d’amorosi ; laonde tutti quelli che aveano per lui concepito affetto , lo abbandonarono ; ed Am inia solo il praticava e il pregava di continuo. Ma nè questo pure ascoltò, chè anzi gli mandò una spada ; onde quell'infelice di propria inauo si uccise alle porte di lu i, pregando Dio che volesse infine vendicarlo. Avvenne adunque che uu giorno N ar- cisso contemplando il proprio volto, quale gli si ri­feriva nell*acqua di una fontana, incominciò ad innamorare di sè stesso furiosamente. £ non sa» pendo trovar rimedio al suo maJe , e temendo di pagare il giusto fìo della ingiuria fatta ad Am inia che tauto lo avea amato, tfi diede da sé stesso la morte. Da quel fatto gli abitanti del paese, avuta risposta dall’oracolo che meglio s*avesse ad ono­rare PAmore, e a coltivare, oltre il comune rito , decretarono che *se gli sacrificasse anche in pri­vato. È poi presso loro opiuione , che il primo iìore narcisso nascesse in quel terreno , su cui era stato sparso il sangue di quel giovane.

X X V . Minosse* figlio di Giove e di Europa , fu re di Creta, e per cercar Dedalo, allestita uu*armata , navigò in Sicauia, oggi detta S ic ilia , ove dalle fìglie di Cocaìo, re di quel paese, fu am­mazzato. Quindi i Cretesi, volendo vendicare la morte del loro re , mossero guerra ai Siculi· Ma i Cretesi furono vinti , e ritoruaudo a casa , da una tempesta furono balzati al paese de* Japigj ; ed ivi pusero sede, fatti Japigj in vece di Cretesi. Passato del tempo una parte d*essi, cacciatane per una sedizione, ebbero dall'oracolo di avere ad abi­tare ove alcuno desse loro terra ed acqua; e cosi stabilirousi nel paese de* Bottiei, poiché trovarono

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storici z biografi profani. x 33ivi fanciulli, i quali per giuoco formando con ereta de* pani, ed altre fìgure di cose da mangiare, que­ste loro presentarono. Onde credendo verificato Poracolo,avutane permissione dal re de'Macedoni, in quel paese abitarono per la terza volta, rinnegando il nome di Cretesi, ed assumento quello di Bottiel, divenuti porzione de* Macedoni.

Il X X V I narra come lo spettro di Jp o llo f detto Corno , e solito a seguire i Doriesi , fu da certo Jppota9della stirpe d*Brcole9 ucciso quando gli Era- clidi ritornarono nel Peloponneso. Laonde, essendo essi gravemente travagliati dalla peste, per la ri- sposta avuta dall’oracolo , cacciarono dai loro ac­campamenti quell’ Ippota. Stava quello spettro pei Doriesi in luogo di vate ; e gli Eraclidi vera­mente allora tragittarono nel Pelopouneso. Quel- V Ippota poi errando ramingo generò un figliuolo, a cui, siguifìcando il suo caso, diede il nome di Aleta. Questi, fatto uomo, raccolta una grossa par­tita di Doriesi % e cacciati i Sisifìdi, i quali allora erano re di Corinto, iusieme coi Jonj loro alleati, quella città occupò di nuovo di abitatori ; e marciava contro l'Attica , quando ebbe dall'oracolo che sa­rebbe stato vittorioso, se non avesse toccato il re degli Ateniesi. Avendo questi avuta cognizione dell'oracolo, persuasero a Codro% già settuagenario, di sacrificarsi spontaneamente per la patria; ed egli, cambiato vestito, e comparendo come uno di quelli che fanno legna, venne ucciso da un Do- riese. I Doriesi informati del fatto, non isperando più vittoria, fecero pace cogli Ateniesi.

X X V II* Riferisce le imprese di Deucalione che regnò nella Ftiotide, e 1* inondazione a suo tempo

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134 classe rmma ,sopraggiunta nella G recia; e parla di E lle ne, figlio di lui, che alcuni dicono di Giove* il quale, morto Deucalione, gli succedette nel regno, ed ebbe tre figli. Di questi, Eo lo , maggiore d*etàf giustamente volle tenere lo scettro di quel paese, a cui in addietro avea comandato, e che avea diviso mediante i fìumi Asopo ed Enipeo. Di qui ha origine la stirpe Eo ­lica : 1* altro figliuolo , chiamato Doro , avuta dal padre una parte di popolo, portò altrove una co­lonia, e alle radici del Parnasso fondò le città di Beo, di Crinio e di Erineo. Da lui uscirono i Dorj. Il più piccolo d'età, giunto ad Atene, fondò la cosi detta Tetrapoli delPAttica, e prese per moglie Creusaf figlia di Eretteo , da cui nacquero Acheo e Jo n a . Acheo, avendo per imprudenza ucciso un uomo, discacciato di là , recossi nel Poloponneso, e fondò la Tetrapoli acaica ; e da lui ebbero ori* gine gli Achei. Jona poi, morto 1* avo materno Eretteo, in grazia della virtù sua, e della sua no­biltà, fu creato re, ed ebbe il dominio sugli Ate­niesi , i quali da lui incominciarouo a chiamarsi Jonj, e Jooia fu detto tutto il paese.

X X V III. Tenne ed Em ilea erano figliuoli di Cigno, re della Troade. Cigno* mortagli la prima moglie, ne sposò un’altra, la quale furiosamente innamo­ratasi di Tenne, suo figliastro, non potendo averlo a’ suoi desiderj, lo accusò per reo dei delitto che era solamente suo. Il padre , senza cercar altro , chiuse in una cassa Tenne« e con esso lui Em itea* perchè oltre misura dolevasi della disgrazia del fratello ; e la cassa abbaudouò al mare, la quale dalle onde trasportata ad un* isola, e dagli abitanti di essa aperta, i racchiusi in quella rimasero salvi %

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s t o r i c i z b io g r a f i ϊ ζ ο γ α η ι. i35e di poi furono fatti signori dell* isola , che s* in­cominciò allora a chiamare Teoedo, quando prime diceva*? Leucofri. Cigno pentitosi del fatto, e ito a quella isola, pregava il figlio dalla nave, in coi era, a mettere in dimenticanza il passato $ e que* sii perché il padre ooo approdasse all* isola, con noa scure tagliò le corde che fermavaoo la oavet da che ne venne il proverbio, trattandosi di alcun af­fare risolutamente interrotto, essersi adoperata la scure d i Tenne.

X X IX . I Magneti, presentemente abitanti della Magnesia d 'A sia, in addietro abitarono presso il fiume Peneo, e il monte Pelio*, e furono chiamati auche Magneti in occasione che militavano contro Troja sotto le bandiere di Protoo. Questi di poi, mentre da Troja riportavano la loro portone di bottino , in virtù di un voto fatto, li collocò in Delfo ; e alcun tempo appresso , lasciando quel santuario, saliti sulle loro navi passarono io Creta. Furono per forza cacciati di là; ed abbandonata Creta navigarono in Asia ; e trovando in grave afflizione le colonie di recente fondate nella Jonia e nella Eolide, unitisi a quegli abitanti, e insieme con essi combattendo i nemici, li liberarono dai mali che soffrivano. Finalmente passarono al sito, in cui stanno presentemente, e vi edificarono una città che dal nome delPantica loro patria chiama­rono Magnesia.

X X K , Pifenio ApoIIoniate avea la cura delle pe­core -consacrale al Sole. Per negligenza sua i lupi ne uccisero sessanta \ e gli abitanti cavarono gli occhi al mal pastore. Da ciò venne che, sdegnatone il D io , la terra non recò piò frutti agli Apoi-

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i 36 c u ss i primi ,Coniati finché non ebbero placato Pitenio col loro pentimento, e eon dargli due prerlj suburbani, ed una casa a sua scelta. Era Pitenio dr illustre schiatta , ed anche tutti gli altri suoi successori ebbero la custodia delle pecore sacre. Apollonia poi, città greca, é posta nel paese illirico adja* cente al mare^ ed é divisa per mezzo del fiume Loo, il quale mette foce nel mar Jonio.

X X X I. Tereo* re dei T raci, che stanno presso alla Daulia e ella rimanente Focide, ebbe per mo­glie P rogne, figliuola di Pandìon?* re di Atene· Costui, dopo che, preso da cieco amore per F ilo - me/a, sorella di Progne, violentemente la stuprò , le tagliò anche la lingua per paura che rivelasse l'iniquità ch'egli avea commessa. Ma Filom ela, tes­sendosi un peplo , sul medesimo descrisse il suo dolore : onde Progne, così venuta in cognizione del fatto, per vendicarsi apprestò in tavola al marito in orrenda vivanda il figlio. Tereo , dalla stessa bocca «li Progne udendosi confermato si atroce fatto, lei e la sorella consapevole inseguì con la spada, volendole uccidere entrambe : ma la favola porta che, di là fuggendo a volo, convertite Pro * gne in usignuolo e Filom ela in rondinella, vanno tuttavia cantando le loro disgrazie. La stessa fa­vola dice che anche Tereo fu mutato in upapa , ed aggiungono che costoro anche dopo essere stati convertiti in uccelli hanno ritenuto 1* ira antica , poiché le upupe coutinuamente inseguono le ron· diui e gli usignuoli.

X X X II. Si parla di Europa, figliuola di Fenice, che sparì dalla vista de9 suoi ; e si racconta come il padre mandò i figli a cercarla. Fra questi fu

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stobici x ilootah ruor in i. 1 5 7

anche Cadm o , il quale insieme con Proteo , te* nteodo la tirannide di B u s iri, parti dall* Egitto· Aggiunge poi come dopo avere assai girato, e non trovando traccia d'Europa^ giunsero nella Pallene} e come Proteo , fatti bei regali a Clito, e strettosi seco lu i in am icizia, n* ebbe in moglie la figlia Crisonoe: era quel Clito prudente e giusto re dei Sifoni di Tracia. E come Clito e Proteo , mossa guerra ai Bisalti, aveano cacciati questi popoli dal loro paese, questo fu dato a Proteo in regno. Ma i figli cbe Proteo generò furono molto dissimili dal loro padre , essendo riusciti ingiusti e crudeli uomini ; i quali vennero uccisi da Erco le 9 odia* tore della gente cattiva* Proteo poi scavò la fossa egli medesimo a* figliuoli, e purgò Erco le dall'im­bratto dì quella strage.

X X X III. Democlo di Delfo generò un figliuolo di bellezza insigne, a cui mise nome Sm icrone; e navigò a Mileto per consultare l’ oracolo , condu­cendo seco quel giovinetto , il quale allora avea tredici anni. Ma troppo affrettatosi a ritornare in nave, imprudentemente lo lasciò colà. Fu Smicrone trovato piagnente e così derelitto da uu certo ca­praio, figliuolo di Eritarso , e lo condusse a suo padre, il quale, saputa la condizione e la stirpe del giovinetto , lo tenne presso di sò come figlio, e lo trattò con ogni riguardo· Narra pure l'autore in questo Racconto di Cicno preso insieme con due suoi figli , e del contrasto e dello spettro di Leucotea} come questa disse a que* giovinetti cbe avvertissero i Milesj qualmente voleva essere ono­rata, e doverlesi un certame gimnico di ragazzi, in tele cosa ponendo essa gran diletto· Poi come Smi·

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i 38 c l a s s e p u m a ,

crono sposò la figlia di un uomo distintissimo fra i Milesj , la quale , essendo gravida, ebbe un so* gno in cui pareale, nell'atto di dolcemente parto­rire , che vedesse il sole entratole per la bocca uscirne poi pel ventre e per le iuferiori parti. Questa visione gl* indovini dissero di buon augu­rio ; ed essa partorì un figliuolo che dal soglio fatto chiamò Branco % per significare come il sole fusse uscito di lei. £ quel figliuolo , che riuscì il più bello che mai si fosse veduto tra gli uomini, fu da Apollo amato , avendolo trovato a pascert le pecore; e sul luogo venne alzata un* ara consa­crata ad Apollo Amante. Branco poi , da Apollo dotato dell'arte di vaticinare, diede i suoi oracoli in Didima; ed anche oggi tra i molti oracoli che sono nella Grecia, quello de'Branchidi é tenuto il maggiore di tutti dopo il Delfico.

XXXIV. Morto Paride , Eleno e Deifobo , fi­gliuoli di Priamo, vennero tra loro a contesa per isposare Elena. Vinse Deifobo per la forza e per Γ influenza de' potenti, quantunque fosse minore d ' età. Per lo che , non sostenendo EUno tale in­giuria , si ritirò inoperoso sul monte Id a , o v e , a persuasione di Calcante, dai Greci ( che assedia­vano Troja insidiosamente fu preso. Eleno , parte per le minacce che gli furono fatte , parte pe' re­gali ch’ ebbe, e piò di tutto per l'odio che con­cepito avea contro i suoi , indicò ai Greci qual- meute era fìsso il destino che Troja venisse presa con un cavallo di legno ; e di più disse aucora che sarebbero stati padroni affatto di quella città quando gli Achivi preso avessero il Palladio di Minerva caduto dal c ie lo , il quale era il più

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piccolo tra* molti che v* erano. Furono dunque mandati a quel furto Diomede ed Ulisse. Ulisse fece sgabello di sé a Diomede perché salisse le mura ; e frattanto, io vece di dare poi mano al compagno onde anch' egli potesse salire , Diomede corse a prendere il Palladio , ed avutolo ritornò ad Ulisse, Venendo poi via insieme, domandando Ulisse come avesse proceduto nell* impresa , D io~ mede, che conosceva con che astuto uomo avesse a fare , rispose non avere egli preso il Palladio iudicato da EUnot ma un qualche altro. Ma Ulisse da certo movimento che casualmente segui noi Palladio portato da Diomede, capi che era vera* mente quello di che si trattava; onde, postosi alla schiena di Diomede, diede mano alla spada per ammazzare i 1 compagno , onde recare egli il PaW ladìo agli Achivi· Ma nell* atto che avventava il colpo, Diomede, al chiaror della luna che allora splendeva, vide l'ombra della spada; cosicché Ulisse 11QQ arrischiò o ltre, avendo veduto cbe prontamente l'altro avea messa mano alla spada anch'egli; il quale di p iù , rinfacciandogli la sua viltà, a forza di spiattonate sei fece camminare innanzi. Dt là viene il proverbio Necessità Dio- medea, che suolsi usare a proposito di chi fa quello che far non vorrebbe.

XXXV- Iu questo Racconto 1' autore introduce due pastori cbe pascolavano al Lisso , monte del territorio Efesino. Costoro aveano scoperto uno sciame d'api in una profonda caverna nella quale era diffìcilissimo entrare. Uno di loro si mise in una cesta per calare abbasso, e 1* altro teneva la coi da a cui la cesta era attaccata , onde via via

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i£o c l a s s e p r i m a ,

far discendere il compagno. Or quegli ch'era di* sceso , avendo trovata grande quantità di mele e d* oro , per tre volte ne fuce tirar su piena la cesta; € finito Toro gridò che, non essendovi altro da mandar su , entrava nella cesta egli medesimo· Ma nel dir così gli venne in mente il sospetto che colui potesse tradirlo, e per accertarsene, in vece d* entrar nella cesta egli medesimo , vi pose un grosso sasso. L 'a ltro adunque tirò su la cesta in­aino al labbro della caverna, e ad un tratto la la­sciò precipitare nel profondo quindi, seppellito Poro , a quelli che domandavano conto del com­pagno , che non vedevasi più , disse quello che credette piò verisimile per appagarli. Intanto l'a l­tro, che non ave a alcun modo di salvarsi, addor­mentatosi , vide in sogno Apollo, il quale gli di­ceva che con qualche punta di pietra si facesse de*tagli sulla pelle, indi si giacesse quieto. Fece egli così \ ed alcuni avvolto) volati al basso , cre­dendolo un cadavere, cogli artigli lo presero chi ne*capelli, chi nelle vesti , e lo alzarono da quel profondo, e andarono a deporlo sano nella valle sot* toposta. Di là egli andò a denunziare il fatto ai ma­gistrati ; onde gli Efesini punirono come meritava 1* insidiatore, avendolo convinto del misfatto ed obbligato a mostrare a suo dispetto Toro che avea seppellito. Al pastore querelante diedero la metà di quell'oro, l'altra metà offerirono ad Apollo e a D iana. Quel pastore , di tale maniera salvatosi e divenuto dovizioso, in memoria eterna del bene­fìcio consacrò sulla vetta del monte un altare ad Apollo Vulturio.

X X X V I. Filonomo lacedemone , avendo data a

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STORICI Z BIOGRAFI PBOFAHT· s 4 t

tradimento Sparta ai Doriesi * n* ebbe in mercede A micla , ed ivi mise ad abitarla uomini tolti da Imbro e da Lenno : i quali nella terza genera­zione, essendosi ribellali ai Doriesi, vennero cac­ciati via da Amicle. Costoro , presi seco alquanti Spartani , sotto la condotta di Polide e di D elfo , navigarono in Crela. Ma nel mentre che il navi* glio faceva cammino, Jpodasm o mise abitatori in Melo ; e con ciò si fece amici gli Spartani, stirpe de* Peliei. Tutti gli altri andarono ad occupare Gortinia senza che nessuno si opponesse, ed abi­tarono iv i insieme coi Cretesi che già v* erano·

X X X V II. Riferisce che 1* isola Taso ebbe quel nome da Taso , fratello di Cadmo , avendolo ivi lasciato Cadmo con porzione dell'esercilo che con- ducevano. Questo Cadmo poi dal re de* Fenicj (mentre presso i Fenicj egli medesimo avea graede autorità ) fu mandalo in Europa. Erano a quel tempo i Fenicj assai potenti di forze , e , fattasi soggetta gran parte d'Asia, aveano data sede reale in Metnfì agli Egizj. Mandato dunque Cadmo, non, come favoleggiano i G reci, per cercare Europa , figliuola di Fenice , che Giove tramutato in loro avesse rapila ; ma perché si formasse un regno (alla quale impresa era un puro prelesto quel dire di cercar la sorella, e tale fu 1*origine di quella favola ) nav igando verso I* Europa , lasciò Taso ano fratello, siccome dicemmo, in quell’ìsola ; ed egli , andato in Beozia , colà fondò Tebe, e per mesto de* suoi compagni la circondò di m ura, dandole il nome della sua patria. Oppostisi i Beozj con le armi a que* forestieri , questi da prima re· alarono vinti i ma poi con le insidie e gli strai a-

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c l a s s e p r i m a ,

gemmi, e col vantaggio delle armi che que* Beozj non usavano, rimasero superiori; ché a quel tempo i Greci uon conoscevano né elmo nè scudo. Cadmo adunque, impadronitosi del paese, mentre i Beozj sopravanzati alla strage andarono a rifuggirsi nelle loro città, mise i Fenicj ad abitare in Tebe | ed egli sposò Arm onia, figliuola di M arte e di Ve* nere» Per quelle armi poi dianzi uon vedute, e per le imboscate che i Fenicj usarono , e più forse per la paura da tali cose incussa negli animi loro, i Beoaj dissero che que* forestieri erano così ar­mati venuti fuor della terra ; e la stessa denomi* nazione poi usarono parlando degli Spartani, come uomini nati dallo stesso luogo. Onde la narrazioue di Cadmo e dell*abitazione di Tebe è verissima, e l* altra non è che pura favola.

X X X V III. Un certo Milesio, volgendo la sua patria in rovina sotto Arpago , figliuolo di Ciro , navigò a Tauromenio, città di Sicilia ; ed avendo depositato in mano di un banchiere 1* oro che avea, si ritornò a casa. Ciro intanto si era impa­dronito di Mileto , nè ivi era succeduto il male che dianzi temuto avea. Andò adunque di nuovo a Tauromenio quel Mtlesio per ricuperare il suo oro; ma il bauchiere, non uegando d* averlo rice~ vuto , però asseriva d*averlo anche consegnato. I l Milesio, dopo molti contrasti e molte risse, chiamò colui a giurare ? e il banchiere immaginò questa cabala. Avendo bucata una bacchetta a modo di tibia e messovi dentro 1* oro fuso che avea rice- vuto, la chiuse perfettamente* poscia accostandosi per giurare» teneudo quelk bacchetta per bastone, sulla medesima appoggiavasi » simulando d* avere

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STORICI S BIOGRAFI PROFANI. i 4 3

male a* piedi. Ma però prima di giurare al Mile· sio, ch'era presente, consegnò la bacchetta nell'atto eh* era per ripetere quanto avea già detto della restituzione $ ed io quella forma , alzate le mani » spergiurò francamente. Sdegnato il Milesio di tanta impudenza , gettò lungi da sé la bacchetta, gri­dando mancare ogni fede negli uomini ; e intanto essendosi quella bacchetta spezzata, si manifestò come l'altro, per guadagnare quell'oro, si era fatto spergiuro. Ebbe adunque il suo oro il Mtlesio, e il banchiere» per la vergogna d’ essersi fatto co­noscere per un cattivo uomo, si appiccò.

XXXIX. Melanto fu della razza di que' d‘Elide, i quali fino dai tempi di Nettuno regnarono in Pilo e in Messena. Cacciato dal paese quando gli £raclidi se ue impadronirono con le armi, egli, se­guendo l'oracolo , andò io Atene, e fattone citta­dino vi si distinse con pochi. Accadde poi che gli Ateniesi fecero guerra coi Beozj a cagione di Oe* eoe , e fu convenuto di finire la contesa con un duello tra i re. Tim ete, che allora regnava in Atene , temendo il cimento , rinunciò il regno a chiunque volesse battersi con Xanto re de'Beozj; e Melante, animato dal premio del regno, accettò di combattere, e ne furono stesi i patti. Al mo­mento poi d ' affrontarsi coll* avversario vide una certa figura d’ uomo imberbe che seguiva X anto ; e come gridò alto mancarsi ai patti) giacché Xanto avea chi gli facesse spalla , Xanto , che non sa­peva nulla di c iò , turbatosi , si voltò indietro; e eulPistaate M elante cou la lancia lo trafisse. Di tale maniera in un alto solo acquistò Oenoe agli Ale* niesi e a sé stesso il regno· Egli è certo che la

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s 4 4 c l a s s e p i u m a ,

stirpe degli Erectidi da costui fu innestata in quella de* Melantidi, del cui numero fu Codro. Gli A te ­niesi poi a Bacco Melaniida, in forza di uo o ra* colo, alzarono un tempio, ed ogni anno ne cele­brarono una festa{ sacrificarono anche a Giove Ingannatore, appunto perchè nel combattimento si erano serviti di un inganno.

XL. Qui l'autore narra la storia di Andromeda differentemente da quanto i Greci favoleggiano. Racconta egli essere stati due fratelli, Cefeo e F i­neo, e che il regno di Cefeo poscia ebbe il nome di F enicia, mentre per lo innanzi era stato detto di Joppe da una città marittima di tal nom e, ed essere continato dal Mar rosso fino all'Arabia che tocca PEritreo. Ebbe Cefeo una figliuola bellissima chiamata Andromeda , che desideravano d 'avere in isposa un certo Fenicio e Fineo , fratello di Cejeot essendone ambedue innamoratissimi. Cefto% fatto seco stesso molte considerazioni su 1* uno e l1 altro partito, deliberò di darla al Fenicio » e di tenere celata tale sua volontà, acconsentendo che la figliuola fosse rapita. Fu essa di fatto rapita iu una certa isola deserta , alla quale era solita re* carsi per sacrificare a Venere. Ma nel mentre che Andromeda, ignara delle iutenzioni di suo padre, veniva trasportata sulla nave del rapitore Fenicio , (la quale chiamavasi Balena , o perchè avesse la somiglianza di quel pesce, o per altro accidente) si mise a gridare, e, lagrimando, a chiedere ajuto^ e capitato colà per fortuna Perseo , figliuolo di Danae, che navigava a quelle parti, fermò il suo leguo j e , veduta la giovine , e presone pietà ed amore insieme , espugnò k nave detta Balena , e

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s t o r i c i a aioosAr i m orivi. >45i nocchieri della medesima uccise , nè altrimenti furono per la paura convertiti io pietre. Questa fu quella Balena della greca favola» e questi qne* gli uomini che, veduta la testa della Gorgona , furono trasmutati ia sassi. Perseo prese Andro- meda in moglie , la trasportò in Grecia sul suo Jegoo ; e sotto 1* imperio di lui incominciossi ad abitare Argo.

X L I. I Pelasghi abitarono in Antandro. M a, come alcuni raccontano , fu questa città chiamata Antandro perchè Ascanio la diede loro in r i­scatto di sé , essendo stato insidiosamente da essi preso e poi rilasciato. Quel nome dato alia città significava in greco linguaggio per un uomo solo* Quel\*Àscanio fu figliuolo di Enea, il quale, presa Troja, regnò in Ida. Altri dell*abitare de* Pelasghi iu Antandro danno la seguente ragione. Dicono che da Apollo e da Creusa nacque Amo , e da questo Andros* il quale abitando uoa delle isole , a quella lasciò il suo nome. Ma nati tumulti, cae* eiato di là , osservò setto 1* Ida un certo sito in Cui edificò una città che, per somiglianza deH*altra, chiamò Antandro. lutauto avendo i Pelasghi tro» vata deserta Andro, si posero ad abitarvi. Anche Cizico ebbe Pelasghi per abitatori; ed ecco come. Cizico, figliuolo di Apollo, regnando sopra i Pela­sghi domiciliati nella Tessaglia, e discacc iatone eoa quelli dagli Eo lj, andò a fondare nel Cher­soneso d'Asia una città a cui diede il suo nome* ed ivi da piccoli principi sorse a grande stato dopo che sposò Clite , figliuola di Meropem che regnò ne* luoghi vicini al fìume Rindaco. Essendo poi capitati colà i compagni di Giasone, nell*ao~

Fq ù o i Voi* L io

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l4 6 Ct i S S K P l I M i ,dar che facevano alla conquista del vello d'oro con la nave Argo, e i Pelasghi avendo inteso che quella nave era di Tessaglia, essi per l'inveterato odio che aveano contro i Tessali, dai quali erano stati discacciati, di notte l’assaltarono; e nel tram-» busto che nacque, Giasone per un disgraziato ac­cidente ammazzò Cizico nel mentre che questi cercava di far cessare il combattimento. Con C/- zico rimasero morti parecchi Pelasghi, e la nave Argo fece vela verso la Colchide· I Pelasghi, do­lenti della morte del loro re , diedero il governo ai loro ottimati , giacché Cizico non avea lasciato erede; dipoi furono cacciati di Cizico dai Tirreni, i quali, occupato avendo il Chersoneso e supe­rali In battaglia quelli che erano porzione di Μΐ- lesj , misero sede eglino medesimi in quella città.

X L II. Gelone* siculo , volendo farsi signore del paese, trattava con molta amicizia i cittadini di Im era, e a loro favore combatteva contro i più potenti. Per lo che il popolo tanto lo amava, che avendo domandato d'avere una guardia, volontie- rissimamente gli fu accordata. Ma Stesicoro, poeta Ifqeriotto, sospettando che colui mirasse a farsi re , al popolo recitò il seguente apologo , conte­nente un*iramagioe di quanto poteva accadere. — Un cavallo, diss'egli, che pascolava intorno, andava verso una fontana per bere , quando una cerva , passando per quella campagna, nc pestò l'erba e intorbidò l'acqua. Il cavallo, di ciò sdegnato, era vogliosissimo di vendicarsi; ed essendo troppo in­feriore alla cerva nel corso , invocò 1* ajuto di un cacciatore. Costui gli promise che facilmente lo avrebbe vendicalo dell'ingiuria avuta, purché vo~

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STO RIC I S BIOGRAFI PROFANI. J 47lesse prendere il morso in bocca e permettere ch'egli gli sedesse sul tergo. Così fu fatto, e la cerva cadde trafìtta dalle saette del cacciatore ; ma il cavallo si accorse allora d’essere stato dal cacciatore stesso soggiogato. Egual cosa, o im eriotti, io temo che accada a voi. Ora siete in liberta, e per mezzo di Gelone conquiderete i vostri nem ici, ma fini­rete coll’essere servi di Gelone· Ogni potenza con* tro chi la conferì é gratissima a chi P ottenne, perchè non si può ritogliere con quella facilità con cui dianzi si conferì.

X L U I. G li sbocchi dell* Etna una volta manda­rono fuori tante fiamme, che queste inondarono come una fiumana il paese intorno , a segno cbe gli abitanti di Catania , la quale è greca città in Sicilia, temettero l’ultimo eccidio. Fuggendo quindi in gran fretta , chi portava seco Γ oro , chi l’ ar­gento , chi ogni altra cosa che potesse essergli utile nell*esig!io. Λ n api a ed Amfinomo , fuggendo anch* essi, non pensarono che a caricarsi de’ loro genitori decrepiti. Tutti gli altri intanto rimasero estinti dalla lava infiammata , la quale intorno a questi si vide scorrere partita in modo che lasciò libero dal fuoco il sito in cui erano, a siraiglianza di un* isola. Ond* è che i Siculi chiamarono quel sito il luogo de* P i i , e in memoria di quegli uo­mini alzarono statue di pietra a testificazione di tanta virtù.

X L IV . S i narra qui come Leodarnante e F i tre vennero a contesa pel regno de* M ilesj, nati entrambi di regia stirpe. Il popolo , assai vessato per le gare di questi , dopo avere pazientemente sofferto molti mali, volle furti cessare, decretando

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ι < 8 CLA'SC rat MA ,che regnerebbe chi miglior benefìcio facesse al co­mune. Aveano allora i Milesj due nemici, i Carisj e i Meliesi. Contro questi andò Fitre, a cui l'im ­presa di quella guerra era toccata per sorte, e ri· tornò senza aver fatto nulla. Leodamante al con*- trario , ito contro i C arisj, s) valorosamente si diportò, che ne prese la città e li ridusse in eer* vitù. Ritornato adunque vittorioso a Mileto , se­condo il decreto fatto, egli ne fu il re. Per lo che, secondo che prescritto avea 1' oracolo , mandò ai Branchidi una schiava carisia allattante un fan­ciullo, ed aggiunse parecchi altri doni e il decimo del bottino» Presedeva allora al tempio ed all'ora­colo Branco medesimo, il quale quella donna schiava prese a mantenere con gran cura , e ne adottò il bambino , il quale andò crescendo, uon come sogliono fare gli uomini, ma quasi in modo divino, e divenne prudente sopra quanto mai comportasse l’età sua. Perciò fu da Branco costi­tuito nuncio degli oracoli; e diventato adulto suc­cedette a Branco nell'oracolo , e fu presso i Mi* lesj principio e capo de'così detti evangelisti 9 di tal nome chiamandosi gli annnnziatori dei divini responsi*

X LV . O rfeo , figliuolo di E agro e di Calliope , tfna delle nove Muse « fu re de' Macedoni e degli Odrisj. E gli coltivò la musica, e massimamente il suono della cetra, giacché i T raci e i Macedoni sono assai studiosi di quella specie di musica $ e perciò fu molto caro a que' popoli. Fu poi fama che , tratto dall’ amore per Eurid ice sua moglie , discendesse all' inferno, e che ivi col canto suo si guadagnasse la grazia di Plutone e di Proser-

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STOfelCt S 9106RAPI FftOFiKI, l4<)privis, a modo che n'ebbe in dono la moglie. Ma di tal dono egli non potè godere, non avendo os­servate le condizioni che gli erano state imposte» Era egli tanto atto a dilettare col canto e a pia­cere, che le fiere, gli uccelli, le piante stesse e le pietre gli correvan dietro per la somma gio* conditi. Fu ucciso, messo a brani dalle donne Tresse e Macedoni, per non averle volute porre· a parte delle sue orgie , e forse per altri motivi ancora , giacché v'è chi dice che » stato infelice per la moglie, avea preso odio alle donne tutte. Raccontasi dunque il fitto in questa maniera t A duaavansi in certi stabiliti giorni i Traci e i Macedoni in Libetra, iu una casa fabbricata ma­gnificamente e preparata pei riti religiosi, e prima d'entrare per celebrare l'org ia, ognuno alla porta deponeva le armi. Ora le donne, rabbiose di ve­dersi escluse, prese quelle arm i» tutti quelli che erano colò dentro trucidarono, e O rfeo tagliarono a pezzi e ne gittarono in mare le membra. Nata quindi nel paese grande pestilenza , poiché niun gastigo erasi dato a quelle donne , pregando gli abitanti che un tale flagello cessasse » ebbero iu risposta dall'oracolo , che sarebbe la pestilenza fi­nita, se trovata la testa di O rfeo , 1* avessero sot­terrata. Dopo molte ricerche finalmente essa da un pescatore fu trovata alla foce del fiume Meleto; là tuttora cantava , nè dai flutti del mare per al­c un modo era rimasta guasta, né in alcuna parte avea patito » come pur suole avvenire ai cadaveri umaoi ; ma anzi era bella, e, dopo tanto tempo , bianca e vermiglia come quando O rfeo viveva. Fu quindi quella testa riposta entro una gran tomba,

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ΐ 5 θ CLA9SK PRIMA ,

la quale da principio venne circondala da un mo­numento quale s* usa fare agli eroi, fìutanto che in processo di tempo fu tenuto per tempio divino, chè vien egli onorato con sacrifìzj e eoo tutti que* riti coi quali soglìonsi venerare gli Dei» Ma alle donne noo vien dato colà accesso.

X L V I. Mentre Troja assedia vasi, Priam o mandò in- Lidia due figliuoli di E tto re , Ossinto e Sca­mandro. Presa poi che fu Ilio , Enea , figliuolo di Anchise e di Venere , fuggendo da* G reci, sulle prime andò ad abitare sull* Ida , ma ritornati es­sendo Ossinio e Scamandro dalla L id ia , s* impos­sessarono di tutti i luoghi situati all*intoroo d 'ilio, come paese di loro eredità paterna ; ed E n e a , preso il padre Anchise e quanti potè de* profughi, si rivolse, per ordine della madre, verso orìeote* Laoode , traghettato 1* Ellesponto , giunse al seoo di mare detto Termo, ove seppellì Anchise che avea cessato di vivere, e ricusò ivi il regoo che gli abìtauti gli offerirono. Di là Enea passò nella Brusiade, ove per la soavità del tratto, ispiratogli dalla madre, si rendette ben accetto e caro t tutti quelli coi quali ebbe occasione di praticare. Iv i , muggendo una vacca che, per disposizione della Stessa Venere, dall'Ida in poi lo avea sempre se­guito, prese il regoo di quel paese, dagli abitanti offertogli, e alla madre quella vacca immolò. Po­scia edificò una città , la quale anche al presente dal fundator suo chiamasi Eneia, e col tempo, eoa qualche cambiameoto, fu detta Aeoo. Que»to è ciò che ì Greci raccontano. Altramente però si narra da altri : da esso, cioè , trarre la loro origine i Romani, lui avere fondata Alba , e un oracolo

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STORICI X BIOGRAFI PROFANI* |5 lavergli imposto di porre ivi l'abitazione sua, dove insieme coi compagni sacrificando , era avvenuto che mangiasse anche la mensa! cose tutte già as­sai trite.

X L Y II. Aitim ene , terzo della stirpe degli Era- elidi, discendente da Temene, era in discordia coi suoi fratelli, e suscitava tumulti* £ come trovavast il minore di tutti, partì dal Peloponneso, condu­cendo seco una grossa schiera di Doriesi e pa­recchi Pelasghi*· Anche gli Ateniesi in quel tempo spedirono via una colonia con Neleo e co' di· scendenti di Codro. Similmente fecero i Lacede­moni , i quali mandarono ad abitare altrove il popolo di Filonomo, sotto la condotta di D elfo e di Polide* G li uni e gli altri cercarono per com­pagno dell' impresa Altemene $ i Doriesi perchè navigasse a Creta con essi , giacché era doriese ■neh’egli , e gli Jonj perchè seco loro andasse in Asia. Eg li non volle andare con nessuno di quelli, e preferì , come eccitavalo un oracolo , di andare a Giove e al Sole , e ad essi domandare il luogoio cui abitare* Intendeva così Creta essere di Giove e Rodi del Sole* Partitosi dunque dal Pelopon» neso , andò ad approdare in Creta , ed ivi lasciò la parte del suo popolo che volle rimanervi ; ed egli con molti Doriesi veleggiò a Rodi , isola an­ticamente abitata da indigeai, pei quali aveano poi tenuto reggimento gl'Iliadi, dai Fenicj stati in ap­presso tolti di mezzo per Toccupazioue dei paese. Qae'Feoic) n* erano stati cacciati anch* essi, e i Carj n' aveano preso il posto , nel tempo stesso occupando questi anche altre isole del mar £geo,* in esse ponendo abitazione. A questi adunque

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i 5 a etissx m uri *si volsero i Doriesi, e a mano armata li caccia· rono di là , e fabbricaronvi tre città, che furono Lindo , Ieliso e Camiro. I Doriesi adunque , pel fatto di quell'JUemene continuarono a tener Rodi fino all*età p re se n te , e di quelle tre città una se ne formò vasta, ricca e potente, a cui venne dateil nome di Rodi come all* isola.

X L Y III. In questo Racconto narra di Roma e di Romolo alcune cose diverse da quelle che altri hanno dette. Amulio fece proditoriamente morire Numitore suo fratello; e la figliuola di questo, Ilio, perché non avesse ad accoppiarsi con alcun uomo, né partorisse 4 consacrò sacerdotessa di Vesta. Ma essa fu da Marte resa gravida, il quale dopo il fatto le dichiarò Tessere suo , e le predisse che partorito avrebbe due figli* confortandola a starsi di buon animo. Bla poiché ebbe partorito» suo aio Amuko la imprigionò, e i due bambini egli diede a certo pastore perchè li uccidesse. Non volle co­stui macchiar le tue mani di quel sangue , e li espose su!l*a!veo del Tevere, onde l'acqua li tras­portasse via. L*acqua infatti li trasportò; ma dopo averli qua e là balzati, finì cou gettarli sulla ripo presso le radici di un caprifico , che ivi sorgeva assai grande , e dove il terreno era molle e sab­bioso. Una lupa, la quale di fresco avea figliato , a caso passando vicino al luogà, fermossi ai vagiti di que* bambini, e come tendevano le piceiole lor mani, loro si accostò e presentò le sue poppe» Cosi sndaronsi essi alimentando, mansuefatta pel solo loro caso quella fiera. I l che veduto da un pastore di nome Faustolo, e pensando in quel fatto scorgere qualche cosa di divino , levò quei

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STOtiei « n o oaavi n o r aiti· t53fanciulli, e li educò come suoi. Lungo tempo dopo ai avvenne egli con quel pastore che li avea espo­sti ; ed adito da lui quanto dianzi li riguardava, venuti già grandi, gl*informò essere essi di regia stirpe, e generati da M arte, aggiugneodo quante alla loro madre e quanto alPavo loro era succedute. Erano essi bellissimi della persona, e robustissimi ed arditissimi. Immaotioenti adunque, preso sotto le vesti un pugnale , recaronsi ad Alba t e eomtf AmuUo non sarebbesi mai aspettato un tal caso , né teneva presso alcuna guardia, facilmente lo assaltarono e trucidaronle; indi 1* madre levaroee di prigione. II popolo poi si unì volentieri ad essi* e regnarono in Alba e sui luoghi vicini. In ap* presso » grao moltitudine d* uomini essendosi loro aggiunta , abbandonarono Alba ed edificarono una nuova città che dissero Roma, la quale ora tieoe, dirò così, l ’ imperio degli uomini, lo fede di quanto abbiamo detto accaduto, mostrasi nel F òro romano quel caprifico sacro, cinto all* intorno da cancelli di bronzo* e nel tempio di Giove cooservasi un logario fatto di piccioli vimini e di pagliuece * il quale addita in che modo vivea Famstolo.

XLIX. NelPisola Anafe, che sta sopra Tera, non lungi da Lacedemone , era un tempio consacrate ad A pollo E gleta , in cui gl* isolaui sacrificavano con on rito irrisorio*, ed ecco il perchè. Mentre Giasone* ritornato dalla Colcbtde con Medea , fu eoprappreso da furiosa tempesta, a modo che, di» sperando d* ogni umano mezzo per salvarsi, gli Argivi ai misero a far voti e preghiere ad Apollo· Questo Dio, voltando contro essi Parco, oe cscciò via s pericoli t poiché ia queli*istante, scoppiando

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i 5 4 età ss e raiMà,dal cielo una folgore improvvisamente, il mare mise fuori un'isola , in cui essi saltarono ; e per­chè quella era la prima volta che il sole la ve­deva , dal fatto la chiamarono Anafe e la tennero per sacra ad Apollo* e vi celebravano una giojosa festa, banchettando in grazia del gran male da cui erano scampati. Medea poi, unitamente alle an­celle ehe Giasone, sposandola, te avea donate, di burleschi motti pizzicava quegli eroi; ed essi al­trettanti ne dicevano alle donne. D'onde nacque Γ uso cbe gli abitatori di Anafe nella festa anni­versaria, che ancora celebrano ad onore dì Apollo Eg leta, si burlano e si motteggiano a vicenda, ad esempio dì quei primi.

L . Ecco poi l'ultimo Racconto di Conone*Alee· Sandro , tiranno, fu ucciso da sua moglie Tebe* Questa era figlia di quel Giasone che una volta regnò in Tessaglia, ed ebbe tre fratelli u terin i, generati da Eulabe suo padre, cioè T isifono> L i- cofiono e Piio lao . Ora VAlessandro di cui par­liamo, avendoli sospetti, cercava di levarli di vita; e come capiva che Tebe non avrebbe sofferta di buon animo la morte dì que* suoi fratelli » pensò d'ammazzare anche lei. Quando costui era sobrio, sapeva tener secrete le sue intenzioni, ma ove era preso dal vino (e ciò gli succedeva spesso) diceva tutte quello che avea iu animo. Avendo pertanto Tebe capito quanto meditava , tutto comunicò ai fratelli, e dato a ciascheduuo di loro un pugnale, gl'incoraggiò ad ammazzare il tiranno. Per fucili* tare poi l'impresa, essa abbeverò ben bene Ales~ sandrop e il fece assopire; quindi, licenziati i cu* Modi della camera col pretesto di voler metterai

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STORICI X BIOGRAFI PBOFSWT. )55nel bagno, i fratelli chiamò per l'opera meditata. £ come essi mostravansi tim id i, e massimamenteil minore di età, fra le altre cose che loro disse fu la minaccia che destato avrebbe Alessandro, e dettogli com' erano venuti per ammazzarlo. Dal proprio pericolo adunque violentati, lui che dor* mi va scannarono. II che fatto , Tebe , senza met­tere indugio, chiamati gli uffìziali delle guardie» parte con le minacce e parte con le promesse, gl'in» dusse a prestarle mano onde occupare il regno· Essi fecero com'essa voleva ; e di tale maniera prese il comando per sè , e il titolo di re diede a T isifono , suo fratello maggiore.

Fin qui vanno i cinquanta Racconti di Conone (i)· Egli usa il dialetto attico ; è grazioso e leggiadro tanto nella esposizione de* fatti, quanto nelle pa* rote; ma però qua e là è contorto, ed ha qualche maniera non adattala all' intelligenza del volgo*

Nel volume medesimo lessi il libro di Apollo* doro grammatico* intitolato Biblioteca (a ). Questo

(t) I Racconti di Conone possono chiamarsi, a modo nostro» Novellei e per quanto apparisce, erano forse per gli antichi piò istruttive di quelle de1 nostri N o ­vellieri migliori, tra i quali se alcuno potesse a lui paragonarsi, forse sarebbe questi il Bandetlo.

(a) Noi non P abbiamo piò intera , ma ne abbiamo la parte piò preziosa, che è quella che riguarda la Sto· ria mitologica. Sarebbe un gran tentativo quello di cercare a conoscere P arcano senso di ciò che al co* mone degli uomini e paruto favoloso e stravagante sino alPsssurdità. Possiamo noi credere gli nomini si stolti

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l56 CLASSE PltVA vconteneva tutte le antichissime storie de* Greci, e quanto quei tempi fecero credere intorno agli Dei ed agli eroi» coi nomi de*fium i, de* paesi, delle na· zioni e delle città; e riferisce la maggior parte delle vecchie cose, discendendo sino ai tempi di Troja» Fa quindi menzione de* combattimenti eh* ebbero fra loro, e d*altre imprese di parecchi campioni e degli errori di alcuni d*essi, minata che fu Troja, e specialmente di U lisse, con cbe termina la se· rie delle cose antiche. La più parte di questo li- bro é una compendiosissima narrazione , non a) certo inutile a chi vuol sapere le antichità. A que­sto libro erano aggiuoti i seguenti versit

« Se quanto è scritto qui leggi, ti fìa De* secoli trascorsi aperta innansi La serie iolerà. Del meonio vate Nò tu avrai poscia a consultar le carte,Nè a ricercar quaoto eoo dolci versi Cant&r le Muse o in flebile elegia,O in tremende tragedie. In me qualunque Cosa il mondo grandissimo comprende Tu troverai ; altro a te non fìa d* uopo* »

da tener conto e da riguardare come sacre tradizioni di tal carattere? O non dobbiamo piuttosto sospettare che sotto una corteccia, forse dal tempo, e massima· mente dai poeti , adulterata anche piò del bisogno , siasi ascosa una profonda dottrina? Cbe nn qualche bell* ingegno mediti su questo dubbio. Egli solo pnò trarre la verità dal cupo posso in eui giace.

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stojuci s s ioGiiFi raorsm.

CTESIA GNIDIO

nzLtz cosa na* nasum , usai xxnt.

Ne* primi sei libri tratta di quanto concerne i C. fatti degli Assirj, e tutte le cose che precedettero ali* imperio persiano nè di quanto appartiene a questo iocomincia a parlare se non se nel libro settimo. In questo e ne* susseguenti , sino a tuttoil tredicesimo , Γ autore scrisse ciò che concerne a Ciro » a Cambise, al Mago ( t ) , a Dario e a Serse , e quasi in tutto diversamente da ciò che scrisse Erodoto, che Ctesia (come quegli che scri­veva dopo) dice bugiardo in molte cose e fabbri­catore di favole. D i sè parlando poi, dichiara aver veduto co* suoi proprj occhi la maggior parte di quanto racconta , e di ciò che non vide essersi informato dai Persiani medesimi , e quindi avere data mano a scrivere la storia. Nè dijsente sola­mente dai racconti di Erodoto, ma in alcune cose anche da <Senofonte, figliuolo di G rillo . Ctesia fiorì ai tempi di quel Ciro, che, nato di D ario e di Parisattde , fu fratello di Artaserse , venuto al trono di Persia.

Incomincia dal dire di A stiale, che chiama an­che À styig an , non avere egli avuta nessuna pa­rentela con Ciro; essere poi questo Astiage fuggito dal cospetto di Ciro in Ecbatana , ed ivi da sua figlia Am iti e da Spitama , marito di lei , essere

(0 Da Ctesia chiamato Sfinàadat* , e da Erodoto Smerdi.

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i5 S c l a s s e p r im a ,stato nascosto ne* sotterranei del palazzo reale; e che sopraggiunto colli Ciro, comandò che fossero messi ai tormenti non Spitama solamente ed A m ili, ma anche i loro figliuoli Spitace e Megaberne. Astiage, onde per cagion sua que*suoi nipoti, giovinetti, non fossero tormentati, uscì del suo nascondiglio, e da Oebara fu messo in ceppi. Fu però poco dopo fatto sciogliere da Ciro , e tenuto da lui ri­spettosamente in luogo di padre ; il qual Ciro inoltre , dopo avere onorata come madre A m iti, finì con farla sus sposa , essendo già stato ucciso Spitama , di lei marito , perché quando cercavasi Astiage, mendacemente avea detto non sapere ove fosse. Queste sono le cose che intorno a Ciro Ctesia racconta , diversamente da quanto ne ha dettò Erodoto.

Aggiunge poi aver Ciro fatta gnerra ai Battriabi, e il combattimento seguitone essere stato di suc­cesso eguale. Se non che avendo poscia i Battriani saputo che Astiage si era fatto padre di Ciro, e cbe Am iti n*era divenuta moglie, spontaneamente ai erano sottomessi ad Am iti e a Ciro.

Narra inno)tre cbe Ciro fece guerra ai S a c i, e prese Amorge, loro re, marito della regina Sparetra, la quale, veduto preso lo sposo, raccolse essa me­desima Tesereito, e continuò contro Ciro la guerra, mettendo in campo trecento mila uomini, e dugento mila donne, con le quali forze venuta a battaglia vinse Ciro, e con parecchi altri prese vivo Par· miset fratello di A m iti, e tre figli del medesimo : a riguardo de*quali poscia potè riavere il marito, essendosi fatto cambio dell'uno cogli altri.

ftarra pure che Ciro, confederato eoa Amorge,

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Stobi ci s Biocasn ìb ofaitu

fece guerra a Creso , e andò a Sard ii come per consiglio di Oebara messo avendo intorno alle mora di quella città figure di legno rappresentanti Persiani , tanto spavento presero gli abitanti di Sardi che questo fatto facilitò la conquista di quella città) e come prima ch’essa fosse presa venoe

dato in ostaggio il figlio di Creso 9 essendo stato quel re ingannato da certo spettro divino^ e come cercando egli di tessere insidie gli fu sotto gli oc­chi ucciso quel figliuolo; e la madre di lui, vedutolo accidere, si precipitò giù dalle mura; oé perciò rimase morta. Presa poi la città* Creso andò a ri* fuggirsi in un tempio di Apollo* Iv i tre volle legalo da C iro , tre volte per certo incauto rimase sciolto, quantunque il tempio fosse chiuso e sug­ge/lato , e Oebara n’avesse la custodia. Del qual latto credutisi autori quelli che erano stati legati ivi insieme con Creso, furono decapitati; e Creso fu condotto nella reggia, e legato più strettamente; se non che vennero tanti tuoni e tanti fulmioi che Creso rimase di bel nuovo sciolto ; onde infine C iro , a suo malgrado, il lasciò libero; e d’ allora in poi sì cortesemente il trattò cbe gli diede una vasta città dalla parte di Ecbatana, chiamata Ba­

rene, nella quale erano cinque mila uomini a ca­

vallo, e dieci mila fanti, gli uni armati di scudo, gli altri di dardi e di saette.

Ciro poi mandò in Persia l*eunuco Petisaca, il quale assai presso di lui poteva , onde dal paese de’Barcanj conducesse Astiage a lu i, desiderando al egli che la figlia Am iti, di rivederlo; e Oebara diede per consiglio a quell’ eunuco che lasciasse Astiage in qualche deserto luogo, ove dovesse

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i 6 o classe fr i ita ,morire di faine e di sete* e così colui fece. Ma svelatasi per un sogno tale iniquità, queir eu­nuco fu da Ciro dato in mano ad Am iti, secondo che più e più volte avea dimandato^ ed avutolo, primieramente gli avea fatto cavar gli occhi, indi cavar la pelle, e in fìne lo avea fatto crocifìggere. Oebara, temendo che il simile toccasse a lui, seb­bene Ciro lo assicurasse del contrario, morì da sé stesso, negatosi per dieci giorni il mangiare* In quanto ad Astiage, egli fu splendidamente se­polto: ed era accaduto che il suo cadavere fosse rimasto intatto dalle fiere del luogo deserto, io che era stato abbandonato * essendone stati a guardia de* leoni per tutto il tempo iu cui Petisaca era ritornato a portarlo via di li.

Ciro andò coU'esercito contro i Derbici, de’quali era re Amoreo· Ma quelli messi improvvisamente fuori elefanti, da qaesti la cavalleria di lui fu messa in fuga. L*iste$so Ciro cadde giù del ca­vallo; e un Indiano (perchè gl* Indiani erano au­siliari dei Derbici* e quelli che loro aveano som­ministrali gli elefanti) lo feri con un dardo in uoa coscia, deila quale ferita di poi morì» Intanto però i suoi famigli accorsi lo presero per anche v ivo , e lo trasportarono alP accampamelo. Nella batta­glia seguita morirono molti Persiani } oè di minor numero furono i Derbici , de* quali si contarono dieci mila. Udito il fatto occorso a C ro, Amorge ac­corse conducendo iu ajuto de'Persiani in gran fretta venti mila uomini a cavallo * e venuto»! di bel nuovo a giornata tra Persiani e Derbici, i Persian i , combattendo insieme coi Saci valorosissimante , ebbero la vittoria, morto essendo nella zuffa il re

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storici t Bioeasn p sor a κι ι6ιdei Derbici Amoreo* con due suoi figliuoli, e trenta mila di sua gente* quando de* Persiani e Saci non mancai ono cbe nove mila nomini. Per quella v it­toria Ciro fu padrone del paese. Ciro poi essendo prossimo alla morte fece re Cambise* suo figliuolo maggiore i e a Tam ioraree, figlio minore* asse­gnò in dominio il paese de* Battriani, e quelli dei Coramnj, de* Parti , e de* Cara mani , esentandolo da ogni tributo; e provvide pure signorilmente di Stalo i figliuoli di Spitama, dando a Spitace i Derbici* e a Megaberne i Barcanj, con che in tutto avessero a dipendere da Am iti loro madre ; e volle che datesi a vicenda le destre* e tra loro* e con Amorge facessero amicìzia tu lli, la benedizione largendo a quelli cbe si conservassero beo affetti » ed al contrario imprecando tremendi mali ai primi che rompessero l* alleanza. Così fatto cessò di vivere, tre giorni dopo cb*era stato ferito, dopo no regno dì treot*anni. E qui finisce l* undecimo libro di Ctesia*

Il libro dodicesimo di Ctesia incomincia dal regno di Cambi se. La prima cosa ch’egli fece» fu di far trasportare in Persia per opera dell'eunuco Bagapata* il corpo del padre* siccome questi avea ordinato. Io quelli poi che presso Cambise aveano maggiore credito, era A rtasira ircaoo, e gli eu­nuchi itabate * Aspadate ; Bagapata fu poi in­fluentissimo sopra tutti presso Ciro* Bagapata* dopo cbe oon visse prò Pttisaca , comandava Γ esercito contro l'Egitto, e il re di quel paese Amirteo* che anche vinse* giovatosi dell’opera di Combafeo* molto innanzi uella grazia del monarca egìzio, e che per tiadimento consegnò ai Persiaui i ponti e i luoghi

fi/ ito , Po i. L i l

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forti, con che Cambise gli desse il governo del* PEgitto, che di f&tto egli ebbe; poiché Cambise glie Pavea fatto promettere da prima per mezzo d* Izabafei cugino di colui, indi di bocca propria. Venuto poi vivo nelle mani di Cambise quel re Amirteo, noo altro gli accadde che d’essere man­dato a confino iu Susa con sei mila Egizj eh’ egli medesimo si scelse a volontà sua. Fu dunque sot­tomesso tutto P Egitto con la morte in battaglia di ciuquanta mila Egizj, e di settee due Persiani.

Intanto un mago che avea nome Sfendadate, per alcun delitto commesso stato fatto frustare da Tanioxarce^ fratello di Cambise, andò a questo, ed accusò Tanioxarce che gli tramasse insidie , adducendo in prova cbe noa sarebbe venuto a lui se Cambise lo avesse chiamato. Cambise lo chiamò infatti ed egli avendo allora alcuna im ­presa per mano differì Pandata. Dal che il mago tanto più si animò in supporlo di ree intenzioni. Am iti, a cui non isfuggl l’artifìzio calunnioso dei mago, andava dicendo a Cambise che uon credesse a colui $ e Cambise fìnse di non credergli, e gli credeva interamente. Chiamato poi la terza volta Tanioxarce andò finalmente, e il re lo accolse e lo abbracciò come se ninna sinistra idea avesse di lui; ma in suo pensiero meditava, senza dir nulla alla madre, di ammazzarlo: come poi seguì^ e fu il mago che al re ne additò il modo seguente. Era egli similissimo di volto e di persona a TV»* nioxarcei e quindi gli suggerì che e in privato e in pubblico desse ordine che gli si tagliasse la testa come a falso delatore contro il fratello, e che intanto di nascosto facesse uccidere Tanto*

i6 ? classe p * i u a ,

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STORICI a BIOGRAFI PROFÀHl. *65xarce , e vestir lui mago degli abiti del fratello, onde da questo si credesse Tanioxarce vivente. Così fu fatto: che Tanioxarce inori , obbligato a bere il sangue di toro; e il mago fu teuuto per. Tanioxarce; nè la fraude per lungo tempo si seppe da altri, fuorché da Artasira, da Bagapaten e da Izabate* stati da Cambise adoperati per con­fidenti della cosa. Cambise poi, chiamato a sé La- bito* che tra gli euouchi di Tanioxarce era il prin­cipale, e con costui gli altri , e loro mostrò il mago sedentesi ornato delle vesti dell* ucciso , e domandò loro se conoscessero Tanioxarce· A cui Labizo rispose quale altro riconoscerebbero essi mai per quello? tanta era la somiglianza apparente del mago. Fu quindi mandato al paese de'Baitriam i, e colà governò, come se stato fosse verameute Tanioxarce medesimo. Cinque anni dopo tutto {'occorso tid Amiti rivelò Peunuco Tibeteo, che il mago avea cacciato dalla sua corte ; e Amiti do­mandò a Cambise che le desse nelle mani Splene dadatei che egli segandole, Amiti lo colmò di maledizioni, e preso il veleno morì. Accadde poi, cbe facendo Cambise un sacrifizio, non venne fuori sangue dalla vittima scannata; il che incominciò a gravemente turbare quel principe; e il turbamento suo maggiore crebbe di poi al partorire che gli fece Rossane uo figlio senza testa; dal quale pro­digio i maghi predissero ch'egli sarebbe morto senza lasciar successore. S'aggiunse inoltre che di notte gli apparve in sogno la madre, la quale or­ribilmente il minacciò del gastigo dovuto al fra­tricidio commesso: cosa cbe all'ultim o grado spa­ventò Cambise. Per lo che andato iu B abilonia, e

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16 4 CLASSE PftlUà ,

postosi per passatempo a pulire con un coltello uu legno, malamente dirigendolo gli andò a ferireil muscolo della coscia, e undici giorni dopo questo caso mori, avendo regnato diciotto anni*

Bagapate e Artasira, prima che Cambise mo­risse, pensarouo fra loro di chiamare al trono il mago; e così fecero, morto ch'egli fu. Era ito Habate a trasportare il corpo di Cambise nella Persia; e veduto al suo ritorno sedersi su! trono sotto il nome di Tanioxarce il mago , prese a palesare a tutto l'esercito il fatto; e avendo do­vuto rifuggirsi io luogo d'asilo, fu di 14 tratto ed ucciso. Ma sette illustri Persiani cospirarono in­sieme uniti contro il mago, e furono Onofa, Iderne9 Not'odabate, Mardonio, Barise, Ataferne e Darlo, figliuolo d 'istaspe. Questi preso d'accordo con­certo, chiamarono al loro consiglio anche Artasira e Bagapate, i quali tenevano le chiavi di tutti i luoghi della reggia ; e per opera di costoro en­trati tutti sette in palazzo, diedero addosso ai mago che dormiva eoo una coucubiua detta la Babilonese. Costui svegliatosi ai colpi, s'alzò ratto, e uou avendo alcun'arma presso,pt»iché/fuga/»i{e avea avuta l 'attenzione dì levarle tutte di là, spezzata uua sedia dorata, con un piede della medesima incominciò a menar le mani anch'egli ; ma so­praffatto da que'sette cadde pieno di ferite l'o t­tavo mese dachè regnava.

Regnò poscia di que'sette D ario , attesoché il cavallo di lui, per certo artifizio, era stato il pi imo a nitrire all'alzarsi del sole; e questa era stata la prova fra loro convenuta. È poi da dire che il giorno» in cui il mago fu ucciso* di)cune presso

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STORICI e BIOGRAFI FROFAK1. l65i Persiani festivo , e si celebra tuttora sotto il nome di Mago fonia· Dario avea ordinato che se gli costruisse il sepolcro sopra una montagna che avea due vette; e stavasi costruendo, quando, volendo egli andare a vederlo, i Caldei, e i suoi genitori nel distolsero. Questi però vollero salire colà ; e morirono precipitati al basso , poiché i sacerdoti che li traevano in alto, atterriti alta vista di certi serpenti rilasciarono le corde. Recò altissimo do­lore un tal caso a D arlo t e fece tagliar la testa a quelli che erano stati incaricati della condotta , i quali furono quaranta.

Dario inoltre ordinò ad À*iam m ef satrapo di Cappadocia, una spedizione nella Scizia, e di con­durne schiavi nomini e donne. Egli andò con trenta navi , ciascheduna di cinquanta remi ; e tra gli altri prese Masagete, fratello del re degli Sciti, che trovò prigione, condannatovi dal fratello per male «zioui fatte. Di che sdegnato il re degli Sciti, che chiama vasi Scitarce, scrisse a Dario lettere piene di contumelie; e in egual tuono Dario rispose a lui. Questi poi radunato un esercito di ottocento mila uomini, e messi ponti sul Bosforo, e sulflstro, marciò per quindici giorni contro gli Sciti. Allora i due re si mandarono a vicenda un arco* e ve­duto D ario che quello dello Scita era assai più forte del· sue, fuggendo pei ponti che diauzi avea fatto costruire, in gran fretta li fece rompere prima che tutto il suo esercito fosse ripassato. D*onde venne che ottaota mila de* suoi, da lui di tate maniera abbandonati in Europa, furono uccisi da­gli Sciti. Passato poi Dario il Bosforo , le case e i templi abbruciò de*Ca!cedonesi, poiché costoro

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aveano cercato di rompere i ponti da lui fatti porre presso la loro città, ed inoltre aveano ro­vesciato un altare, eretto da lui. quando la prima T o lta p a s s ò , ad onore di Giove diabate Ho, Accadde poi anche cbe l’ ammiraglio della flotta persiana, D ati di nome, venendo dal Ponto, si pose a deva­stare le isole, e la Grecia, a cui andato incontro M ilziade, presso Maratona vinse i Barbari con la nccisioue di Dati medesimo, il cui cadavere ai Persiani, che caldamente il domandavano , fu ae­rato. Dario ritornatosi in Persia, dopo avere fatto gli usati sagrifizj, e sostenuta una malattia di trenta giorni, morì, avendo visAtito dodici anni prima d’essere re , e treni’ uno sul trono. Morì pure A rtasira ; e Bagapate fini di vivere dopo essere stato sette anni alla guardia del sepolcro di D ario .

A lui successe Serse, suo figlio, presso il quale sommo credito ebbe À rtabano, figliuolo di A ria - s ira , non essendo meno influente di quello che stato fosse dianzi suo padre. Cosi fu anche di quel vecchio Mardonio : e Natace andò nella potenza sopra tutti gli altri eunuchi. Serse prese a moglie Am istru figlia di Onofa , dalla quale gli nacque Dario ( i ) , e dopo due anni n'ebbe un secondo chiamato lstaspe*9 indi per terzo Àrtaserse, Ebbe

( 1 ) Qui Fozio lo dice Darico. Ciò non vuole dir altro , che (o abbia cambi-ito o avesse cambiatoCtesia) sempre più si verifica che i Greci storpiarono, e snaturarono tutti i nomi de* popoli, da essi chiamati Barbari $ cosicché malamente si possono oggi da noi confrontare sulle storie persiane, chtnesi e tartare.

1 6 6 c lasse prima ,

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STORICI E BIOGRAFI FROF4NI. I 6 7

pure due fìglie, una chiamata Amiti dal nome

dell'ava, e l'altra Rodoguna.«S'erse prese a voler fare la guerra afGreci, sì per­

ché i Calcedouesi aveano tentato di rompere, come già s* è detto, il ponte fatto da Dario, si perché aveano rovesciato Pattare da quel re alzato a Giove ; ed oltre ciò anche per aver negato di consegnare il cadavere di Dati ucciso dagli Ateniesi. Ma prima di quella spedizione volle recarsi a Babilonia, e visitareil sepolcro di Bel'tana, il quale per opera di M ar­donio vide ; ma non potè , coni1 era stato scritto , empiere P urna detPoIio. Di là passato essendo ad £cbatana « gli venne avviso che i Babilonesi si erano ribellati, ed ucciso aveano Zopiro% capitano colà delle truppe. E di queste cose ancora Ctesia parta differentemente da Erodoto. Quello poi che Broàoto narra di Zopiro , se si eccettua ciò che riguarda la muta di lu i, la quale partorì, nel ri­manente Ctesia Io attribuisce a Megabise^ genero di Serse , la cui figlia Amiti egli avea sposata. Così Megabise fu quegli che prese Babilonia , e Serse, tra le altre cose, gli donò una mola d’ oro pesante sei talenti % regalo che presso i Persiani si reputa il maggiore di tutti quelli che il re possa dare. Serse adunque radunato P esercito persiano, che, oltre i carri, fu di ottocento mila uomini, e di mille navi, messo un ponte presso Abido , passò nella Grecia. Ad Abido gli si presentò prima di tutti Demarato lacedemone, il quale lo distolse dal*& ψ φ I

I invadere Io stato di Sparta. Indi per mezzo di Artabano, che comandava dieci mila uomini, Serse combattè bile Termopili con Leònìda , generale de’ Lacedemoni \ nel qual fatto d’ armi perirono

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mìseramente le truppe persiane, mentre delle la­cedemoni non mancarono che due o tre persone. Altri ventimila uomini obbligò il re ad avanzarsi $ e questi pure furono sbaragliati. E quantunque , spinti a forza di frusta, que* venti mila fossero stati vinti, il giorno dopo Serse ordinò che marcias­sero altri cinquanta mila; e non avendo questi potuto rompere i nemici, egli sospese ogni altro combattimento. Erano nelTesercito Tessalo, i Cai- liadif principi de*Trachinj, e Timaferne. i quali, chiamati da Serse insieme con Demarato ed E%ia d’Efeso, dissero non essere possibile vincere i La­cedemoni, se non si fossero obbligati a combattere circondati da ogni parte da truppe. Perciò dati a que* due principi trachinj quaranta mila Persiani, essi per siti inaccessi passati oltre, giunsero ad assai* tare i Lacedemoni allespalle;i quali di tal modocir* condati, valorosamente combattendo morirono tutti. Serse mandò poi un esercito di centoventi mila uomini sotto il comando di Mardonio coutro quei di Platea, istigatori di quella impresa i Tebani ; e a Mardonio si fece innanzi Pausania, lacede­mone, con soli trecento de* suoi, cou mille uomini di Platea» e con sei mila delle altre città. L’eser­cito persiano ivi fu rotto, e Mardonio ferito fu costretto alla fuga. Questo Mardonio medesimo spedito da Serse a dare il sacco al tempio di Apollo , fu oppresso da una grandiue portentosa con gran dolore del re. Serse di poi andò coll’eser­cito ad Atene; ma gli Ateniesi, saliti sopra cento dieci triremi, ricoveraronsi nell’ isola di Salamina ; e trovò deserta la città , la quale egli ioceudiò , salva la sola rocca , cbe alcuni ivi lasciati segui-

τ 6 8 c l a s se pbtma,

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STORICI z BlOGfiAFf PBOFANI· 169lavano a difendere ; se non che esseudo in fìoe fug­giti anch* essi, quella rocca fu pure incendiata. Indi portatosi il re ad uno strettissimo luogo del* l'Attica detto Eraeleo, incominciò a far costruire uo argine verso Salamina col disegno di penetrare per terra in quell’isola. Per consiglio però di T e- mistocle ♦ e di Aristide, ateniesi , furouo chia­mati saettieri di Creta, e giunti impedirono i la· vori. Indi si venne ad una battaglia navale tra Persiani e Greci: quelli aveano oltre mille navi, e n* era ammiraglio Onofa\ questi ne avevano set­tecento. Nondimeno i Greci viusero, e i Persiani perdettero cinqueceuto delle navi loro ; e Serse stesso per artifizio di Aristide e di Temistocle prese la fuga, essendogli di tutto l'esercito suo, ne* varj combattimenti s e g u i t i s t a t i uccisi non meno di centoventi mila uomini.

£sseodo il re passato in Asia v e andato verso Sardi, a Megabise volle dare ordine di nuovo di gire al saccheggiamento del tempio di Delfo ; e ricusando egli d*esporsi un’altra volta a quel ci- meoto, v*aodò in veee sua l’euuuco Mataca, non temendo colui d* insultare Apollo e rubarne quanto ivi era di prezioso. E così fece, ritornatosi poscia al re. Il quale intanto erasi tratto in Babilonia , ove Megabise gli portò querela contro sua moglie Amiti che dicemmo già essere fìglia di Serse, come rea d’adulterio t del qual fallo dal padre rimpro­verata acremeote, essa con alto animo dichiarò es­sersi comportata da donna casta. Artabano poi che molto poteva presso Serse9 e l'eunuco Spamitre , uon meoo di Artabano iu grazia del re, si accor­darono ad ucciderlo ; e così fecero , persuadendo

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ad Àrtaserse che quella iniquità fosse stata com­messa dall*altro figlio D ario , sicché da Àriabano condotto questi nel palazzo di Àrtaserse , non ostante che con g>an clamore gridasse non essere Ini al certo parricida, fu tolto di vita

Fu dunque Àrtaserse il re per opera di Aria- batto. Ma anche alla vita di lui Artabano insidiò; e comunicato il suo disegno a Megabise* pel so­spetto dell* adulterio della moglie Amiti assai tri­ste, con giuramento si assicurarono l’uno dell’al­tro. Se non che questi rivelò il tradimento, e A r­tabano finì col genere di morte che avea destinata ad Àrtaserse. Allora venne alla luce quanto erasi fatto contro Serse a Dario ; ed anche A spamitre^ che della uccisione di Serse e di Dario era stato consapevole fu ammazzato, ina eon tormenti atro­cissimi. Dopo la rhorte di Artabano nacque un combattimento tra i compagni della congiura di colui e gli altri Persiani ; nel qual combattimento furono morti i figlinoli di Artabano ; e Megabise stesso restò gravemente ferito. Del cui caso assai piansero Àrtaserse, Amiti , Rodogune e Ami stri, loro madre. Finalmente però , sebbene a grande stento, per la diligenza di Apollonide, medico di Coo, egli guarì.

Ribellarono ad Àrtaserse i Battriani insieme con un satrapo, di nome anch9 egli Artabano ; e nella prima battaglia che si diede , le cose anda­rono del pari: ma in una seconda, soffiando in faccia ai Battriani un gagliardissimo Vento, A ria* serse rimase vittorioso; e tutta quanta la Battriaaa se gli umiliò.

Ribellatoglisi anche PEgitto, caporioni della sol-

1 7 0 c l a s s e pii i m a ,

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STOBI CI E BIOGRAFI PROFANI. * 7 *

levazìone Inaro lidio , ed uno del paese ; i quali tutte le cose necessarie per sostenere la guerra allestirono ; e gli Ateniesi somministrarono ad Inaro quaranta navi. Per lo che Àrtaserse avea in animo di recarsi in persona a quella impresa, da cui avendolo i suoi ministri dissuaso, mandò ih Egitto con quattrocento mila uomini, e con ottanta navi suo fratello Àchement. Inaro venne al fatto d’armi con questo principe ; e gli Egizj vinsero, ed Àchernene ferito da Inaro morì, e ne fu portato il corpo ad Àrtaserse. Anche sul mare Inaro fu vittorioso , copertosi nella battaglia, che seguì, di somma gloria CarUirnidat che comandava le quaranta navi mandate dagli Ateniesi: di cin­quanta navi persiane che ebbero parte nella bat­taglia 9 venti furono prese insieme con gli uomini che v* erano sopra, e le altre trenta si affondarono. Dopo un tale disastro fu mandato contro Inaro Megabise, il quale, oltre le truppe rimaste, con­dusse un esercito di dugento mila uomini, e tre­cento navi, comandate da Orisio ; a modo che non contate le navi , egli venne ad avere un mezzo milione d’ uomini* poiché quando Àchernene mori, de* qnattrocento mila uomini uf erano periti cento mila. Fieramente adunque si combattè; e v* ebbe gran numero dì morti da entrambe le parti ; mx i più furono gli Egizj. Megabise infine ferì Inaroio una coscia, e lo mise in fuga: con che i Per­siani preso maggior coraggio restarono vincitori. Inaro poi andò a ripararsi in Bibli, città d ell'E ­gitto assai forte, e con esso andaronvi tutti i Greci die erano rimasti o dalla battaglia seguita allora,o da quella che si era data da Carirnittde. Oude

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IJ*X e t ie sc PRIMA ,

tutto l'Egitto, fuori che B ibli* si diede a Megabise» E perchè Bibli parea inespugmtbile, Megabise ve­nuto a trattato con Inavo e coi Greci, le cui forze erano oltre sei mila uomini, pattuì, e giurò che ni uno d'essi avrebbe sofferto nulla per la parte del re, e i Greci sarebbono ritornati liberamente al loro paese. Avendo pertanto affìdato il governo dell'Egitto a Sartamano% egli con /n ero , e coi Greci andò ad Àrtaserse, il quale trovò fìerameote sdegnato contro Inaro a motivo ch'egli avea ucciso Àchernene, fratello di esso re. Megabise diede conto di tutte le cose avvenute, e della parola sacra data avea nel trattato di Bibli ad Inaro ed a' Greci i di modo cb e, pregando e ripregaodo che questi fossero salvi, fu esaudito ; e ritornò all'esercito teuendo per certo che nè Inaro, nè i Greci avreb­bero nulla a soffrire.

Ma Àmiti% dolentissima della morte del figlio Àchernenet crede va si oltraggiata, se Inoro e i Greci uon le scontassero tanta perdita. Per la quale cosa lì domandò al re» che però non le accondiscese. Voltossi essa a Megabise i e questi aucora stette fermo nel primo proposto. Ma fìoalmeute non istancandosi di annojare con replicate domande il figliuolo, ottenne quanto desiderava % e dopo cinque anni il re le abbandonò Inaro e i Greci. Essa fece inchiodare Inaro sopra tre croci; e non aveodo potuto prendere de'Greci che cinquanta persone, a questi fece tagliare la testa.

Di questo fatto acerbamente afflitto M egabise, domandò che gli fosse permesso di ritirarsi nel suo governo della Siria, dove occultameute avea man­dati gli altri G reci, e finalmente avendo potuto

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s t o r i c i s bio g r a f i p r o f a n i . \η§recarsi colà . si tolse dalla divozione del re, rac­cogliendo da per tntto soldati, cosicché oe mise in· sterne Ira fanti e cavalli cento cinquanta mila. Fa con dugento mila mandato contro di lui Osiri\ e venuti petto a petto Ostri e M egabise, ferironsi V un l*alt ro t Osiri fece a Megabise uoa piaga sella coscia profonda due dita, e Megabise feri lu i , prima in una coscia, e poi in una spalla, a modo che cadde da cavallo. Ma oel cadere aven­dolo Megabise abbracciato, ordinò che fosse la­sciato salvo* Molti Persiani perirono in quella bat­taglia dove Zopiro e À rtifio , figliuoli di Mega­bise , comportaronsi vaio rosi ssi ma mente; e Megabise ebbe uoa grande vittoria. Procurò poscia che Osiri fosse con somma attenzione guarito ; e lo mandò anche ad Àrtaserse che il chiedeva. Un altro esercito intanto gli fu spedito contro , ed insieme Menostrate, figliuolo di Àrtario. Era questo A r- tario satrapo di Babilonia e fratello di Àrtaserse. Quindi si diede un'altra battaglia; e i Persiani fuggirono, e Menostrate fu da Megabise ferito in una spalla; e poi nella testa, ma non mortalmente. Fuggì però anch’ egli con tuiti i suoi, e lasciò a Megabise una vittoria splendidissima. Dopo questo fatto Àrtario spedì messi a Megabise invitandole a venire col re a patti. Rispese Megabise che di venire a patti col re non avea difficoltà veruna; ma che non sarebbe mai aodato alla corte, e che soa deliberazione era di starsi nel suo governo. Partecipate queste cose al re. Àrtoxare, eunuco pafìagone, e Àmistri medesima sollecitano Ària* serse al trattato ; e furono mandati a questo e£» tetto À rtario , e la moglie Amiti, e iusieme con

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174 et ASSE PRIMA ,questi Arloxare, che allora avea ventanni , e Petita, figlio di Osiri % il quale era anche padre di Spitama. Costoro con mille discorsi e giura» menti assicurando Megabise, a grande stento la persuasero ad andare al re. AI quale ritornato, il re dichiaiò di perdonargli quanto avea fatto. Dopo alcun tempo ito Megabise a caccia , fu assaltato da un teoue, che mentre alzato in piedi voleva ab­brancarlo, egli ammazzò col dardo. Dispiacque ad Àrtaserse che prima di giugnere egli a quella fiera» Megabise l'avesse ammazzala; e tanto fu lo sdegno concepitone che ordinò che gli fosse ta­gliata la testa. Ma adoperarono Am istri, Amiti ed altre persone pregando in modo che gli fu con­donata la pena, e venne, continato in una città chiamata Cirta, posta sul Mar-rosso. Anche l'eunuco Artoxare9 che molte volte ed assai franco parlalo avea al re in favore di Megabise, venne esigi iato nell’Armenia. Ma dopo cinque anni del suo esigilo Megabise fìngendo d’essere attaccato dalla lebbra, malatlia che non permette che alcuno si accosti a chi l’ ha , fuggi da quel luogo ; e ritornato alla moglie a casa sua , cou difficoltà fu riconosciuto. Quindi a mediazione di Amistri e di Amiti il re si riconciliò con esso lui, e come in addietro Io ammise alla propria mensa. Essendo poi vissuto settantasette anni mori, con gran dolore di A r - taserse medesimo.

Dopo la morte di Megabise, Amiti faceva vita con molti uomini, come prima di lei fatta avea sua madre Amistjri. Apollonide, quel medico di C o o , rammentato di sopra, avendola visitata ia una leggiera malattia, ed essendosi innamorato di

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STOBICI S BIOGRAFI PROFANI. 1^5

lei, le disse che avrebbe ricuperata fa sua salute, se data si fosse a uomini, giacché l’ iudisposizione sua proveniva da bisogni dell’ utero. Il quale ar­tifizio essendogli bene riuscito, ed avendo seco lei pratica, ove vide che la donna caduta era in con­sunzione sVstenne dall’oltre trovarsi, come prima, in confidenza con tei. Per lo che veggendosi essa prossima al suo fìne, rivelò tutto alla madre, onde prendesse vendetta di Apollonide. Questa espose la cosa ad àrtaserse, e come la figlia detto avea, che Apollonide- avesse il meritato castigo. A ria · serse fece arbitra la madre di quanto le paresse meglio ; ed essa fatto incatenare quel misero, per due interi mesi lo tormentò atrocemente , poi lo fece seppellir vivo il giorno medesimo iu cui Amiti morì.

Zopiro p o i, figliuolo di Megabise e di Amiti , perduti i suoi genitori, si ribellò al re» e andò ad Atene, poiché sua madre iti addietro avea bene­ficati gli Ateniesi. Avute ivi navi ed uomini re­cossi a Caunro , e domandò che gii si desse la città: alla quale domanda gli abitanti risposero, essere essi dispostissimi a darla a lu i, ma non agli Ateniesi : onde volendo egli salire le mura , Alcide Caunio, gli tirò uu sasso nella testa, sicché restò morto. Am istri, sua avola, fece crocifìggere quel Caunio : indi giunta a decrepitezza fini di vivere. E finì pur di vivere Àrtaserse dopo un regoo di quarantadae anni. - E qui termina il di­ciassettesimo libro della storia di Ctesia9 ed inco­mincia il diciottesimo.

Ad Àrtaserse successe Serse, suo figlio, il solo legittimo die avesse, natogli da Damaspia, la

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i j 6 classe pai m a »quale morì il giorno stesso, in cui mori di poi questo Serie ; e Bafiorate trasportò in Persia il corpo della madre e del padre. Di spurj Artaser*e n' ebbe diciassette , tra i quali furono Secindiano nato da Aloguna , babilonese, ed Oco e A rsite , nati da una certa Martidene% babilonese pur essa. Quest*Oco giunse anch'egli al trono. Oltre i figli sopraddetti, furonvi Bagapeo, e Parisati, avuti da un'altra babilouese chiamata A*dia\ e questa Pa­ritati fu poscia madre di A rtaiene e di Ciro II padre mentr'era ancora vivo, avea fatto Oco sa ­trapo degl* Ircani , datagli una moglie, Parisal anch*essa-di nome, che fu figlia di Serse, ed era sorella dello stesso Oco.

Secindiano poi, preso seco l*eunitco F o rn a ce , il quale avea iu corte meno influenza di Bagora%o e di Menostane, e di alcuni a ltr i, trovaodo n o giorno di festa ebbro e dormiente nella reggia Serse, lo ammezzò ; e ciò fu quarantacinque anni dopo la morte del padre. £ cosi avvenne, che i corpi deutrambi vennero trasportati nella Persia insieme. Di ciò poi la cagione fu che le mule, le quali doveauo prima tirare il carro , su cui era deposto il cadavere di Àrtaserse, non aveano v o ­luto andare innanzi , come se aspettassero anche quello del figlio; e dopo che accadde quanto ab­biamo acceuuato, si misero a camminare con assai vivacità.

Di questa maniera impossessatosi SecindUimo del regno, fece suo at abarile Memo siane ; quando Bagorazo fu ritornato, siccome fra loro passavano da molto tempo mali umori, colto il pretesto che seuza suo consiglio lasciato ivi avesse il cadavere

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STORICI t BIOGRAFI FBOFANi. 1 yjdel padre, lo fece lapidare. Dispiacque un tal fuUo assai aU'esercito *, e noo giovarono largizioni per far cessare Podio cootro lui concepito per la morie e del fratello Serse, e di questo miuistro. Secin­diano mandò poi a chiamare Oco, il quale sempre promise di audare a lu i, e nou andò mai fino a tanto cbe non ebbe un buon esercito, con cui occupare il regno. £ Arbario , comandante della cavalleria di Secindiano, si pose dal partito di Oco : dopo lui fece così Arxane , satrapo dell’ Egitto; e A rtoxare fino dall’ Armenia venne ad O co; al quale, ancorché noi cercasse, misero il cidari (t).

Oco adunque prese il possesso del regno, e cam- biossi il nome in quello di Dario. Egli» seguendo gli avvertimenti di Parisati, con simulazioni e con giuramenti cercò di sorprendere Secindiano ; H quale, non ostaute che Menostane le esortasse a non credere a* giuramenti , e noo trattare con uomini fallaci , diede fede agli uni e agli altri; e preso fu fatto morire affogato eutro la cenere, dopo avere tenuto lo scettro sei mesi e qui odici giorui.

Regnò dunque solo Oco, chiamato anche Dario, presso cui ebbero credito sommo tre eunuchi, e più di tutti Artoxare, poi Artiba%ane> e il terzo era Atoo. Ma piò di tutti ascoltava ne* consigli la moglie, da cui prima di salire al trono avea avuto due fìgli, Amistri ed Ar$ace> il quale di poi mu­tato uome si disse Àrtaserse. Essa gli partorì po­scia un secondo figlio, già fatta regiua, a cui dal sole mise il nome di Ciro $ e dopo quello , anche

(1) Così chiamavi»! dai Persiani il diadema reale. F o z io ) yoU 2* t a

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1 7 8 c la sse prima ,Artosse, e molti altri appresso, fino al numero di tredici* Ctesia dà questo ragguaglio dicendo d* a- verJo avuto dalla bocca delia stessa Parisati. Ma per la più parte que* figliuoli morirono prematu­ramente; e non sopravvissero che quelli che ab­biamo nominati , e un quarto eh* ebbe nome Oxeadra.

Ribellaronsi al re suo fratello Arsite, nato dal padre e dalla madre medesima» e A rii fio* figlio di Megabise, contro i quali fu Artasira che assal­tando Artifio, io due battaglie fu vinto, e in una terza poi rimase superiore, seducendo con doni i Greci che quegli avea seco, di modo che non gli re­starono piò che tre Ifilesj fedeli. Il che lo costrinse a sottomettersi «1 re , iidatosi della sicurezza che gli diede Artasira* Ma Parisati stimolò il re ad ucciderlo; non però subito, onde potere con fa stessa fidanza aver nelle mani Arsile , e levarli di mezzo tutti e due nel medesimo tempo. Così av­venne di fatto; ed entrambi furono affogati nella cenare (1). Voleva il re salvare Arsile ma Pari­sati tanto insistette ora con le dolci or cou le brusche, che il monarca ia fine cedette alle iasi—

<0 Gli Ellenisti fanno infinite chiacchiere sulla in­terpretazione della parola greca che io ho tradotta per affogato nella cenere. Non essendo d’accordo ivi in­sieme, e non potendo declinare dal comprendere l’ idea di cenere nel significato di detta parola, [10 preferita P in­terpretazione che io uso, poiché si adatta anche al caso che il éupptUio importasse un arrostimento sotto cenere calda, poiché Pafl'ogaroento ne sarebbe stato sempre il primo effetto, ed altronde si estende Pabbruciamento che la parola in qubtione propriamente non presenta.

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STORICI z BIOGRAFI PROFANI. A7fnuazioni di lei. Quel Farnace pure , il quale cou Secindiano avea ucciso Serse, fu fatto morire lapidalo; e Menostane si ammazzò da sé stesso , essendo già «lato preso, e destinato al Supplizio-

Altra ribellione fu quella di Pisurne, cootro cui fu tono mandati Tts$afeme% Spitmdata e Permise. Pisurne andò ad affrontarli, conduceodo seco Li~ corte, ateniese, coi Greci che costui capitanava ; ma avendo ricevuto danaro dai generali del re, e Licons e qne’Greci abbandonarono Pisurne, il quale $*ac« coociò ancb* egli con ess i, ed avuto giuramento di sicurezza si lasciò condurre al re, ma fu da questo fatto affogar nella cenere come gli altri ; e Tissa~ ferne ne ebbe in premio la satrapi* teuuia prima da Pisurne, e Licofte io mercede di suo tradimeuto fu messo io possesso di alcune città e paesi.

Venne iu pensiero di regnare anche ad Arto- jcore, cbe molto era ionanzi nella grazia del r e ; e tramò insidie al mooarca. £ come cosiui era eunuco , obbligò la moglie a fargli barba e mn~ stacchi onde paresse uomo* Ma essa medesima lo tradì; e fu dato iu potere di Parisati ond*essere tolto di vita.

Arsace, figliuolo del re, cbe poscia fu detto A r- iaserse, sposò Statira% figlia à ldcrne* e il figliuolo di costu i, la figlia del re. Questa avea nome Ami- stri « e Teritacrne chiamava si suo marito che fu creato satrapo iu luogo di suo padre morto. Era sorella sua , nata del padre medesimo, Rossane9 bella donna e valentissima in trarre saette e dardi. D i lei ionamorossi Terilucme* e presa con essa pratica, tanto ebbe a schifo Amistri che pensò di chiuderla io un sacc o , e farla ivi destro morite

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i 8o classe prìms,sotto i colpi di trecento aomini, coi quali meditava di ribellarsi. Ma uo certo Udìaste, che molto ere* dito avea presso Teritucme, ed avea avuto dal re lettere pienissime di belle promesse, se fosse sfato vigilante sulla salute della figlia di lu i , assaltò Teritacme, e lo uccise, quantunque molto gagliar­damente egli resistesse agli assalitori, e giugnesse, per quanto è fama» ad ammazzarne trentasette. Il figlio di cotesto Udiaste, di nome Mitridate, già scudiere di Teritucme , non trovpssi presente al fattoi ma quaudo Io seppe , molte imprecazioni mandò a suo padre ; e sorpresa avendo la città di Zarin , la conservò pel figlio di Teritucme. Ma Parisati fece seppellir vive e la madre di Teritucme* e i fratelli di lui, Metteste ed E tico , e due sorelle che aveva, oltre Statira e Rossane, fece vive segar per mezzo; e lo stesso supplizio ordinò che fosse fatto soffrire a Statira medesima, moglie di Arsace. Ma Arsace tanto con lagrime e pianti fece presso la madre e il padre, che miti- garonsi ; e poiché Parisati si piegò, anche il re con. donò a Statira la pena destinatale* solo che alla moglie soggiunse che essa avrebbe ad amaramente pentirsene.

Nel libro diciannovesimo Ctesia riferisce la morte di Oco Dario , succeduta per malattia in

Babilonia dopo aver regnato trentacinque anni.Prese le redini del regno Arsace che allora cam-

biossi il nome» e si disse Àrtaserse. Egli fece strap­par la lingua ad Udiaste dalla parte di dietro del eolie, Cosicché ne morì; e creò Mitridate in vece del padre satrapo : alfe quali cose contribuì assai Statira con gran dispetto di Parisati.

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s t o r i c i z BIOGRAFI FROFARl· i 8 i

Tissaferne accusò Ciro presso il fratello A ria· sersei e Ciro ricorso essendo alla protezione della madre, fu assolto dal delitto imputatogli. Ma quel perdono medesimo Ciro tenne per ignominioso; e con questo rancore neirauimo ritornato alla satra­pia che teneva, cominciò a meditare di ribellarsi. Salib ariane intanto accusò Oronde di pratica li­cenziosa con Parisati^ la quale altronde vivea ca- stissi ma mente. Oronde non perciò meno fu pug­nilo; e la madre del re adirata di ciò fece morir di veleno il fìglio di Teritucme· Qui si fu pur menzione di quello che contro le leggi seppellì il padre abbruciandone il cadavere. Oade sono colti in mendacio BUanico ed Brodo lo.

Finalmente Ciro sorge contro il fratello, messo insieme un esercito composto di Barbari e di Greci. De* Greci era capitano Ciearco^ e il re dei Cilici, Sinenneset somministrò ajuti di guerra, tasto a Ciro, quanto ad Àrtaserse· Questi a vicenda cercarono di animare il loro esercito* Ciearco la­cedemone, e capitano de* Greci, e Menone tessalo, i quali entrambi seguivano Ciro, erano in continui dispareri tra loro, perché Ciro in ogni cosa pren­deva consiglio da Ciearco , e non faceva alcun conto di Menone. Molti poi da Àrtaserse passa­vano alla parte di Ciro; e nessuno da Ciro pas­sava a quella di Àrtaserse. Di ciò venne che avendo Àrtabario deliberato di unirsi a Ciro, di tale at­tentato fattagli accusa, fu gittato nella cenere.

Avendo Ctro assaltato l'esercito reale, ed avu~ tane vittoria , per non avere voluto dar mente a Ciearco di poi perdette la vita ; e suo fratello Àrtaserse ne trattò indegnamente il cadavere; poi-

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chè fa testa ne tagliò , e la mano , con la quale avea percosso lui nell’azione, e l’ uua e l’altra portò come in trionfo. Ciearco, lecedemone, si ritirò di uotte co* suoi G re c i, ed occupò aua delle città appartenenti à Parisati. Per tale ragione il re venne a trattato coi Greci. Patisaii poi a «dò in Babi lo- tna, piangendo Ctro, di coi con grande stento potò ricuperare la testae la manot le quali cose onorò con funebre pompa, e mandò poi a Susa.

Prosiegue poi l'autore a narrare di Bagapate che per ordine del re avea tagliata la testa di Ciro τ come fa madre del re , vinto avendo al fìglio nel grtìoCo degli aliassi, n’ebbe, secondo il patto pro­messo, Bagapate, e come essa fattolo prima scor­ticare, lo crocifìsse j e in che tempo per le molte preghiere di Àrtaserse compresse il verissimo dolore cbe recato le aveva la morte di Ciroi e i regali che Àrtaserse fece a chi gli avea recata la tiara del fratello * e gli onori fatti al Cario, da cui credeva Ciro essere stato ferito: il quafle poi Parisati fece morire tra tormenti atrocissimi. £ finalmente ag­giunge Come Àrtaserse diede iti mano delia ma­dre anche Mitridate che, sedendo a tavola, si era gloriato d'avere ucciso CiVo; fatto morire anch’egli crudèlissima mente. Tutte queste cose eomprendonsi nei libri diciannovesimo e Ventesimo.

Ne’ tre seguenti, ne’ quali tutta la storia termina, si contengono le segmenti cose. Come Tissaferne tramò insidie a* Greci ; e fatta lega con Menonem tessalo, a forià d* inganni e di spergiuri ebbe in poter suo Ciearco e gli altri capitani , tntto che Ciearco preveduto avesse il tradimento, ed avesse cercato di sfuggì Ho. Ma la troppa si lasciò sedurre

ΐ 8 ί CLASSE PIUMA*

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STORICI e BIOGRAFI PROFANI» l 8 3

da M enone, e sforzò a suo malgrado Ciearco ad andare a Tissaferne ; e allora anche Rossano, beozio * egli pure ingannato , esortava Clemrto a quel passo, Tissaferne mandò Ciearco e gli altri carichi di catene ad Àrtaserse in Babilonia, dove tutto il mondo corse a vedere qoel capitane. Nella quale occasione d esia , allora medico di PariseUi* per mezzo di fui, gli fece molto bene. E Pariseli sarebbe giunta a farlo mettere in libertà, se Sta* tira non avesse indotto il marito Àrtaserse o furio uccidere. Ciearco adunque fu morto; e videsi al suo cadavere questo miracelo, che spirando un vento gagliardissimo, tanta polve se gli aitò sopra che rimase pienamente senta Opera uma^a sepolto. Furono parimente uccisi tutti gli altri Greci che con Ciearco erano stati condotti ad Àrtaserse, ad eccezione del solo Menone.

Parisati coprì d’trnproperj Sfa lira, la quale fece anche perire di veleno preparato nella maniera seguente , giacché presentendo il pericolo, in cui pur cadde*, con as»ai diligenza vegliava sopra di sé, Parisati unse di veleno una parte della lama di un coltello, e l’altra lasc iò intatta : poi tagliata in due parli un uccelletto piccolo come un novo ,che i Persiani chiamano Hndace, la Intatta tenne per sé, e quella che era stata tocca dalla lama avve* lena la , diede a Statira Questa Come vide che Parisati mangiava la sua, non Sospettando di nulla mangiò l'altra. Adirossi il re eoa la madre: fece mettere alla tortora, e morire gli eunuchi che aveano servito a tavola; e fece pure imprigio­nare Gingi, famigliare di Parisati , e lei mtUere sotto processo ; la quale quantunque da* giudici

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1 8 4 c l a s s e p i u m a,fuesc dichiarata innocente, e rimanesse assolta, dal re veone condannata: onde fu moria io mezzo ai tormenti. Per le che Ctesia rimprovera tanto il figlio di Parisati, quanto la madre dt lui.

Otto anni dopo che Ciearco era morto, sul se­polcro di lui si videro sorgere palme che Parisati avea occultamente fatte ivi piantare per mezzo dei suoi eunuchi.

Hiferiscousi pei i motivi, pe*quali Àrtaserse veone in discordia cou Evagora% re di Salamina; i messi di Evapora a Ctesia ; onde ricevessero lettere da Abuleta ; e la lettere di Ctesia al me­desimo sul punto di riconciliare Àrtaserse con Esagera\ il ritorno de’messi di Evagora io Cipro; la consegoa a lui delle lettere che Ctesia gli avea scritto ; le lettere di Conone ad Evagora ; il di­scorso sul proposito di andare ad Àrtaserse ; e la lettera di Evagora sugli onori da Àrtaserse rice - vuti ; uua lettera di Conone a Ctesia $ e il tributo ad Àrtaserse dato da Evagor a. Ctesia riceve uaa lettera , e parla di Cono ne al re, e a Conone re* scrive. Consegnassi a Satibarzane i régali spediti da Evagora ; e i messi ritornano io Cipro. V en­gono poscia, una lettera di Conone al re, ed una a Ctesia ; si parla de* messi de'Lacedemoni inviati al r e , e da lui ritenutis si riferisce una lettera del re a Conone e ai Lacedemoni, recapitata da Ctesia medesimo. Conone é fatto ammiraglio del- Parmata da Farnabaza : Ctesia arriva a Gnido sua patria, e di là passa a Sparta : suo contrasto avuto a Rodi contro i legati de* Lacedemoni ; e come da Efeso fosse mandato a Battra.

Segue poi infine l’ enumerazione delle stazioni,

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STOBTCI Z BIOGRAFI FlOFAIO. t85delle giornate, e delle parasangbe del paese del· l 'in d ia ; e parimente un catalogo de* re da iViss e Semiramide fino ad Àrtaserse t eoo le quali e o i· quest'opera vien terminata.

La dicitura di Ctesia è candida e semplice, onde riesce anche gioconda. Egli fa uso del dia» letto jonico, non però sempre come ha fatto E ro· doto ; ma solamente in alcune parole. Né poi si perde egli incerte digressioni, come inopportuna­mente fa l’altro, quantunque sia da dire che nep- pur egli si astiene da raccnnti favolosi, svi quali ardisce dar taccia obbrobriosa a quello scrittore: ciò accade singolarmente io quel libro eh' egli intitolò: delle Cose deW India. Una grao parte di quella giocondità che nella sua storia si trova , consiste nell* andamento delle narrazioni che ti presentano e veemenza, e alcuo che di non as|petu­tato; ornandole con grande varietà aoche nelle cose quasi favolose. Però l'orazione sua è più del giusto libera, cadendo in idiotismi e in modi tri­viali. Laddove lo stile di Erodoto è sì bello ed artifizioso che può riguardarsi come uo modello di dialetto jonico#

C T E S I A

DZU.Z c osa DZIL* iXDIA.

In un libro solo parla Ctesia delle Cose del c.*j% Tinàia* usando dialetto jonico più che nella storia antecedente*

Dice che il fiume ludo, dovf è più stretto è largo quaranta stadj ; e dove è empiissimo ne ha

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τ$6 classe pai ma ,diigento; e che i soli Indiani nella mollitudine di uomini superano tutti gli altri popoli. Scrive di un certo verme , che è iu quel fiume , ed unico che in esso nasca di tutti gli animali. Al di là degl* Indiani non abitare altri uomini. Nella con­trada dell* India non piovere m ai; ma il fiume inafUare le terre. Parla della gemma sigillare, detta pantarba ; e raccouta come eoo questa settaata- sette di simili , e altre pietre preziose dal fiume traesse tutte a (laccai e insieme, le quali erano di itn cerio mercatante battriano. Parla parimente degli elefanti che rompono e riveseiaoo i muri £ di piccole simic che hauno una coda lunga quattro cubiti; di galli gallinacj grandissimi ; dell’ uccello psittaco (pappagallo; che ha voce e loquela utnana; di un avvoltojo assai grosso, con la testa porporina,e la barba nera, e col collo di colore ceruleo, tirante iu rosso ; β cbe quest’ occello paria a guisa d*uomo la lingua indiana, ed anche la greca, se io questa viene ammaestrato.

Vien dicendo di «ma fontana, la quale ogni anno t'empied*oro liquido a modo che nei c*»rSo deU'anno se ne possono empiere cento orcie d* argilla. £ quelle orcie vogliono poi essere d’argilla , perché tosto che quell'oro n* è tratto si consolida, sicché per farne uso bisogoa rompere il vaso. Quella fontana é quadra, ha sedici cubiti dì larghezza, e non è fonda che un palmo. l/oro d'ogoi orcia che $e ne cava , equivale ad un talento. Nel fondo di quella fumana trovasi del ferro, di eui G*esia dice avere avute due spade, una regalatagli dal re, Pai* tra da Parisali, madre del medesimo. Tale poi essere la forza di quel ferro che gittate io terra

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s t o r i c i z b i o g r a f i ρ β ο ε α κ γ 1 8 7

discaccia le nebbie , le grandini e le procelle; e dichiara d*aver veduto egli stesso più volte il fatto, facendone il re la prova.

Intorno accani dice quelli d'india essere sì grossi che contrastano co*leoni. Parla detle grandi mon­tagne del paese, dalle quali si scavano pietre sar­doniche, onici ed altre gemme. Riferisce colà fare gran caldo, e vedervisi il sole dieci volte maggiore che negli altri paesi: onde molte persone rimaner morte soffocate dal bollore. Il mare nondimeno al pari del greco gonfiarsi ; ma non alzarsi più di quattro dita ; e a cagione del calore i pesci per vivere dovere ritirarsi nel profondo.

Il fiume Indo allagando le campagne pe*>etra an­che tra le stesse montagne, ed ivi nascere una canna che chiamano d 'india; di tanta grossezza quanto possano due uomini abbracciare ; ed alta al pari di un albero di grossa Aave mercantile. Di queste cànne hannovene però e maggiori e minori, come suole accadere In alcnoa grande moiftàgna E*se distiikguonsi in maschio e femmirta t il maschio é assai robusto e forte, né ha midolla; la femmina ha la midolla. Parlando poscia dell’animale di quelle contrade, dello M ariicora% dice avere la faccia simile a quella dell'uom o, essere grande come il leone , e rosso come il cii/Àbvo * con tre ordini di denti, le orecchie simili a quelle delPuomo, gli occhi ancb'essi come i nostri, glauchi, e la coda piò lunga di un cubito a foggia di quella dello scorpione terrestre, nella quale ha en acu­leo ; quantunque poi attraverso sia pieoa di spine. Un aculeo ha parimente nella testa, come lo scor­pione, e con esso punge chi gli si avvicina, di modo

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i 8 8 cl a s s e f a i ma ,

che chi n*é ferito non può scampar dalla rtiorte · £ se v* ha alcuno che da lontano voglia combat­tere questo animale , nou meno cbe dalla parte dinanzi, stendendo esso la coda, da essa quasi da un arco lancia come saette gli aculei alla distanza di un jugero, e quanti colpisce ammazza, salvo l’elefante solo: quegli aculei sono lunghi un piede, e grossi come uoa sottilissima cordicella. Aggiunge quell’animale Marticora dai Greci con parola che significa divoratore cT uomini, perchè per lo più ammazza e mangia gli uomini, quantunque si cibi anche d’altri animali. Questo animale combatte uoa solo con gli aculei sopraddetti, ina eziandio con le unghie; e lanciando gli aculei., glie ne rinascono de* nuovi. Grande quantità poi di queste bestie ha nell’ Iudia; e gli uomini li ammazzano coi dardi, stando assisi sopra elefanti.

Parla poi della somma giustizia degl’indiani, e decloro costumi e riti, di quel luogo per essi sacro che in tratto inabitabile del paese venerano sotto il nome del sole e della luna ; al qual luogo par* tendo dal monte Sardo non si può giungere cbe in quindici giornate di cammino. Ogni anuo per treutacinque giorni ivi il sole tempera gli ardori suoi, onde nella celebrazione della festa quelle genti non abbiano da abbruciarsi. In India nò tuoni sono, nò fulmini, nò piogge; bensì vi sono frequentissimi veoti, e turbini gagliardi a segno da portar via tutto quello che incontrano. In p a­recchi luoghi dell’india il sole nascente in una parte del giorno porta freddo, nell’altra calore grandis­simo. Non dal sole, ma dalla natura hanno g l'ln - diaoi d’ essere negri di tinta· Tra loro però esservi

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STORICI S B OGBArt PB0FA9I. t 9galcuni si uomini che donne , quantunque pochis­simi di n u m e ro , i quali sono candidissimi ( e di questa fatta dice avere egli medesimo veduto due donne e ciuque uomini. In confermazione poi di quanto avea detto di sopra infoi no al sole, che per trentacinque giorni porta nell* India un’ aria fredda,

aggiunge che il fuoco vomitato dafl*Etna non in­festa il tratto mezzano della regione, essendo quello degli uomini giusti ; mentre poi infesta gli altri luoghi circostanti. Anche presso 1* isola Zacioto sonovi footi pieni di pesce , ne* quali però si forma l a p e ce; che in Nasso v * ha un fonte da cui vien fuori vino squisitissimo ( e cosi è del­l’acqua del fiume Fasi, la quale se si conserva un giorno intero in qunlche vaso, si converte in vino soavissimo. Anche uella L i c i a , non lungi dalla Faselide, v ’ ha uu fuoco perpetuo che arde di notte e di giorno seoza intermissione, né può estinguersi coiracqua, anzi con essa maggiormente si accende. E. in questa maniera il fuoco continuamente a v ­vampa si nell* Etna come in Prusa.

Oltre queste cose racconta che nel mezzo del- l’ ìndia trovansi uomini neri che chiamansi Pigmei, parlanti la lingua stessa degli altri Indiani « ma piccolissimi, cosicché i piò grandi non hanno che l*altezza di due c u b it i , e i più quella di un cu* bito e mezzo solamente. Costoro hanno lunghi i capelli sino alle ginocchia, e anche piò basso, con barba più lunga di quella che mai s’abbiano gli altri uom ini, con questa particolarità che quando essa comincia ad essere alquanto piò lu n g a , non ■usano più Teste di sorte alcuna , bastando tutto »11* intorno a cingerli e coprirli tanto i capeHi che

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tgO CLASSE FATMA ,loro cadono giù alla schiena fìn sotto le ginocchia, quauto la barba che loro discende sino ai piedi. Grosso e lungo poi si che loro tocca le cavicchie de' piedi, è il loro membro genitale. Cotesti Pig­mei hanno il naso g h iacciato, e sono deformi. Le pecore loro souo come gli aguelli nostri: i buoi, gli asini sono della grandezza de' nostri arieti ; i cavalli , i muli, e gli altri giumenti niente più sono grandi. Il re degl'indiani tiene nelle sue guardie tre mila di questi Pigmei, essendo valentis­simi saettieri. Sono poi cultori sommi della giustizia, ed ubbidiscono alle leggi degli altri Indiani. Costoro fanno la caccia alle lepri e alte volpi, uoa coi cani, ma coi corvi, coi milvj, cou le cornacchie, e con le aquile. Presso loro v' ha uu lago di un circuito di ottocento stadj, sulla cui superfìcie quando tira vento vedesi un olio simile al nostro; e per questo lago con piccole barchette vanno a prendere quel­l’olio per gli usi loro ; e quantunque si servano anche dell'olio fatto col sesamo e con le noci, più eccellente è tenuto questo cbe traggono da quel lago, in cui però non v' è alcun pesce.

Ctesia dice che quel paese abbonda anche d'ar­gento ; né esserne le miniere profonde , ma piò vicine alla superfìcie della terra di quello che lo sieno le vene della Battriana. Avere poi l'india anche d e ll 'o ro , non nel letto de’ fiumi, cosicché traggasi levando la sabbia come si fa nel Pactolo, ma nelle viscere de' monti che molli e vastissimi sono quelli che ue somministrauo ; ne'quali, quan­tunque siavi grande quautità d’oro, siccome vi abi­tano i grifi ( uccelli quadrupedi, grandi come i lupi, con zampe ed unghie da leoue, con le penne su tutto

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STOatcì x siogia.fi μ ofaih. ig i\\ corpo nere e rosse \u\ petto) con molta difficoltà può aversene;

Le pecore e le capre degPIodiani sono più grandi de* nostri asini , e per lo più partoriscono quattro e anche sei agnelli, o oapretti. Hanno poi si grossa la c oda che alle adulte occo rre tagliarla, onde possano ricevere il marchio. In tutta Γ India non trovasi porco, nè addomesticato nè selvatico. Ivi le palme e i loro fruiti soao piò grossi che a Babi- Ionia- V ’ è inoltre un certo fiume che uscendo da una pietra porta mele.

Parla poi ancora della giustizia degl'indiani, del loro afletto verso il re del paese, e del disprezzo che hanno della morte. Dice essere presso loro uo fuote, la cui acqua appena tratta si coagula come il formaggio. Della quale materia coagulata, se mai se ne pesta uoa dose di tre oboli, e si danno a bere ad alenno in acqua comune, egli tosto dice tolto quello cbe ha fatto, e rimane coese patio per tutto quel giorno· Di questo servesi il re per quelli che gli veagooe accusati, qualora vuol ser­pere di certo, se siano rei di ciò di cui s* io col* pano; e se dichiarano il delitto commesso, ordina cbe mnojano (finedia ; e se non se ue cava nulla» ti rimanda liberi.

Nessuno tra g f Indiani soffre nè dolore di te­sta , nè di q uello degli occhi , nè di quello dei denti : nessuno ha pustole in bocca, né alcuna ul­cera marciosa.

De* popoli Seri e degl* Indiani ulteriori dice avere essi corporatura enorme « sicché vi si tro* vano uomini alti tredici cubiti, e la cui vita passa i dugento anni. Io alcuna parte del fiume Gaiia

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ig* classz ranis ,essersi veduti uomini ferini, eoo la pelle simile a quella delfippopolamo, che nemmeno i dardi pos­sono penetrare. In quella stessa India vuoisi che gli abitanti portino la coda , come soglionsi di­pingere i satiri. Fa poi menzione presso gl* In­diani di un certo serpente lungo un palmo , co­lore di porpora bellissima, bianchissimo nella testa e senza denti , il quale vien preso dai cac­ciatori ne* caldissimi monti in cui si scava la pie­tra sardonica. La proprietà di questo serpente é questa che , sebbene uon morda , ove accada che vomiti, il luogo su cui si sparge la materia gettata fuori , necessariamente s* empie di putridume. Ove poi si appenda per la coda, botta fuori un veleno di due specie : il primo ha la sembianza dell’ elettro, e il secondo ò nero. Il primo esce d a lui mentre è vivo , e il secondo quando è morto* Se il primo si dà ad alcuno anche nella quantità di un solo grano di sesamo , tosto muore , usce n­dogli fuori pel naso le cervella ; se si dà l 'a ltro , cagiona pna lenta tabe , che distrugge l’uomo en­tro lo spazio appena di un anno.

Descrive poi uo uccello a cui i Greci danno su nome che equivale a quello di giusto, Esso non è maggiore di un uovo di pernice. Ha di proprio che seppellisce i suoi escrementi, onde non possano trovarsi > chò se, trovandone, al etra o ne bevesse quauto è un grano di sesamo « costui si addormenterebbe la mattina e durerebbe se­polto nel sonno sino al tramuutare del sole , e in quel punto morrebbe. Racconta ancora essere ivi anche un albero chiamato parebo, grande quanto un ulivo, e che trovasi solamente ue’ giardini rsalis

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STOJtlCl z BlOGZàri PROFANI. >93albero che non fa né frutti né fiori. Esso ha den­tro terra quindici sole radici, ma così grosse che le piò piccole sono come un braccio d* uomo. Di queste radici se uno ne prende in mano un pezzo, auche solamente luugo un palmo , e lo appressa a qualunque cosa, esso tirerà a sé tutto , oro, ar­gento , bronzo , p ie tre , tutto fuorché Γ elettro. Se poi si taglieri un pezzo lungo un cubito , con questo si tireranno agnelli e buoi, e gli altri ani» mali, e gli uccelli stessi; e con questo mezzo prin- cipalmeute gli abitanti preudono alla caccia la massima parte degli uccelli. Aggiunge, che se vuoisi coagulare un vaso d’ acqua, basta buttarvi deutro tu pezzetto di quella radice in dose di un obolo; e co*! coagulerassi anche il vino , da poterlo ma­neggiare come la cera. Pe* ò il giorno dopo e l’ ac­qua e il viuo torneranno alla oaturale loro liquidità· Questo vino così coagulato giova nei (lussi celiaci.

Scorre nell’ India anche un fiume , non molto gfaude, perché uon è laigo piò di due stadj, che gii abitanti del paese chiamano con un nome il quale significa quello che produce tutti i beni. Per trenta giorni ogni anno esso reca nelle onde l'am­bra, e dicesi sorgere ne* monti bagnati da que­st* acqua, alberi , i quali in certa stagione del- l’anno, e specialmente per trenta giorni continui, mettono fuori lagrime come di mandorlo, di pino, e d'altro simile , le quali lagrime poi si indù- rauo. Quegli alberi si chiamano iu lingua indiana sipacora , quasi dolce o soave. Da ciò gl* Indiani traggouo la loro ambra. Quegli alberi portano per frutto de* grappoli i cui acini sono della grossezza di una noce del Ponto*

Fo%io. Poi. i . i 3

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194 classi r u t u ,In que9 monti poi racconta Ctesia vivere uomini

con ia testa di cane, i quali si vestono con pelli dì fiere. Non hanno loquela , e soltanto mettono fuori latrati, e con questi s* intendono fra loro* Essi hanno i denti più grandi di quelli de*cani, e così hanno le unghie canine , ma più lunghe e più rotonde. Abitano i monti fiuo al fiume Indo? sooo neri di tinta, e , al pari degli altri Indiani, cultori insigni della giu»tizia. Intendono poi tutto quello che gl* Indiani dicoon , sebbene essi no n possano parlare, noto esprimendosi che coi latrati* e facendo de* segni con le mani e con le dita, all’ uso de* sordi e muti. Ghia ma nei dagl* Indiani Calij trj , che è quanto dite Canicipiti o teste di cani ; man- giano le carni crude , e tutta quella generazione va a cento ventimila iadividui·

Aggiunge Ciesia, che alla sorgente del fiume d i sopra descritto nasce un fiore purpureo, con c u i si tinge la porpora per nulla inferiore alla g re c a , ed anzi assai piò brillante e splendida ; ed ivi pure oascere animali della grandezza dello scara* bén , rossi come cinabro , i quali hanno zampe lunghissime e molli come i vermi. Questi nascere aopra quegli alberi che danno Pambra, e mangiare e guastare il frutto de* medesimi, come presso i Greci le rughe sogliono devastare le viti. Con questi animali pesti in polvere gl*ludiani sooo usi a tingere i loro saghi e le loro tuniche , e quella tintura punicea è più bella della persiana*

Racconta ancora che que* cinocefali abitanti n e i monti non esercitano nessun lavoro, e cb e vivono solamente di caccia , e fanno seccare al sole la

carne delle fiere che am m anano. P erò allevano

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gran molt itudine di capre e di pecore, del c*i latte e siero servatisi per bevanda. Mupgisno però anche il frutto della sipacora , dal quale albero abbiamo detto nascer l’ambra* essendo qn*l fmtto dolce; ed usano, dopo averlo fot io prender aria, calcarlo entro corbe, come i Greci fanno dall'uva passa» Costoro fabbrica nei a) bisogno una zattera· sulla quale carieaoo di questo frutto , della por­pora , purgatone prima il fiore, e dell’ ambra; delle quali cose ogni anno esportano pel valore di dageataiessauta talenti, e v’aggiungono per altret- taoti di quella tintura punicea che abbiamo detta. Inoltre di ambra ne portano ogni anno per ipille talenti al ve degl’ Indiani ; e molte altre cose per maggiori somme posano da vendere agl'i ndiani, per le quali ricevono pane» farina e vesti di bombace. £ ne traggono anche spade» di cui si servono nella caecia, come servanti di archi e di dardi, essendo peritissimi neU**s&re queste armi; e come oltre ciò abitano monti altissimi e inaccessibili » sono iu g uerra insuperabili* Il re ogni cinque anni manda loro in regalo trecento mila archi e dardi , centor veatimila scudi e cinquantamila spade. Costoro neo hanno case, ma abitano entro spelonche. Nel cacciane le fiere fuano uso specialmente di dardio di saette , e come sono velocissimi, le piglialo anche inseguendole. Le loro donne si levano so­la mente una volta al mese quando hanno le pur­gazioni , e in altra occasione uno m si; così faiuno gli uomini , i quali non si lawaaoo ohe le mani. Però tre volte almeno ogni mese ungoasi coll’olio di latte e si strafioano con pelli. Gli abiti loro uou soao di pelli eoi pelo , ma di spintissime,

STORICI B BIOGRAFI PROFANI.

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i g G c l a s s e f u m a ,

state ben macerate prima : così usano nosttni e donne , se si eccettuino pochissim i più comodi de­gli altri die usano vestiti di lino. Neppure costa* mano d’aver letti, facendosi ogni volta il pagliericcio alla opportunità. Tra loro si stima opulentissimo quegli che ha molto bestiame, e tutte le altre rie* chezze sooo simili affatto a questa. Tutti hanno la coda, tanto uomini quauto donne, al fìne della veitebra , la quale è simile* a quella de* ca n i, se* nonché essa è più grande e piò coperta di peli , ed accoppiansi alle dotine come fanno i cani, sti­mando essi turpe ogui altra maniera* In ogni loro azione sono giustissimi : vivono più lungamente di tutti gli altri uomini, giungeudo sino ai cento* settaut'anni , e alcuni anche sino ai dugeoto.

Al di là di questi , Ctesia scrive abitate popoli sopra la sorgente di quel fìutne, neri al pari d e ­gli altri Indiani, i quali uè aacb’essi ianno lavoro alcuno, ed ami nè mangiano alcun cibo, né b e ­vono acqua. Si occupano solameute d* allevate grande quantità di bestiame, buoi, capre, p ecore; e di queste bevouo il latte, e nulla più. A ggiunge poi che i ragazzi che piesso loro nascouo non hanno foro al deretauo, nè gettano per quella v i a

escrementi , perchè quantunque aventi natiche , Tauo manca, e quauto per avventura occorra loto mandar fuori del corpo tutto esce pel meato o r i­nario , feccioso si , tta non densa. Tale è p o i l a

natura loro che se pieso latte ia mattina, a m e z ­

zodì ne bevono ancora, usando di una r a d i c a d o l c e

che trovasi presso loro , quella impedisce c b e nel turo veuire il latte si coaguli ; cosicché col pren­dere di qaelEa sadica alla sera provocano il v o -

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STORICI £ STOGB4M TBOfAKt . 1Q7mito, e con tal metto facilmente rigettano quanta accorre.

desia sc rive a oc ora cbe l'ìndia ba asini selva­tici eguali ai cavalli, e alcune volte anche più grandi , s quali hanno bianco tutto il corpo, la testa Sola color di porpora e gli occhi cerulei , non in mezxe alla fronte uu corno lungo un cu­b ito , la cui raschiatura si dà a b ere, e salva dai veleni mortiferi. La parte del medesimo, che si accosta alla fronte per la lunghezza di due palmi, è bianchissima, e l ’altra , che finisce in punta, è grandemente rossa, ineqtre il tratto interposto é nero. Chi beve in questi corni (poiché a quest'uso riduconsi ) secondo che vien detto, non soffre nè spasimo nè morbo sacro ( epilessia ) , anzi noa possono rimanere offesi da alcun tossico , qualorao prima, o dopo preso il tossico , in questi corni bevano o vino, od acqua, o alita costi qualunque. Mentre poi tutti gli altri asini, o mansueti o sel­vatici, e altri animali d'unghia intera, non hanno nè fallose »è fiele al fegato, P una e l'altra cosa trovasi i n questi; e in tutti certissimaraeste v 'h a il tsdtooe bellissimo, da me veduto , neUa forma e grandezza simile a quello del bue , ma pesante al pari del piombo 9 e di vivo color del minio fin dentro la radice. Questo animale è velocissimo e robustissimo , sicché nè cavafk) né altra bestia il pnò raggiungere. Esso è solito da prima a inno* vere con qualche lentezza, ma poi è mirabil cosa vedere come più che va piò forza prende, e corre con più velocitò. Per la quale insigne rapidità sua n o · potendosi dai cacciatori prendere, essi aspeu taso il tempo io cui incomincia a guidare al pa-

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rgd t z t m VKfM* ,scolo 1 stM» piccoli; e allora fu circondano osa gran gente a cavallo , cosicché poi , non volevd» salvare con la fuga sé stesso, abbandonando s figli, ma col conio, coi calci e ooi mersi difendendosi, molti e cavalli ed umniai ammansate finisce cull'ee- sere ammazzato aftch'essn per le frecce e pe'dsfrdi che gli vengono scagliati tiddtfsse , «trn essendo possibile prenderlo Vrvo. Le eae carni eoa ptH* sono nHtugiarsi, essendo atto ari ssitae, e non si cerca d* averlo che pel cortio e pe* talfutfi.

Nel titrme (fegl'Iiidratti nasce ua verme a m i dis­simila nella figura da quello che snol nascere «sei fico, ma esso é fungo sette cabiti o più o meno, e giosso tante che un ragazeo di dieci aani sten­terebbe ad abbracciarlo. Qaesto verme ha due denti soli, ano di sopra e Peltro di sotto: tnilociò die con que* denti afferra fu divora. Di giorno egli sta nel fungo del fiume, ed esce fuori la »ett*t e se allora «'imbatte in un bue o fu ua cametfu, afferrandolo co’ denti , fu tira nel fiume e lo d i­vora tutto fuorché le budella. Viene preso con un grande amo «staccato a tetftena di ferra, a «ai si mette per esca uu capretto od wn agnello. IVeso poi che aia, ti#nei per treni* giorni sé*pese con la gola in giù , e se gli metfond Sotto de* fati oade raccogliere ufi liquore elle in qUel tempo ne va distillando , e òhe (Mia quantità equivale a dieci colile attiche. Dopo H treMesinm giorno quel verme si caccia via , 6' qttel liquore ebe te o* è inatto, bea ehhrso vien recato tei scio re degl'io- dittai, non essendo perplesso a nessun altro di avenre. He e&o p<H c re ste 4iqaors , od olio «A» vagiam dhfu. q#e*tt pPO^eià oha> »yar*b sopra

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STORICI t BIOGRAFI PROFANI. tg < )

qualunque cosa, tosto vi attacca fuoco, sicché ab­brucia e legni e uomini, nè l'incendio può estin* guersi che a forza di moltq e grosso fungo ohe ci si butti sopra.

Presso gP Indiani v‘ ha alberi pari ai cedri e ai cipressi nell'altezza. e nelle foglie alle palme*, al* cun poco però piò larghi* e senza ascella* U loro fìone è come quello del lauro maschio , anta non fanno frutto. Gl'Indiani li chiamano carpioni, e i Greci mirorotU. Da questi alberi vanno distillando certe gocce d'olio, le quali, raccolte con fiocchi di funa, spremono poi io vasi d'alabastro. Quest'olio è rossiccio e alcun poco denso, e dà uu soavissimo' odore, che dicono sentirsi anche alla distanza di cinque stadj. Al sole re e a' suoi prossimi é per­messo averne. Ctesia racconta d 'averne veduto iu occasione che il re degl'Indiasi ae mandò alena poco al re di Persia, e che ne seutì un odore da non potersi con parole esprimere, nè paragonate con alcun altro.

Similmente racconta che gl'indiani hanno fur- maggio e vino soavissimo sopra tatti, e d'averne gustato e trovato tale.

Dice nell* Indie essere anebe un fonte di fìgora quadrata e di circa cinque braccia di giro, la cui acqua Sta entro il sasso ia modo che dal labbro del fonte alla superfìcie di esso v'è uno spazio di tre cubiti, e la profondità della medesima è di tre braccia. I più raggnardevoti del paese lavansi ivi con le mogli e coi fìgli, sia per purgazione de*corpi* sia per liberarsi da ogni specie di morbi* e vi si tessono dentro ben ferini sui piedi , perciocché quando vi saltano, l'acqua li rimbalza fortemente*

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100 c l a s s e PRIMA .

Né avviene così ai soli uomini , ma qualunque animale « o vivo o morto , viene spinto fuori ; e così ogni altra cosa che vi si getti, eccettualo il ferro, Toro, il bronzo e l’argento, cbe questi me* talli soli vanno al fondo. L’acqua è freddissima e gustosa a bersi, e fa si grande strepito come se bollisse entro una caldaja. Essa risana d IIa mor* fea e dalla rogna: ballude la chiamano gl* Indiani, i Greci la direbbero utile.

In que* monti, oe’quali nasce la canna di cui si è parlato, v* è una razza d’ uomini, di trentamila individui, le cui donne non partoriscono nella loro vita che un figlio, fornito di dentatura bellissima di sopra e di sotto ; e tutti , femmine o maschi , fino dalla nascita hanno e capelli e sopraccigli bianchi, e durano di questo colore tutti i loro peli siuo al l'età di trentanni; dipoi cominciano a diveutar neri , e ai sessantanni sono neri affatto* Parimente e uomini e donne hanno in ambe le mani otto dita, e cosi ne’ piedi. Costoro sono va­lentissimi soldati, e il re degl'indiani ne ha sem­pre nel suo esercito cinquemila, saettieri e lanc ia* tori di dardi» Un* altra furo particolarità si é di avere le orecchie sì grandi , che pendendo per fu lunghezza di un cubito, cuoprono loro le braccia, e toccandosi per di dietro, stendonsi per tutti gli omeri ( t)·

O ) Lo Scotio, che nel presente articolo ha inseriti alcuni tratti conforme li ha trovati in un Codice di Baviera, a questo luogo uno ancora ne aggiunge, cbe non può in nessun modo adottarvisi, ni pel mudo eoe cui è scritto, nè per l’ argomento, Nondimeno fu non

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Scrivendo Ctesia, e favoleggiando di queste cose, egli yuol parere di scrivere cose verissim e, e d i­chiara o di averle vedute co9 suoi occhi, e di averfu udite da testimooj degnissimi di fede. Ansi ag­giunge ometterne egli di piò maravigliose, onde roo parere, a chi mai non ne vide di simili, che egli abbia scritte cose non meritevoli d* essere credute. — Q ui poi egli termina.

STORICT X BIOGRAFI PROFAKi . 90 f

vaglio defraudarne i miei leggitori ; tanto più ehe di ciò di che qui ai parla hanno fatta menzione e Dio­doro Siculo, nel libro iti della eoa Biblioteca, ed Etianot nel libro n i della Natura degli Animati. Esso è il seguente :

u È poi in Etiopia un certo animale di stupendis­sima forza, chiamato il Crocotta, e volgarmente il Ci* noìico. Vuoisi che questo imiti la voce umana, e di notte chiami a nome gli uomini, i quali, se vi si ac­costano, ne vengono divorati. Tiensi che abbia la ma­gnanimità del leone » la velocità d?l cavallo , e la ro­bustezza del toro, ed espugnarsi col ferro. Anche nella Euhea Calcidica dicesi le pecore del paese non aver fiele, ed esserne le carni amare a segno, che nemmeno i esnl le possono mangiare. Dicesi pure che al di là delle fuel Manrnsie la contrada è di estate tntta innondata da piogge , e d’ inverno abbruciata dal calore. Nel paese de* Cionj essere nna certa fontana da cui » in vece di acqua, scaturisce olio, del quale gli abitanti si servono per condire qualunque vivanda. In altro paese , detto Sfetadrida» non molto vicino al mare, essere un1 altra fontana, la quale a mezzanotte, crescendo enormemente d’acqua » butta sulla terra tanta abbondanza di pesci» che gli abitanti non bastano a raccoglierli tutti, onde ne lasciano marcire la massima parte. »

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2 0 2 CLASSE PRIMA,

D E S S I P P O (i )

t*BM IT DELLE COSE StJCCEDDT* DOPO ALESSifÌDZO.EPlTOMS STOftTCA FINO ALL*lMPfcftlO »1 CLAUDIO,

E DELL! COSE SCITICHE.

C*8a Nulla ha questo scrittore di ridondante, e mo­stra nel suo dire uua certa pompa e maestà ; per fu che giustamente potrebbe dirsi uo secondo Tu­cidide , e piò chiaro di lui. Questa qualità si ve­rifica specialmente nella storia delle Cose Scitiche.

Rispetto alle cose succedute dopo Alessandro , Pessimo comincia la Sua narrazione dal momento della morte di quel re; ed espone poi come Ari· deo ( 2 ), fratello di Alessandro, che Filippo ebbe da FtUne di Larissa, giunse al trotto di Macedo­nia ; che cootemporaneameitte fu destinato anche al figliuolo di A lessandro , che stava per nascere da /lassane , lasciata incinta; e che fu tenuto in­sieme da Perdicca e dai compagni Alessandro , iu quanto, per deliberazione de 'M acedoni, questi governavano a nome dei re. Raccouta iu appresso come Γ imperio di Alessandro fosse diviso* To­lommeo , figliuolo di Lago , ebbe tatto Γ Egitto e la L ib ia , e quatito paese a questa adiacente era oltre. Cleóment , che Alessandro avea posto sa­trapo colà, fu dato a Tolommeo per luogotenente.

(< ) HttUppo fu un retore ateniese, a cui Svide dà il oegttome Ut Erennio.

(») Dttuppa scrive sempre Arideo laddove «4mattelo ha sempre detto Àrridto*

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STORICI t BIOGRAFI MlOFJtJff. 3θ5Laomedonte di Miti lene ebbe hi Siri* , Pilota fu Cilicia, Pitone la Media, Eumene fu Osppedocra e la Ps fi agonia , con tutte fu netiofti ab ita· li le co» ste dèi Po irto Kusfuo sfuo a Trcpettmie. fu messo a governare i Famfì'j e i dillo) sino »l!a Frigia , A t&ùAto i Ctrrj, Men andrò i Lidj A Leon a lo toccò la Frigia, che si steade sulfElle* sp&nto. E questa fu lfe divistane delPAsitl.

In Europa sì diede a Lisimaco la Traci* ed il Chersoneso, ad Aftlìp&4rO tutta la Macedonia e fu Grecia, cogPIlIirj, i Triballi e gli Agtiani , e con tutti gli altri paesi .che , viverle ancora Alessan­dro n avea avuti in goverbo , investito di pleoipo* lenza assoluta. Cratero fu destinato curatore e tutore dei re. Perdicca poi ebbe la dignità che i Macedoni riguardavano per la massima, e fu que­sta la cbiliarchia di Efestione.

Governatori di tutta l*India furono Poro e Tas­silo. Poro ebbe il paese giacente tra Γ Indo e r i daspe, Tassilo il rimanente. Un altro Pilone ebbe il comando delle contrade confinanti , eccet­tuatane quelle de* Paramisj Fu messo h reggere i paesi che dai coofìni delTIud a si stendono per le montagne del Caucaso. Oxarte , battriauo , padre di Rossane$ da cui, dopo la morie di Aìessandro, nacque uo figlio, al quale i Macedoni diedero il nome del padre, L’Arascoss* e la Gedrosia fu, data a Sibtrzio. Steòanore% soliese, ebbe gli Arj e i Drang}, Filippo i Sogdiani, Radafame gl* Ircau>* Nioitolemo i Caramaui , e Peuces te i Persiani» Avea avuto il regno de4 Sogd ani Oropia , noa ereditato dal padre, ma conferitogli da Alessan- dro i e poiché ebbe la disgi*** di de«*deve dal

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a o i classe paiMi»regno, riguardato reo di ribellfune, dovette divi­dere eoe un altro la dominazione sui Sogdiani. Il governo poi de4 Babilonesi e della contrada posta tra il Tigri e l’ Eufrate , fu distribuite io modo che la Babilonia fu assegnata a SeUuco% e la Me* aopotamia ad ArchdaOy Questo è dunque il cata­logo delle ftaafuni e de’ furo governatori , come dopo la morie di Alessandro Perdicca il compose*Io tutte le altre narrazioni, come io questa, Des· sippo si accorda assai con Arriano ( i ) .

DÀM ÀSCIO DAM ASCENO

?1TA Xp'lSlBOftO FILOSOFO.

C i8i È fungo libro diviso in quasi sessanta capitoli. L* autore, prendendo a scrivere la vita <T Isidoro * la intitola ad una certa Teodora , seguace an- ch'essa del culto degli Etnici, uon meno che della filosofìa , istruita in tutto ciò che riguarda le fa* colili della poetica e della grammatica , e perita eziandio nella cognizione della geometria e del­l'aritmetica. Di essa e delle sue minori sorelle erano stati maestri e Isidoro e il suo biografo. F u questa Teodora figlia di Cirina e di Diogene, figlio di Eusebio e nipote di Flaviano, che trasse l'origine sua da Sampsigeramo e da Mommo, dai

(1) Ma duole assai che Fozio non abbia estratto nulla nè dall' Epitome t nè dalla storia delle Cote Sci- ticke, sotto il qua! nome erano comprese le guerre del Romani eog'i Sciti , e i fatti piò degni di ricordanze succeduti in quelle guerre.

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tToaict z BtoeftArt psofari. 7 0 5quali traeva origine anche Jambiicot uomini tutti distinti uella superstizione degl* Idolatri. A questa doona adunque Damaselo dedica la Pila d* / ih doro , ad istanza della quale e per altri motivi » come egli attesta « s'indusse a scriverla. Egli poi descrive qui uon tanto la vita d* Isidoro » quante quella di molti altri, i quali fiorirono 0 nel tempo medesimo , o nell* età precedente.

Per quanto appartiene alla religione, costai fu empio sommamente, e ingombra tutto con favole nuove e vecchie. Ond*è che non di rado latra contro la nostra santa fede: sebbeoe lo faccia con timidità e con malevolenza coperta. Di q ìauti poi fa con parole il panegirico , sia per Γ eccellenza della dottrina, sia per Pacatezza dell* ingegno so­pra l’ umana condizione, celebrandoli come uomini divini, d* essi costituendo sé medesimo giudice , nessuno v’ ha che egli non censuri, in ciascheduno de* lodati mostrando di desiderare qualche cosa ; tu chi avea vivo ingegno notando non essere stato in tutte le cose del pari diligente; in chi dice di Incomparabile scienza uotaudo mancanza di scienza, e pei fino in chi gli sembra appiossitnarsi per virtù a Dio, notando che molto ancora vorrebbesi in fui, In tal modo ognuno dì quelli che prima a» e a in­nalzati alle stelfu, depritìteùdo ed abbassando 9 fa sé stesso superiore a tutti « e occultamente tutti gli altri avvilisce. Quindi accade che anche questo tuo Isidoro vitupera più di quello che commendi· fiè troverai che quanto o in quistioni, 0 in conclu­sioni logiche egli produce (sia da altri tolte come mirabili cose, sia dal proprio suo talento create In mezzo a quella gagliarda egitaifuue d i mente e

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2θ6 c i . a ss e p r im a .

alla massa delle cognitioni onde trae lauta ^rro- ganza ) abbia un certo felice carattere, onde po&sa

dirsi che s 'aUi veramente #opia quelli che oomu- p tmente sono versati nella filosofo -9 nò troverai neppur traccia delle più m e s c t i cose filosofi­che, a mulgrode di quel suo tanto acume e di

quelle volubile agitatione di mente che i l 'tra­vaglia. Lascio poi di alludere a quelle cose che

possono dedursi da chi con vera forze d'ingegno e co ir abito di pausare ben diretto usa meditare » avvegnaché di ciò si dia campo.

Per quanto riguarda lo stile di costui, 939 ò esso veramente lontano dalla perspicui là , ed ha * oco r* alcun che delle altre furmQ che si esprjir meno eoo le parole ; voglio dire un cer’.n vigore che chiama una pronunciaifui*e piò gagliarda ed una vo$e quasi più stesa Ei eimilmeute u$a . di rado si» ma con assai libertà, modi poetici. Metile poi uella sua orazione tropi» i quali, lungi dal fune l'elocuzione sua sgarbata o fredda, o di renderne duri i passaggi, le dauuo per lo più $o*vità e grazia, È da dire però ch e, per renderei chiaro, acconcia bepe fu piò parie delle voqj, ma 009 però cosi da per tutto il suo discorse, ehé U su* composizione è piuttosto una certa innovazione, p il gir.o che vi mette è fuje che geoera contimi? sw ie ià* onde non salo toglie (a epe tatua che s'avip di trovar luttq chiaro, «sa viene sd oscurerei la *tes*a #ura che pur si era da fui usai# in ben condurre la su* uraziope, E da quesio casca che quando altciasenie essa poteva essere gradevol e , per P adoperata ricercatezza tle&ce spoglia d'cg#i gratta cbe pur 4ovea derivare da tsmo pylim?ulo#

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STORICI z BlOGSSrt * sor ATTI. 2 0 JQ ue*suoi giri poi noe recano né alcun gagliardo senso, nè venustà, nè rapidità, nemmeno di fuga, sicché giustamente possa alcuno gloriarsene, e con vi si veggono que* germi di comuni e leggieri or* namenli che Tuso suggerisce e che le circostanze domandano. Le figure* se non si dil ungassero eoo ridondante circonlocuzione , non avrebbero mai quelle forze eoo le quali possono dare un discreto e decente temperamento Così in queste scritture v ’ é veemenza ed amarezza , quantunque anche questa qualità languisca sovente , non per certa interposizione d* idee , che sarebbe cosa ottima , ma per la debolezsa delle dizioni e di quelle parti che hanno forza di rendere la frase piò robusta e piò tesa , come avviene a molti che seguono questa particolar forma di dire. In ciò pef altro non riesce con lode chi non potè sostenere un carico superiore alle forze sue. £ questo basti per giudicare delta dicitura di questo autore , quao~ tuuque sarebbonvi altre cose da avvertire. É che necessità v* era , per esempio , di usare forma di stile grandioso? Questo è proprio del legislatore,o di chi scrive orazioni. A che tanta contenzione e tanto avvo lg im elo , ed usa maniera di compo~ sizione affatto inusitata ? Ma basti.

Dama&cio nell’ arte del dire frequentò per tre anni Teone, e per quasi nove presiedette agli esereizj rettorici. In geometria e in aritmetica , e nelle altre arti ebbe a maestro Marino , succes­sore io Atene di Proclo ; nelle discipline filosofìa cbe ascoltò in Atene Zenodoro, che dopo Marmo aoccedette a iVoc/o, e in Alessandria ascoltò Am* monio , fìglinofu di Srmia , eh* egli scrive essere

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i o 8 c l a s s e p r i m a ,

stato superiore a tutti i filosofi dell* età sua , e massimamente uelle matematiche. Di costui dice Damaseio essere stato discepolo uelfe discipline platoniche , come uella grande sintassi delle cose astronomiche di Tolommeo. Pretende poi d' avere acquistata la forza di ragionare in dialettica dal­l'uso e dalla familiarità d* Isidoro , il quale assi­cura avere oscurato nella facoltà di disputare tuttii dotti uomini di quel secolo.

ZSTRATTl DALLA VITA D* ISIDORO FILOSOFO

SCRITTA DA IPAM ASCfO*

. 342 α Non v* è alcuno il quale, o tardi assai siasi messo ad imparare , o dalla natura abbia avuto grosso cervello , non abbia sentito da quasi tutti coloro che parlano, o scrivono, gli Egiziaui fra tutti gli uomini nati esseie i piò aotichi. E questa sapienza nascosta entro i penetrali di quella ve­rità favolosa* rivelasi lentamente per ciò solo che quel divino splendore dell’ anima a poco a poco soltanto può volgersi verso Dio. Fra gli altri Dei, dice l’autore, gli Egiziaoi venerano Osiride ed Iside, credendo che quegli tutte le cose componga, e con figure e con numeri adorni la materia ; e che questa con immensi rivi di uua vita perenne fu cose da Osiride formate iuafTj ed alimenti. Da oiò nasce la teocrazia, vale a dire, quella divioa temperatura, o piuttosto unione perfetta che im­perla il ritoroo che le auime nostre haono da fare a D io , raccolte io un centro solo , dopo essere state a vicenda io molta distrazione da fui, E uoa

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STORICI £ BlOGAATl ?ftOFAHl. »0 Q

parlo io di quel distacco, pel quale abbassate qu* giù, e vestite di corpo terrestre* furono reciproca* mente separate e sparse pel mondo dai furiosi e terreni affetti , i quali noo solo possono parago­narsi a Tifone, ma di esso , a parer mio , sono xnftlto piò perturbativi. Ma a che queste cose ? È tempo di richismare il discorso al suo soggetto» £ vi si coogiunge esso da questa terrena vita vo­lando alla volta celeste. Però, chi si tosto crede­rebbe che le dette cose suonino di beatitudine? È ovvio il domandare: Onde, amico mio, fassi ma­nifesto, dirà alcuno, che quel tuo filosofo si traesse il principio suo da quella turba di anime? Io ri» sponderò alla domanda , non confutando come si fa ne’ giudizj, ma con assai maggiore mitezza par­lando; non contendendo, come accade nelle di­spute, ove acerbamente si contrasta , ma proce­dendo secondo le regole di chi scrive le vite de­gli uomini, voglio dire presentando quelle sole cose che io credo vere, e che intesi dal precettor mio. Severo fu imperator romano , e per virlò della legge padre de*Romani. Egli disse aver veduta una pietra, che rappresentava la figura della luna mutantesi da una ali’ altra fase, ed accresciuta o sminuita a! Pop porsi che si faceva al sole ; e in quella pietra era figurato anche il sole. Mostrava Isidoro di sapere come ciò fosse ; e non per tanto non volte dirlo. Avea egli con somma diligenza cercato di ciò sapere per mezzo di un certo sogno meraviglioso, giacché possedeva sì pronto ingeguo, ed arte sì felice per aver sogno che assai spessoio bo avnto campo di altamente ammirare come rimanevano chiarite le cose da lui pronunciate» E

Fozio, Voi. / i 4

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dSO CLASSB PIUMA,debbesi per fu verità dire che quasi tutti gli Ales« sandrini sooo valeoti nell'arte de’sogni ; ood’é che oggi pure chiamano i sogni oracoli. Quando poi il grande Isidoro si trovava svegliato, noo vedeva più l'ammirabile visiooe avuta, perché non taoto chiaro e forte trasmetteva essa allora il suo splen­dore da riverberare oltre i materiali involucri, sebbeoe al di dentro stia quello e acceso e lu­cente; ché fuor d'essi staodo l'anima, ove inerte sia (atto il senso per essere cessata la forza del sonno, in essa abbandonata sola sempre rimane 1*interior luce divina ; sicché fatta libera dagli ostacoli, vie più s'accende ; e spessissime volte si effoode all* esterno tanto che la stessa immagina­zione illumina. Perciò dis«*egli due essere le ma­niere delle visiooi divine: una sensibile de* ve­glienti ; l’ altra immaginaria dei dormienti. Ma l’ una e Γ altra richiede vera continenza. Ed era infatti Isidoro uom saggio e maturo ; dirò anzi grave per la costanza de* costumi ; di faccia quasi quadrata, e come un certo sacro simulacro del- 1* eloquente Mercurio * e ne* suoi occhi sembrava esser raccolte tutte le grazie di Fenerem e tutta la sapienza di Paìlade. Né tralascerò di dire, tale proprietà avere avuto i puri occhi che, quantunque da contrari punti mossi, univansi in una sola e medesima inesplicabile apparenza; e fìssavansi con graode forza , e rapidamente volgevansi a modo che parevano mirare allo stesso oggetto, e in esso rappreseotarsi qualunque altro si fosse; e gravità e venustà insieme mostravano; e a loro voglia inter- oavansi quasi nascondendosi» e venivao fuori am­piamente palesi e svelti; sicché, per dir breve, eran

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STORICI e BIOGRAFI FZOFANl. t l l

simulacri perfetti deiranima, né detPanima sola, dell* influsso divino che quelfaiiima investiva. I sensi poi erano in esso lui latito moderati che alla sola necessità servivano. Nè tali erano solamente i suoi sensi, ma pur anche la sua immaginazione era tale che delPanima è come una effìgie. In lui non era fu memoria piò forte di quello che sia net comune degli uomini ; ed anzi può dirsi che di poco fosse diversa dalla obblivione .* onde rendesi verisimile che Dio volesse eh* egli piuttosto di­chiarasse la profonda forza dell* auima , di quello che altre qualità che riseutonsi della natura del corpo t e nelPanima sola tutta fissare la filosofia , anz iché spartirla per altre facoltà ; avendo io veduto alcuni esternamente con grande chiarezza filosofare e possedere memoria capace di molte opinioni, e valentissimi in tessere sillogismi ine­stricabili, ne’ quali mentre é assai cognizione dei sensi divini, scarsa poi di forze al di dentro hauuo 1* auima , e sono poveri di vera scienza. Vero è cbe alcune volte pareva irato \ ma la ragione co ­mandava, e 1*ira ubbidiva! Tira sua era volta iu riprendere i vizj degli uomini \ ché su questo punto non poteva né raddolcirsi, nò spogliarsi d’ impeto. Così egli era prontissimo in prestarsi al bene altrui ; ma prontissimo anche più in gastigare le malva­gità i per lo che sovente disgustò molti, noo potè mai adattarsi ad estenuare eoo blande parole le loro scelleraggini, né ad usare la detestabile adu­lazione in luogo della vera amicizia. Comportavasi adunque verso tutti per modo che né amava fu contese, nè di spontanea volontà incontrava ini­micizie : talché tutto era corrispondeste al suo

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carattere, portato dal suo zelo a correggere i co* stumi degli uomini, e ad odiare le loro male opere.

Del rimanente egli era accorto, e industrioso e cortesissimo * sicché facilmente alcuno fu avrebbe contato tra le persone mansuete, quasi niuna di* ligenza mettesse in investigare le cose che tanto gli dispiacevano; e come se soverchia mitezza fu ren­desse poco sospettoso. Però è da dire che se v'era cosa degna d'essere preveduta, se inganno od insidia qualunque poteva tramarsi, egli non ne fu mai sor­preso. Mentre tre sono le parti, o dimostrazioni del­l’anima, e, come ad altri piacque dire, in tre modi si manifesta la condotta della vita, quella prescelse egli che sopra le altre valeva e andava innanzi a tutte , quella, cioè, detta da taluno la vita di Saturno, l'età dell'oro, o Jo stato in cui il genere umano si approssimava maggiormente agli Dei , che sotto l'inviluppo della favola i poeti sedenti sul tripode delle Muse tanto predicarono. £g!i tanto congiunta alla semplicità la verità amò,che fu sopra misura verace, nè mai contenne in sé veruna finzione. D’accumular danaro non fu punto vago; bensì per naturai talento si mostrò abilissimo in governare le cose domestiche; e mentre in tutti gli altri affari era diligente, in quelli di sua casa intendeva per la più parve della giornata con molto studio, ed operando egli medesimo* ed ordinando agli altri di operare. Al sorgere deU*aurora sorgeva anch* esso, piena ancora la mente degli oracoli intesi , e narrava il sogno fatto. Ed io , scrivendo come udii essere, non esagerai, sia cambiando ve­rità per verità , sia ponendo veglia per sogno , e vigilante per dormiente. In certo incontro» in cui

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STORICI B BlOGHAFl PROFANI· 2 l 3

venne ad essere affidato ad uu cittadino degttis* sìmo d'ogni credenza con altri beni di chi lui fraudato avea di un deposito, quel deposita mede­simo, benché eccitato a ricuperarlo, ricusò di ciò fare, altamente dichiarando non doversi contami­nare la fede, di tutte le virtù la piò utile ; nou volendo egli parer giusto , ma esserlo veramente* Poche cose parlò : molte udì dal parlare de'vecchi. Non rade volte si espose a'pericoli, e massimamente gl* incontrava ove altri per ignavia fuggivauli, ap­punto secondo il poeta i dove chiara si scorge la virlit degli uomini ; e così a chi ben osservava,appa­riva riprendere chi mancava alla virtò ; ed eccederei modi della famigliarità e della umanità; onde, men­tre quelli che veniva accusando maravigliavansene,i male affetti l'accusavano quale amatore di liti. Egli però portando in sé stesso l'esemplare della vera concordia, da sé stesso giudicava tutti gli altri·

Tutti affermano tre essere i principi fondamen­tali e massimi 1 coi quali sogìionsi contemplare fu cose t l'amor dell' onesto 4 Tiuvestigazione diligen­tissima del bene ; l'acuta e svelta forza dell' inge­gno che rapidamente abbracci molti oggetti, e prontamente guidi ad intendere e a conoscere le tracce delle cose da ricercarsi, quali sieno esse o vere o false. Da questi tre principi nasce l'am ore indefesso della fatica che uon permette all’animo d'aver quiete fino a tanto che non sia giunto al termine delle sue ricerche, cbe è il trovure la ve­rità, Isidoro disse che la diligenza e l ' insistenza dipendono da uoa immaginaziooe non molto mo­bile, e che un ingegno facile a concepire opinioni, 0$ come altri credette, fu sola intelligenza volubile,

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classe prima , uon couducoQo alia verità : queste dell9 intendere noo essere le cagiooi , ma ad esse servire bensì ; la cagioue dell9 intendere essere uo certo divioo istinto che sedataraente apre e purga gli occhi dell'anima, e li rischiara con uoa intelligibile luce, onde possao vedere e discernere il vero ed il falso. Questa é quella ch’egli chiamò buooa costituzione; ed affermò senza essa non essere alcuoa utilità; e senza il celeste lume gli occhi anche sani non veder nulla. Avea egli attissimo lo spirito tanto a speculare meditando, quanto a trattare gli affari; noo che però iu queste basse cose egli si fermasse; chè tosto anzi ad ogni minima occasioue s9 alzava alle più sublimi contemplazioni. Né poi peoetrato delle belle idee di Platone, io esse si fermò eoo- forme sogliono fare gli altri filosofi; ma dopo Platone famigliarizzossi anche coi commeoti mira* bili di Jamblico , nel mentre che veggiam molti filosofi, e gli udiamo, ora dire che Jamblico è dif­ficile da intendersi, ora che Jamblico s’ alza, anzi­ché per la verità delle cose, per uua sua superba graodiloquenza di parole. Poco si applicò alla ret- lorica e alla poetica ; ma in vece dedicossi alla piò santa filosofia di Aristotile, se tioo che con­siderando com’ essa crede piò a* raziocini astratti e artificiali che al proprio senso, e come procede cou metodo e con discorso, e non molto usa delle immaginazioni divine* di questa ancora si mostrò poco sollecito . E tosto che giunse a gustare le sentenze di Platone, non degnossi piò, come dice Pindaro% di veder oltre ; ma sperò di poter con* seguire il suo scopo, se potesse ben internarsi nelle medesime; e là rivolse ogni suo studio ed

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STOHICI S BIOGRAFI »07191 . * l 5ogni suo impegno. Veoerò quegli antichissimi filo* sofì, Pitagora e Platone · come Dei ; e le alate loro aoime, le quali pensava che io sopracceleste luogo, e nel campo della verità si pescassero d'idee divioe. Io quanto a1 filosofi moderoi, dice che Por· firio , Jamblico , Siriano, Proclo , raccolsero gran tesoro di scieoza divina e che quelli che mettono ia furo attenzione negli umani e caduchi studj, o .quelli che vogliono e troppo intendere, e troppe cose sapere, nou molto contribuiscono alla sublime e divina sapienza. Che fra gli antichi ArittoUle e Crisippo, furono invero uomini tgegnosissimi, bra­mosissimi di sapere, ed insieme laboriosissimi j e nondimeno uon giunsero al sommo $ che tra i mo­derni Jeroclef e simili, nelle umane sciente a ni uno inferiori, non molto furono nelle divine cognizioni versati. Egli biasimò l’aver molti libri, i quali ser- vooo piò a moltiplicare le opinioui che ad in­fondere cognizioni vere * e rimettendosi ad un precettor solo, a quello interamente si affidava, e conformavasi a fui , trascrivendone i detti e gli ammaestramenti. Le cose presenti, siccome ap­pare, egli uon amò, nè voleva adorare le statue; ma agli stessi Dei entro latenti si accostò ; e non già nel vestibolo, ma nell* intimo suo secreto , quantunque talora sia questo cagione di somma ignoranza. Ma per qual ragione adunque, essendo essi così, a quelli ricorse ? per un veementissimi# amore e nascosto. E qual altro amore se non na­scosto? E quali diciamo esser di questa maniera^lo sanno quelli che ne hanno pratica ; noi noi pos- aiam dire \ e oemmeuo auzi pensare» Direbbe al­cuno che non parole, ma la sostante delle cose

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esprimeva. Con grande prontezza trovava di che dubitare egli presso gli altri , e di che altri con esso lui disputassero,noa veramente con la cogni­zione di molte cose , e con la sciente di dottrine Sltrui opprimendo la verità; ma confutando i dub- bj s onde uua volta che con la quasi divina forza del suo eccellente ingegno , e di quello immenso desiderio d* investigare le cose divine , trovata avea la verità, appariva simile ad un vaticioatore. Egli poteva vedere quale nascosta cosa l* orazione comprendesse, e quale vera e salutare. Aveodo M arinof che fu successor di Proclof e maestro d'/si- doro e di altri nelle dottrine aristoteliche, scritto un libro di molti capi sul Filebo di Platone, lo diede ad Isidoro onde lo leggesse, e giudicasse se potesse pubblicarsi. Isidoro, letto quel libro, fran­camente manifestò il suo parere; ma non si permise alcuna parola scortese : disse solameute parer al maestro degno. Il che udito Marino , quel libro abbruciò. Io questo a scora Isidoro era diverso dagli altri filosofi che noa voleva egli attaccarsi alla verità per la sola forza de* sillogismi ; e come alla verità uon si giuoge per una sola strada, esso non voleva che vi fossero spinti dal raziocinio, come da un cieco che conduca per una strada dritta; ma cercò sempre di persuadere, e di aprir gli occhi airanima, e se li avesse aperti, di ben purgarli. Essendogli stato commesso di scrivere fu gesta degl* imperatori, ubbidì : della quale opera sua dirò quanto m* é noto ove ne fìa proposito. Non ne parlo ora» come se oon avessi dovuto nep­pure udir verbo. Nè Leon sio, che credette di beo provvedere a*suoi casi, quando, sfortunato per fu sua

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sto rici z biografi F*orAirr· a *jliberti di diref tornossi a casa, nè dlveouto ricco, nè in siettro stato, come pensava, spoglio di divina pietà, fu di animo corrottissimo, e malvagio t latta la sua yita fu uo tessuto d'icfortonj* Ma non fuvvi uomo di si cruda iodole e barbara, il quale uon rimanesse persuaso, e fatto mite dalle parole uscenti dalla sacra bocca Isidoro ; tale forza convincente era sui labbri di fui, opera non umaoa, ma divina; ed era egli degoo d'ammirazione per la sua stessa persona; imperciocché avea grande corporatura, era bello e facile d'aspetto, e giuoto alla età ma­tura era cortese, soave, comodo, e a chi parlava seco fui utile. Usò cibo mediocre, e noo delicato ; nè oocivo, qual osa chi è povero; nè lauto qual 1*usano i ricchi. Così fu temperato nella musica, che prescelse quella dei dorici modi. Tra gli uo* mini che ooi udimmo, egli fu il solo cbe col futto mostrò falso l*aotico proverbio; perciocché uon dilettava si de* giovani, ma bensì de' vecchi e della conversazione di questi. Diresti aocora, che fu Solo tra gli uomini, che udi, o conobbe, o che aliamosi cosi a riputazione, o per la riputazione de' quali egli fu noto o che noi per riputazione conoscemmo, che la memoria serbò , o che oon fece sparire Pobbliviooe; ed altre «ose simili*

Gli Alessaudriui i pacai immondi delle donne chia­mavano fila cc ia . Noo erano legittime fu nozze, sedi Sua mano noo registrava i matrimoni un sacerdote di Dio. Jerocle, che foodò ie scuole di Alessaudria, co» •tante e magnifico per lfeccelleote suo iogegoo e fu* condia e per la facilità e copia di bellissimi nomi» e di parole, traeva ad ammirazione di sé i suoi uditori con un discorso pieuo della venustà e delfu dot­

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trina di Platone* Egli una volta spiegava a9 suoi eompagoi il Gorgia di Platone. Teosebio* il qual era uno degli uditori, copiò quella spiegazione* E nuovamente, siccome è verisimile, copiò alcun tempo dopo una seconda spiegazione dì Jerocle dello stesso Gorgia $ e confrontate fu prime con le se­conde cose, niuoa, per cosi dire, in queste si trovò di quelle. L*una però, e l’altra di quelle spiegazioni ( cosa che in vero è nuova a udirsi ) conteneva il proposto di Platone, per quanto erasi potuto fare. E di qui si vede quauta fo se in quell'uomo la copia delle sentenze. Egli prese moglie per averne de1 figli ; e dopo che il demonio ricusò di uscire da lei, adoperate essendosi fu piò dolci pa­role , Teosebio co' suoi scoogiuri l ' obbligò a la­sciarla, sebbeoe egli non era perito io magia, né faceva miracoli. Giurò egli, copre odo i raggi del sole, pel Dio degli Ebrei; e nell* uscirne il de- monio gridò venerare bensì gli Dei, ma venerare anche quello. Ogni ostscolo adunque superò, e tutto fece e disse , persuadendo ed esortando , quanto volle , non lasciaodo di compiere ciò che avesse preso a tentare. Teosebio molto ragionò intorno alle scuole di Epitteto , ed inventò le favole mo­rali che corrono. Era il piò temperaute uomo del mondo. Si uni a donna soltanto per aver prole; e non avendooe avuta, fece un anello di temperanza, e disse: Donna, un giorno ti diedi l'anello conci­liatore delia unione procreatrice ; ora te ne do noo maestro di temperanza che ti ajuterò a eoo* servarti temperante» Laonde se potrai, e vorrai convivere meco castamente, ben sia; altrimenti, sei padrona di farti sposa ad altri ; e ci divide-

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storici z biografi profani* 119remo reciprocamente amici. Essa accettò volentieri il partito*

Ammonio amò assai 1' arte di colare e correg­gere le voci greche de* poeti. Fu costui quel* YÀmmonio , il quale ebbe un asino che sovente fusoiava fu pastura, per quaoto si dice, stando vo- lentieri ad ascoltare le cose poetiche, quantunque e gli si mettesse innanzi il mangiare, e si tenesse per alcun tempo digiuno ; di tale maniera si vide qoell*asino dilettarsi della poesia! Mediocremente Isidoro attese alla poesia, poco d’essa curando, per la considerazione che di saldi principi uon pasce )a mente, solo di facezie e di parole occupandosi; ed ansi con fu dottrine migliori contrasta. Perciò nelle cose poetiche valeva poco, e gl'ioni che scrisse, quantunque contengano sublimi idee e diviue, nulla però hanno di poetico. Così anche Teone* uomo non molto ingegnoso,nè acuto, ma però non mai stanco dello studio, contiuuamenté leggeva i poeti e gli oratori, e ne sapea fu composizioni a memoria; e poteasi vantar giustamente di conoscerne l* arte in tutti i rispetti i ma per quanto amasse i versi e la prosa oratoria, mai non giunse a scriverne.

Avvenuta battaglia sotto Roma contro gli Sciti» che Aitila condusse a* danni di Valentiniano che dopo Onorio regnava, tanta fu da ambe le parti la strage che quasi nessuno de* combattenti degli uni e degl i altri si salvò eccettuatine i cap i, e pochi di loro schiere. £ quello che pare incredibile» si è questo che, quelle genti morte combattendo, defatigati del corpo, e furti ancora d'animo, per tre intere notti e per tre giorni combattevano, per forza di mano e di cuore in nulla inferiori a quelli

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320 CLASSZ PKiMA ,

ch’erano vivi· Si videro adunque, e udirò usi fu forme delle anime battersi, rumoreggiare eoo le armi ; ed ò fama che fino al giorno d'oggi si veg­gano le apparenze degli antichi combattimenti; se non che facendo tutte le cose che gli uomini vivi sogliono fare combattendo, non però possono met­ter fuori il minimo grido ; e uo solo spettro si osserva nel campo presso Suda che una volta fu palude; e tale visione apparisce la mattina al na­scere dell'aurora. Uo secondo fatto simile accadde nel campo di Cubi iu Caria. Ivi, uoo ogni giorao, ma di tratto in tratto, e non mai in di fìssi, sul crepuscolo mattutino veggonsi neiraria molti spettri di anime, a foggia d'ombre combattere insieme tra loro. E ai tempi nostri hanno raccontato molte persooe degne di fede, come presso fu Sicilia nel campo detto il Tetrapirgio , e in non pochi altri luoghi vedersi simulacri d* uomini a cavallo com­battere: la qual cosa succede massimamente In estate quando il mezzodì è caldissimo·

Avea Antemio fatto sperare a Severo* uomo ro­mano* che per fui sarebbesi riedificata Roma stata già distrutta ; e con quella speranza partitone, poscia al ritorno ottenne il consolato. Ora il ca­vallo usato da Severo si vide mandar fuori del corpo molte e grandi scintille; e quel portento il condusse alla dignità consolare di Roma. Con si­mile prodigio racconta Plutarco di Cheronea che a Tiberio ancor giovane, mentre studiava eloquenza in Rodi, un asinelio gli presagi 1* imperio. Si sa pare che Baiemeri, cortigiano di Attila , mandò scintille dal sue corpo* e questo Baiemeri fu il p idre di quel Teodoricot il quale, dice l'autore,

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s t o r i c i z z i o o r a f i p r o f a n i . s a i

presentemente regoa su tutta Γ Italia. E di sé me* desimo dice pure : Anche a me, quando mi vesto e mi svesto, non di rado accade che m* escano scintille in grao numero fuori del corpo, ora con istrepito , ora prendendo la forma di fiamme » e rendano sptendeoti le vesti, senza però abbruciare nè quelle, nè la mia carne, nè cosa altra, igno* raodo io, a cbe cosa tal portento tenda. Aggiunge ancora aver veduto un uomo che vibrava, quando voleva, dalla sua testa scintille , ed ove la testa fregasse eoo alcun panno alquanto aspro, suscitava la fiamma. Spinse quanto piò potè rapidamente il cavallo; trovossi scarso di molte cose, lasciando il governo della Repubblicane si trasse a vivere ozioso e tranquillo per l*odio preso coatro coloro i .quali alla Repubblica erano molesti. Vennero a Severo de9 Bracinaoi presso A lessandria , e li accolse in casa sua , facendo loro il debito onore. Costoro all* uso del loro paese vissero in casa eoo molta gravità, né cercarono i bagni pubblici, nè visita­rono alcun luogo della città , e fuggirono ogn* in­contro di fuori. Mangiavano palme e riso, e be- veano acqua. Erano essi non di que* Bracmani cbe vivono ne* monti, nè di quelli dell* India che abi­tano le città i ma seguaci del modo di vivere degli uni e degli altri, e fattori de'Bracmani pe*negozj che questi aver potessero col popolo, e fattori del popolo per ciò eh*esso abbia a fare ai Bracmaui* Essi intorno a* Bracmani de* monti riferirono quaoto dei medesimi hanno divulgato gli scrittori: cioè che a loro preghiere vengono e cessano le piogge, e con le preghiere mandano via fu pesti­lenza» e gli altri mali che non possono curarsi.

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Dissero pure che presso furo v* hanno uomini aventi un solo piede, e draghi grandissimi di sette teste, ed altre assai strane cose.

Severo raccontò trovarsi l*erba gorgoniade, la cui radice è perfettamente simile ad uoa fanciulla, e che ha la testa coperta di crini rappresentati serpenti. Raccootò che una certa donna Antusa di nome, a* tempi di Leone imperator de'Romani, trovò il modo d’ indovinare dalle nubi; cosa che mai gli antichi non udirono dire. Essa, per quanto sa- pevasi, era nata in Cilicia, ma traeva la prima sua origine da*Cappadoci abitanti presso il Cornano, monte delle Orestiadi ; e riferiva la sua discen­denza da Pefope. Costei sollecita del marito, che avea ηn grado militare, e con altri era stato spe­dito a far guerra in Sicilia, pregò onde dormendo papere fu cose future, e fece le orazioni sue rivolta al sole oriente. Ma suo padre io sogno le ordinò che pregasse anche alla parte del sole occidente ; e all’atto ch'essa orava, mentre tutto il cielo era sereno, una nube s*alzò intorno al sole * e, cre­scendo, prese la figura d' uomo t nel tempo stesso alzossi uu* altra nube, la quale crescendo in gran­detta eguale, si mutò nella figura di un fiero leone» il quale aperta l’ampia bocca ingojò quell* uomo» L a figura di quel uomo era simile ad un Goto ; e poco tempo dopo il re Leone ammaztò Aspare capitano de’ Goti, e i figli di fui. Da quel tempo sino a questo gioroo Antusa andò studiando come dalle nubi diviuando potesse predire fu cose. -— G li Egiziani dicono che Soli è Iside : i Greci la rife­riscono alla stella SirtO; e dipingono Sirio come il caue campaguo di Orione cacciatore, o, per dir

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STOBICt B BIOGRAFI FfiOFAKl. 2 θ 5

meglio, lo mostrano espresso iu cielo. Alcuni per impudenza infransero e distrussero le statue , e di quel sacro ajuto privati, gli Egiziani a stento eoa operosa arte umana possono assicurarsi un posto.I ministri della moglie inseguivano il cane fug­gente dall’Africa, divorando le carni dello struzzo * e agii escavanti appare , e soprasta al pianacofu dell9 antichissimo tempio.

Ermia , alessandrino » padre di Ammonio, e di Eliodoro , fu per naturale indole buon uomo e semplice ; fu uditore di Siriano insieme con Pro- clo » a nessuno inferiore nella fatica dello studio f ma poco lesto di mente* e perciò non poteva tro­vare saldi argomenti al bisogno; in conseguenza dì che non riuscì grande investigatore di verità. Per questo non avea forze da contendere contro chi opponesse deVlubbj* quantunque fosse dì tanto buona memoria da recitare qualunque cosa udisse dal precettore, o trovasse scritta. Noo era dunque la sua meote pronta quanto iu fui era ardente la voglia d* imparare. Però tanto impegno avea in coltivar la virtù che né Morno avrebbe trovato di che riprenderlo, nè il livore più risoluto avrebbe potuto odiarlo. Essendo accaduto che gli vendesse uu libro persona che non ne conosceva il merito, e perchè fu comperasse aveodogli questa diminuitoil prezzo addomandato prima* egli oe corresse l'errore, e pagò oltre quanto gli era stato chiesto. Nè una volta sola fece tale cosa» a eui 4gli altri haono sì poco riguardo * chè quante volte osservò che uo venditore ignorava il giusto prezzo della cosa, egli ne fu avvertì* non come fanno gli altri, dilettandosi di an fortuito lucro , ma stimando di

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2 3 4 CLASSE PRIMA ,

commettere uoa vera ingiustizia se di buon grado comprasse a quel patto che di buou grado gli si vendeva i essendo di opinione essere inganno e

fraude il non indicare 1* errore, e l'occultare fu verità, chè quand’anche in certi casi non si sia soggetti alla severità della legge , sempre però si corrompe la giustizia.

Ebbe fratello Gregorio , uomo affatto dissimile da fui. Questi era assai fìoo d* ingegno , e valen­tissimo in afferrare tutte le quistioni, e discipline; ma nel rimanente era inquieto, nè mite di co­stumi; e facile a scaldarsi la testa; cosicché so* praggiuntagli malattia, patì di cervello.

Nacque ad Ermia da Edesia un figliuolo il quale, superò tutti i figliuoli de* filosofi. Edesia, mentre quel bambino non avea che sette mesi, scherzava con esso lui, e fu chiamava per vezzo Babio, e con voce diminutiva bambolino. Di che il padre che la udì, querelossi, e sgridolla di quelle puerili parole eh*essa usava; e quel bambino ripetè b^n articolate le parole dette nei rimproveri del padre; ed altre meraviglie diconsi di fui, il quale vuoisi che non tollerasse a fungo di vivere in quel corpo che portava, ma finisse di vivere dì sette anni, né l'anima sua essersi degnata di ricettarsi in al­cun luogo terrestre. I Sirj, e spezialmente que* di Damasco, chiamano i bambini recentemente nati Bahia ; e così chiamano anche gli adolescenti dal nome della dea Babia che credono abitare presso loro.

Alcuni di coloro, i quali hanno le orecchie guaste, e il senso depravato, fecero degli arcani un soggetto di commedia e del riso de* filosofa

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STORICI S BIOGRAFI FROFAlff· 0 2 5

A queste cose 1* autore aggiunge che Jerone alessandrino» coetaneo di Ammonio, tornando di Etiopia a Costantinopoli, vide un certo animale detto Penico* simile assai a quelli che si dipingono, o si scolpiscono, e di avere udita presso Alessan­dria la voce del medesimo fatta come se stridesse. Ammonio fu uomo diligentissimo \ e molto ajutò co’ suoi lumi i filosofanti che al tempo suo fiori­rono, e fu assai attaccato alle dottrine di Arista- tile. Egli in geometria e in astronomia andò in­nanzi non solamente a* suoi coetanei, ma eziandio a quelli che furono più antichi di Proclo , e di­rebbe si quasi a quanti mai furono ai mondo. Pro­clo afri mirò la bocca d’ Isidoro come divina , e piena di vita filosofica, Gli occhi di lui mostravano la rapidità del suo intelletto j e la gioconda gra­vità che in lui splendeva, c il sincero pudore che traspariva dal suo volto e-dalle sue parole, face­vano che tutti a quel filosofo si volgessero.

Bunojo fu di mente tarda, gonfio di giovanile i nsolenza , e turgido nelle sue orazioni. Superiano avea trent’ anni quaodo incominciò a dare opera alla rettorica; e quantunque fosse di assai tardo ingegno, per forza dello studie finalmente giunse ad essere ricevuto sofista nella sì celebre e su­perba città di Atene $ e di poco fu inferiore nella gloria a Lacare.

Locare^ piò per lo studio anch'egli che per l'in­gegno divenne illustre oratore. I suoi scritti com­provano la tardità del suo ingegno: ma però riuscì uomo santo per Pamor grande che avea delle cose divine· Metrofaney sofista, fu figlinolo di Lacare.

L*autore riferisce di aver veduto il simulacroFotio% Voi* L i 5

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3 2 5 classe raiMà ,

di Venere* da Brode* sofista, dedicato nel tempio ( di quella Dea ). Contemplandolo , dice , per io stupore e la maraviglia sudai; e tanto gaudio mi sentii nel cuore che non poteva ritornarmi a casa, tratto ad ogni passo a dar di volta per vederlo ancora : tanta bellezza avea io quei simulacro in* fusa 1*artefice; non lusinghiera e molle, ma sib- bene altera e maschia ! chè Venere vi è espressa armata, e in sembianza di ritornar lieta e vittoriosa.

Riferisce ancora d'avere veduto io casa di Quirino un figliuolo di Plutarco detto Jero* filosofante sotto Proclo; e quell Vero avere avuta uua testa si pic­cola, da assomigliarsi nella grandezza e forma ad un cece, e tal nome appuuto esserle dato : però essa era vera testa d* uomo eoo occhi e volto , e con sopra i capelli, e intera la bocca, e dalla bocca metteva tanta voce, quando potesse essere quella di mille uomioi.

Questo di quella prodigiosa testa di cece rife­risce Γ autore , ed altre iouumerabili cose con iscrittura e fede degna dell* empio Damaselo-

Sallustio, cinico, non teqne io filosofìa la strada battuta dagli altri ; ma quella che poteva salvarlo dai rimproveri e dalle derisioni ; e ferma fu as­sicurare maraviglia alla laboriosa virtù» Rare volte usava ifìcratiche, o sandali comuni. Non fu veduto mai nè lungo tempo iofermo di corpo, oé d’asimo rattristato; ma, come Stuol dirsi, sosteneva a testa alta ogni fatica , ed ogoi lodevole applicazione, e tali altre cose degne dell* uomo·

Geserico, re de’Cartaginesi, udito che i Romani, insidiosamente, e contro il giuramento dato, uc­ciso aveano Marcellino che guerreggiato avea eoa

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STORICI a Sto GRAVI VROFAlfl. 0 2 7

essi contro di lu if ne fu grandemente lieto; e pieno di speranza di rimaner vittorioso , disse parofu convenienti piò ad un imperatore romano cbe ad un monarca cartaginese; e furono queste: i /fu­marti con la sinistra haonosi tagliata la mane de­stra. Marcellino era governatore e capitano gene­rale della Dalmazia, ed era gentile.

Sallustio osservando gli occhi delle persone ehe incontrava, frequentemente predisse individualmente una morte violenta ; e neppur egli intanto sapea direla ragione che lo inducesse a così predire, quantun­que interrogatone accusasse il vedere negli occhi loro una certa oscuriti, certe tenebre, ed un onsie quale si osserva nelle pupille di chi è fu lutto· Al cbe Fautore aggiunge che un certo di nome Uranio, cittadino di Apamea in Siria , e signoie di Cesarea di Palestina , dagli occhi similmente avea conosciuti parecchi prestigiatori esecrandi; e che un certo Nomo* concittadino suo, dal guardo avea conosciuti ignoti omicidi. Isidoro, e lo stesso Asclepiade* dicooo che tragittando il mare Egeo* aveano veduto nel Nilo una capigliatura di gran­dezza e forma mirabile. E fermatisi ambedue pressoil Nilo a mangiare, stando cou essi per terzo ϋ nostro filosofo veune alla volta furo dal Nilo quella capigliatura, alta, come pareva , cinque cubiti. E narra di questa maniera altri mostri* Dice pure cbe vicino ad Eliopoli, città della Siria» À scìe piade salì sul monte Libano, e vide molte betulle , delle quali assai prodigiose cose spaccio, degne dell’em- p ia sua bocca, le quali asserisce di poi vedute da sé medesimo e da Isidoro, £ questa esecrauda rasza visse vita felice e pia » filosofica ed investi·

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3)8 classi pmma ,gatrice delle cose divine 1 ed accesero sugli altari

il fuoco santo!Il pardo ha sempre sete * l’avvoltojo non mal ; e

perciò assai di rado si vede bere. L* ippopotamo è una bestia ingiusta \ e perciò cella scrittura giero- glifìca significa la crudeltà. Esso ammazza il padre, e viola la madre. Al contrario il suco, che così chia­masi uoa specie di coccodrillo, è giusto, noo re­cando offesa a verun animale. Il gatto distingue dodici tempi 1 ogni notte ed ogoi giorno orioa a ctascheduo'ora, e sempre a modo di uno stru­mento cbe ooti le ore ; anzi l’autore aggiunge che numera col proprio parto i giorni della luna; che nel primo parto fa sette figli , sei nel secoodo, cinque nel terzo, quattro nel quarto, tre nel quinto, due nel sesto, uoo nel settimo; e tanti s o d o i figli del gatto, quaoti sono i giorni della luca. Il cebo è una specie di simia j e sparge il suo seme circail tempo fu cui succede la congiuozione del sole e della luca. L* aoimnlc detto orice steroutando mostra il nascere di Soti » . . .

» * . · . Onde i loro priocipali non si perdessero in contese funeste alla città, annunciava una certa Secreta visione * ed era questa; Appariva sulla mu- raglia un deoso lume, il quale poi trasforma vasi in una faccia divina e soprannaturale, non dolcementet venusta , ma severa oell* aspetto ; bellissima però a vedersi, e nella stessa sua severità aveote no non so che di gradevole* Gli Alessandrini ne* m i* steri degli Dei fu tennero ia luogo di Osiride e di Adooe* Era nella datura del filosofo Eraisco qnalche cesa cbe toglieva le immondezza della ge~ strattone. Di che è prova che se udiva alcuna

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STORICI X Bl OC RAVI PROFANI·donna alludere in qualunque maniera ne* enei d i­scorsi a qualche cosa d* impuro, subitamente gli veniva dolor di testa. Di questa maniera, mentre visse , sempre ebbe seco una certa divinità $ e quando fu morto, essendo Asclepiade, secondo che porta il costume,per coosegnareal sacerdote, insieme con le altre cose, le vesti di Osiride, onde ne rima­nesse coperto il cadavere, tosto dalle Sindoni ap­parve un lume, e coti esso da per tutto si videro arcane sembianze, e all* intorno di queste certe fi­gure divine. £ fu sacro e mistico anche il primò suo apparire al mondo, dicendosi che usci del* 1* utero materno col dito iudice sulle labbra, con­forme gli Egizj raccontano essere accaduto di Oro , e prima d'Oro del Sole. E come poi il dito indice era attaccato alle labbra, couveune distaccamelo con un taglio ; e sempre ne portò lieve cicatrice ; segoe cospicuo a tutti della inenarrabile sua na­scita* Dicesi che Proclo confessasse che Er»isco era più dotto di fui ; perciocché ciò ch’egli sape a, sapealo anche Eraisco ; ma Proclo nou sapeva ciò che Eraisco sapeva.

Dice che Antemio, imperatore romane, era geo* tilej e che d*accordo con Severo^ il quale adorava gl* idoli, e ch’egli avea destinato concole, occulta­mente pensava al come ristabilire l’ esecrabile culto degl* Idoli. Che quel Leontio% il quale egli efusse, insieme coll*imperatore Zenone, era stato della sfessa empia volontà, seggeritore di tal cosa Pampreplo. £ qui poi riferisce le ciarle di questo Pamprepio$ fu infedeltà sua verso gli amic i , e la morte sua violenta, nel modo stesso che anche altri raccon* tano. Costui fu egiziano di natione, e di prole·- •fune grammatico·

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a3o classe ητΜΑ,Non propendo a raccontar cosa che non si sa

se sia vera, e che può suscitare inimicizie. Adun~ due ometteado ì*izio% voglio ritornare ad Eraisco eubeo, la cui funga capigliatura discende giù delle spalle.

I Feuicj e i Sirj chiamano Saturno E I , B e l , e Boiate. Egli, ed Asclepiodoro, stato suo maestro, erano discesi a nuotare nel Meandro. Questo fìume trattili ambedue in mezzo a* suoi vortici , li som* merse : a tanto che Asclepiodoro nel frattempo alzatosi alcun poco per poter vedere il sole, disse: Moriamo, e alcun* altra parola interrotta profferì. Immantinente petò, senza che alcuno aperto ajuto si vedesse, trovaronsi sulla riva del fìume giacere mezzo morti. Poscia ricuperarono le forze * e furono salvi. Tanto è vero · che Asclepiodoro avea in sé una divina virtù. I Carj chiamarono quel paese te Aule, cioè le tibie di Apollo. Adunque A scie· piodoro al cader del sole ritornò alla casa d'Aufu presso la città di Venere\ e tosto vide nascere la litoa piena; quantunque essa non fosse nel seguo, in cui viene ad essere diametralmente opposta al sole» Ma dee dirsi che necessità , (a quale tutte anse fa sparire, facesse pur anco sparire una tale imfftagioe. Egli era alessandrino di nazióne* e in quanto a’ beni di fortuna, era nato da genitori oscuri, ma però probi e pi ir

Qui l'autore passa a parlare di Jacopo% medico, il quale d'appresso era alessandrino di stirpe, ma da lungi era damasceno , figliuolo di medico cbe Spesi avea quarant’ anni nella pratica , e girato avea quasi tutto il mondo esercitando Γ arte ; e per altrettanti aoni avea Della stessa professione

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STORICI a BIOGRAFI FROFAWT. s 3 t

istruito il figliuolo, Di questo Jacopo adunque egli, come pure altri, dice meraviglie: tra le altre cole, che udendo una donua starnutare più volte per­dette tutti i denti « e per questo accidente solo tutto quello che può riguardare la donua, forma , e colore del corpo, e grandezza, e affezioni e oosturai delPanima meglio a donna convenienti, annuoziò. Il padre di Jacopo, segue poi a d ir e , dopo avere mollo vagato pel mondo venne a B i­sanzio, ed ivi trovò medici, che nulla di perfetto sapevano nell’arte loro , nè cosa alcuna per espe­rienza propria conoscevano! soltanto riportandosi alla dottrina degli a ltri, pieni di ciarle e senta fatti. Ma il padre » e il figliuolo erano due empj. Costoro contro le malattie usavano molte purga- zfuni e bagui. Nelle cose chirurgiche non erano molto portati a dar mano «1 ferro e al fuoco ; ma le pessime ulceri guarivano con la dieta j e riget­tavano i salassi. (Jacopo) Risanando i r icch i, li esortava ad ajutare gli ammalati poveri ; e da quelli che guariva non voleva mercede, contento del fru­mento datogli dal pubblico. L'autore dice d 'aver veduto io Atene la statua di Jacopo » ed essergli paruta quella di uu uomo d’ ingegao,severo e grave.

Questo celebre Jacopo « curando io A tene Proclo gli ordinò di astenersi dai cavoli, e di fare mollo uso d* altri erbaggi. Egli noo volle man­giare malva , imitando in ciò Pitagora* — A scle­piodoro non fu uomo di grande ingegno , come parve a molti* ma fu acutissimo in eccitar dobbjc non assai pronto fu intendere, e da sè stesso dis­simifu, pur fu cose divine, fu oscure, e fu chiave » e gli eaimj scusi di Platone intendeva* Ma p*t

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s5a e n s e s m i t i ,era di gran funga inferiore ad altri nelle più alte cognitioni delle dottrine orfica e caldaica, ecce­denti la comune intelligenza de'filosofi. Nelle cose fìsiche era dottissimo sopra tutti del suo secolo t e similmente nelle cose matematichet d'onde, oltre le altre cose, conseguì gloria grande d* ingegno . Nella filosofìa morale , che tratta della virtò, cer­cava sempre di trovare qualche cosa di nuovo, e di applicarne le cognizioni alle cose inferiori e visibili ; nulla, dirò così, togliendo dagl* insegna* menti autichi, ma tutto traendo dalla natura del mondo. Egli era nato per la musica ; con tutto ciò non valse a richiamare il perduto genere euarmo* nicot e quantunque sopprimesse gli altri due generi di canto, il cromatico e il diatonico, non però trovò l'armonia, sebbene, com'egli medesimo disse, mutasse , e trasponesse uon meno di ventidue note. La ragione, perché nou trovasse ParmOnia , dì cui si parla , fu eh* egli non rendè sensibile quella minima modulazione delle misure armoni* d ie che chiamasi diesis, cioè il primo suono che s'ode n e 'ca n ti, e che insieme corruppe anche l'altro genere enarmonico.

jé scie pio doro , avendo imparata da Jacopo la medicina, ne seguì le pedate, e iu molle cose an­cora fu superò) imperciocché egli richiamò iu uso l'elleboro bianco, nou adoperato nemmeno da Ja­copo , e con esso fu sfugolare maniera guari ma­lattie insanabili. Egli de* medici nuovi uon approvò cbe Jacopoi e degli antichi, dopo lppoer*te9 ebbe fu pregio Sorano ci lice , Afeleote. Per questo ar­rivò a rendere sua moglie Damiano donna pudi* otscim», e , ciò che è più raro, magnanima, nelle

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STOftfCl z BfOOBMT V ftO PiN I. 3 $ 5

faccende domestiche di mente virile e caste, e nulla cercante voluttà nella coosuetud ine della vita·

In Jerapoli, città della F rig ia , era un tempie dedicato ad Apollo* sotto il cui pavimento trova* vasi una caverna , dalla quale usciva un vapor si mortale , che fìno gli uccelli che volassero al di aopra vi perdevano la vita. Ma quelli eh* erano iniziati ai sacrifìzj di quel santuario potevano , senza riportare alcun danno , entrare e rimanere in quella spelonca. £ Γ autore riferisce eh* egli e il filosofo Doro , spinti da.pura curiosità, v*erano entrati aoch'essi, e n’erano usciti illesi. Aggiunge poi fu scrittore c h e , dormendo in Jerapoli , vide in sogno A li) e che la Madre degli Dei gli coro* mise la festa detta degl* Ilarj , indicante la nostra conservatone dall’ inferno, Adunque, ritornato alla città di Venere* raccontai,la visione ad Jsclepio · doro, il quale si mostrò stupefatto del miracolo; e per la cosa sognata,· una uon sognata mi riferì, e eoi racconto di uo maggior fatto, corrispose al mio , eh' era di fatto minore. Disse cbe , essendo aocor giovane, era venuto in quel paese, e che si era esposto a far saggio di quel vapore. Che a due e tre doppj ponendosi la v«lte al oaso , per non respirare quell* aria corrotta e nociva , e di quella giovandosi buona e sana, che nella veste avea portala da fuori, era entrato nella spelonca » ove da ogni parte z a m p il la v a n o acque calde » e » seguendo sempre 1* impraticata voragfue, giunse sino al termine della discesa· Verso i l profonda fu strada era rotta , ed attora faceva impedimento fu q uantità .delle acque. Ma un furore fatidico fu in» ta te , e giunse scendendo ali#nltimo termine# Jscls*

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934 cla m i prima,piodoro adunque, eoo la sapienza sua uscì sano e salvo di là ; e poi pensò potersi al vapor mortale mescerne altro composto dì varie specie , trascu­rando fu ragioni de* filosofi e de’ sacerdoti , come le dicerie de’ Mitj e de’ Frigi· Colè nondimeno , contro le dichiarazioni de’ filosofi, ardi sodare Pa+ tritio» U na certa donna disse : Io sono rustica e villana. Ma sorgendo dal sonno, e posatasi sopra uno sgabello, si trovò civifu e gentile, nò soltanto parlando di coeo serie, ma anche abbandonandosi a ciarle p u erili, a guisa d' uomo piacevolissimi cbe vuol essere ntifu a queiii coi quali conversa. Trovandosi pertanto in grave pericofu, invocò Dio, pregando che togliesse via le cateratte delle ac­que che ancora rimanessero. Condusse seco fu moglie, vicina al parto, e mentre era ancora già* cente sulla sponda , gli avvenne di vedere all’im- provviso D ice , egregia fanc iulla e svelta, vestita di una tunica senza mauiche, di color giallo e con fermagli di porpora. Avea la testa cinta di una benda, seoz'altro ornamento, ed era del volto al- cun poco severa e con la fronte contratta. Nulla a fui . . .

4 sclepwdoroi discepolo di Proclo* lesse io mezzo a profonde tenebre senza lume, e conobbe fu per­sone cbe ivi erano. Egli disse che trovandosi una volta in Caria , avea veduta la testa dì ttu drago* caduto nel campo di Pitea$ cario, e da Pikea me­desimo recato, della gran d m a della più grossa testa di un taro. Oltre ciò 1* autore riferisce che tdidtpiodoro vide, e mostrò agli aitanti anche un drago vivo alzato in aria , Il quale dice concetto dal tento» e dalfu condensate sub» reodut· knmo-

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STOftlCt S BIOGRAFI ΜΟΓΑΙΤΤ. l3 5bile e steso iu forma di una grande scure, e che, essendosi viemmaggiormente fu oubi condensate , quella orribil fiera disparve·

Dipoi dice : Mar ino, successore di Proclo, na« eque in Napoli di Palestina, presso il monte chia­mato Argarizo. Indi, bestemmiando. Tempio scrit­tore aggiunge t Nel qual monte è un tempio consacrato al sommo Giove% ed ivi pure fu diviniz­zato Àbram o, il primo degli antichi G iudei, sic­come disse fu stesso Marino. Il quale , essendosi da principio fatto Samaritano, di poi ripudiò quella setta, stimando cbe degenerato avesse dai sacrifìzj d'Abramo * ed abbracciò il gentilesimo. A forza poi di studio indefesso, egli giunse ad oscurare col suo nome la gloria de' più antichi valentuomini. Isidoro, che fu trovò ammalato, non voUe interro* garfu , temendo di recargli turbamento. Dai detti però e dagli scritti di lui, i quali non souo molti, era facile comprendere che Marino non era un fecondo e beo coltivato campo di Noem ati, co-* pioso della messe, che dà la contemplazione delle cose uatutali»

• · · Proclo, vedendo questo flusso del corpo, te­mette pel giovane. Questi adunque morì; e fatto allora beato, l*anima sua, o l’ immagfue dell'anima di lu i , apertamente si fece vedere a m e , eh' era seduto su quello sgabclfu j e d’ uopo è credere al discorso che la visione del principale tra i fìfusofi conferma , e che conferma la riputazione recente delfaltro, che è il secoodo dopo di fui, e il con* ferma pure il terzo predicante , che é quegli che scrisse queste cose per puro amore di si splen­dida verità. P ro ch , in quella speranza che di sé

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* 3 6 CLASSE TRIMA,

avea fatto concepire, non potè né dispreztare fu dignità di Platone, nè impugnare il giudizio di Jamblico e di Plutarco, nè pretendere di sapere oltre il consiglio comunemente utile $ ma quanto cresceva fu grandezza nell'impegno del dire* tanto meno Isidoro permettevasi di persuadere che il peso fosse maggiore delle sue forze. Proclo poi mostravasi sollecito della veramente aurea catena di Platone, per non lasciare a noi la città di Atene ; ed era sollecito anche di Marino a ca­gione della malattia che lo travagliava. Preso adunque da vero amore della filosofìa , rotto ogni terreno vincolo, e concepito odio di tutti i beni e disprezzo delle ricchezze , venne in Atene. Tale dicesi che fosse anche il filosofo Zenodoto> il solo degno d* essere chiamato la delizia di Proclo , di eui eziaodio concepì somma speranza, nè verso di lui conducevasi con superbia , nè punto avverso , né altero nel parlare , quantunque avesse nobiltà acquistata coll* imperio , e costumi generosi, ma­nifesto fondo di studfu , e gran diligenza nella scelta delle parole. — Teogene non solamente su­perava gli a ltr i, raccolti a consultare sopra grave argomento * ma era anehe uno de* filosofi* —· A i tempi di Platone non furouvi, come alcuni pen­sano , ricchezze ereditarie'. Platone fu povero , e non ebbe che un orticello neirAccademia, da cui traeva tre nummi. Al contrario, sotto Proclo il provento delle ricchezze fu di mille num m i, ed anche di più, perchè molti morendo lasciavano fu sostanse alla sua scuola.

Ma oramai siamo giunti al termine del discorso ebe lasciammo. Àsclepiodoro fu pregiatissimo per

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•Tos ici a bioczafi raorsKi. ogni più splendida qualità che possa ornare fu vita. Niuno trovò che dire sul roatrimonfu che contrasse ; ma i soli fìlosofì poterono giungere afu f apice della perfezione. Asclepiodoro , uomo di sveltissimo ingegno , fu genaro del grande Àscle* piodoro, avendone sposata la fìgliuola, e fu pieno di gran diligenza. Era una fontana, da cui sgor* gava acqua sacra e potabile, e , come sul far dei poeti disse l 'a u to re , fu bocca di lui e tutto P a - spetto era il domicilio delle G razie\ impercioccbò se accadeva cbe per alcuna cosa s'avesse bisogno di lui , tutti come amici a lui come amico ricor* sero. — Isidoro molta affezione avea per ipasfu, non solo come marito per la moglfu, ma come fi* losofo a lei , studiosissima di geometria·

Serenano fu d'animo fermo, pronto ad eseguire quaoto avesse pensato in sua mente, e coll’ opera preveniva la stessa sua risoiuzìoue. Da ciò avvenne ch i sovente s' inceppò , non essendo cosa facifu crescere ed avanzare adeguatamente, come avanzò Teodoro Asìnto sotto Porfirio , i quali entrambi sul bel principio si ridussero alle sole cose neces­sarie al corpo, e tutta fu vita castamente condue* sero. Pamprepio iu brevissimo tempo si vide d i· venuto eloquentissimo e dottissimo, applicatosi ai prim i rudimenti della dottrina che la grammatica e fu poetica insegnano. Pamprepio fu egìsiaoo di nazione, e ito in Atene, dopo avere nel suo paese imparate fu poetica , gii Ateniesi lo fecero gran»· malico , e fu posero alla testa di una scuola di ragazti. Zenone era di naturale timido, e veggendo come lU o era caro a 'g iu d ic i, e salito io molto credito, stava fu grande sospetto di fui * e , noa

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a38 c lasse *κιμλ ,fidandosene, viveva inquietissimo» Quindi tentò ogni m odo, e mise in opera tutti i raggiri possi­bili per far allontanare lUo. Ma Pietro , che si­gnoreggiava il paese, uomo cattivo e senza pudore, a cui per avventura apparteneva esaminare fu opinioni , forse fu ritenuto dalle sempre lente ri­sposte di Pamprepio^ e queste fecero che la lotta andasse più iti lungo. Egli , trovandosi in £gitto , disse ad Isidoro non essere puuto favorevole ad Ilio , e teoerlo per macchinatore di tradimenti e per uomo cbe aspirava all9imperio romano. · .

Ritorniamo di nuovo ad Isidoro. Isidoro oon era superbo, nè di colloquio diffìcile, nè pertanto ignorò il contegno stoico { ed ora mostra vasi ilare e d’umor lieto, com'era bello di persoua e d'alto animo. Aggiuogevasi ch'egli era alieno affatto dal curare la morte . . . Malvagio uomo, e di vita in­fame, coutro Atanasio, che seguiva piò forte sen­tenza . . · Queste cose coufusero con fu piccole mas­serizie di Giuliano. Isidoro prese una cassetta ed altre piccole masserizie, e le mise in ordine come se avesse a farle portare al mercato, nel mentre che erasi raccolta la turba per la partenza . . . Comaudò anche a* servi che preparasser le streg- gbie, e cacciò in carcere di nuovo i filosofi , poi* chè per la seconda volta erano convinti. Giuliano ricevette tacendo e sopportò molte piaghe fatiegli sulla schiena co' timpani $ imperciocché fu flagel­lato molto, nè disse parola; e vedendo le suppel­lettili preparate per la navigazioner Perchè, disse, fai questo ? I custodi de* porti ti prenderanuo. Parti adunque uon molto dopo , e stavasi in casa mia. Ando duo que in Atene per recare a Proclo

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STORICI s b io g r a f i FROFÀHI.

fu cose sepolcrali , insieme con incenso* La mali* sia estrema ed incurabile merita prooto supplizio* quella che alcun poco si tempera é degoa di perdono. Ai moltissimi cbe commettono colpe mezzane, la giustizia differisce i rimedi de* m ali, sia che abbiano sussidio dalla virtù , se per av­ventura scampino i colpi del ferro e del fuoco \ sia che, attesi la gravitò del misfatto, si rendaoo indegni d* un rimedio pronto $ sia che afd alcuni , prima cbe le furo colpe vengano punite, si faccia grazia a riguardo de* buoni. Il fasto che i filosofi mettono nell* ammonire, può esasperare anche Γ uomo barbaro, sebbene i filosofi dicano doversi tollerare e oon pacato animo sostenere checché avvenga. — S'imbattè io una donna sauta, io cui era in maravrglioso modo una particella dell* aura divina* imperciocché es s a , mettendo acqua pura in uu nappo di vetro , vedeva in quell’ acqua fu apparenze delle cose future, e prediceva, per mezzo di visioni , quello che doveva succedere* Di ciò facemmo prova anche noi. Anatoho , avendo spo» gliato de* suoi beni Giovanni , dopo averlo fatto flagellare, subitamente morì. Io andai per neces­sità a trovare Emesione, Non avrei di buon attimo sopportata fu sua stoltezza, ma fu la legazione che mi obbligò ad audare da fui*

L'acqua stigia d'Arabia, che scorre sotterranea, va a scaricarsi a Bostra, che fu fatta città da Se~ vero , imperatore, essendo stata in addietro luogo di presidio, e cinta di mura dai re arabi, in grazia dei vicini Dionisj. Avendo udito tante volte decantata io % « dato alla città il nome dall'estro di un bue, prese alletto per essa, a cagione dell'origine favo*

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94ο classe PftIMA ,fusa che corre intorno a quella vagante fanciulla· Qui poi conobbe essere il Dio Teandrite , in vi* rile aspetto, e agli animi ispiratore di casta vita. L’ acqua «ligia, di cui si è fatta menzioue, dicesi essere in un luogo ov*è un campo, il quale, dalla parte di levante si stende fìno a D ia , città de­serta. Poi improvvisamente s’apre uoa spaccatura, cbe mostra uo* immensa voragine, in cui veggonsi da ogni parte peudere sassi e alquante piante sil­vestri ed orride, tra que9 sassi sorgenti e oltene­branti tutto il luogo. La discesa , a chi dalla si­nistra parte v* entra, é angusta e scabra , e lunga quindici stadj; ma conviene che non solamente gli uomini, ma fu donue ancora , facciano quel tratto eoa grande celerità. Nella seguente valle, che poi si trova, sono orti e campagne parecchie. La parte superiore, e strettissima, ha un bacino, ove da ogni verso scorre l’acqua stigia , la quale , cadendo da sito altissimo, si sparge per Taria, e di poi corre di nuovo al basso. Questo spettacolo, quantunque opera della natura , é pieno di religione e tre­mendo , non essendovi alcuno che vedendolo non s’ empia di un sacro timore. Alcuni de*doni cbe gettansi in quell* acqua, ancorché per sé leggieri , vengono portati al fondo , se il D i i é propitio a chi li offre, ma diversamente soprannuotano , an­corché per sé pesantissimi, e sono in maravigliosa maniera rigettati fuori. Gli abitanti di que9 luoghi, ammaestrati dall’ esperienza , hanno orrore a giu­rare per quel campo e per quell*acqua $ e se av­viene che alcuno ardisca fare un tal giuramento, entro l*anno m uore, gontiandoglisi per idrope i l corpo, oè v*ba alcuno che sfugga tal pena·

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STORlCt S SIOGRASI PROPANI* 241Narrasi cbe Bacco domò col vino Licurgo e gli

altri Arabi suoi seguaci , avendo asperso di quel liquore Pese re ito nemico, e da ciò prese occasfune di chiamare Damasco la città. Alcuni traggono il nome di essa da un gigante chiamalo Asco , ivi domato da Giove $ altri di quel nome adducono altre ragioni. L ’autore ebbe Porigine sua da quella città. Volgere, mercé lo studio della rettorica, ogui cura a ben favellare , e dall’ anima allontanare il pensiero delle cose sante e divine, considerazione fu questa, dice l’autore, che mi fece abbandonare gli esercizj oratorj; e così souo scorsi già nove anni, e vivemmo poi insieme tutte le notti e tutti i giorni per otto mesi. Avea veduto , prosegue a dire, Betulo mosso in aria , ora coperto dalle ve­sti , ora portato dalle mani di un medico. Il me­dico cbe portava Betulo eia Eusebio, il quale an­che disse essergli uua volta improvvisamente venuto un impeto subitaneo di partirsi dalla città di Emesa quasi di mezzanotte, e di recarsi lontano a quel monte , iu cui con antica magnificenza fu fabbri­cato un tempio di Pallade; e con somma velocità essersi tratto alla cima di quel monte , ed ivi come stanco del viaggio essersi posto a sedere, ed aver veduto uu globo di fuoco rapidamente ca­duto, che nel suo seno avea un mostruoso leone, e quel leone essersi tosto dissipato. Egli poi, estinto il fuoco « era corso al globo ? e quello avea preso come fosse stato Betulo, e domaudato di che Dio fosse , avere udito in risposta essere di Genneo· Genneo gli Eliopolitani venerano, sotto la forma di un leone, nel tempio di Giove* In quella stessa Botte diceva avere camminato di comfuuo per

Fozio. FoL L %S

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3 4 * CLàSSZ PftlMA,dugentodiecl stadj· Eusebio non era padrone dei moti di Betulo come altri di altri * ma pregava e supplicava, e quello dava luogo agli oracoli. Que­ste e molte altre simili vanità racconta costui , degne invero delle pietre betulle, e descrive an­che la forma di quello. Bello, dice, era quel globo , bianchiccio di co lore, di un palmo di diametro ; ma ora appariva maggiore, ora minore, e qualche volta purpureo * e ci mostrò lettere eh9 erano in­cise nella pietra del cofure che dicono tingabarino, e le attaccò sul muro; onde, pregato, usci Torà- colo · mettendo fu voce come da una canoa, ed Eusebio la interpretò. Altre mirabili cose questo vaneggiente scrittore narra di Betulo. Io avea pen­sato che l'oracolo di Betulo fosse divino* ma Isi­doro disse che piuttosto era uo demonio, ed un demonio moverlo noo uuo de*molto cattivi t né degli affatto immateriali , nè degli affatto puri. Altro de* Betuli soprastare ad un altro, come , al dir suo, a Dio t a Saturno, a G iove, al S o le , e simili.

Mass imi no , die* egli , era gentile di religione , ed avea sì terribile fu sguardo , che da fui rivol­gevano gli occhi tutti quelli che fu vedevano. Di che egli consapevole, per fu piò guardava a terra pittosto che alle persone che incontrava. Vedeva poi molte cose che gli altri non vedevano, e po­teva mandare addosso alle persone i demooj cat­tivi, e cacciare altroude quelli che vi avesse man­dati. Avendo egli commesso un empio fatto , da que* di Bisanzio fu decapitato» Né sapeva coodursi da filosofo, se alcuno del popolo l’offendesse, ed ignorava ogni aliare civile ed importante» — Tardò

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STOftlCf % BIOGXUn PBOPAVt. *43assai più che comportasse la speranza di a f fe t ­tare il suo viaggio iu Caria o in A t e n e . V e n g o alle preci che indiriszò à Dio ; e mentre Cillenio tardava e differiva fu faccende, Iiidoro nulla fece, risparmiando fu più preziosa cosa che , come dice il Saggio, abbiasi l’ uomo , cioè il tempo» — Vedendo me illuminato da luce d ivina, io che commoziooe di animo credi cbe cadesse ? Dive­nuto forsennato, presa una scure, si taglia t mem­bri virili. Io riferii il fatto ad Isidoro , il quafu sapientemente sempre, e con sacri ragionamenti vólti alla Diviniti , confortossi qualora senti vasi messo in cimento dalle violenze del corpo.— Que· sto è esempio di propria volontà, ed io il cito per gratitudine, poco retribuendo pel mollo. — Navi­gavamo a Samo s avea tutto eofìato il corpo , in­cominciando dai piedi fìoo all* anguioaglia e alle pudende. Mi assoppii nella nave , Ìndlé dormendo ho polluzione, e parmi contaminarsene la benda , la veste sacra, la stola, l’aspetto del vo lto , la fa­scia. — Io Atene non udimmo mai disprezzarsi fu filosofìa, come la vedemmo vituperarsi da i?gia. Costui non di poco superava in vìrtò il padre e molti altri. Ma le cose fìlosofìche curava meno. Sarebbesi creduto di tale pensamento perchè se­dotto dal patrimonio. Eppure fu uomo pio quanto altri mai. Epizio avea più ingegno, ma era rozzo ne’ costum i, rozzo e semplice quaoto possa dirsi. Era anche sì cagionevole di corpo, che poco gli mancava 8 morire. — Questi di mala voglia udì tosto la difesa, come nulla pago dello specioso consiglio che gli si dava. — Così e a lungo ra­gionando M anno, persuase ad Isidoro che avesse

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2 4 4 C tàS S * P I I MA ,

riguardo alla risoluzione che prendevasi code oc­cuparne il pesto , e fu creato successore di lui nell'insegnare la dottrina platonica * il che vera­mente era piò di nome che di sostanza» Che se ò cosa piò divina, come t u , E gia , pensi , diceva a lui Isidoro , I' esercitare le funzioni del sacerdo­zio , io pure s o d o di questo pensiero medesimo* Ma innanzi a tutto è d* uopo cbe gli uomini ab* biano a divenire Dei. fi perciò Piatome stesso disse non potere agH uomini miglior cosa toccare della filosofìa. Ma ora si Ha a stare in campo nell’etò dell’ ultima vecchiezza , non armati di ra- sojo. Ignorava egli d’ intraprendere la correzione di cose incurabili ed iniquissime, e non curò nes­sun costrutto. Al giungere della primavera , es­sendo morto Marino , Isidoro volle abbandonare Atene , avvertendo Siriano ed Egia essere neces­sario rimettere la filosofìa in v igore, la quale declinava.

( Essendosi omessi varj ben ornati passi » è ne­cessario unirli agli Estratti.)

. . . Severo , patrizio romano, essendo in Ales­sandria , raccontava molte c o s e , e fra le altre questa, cioè d’aver veduta una pietra, nella quale erano fune cangianti in varj modi figura, secondo fu posizione del sole, ora crescendo ed ora dimi­nuendo. In quella pietra era anche il sole , onde tali pietre chiamatisi Sinodite. E disse aver veduta anche una pietra solare, non quale molti di noi vedemmo , tramandante da sè raggi dorati * ma avente in mezzo un disco in forma di sole , e rappresentante un globo di fuoco, da cui venivano fuori de* raggi sino alla circonferenza $ e quella

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STORICI s BIOGRAFI FROFAHI· 9 4 Spietra era globosa ed intera. Aggiunse aver ve­duta fu lunare non macera d* acqua , che di poi presenta una piccola luna , e perciò chiamasi ac· qualunare, e per naturale indole volgeutesi secondo i moti della luna. Mirabile è quest* opera della natura, ma d'essa racconta usi assai cose oscure e nulla affatto intelligibili . . .

Tre essendo le specie d 'anim a, tre soco anche gli ordini della politica, ed ognuno ha fu sua par­ticolare; ma uua principale è fu forma, da cui ogni ordine prende nome* e la prima forma ebbe la ragione per guida, siccome fu la vita e l*umana società sotto Saturno , che dicesi età dell* oro , o stirpe d’ uomini prossima agli D e i, come portano fu favole de* poeti. L* altra età è quella che , da iracondia infiammata, proruppe in guerre e io bat­taglie; e, per dir tutto io breve , bollì di ardente brama di principato e di gloria, siccome udimmo appunto essere stata quella di cui abbiamo sì fre · que□ ti racconti nelle storie. La terza e tà , che dall* appetito si lascia condurre, piena di lusso e di deltzfu, corrotta, abbandonata con basso e femmi­nile animo alla ignavia, da sorte incerta qua e là balzata, avara, vile, servile» ò quella appunto che fu presente vita degli uomini distingue. — Propen­deva ad una pellegrinazione noo vana e deliziosa, nò curiosa ricercatrice delle grandi fabbriche dagli uomini erette e delle grandi e belle città ; ma se in alcun luogo sentiva essere qualche mirabil cosa od augusta, fosse questa o esposta a tutti, od oc­culta, egli volea vederla co* suoi proprj occhi. — Disse 1* anima assorta oelle preghiere sacre starsi entro Poetane delk OTtfuità, primieramente fu sé

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246 class* ratkfA,raccolta oltre il corpo, indi sciolta dalle eoe abt· tudini, e dalle razionali nozioni piegata alle cose ingenerate nell’ intelletto, ed in terzo luogo ispi­rata divinamente e vòlta ad una insolita serenità noo propria degli uomini, ma conveniente a Dio· Lui, JsUbrot lodava e predicava: più d'ogni altro argomento a persuadere estimando egli e comodo e concludente quello essere che dalla storia si trae, e massimamente dalla moderna, anziché dal- l'antica. Essi vollero Istdoro compagno anche nelle discipline egiziane e neiriuvestigazione delle arcane verità sacre; ed egli nelle quistioni , che sovente occorsero, portava tutta la luce delfu sapienza an­tica· Né V intelligenza sua desumeva dalla memo­ria di quauto avesse appreso ne* libri o nelle di­scipline altrui , ma dall* interna forza del suo spirito, avendo avuto sìo da principio uo certo abito saldo e fecondissimo di comprendere la v e · riti , abito che manca al comune degli uomini, iocapaci di sostenerne la divina origine. O bbli­gato ad applicarsi alla buona istruzione de* figli , Dello spiegare fu parco assai di parole , e tante ne usava solamente quante fossero bastanti a spie­gare i sensi dell'animo; e faceva cosi, noo perchè la natura e l’eserciaio a fui mancassero, ma per­ché sommo studio avea posto io acquistare per­spicuità coi più semplici mezzi. Così lasciava agli altri Teleganza e la pompa d e 'n o m i, attenendosi alla sostanza delle cose; più parofu usava de* sensi della mente » né usava piò seosi di quelli che fu natura delle cose richiedeva ; tutto inteso a far palese la giustizia con la quale si venera Dio. f u - doro compiacetesi sommamente d* ater veduto

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STOBI ci a BIOGRAFI PROPANI* %ÌJProclo 9 parendogli d* aver veduto U venerando e grave aspetto della filosofìa medesima ; e Proclo stesso avea ammirato il volto d'Itidoro come cosa divina , e come l* espressione sicura della filosofìa fu essolui vivente.

Sallustio non si applicò piò al bisbiglio forense, ma beosi all’arte oratoria. Egli avea imparate a m e­moria tutte leOraziouidi Demostene, che sono pub­blicate, ed era per sé stesso abbastanza eloquente^ non imitatore de1 moderni sofisti, ma emulo ardi* mentoso degli spleudidi scrittori antichi, e com­pose orazioni noo di molto inferiori alle orazioni di quelli. Dicesi che a piedi scalzi girasse tutto il mondo. Prende la parola pe* templi : essa si pone anche per significare fu statue, e similmente per significare il pavimento del tempio. Ebbe so­gni a migliaja , per dir tutto in breve ; ed una volta ebbe anche una visione suiratto di conside­rare un uomo con certa intensa contemplazione, che colPordinario modo di parlare noo può espri· roersi.. . . U n voto il trasse da* portentosi spettri al senso delle cose umane e familiari. Servì al tempo proprio pel matrimonfut e , dato bando ai mister) afrodisiaci, visse con la moglie senza cer­carne figli.

Ilari* , filosofo, amatore delle cose di Venere* non cercò per maestro Proclo. Disse essere per­suaso che avrebbe avuta più funga vita, aveudo una moglie svelta, e questa disse non piacerle cbe così paresse ad alcuno. Ha e g l i , malamente sof­frendo ciò che nel corpo il fugava , e riportando alfu moglie « per quanto all* nomo è permesso, fu difugfuoe della morte, fu facilitò di fui commendò,

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348 CLASSE PB1M4,

e eoo essa fu lieto. Dio , consolandolo nella spe» ranza del matrimonio, gli diede il segno della prole futura , e finalmente vide fu moglie incinta·

L e tenebre non impedivano ad Aselepiodoro d i leggere. — Narrò anche altre cose udite, ed una visione veramente meravigliosa. Una voce (ed é incerto di chi fosse ) ordinò che la nave si fer­masse . . . Egli visse casto sino alla morte ; né al* euno v* ha , anche tra* nemici, che di alcuna cosa il riprendesse.

Marino fu di ingegno non troppo svelto; nè potè adattarsi all* eccellente esposizione delle dot­trine di Parmenide * suo precettore, dalle sopran­naturali an n i abbassando la contemplazione sua ad idee pratiche, mosso per fu piò dalle nozioni di Fermo e di Galeno , o dagl’ incorrotti concetti della mente de* beati uomini. Praticò fu giustizia e i costumi convenienti ai filosofo, noo gli adula* lorj e i sordidi. A cagione di una sedizione in­sorta in Aten e , da quella città ritirossi in Epi­dauro, avendo subodorato cbe si tramavano insidie alla sua vita. Marino e Proclo non di una mano sola, ma con ambe abbracciarono Isidoro. E Pro- c iò , vedendo l ’indefessa alacrità del Pan imo di fui, e l’ardore insaziabile d’ imparare, fu lieto d’ infon­dere nel di lui intelletto ogni sacra e filosofica dottrina. Se non che arrestossi, temendo ripren­sione, querela e sdeguo per parte d*entrambi: con che concitò un certo incredrbifu m oto, noo sicu­ramente prodotto dalla natura* Fuvvi una donna attica che moltu arti di persuadere cooosceva, se­condo che egli le avea insegnato , largamente co- municaedole fu sua dottrina. Tale fu di corpo e di

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storici s btógrat? m orsirt· aninto, cbe quelli coi quali opportunamente parlata, della severità e costanza de* suoi costami e delle sue parole stupivansi. Era grazioso con le persone graziose. la vece di rimanersi felicemente tranquillo in mezzo a IP ozio filosofico , si applicò alle cose dello stato, ed esercitò i magistrati. Era di natu­rale perseverante, ed insuperàbile in tutto quello a che avesse applicato l'animo. Am ata quanto al­tri mai la gloria \ non risparmfuva rimproveri e fatti, e quanto può esprimere la forza delPanimo# Gareggiò sempre con chi era al di sopra di fui. Volle essere stimato solo, mentre manca vagli quella gentilezza* con la quale si mostra riverenza a chi è superiore. Parecchie persone però astenetausì dai condannarlo, ricordando i costumi antichi.

Pamprepio fu opportuno strumento di quella necessità che I* onestà respinge. Ma nel processo del tempo disse quaato alta circostanza occorreva.

Damatelo ; annoverando coloro > quali stolta­mente oppugnarono la santa e indcslrottibìfu reti* gione nostra , a suo malgrado, siccome apparisce, e costretto dalfu forza della ra r ità , scrive quanto segue : <r Tentò Giuliano , imperatore, ma bob andò oltre quattro atmì. Pensò U stessa cosa di poi Lucio* generai comandante della ntilizfu dì Bi­sanzio sotto Teodosio, che entrò in palazzo per uccidere l’ Imperatore \ e tre vnke cercò di trar fnori del fodero fu spada* ma si parti epa tenta to* perciocché tide di repente una donna d* inusitata grandezza e tersibifu, che abbracciò atta schiena Teodosio. Mirò al medesimo oggetto Zenone, grande capitano d* O riente, e fu impedito da tfulcnta tu arte , aveada perdala fu tk a per fu rottura di

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ft5o CtASSZ PUMA ,

una coscia, cagiooata dalla caduta di cavalfu. Indi al nostro tempo Severiano , concittadioo nostro , con pareecbj altri, fu sul punto d'essere fatto mo­rire per fu perfìdia de* suoi complici, e forse d'al­tri, e per quella di Armorico , figliuolo di Asparo, cbe scoperse fu congiura a Zenone, Oltre questi anche M ano ed Ilio furono di quel pensamento: M orso mori di malati». La testa à1 Ilio fu gettata nell* esercito nemico « e i l corpo precipitato da una rupe, n

Ammonio, amante di turpe lucra, e tutto dedito a guadagnare io qualunque maniera, scese a patti con chi era allora venuto per esplorare quale opi­nione fosse per prevalere. Avea grande suppellet­tile di libri d*ogni futta, e cercava d'aver figli per fu repubblica* Diede da prim a, dice Pautore , un saggio eoo parole* indossando il pallio della retto* rica. Onde v* era il pallio oratorio , siccome v*era tl filosofico· Gli uomini per natura attribuiscono virtù aUa vita osfusa, ed io giudico al contrario , imperciocché per chi vìve in mezzo alla repub­blica la virtù sta negli officj e nei dfucorsi c iv ili,• queste esercita l’ animo alfu fortezza , e coll* e- sperienza meglio si conosce e confermasi quanto è sano ed intero, e quanto nella vita degli uomini si asconde d i fiuto e adulterimi e così quanto di bene e di militò comprendesi neUe cose pubbli* che, « qusato di confidenza e di fortesca. Laonde quelli che privatamente oompongouo o ra tio n i, e vanno filosofando ottimamente e gravemente in­torno alfu giustizia e alfu temperanza, ove siano tratti agli alla ri mal riescono . . ,

Agapio, uomo grave insieme e manieroso,

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s t o r ic i s b io g r a f i f r o f a w i* a5tchiamò sopra di sò gli sguardi de* Bisanti iti* pre­ferendo la lingua antica alla volgare. Fu un og­getto di maraviglia a tutti gli eloquenti uontioi di Afussandria, essendo coltissimo io tutte fu arti* Egli vofuva esaminare e giudicare i grammatici « i retori* e, per dir tutto in breve , egli sembrava ia sapienza un tetragono ; e fu era di fatto.

Gesio consegui. grande ooore ooo solamenta perché valeva nell* arte medica , insegnandola ed operando, ma ancora perché era eruditissimo in ogni altra facoltà, istruendosi nella dialettica·

Isidoro , avendo sposata Domna , n’ebbe uo fi­gliuolo, a cui diede il nome di Proclo. Domna morì il quinto giorno dachò avea partorito ; e liberò il filosofo da una cattiva bestia, e il marito da un amaro conjugio.

L *Esculapio di Berito non è nò greco, nò e g i- siano , ma funicio & imperciocché a Saduco nac­quero fig li, cbe vengono chiamati i Dioscuri C am­b ir i , 1* ottavo de* quali è Esmuno , interpretato Esculapio. Questi , bellissimo di persona , e gio­vane, che faceva maraviglia a chiunque il vedeva, fu amato , siccome raccontasi * da Jstronoe , Dea fenicia, madre degli Dei. Siccome era solito a cacciare ne* boschi, avendo veduta la Dea tender­gli aguato ed inseguirlo mentre fuggiva, ed essere prossima a mettergli le mani addosso, si Ugliò eoo una scure fu pudende· DÌ che doleste essa « con mirabile invocazione avendo al giovane resti- tuito il vita! calore, lo trasferì tra gli Dei. I Fe­nicj lo chiamano Esmuno , pel calor della vita \ altri vogliono che Esmuno equivalga ad ottavo*

L*ottavo figlio di Saduco accese gran luce in

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aòa e lu s a prima ,m e n o a dense tenebre. I Marìniaoi accolsero questa orazione dal giovane, e sommamente Tarn mirarono. Mentre nou era ancor tolta la difficoltà dell'argo­mento, dalla forza della orazione io rimasi tratto a segno da richiamarmi da essa alle cose che do- vean seguire ; e , così richiedendo la circostanza , imitar q uelli che Proclo scelti avea a successori· E dirò cos* nuova a udirsi: compariva a* presenti gradito per una generosa e solida gravità , fatto ógni sforzo per riuscir utile al comune degli udi­tori, talora alcun chè dimettendo di quella g ravità con fu Intramezzare cose giocose} talora industrio­samente pungendo chi mancava, sicché col riso si velasse il rimprovero! egregio per ogni rispetto, sicché fu antiche e favofuse cose paressero vere \ ed io era prestato ad occultamente convenirne.

Teosebio , che da certo oscuro uomo ricevuto avea un anello detto della castità, Io diede a sua moglie, dicendole : Un giorno ti diedi Panello con­jugale per procreare figli : oggi ti do quello della tempefoaza, il quale ti ajuterà in custodire casta­mente fu casa. Essa di buon animo Faccettò; e per tutto il susseguente tempo visse col marito in ca­stità· Con questo soccorso soleva egli attestare non nella moglie sola, ma eziandio in sé medesimo la grandezza dell* animo suo. Imperciocché dichiarò egli medesimo come essendo giovane avea avuta a sostenere lotta co* nemici che il traevano a ge­nerare, tanto esterni, quanto interni; e dolendosi di tutti i «enei, massimamente dolevasi del tatto , dicendo questo essere tutto terrestre , ribelle , e traeate l'anima al fonte perenne della generazione.

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s t o r i c i a M v o o M i n o r i m . 2 5 $

D I O D O R O S I C U L O

LIBRI XL DZM.1 STORI Z.

1 quaranta libri delle Storie di Diodoro Siculo g contengono quasi tutta la storia del mondo. Esso è più copioso di Cefalione% almeno dove riferisce le medesime cose; ed è più splendido di Bsichio.11 suo stile è chiaro, né mai affettato^ ed é tale ap­punto qual si conviene alta storia. Nè poi atticizza egli troppo,nè troppo usa o vocaboli o modi anti­quati; nemmeno d'altronde si abbassa nel tuono \ ma tiene una forma di dire mezzana, la quale diletta, evitando l'orazione figurata, e tali altre affettazioni. Se oon che si estende favoleggiando a modo dei poeti, ove parla degli Dei e degli eroi.

Prende egli il principio delfu storia dai tempi favolosi de' Greci e dei Barbari ; e prosegue sino al cominciamento della guerra che i Romani eb­bero coi G alli, quando G. Giulio Cesare, a cui per le grandi imprese fatte i Romani diedero il titolo di Z>jVo, soggiogò molte e bellicosissime na­zioni delle Gallie.

Egli impiegò tre n ta n n i, siccome confessa, in iscrivere questa storia, avendo intanto visitati molti paesi per bene informarsi delle cose t ed iaoontrò e superò molti pericoli· Fu Siculo j e trasse l'ori­g ine dalla città di A g irio , e per la lunga pratica ch'ebbe coi Romani, ue imparò la lingua, e d ili­gentemente raccolse quanto da essi era stato ope­rato eoo avversa e con prospera fortuna.

Ne'primi set libri fa meoziooe di quaoto accadde

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»54 CLSetl FBfMi ,prima della Guerra trojana, e riferisce fu cose fu* volose. Nei susseguenti undici troverai cbe descrive fu cose avvenute da per tutto dalla presa di Troja in poi fino alfu morte di Alessandro magno. Ne­gli altri ventitré leggerai tutto quello che indi succedette fino alla guerra intrapresa dai Romani contro i G alli, sotto fu condotta di Giulio Cesare* il quale debellò fu piò parte delle Valorosissime loro genti, ed estese I* imperio romano fino nelfu Britannia» con la quale spedizione fu storfu di D io· doro siculo finisce.

DIODORO SICULO

BSTBATTI ( l ) .

€.244 Ho letto varj libri della Biblioteca di Diodoro » il X X X IV , il X L , il XXX I, il XXXII, il X X X V I, il X X X V II, il X X X V IU , dei quali estrassi fu se­guenti cose.

Dal libro X X X IL

Molti, e differenti tra lo ro , lasciarono memoria che parecchi, i quali all’ apparenza pareano donne, passarono ad avere sesso e natura d’uomo —- £ pro­seguendo Diodoro a parlare de*fatti di Alessandro, re della Celesiria e di Antiochia , questa porten­tosa cosa aggiugae « « Essendo Alessandro, dopo essere stato vinto in battaglia, fuggito con c iò ·

(t) Nel riportare questi Estratti * abbiamo seguitol1 ordine delle edizioni greche.

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STozict a «ιοολΑΠ n o r u n. a55quecento uomini nella città d4Aba al re D iocle , presso cui avea depositato suo figliuolo Antioco ancor ragazzo, ecco que* capitani di Elimde% i quali ti erano uniti ad Alessandro che ai particofuri furo interessi pensando, di soppiatto mandarooo a profferirsi di ammaztarfu proditoriamente* E alle domande che a conto di questo essi face­vano, aderendo Demetrio » noo sofu essi tradirono il loro re , ma sivvero fu uccisero, n O r non è da tacersi il prodigio cbe precedette le morte di Alessandro, quantunque per avventura, attesa fu Stia novità paja eccedere ogni credenza. « Pochi giorni prima, consultando quel re presso la Cilicia l4 oracolo che colà dicevasi il tempio dì Apollo Sarpedonio, narrasi avere il nome risposto che avesse da guardarsi dal luogo che prodotto avea nn Dio di doppia forma. Parve adora quel detto ambiguo ed oscuro} ma dopo fu morte del re quell4oracolo incominciò ad essere ottimamente in­teso j ed ecco come : Abitava in A b a , città di Arabia, certo Diofantà, macedone , il quale spo­sata avendo una donna araba, ebbe da essa un fi­glinolo, chiamato Diofanto anch'egli, ed una figlia, che fu detta Eraide· Quel figliuolo mancò di vita prima di giungere all4 età giovanile ; ma fu figlia divenuta nubile egli fu diede inr isposa ad un certo Samiade* il quale passato uo anno con la moglie, di poi andò fuor di paese. Eraide intanto cadde am­malata di una malattia nuova affatto ed iocredi- bile. Imperciocché fu venne al basso del ventre un grosso tumore che ogni giorno andava ere* scendo, e senti vasi sotto quella patte farsi alcuna cosa dura· Chiamati i medici » essi dissero che

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356 CLASSS PRIMA,

presso il collo dell* utero eravi un* ulcera , e prescrissero de* medicamenti, coi quali il tumore dovea sopprimersi. Ma al settimo giorno si ruppe fu pelle esterna j e no calò giò ciò che costituisce fu virilità: al qual fatto non fu presente né me­dico, uè altra persona estera, ma la madre sola e due ancelle. Colpite queste da tale novità, presta­rono ogni cura ad Eraidet ma occultarono quanto era accaduto; e liberata essa intanto dalla malattia* prese il suo vestito da donna, e si mise alle usate faccende domestiche come prima. Però alle donne che capevano la cosa, veone sospetto ch’esse fosse e rmafrodita, e quindi che avesse alcun che di vi­rile, ed accoppiandosi all* uomo, lo avesse latto in modo contrario alla natura. Mentre così il fatto era secreto, ritornato Samiade* domandò, com’era natu­rale, cosa fosse della moglie, la quale per vergogna non si lasciava vedere a lui. Di che Samiade assai malcontento, maggiormente insistette , e chiese di convivere con lei. E come il padre di essa metteva10 ciò difficoltà, avendo rossore di dichiarare fu cosa, nacque tra essi gran lite, avendo Samiade citato11 suocero a restituirgli la moglie. Per lo che I*ac· cidente fece che si svolgesse quel portentoso caso come succede nelle commedie, dandogli l’aspetto di reità. Ito dunque al tribunale ogouno disse quaoto credette opportuno per la sua causa * e fu chiamata a comparire anche la persona della quale si disputava. Il primo dubbio che venne ai g iù · d ic i, fu se maggior podestà competa al marito sulla m oglie, o sulla figliuola al padre t e poi­ché in fìae opinarono che fu moglie debba s e · guire il marito* Eraide manifestò fu cosa quaTera §

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storici a biografi f r o fani» 2 5 7

* arditamente sciogliendo la veste che fino allora avea portata, io tuono di querimonia domandò, se v i fosse chi pretendesse obbligar uomo a coabitare con uomo. Rimasero stupefatti tutti dichiarandosi colpiti da sì meraviglioso fatto. Eraide allora * sbandita ogni vergogna, gittate vie le vesti di donoa» dicesi che prendesse quelle che souo pro­p rie de* maschi. E i medici, fatta anch’essi fu de* b ita ispezione, dissero che nella stessa parte s* a- scondeva il sesso femminile e virile, e che una pel­licola che copriva i testicoli, erasi in certa nnova maniera aperta, ed avea lasciato adito alla discesa di quanto costituisce il sesso del maschio. Perciò furono obbligati a medicare quella specie dì piaga eb'erasi fatta, onde rimauesse chiusa, e le naturali forme rimanessero libere. Eraide poscia, preso si nome di Diofante, eatrò nelle schiere eque­str i, ed essendosi trovato col re alla battaglia, con lui ancora si ricoverò in Aba. Così il senso dell’oracolo non compreso prim a, allora si fece chiaro, poiché il re andò in Aba , ove appunto era nata quella creatura biforme. Intanto Samiade9 vinto dall’amore e dalla intimità, io cui era dianzi vissuto con Dio fa n te , e punto pure di vergogna per un matrimonio tanto alieno dalla natura, lasciati a lui per testamento tutti i suoi b eiti, si levò di vita. Onde puoi vedere in che modo una donna prende franchezza ed ardimento virile, e come un uomo rendesi più debole di una donna. Prodigio simile trentanni dopo accadde in Epidauro* Era ia quella città una lanci ulla, siccome allora crede- vasi, priva di genitori, e chiamata Callo. Avea essa l'apertura, dalla natura data alfu fummine, senza

Fozio, Voi. L »7

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2 58 classe p r i m a ,

foro, e presso al pettigoooe sino dalla nascita avea a modo di fìstola uo organo per cui gittava fuori l'acqua. G iunta essa alla età nubile fu data per isposa ad uo contadino, col quale per uo bienuio v isse, però cosi che non si trovò capace di acco­glier l'uomo, siccome é proprio delle femmine; e fu costretta a soffrire che il marito le si accostasse fuor de' modi segnati dalla natura. Non andò poi guari che circa il pettigoooe le nacque una intu­mescenza che le cagiooava dolori acerbissimi ; e chiamati molti medici, uessuno d'essi seppe dare speraoza di curarla. Ma uo farmacista vi fu che si profferì di guarirla,; esso altro non fece clie una incisione al tumore che appariva, per la quale vennero a preseutarsi le pudeode virili, salvo che la verga nou avea foro. Ebbero maraviglia del fatto tutti; ma rimaneva a rimediare al difetto osservalo* Ora il valentuomo un* altra iocisiooe fece alfu sommità del glaode spingendola per lungo fìix> alPuretta; ed adattandovi uoa canouccia d'argeuto, per quella via fece uscire le orioe. Io quauto poi al foro che a modo di fìstola era al pettigoooe « egli lo esulcerò, indi il cicatrizzò. Ed avendo così felicemeute operato, e restituita la sanità alta per­sona ammalala, doppia mercede addimaodò della cura; perciocché disse d'avere avuta a guarire una doooa iuferma, ed in vece preseutare bello e sauo uo giovane. Callo abbaodouò il telajo , e le altre faccende da donua, e presi gli abiti d’ uomo, fa indi in poi chiamata Catione. Alcuni hauno detto c h e prima di questo suo tramutamento io maschio fosse stata sacerdotessa di Cerere, e che per aver veduto ciò che gli uomini uon debboo ved e re ,

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STORICI * BIOGRAFI PROFANI. 25$avesse e vuto un processo di profanata religione. Narrano in simil modo casi di questa specie essere nati in Napoli e in altri luoghi t non che il sesso di maschio e femmina per opera di natura passasse alla figura dell* una, e de l Pai tra forma, cosa im- possibile; ma iu quanto per far maraviglia, e sor* preoder gli uomini, la natura talora dà uno falsa apparenza alle membra del corpo. Perciò siffatti avvenimenti abbiamo noi giudicati degai d è sse re scritti, e tramandati alla posterità, non per certo Tezzo di voluttà, ma per utilità. Imperciocché molti, tenendo tali cose per mostri di pessimo augurio, Iasciansi sorprendere da superstizione, e questo non accade solamente a uomini privati, ma eziandio a nazioni e a città. Prova di che è quanto avvenne ai Romani sul principio della guerra mar- sica ; chò essendosi riferito al senato che un certo Italico presso Roma avea sposato uu ermafrodito simile a quelli che abbiamo mentovati, preso da s uperstizione* e persuaso dagli aruspici etruschi , queirermafrodito fece abbruciar vivo ; e colui chelo avea sposato» perché il teneva come partecipe di un sesso degeneratolo mostro (il che non era; era bensì ignoranza della imperfezione) contro ogni ragione mandò iu esilio. E simil pena di fuoco dicesi non molto dopo essere stata proferita dagli Ateniesi per un tal caso, non essendosi capita la vera natura della cosa. Alcuni raccontano che le jene sono maschi e femmine ad un tempo, e che ogni anno scambiano alternativamenre le funzioni ne* loro congiungimenti : ma ciò non è vero. Vero é bensì che quautunque l'uno e Palli o sesso abbia fu Costituziooe saua, naturale, semplice e distinta,

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s6o classe FXlMi ,accade alcune volte che si presentino a chi os­serva con certe false appareuze. Imperciocché fu femmine hanno nella natura alcuna cosa che si ras* somiglia alle parti maschili, e qualche cosa i maschi a guisa del sesso delle femmine. Lo stesso av­viene in tutti gli altri animali, mentre nascono in fatti molti portenti di diverse maniere, i quali però né allevarsi, né giunger possono al perfetto furo incremento. E queste cose siano dette per correggere la superstizione. — Coti Diodoro verso il fine dei libro XXXU delie Storie. Però assaissimi altri scrissero di Prodigj (i)«*

Dal libro X X X lK

Il re Antioco faceva l'assedio di Ge rosoli ma \ e i Giudei per un certo tempo resistevano. Ma avendo essi consumata tutta la vettovaglia, furono obbli­gati a spedire legati per trattare di pace. I mini­stri e cortigiani di quel re per la piò parte insi-> stevano perchè tirasse innanzi in ogni maniera l'as­sedio, ed estermiuasse fu nazione giudaica , espo­nendo come essa era tra tutte le altre la sola che abborrisse d'unirsi con fu altre, e che riguardasse tutti gli uomini come nemici; aggiungevano inol­tre che gli antenati de'Giudei erano stati discac­ciati da tutto 1* Egitto come einpj ed invisi agli D e i; imperciocché, esseudo i loro corpi infetti d i

(i) In una Nota a questo passo di Diodoro riportato nel Voi. V II della Biblioteca di questo Storico, della edizione Sonzogno, veggonsi riferiti altri casi del tra*· mutamento di sesso.

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storici z biografi propani. 961

scabbia e di lebbra, erano stati espulsi dai confini per purgare il paese da sì oefanda ratta, e così sbaoditi aveano occupati i luoghi vicini a Gero- solim a, e ridotti io corpo di oaziooe aveano poi propagato di padre in figlio Podio loro verso gli uomini. Perciò s'aveano fatte leggi nemiche del- J*umano consorzio, di non avere mai mensa co­m une con altra nazione , nò di mai augurar bene ad alcuna. P iò ; ricordavano al re che i suoi mag­giori sempre avevano detestati i G iudei; imper­ciocché Antioco, detto l'illustre, soggiogati i G iu­dei, entrò o*el tempio di Dio,stato sempre iuacces- aibile ad ognuno fuorché al sacerdote, a cui solo ciò permetteva la legge: nel quale trovata avendo una statua di pietra rappresentante un uomo di lunghissima barba ca vaicaute un asino, giudicò che fosse la statua di M osè , fondatore di Gerosolima, ed istitutore della nazione, il quale con legge or­dinò i nefandi costumi, spiranti Podio pel genere umano. Quel re adunque detestando una tanta ne- cessiti contro tutti i popoli, procurò che sì empie leggi si abbonissero. Perciò alla immagine del fondatore, e all'altare a cieio scoperto del Nume, immolò uoa grossa tro ja , e del sangue d'essa co­sperse l'uoa e l'altro ; e delle carni della mede­sima ordinò che s’ imbrattassero i sacri libri, i quali contengono le leggi piene d’ odio contro i fore­stieri. Egli inoltre estinse la lampada , da essi chiamata eterna, e che perpetuamente arde nel tempio} e finalmente forzò il pontefice e gli altri Giudei a cibarsi di quelle carni. Allegate queste cose, erano coloro tutti con sommo impegno intesi a lare ch’egli estermi nasse quella r a n a , od almeno

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classe prima. , che ne abrogasse le leggi, e la costringesse a ma- tare il teoore di vivere, e le istituzioni. Ma il re ch'era d'alto animo, e d* indole placido, riscosso eh* ebbe il tributo che gli si dovea , diroccate fu muraFdi Gerosolima , e tolti ostaggi, perdonò a quella naziooe ogoi fallo. — Così Diodoro men­tisce intorno alle istituzioni , e leggi mosaiche , e circa il fondatore di Gerosolima, e circa l*uscita degli Ebrei dall* Egitto. E perseverando odi* ag­gravare i Giudei con menzogne, onde non pa­rere di contraddirsi, introduce a parlar altri, a cui aggiunge Γ amicizia di Antioco. De* Giudei scrive eziandio net libro X L della Biblioteca quaoto segue:

Dal libro X L circa la metà*

Essendosi ooi accinti a scrivere la guerra contro i G iudei, pensammo essere del debito nostro prima di tutto esporre compeudiosamente l’ origine di loro naziooe, e fu loro leggi· Nota essendo in Egitto ima certa malattia pestilenziale , la maggior parte degli abitanti disse che la cagione di tanto male certissima mente era l’offesa del Nume. E come un miscuglio di molti forestieri abitava nel paese, sventi nei ministerj delle cose sacre, e ne* sacri- f ìz j, riti singolari e strani, era accaduto che Pfeotico culto degli Dei sofferta avea presso d ’essi diminuzione. Quindi gl'indigeni si trassero a so~ spellare che se non discacciassero quella ciurmaglia di forestieri, essi non sarehbonsi più liberati dai mali che li affliggevano. Adunque furono solleciti 4i sbandire quanti erano nel paese d’altre nazioni»

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STORICI ε BIOGRAFI PROFANI. 263Otta parte di questi nobilissima, e sopra le altre per bravura prestante, sotto la condotta di egregi capitani andò, secondo che dicesi, iu Grecia e in altri luoghi, spintavi da varie vicende i ed erano CTa que’capitani Danno, e Cadmo, fatti di cbia* riesimo nome. Un’altra parte , e la maggiore , fu cacciata nella terra, oggi chiamata Giudea , non molto lontana dall’ Egitto, ma a que’ tempi deserta affatto . Di questa colonia fu capo un certo Mo$è% cosi chiamato, e uomo eccellentissimo per sapienza e fortezza» Costui , occupato quel paese, vi fondò molte città, e fra le altre quella che oggi è chia­rissima, Gerosolima: e vi edificò un tempio , in lomma venerazione presso lóro; poi insegnò con che riti e cerimonie doveasi onorare il Nume ; ed in oltre ordinò con leggi tutto lo stato della repub· blica. Iu dodici tribù egli divise la moltitudine, perchè riteneva un tal numero perfettissimo conte quello che corrisponde ai mesi costituenti l’ intero nono. Ma non fabbricò egli veruna immagine* o statua degli Dei, giudicando non potersi Dio espri­mere sotto umana /orma ; e Dio solo essere cole­tto cielo che da ogni parte abbraccia e circonda la terra, ed ha in poter suo tutte le cose. Così poi istituì i riti de’ sacrifìzj, e i costumi della vita cbe volle i suoi differenti da quelli di tutti gfi altri popol i; perciocché per quella relegazione cbe fu sua gente soffrì , le oidinò un certo genere di vivete inumano , ed inospitale affatto* e a governarla, poiché l ’ ebbe ridotta in corpo di nazione, scelse tiomiui valentissimi, e li creò sacerdoti. L ’ incom­benza loro è di essere continuamente applicati alfu fuozjoni di culto» e ai sacrifìzjt e diede pur loro

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*64 et asse p u m i ,d’ essere i giudici di tutti i litigi, ed alla fede loro commise di custodire le leggi e le istituzioni» Perciò dicono che i Giudei ooo ebbero mai re ; ma tutta la cura e l’autorità di governare la mol­titudine essere sempre stata affidata a quello tra i sacerdoti , che per prudeoza e virtù fosse più riputato degli altri. Hanoo essi poi questo come nuozio ed interprete dei comaodi di Dio ; lui nelle concioni pubbliche, e negli altri congressi procla­marne gli ordioi. £ dicesi a questo riguardo essere educati i Giudei a tal modo che al comparire del pootefìce immautinente prostrati a terra , mentre rivela loro gli oracoli di D io , profondamente lo adorano. Io testa delle loro leggi è scritto : Mose uditore di D ìo , dice queste cose· 11 legista toro molta peoetrazione, e prudenza iusigoe pose iu^ torno alle cose della guerra ; e i giovaoi mirabil­mente istruì ond'essere tolleraoti , valorosi e co­stanti nel soffrire ogni specie di miseria. Fece pure varie imprese contro le nazioni circonvicine, e molti tratti di paese eoo la guerra acquistò, la · sciati da possedere per eredità a’ suoi : così però cbe ai privati distribuì porzioni eguali ; ma fu as- segoò maggiori ai sacerdoti, onde ne traessero più abhoudaoti proveuti, e così potessero senza distraziooe alcuua assiduamente atteodere alle cose di culto. Nè potevano i privati veodere. la porzione del patrimooio toccata loro, affìochè nel suo po­polo non fossero quelli cbe, fatti più ricchi per l'acquisto delle eredità altrui, sopraffacessero i po­veri , e riducessero la moltitudioe alla miseria* Fece pure che si educassero beoe i figliuoli, e come eoo poca spesa t fanciulli appunto si man-

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STORICI z BIOGRAFI PROFANI. 265tengono * la naziooe de’ G iudei sempre ebbe mol­titudine d’ uomini, Iu quanto concerne ai matri­m o n i e a* funerali, differenziò pure d’assai con fu leggi i suoi dagli altri. Sotto gl’ imperj che nella susseguente età sorsero oella quarta dominazione de* Persiani, e in quella de* Macedoni cbe la do­minazione de* Persiani rovesciarono, essendosi i Giudei frammisti con le nazioni forestiere , molte cose delle fuggi avite mutarono (l). — Di questa maniera, intorno ai costumi ed alle leggi de’mag- giori, e intorno alla loro discesa dall’ Egitto e intorno a Mosè9 uomo sacrato, per più rispetti , Diodoro mentisce; e moltissime cose noa tocca* Nelle in­colpazioni che avanza contro la verità, declina, ri­ferendo ad altri fu narrazione di ciò che dice. Tali cose avea scritte EcaUo di Mileto«

Dal Véro X L V lll.

Ciò che , secondo alcuni, cagionò fu morte del* Timperadore Gioviano %c\oé Tessersi posto a dormire in una casa imbiancata di recente, nella quale si era acceso il fuoco, onde espellerne fu umidità, dicendosi appunto, eli* egli rimanesse morto pei vapori della calce i Diodoro narra per questo mezzo medesimo assai tempo prima aversi procacciala volontaria­mente fu morte Caluto* Ecco com’egli si esprime:

uCirtna e M ario , congregati i principali capi­tani, esaminarono insieme come potessero venire

(t) Merita d'esser letta la Noia che a questo patao di D iodoro trovati alla peg* del Voi. VII della Biblioteca di Diodoro, edizione Sonsogno.

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906 c l a s s e p z i m a ,

a pace tra furo ; e io fine fu convenuto di togliere di mezzo i più distinti de*nemici, i quali avessero potuto muovere preteusione al supremo comando» Alla quale risoluzione inclinarono onde, cosi facendo, sicuramente, e ad arbitrio furo governare insieme con gli amici la cosa pubblica. Quindi, non avoto alcun riguardo alla fede e ai patti giurati iuoanzi a titolo di riconciliazione, fecero da per tutto ese­guire il macello di quelli che aveano proscritti· Accade allora che Q. Lutavo Catulo, il quale altea splendidamente trionfato de* Cimbri, ed era carissimo a* suoi concittadini, da un tribuno della plebe fu chiamato innanzi al popolo in giudizio capitale. £ reggendosi egli in sommo pericolo di essere calunnialo* andò da Mario pregandolo che ▼diesse soccorrerlo. Mario gli era stato dianzi amico, poi per qualche sospetto gli si era alienato. Secca fu la risposta; Bisogna morire, gli disse. Per lo che Calalo % perduta ogni speranza di sal­vezza, e cercando di morire senza ignominia, scelse tm modo di fìnir la vita singolare affatto, ed inu- aitalo; imperocché si chiuse in una casa di fresco incrostata con la calce , ed ivi fatto avendo col fùoco e col fumo maggiore lo svaporamento della umidità dalla calce proveniente, perduta fu respi­razione mori soffocato. *

Dal libro X X X L

Mentre queste cose accadevaoo, giunsero a Roma fugati de* Rodj per giustificare la furo città sui de­litti appostile. Imperciocché pareva che durante fu guerra con Perseo , i Rodj avessero favorito quel

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STOBI Ci K BIOGRAFI PROPANT. 9t>7re, e tradito l'amicizia de'Romani. Ma non essendo p otuti riuscire io ciò per cui eran venuti, trova* vaosi grandemente abbattuti d'animo, e con molte fugrime ivano raccomandaodosi ai principali per» eooaggi della dominaote. Finalmente Antonio* uno dei tribuni della plebe, gl'introdusse in senato; e primo a par’are di ciò per coi erano spediti, fu Filofrone, poi Astimede. I quali dopo che ebbero detto quanto a pregare e a supplicare occorreva, e cantato, come suol dirsi, la canzone del C ig a o , appena ricevettero una risposta, per la quale, seb­bene in sostanza venissero liberati da paara per le apposte accuse, dovettero udirsi dire acerbe e contumeliose parole. Perciò deesi osservare ( t ) , cbe presso i Romani uomini chiarissimi contendono tra loro in gloria, e rettamente amministraoo pel popolo i piò importanti affari; laddove presso gli altri nelle cose pubbliche l'invidia mette l'uno in­contro all'altro; e i Romani tra furo scambievol­mente si lodano. Ond’ è che mentre questi gareg­giano per accrescere il ben pubblico, operano bel* tissime cose ; e gli altri, mentre cercano gloria per male v ie , nno incagliando le imprese d ell'a ltro , recano danno alla patria*

Perseo, ultimo re de' Macedoni, cbe spesso avea tenuta amicizia co* Romani, e spesso ancora con

( i) È da dire ehe il testo qui sia mancante, poiché in buona logica dalle sole cose premesse uon viene Γ oitervazioue morale che s'aggiunge.

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268 c l a s s i HLIMi ,

grande esercito avea (atto ad essi la guerra, final* mente fu sconfìtto da Emilio, e condotto in trion fo* Però quel re, quantunque fosse precipitato in tante sventure, cbè le disfatte sofferte da lui pareano favole di cose non mai accadute, non voleva in­tendere di finir la vita. E bisogna sapere che prim a cbe il senato deliberasse sulla sorte di quel r e , uno de* pretori urbani fu cacciò in prigione in Albano insieme co*suoi figliuoli. È quella prigione uoa caverna profondamente scavata sotto te r r a , della graodezza di un cenacolo capace di dieci Ietti, e quaoto mai si possa immaginare piena di calìgine e di fetore, per fu moltitudine degli uo­mini che ivi tengonsi , condannati già per delitti capitali; ed a quel tempo molti di tal fatta ivi cbiudevansi. Ed accadeva che pel tanto numero in sì angusto luogo serrato, i corpi furo paressero di bestie; e confondendosi insieme e gli alimenti, ed ogni altra cosa cbe pur è ove souo uomini, sì acuto fetore ne uscisse che faceasi intollerabile a chiunque vi si avvicinasse. Per sette interi giorni Perseo stette iu sì miserabile condizione, e videsi ridotto ad implorare soccorso da infelicissimi ai quali era dato beo misurato cibo! cosa cbe alta­mente li commosse, e per la commiserazione di sì grande calamitò, di cui aocb*essi erano a parte, lagrimando gli diedero umanamente di furo por­zione , e di più gli offrirono uoa spada , con cui trapassarsi, ed una corda per istrangolarsi , fatto arbitro della scelta. Se non cbe agli sventurati niuna cosa è più dolce cbe il tirare inùanzi fu vita più che possaoo , quantunque soffrano mor­tali angosce. Avrebb*egli però in mezzo a tante

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stobici % biografi PBorAKu 2 6 9

angustie finito di vivere* se M * Emilio * principe del senato, riguardando alla dignità di Perseo, e alla equità conveniente alla sua patria, con certo senso di sdegno non avesse rimostrato a* senatori che se nou avessero avuto timore degli uomini , do­vessero averlo almeno di Nemesi* vendicatrice d i coloro che baldanzosamente abusano del potere· L aoode passato Perseo in meno duro carcere, mentre egli andava pascendosi di nuove speranze finì la vita in modo nou dissimile dalle antecedenti scio» gure. Imperciocché dopo due anni di vane lusinghe, toccatogli custodi barbari che gl* impedirono il couforto del sonno, dovè morirei.

« · . « « · . « « ·

I re di Cappadocia riferiscono l'origine di furo stirpe sfuo dal tempo di Ciro, re de* Persiani ; ed affermasi provenire eglino da uno di que* Persiani che uccisero il Mago. Della cognazione loro poi tratta da Ciro danno la serie in questa maniera : Dicono che fu sorella di Cambise, padre di Ciro, Atosia; che da essa e da Fornace* re di Cappa* docia * nacque Gallo ; da questo Smerdi, e da Smerdi Artamna che fu padre di Anafa, per for­tezza ed ardimento distintissimo, ed uno de*sette uomini persiani. Di. tale maniera adunque riferi­scono i gradi di cognazione a Ciro e ad Anafa , a cui dicono che a cagione dalla fortezza sua fu conceduto il principato di Cappadocia* senza che pagasse tributo a* Persiani. Morto lui ebbe il regno u n suo figliuolo dello stesso nome; e dopo che questi uscì di v ita , aveodo lasciati due figliuoli,

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970 CLASSE PB2MA ,Datama ed Arimnep, quegli ebbe il regno, e fu nomo lodatissimo e per la guerra e per le altre parti dell* imperio. Fini morto sul campo io una batta­glia avuta co* Persiaui, nella quale avea valorosa* mente combattuto. A fui succedette il fìgliuofu Àriamne , da cui nacquero Àriarate ed Oloferne. Ariarate regnò cinquant* anni , e morì senza aver fatto cosa degna d'essere ricordata : dopo il quafu ebbe il principato il maggiore de* suoi figliuoli , di nome Ariarate anch’egli, di cui dicesi, che vi* vamente amando suo fratello, di onori e di dignità splendidissimainente il decorò. Si confederò poi co* Persiani nella guerra che questi presero a fare agli Egizj* e dopo essere stato da Oco, re di P er. sia, amplìssimamente onorato a cagione della sua fortezza, ritornò io patria da quella impresa, o cessò di vivere lasciando due figliuoli dopo di Ariarate ed Arisa* Suo fratello poi, il quale regnò fiuch’egli in Cappadocia, essendo senza prole, adottò Ariarate, il maggiore de* figliuoli del fratello, e nipote suo. Circa quel tempo Alessandro il Ma­cedone distrusse con la guerra la potenza persiana, e di poi morì ; e Perdicca, che preso avea il go­verno supremo « mandò in Cappadocia , capitano generale Eumene 3 il quale debellato Ariarate, ed uccisolo in battaglia, la Cappadocia e i paesi con­finatiti co* Macedoni sottomise. Ariarate, figliuolo dell’aulecedente re, non avendo per allora speranza di regnare, passò cou pochi de* suoi in Armenia. Né guari andò che, morti Eumene e Perdicca , e distrutti Antigono e Seleuco , con esercito avuto da Ardoato, re degli Armeni, uccise Aminiaf ca­pitano de’Maecdoni, e cacciò i Macedoni dal paesct

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di tale maniera ricuperaodo il regno gentilizio · Aveva egli tre figliuoli, il più attempato de’quali, Àriamne di nome , assunse il regoo. Egli si fece parente di Antioco, chiamato Dio% avendo ottenuta, per isposa di Àriarate » suo figliuolo maggiore, Stra tonica* nata da Antioco ; e perché amava assai quel figliuolo , gli pose sul capo il diadema, e il mise a parte seco lui di tutti gli onori, e di tutto il potere di re. Morto poi questo Àriamne* Aria- rate regnò solo) e venuto a morire lasciò il reguo al figliuolo suo* Àriarate anch’egli , il quale era ancora in tenerissima età. Menò costui in inoglfu Antiochide* figliuola di Àntioco detto il grande , donna eccellente in sugacita$ la quale non avendo p ro le , al marito che uulla seppe dell’ ingaono* suppose due figliuoli , Ariarate ed Oloferne. Ma qualche tempo dopo , fatta feconda , fuori d’ogai speranza partorì due figliuole, ed un figlinolo, che ebbe nome Mitridate. Poscia manifestato al ma­rito quanto riguardava i due supposti 6gliuoli , fuce in modo che il maggiore d’essi fosse spedilo con discreto treno a Roma ; e il secondo fece ma oda re n$ìla Jonia ; e questo artifizio usò perchè non avessero a muovere contrasti pel regno al Vero erede· Dicono che questi, nominato anch'egli Àriarate, fatto uomo, e bene istruito nelle discw piine greche, e pieno d’ogni bella virtù, s'acquistò gran concetto. Il padre, veggendosi dal figliuofu mirabilmente amato , desiderava ardentemente di dargli uo peguo di sua corrispondenza affettuosa·; e fu reciproca loro benevolenza giunse al seguo che, il genitore volle cedere tutta Painmiuistrazioue del regno al figliuolo* e il figliuolo sostenne es-

s t OBI CI B BIOOBiFI Ρ10ΓΑΚΤ. a ^ I

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%ηΐχ CLASSE PUMA,sere impossibile che tanto beoeficio si sccetfasse da lui mentre il suo genitore era ancora vivo. Bensì succedette al padre nel regoo poiché questi fu morto * e in queU'alto posto diportossi in ma* niera perfettamente conforme alfu virtù che avea dimostrate innanzi, e molto attese agli studj filo­sofici * cosicché la Cappadocia , dianzi ignota ai Greci, presentò agli eruditi un grato ed onorato soggiorno. Egli rinnovò coi Romapi l'allea ora che in addietro su ssisteva.* L'autore aggiunge parecchie altre particolarità intorno ai re di Cappadocia si so a Ciro.

De* funerali di L. Emilio che debellò Perseo , Diodorof che per questa ragione li chiama spleu- dtdi, riferisce quanto segue:

u Sogliono ì Romani a que* morti che per no­biltà , e pe* gloriosi fatti de* maggiori furono in eccellenza, fare i ritratti perfettamente simili e di fattezze e di corporatura , e rappre&entarli quali erano viventi $ e l'oggetto di questo costume* si è tanto per conservare la serie, de* personaggi, quanto per accrescere I* eccitamento ad incitare le virtù di ognuno. Similmente ognuno de* parenti vuole presso di sé statue cbe que* personaggi rappre­sentino con gli ornamenti adattati alla dignità d*essi, perchè da quelli ciascheduno intenda gli onori e le illustri cariche che quelli della sua famiglia ebbero nella repubblica, n

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STOBI CI E BIOGRAFI PROFaKI.

Ια questo libro Dlodoro nomina gl* Iberj e i L usi­tani j ed aggitinge come Memacio, pretore urbano, fu spedito con esercito a far la guerra nella Ibe- ria, e come i Lusitani assaltandolo, lo presero al- Γ improvvista, e l'oppressero, fatta una strage as­sai grande delle sue genti. Di poi saputasi tanta vittoria degì* Iberj, gli Aruaci, credendosi piò va­lorosi degl’ Iberj, disprezzarono i nem ici; e spe­cialmente per questo motivo, a chmor di popolo, mossero guerra a* Romani.

Dal libro X X X IL

Quantunque le mura di Cartagine fossero alte p iù di quaranta tubiti, e piò di ventìdue grosse, fu macchine de* Romani , e il valore di questi prevalsero, a modo che essi presero la città, e la demolirono*

Massinissa> che regnò in Afriea, e fu alleato dei Romani, visse in pieno vigore dì forse novaut'a:mi$ e morendo lasciò dieci fìghuoli che affìdò alla tu­tela de*Romaoi. Eira egli di complessione robusta, e da ragazzo assuefatto alla fortezta e alle fatiche. C ome avea presa una pos'£ioue » iu essa rimane» vasi immoto tutta la giornata: sedendo, non alza* vasi sino a notte. C oti se prendeva di baoti mat­tino a fare alcun esercìzio, vi consumava il giorno

r o t i o , v o i* l ss

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2 7 4 CLASSS, PIUMA ,intero; ed uoa volta montato a cavallo, ancorché vi durasse di e notte, non si stancava mai. £ di sua buona salute e robustezza fu massima prova che quasi di novaot’ anni ebbe uu figliuolo, il quafu visse quattro aoni ; e non per ciò era ben com­plesso. Fu egli mollo studioso di agricoltura, e vi si applicò tanto, che lascio a ciascuno de’suoi fi­gliuoli uoa campagna di dieci m»la jugeri, fornita in oltre d’ogni cosa necessaria. Egli governò eg re* giamente il suo regoo per sessanl* anni#

JSicomede , dopo avere sbaragliato in battaglia Prusia, suo genitore, essendosi questi rifuggito nel tempio di G iove, ivi lo ammazzò, e si pose in possesso del regno di Bitinia cou questo assassinio scelleratissimo.

I Lusitani sul principio della guerra, noo avendo capitano da stare al paragone con quelli de* R o ­mani, facilmente venivano battuti. Ma quando eb­bero trovato Viriato, diedero ai Romani non ppchi travagli. £ra Viriato di que'Lusitani cbe soggior­navano sulla costa delTOceano, e dalla sua fan­ciullezza era stato pastore, ed assuefatto a vivere tra i monti. La natura gli aveva data anche una particolare complessione, imperocché in robustezza, in velocità, in agilità superava tutti quanti gl*Iberj. Erasi poi avvezzato a poco cibo, e a moho eser­cizio; e dormiva soltanto quanto U necessità Tesi-

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STORICI S BIOGRAFI Pf tO FiK f. 3 ^ 5

geva ; e portando sempre in dosso armatura di ferro , e battendosi con le b e lv e , e coi ladroni, presso la moh idioe si fece grati nome. Creato fi­nalmente capitano supremo, chiamò a sé tosto una schiera di corsari, e nella guerra ottenendo gran­diosi successi, ebbe l'amministrazione generale, non tanto per le altre virtù sue, quaoto perchè fu stimato possedere tutte le arti degne del capitano* Era giusto nella distribuziooe delle spoglie nemiche, e premiava a proporzione del loro merito quelli che s’ erano distioti per valore» Poi salito iu mag­gior fortuna, noo più ladrone si dichiarò, ma siv* vero principe. Guerreggiò coi Romani, e io molte battaglie riuscì vincitore: di modo che debellò Vitellio, comandante de* Romani, insieme col suo esercito* e aveodolo preso, lo trucidò. Molte altre prodezze fece in guerra felicemente, fìu taoto che venoe maodato contra di lui Fabio. Da quel tempo incomiociò a declinare. Ma raccolte le forze, avendo sosteouta contro Fabio la guerra con graode animo, l ' obbligò a capitolare in maniera indegna del nome romaoo. Però Scipione, a cui fu dato il co- mando supremo dev’ esercito romaoo oootro di lui, quella capitolazione ruppe; ed avendolo poi più di uoa volt? vinto, postolo in tali estreme au<* gustie, che incotniocieva ad inclinare alla pace , corrottine i domestici, e tesegli insidie, giunse ad ammazzarlo· Il quale Scipione aveodo trovato modo di atterrire Tautamo, successore di Viriato, e le soldatesche che colui avea seco, si trasse a quei patti ch’egli vo leva, e furo concedè campagne e città da abitarvi.

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2 7 6 CLASS E prima ,

Dal hbro X X X IV .

Essendo fu cose de* Sìculi per settant* anni dopo fu min* di Cartagine andate prosperamente , in fine venne presso di loro a scoppiare la guerra de* Servi nella maniera che siamo per dire» D a- chè i Siculi ebbero amplificate le furo facoltà, saliti a grande ricchezza si misero a comprare una enorme quantità dì servi; e questi usavaoo, fattili uscire a turbe dai luoghi in cui prima li chiudevano, bollare a fuoco con certe marche. Servivansi poi d’ essi, se erano giovani, per pastori; gli altri adoperavano a qualunque altro oso* Ma con durezza e rigore li trattavano tutti* nè cura alcuna prendevano del loro vitto e del furo ve­stito * così che la maggior parte di que* miseri andavasi le cose necessarie procacciando col ladro­neggiare : e tutto perciò era pieno di assassinj , noo altrimenti che se un esercito dì corsari e depredatori fosse qua e là sparso per le campa­gne. I governatori de' paesi andavano in vero cer­cando di reprimerli * ma siccome non ardivano punirli come occorreva a cagione de' ricchi e p o ­tenti padroni, che aveano sui loro servi podestà assoluta; coti avveniva eh* essi erano costretti a chiudere gli occhi sopra tanti saccheggiamenti e tanti delitti. Tanto piò poi che la maggior parte di que* padroni erano cavalieri romani, e giudici dei delitti che apponevansi ai governatori delle province: sicché tenevano questi in altissima sog­gezione. Essendo adunque in sì miserabile stato i servii e sottoposti spessissimo ignominiosainente,

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s t o r i c i z b i o g r a f i s f t o r t K t . 5 7 7

e senza ragione ad essere con grande barbai ie battuti, vennero in risolusione di non soffrir oltre sì iniquo trattamento. Per fu che, fatto conciliabofu insieme, come prima ebbero comodità, vennero a parlare del modo di scuotere il giogo della servitù, finché poi giunsero ad effettuare il furo disegno* Era tra furo un certo Sirio, servo di Jntì^ene Annco* nato nella città di Apamea, uomo pratico de Parie magica, e degPincatensimi, it quale dava ad iutendere d'avere rivelazioni e visioni dagli Dei, e fu virtù di conoscere in soguo fu cose fotu ie , e l'ordine nel tempo stesso di predirle : con che molti animava a credergli. Poi procedendo oltre uou si contentò di trarre i suoi oracoli dai sogui, ma fìnse di ve­dere in pieno veglia gli Dei » e di udire da essi quaoto dovesse succedere. £ quantunque molte delle cose che diceva uoo fos&eio che ciauce* l'accidente pur fece che alcuue predizioni sue si avverassero! oud* è che mentre delle non verifì* cate nessuno teneva conto, per fu verifìcate veniva applaudito» e cresceva coti di estimazione. T io \ò costui in ultimo questo attifìzio, che metteva fiamme di fuoco dalla bocca preodeudo aria di furente; e come se fosse invasato dallo spirito di Febo, va­ticinava le cose avvenire. Dicesi che in ciò ado­perasse una noce, o tale a lu a cosa vota per di dentro, iu c ui chiudeva alcuna materia infiamma­bile. Ora costui prima che seguisse fu rivolta , vantavasi che gli fosse apparsa la Dea Siria, e gli avesse predetto che avrebbe regnato: la qual cosa andava dicendo non solo agli altri servi, ina ezian­dio al proprio padrone. £ come questi suoi detti facevano ridei e, Antigene di queste ciarfu prendendo

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3 78 classi mima ,spasso, Euno , che cosi chiamavasi quel S ir io * conduceva seco ai conviti, e mosso discorso del futuro regno di f u i , molte domande gli andaya faceudo, come, per cagiooe d’ esempio, avrebbe trattato oguuno di quelli ch’erau presenti· E non perdeodosi punto d’animo colui, seguitando a par­lar fraacameute del sua regoo, rispondeva che sa~ besi comportato verso i suoi padroni con clemenza^ e da una in altra cosa passando, mercè fu molte stravaganze che andava dicendo , tutti i convitati faceva ridere i ed alcuni di loro giungevano anzi a dargli grossa porzione di quanto era sulla tavola, aggiungendo che quando fosse divenulo re, volesse ricordarsi della buona grazia avuta. Ma il fatto è che fu stravaganti sue ciarle fìaalmeute mutaronsi in verità ; ed egli giunse ad avere la potenza di re, e quelli che in que* conviti P aveano trattato benignam ele, potè guiderdonare. Il priucipio della rivolta fu come segue. Era vi uu certo Damo/ilo d’ Enna, uomo per le grandi sue ricchezze di alto anim o, ina d’ indole superba. Costui trattava i suoi servi in si crudel modo che nou saprebbesi dir di più; ed avea uaa moglie di nome M egallide, fu quale faceva a gara col marito nel trovare con ogni inumanità i piò squisiti supplizj, Oud* è che per tanta sevizie inferociti i miseri che n* eranoil bersaglio, concertarono tra loro d*alzarsi e di trucidare i padroni. Vanno essi dunque da Euno9 e il domandano, se perméttano gli Dei quanto essi hanno disegno di fare. Costui mettendosi del loro partito risponde coi soliti suoi prestigi che il permettano ; e fa loro animo» onde alla prima oc­casione opportuna effettuino quanto hanuo stabilito*

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ST0B1CI x BIOGRAFI PROFARI· 2-0Immantinente adunque raccolgono una partita di quattrocento servi, e, colta buona occasione, bene armati irrompono nella città d*Enna, avendo Euno alla testa spirante fiamme dalla bocca con quei soliti suoi prestigi^ ed entrati nelle case vi fanno orribil macello, cosicché non perdonavano neppure ai bambini lattanti , ma strappati dalla poppa li schiacciavano sul pavimento. Alle matrone poi, veg­genti gli stessi mariti, quanti insulti, quanta libidinosa violenza facessero, nou può con fu parole spiegarsele a que9 primi si era presto aggiunta una moltitudine di servi stanziati nelle città i quali dopo avere erudelmente trucidati i loro padroni, andarono a trucidare anche quelli degli altri. Intanto Ettno avendo saputo che Damofih e sua moglie erano in un orto vicino alla città, mandò alcuni de*suoi, i quali li traessero in città con le mani legate dietro fu schiena, e per istrada d’ogni contumelia venissero oppressi : con che però alla figliuola sTovesse ogni riguardo» perciocché essa s*era sem­pre dimostrata umana e compassionevole verso i servi, e, come dichiararono , piena di volontà di ajutarli. Il qual loro contegno eia uoa evidentissima prova che quanto facevano uon proveniva da indole crudele , ma da vendetta de* barbari trattamenti avuti. Que*messi adunque condotti Darnofilo e Megaìlide in città , li esposero nel teatro , ove la moltitudine de* rivoltosi era concorsa ; e come Dantofilo cou accorto ritrovato andava cercando di salvarsi, e il parlar suo movea già molti * Ermia e Zettsi, pieni d* odio contro di lui, dettogli con­tumeliose parole, non aspettando che il popolo pronunciasse sentenza, use il trapassò con la spada,

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4 8ο CLASSE HUMA*

e JVtro gli tagliò la testa. Poi Euno fu gridato re non già per eccellenza di fortezza, e dì scienza in comandare, ma soltauto per la bravura sua negl'in­cantesimi, e per essere stato autore della ribellione, e per avere un nome di buon augurio a sperarlo benevolo verso i sudditi. Messo egli adunque alla testa de4 rivoltosi , chiamatili a concione fece che gli Eanesi rimasti vivi fossero trucidati, salvi sol­tanto quelli che sapessero fabbricare armi ; e que* sti obbligò al lavoro. Diede poi Mega li de in balla delle serve, oude ad arbitriò furo ne prendessero vendetta: le quali dopo averla iu varie guise tor­mentata la cacciarono giù di un precipizio ; e Antigene e Pitone, suoi padroui , di sua propria mano ammazzò» Quiudi postosi il diadema in testa, e vestitosi di tutti gli ornamenti reali, dichiarò regina sua moglie, la quale era Siria anch’essa e sua concittadina; e scelse a consiglieri quelli che t;ooobbe essere piò prudenti, fra i quali era un ceri’ uomo Acheo di nome e di oazione, eccellente tanto in ben pensare , quanto in operare pronta­mente. In capo a tre giorni Eu&o ebbe mille set­tecento uomini armati come meglio potè, ed altri pure ue raccoLe aventi mannaje e scuri, o from­b o le , o grossi bastoni appuntati., e eoi fuoco in­duriti, o spiedi da cucina ; e con tanta ciurmaglia si pose ad infestare rubando tutta il paese. Di poi* tome una infinita moltitudine d’altri servi gli si unì, ebbe il coraggio di affrontarsi in campo aperto coi comandanti e con gli eserciti romani; e nelle battaglie, poiché prevaleva il numero, spessoottenne vittoria, avendo egli seco più di dieci mila uomini* In frattanto un ceito Cleone, di Cilicia, incomiociò

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storici z Bioosiri psonin, a8tun’altra rivolta di servis per fu che sì eoucepi speranza che, divìsi i rivoltosi in partiti differenti, venissero in .guerra fra furo, e tutti a vicenda ammazzandosi sollevassero la Sicilia da tanto tu­multo. Ma contro ciò cbe speravasi andò fu cosa, perciocché i due partiti si congiunsero insieme; e Cleone al primo comando d9 Eano se gli sotto- mise come a r e , prendendo da lui gli ordioi per operare co* suoi cinque mila uomini che avea seco; e non erano allora piò che trenta giorni dachè fu ribélHone era succeduta. Nè guari andò che venuti a ) fatto d ’armi con L· Jpseo , il quale giunto di Rom a avea raccolti in Sicilia tre mila settecento soldati, ebbero vittoria, essendo allora in numero di venti mila* In breve tempo poi crebbero fino a dugento mila : i quali, quantunque spesse volte venissero coi Romani a battaglia, per fu piò oe usc ivana con gloria, e rarissimamente rimanevano rotti. laonde sparsasi la fama di queste cose , an­che in Roma, ove ceuto cinquanta mila congiu* rarooo insieme « scoppiò la rivolta de9 servi* Nel- t'Attica parimente se ne alzò piò di un migliajo, e così in Deio, e in altri luoghi. Ma quelli ehe sulla faccia de9 luoghi governavano, e pei pronti rinforzi ch*ebbero« e pei crudeli supplìzi che usarooo, presto li tolsero di mezzo , e ridussero a meglio pensare quanti per avventura non mossi fìno allora avessero avuto disegno d’ insorgere. Ma in Siciliai l male cresceva ognora p iò , poiché s9 andavano prendeedo fu città coi furo abitanti ; e molti eser­citi dai ribellati venivano sconfìtti ; fìntanto che A usilio , comandante de9 Romani, ricuperò Tauro­menio, avendo con l9assedio ridotti quelli che vi

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a8a classe prima ,eran dentro a tale carestia che per la cruda fame non ebbero ribresso di divorare le carni de*pro- prj figli, e fino quelle delle mogli, giunti in ultimo alla orribile necessità di divorarsi 1* uo l'altro· In quell’assedio fu preso Amano, fratello di Cleone 9 mentre fuggivasi dalla città ; ed in fine avendo un certo Serapione, si rio, consegnatà a tradimento fu rocca , tatti quelli che in ewa si erano rifuggiti, vennero in potere del comandante romaoo, il quale fattili prima tormentare li condannò ad essere precipitati. Quiodi andato ad Enea i in simil modo l’assediò, e tanto strinse i rivoltati che levò furo ogni speiaoza di scampo. Quindi avendo ucciso Cleone, supremo capitanò, il quale uscito di città con eroico valore avea combattuto, e fattone ve­dere agli assediati il cadavere, trovato acche ivi un traditore, ebbe quella città, che per la natura del sito, e per la qualità delle fortificazioni in di­versa maniera non sarebbesi mai potuta prendere· Euno prese seco seicento guardie siccome egli era uomo poltrone, e fuggi a certi scoscesi luoghi 4 ma quelli eh’ erano con lui, veggendo la mala serte che loro soprastava, poiché erano inseguiti da Rupilio^ si scannarono Γ un l ’altro; e colui , pre­stigiatore e re» dopo avere per paura cercato r i­fugio io certe caverne, fu tratto di là con quattro altri, ed erano il cuoco, il panettiere, quello che nel bagno il fregava, e per quarto quello che mentre mangiava gli faceva il buffooe; e cacciato in carcere morì corroso da* pidocchi io Morgan- tina ; tal fìue avendo avuto degno' della sua teme­rità. Rupilio poscia con isceho drappello di soldati scorrendo tutta fu Sicilià 1 piò presto che si epe*»

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storici s siooKArt pkofìki. a83rasse, fu liberò d a o g oi ladra canaglia. Euno, re dei rivoltosi, erasi dato il nome di Antioco ; e chiamava Sirj tutti quelli che con ejsolui erano insorti.

Dal libro X X X F L

Nel tempo in cui Mario debellò Bocco e Giù· gurta, re d’Africii entrambi, ed innumerevoli mi- gliaja d'Africani uccise; e poscia condusse prigio- «tiero Giugurta, da togli in mano da Bocco onde inope· trare dai Romani perdono della guerra ad essi mossa; e meotre trovava mi i Romani assai spaventati per fu grandi stragi recale dai Cimbri che dilaniavano con atroce guerra la Gallia , giunsero dalla Sicilia alcuni riferendo che molte migliaja di servi eran|i rivoltati. A siffatta nuova tutta la repubblica dei Romani trovossi io grandi angustie, perciocché avendo già perduto nella Gallia , combattendo i Cimbri, sessanta mila uomini elettissimi, non avea modo di levare per nuova spedizione gente idonea» S’aggiungeva di più che anche prima del tumulto suscitatosi in Sicilia per la ribellione de* servi, Γη Italia pnre erano scoppiate parecchie rivolte, quautunque nè di lunga durata esse fossero state, né gran d i, ma però tali che parea per esse volersi dal Nume predire fu grandezza di quella che do­veva succedere in Sicilia. La prima era stata presso Nocera, ove trenta servi si acconciarono insieme | ma presto questi furono gastigati. La seconda fu fu Capua quando ribellaronsi in numero di dugènto; e presto aocb’ essi vennero esterntinati. La terza accadde io modo marav'glioso. Un certo Ttio

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2 8 4 CLASSI PRIMA ,

M inutio, detto anche Ve zio > cavaliere romano, figliuolo di padre ricchissimo, s* fuuamorò di un* altrui serva, bellissima donzella, ed avutala alle sue voglie, sì gli crebbe la passione per fui che ne andava matto. Onde trovato duro il padrone dì fui a concedergliela, finalmente si accordò di pagargli sette talenti attici; e si fissò Pepoca-del pagamento. Faceva per esso lui sicurtà il suo patrimonio.Jtfa ve­nuto il giorno dello sborso, egli no4 si trovò pronto, e chiese uua diiasione di trenta dì. Avvenne però che passato anche questo term ine, «gli noo si trovasse iu istato di pagare; e intanto crescendo sempre piò l'amor suo per fu donna, appiglìossi a Strano misfatto i e fu dì levar di mezzo chi solle* citava il pagamento, e di mettersi in aria di po­tente monarca» A tale effetto comperò ciuquecento armature da pagare a un dato tempo , e fattagli credenza fu trasportò in certa campagna : indi ec­citati ad insorgere i seoi servi in numero di quat­trocento, preso diadema e porpora, ed ogni.altro distintivo di regio potere , e con Pajuto de* servi chiamatosi re, per prima cosa fece tagliar la testa, dopo averli fatti ben bene battere con fu verghe* quelli che domandavano il presto della donzella $ indi eoa que* suoi armati si mise ad ievadere fu vicine ville ; e chi preste pouevasi d ii suo partito armava, dii vi si mostrava avverso metteva a morte* Ed avendo in breve tempo messi io sterne più di settecento uomini, li distribuì in centurie ; e fatto un cttmpo, dava asifu a quanti servi disertavano dai furo padroni· Ond' è che notificata al senato quésta ribelifune con prudente consiglio accorse ad estinguerla; e così felit «aleute avvenne· Fra i ca«

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STORICI I BIOGRAFI FROFAVl, a 8 5

pitani ch’ era no allora io Roma» il carico di dare fu debita pena ai fuggitivi venne commesso a L . Lucullo t il quale nello slesso giorno in cui avea fictta la leva di seicento soldati, scese a Capua , ove levò pure quattromila fanti e quattrocento uomini a cavallo. Minuzia, saputa ch ’eb be la spe­dizione di Lucullo, occupò un certo colle beu mu­nito , avendo in tutto -tre mila e cinquecento uo­m ini) e nel primo fatto d'armi i fuggitivi, perchè combattevano da queir altura, rimasero vincenti. Ma poi avendo Lucttlb sollecitato Apollonio , co­mandante supremo delle forze di M iλiiz/o, congre­gali, e con la giurata promessa d'impunità, a tra­dire i compagni , costui fattosi ligio a* Romani * arrestò M im m o, il quale" per timore d'essere mandato al supplizio si ammassò da sé stesso ; e subitamente con esso lui morirono i compagni della ribellione « eccettuato il traditore Apollonio. Fu questa Como il preludio di quella che avvenne ia S ic il ia , la quale ecco come principiò.

Nella spedizione di Mario contro i Cimbri il senato diede facoltà a quel capitano di chiamare gli afuti dalle nazioni d'oltremare i ed egli mandò a tal fine legati a Nicomede* re di Bttiaia, il quale rispose che la più parte de* Bitinj era stata dai pubblicani trasportala schiava, e trovarsi sparsi qua e là nelle province Per fu che il senato de­cretò che nessun uomo ingenuo di nazione alleata del popolo romano dovesse iu provincia essere ri** dodo a conditione servile, e che fosse cura dei pretori e dei proconsoli che que* tali venissero liberati. In forza dì che Licinio Nervo , allora pretore in Sicilia, io ubbidienza a quel decreto ,

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a8 6 classs prima,portato il caso ai tribunali, fece liberare moltis­sime persone ? cosicché in pochissimi giorni se n ’ebbero piò di ottocento dichiarate libere. Da ciò venne che quanti erano nell’isola io coudizione di servi, si mettessero in isperanza di ottenere la liberti. La quale cosa veduta da uomini di spe­ciale credito, essi presentaronsi al pretore, consi­gliandolo a desistere dall’ impresa ; ed o foss’ egli allettato da danaro, o volesse procacciarsi favore , sospese Pesame ulteriore de’ tribunali, e chiunque di poi presentavasi per ricuperare la libertà, ob­bligava eoo rimproveri a ritornarsi al padrone. I servi adunque , congiurati tra loro , dopo essersi da Siracusa rifuggiti al bosco de’ Palici, si. misero a ragionare insieme sili modo di ribellarsi 4 ed essendosi dilatata sì ardita idea per molti luoghi, i primi a porsi in libertà furono trenta servi di due ricchissimi fratelli del paese degli Aocilj, fat­tosi capo un certo Oario. La prima cosa che co­storo fecero, fu quella di trucidare di notte i loro padroni mentre questi dormivano Poi , andati nelle vicine ville, predicarono agli abitanti schiavi fu libertà , e in quella stessa notte se ne unirono loro piò di centoventi. Occuparono poi un luogo di sua Datura forte* e piò forte ancora industrio­samente da essi ridotto, a ciò ajutati da altri ot­tanta » cbe si erano aggiunti, ben armati. Licinio Nerva, pretore della provincia, fu sollecito ad ac* correre e ad assaltarli , ma nel combatterli ogni sforzo riuscì vano. Per fu che, veduto il sito ine- Spugnabile, ricorse al tradimento; nel cbe potè servirsi di certo Gajo Titimio , chiamato per so­prannome il Oadco » a t ui promise 1* impunità ,

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STORICI a BIOGRAFI PROF AH 1. 087

trovandosi costui condannato da due anni capital­mente * ma sfuggito alla pena , e postosi a ladro* neggiare nel paese con uccidere ed ogni occasione uomini liberi, e sempre avendo avuto riguardo di non molestare alcun servo, o di essergli grave. Costui adunque, con uo drappello di servi a lui fidi* re- cossi al castello ov’era il Gadeo , come se inten­desse di fare , insieme con que* rifuggili, guerra a’ Romani*, e ne fu accolto eoo lieto aoimo e ben trattato, e di piò fu fatto comandante, perciocché slimavasi valoroso. Ma costui consegoò il castello ai Romani. Una parte de’ ribelli morì nel com­battere 9 una parte si precipitò dalla rupe , prefe­rendo un tal fine a quello che, venendo presi , potevano aspettarsi. £ cosi rimase , estinta quella prima ribellione di servi.

Ma ritornati alle loro stazioni i soldati che il pretore avea condotti a quell'impresa, alcuoi an­darono a riferire cbe circa oliatila servi, suscitalo tumulto, aveano scannato P. Clonio, uomo debor­dine equestre, e che ornai erano in grosso nu­mero. E intanto quel pretore, sedotto dai consigli ^egli altri, avendo anche con piena formalità dato coogedo alla massima parte della soldatesca, pro­crastinando , venne a dar tempo ai ribelli di me­glio fortificarsi, lutine, tolti i soldati che avea presenti, s’ incaminiuò verso furo; ma-accadde che, passato il fìume Alba , se li lasciò alle spalle, poiché, essi erausi stanziati sul moote Capriano, e giunse ad £raclea. Il che fu cagione che quei disertori spargessero voce che il pretore oon avea avuto coraggio di assalirli, con ciò animando essi altri servi ad unirsi a loro., Ed in fulli fu così; e

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aS8 cu m pBm i,

ne* primi sette giorni più di ottoceoto furono colà ben armati, disposti tutti io ogni maniera a ve­nire a battaglia spiegata. Delle quali cose avver­tito Licinio , e fatto certo che que* disertori ogni giorno piò crescevano, mandò contro loro M * Ti- tim o, datogli il grado di capitano , ed aggiuntigli seicenfo uomini del presidio di Enna. Tilinio , venuto a battaglia , perché i disertori e per la moltitudiue delta gente, e per la difficoltà de* luo­ghi aveano gran vantaggio , si diede alla fuga in· sieme co* suoi, de’ quali molti rimasero morti , e gli a ltri, per andar salvi fuggendo , gettarono le armi. Le qaali in gran copia cosi inaspettatamente acquistate, maggior coraggio infusero oe* 11belli, ed anche con >ìù aulino sollevossi nella massima parte de* servi l’ ardore di unirsi ad essi. £ come ogui giorno un gran numero disertava , in breve crebbero tanto, che nessuno l* avrebbe creduto giammai a modo che in pòchi giorni trovarousi essere piò di seimila. Nel qual tempo consigliatisi insieme sul come comportarsi , prima di tutto si crearono un re * che fu ua certo Salmo , tenuto per valente nell’ arte degli aruspici , e si bravo suonatore di tibia negli spettacoli e nelle pompe delle donne , che le faceva andar matte. Otteuuto costui il regno declinò dalle città, come fomenta* trici d* inerzia e di delizie ; e diviso in ire squa­dre Pese rei to suo, ed altrettanti capitani messi ad ogni squadia, ordinò che scorressero il p a e se , e di poi tutti si traessero insieme nello stesso tempo ad un determinato luogo. Da quel saccheggiamento acquistata avendo grande quantità, come d*altri animali, così ancora di cavalli, in poco tempo

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s to ic i t βιοοιαπ n o n s i, 389fttisero insieme piò di duemila cavalieri, e non meno di veutiinila uomini a piedi, gente tutta cbe avea pratica delle cose di guerra. OkkTò che, forti di quella maniera, improvvisamente portaronsi con grande impeto addosso a Morgantina, città ben munita, e con ripetuti assalti la travagliarono. Ore il pretore , volendo accorrere io ajuto di quella città , marciando dì notte verso essa con circa diecimila uomini raccolti dalfu Sicilia e dall'Italia, giunse addosso ai ribelli, occupati nell*espugna­zione della cittì; e violentemente entrato nel furo campo , da pochi custodito, e pieno di «· gran mi mero di donne schiave e di bottino d* ogni specie , con facilità se ne fece padrone , e dopo averlo spogliato, andò verso Morgantina* Ma i d i­sertori, di repente voltisi indietro, e perché erano in luogo alto, e perchè assalirono il nemico con molto impeto, ebbero tostò propizia la sorte detté armi, e fu truppe de'Romaai si diedero alla fuga. Allora il re ordinò che.non si ammazsasse bes suno di quelli che gettavano giù fu armi ; onde fu maggior parte , abbandonando fu armi « provvide alla propria salvezza. £ eoa tele stratagemma « Salvio, vinti i nemici, ricoperò il suo campo, odi ottenuta una vittoria nobilissima, ebbe assai groééo bottino. Degl’Italici e de* Siculi non morir000 nel combattimento che circa seiceoto persone ; cesa che fu dovuta alla dementa dell9 ordine dato dm Salvi0 , e si fecero quattromila prigiooi. Dopo- tal fatto così fdice, Salvio, concorrendo a fui sempre piò geate , ebbe l'esercito duplicato, e potè met­tersi liberamente in aperta campagna. PefCfò ri­pigliò l’assedio di Morgantina, e mandò baodQ che

Fozio, FpL X. 19

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ago <*LAS$E 9avrebbe data.fu {jb^rU agli schiavi che ia essa trovavaasi* Ma qome, * furo padroni. aveano offurtQlo steaso patio, se fedelnieiue si fossero uniti ì qiq iu sostenere Γ assedio, quelli, coutaudo miglior partito questo , con tpnio coraggio combatterono , cbe fu d* uopo, a *W*va abbaodonare Γ impresa, Siccome poi il pretore- dichiarò poscia che consi­derava nulla la promessa, fatta, ciò fu. cagione che i più andassero ad wwrsi ai ribelli.

Allora il contagio-delia diserzione si estese *ei 'territor) degli Bpettftfti e d e '^ ilibei, e vipini, ove la turba de* servi, ^ uue a sqllevarti anch* essa setto la «ondoM& di ^ temone , uomo di gran for­tezza, e ςΐϋενο di.nazfuup. Costui, essendo fattor generale di due fiochissimi fratelli, e molta peri- aia. avendo deJt'smralogi^ , primjerameute trasse a èò quelli ai qp4i· sflprastava, e furopo circa du­c a t o , poi suchet i v ic iu ic o s ic c h é in cinque giurai ebbe intorno a $ò piò di mille persone. Italie quali essetida stato proclamato re , postosiio capo .il diadema, pensò di tenere una condotta differente da. qwdja degli altii. Costui non accettò latti iodiffureutemenie i disertori , t rascese i seli valorosissimi « $,gli ^hri obbligò a starsi u i primieri fura oìfoj» a diUgeqleroenje , piasci^up alt suo poeto , escreue/'f g}’ pieghi die aveauo f: min che vaniva a p£Q$a<#jaF?i furg^ couia di vet­tovaglia. Fingeva) py>i, iche, gii) |Je prima gli I}ei,f per mefe/.0: degli astri, .gli avessero anuuuz^ato di dovete acqui&a*£ <1 *«ig4P φ ΨΜ& fu Sf^iifu, Laonde v o le y a e b e s i avesse rUpetfu, al p?e$$ jt agli animati, « a l le pi'qd^ìyui di es^uv cproe cosa propn*. F iu U o ^ ^ e , tv^sti fusione 4*W P . più

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STORICI z. BIOGRAFI f f t OFANI.

mila uomfui Ψ ebbe l'ardimento di assediare. Liti· beo , etili) inespugnabile \ se noo che , riuAQtndo vani i Sfuoi sforzi , abbaudonò quell’ impresa, di* ceudg così comandargli gli Dei, e che se si fosse perseverato io quel tentativo sarebbe potuta a<jr cadere, una certa grqude calamità. £ diedesii il ftafcO ehe , mentre accmgevasi a levare il campo> entrarono nel. porto. 4I1. Liliheo alcune navi cbe perieveoo « ia seccprso degli assediati, parecchie scelte oooni di M bufì, sotto la condotta di certe Gomone , il quale, avendo "di notte assaliate a!» l'improvviso le truppe di Alenione> stanti Lust'otn oegli steccati dell*assedio, molti uomini ammazzò e molti fe ti, indi si ritirò iu città. Il qual fallo i disertori mise in. altissima maraviglili *non do* b iia u d e c he. il loro re uoa avesse veramente fu preicieùza delle ey\e, secondo .che le rilevava dalla contemplatione degli asiri*■ L# Sicilia era cadtitfe d W a io un’ estrema.con* fUsione, e io una <ve iliade di disgrazie» Chè non. gli schiavi .soli , ma gran numero d'uomini U bèri, afflitti da|la miseria , traevansi a commet­tere ogn.ii gemere di rapine e di delitti., equafum* <qt>£ fuucpnU'assei.o libero o schiavo ,. ond& non aver, leetiniopioideile sc«Jle*atea»e furo, sense ri- tegtto trucidavano. Reroiò quanti abitavano tfelfu citili appena potevano-fui conto delle cose situate entro* le mu*a>, è queifut eh' erano fuori d’ eese guafdavauo come, fatte sbottino di violenza* nè più tutelale daUe leggi. Così molti altri misfatti da molti commettevansi audacemente contro ogni equità ed umanità. Intanto quel· S<ilv:o conquistai ter· dì Morgautiua* aveudo» pieno, delle incursioni

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* 9 * C U S S I PRIMI,sue lutto il paese fino al territorio Leontino, ivi radunò un esercito di sceltissima genie, che sona** ma va non meno di treutami*a uomini* e, fallo sa* grifìzio agli eioi Italici, per dimostrarsi loro grato della conceduta vittoria, ai medesimi consacrò una stola di porpora; e dai ribelli, poiché si era di­chiaralo re, veniva chiamalo col nome di Trifone* Fatto poi peosievo di occupare Triocala e di porre ivi la sua resid^òza, mandò ad Atenione, e come re lui capitano generale eh fumò* onde tutti allora sospettarono che Atenione volesse sostenersi nella dignità principale, cosicché, uala tra gli noi e gli altri ribelli fierissima discordia , facilmente poi avesse a vedersi estinta la guerra. Ma la fortuna, quasi a bella posta* volesse accrescere fu truppe de* fuggitivi, fece che i loro principi si accordas­sero insieme. E infatti videsi Trifone rapidamente giungere coll* esercito a Triocala, dove si recò pure Atenione con tremila de4suoi, ponendosi sotto gli ordiui di cofui* come an Capitano sotto quelli del monarca , mentre * le altre sue schiere avea mandate a scorrere le campagne, saccheggiandole, e a suscitare da per lutto i servi alla ribellione. Per altro Trifone, sospettando la possibilità cbe Atenione gli voltasse fu armi contro, non tardò molto a farlo imprigionare. Il castello poi di Trio* cala, altronde già forte, fortificò di p iò, e vi fece magnifiche fàbbriche, chiamato di quel nome, se­condo che è voce, per contenere io sé tre Καλά,o sieno bellezze. La prima è l'abbondanza di fon­tane d’acque di una dolcezza squisita^ la seconda di aver campagne intorno coperte di vigne e di oli­veti, e sommamente atte a dare, mediante la col-

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STOZICI t BIOGRAFI ΙΚΟΠΝΙ. &g3tura , ogni maltiera di frutti ; la terza di essere lungo fortissimo quanto mai possa d irs i, poiché siassi sopra una gran rupe dalla natura fatta ine* spngnabile. Intorno a questa adunque Trifone edificò fu etili.t di un circuito di otti* stad| , e la cinse di una profundissima fossa; ed ivi piaotò fu sua residenza, essendo il luogo pieno di tuttf i comodi della vita. V*inoafzò pure un palazzo reale e vi coslrusse un fóro capace di gran moltitudine di gente. Poi un numero sufficiente di persone più distinte per prudenza trascelse, e fu costituì suoi consiglieri , dell*opera loro servendosi nell*ammi­nistrar la giustizia) e quando egli era io quest'of­ficio vestiva fu toga pretesta e la tunica del lato» clava· Così fucevasi precedete dai littori armati di verghe e scuri, e tutte fu cose che costituiscono e reudono splendida la maestà reale , diligente* mente volle osservate.. Il senato romano finalmente scelse L. Licinio Lucullo per comandante supremo coutro i diser* tori , dandogli uo esercito di quattordicimila uo* mini tra Romani ed Italici » a cui si aggiunsero di Bitiu) t di Tessali e di Acarnani ottocento , a seicento di Lucani, ai ^quali comandava Cleptio , uomo distintissimo per scienza militare e per va­

lore, ed altri seicento infine nuovamente coscritti^ cosicché in tutti erano diciassettemila. Con questo esercito aduuque Lucullo occupò la Sicilia*

Trifone* essendosi già Atenione discolpalo, ado­perava quest* uomo a consigliere sopra la guerra che doveasi fare co* Romani. Suo iutendimento era di starsi ferme in Triocala , e di 11 ribattere il oemico. Per fu contrario, pensava Menione non

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2 p 4 c l a s s e p i u m * ,

doverli essi lasciar chiudere ivi. per assedio, ma piuttosto combattere iti aperta campagna. £ que­sta seiMenza, come migliore, fu adottate* onde si andò a porre gli accampamene presso Seintea, con non meno cU quarantamila uomini. Gli accampa* menti de* Romani non erano discosti ebe di dodici stadj. Da prima adunque gH scorridori d'ambi <gli eserciti si abbaruffavano io si*· me continnamente , poi si venne « formale battagl », «ella qua eicco arie fu cose aud»*auo bilanciandoci e morivano mo lti dalP una parte e dall* altra , Jtenione , eoo ana schiera di dugento uomini a cavallo de'più scelti, intorno a sè fece de' nemici grati mnceJlo y ma essendo rimasto ferito io eotrambe le ginoecltia, noa potè combattere oltre,“ per fu che i subì, ab­battuti d 'an im o, si diedero alla fuga. Egli poi si mise tra' mot li, come se fosse verameaie e.,noto r e quando fu venuta la notte. » al.vessi fuggendo. Ebbero duoque i Romani un' illu^re vittoria , avendo obbligato alla fuga a *cbe Trifone, insieme colTesenctio suo* ed uccisi molti de'fuggiaschi* si trovò non meno di ventimila essere rimasti sul campo- GU altri col favor delle tenebre si ripa* ramno a. Triocala , quantunque se il comandante romaoo avesse voluto inseguirli, avrebbe potato ester mina rii affatto.

In lui frangente scoraggiati, fu tra loro propo* sto di ritornare ai loro padroni*, e di porsi alla discrezione loro; però prevalse Popioiene di quelli i quali stimavano doversi combattere sino all' ul­timo fiato , nè abbandonare la propria salute al- l'aibrtrio de' nemici. 11 comaodaote romano giunse ϋ cono giorue sotto Tnocala per assediare f u

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STOκ:CI E Btocntrt **0Ρ4ΪΠ. q§5piazza^ dVbnde , dtfpo moiii furti d’ armi , in ietti ore gli ut»ί, ora glt ah^i perdettero* geo ifc, egli fu.» fine patti scornato. Con eiò il coraggio crebb^ner ribelli, non avendo Lucttlio (affò contro loro nulla· di ciò che por far doveva, fosse desidia »»ia> fesse effetto di doni avuti- Per la qua! cosa poi gli fu imposta la multa pèr risarcimento \ e O. Servììio+ suo sticce*ss*»re neli*impresa , nulla pnr fece nem·* meno egli che fosse degno di memoria; onde, come Lucullo processato, fu mandato in esilio. Morto in quel tempo Trifone, gli era nel rpgno succedalo Ale· afone, i* quale ora espugnando eftta.. ora saccheg- £fando il paese , senza paura dì SvrvUio che non resisteva, mise insieme ricchissimo bòttieo

-Ftnitò l’anno , fu per la quinta volta creato con* sóle G. 'diario insignite con dquitto ; éd essendo stato questi Spedito contro i ribelli, col vafursno, dopo una grande battaglia, li vinse*; e venate * mirùra-rsi petto a petto con fu stesse .re dei diser* tori Aténione, combattè da eroe e lo uccise , ri­portandone' egli n'wa ferita nella testa cbe gli la­sciò il segno; Poscia si pose ad inseguire K« avanzi de* servi, ridotti a diecimila, i quali, ben­ché andassero a ripararsi in luoghi furti , iafìné per la costanza sua , chè nella intralasciò onde conquiderli, caddero nelle stfu tnaon ΒΓ era r i­masto un migliajo ancora, condotto db Smùro$ ed jfq mi io da prima pensava di soggiogarli con fu armi s siccome però si erano' arrenduti per merzo di legati-, sai moménto rimise loro la petau Se ebn cbe poi, condotti é Roma , li destinò a coia* battere con le fiere. 1 quali» seconde che viene r i­cordato , vollero finire la vita in iofeslissiesa ma»

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ftg6 CUISI FUMA,niera ; imperciocché non si mossero essi puma eoetro fu fiere, ina dispostisi presso gli altari, a reciprochi colpi d'arma sì ammazzarono tra furo* e come Satiro ammazzò l'ultimo d*essi cbe rima­neva vivo, con eroico animo voltò il ferro contro aè stesjio, e dopo tutti gli altri coti vafurosaraeote morì. Tale tragico fine ebbe la guerra servifu, ehe in Sicilia era durata quasi quattro anni·

.. Capitò a Roma vn certo chiamato Bat$ace9 sacerdote della graa Madre degli Dei, da Pessinunte» c il li della Frigia. Costui dichiarando d’esserv» ve­nuto per ordine della Dea, presentossi ai magi­strati ed al senato, dicendo: Il tempio delfu.Dea é contaminato ; ed é necessario che a nome di Roma se ne faccia pubblica espiazione. Portava egli indosso abiti ed oroamenti mutilati a Hallo, e dalla moda de* Romani alieni, imperciocché avea in testò uoa corona d’ oro di straordinaria gran­dezza , e una stola sparsa come di fiori ΐ stessuti di fili d* oro, fu quafu ricordava la dignità reale· Ed esseodosi messo a ragionare al popolo dai rostri,0 gli animi del volgo ripieni avendo di sensi re­ligiosi, fu onorato di ospizio pubblico , e trattato fuutameote. Ma A. Pompeo » uoo de9 tribuni della pfube, voleva die dimettesse quella corooa ; e da uo altro tribuno condotto sui rostri, mentre ve­niva domandato di render copto della espiazione che predicava , non rispondeva che cose pieue di superstizione. Accadde adunque cbe dalla fazione di Pompeo ne fu cacciato non senza vilipendio *

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n o v a t Mom n »o rtvi« 397laonde trattesi al suo ospizio non si faceva veder più. Andava però diceodo, che noa egli solo* ma la Dea stessa iufameinenle era stata con que* fu* dibrj ed iniqui modi vilipfs»· In quél frattempo , ecco che atti improvviso Pompeo vien colto da lebbre ardente* ed oppresso da angina perde la. voce^• il terzo giorno muore- Fu opioioue del volgo ch'egli veuisse pii vaio di vita per certa provvidenza divina, atteso che avea tauio offeso e quel sacer­dote e quella Dea- Nè è di ciò meraviglia, perchè i Romani sono dediti alle superstizioni quanto mai possa dirsi. Laonde di poi a Sottace fu conceduta di portare Γ abito reale e gli ornamenti sacri cbe am biva, e fu onorato con doui splendidissimi t s quando gli parve di partire da Roma , fu accom­pagnato fuori da moltitudine d*uomiui e di donne.

Usano i soldati romani , se io una battaglia data ai nemici credano che di quelli sieuo rimasti, morti piò di mille cinquecento uomini, gridare il comandante del loro esercito imperadore titolo che equivale a quello di o r e , usato daiGreci ~

Dai libri X X X V ll% ΧΧΧΡΊ//, c seguenti*

Dice Diodoro che la guerra chiamata Marsica al suo tempo fu la maggiore di tutte le antece*- denti , e dagli autori della ribellione essere stata denominata così. Tutti gl'Itaffui si unirono a far questa guerra ai Romaui*

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CLA'Wfc *TtTMA ,La prima cagione delia medesima d !cesf essere

siala qoesia I Rimani,* flrbfu*ndortftfo fi modesto , frugale e temperato moda di vivere , ri qonle a tanta grandezza li aVea InrraUaffi, si etano dati per­dutamele ad ogni eccesso In^so e di protervia. E questa corruttela avea ftrffo che iiascewero gare e discordie tra la plebe e il senato E come poi qnes?ó sollecitava gl* ftalici a prestargli ajoto, pro­mise loro fu ricompensa che l· avrebbe d-chfurati partecipi delta citi ad ina «za : cosa dà essi vagheg­giata da tempo . e fino aHnra in vano desiderata. E per vie più animarti . svea il semito Aggiunto che fia*e concessione avrebbe fatra confermare per fugge. Ma no» fu poi questa promesse furo man­tenuta ; e per ciò da essr scoppiò P incendio delta guerra co* Romani E;*ano consoli di Roma L. M a r· ciò Filippo e G. Giulio $ e correva l’ olimpiade settantesima seconda dopo la centesima ; e varie stragi d’ogni miniera, e prese di città da una parte e dall’ altra de’ belfigfcfàrtti seguirono in quella guerra, inclinando ora da un cauto, ora dall'altro come a beffa posta la vitroria, né mostrandoti mai costante per un partite. Tardi però, dopo Pester- minio di una moltitudine infiliti^, i Romani con grande difficoltà rimasti vittoriosi si videro assi­curato l’ impero E^ano contro furo in armi i San­niti, gli Ascolani, i I;trctfni. i Picentini, i Nolani, e fu altre cittì) e genti, tra le quali era Corfinio, città comune a tu tti, e di tanta eccellenza che dianzi gl*Italici Taveano fatta il foro belvedere, chia­mandola Colofone . poiché oltre le altre dose che Costituiscono grande una città, e ne assicurano fu potenza, v’aveano costruito un foro amplissimo, e

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non (Mirra; éH uft immenso* depotiio d ’ogni vosa afrprfrietie%ie aliti goerra,> e £ranr Tesero di danaro* ^ vetiòV a^la . V* avea*» a«co*a stnbfulìto no senato 'di dNnqoecemo «oggetti / d« cui s i traeono q Nelli <*he fr ise rò degfti de'-Somnii magi*’ s tra ti della p a t r ia , e* d*>v*»s*e*'of>eo:>«rgimre tnlfu com nne saW e?^ t^rciA e^a»* quelli- *t <fitali «uva.

raccomantiafa ■ la delfu gwe*r*s e « ‘ fiiersentori eea affiliata fu s^mm potffuafe sopri* hstti. Ora <fu quésti fu «smetta la legi»e ché ogni a*mo si ci eassero dae consoli, e dodici coma udititi» deii'eee^eito. E raw iH c t ' coeso li Q.i*om pétf0 Sì Ione di eazfune màrso^ uomo principale tra i iuoi»j e 1 ahro età gannite, di»«ume Ο.Αροηίχ> M otuo, primo anch’egli nel suo paese per gloria» ed imprese. Avendo cj ae Ή * divisa Volta l* liaUa iu due partii ae<:fie»**ono ci*tsch<;du'ta‘ ad un console* A Pompedio* titedero il paese diti coti cfutiirCer- coli ( i) fìno^al mane Adriatico, *e i .tratti volgenti e all’occaso e al settentnoue, gli .destinarono sei* capitani. li rimanente d’ Italia vfer*o. mezzodì e* levante diedero'a Me tufo , assegnati pure e* fui. altrettanti capitani* In questo modo saviamebte* dispose fu cose, e, per dir tutta, ordinato ìt fura imperio còme qodU de’ Romani, cén micuso im­pegno attesero indi aHa guerra ; e fu città di Cor* finio dichiararono comune a tutti gli Italici* In quanto poi alla guerra, essi la fusero con tafupotso ed ingegno che per la massima' parte furono su*

s t o i c i t ψ*οτκη\

(0 Nessuno fìn’ora ha potato inddviharè Ove fussrro,o quili quieti che qui diconti ÌVrcofr, forse pfr errdre di copta.

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5oo « .u sa m w ì ,periori ai nemici , fin lauto che G/ieo Pompeo , (atto console, e supreme capitano di essa, e Siila, fugato di Catone eh* era Γ altro console, sconfìtti parecchie volte gl* Italici» li strinsero a modo che tolsero loro tutte fu forze. Però fu guerra pur durava ancora: se non che mandato C. Cùtcinio, comandante generale nella Japigia, quei chè fu so­stenevano furono parecchie volte, sconfìtti* Per fu ohe da tanti danni oppressi, e ridottisi a p o ch i, abbandonarono fu loro città comune, Corfinio, poi­ché i Marsi e le genti vicine eraosi già acconciale coi Romanice di consenso comune trasferitisi a sog­giornare in Esernia, città de* Sanuiti , si crearono cioqu* pretori, ad uno de*quali priocipalmento, che fu Popedio Siiope, per la virtù e gloria acquistatasi nel condurre la guerra, affidarono il «ornando supremo. Questi adunque d’ accordo coi pretóri mise insieme un grande esercita che, com­presi i veterani, fu di trenta mila nomini; oltre qeesti, chiamò a libertà gli schiavi, e come Top· portonità chiedeva li armò , e ne compose un corpo non mioore di venti mila. Ebbe poi anche mille uomini a cavallot e cou tali forze venuto a battaglia coi Romani comandati da Mamerco, po chi ammassò di questi, e de’suoi perdette più di miifu seicento·4

Nello stesso tempo anche Metello nella Puglia espugnò Venosa, città di chiaro nome, nella quale era grosso presidio, e fece piò di tre mila piigio-. nieri. E già fu cose de*Romaui ivano sempre più guadagnando contro i nemici, quando gl* Italici, spediti legati a Mitridate, re di Ponto, allora sa­lilo iu gran nome pel grosso esercito che avea, e

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ITOSI ci x BlOOZAPf rSOFAJft. Sotper Tampissima provvigione d’ogni cola opportune alfu guerra, fu fuvitareoo ad invadere l'Italia per opprimere i Romani; poiché di tale maniera ap­punto avrebb’egli potuto rovesciare la loro fortuna. Mitridate rispose che cosi avrebbe fatto subito che gli fosse riuscito di sottomettere l’ Asia, ch’era ciò a cui egli in quel tempo era inteso. Ond*è cbe gl1 Italici caduti di speranza e di forze, trovaronsi in grande afflizione. Rimanevano peranche pochi Stoniti t Sabelli ritiratisi in Nola; ed oltre questi Lampo- nio » e Ciepzio che comandavano agli avanzi dei Lucani* Laonde sopita quasi affatto fu guerra marsica, le sedizioni intestine di Roms, nate prima, di nuovo scoppiarono, poiché molti fra i nobili ambivano a gara il comando contro Mitridate·, allettati a ciò dai grandi guadagni che ne spera­vano. Imperciocché C. Giulio, e C. Mario, ch’era stato sei volte consolerei contendevano a vicenda, e la plebe e r i divisa fra le due parti.

Ma fermentavano intanto semi d* altre discor­die. Siiiat console, partitosi di Roma, pertossi alle truppe congregate presso Nola, e messo grande spavento in molti de’ vicini popoli, li obbligò ad arrendere sé stessi e le città. Egli avendo piasse il carico della spedizione in Asia contro Mi* fridate i e Roma essendo piena di tuontitl 0 di stragi, M. A pomo e Tiberio Ciepzio, unitetofelftté a Pompedio, pretori del rimanenti Italici che alt fura ' stavano nel paese dé* B ro tj, misero l’Sssediò ad Asia ( t) , città forte: ma essi 1ri stettero sotto

(O L<*ggi forse THsia eoi Vàssetiingto, poiché Asta città non fu usi, che si sappia, in Italia.

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Soa CbASSZ PZ1MA ,fungo tempo, nò poterono pigliarla. Laiotarot.vi però una parie deU’esercita, e colf’ altrq andarlo ad assaltar Reggio* sperando che se pqt ersero iia/- po**es»ar$ene, trasportate facilmente fu loro Iruppedi là fu Sicilia, avrebbero ridotta fu loro, domimo quell* isola, fra quante sooo sodo il sole beatissima. Ma il preloie di Reggio , G. Urbano , fuupsi co- raggi osa me ole innanzi con grauefu esercito , e ccm ogni treno di guerra , ia Uata ^prqasione, pese gl'ita lici,, che venne a liberate dal pericolo la su» ςΐα». PqÌ scoppiò ia discordia ira Siila e Mstrya. A ltri φΙΓμρο, al|ri all’aUro aderivano;,! più nella guerra perdeitero Ja vita; e quelli qhe rimasero 1( sr ag. giupspro a Siila ; e casi la guerra in arca , fu filale fu reamente grartdistiw# , ipstp insieme cmu la interne sedizione futilmente «sibila affuit?·

· « * . * * · · · *

Fu veramente ci vii sedi»ione fierissima sul finire ornai dulia guerra marsfua, capi delia quale erano 1 /fu. e G> Mario, H'Xor giovaue , e figljuplo di fa Maxio staio sette voke console. In quella se­dizione perirono molte migfhija d*uona\uti ; e fìnal- oreute la vittoria fu di SiLot il quale fattosi ditta­t ila s'intitolò Fdicei nè taota arroganza il trudi, petciocche d#pa a>er vinte taute juesre mori pla- cidaxneiitc j laddove Marku quantunque con gene­roso animo combattuta avesse da par suo oootrp Siila, snnufìuofu fine dovette ripararsi in Preneste eoo dieci mila e seicento uoiniui , ove chiuso per fuiigo <euipo sostenne in veto l'assedio, ma ia u l­ulilo, abbandonato da tuUi, uè vergendo piò strada

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STO 111 ci z BIOGRAFI FZOFAKI. 3θ3afuuna di salvassi, onde togliersi a taoti, mali che i) pressavano, si, vide co ie tto ad fuiplotare ]a mano soccort e.vole di uno d e 'più fedeli suoi servi che il togliere di vita. A grande stento quegli acconsentì al tristo officio , e di uu colpo solo di spada da tanti affanni liberò il suo padrone: iudi sé stesso uccise. Allora fìuì quella guerra civile. Gli avanzit.poi della fusione di Mario coml· Uterooo anoma per- quale Uet teyipo coti $diat sjpchè ter­minai ono distrutti come gli altri*

Ma tolti di mezzo questi, tra Pompeo* ( a cui la grandezza delle imprese fatte pei Romani, parte sotto la condotta di Siila* parte per disposizio’.e prò pii a , fece acquistare il nome di Graude ) e G. Ce# are, tanta discordia nacque cfie i Romani iraw ot& i di nuovo costretti a stringere le anni contro sò stessi v e «ad '«volgersi in crudeli stragi e carni Beine, £ poiché Ρονψζο , toccata, iusigut; rotta, perdette quante forze avea , e mori truci­dato presso Alessandria, il potete amplissimo dej consoli < -gii ridotto, ip ultimo a stretti ter^niui , tutte pfwfr nella* clprpfiiazi >ue del spio C&afe ^e cosi ebbe, allora f}ue la sedition^. Ma trucidato essp» nuove civile guerra >i mosse contro β/'uio e Cmstio ugcistKi di Cesare, guerra ohe fecero con­giunti insieme i tre consoli Lepido , Antonio ed Ottaviano. E poiché vinti Cassio e Bruto , e tolti di vita, per la forza eoa eui si combattè , quella guerra fu finita, un* altra uon molto dopo ue so­pravvenne,, scoppiando aperta per la gftta di pri­meggiare, eli e Augusto e Antonio aveano in furo secreto couceputa. Finaìmeoiè l* itnpei io restò ad Auguste f dopo *&£i&i scarso fissai sangue daìi’ uoa

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3o4 classe rzittA .

parte e dall’altra ; e il supremo potete conservò egli per tuita la sua vita, avendo già il magistrato consolare perduto il suo grado1, e il principato suo (i).

NB. Ciò che segue non è testo di Bìodoro. Dice che la dignità àe%\'tltustri sostiene il terzo

ordine dopo i Patrizj.

Prima della mooarcbia di Augusto i Romani chiamavano i loro magistrati coi seguenti noraii Patrizj diceva osi quelli che costituivano il Conti* $io e il Senato t Tribuni della plebe quelli cbe presiedevano al popolo; Censori e Consoli, quelli che aveano podestà supcriore a tutti. (Il Dittatore IVvea anche maggiore, non essendo obbligato e render conto a nessuno di ciò che avesse fatta ) Poi v* erano i Capitani, i T ribu n i, gl* Imperatori militari, i Proconsoli ed altri simili. I distintivi del Proconsole sono le dodici scuri, la toga prete* sta. Anche il Dittatore avea le scuri » e le altre insegne (a).

(0 Avmlasi che qui Fozio ha messo del suo, poiché Diodoro non condusse le sue storie se Boa fino alla olimpiade 180.

(a) Tutto questo, come ogoun Tede, è fu riatto.

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s t o r i ci e B iooftzr i y b o f a n i · 3o5

DIONE CASSIO

Ϊ.ΙΒΛΙ LXXX Bl STOBIE.

Questo scrittore incomincia gli ottanta libri delle C. soe storie dall'arrivo di Enea in Italia, e dalla fondazione d’Alha e di Roma prosegue sino al- 1* uccisione di Antonino , sopraunominato Bliogv- kaio, che pe* suoi vizj fu detto ancora Tiberino e *Sardanapalo e Pseudantonino ed Assirio, e parla ancora del regno di Alessandro , il q^ale, ucciso Antonino con cui avea regnato , fattone collega , scampò dalla morte preparatagli col mettersi siti trono solo. Lo scrittore riferisce come Alessandro, essendo egli stato fatto console per la seconda volta, seco fui esercitò questo magistrato, e come F imperadore medesimo fece le spese che avrebbe il suo collega dovuto sostenere, volendolo con ciò singolarmente onorare. Dione fu fatto governatore di Pergamo e di Smirne datrimperadoreil/acrfuo) po­scia fu comandante d’armi nell*Africa, e in appresso governò la Psnooisia. Fu allora che venne crea lo con­sole per la seconda volta, siccome si è detto: indi si ritrasse a casa ammalato di podagra per menarvi il resto di sua vita , conforme stando io Bitinia predetto gli avea, al dir suo, quel Genio i

Noo macchiato di stragi, non di sangue Tinto ; ed immune da tumulto . . . .

Dione ebbe per patria Nicea , cittji di Bitinta» che da uua parte è bagnata da una palude detta Λscania. Il suo dire è grandioso e gonfio, riferendo

Fozio Voi. L 20

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3 ο6 c l a s s e M IM A ,

i sensi di grandi fetti. Pieno è poi il suo stile di costruzioni antiche, e di parole corrispondenti alla grandezza delle cose. I suoi periodi sono tramez­zati da pareutesi, ed usa iperboli opportunamente; e sì industriosamente il numero e 1* intermissione adopera, che conservando sempre nel discorso chia­rezza, di ciò chi correntemente legge non si avvede· Nelle narrazioni e nelle concioni emula singoiar* mente Tucididey se non che egli é più perspicuo. Iti tutte quasi le cose Tucidide gli serve di norma.

DIONIGI DI ÀLICÀRNASSO

LIBRI XX SI STOB1B.

Anch’ egli principia dall*arrivo di Enea io Ita­lia, dopo la ruina di Troja, e segue poi a narrare a mano a mano la fondazione *li Roma, fa uascita di Romolo e di Remo, e tutti i fatti fìuo alla guerra de* Romani con Pirro, re degli Epiro ti, guerra che pur descrive auch’essa, e termina «H anno terzo del­l'olimpiade CXXVIII : dal qual punto riferisce avere incominciata la storia sua Poiibio di Megalopoli.

Fiori Dionigi sotto 1* imperio d 'Augusto i e re­cossi in Italia terminata la guerra intestina, acce­sasi tra Augusto e ^Antonio ì e si accinse a scrivere dopo che era stato di piede fermo in Roma, sic­come egli medesimo d ice , imparatavi, essendo greco, con rqolta cura la lingua latina, ed inve­stigate le antichità romaue, ed ogni cosa accumulata» necessaria al suo lavoro.

Lo stile e la dicitura sua sono quali si addicono ad un novatore; e vivamente procede per una

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STORICI a biografi PR0FÀK1. 3oJvia non volgare. La minuta spiegazione delle cose, e il senso che vi pone , danno a* suoi scritti uoa cert’ aria di semplicità, e fanno che il discorso suo non riesca aspro v uè fugrato. Rare volte usa digressioni * con che scema il fastidio che la storia potrebbe recare j ed anzi di quaodo in quando ri* stora chi fugge, e sei tiene attaccato. Per dir tutto ia breve, temperando Γ eleganza con la narrazione e con la digressione delle cose particolari rende lene una dicitura che altrimente sarebbe caduta in asprezza.

D I O N I G I D’ A L IC A R N A S S O

SlBOPSI DZLLZ STORIE, LIBRI V.

È questo il compe&dio dei venti libri delle storie C indicate di sopra. In questi cinque libri, quanto apparisce vincere sé medesimo iu eleganza , altret- taato il crederai spoglio d' ogni gioconda ma­niera. Il che però rende l'opera piò utile , nulla diceado fuorché quanto è necessario. Lo asso mi» glieraì facilmente ad uu re che fa ragione $ e con temperato e conciso tuono* e con fu composizione e dicitura stessa della voce, ne rappresenta l'ira* magiae a modo cbe a chi lo ascolta il parlar suo giunge alquanto duro. Il qual genere di scrivere # mentre può convenire ad un compendio , niente poi convieue ad ona perfetta ed intera storia·

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3 o 8 CLÌ$S£ PIUMA ,

E U N A P I O

LIBRI XiV VI CRONI CHE DOPO DEXIPPO,

C. ηη Principia da! regoo di Clandio Cesare, in cui termina la storia di Dexippo , e finisce ai tempi di Onorio ed Arcadio, figli di Teodosio, cosicché si arresta quando Arsacio , morto Giovanni Gri· sosiomo , occupò la sede vescovile, e la moglie dell* imperadore Arcadio, essendo gravida, abortì, e fini di vivere.

Questo Eunapiof sardio no di stirpe, essendo nato in Sardi, città della Lidia, fu empio non poco, se­guendo la religione de’Gentili. Quindi è, che a larga mano punge ed accusa quanti per singolare pietà fecero onore all* imperio, e massimamente Costan· tino il grande: all’opposto alza alle stelle gli empj, e fra gli altri particolarmente Giuliano apostata, dimo­doché pare ch’egli scrivesse quest’opera per tessere le lodi di fui. Bello è il soo stile, se si eccettuino le espressioni gallinaceo, piuttosto cervino, e pik porcino, /accia d%avvoltojo% da corvo, da tcimioHo% lagrima fum osa f e cose altre simili. Per fu cbe con questi, e siffatti vocaboli egli viene a cor­rompere una maniera di dire generosa , e l’adul­tera* Usa ancora oltre misura tropi, cosa che fu legge della stotia nou permette; ma toglie per fu piò ogai molestia la forza del dire, e l’ urbanità che adopera. CoìFordine poi che mette nella com­posizione, e con la perspicuità, e con bei periodi serve ottimamente all* indole e proprietà della storia t e solo può oppostisi che alfu volte prende

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Stonici B BlOCKAn MOFANI. 5 θ<)il tuono piò di chi parla da giudice, che di chi fu fu storico . Nelle costruzioni introduce non poche novità ; ma non sema g a rb o , nò obbliga il suo leggitore a ritornare indietro.

Due tomi , comprendenti la medesima storia , scrisse , il primo , e il secondo. Nel primo con molte bestemmie attacca fu sincera dottrina della nostra fede cristiana; e magnifiche lodi al * oppo­sto dà all’error detestabile de'Gentili, insieme mor­dendo molti fatti di pìii imperadori. Nel secoodo tomo, che intitola ancbe nuova ed izion e , tempera alcun poco quella enorme massa di contumelie, con tanta petulanza innanzi accumulala contro la cristiana pietà ; e il rimanente corpo di storia dj pei prosieg uo, pur non esigua parte riteneado di quell* rabbia furibonda , di cui avea emp iuta ij tomo primo. Quest» differenza ci si fece manife­sta, essendoci caduti sotto gli occhi i libri dell'una e del IVI tra edizione, separati gli uni dagli altri. Nella nuova edizione ci toccò di vedere molti passi pel fatto compendio oscuramente tronchi, quantunque 1* autore abbia avuta grande cura di serbare perspicuità ; e, qualunque ne sia la ca­gione» nella nu?va edizione il contesto oon riesce esatto*, come fu natura di an compendio richie­derebbe; anzi vi si vede corrotto il senso di quanto fui si fugge, £ ciò basti.

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δ ι β c la ss* m v t ,

ESICfflO ILLUSTRE MILESIO

•TOBIA OMWIOE1U S M V 1M | L I181 T I*

X IMPULSI DI GIUSTINO SENlOSg.

, fo L#opera storica di E si chio IVusire, milesio di patria, e figliuolo di Esichio e di Sofia, è una specie di storia di tutto il mondo, come il titolo efesio dimostra. Incomincia da Belo, re degli Assii j, e ter­mina alla morte di Anastasio, imperatore dei Romani·

£gH è conciso ed eloquente , nsando orazione fiorita, ben significante, e per ogoi rispetto lavorata eoo diligenza, e specialmente eoo proprietà di pa­role. E mentre è pieno di senso nella sua dicitura, si esprime anche con enfasi, cosicché diletta chi fu ascolta, mettendosi innanzi agli occhi fu cose che espone, con taota chiarezza, come se non fa­cesse uso di nessuua figura. Promette pòi di stu­diarsi d'essere veritiero.

Quest1 opera è divisa io sei parti. Nel primo Hbro si narrano le cose precedenti alla guerra tro- jana. Il secondo espone ciò che segui dalla presa di Troja sino alla fondazione di Roma. Il terzo contiene le cose accadute sotto i re di Roma, fino all1 epoca in cui, creati i consoli, cessò il regoo, verso la LXVIII olimpiade. Contiene il qaarto quanto avvenne dalla creazione del consolato, cioè dalla LXVIII olimpiade sino l’ anno CLXXXII, quando P imperio venne nelle mani del solo Giulio Cesare , e non Pebbero piò i consoli. Nel quinto si narrano fu cose seguite dall' imperio di Giulio Cesare fino ai tempo , io cui la gloria e fu viitù

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s t o r i c i t b i o g r a f i r * o r ah i . 3 i i

della città Bissatine furono condotte al suo colmo ; il ch e fn sul principio della C C LX V U olimpìade. Il •esto principia dal punto in cui Costantinopoli, per sua buona fortuna, ebbe ad imperatore Co~ stentinoi e va fìno alla morte di Anastasio, che l'autore d ice, nò io so come , avere ìn clemeuza e in benignità superati molti | e fu cui morie cadde nella undecima indtzfune, essendo egli con- sofu solo. Il perfudo di tempi che questa storia abbraccia, ò di CIO CXC anni·

V* è un' altra opera del medesimo Esichio che contiene fu imprese dell' imperatore Giustino, rac­contando visi come, morto Ànastas'ot Giustino gli venisse sostituito » e come a questo succedesse Giustiniano, e varie cose accadute per alquanti anni sotto di luì. Esichio fu distratto dall* oltre scriver* per la morte di suo figlio Giovanni, che tanto il colpì da non scottisi più capace di stu­diosa occupazione·

ERODIANO

LTBftl Vili DI STOftfl.

Erodiatio incomincia dalla morte di Marco, itn- C. 99 perador romano T i); e quindi narra come Comodo* figlinolo di Marco* avuto l'imperio paterno dege^ nenò dai costumi del padre per opera de' corti­giani adulatori, e come in fine rimase morto per le trame di Marcia, sua concubina, e di Leto ed /Sfotto . L'imperio ebbe posefu Pertinace« vecchfu di età, e di eccellenti costumi cbe i soldati, uon

( 1) t t s r c s u r e b o A n t o n i n o , f ilo s o f o .

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3 ι α c l a s s e ΤΒΤΜΑ ,

soffrendole la modestia, uccisero nella curia stessa· Giuliano, che da* soldati avea compro con danari l*impeno, non molto dopo fu perdette, scannato de loro ìftano*

Negro, di carattere, per quanto appariva, mite» vivente ancora Giuliano , fu alzato all* imperio· Severo uomo di mente, accostumato alla vita mi­litare, ed altronde astuto,prese le redini del governo, vintolo in battaglia, il levò di mezzo; e di poi Uitti gli ostacoli opposiiglisi li superò parte vitto* rioso sul campo, parie con arte politica. Ma poi si rendette troppo grave a* suoi sudditi, e mori mentre muovea guerra ai Britanni. Antonino* suo figliuolo maggiore, fatta pace eoa questi, ritornò* ed assunse a collega dell'* imperio, sebbene di mala voglia, suo fratello Geta che poco dopo uccise in grembo di Giulia* furo madre comune. Antonino , che in crudeltà , e in ogni turpitudine cercava di superar tutti, da Macrino, il quale temeva d*es­serne fatto morire, prevenuto, fu per insidie ucciso. Estinto lui, regnò Macrino, uomo d* inoltrata età, infingardo, e di niuna continenza ; ma però Iene d’animo e mite. Accadde intanto che Mesa, sorella di G iulia , trovavasi avere due fìglie, Soemi e Mamme a, la maggiore delle quali aVea un figlinolo, di nome BasUano , e 1* altra uno detto Celestino ;1* uno e Patro d'essi , come dicevasi, generato di furtiva unione con Antonino♦ L ’esercito, colta oc­casione , proclamò negli sleecati imperadore B a· stiano, dandogli il soprannome di Antonimo % e Afa· crino sbaragliato in battaglia, e fuggente dai confini della Fenicia e della Siria, si ricoverò in Calcedo- nia, deliberato di pattare di là a Roma % se non

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s t o r i c i s « T O c a s F t p r o f a n i . 3 i 3

cbe recatisi a Calcedonio alcuni partigfuni di i s « tonino, colò a bella posta spediti, lo prevennero, e tagliatagli la testa, la portarono seco ritornando d* ottd* eraao partiti. Antonino , finché badò aHa madre, regnò con sufficiente modestia ; ed avendo adottato Alessino per figlio, lo creò Cesare, dan~ dogli il nome di Alessandro, Ma esseodosi poi abbandonato agli adulatori, non vi fu genere di tur» pi lodine e d* intempernaza che1 omettesse. Di piò, avendo preso ad insidiare Alessandro, mentre da uu drappello di soldati impedito d* attentare alla vita del medesimo, meditava di punirli, da essi f» trucidato. Alessandro^ figliuolo di Mammea% regnò quattordici anni con giustizia e clemenza , per quanto era da lui , uè sparse il saogtte di afu cono j ma, sua madre Mammea, siccome Erodiamo riferisce, per l’avidità e sordidezza sua, tanto irritò i soldati che questi sollevatisi, ed eletto fu impe­ri dorè Massimo t lei e il figlio trucidarono.

Dopo Alessandro regnò per circa tre anni M ae· tìmìno da feroce tiranno: era costui nomo su­perbo e di crudeli costumi. Per lo che i soldati dfAfìrìca,sediziosameote insorti, crearono a suo mal­grado imperadore Gordiano * uomo ottuagenario , e in addietro proconsolare, il quale da Massimino stessoera Stato fatto prefetto d1 Africa, e a lui ue’co* slumi era simile. Roma volentieri approvò quella elezione ; e levò lutti gM onori a Massimino : fu poi dichiarato Cesare Gordiano, figliuolo di Gor~ diano imperadore. Ma preparandosi Massimino alla guerra, Gordiano. che insieme col figlio avea eo~ cupato Cartagfue, diéperando di poter resistere, si appiccò , e il figlio venuto con Mattimi né a bai-

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S l 4 C L A S S S r a i M i ,

taglia, rimase ucciso. I Romani per la morte d'en- trambi questi addolorati, e temendo radiato M as· simimoi proclamarono imperadorij Balbino e Mas» simo. Contro i quali essendosi alzata una nuova sollevazione militare, con essi regnò anche un Gor- diano, nipote dal canto di uua figliuola di Gardimmo maggiore, e ragazzo di pochi anni. Essendo poi Massimo andate contro Massimino^ questi da* suoi stessi soldati fu ucciso, e ne fu recata la testa a M assim o, e indi a Roma. Né andò guari che per nuovo tumulto de* soldati Balbino e Massimo, tratti fuori del palazzo, eoo mille strapassi e tor­menti, veunero entrambi ammazzati ; e dato Γ im­perio al solo Gordiano* il quale allora avea tredici aitai, £ qui finisce il libro ottavo.

La dicitura di questo scrittore é chiara « e di poi aoche piacevole: usa parole temperate, attiche oltre misura, cosicché la nativa grazia della lingua comune vien quasi a violarsi; ora*però non tanto basse che mostrino negletta ogui arte. Niuoa gon­fiezza poi per superfluità vi si scorge ; né cosa alcuna necessaria vi é omessa; e, per dir tutto in breve, in ogni bella virtù storica Erodiano cede a pochi·

ERODOTO DI ALICÀRNÀSSO

1.11*1 IX n i s t o s i z .

C.60 Sono intitolati ciascheduna col pome di una Musa. Lo scrivere di Erodoto é un modello di dialetto fonico » siccome di dialetto attico é un mtdtlfu fu scrivere di Tutidide. Erodalo fu uso di

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storici b BioG&tn riorANt . 3 i 5favole e di frequenti digressioni, con fu quali sparge dolcetta io cbi fu le g g e , quantunque al* tronde sia vero, che trattando di questo modo la storia, si alloatana dal carattere proprio della me­desima, e talora riesce oscuro ; chè la verità ricusa d* essere offuscata da favole; aò a chi scrive è permesso di deviare piò del giusto dal suo pro­posto·

JSrodoto fucomincia la storia dall*imperio di Cito* che regnò pel primo sui Persiani, ri furenda da chi nato tosse, come fosse educato , e come regnasse; e giunge fino all' imperio di Serse, e alfu sua spedizione contro gli Ateniesi, e alla fuga cbe devè prendere. Fu Serse il quarto re dopo Giro, essendone stato Cambise i l secondo* e terso Dario ; poiché il mago Smerdi , cbe vi fu frap­posto, noa viene annoverato tra i re, essendo stata tiranno, come colui, al quale il regno per niun modo competeva» e lo aveva usurpato con astuttia e frode* Successore di Dario, e figliuolo dì lui fu $er$st in cui la storia di Brodaio ba tesmìne ; nou toccandone il fine per fu ragione, come fra gli altri attesta Pio* doro Siculo, che Erodoto fiorì in que* medissimi tempi. Narrasi che Taeidide% ragazzo ancora, tro­vandoti eou suo padre presente alla lettura che Eirodato faceva delhi sua storia, si mettesse a pian­gere; e cbe Erodoto dioesse di lui : Oh! Óturo9 di che ardente genio d'imparare è egU mai ?***» Ho tao figiiuolo!

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3 ι 6 CLASSE MIMA ,

GIOSEFFO FLAVIO

o zitti a euzaftA owbAica, i m i vii

C. 47 Nell* ultimo di questi libri narra Teccldio di G e* rusalemme e di Masada ; e prima fu sterminio di Giotapata, io cui egli medesimo fu preso: poi fu distruzione di Gi scala, e la deso Iasione delle altre fortezze de*Giudei. Schietto é il suo discorse* e congiunge alla gravitò delle cose la purità ed ame ­nità della espressione. Nette concioni è pieno di furza, e di grazia in persuadere; e quando l’ op ­portunità lo consente, sa volgere Γ oraziane «oche in parte contraria. Onde con destrezza, e copio­samente usa entimemi nell’ uno e nell’altro senno, e sentenze convenienti, quanto alcun altro % ed é valentissimo in muovere gli affetti, in eccitarli, e in temperarli, secondo che- abbisogna.

R icorda egli cbe molti segai e prodigi pre­cedettero l’eeoidio di Gerusalemme i l , che una vacca condotta al sacrifìcio partorì un agnello tI I , che si vide una loce rispondere nel tempio %III, cbe di poi si udì noa voce cbe disse: uselamo di quii IV, cbe le porte del tempio, fu quali ne» potevano muòversi nemmeno da venti uomini, si sptffuncsrotro da loro posta ; V , cbe si vide di sera »n esercito fu aria armato j V I , «he un uomo chiamato Gesù di Anania, non altro fece per sei aoni, e tre mesi che gridare di tratto in tratto come fuori di sé : guai, guai a Gerusalemme, e bastonato per questo, mai non disse altro. Quel- 1* uomo, trovandosi all*eccidio della città, e sempre

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stobici a- sioeszri psorsin. 317dicendo la stessa cosa rimase ucciso da <14 oolpo di pietra scagliato dai nemici.

Queste cose prima che Gerusalemme fosse presa furono vedute: la città poi fu rovesciata dalla guerra intestina, e dai nemici; imperciocché divisi i Giudei iu due faziooi, degli celanti, cioè, e dei sicarj, si ammazzavano scambievolmente ; e così il corpo'della Repubblica venne acerbamente e crur del mente lacerato dagli uai e dagli altri* Si ag­giunse aucora la fame a modo cbe ad altri delitti gli uomini vennero tratti; e una donna giunse a -mangiare l ' istesso suo fìglinolino. Sopravvenite inoltre la peste ; e tutte queste cose abbastanza dimostrarono Pira divina, e la predizione e miaaccia che ne avea fatto il Signore» cbe cfuè quella città sarebbe distrutta dai fondamenti.

CIOSEFFO FLA.VIO

DZtiiZ ANTICHI TÒ GlUDàlCHB.

La parte di quest* opera cbe riguarda Erode , descrive la restaurazione del tempio ; e come egli occupò la signoria sui Giudei; e come fu sua stirpe acquistò il dominio *, e questo poi venne in potere degli ostinati, avendo i sommi pontefici invàso il principato; ed altii particolari. Queste cose tratta egli sul fine del libro X V delle An- tichità-

Egli uarra che nell'aono diciottesimo del regno di Erode fu compiuto il tempio di Gerusalemme che il re .£aloffitf*e edifìcò, e che essendo stato rovesciato, i Giudei, riu*uando dalla cattività di Babilonia con

. a 3 6

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5 l 8 CLASSX f i l i n i «

l’ajoto di Dario* re de* Persiani* fu riedificarono in quarantasei anni. Erode, levando gli antichi fonda» menti , e piantandone degli altri di rimpetto a quelli , fu fece del doppio maggiore del primo. Imperciocché il tempio riedificato dopo il ritorno da Babifunia superò di alcune misure Peietto da falomonet e il fabbricato da Brode fu fungo cento cubiti, ed alto più di venti, e quesl’aliezsa crebbe anche di più quando sui medesimi fondamenti, al tempo di Nerone , i Giudei pensarono di farvi un’aggiunta. Gio$effo riferisce che Erode lo riedi­ficò in un anno e meszo, e in otto anni fece co* atrnire le abitazioni e gli accessori uniti.

Le pietre, con fu quali fu fabbricato, erano bian­che e salde, era ognuna funga venticinque cubili, alta otto, e larga dodici- Iu quell’opera risaltò gran­demente la diligenza di Erode. Fece egli prima trasportare tutto il materiale necessario, avendo carri atti a portate mille pietre, e dieci mila operai, e mille sacerdoti che davano mauo ai la­vori. Con questi intraprese ad edificare e a tagliare i legnami, a tutti sommiuistrando le sacre vesti, ed ogni attrezzo opportuno f e compì il tutto più presto di quello cbe si sperasse; e presso il po­polo con ciò acquistossi molto favore. Finito cosi il tempio, sacrifico trecento vacche; e quanti ani* mali sacrificassero gli altri Giudei, non è cosa da potersi dire. Questo Erode fu figliuolo di Antipis- tro, idumeo, e di una donna araba chiamata Cipri ; e nel tempo che Erode regnava nacque Cristo dalla Vergine per salvare 1’ nman genere. Contro lui imperversando Erode peccò facendo· trucidare tanti fanciulli t per fu quale strage venne a superare

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storici m f tòotArt « or**!. 519tolti i più crudeli tiranni. Soa moglie Mariémtte* la quale nacque di Alessandra^ figlia del pon­tefice Ircano , in hellczsa si riputò superiore « tutte quante fu donne; ed ebbe da essa doe figli, Aristobolo ed Alessandro, che in bellezza, in parlare gratioso, e in ispeditezza di mano venivano da tutti predicati come persone veramente reali. Contro essi per fu calunnie di Antipatro infierì; e prima uccise la moglie, poscia que’ due figli $ e finalmente Antipatrof che gli era nato da nn antecedente matrimonio. Preso da crudel sn * lattia , consistente in una es&lcetazfune degl’ inte­stini , non poteva respirare se nou stando dritto della persona; e intanto i piedi erano gonfj per una flemma umida: gravi dolori colici fu tormen­tavano, e ie pudeude putrefatte erano piene di vermi, con altre malignità simili. Il quinto giorno, da che avea fatto uccidere Antipatro, fìtti di vivere, dopo settantanni di e li , e trentasei di regoo. Avea egli regnato illegittimamente, e pel solo favore di An· toniot capitano romaoo, da lui corrotto con danaro, contro ogni sua speranza inalzato al trono, e con­fermatovi poi dal senato diRoma a raccomandazione dì Augusto, Il padre di lu i, che fu primo tra i forestieri ad avere imperio sui Giudei , idumeo di naziooe, siccome si è detto, era di Ascafuoe , figliuolo di un Antipa, ed Antipa chiamossi an- cb’egli, e poscia Antipatro. Questi, abbondante di danaro, d’ indole facinorosa, e portato alla sedi­z ione, contrasse inimicitia con ircano , pontefice dei G iudei, perchè si era dato al partito di Ari* stobolo» fratello d’ Ircano. Onde spesso eccitando tumulti» spioge ircano a cercare con ogoi metto

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3*o classz t u m ,di ottenere il regno, che per cessione di lui avea avuto suo fratello Aristobolo^ stato poi ammazzato. Questa discordia dei fratelli età stata fatale, ad essi, ai loro parenti, e alla nazione de* Giudei ; e Cu cagione cbe il regno passasse nelle mani di fore­stieri. In quella discordia Antipatro molto si ado* però in favore d*Ircano contro Aristobolo. Final­mente Aristobolo fu fatto prigioniere insieme coi suoi figliuoli; indi avendo potuto scappare ritornò in Giudea, ove di bel nuovo assediato dai Romani eoe suo figlio Jntigonof e con esso preso, carico di catene fu mandato a Roma , essendo stato per tre anni e sei mesi re e pontefice, illustre e ma ­gnati imo principe. Ad Ircano fu conferito il pon­tificato', ma non il regoo i il popolo vivea con fu proprie leggi, e Ircano non era che uu luogote­nente del regno. Antipatro iutauto era giunto ad una grande potenza j guerreggiando come ausiliare insieme coi capitani romani contro fu nazioni ri­bèlli ; e per la sua forza , ingiustamente , e con assenso d*Ircano ebbe il regno de* Giudei. Giulio Cesarea liberato Aristobolo dalla carcere , stabili di mandarlo ia Siria contro Pompeo ; ma i Pam­peani fu prevennero, e fu fecero morir di veleno; e Scipione sull9 accusa che Pompeo fece ad Ales­sandro, figlio di Aristobolo > sulle cose seguite iu* nanzi, fece decapitare quel giovaue.

Giulio Cesare dopo la vittoria cbe riportò sopra Pompeo costituì Antipatro prefetto della Giudea ; e questi ito oel paese diede a suo figlio Faselo il cotnando di Gerusalemme, e de'luoghi vicini. Poi dichiarò principe di Galilea Eroder giovanetto al* fura di quindici anni, a cui sì tenera età non to-

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STeaicv % svooxArt n o m i . 5* iglieva di mostrare grandezza d'aaimo e virtù virile. Così fece Antipatro , rispettato dal popofu eoo meno cbe se fosse stato re» £ non mancò inai ttò di fede, nò di affezione verso iremmo » sommo pontefice. E fio) la carriera della sua vita con taplendere e con grande rinomanza , proditoria­mente avvelenato dal coppiere Maiea* stato cor* rotto eoo danaro. Era costui uo giudeo assai pe­rito ue* venefici , il quale caduto io sospetto avea sapnto dileguare tutti i dubbj con giuramento e con dimostrazioni d i amicizia. Però, macchinando simile colpo contro Erode, od almeno nati di ciò sospetti gagliardi » fini stilettato , aveodo Erode volato vendicare l'assassinamento commesso contro il padre. Antigono intanto, figliuofu di Aristobolo, avendo corrotto Fabeo con danaro , e Tolomeo * figlio à* Imeneo , dandogli fu ispesa noa sorella, e varj «fari, pentò a recarsi in Giudea * ma gli si oppose Eroder fu vinse in battaglia, e lo discacciò dalla Giudea : e dai Gerosolimitaai, e dalfu stesso Ircano dopo qoella vittoria fsi beo accolto iodi Antonio , capitano romano, aocieeato da danari, conferì ad Erode e a Fascio , fratello di fui » fu tetrarchie de* G iudei, di tali disposizioni oon prea­dendoti Ircano alcuna pena. Era tutto fu uoa estrema confusione, fuvandosi il grido contro fu corruzione di Anhomto, e contro Ircano medesimo ohe tenevasi per fautore di Erode, In fatti Erode· avea giù sposala Maria*ne, figlia deUa figlia d’ir - cano. Or ecco quanto di poi accadde. Bra motto Tolomeo « di coi dianzi si parlò ; e Lisana » $up fìglfu, ebbe il comande in lungo su o , · Pacoro % figlio del re da* Parti , e il satrapo Basa far mane

Folio. V oi i . ?t

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3 o a CLASSE PftIMA,

occuparono la Siria» Litania, d’accordo col satrapo, fece amicizia con Antigono, figlio di Aristobolo ; e Antigono promise ai Parti di dar loro mille ta­lenti e cinquecento donne, se, ucciso Ircano e gli Erodiani, dessero a lui il regno paterno. Pacoro e Batafarmane condussero verso la Giudea Antigono^ ed incominciata la guerra, molti fatti d'armi se­guirono con danno dell* una e dell* altra parte, e con assai riputazione acquistatasi da Srode. Ma questi e Fuselo furouo con astuzia presi dai Parti · Fatelo, per ischivare la morte che dai Parti sì aspettava, si spezzò la testa contro una pietra , e fìni di vivere di quella maniera: era nelle mani de’ Parti anche ircano \ ed occupando.costoro G e­rusalemme, Erode, per la sua presenza d* animo , per la pronta .risoluzione , e il forte menar delle mani potè scappare insieme con la sua fam iglia; ma intento essi rapirono tutti i danari degli abi­tanti della cittì , rispettando però quelli che a p- partenevano ad Ircano, i quali sommavano ad ot­tanta talenti. Dopo di che stabilirono Antigono sul trorib paterno. Questi però, perchè ircano noa po­tesse piò esercitare il sacerdozio (poiché presso i G iu ­dei era ciò vietato a chi avesse alcun difetto di corpo) gli tagliò le orecchie; indi fece che i Parti lo trasportassero seco loro. Noa istava Erode ozioso ; e da prima andò a Malico, re degli Arabi , spe­rando d’avere ajutq da fui, come stato amico d i sito padre: poi deluso nella sua speranza si portò a Brindisi^ ov’era Antonio, e eoa esso lui andato a Roma, colà si mise a deplorare le sue disgrazie, e fu morte del fratello. Avea egli fu sua mente pensato d 'ingegnarsi con ogoi meno a far dare il

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STORICI z HOGRAri PBOFAKT. 3*5regno el fratello di sua moglie, figliuolo della figlia d* Ircano , posciacbè diffidava di poterlo avere per sé , essendo forestiere. Ma Augusto ed Antonio d’accordo creano fui rede*Giudei^ e mossa guerra- ad Antigono, dopo molle battaglie, e molte stragi, questi cadde prigioniere e Sosio fu il capitano romano che diede fine a quella guerra. Allora essi maggiormente confermarono Erode nel regno ; e Antonio preso in suo potere Anttgono% fu riserbò pel suo trionfo ; ma poi veduto che giovandosi dell9 odio che i Giudei aveano contro Erodef egli meditava altre novità , fu fece decapitare fu An­tiochia In quanto ad Ircano , aveudó saputo che Erode era stato fatto re, implorò Tajuto del monarca de* Parti, Frante; e uel tempo stesso» essendo sulle istanze di Erpde medesimo mandato nella patria, in­cominciò a sperare di poter da lui conseguire molte cose. Ma Erode, dopo mille dimostrazioni di be­nevolenza e di onore, rimproverandogli d'aver usata corruzione , e per essa tentato gli Arabi di tra­dirlo, fu fece morire, avendo Ircano allora otfan- tun’anni, ed essendosi sempre condotto con molta* e fum enza , e con ineffabile moderazione. Creò po­scia sommo pontefice ad istanza di Alessandro, e di Mariannet l’ una madre, l’altra sorella, il gio­vanetto Aristobolo che avea soli diciassette anni ’9 e di poi fu fece anuegare in uno stagno in Gerico. Ms Erodo era qoale già si é detto.

Erode morendo costituì, col permesso di Ce­sare , suo successore nel regno Archelao, suo fi-1

gl io. Cesare però diede ad Archelao la metà del regno, e disse che gli avrebbe accordato il titolo di re quando avesse saputo ch’egli governava con

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S a i c l a s s e r f t i u A ,

dementa e con giustizia; I* altra metò divise tra Filippo ed Antipatro * che fece tetrarcbi, figliuoli anch* essi di Erode* Ma Archelao , ad imitazione del padre, governò violentemente ΐ G iudei; onde ad istanza del popolo oppresso da tirannide , Ce ­sare nel decimo auno gli levò il regno, e fu con­finò in Vienna , città della Gallia. Così la Giudea cadde nello stato di prefettura.

Erode, tetrarca della Galilea e della Perea, fi­gliuolo di Erode il grande , amò , come scrive Gioseffo i Erodiade , moglie di suo fratello, ed an- ch’essa originaria da Erode il grande, perché nata dal figlio di' lui Aristobolo , eh1 egli fece morire* Era fratello di lei Agrippa ; ed Erode fa separò dal marito, e la sposò. Questo Brode è quello cbe uccise il gran Giovanni precursore, affinché, come dice Gioseffot non eccitasse il popolo a sedizione, poiché per I* eccellenza delle sue virtù tutti se­guivano la voce di quell’ uomo. Sotto quell*Erode patì anche il Salvatore.

Agrippa , nipote del primo Erode, figlio di qacìì*Aristobolo che fu uccìso , e fratello di Ero· diade % dopo mille casi avvenutigli e mille muta­zioni di stato , liberato dalla prigionia in cbe lo avea lasciato morendo Tiberio , per la grazia di Gajo Cesare fu fatto re della tetrarchia di Filippo^ fratello del primo Erode* e gli si aggiunse anche la tetrarchia di L\s*nio$ e consegnila avendo tafu fortuna, navigò io Giudea eoa infioita maraviglia di tutti. Ma con fu maraviglia velenoso rancore ae ebbe * spinta da invidia Erodiade4 né diede pace al marito fìoché noo !*ebbe obbligalo ad andare a Roma» e tentare d avere auch’eglf parte in quel

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STOfttCl Z BTO G Iin PBOFAKT. 3 o 5

regno. Partirono entrambi , e dietro ad essi andò Agrippa* che li raggiunse al momento che mette* vano alla vela· Quindi accusando egli Erode presso Gajo Cesare d* essere sempre stato infesto ai R o­mani , amico di Sejano, vivente Tiberio , ed ora inteso con Artabano, re de4 Parti, ottenne che, ift vece del regno cbe cercava, perdesse la tetrarchia di cui era in possesso, e fosse confinato in Lione. Erodiade seguì volontaria il marito nell’esiglio, e la tetrarchia loro fu data ad Àgrippa. Questo Agrippa* a differenza del figlio , ebbe il soprau* nome di Grande; e Gioseffb dice che governò con dolcezza i G iudei; e per fare ai medesimi cosa grata fece levar di vita Jacopo, fratello di Gin* vanni, e volle trattare nella stessa maniera Pietro f capo degli apostoli ; ma ciò non gli venne fatto. Questi mentre, vestito di un abito tessuto d’ ar­gento, parlando al popolo, ue accòlse le acclama* atoni con empia adulazione fattegli, anziché ri* provarle, n* ebbe immediato castigo , poiché fu sorpreso da gravissimi dolori di ventre, e dopo cinque giorni morì nella sna età di quarantaquat­tro anni e sette di regno , quattro de* quali re* gnò tenendo Gajo V imperio di Roma , nei primi tre avendo avuta la tetrarchia di Pilippo, e quella di Erode nel quarto; e nei tre ultimi sotto Ciaum dio* ne* quali quésto imperatore gli concedette fu Giudea, fu Samaria e Cesarea. Cosi fini Àgrippa, conia particolarità cbe cinque giorni prima un gufo andò a volargli sulla sua testa , il quale nccello Gioseffb dice che gli avea anche presagito il re­gno· Morendo egli lasciò quattro figliuoli, uno ma* schio, cbe fu Àgrippa , di diciassette anni , e tre

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5a6 c l a s s i »ima ,femmine, cioè Berenice» Marianne e DrusiUa» la prima delle queli di sedici anoi sposò Erode» fra­tello del padre Marianne avea dieci anui e Dru­silla sette , fu quali gli abitanti di Sebaste » per sola loro tracotanza violentemente rapirono , e , messe in lupanari , esposero ad ogni geoere di nefandissima contumelia· Se ne risentì Claudio « ma oon fece cosa che potesse veodicare taota ingiuria.

Agrippa, figliuolo à'À grippa (il Graode), morto il padre» navigò a Roma. Claudio avea deliberato di coocedergli il reguo paterno; ma ritenutone dal coosiglio di alcuni , che gli fecero sentire non conveoir ciò per la troppa giovioezza di lui , mandò pretore io Giudea Fado » e creò Àgrippa re della Calcide» tenuta innanzi da Erode. Quattro anni dopo gli diede aoche la tetrarchia di Filippo e fu Batanea, e vi aggiunse pure la T raconiiide , eh*era stata di Lisania ; ma oel dargli questa gli tolse la Calcide. Agrippa diede sua sorella Dru­silla io moglie ad Àlito* re di Emesea, essendosi questi fatto circoncidere. L* avea promessa1 prima ad Epifane di Antioco , il quale erasi dichiarato pronto a circoncidersi; ma avendo cambiato pen­siero , gli sponsali sudarono vani. Drusilla poi sciolse il matrimonio eoo Azizo , e si sposò a fe lic e , prefetto della Giudea, giovandosi della sua singolare bellezza. Marianne poi fu data sposa ad Archelaoi figliuolo di Elcia* a cui il padre, mentre era vivo , Γ avea già promessa. Da questo matri­monio nacque Berenice. Morto Claudio , Nerone , che gli succedette , diede ad Àgrippa Tiberiade 4Ì Galilea, e Turichej indi vi aggiunse Giuliade,

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STORICI ζ BTOG1A?! PROFANI. 3 ^7

cittì della Perea* e dieci borghi alPintoroo. Que­sti è .quelVAgrippa innanzi al quale S. Paolo pe­rorò quando ebbe a presentarsi al presidente Festo*

Dopo Fado » pretore della Giudea , fu maodato Cumano* il quale , chiamato a Roma per accusa intentategli, ebbe successore Felice. Dipoi fu man­dato Albino * e in fine Floro ; nel secondo anno del cui govevno, pe* mali che costui faceva, ebbe. p rincipio la guerra contro i Romani , e fu nel* Fanno dodicesimo dell*empio Nerone.

Anano* figliuolo di Ànano* ottenuto il pontifi­cato , di cui rimase spogliato Gioseffo* fu uomo audace e temerario oltre misura. Era costui delfu setta de*Saducei, crudele ne* giudizj e d* indole arrogantissima. Questo Jnano , morto Festo nella Giudea, e noo giuntovi ancora Albino* fece lapi­dare come violatori della legge Jacopo , fratello del Signore , con parecchi altri : cosa che sdegnò molti Giudei miti d'animo, e lo stesso re Àgrippa* e gl* indusse a cacciarlo dopo tre mesi dachò avea conseguita quella dignità , sostituendo a fui Gesù Damneo.

Morto Àronne * fratello di Mosè * i suoi figli a lui succedettero oel sacerdozio, e in appresso quelli di sua stirpe. Era stabilito che nessuno giugnesse al sacerdozio. il quale non fosse del sangue di Àronne. Per fu che da Aronne a Fa- naso* che fu fatto pontefice dai sediziosi al tempo della guerra , corsaro usi ottaotatré sommi sacer­doti. Dall* uscita del deserto , ove fu fabbricato il tabernacolo , sino al tempio fatto da Salomone * contaosi tredici stati pontefici, e tutti durante il corso fuie*o della furo vita. Fu la loro domina*

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3a8 CLASS8 YR1M* ,zione primieramente aristocratica, cioè degli otti­mati. Indi ristretta ad un solo ( i giudici ) , e fu terzo luogo ai re. Sicché dall* uscita dell* Egitto fino all* edifieasione del tempio gerosoliroiiaoo corsero seiceutododici anni*

Dopo questi tredici pontefici, e dopo F edifìca- zfune del tempio di Salomone, fìuo a quaudo Sabuc- co dono torre 9 incendiato il tempio, condusse schiavi i Giudei fu Babilonia, essendo pontefice Àm en, dieiotto furono quelli cbe tennero il pontificato j e ciò abbraccia lo spazio di trecentosessautasei anni, sei mesi e dieci giorui. Dopo la acbiavitò , durata set tau l’ anni , Ciro , re di Pèrsia , permise che i Giudei schiavi ritornassero al furo paese· Uno di essi fu fatto pontefice, ed ebbe quindici successori fino ad Antioco , figlio dell* Eupatore , governandosi il popolo da sé ; e questo periodo fu di quàttroceuloquattordici anni. Quell*Antioco e Lisim, suo generale , levarono dal poutifìcato Orna, di sopranuomo iJ/e/ufuo^faceudolo uccidere fu Berea., e , contro gl* istituti della nazione , gli sostituirono Jacino, discendente bensì da Aronne% ma eoo però per linea retta. Onde poi accadde c b e is s n is , cugiuo di Oni*\ andato in Egitto» ed avepdo ottenuto il favore di Tolomeo Ftlometore e di CkopatrA, moglie di quel r e , persuase, loro c b e , fabbricato in Eliopoli un tempio a Dio , si­mile a quello di Gerusalemme, d'ess? fu creasserd pontefice. Jacino mori dopo tre anni di poutifì­cato » e per sette anni nessuno a fui succedette* Avendo poi i posteri di Asanwneo acquistato il governo del popolo « e guerreggiando cpi Mace­doni, crearono pontefice Giovanni* che morì dopo

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STOB’C l % ΒΪΟΟΙΑΠ VUOTktil* 3 5 g

avere tenuta per sette anni la dignità, toltagli in- sterne eoo la vita da Trifone· A liti succedette Si- mone, suo fratello e dopo questo, proditoriamente assassinato in un convito, fu pontefice suo figlio, di nome Ircano, il quale morendo lasciò il regoo a G iuda, che nomioaVssi anche Aristobolo.

Dopo Aristobolo , cbe avea avuto sacerdozio e regno, poiché era stato il primo a dichiararsi re , e fu fu un anno, ebbe l*una e l’ altra dignità suo fratello Alessandro, e per ventisette anni le tenne entrambe. Po>cia morì dando ad Alessandra, sua moglie , la facoltà di conferire il pontificato a chi volesse ; ed essa lo conferì ad Ircano , suo figlio maggiore, ritenendo per sé il regno , che ammi­nistrò nove anni, e poi morì. Per altrettanti anni tenne il pontificato Ircano. Dopo la morte delfu madre, Aristobolo , secondogenito , fece guerra al fratello, gli levò il poutifìcato, e di questa dignità e del regno s'impossessò. Se uon che tre anni ed altrettanti mesi dopo, venuto Pompeo% e con le armi presa fu città, fui , insieme co* figli , mandò pri­gione a Roma ; e fatto pontéfice Ircano , gli per­mise il reggimento del popolo , ma non volle che portasse corona. Questi adunque , oltre i primi nove anni » durò nelle sue funzioni per altri ven~ tiquattro anni. Facendogli guerra Basa/armane e Pacoro* signori Parti« lo fecero prigioniere, e co­stituirono re Antigono, figliuola di Aristobolo* Avea egli regnato tre aaui e tre m esi, quando Sosio ed Erode lo sconfìssero; ed Antonio* poiché 1* ebbe nelle mani, fu fece uccidere iu Antiochia* Essendo poi stato Erodo fatto re dai Romaui, egli noo fece più i pontefici deila razza ài Asarnoneo*

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ma elerò alla dìgnìtì uomini oscuri, e origfuarj soltanto da sacerdoti , se hì eccettua il sole A r i· stobolo% nipote, da parte di figlia, à*Ircano preso dai Parti, la cui sorella visse con Marianne, Ma »

come Erode temeva che il popolo inclinasse a quel giovane, a cagione della nobiltà sua e dei pregi di che andava adorno, egli fu fece annegare in Gerico. Simile condotta intorno, al destinare i pontefici tenne Archelao, figlio di Brode, e così pure fecero i Romani, che s’ impadronirono del paese. Quindi é che dai tempi di Erode fino -al giorno in cui il tempio e la città rimasero incen­diati, furonvi ventotto pontefici, occupando lo spa· zio di centosette anni; alcuni de’ quali animini* strarouo sotto 1’ imperio di Erode e di Archelao· Dopo di che il reggimento dello stato passò agli ottimati, e i sommi sacerdoti n'ebbero l'esecuzione.

GIUSEPPE FLAVIO

XìlBJU U -DB1LZ ANTICHITÀ* GIUDÀICHE.

.76 Leggemmo i venti libri deHi* Antichità de* Giu­dei di Flavio Giuseppe. EgPincomincia dalla crea­zione del mondo, giusta ciò che trovasi fu M osè. Con questo chè, sebbene lo siegua in gran parte, di tratto iu tratto però se ne discosta, e cammina poi sino alla guerra giudaica co* Romani. Impe­rava allora a* Giudei Àgrippa, figliuolo di Àgrippa il grande , il quale cacciò dal pontificato Gtsk , figliuolo di Gamaliele% e vi surrogò Mattia, figlio di Teofilo. Di tale violenza il primo esempio» da cbe gli Ebrji ebbero sì alto sacerdozfu, fa dato

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s t o r i c i i b i o c s a f ! F B o r A itn 3 3 1

dal re Antioco e da Lisia* capitano di qoel prin­cipe, avendo questi tolto di posto ed ucciso Onia9 detto Menelao # e privato della successione alla paterna dignità il figlio, datane la sede pontificale a Jacimo) uomo bensì della stirpe à*Aronne , ma però d'altra famiglia. Il che fu gran violazione della legge, poiché questa ordinava fìuo dai tempi di Àronne* che chi ottenuto avesse il pontificato , il conservasse per tutta la vita , e che il figlio succedesse al padre ove questo fosse morto. Ja· cimo morì dopo essere stato in dignità tre anni, e pei sette anni successivi la sede rimase vacaute. Onde poi essendosi alzata la stirpe degli Assamo* nei al governo della nazione, sotto Mattia e i suoi figli ; ed avendo questi sostenuta guerra contro i Macedoni, essi crearono pontefice Gionata. Di co- testa stirpe fa anche Giuda chiamato Aristobolo, i l qqate fu il primo a porsi in testa il diadema. Stato costui re e sacerdote fu un medesimo tempo, visse con la doppia dignità un anno, e lasciò sue» cessor suo , sì nel regno come nel pontificato , il fratello, di nome Alessandro , che per veutisette anni-governò. Da esso fui regno e sacerdozio cou- tinuò negli Assamonei fino ad Ircano, che Pom- peot generale de* Romani, spogliò del ieguo, per­mettendogli però di ritenére la suprema dignità sacerdotale. In essa Ircano durò irentatrò anni f se non cbe sotto Farnabazo e Pacoro, capitani de* Parti, fu preso, e da quelli fu sostituito re Antigono , figliuolo di Aristobolo. Questo Anti» gono* dopo tre-anni e tre mesi di reguo , fa de· bellato da Sosio , generale romano , e da Erode primo , quegli che fu figliuolo dì Antipulro , sa-

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3 3 α c l a s s e p r im a ,

ce rdot e ascalonita , e di Cìpride araba. Quell\4* - tigono poi , condotto in Antiochia , per ordine di Antonio fu messo a moile. Di tale maniera fini la razza degli Ascamonei , ed Erode ebbe dai Romani il regno giudaico. Or conferendo costui

il pontificalo a chicchessia ,· diede a'suoi succes­sori I* esempio di fare la cosa stessa,

Adunque quanto scrittore, come dicetftmo di so­pra, in questi venti libri, partendo dalla creazione del mondo , lira innanzi la sua narrazione sino al ρηηςΐρΐο delia guerra ultima de* Giudei co* R o­mani ; nel qual tempo nella Giudea regnò, per autorità de* Romani, Àgrippa figliuolo d* A grippa* e della Siria e Giudea fu governatore Gesto Fioro* succeduto ad Albino. Il governo di costui fu si violento e si crudo, che, nou potendolo la nazione de* Giudei tollerare , incominciò a mettersi in tu* multo, pensando essere meao male il perire fu massa e libera , che I* andare estinguendosi lenta­mente e fu servitù. Nel secondo anno del governe di Floro„ e decimo delFimperio di Nerone* fuco* minciò la guerra; e qui ha fine la storia di Gio* stffo , del cui stile mi ricordo avere già parlato*

Fu Giudeo di rezza e sacerdote, e da sacerdoti per lunga serie di antenati suo padre traeva Pari­gine sua. Sua madre pur discendeva dalla reale casa degli Ascamonei , che fupgo tempo avea go­duto e del sommo pontificato e del regno. Di tal madre e di Mattia nacque Gìoseffo Panno primo di Gajo* imperador romano ; e da ragazzo ancora si diede allo studio della filosofia, e giunto al se* dicesimo anno delPetli sua, si accostò alle sette dei G iudei, fu quali erano tr e , e con gran diligenza

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exotici z »10 Giuri raorAift. 333cercò di conoscerne l'indole, fu massime e i fin i, onde p o i, pratico di tutte* abbracciar quella che gl» paresse migliore. Quelle tre sette erano de* Fa­risei, de* Saducei e degli Essenj. E poiché I’ ebbe assai 'beDe studiate tutte, ritirossi in solitudine, e per tre anni stette io compagnia_ di uo uomo che dianzi dato erasi a vita solitaria ed austera; imper­ciocché portava un vestito fatto di foglie d'alberi, snangiava eibe spontaneamente nate in terra, e per conservarsi pura e continente usava spesso, si di giorno cbe di notte , lavarsi con acqua fredda. Q ìoseffo , giunto ai diciannove anni , ritornò fu città , e si diede principalmente alfa setta d$* Fa­risei, la quale viene paragonata a quella cbe I t a i Gentili é detta stoica.

A trentanni dai Gerosolimitani fn mandato am. mìuistratere fu Galilea, paese ove fu cose giudai­che aveano incominciato a barbarsi , e molti tu­multi erano sorti. E posto alla testa de* Galilei » ben condusse i pubblici affari, ed ebbe anche a scampare dalle iosidfu frequenti e varie che gli tendevano gli emuli; e per la moderai ione serbata co* nemici, non di rado ottenne dì trarli a sé. Cosi poi avendo dovuto suo malgrado far la guerra ai Romani , valorosamente si sostenne in Jorapata. Ma in fine cadde vivo in potere di Vespasiano , cbe comandava Peserei lo de* Romani. Però l*ebbe verso di sé umano e benignissimo e allora, e anche piò quando quel valentuomo fa fatto im­peradore di Roma. Nè dì luì solamente gedé la grazia, ma quella pure de* due figliuoli del mede­simo , Tito e Domiziano , succeduti uno dopo l ’altro al padre ueifimperio, a modo cbe e fu fatto

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534 «LASSE PMMA ,cittadino ■ romano . e fu provveduto di assai ric­chézze. Egli finì di scrivere la sua storia nell’anno cinquanteaimosesto dell’età sus, e tredicesimo del·* P imperio di Dotiàìiano.

G I U S T O T I B E R I E N S E

CAONACA db’ AE etUDZK.

• 33 Quest’opera ha per titolo Cronaca de re giudei che furono incoronati. L’ autore nacque in Tibe- riade, città della Galilea, e da essa trasse il nome* Incomincia fa storia da M osi , e la conduce fino ella morte di Àgrippa , settimo della famiglia di Erode, ed ultimo de’ re giudei. Ehb'egli il regoo sotto Claudio , imperadore; gli si accrebbe sotto Nerone Λ e piò sotto Vespasiano. Àgrippa morì il ler^o anno del regno di Trajano , epoca in cui finisce anche questa storia.

Lo stile di Giusto é essai conciso , e tralascia la maggior parte delle cose necessarie a riferirsi- All’uso poi degli fibrei, essendo della furo raiza, egli non fa mensione alcuna della venuta del CttV ito . né delle cose che al Cristo accaddero, oé de* miracoli cb? egli fece. Fu suo padre un Ebreo di nome Pistor il quale, stando a ciò cbe oe disse Giostffoi fu iniquissimo uomo, avidissimo di da­naro » e pieoo di' libidine. Avendo msno negli af­fari pubblici, si trovò in contrasto eoo G iostffo , a cui dìcesi che tramasse anchc molle volte insi­die; e Giosejjo, sebbene lo avesse spesso in poter suo come nemico, pure lo lanciò sempre gir salvo» limitatosi a gastigarlo con parole.

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STOBtCt z BIOGRAFI PROFANI. 335Voolsi che la storia cbe scrisse per la msggior

parte fosse da lui ideata a capricoio. In essa spe­cialmente trattò di quanto riguarda la guerra dei Roma&i contro i Giudei, e la mina di Gerosolima.

M E M N O N E

SYOfttZ DZ*YlftAHNl DI IRACLKA, CITTA* DEL ΡΟΪΤΤΟ.

Dal V ' al X V I libro Memnone riferisce fu ceseC.aa4 accadute futorno ad Eraclea, città del Ponto , chè questo -è il soggetto dell’ opera ; indi quanto . ri­guarda i tiranni di quella città, le loro imprese ei furo costumi , e la vita inoltre e la storte, ed ogni fatto concernente anche altre persone. Ecco un transunto delle cose più notabili t

« Ciearco fu il primo a farsi signore in Era ­clea : uomo istrutto nelle filosòfiche discipline, poiché fu uno dei discepoli di Platone , e per quattro anni frequentò fu scuola d* fppocrate; ma co* suoi concittadini si mostrò crudele e sangui­nario * e a tanta petulanza s’ alzò > che chiamosst fìgifuol di Giove. Nè contento poi del colorito che la natura gli avea dato, con varj artifuj s'imbel­lettava , onde splendido e rubicondo apparire in faccia a quanti il riguardassero. Usava inoltre (Am­biar vestimenta , quali grazioso e lieto , quali il difnosirassero tremeudo. Nè di pravo genio era egli soltanto in queste cose , ma fu era eziandio per ingratitudine verso chi gli avea fatto del bene, e per viofunza verso tutti, ad ogni nefanda azione audacissimo. Industrioso poi per naturale talento apparve ne* modi di &r inerire cbfuaque volesse

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536* cLsssz n iM z «toglier di mezzo , fosse questi de* suoi popolaoi , fusse degli stranieri. Tuttavolta si procacciò una bi­blioteca, con che ebbe laude sopra quanti per ti­rannide furono famosi. Le stragi , fu crudeltà , le iugiurie da fui in tanto numero commesse gli eccitarono contro frequenti cangi me che fece c a ­der va nei e n0D fu che a gran maraviglia che fi­nalmente avesse a succumbere ad una ordita da Chiotte, suo fratello uterino , uomo magnanimo, e a si stretto viucofu di sangue a fui congiunto, il quale erasi concertato con Leone ed Bu$enone% ed altri molti. Fu egli si gravemente ferite, ohe morì tra dolori acerbissim i. Il fatto segui in questa ma­niera. Celebrava egli iasieme col .popolo uo sa* crifìfeio solenne v e parola ai congiurati opportuna l'occasione di assaltarlo, uno d'essi, tolta di mano a Chione fu spada* con quella gli trapassò i fian­chi; sicché crescendo ad ora ad ora vie più i do­lori , e sopraffatto dal terrore di spettri , ch’ecauo le immagini de* tanti crudelmente da fui mandati a morte, il giorno dopo fini di vivere, aeU’età di cinquantotto anni, e dopo dodici da che occupata avea la signoria del suo paese. Regnava allora fu Persia Artaeerse , indi succedette Oco i e ad en­trambi Ciearco spedì inviati. Coloro poi ch'ebbero maòo nella sua morte quasi tutti perirono , parte sotto i colpi de’ suoi satelliti nell’ atto stesso del- Γ assaltamelo trucidati , parte alcun tempo dopo fu mezzo a’ supplizj. »

m Stùi/o, fratei germano del tiraalto, excuratore di Ttmoieo e Dionigi, figliuoli di fu i, prese il governo dì Eraclea; e non Ciearco *ofu, ma tutti mai ijuanii i urauoi, superò fu crudeltà < Q»è uoa

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fece vendetta solamente di quelli che cospirato aveano couiro suo fratello , ma spietatamente io- crudeli contro i figlia oli anche di coloro che niuoa parte aveano avuto in q u el, fatto. Niun seme di dottrina filosòfica e di belle arti era in costui, ma genio solo di sevizie; né voloutò alcuna ebbe mai di apprendere cosa degna d'uomo, e d*app rende ria pare cbe la natura gli avesse perfino negala fu capaciti· Per lo che può dirsi cbe fosse pessimo iu tutte cose , ancorché fosse dal tempo sì rotto, da sentire sazietà finalmente del sangue e delle stragi de* cittadini. Dee dirsi però che in fatto di amor fraterno andò innanzi a tutti $ imperciocché per conservare intatte la signoria ai figliuoli di Ciearco , tuttoché convivesse ed amasse una mo­glie sola che avea a lui carissima, non volle aver figli da lei, e con ogni arte s*astenea dal generar prole , quasi ciò per pena'imponendosi ; e questo fece onde non lasciare al mondo chi la signori? furo insidiasse. Quindi , giunto a vecchiezza , il governo dello stato rinunciò a Timoteo , eh* era il maggiore de* figliuoli del fratello; né molto dopo fu preso da malattia irrimediabile , quella di uq cancro tra Tingufue e lo scroto, che, internandosi Helle viscere, tutte andava consumandogli le carni, tramandando marcia fetentissima, a segno che né ΐ servi, nè i medici potevano sostenerne la puzza.I continui acerbissimi dolori tutto il corpo tor­mentavano , sicché tra la veglia e le convulsioni sempre piò crescendo il male,e vivo struggendosi,il tolse di vita. Di questa maniera egli, non meoo che Ciearco, diede argomento agli altri di consb* dei are, pagarsi finalmeate aspre fio da colore d w,

Fozio% Voi. 4. 22

STORICI X BIOORAFI PROFANI. 5 3 7

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3 3 8 c l a s s e r a t m ì »

contro le divine ed umane leggi, crudelmente trat­tano i loro concittadini. Imperciocché narrasi che spesso in mezzo agli orrendi dolori pregasse di morir presto nè mori se non quando il male con l’estrema violenza sua acerbissima l'ebbe consunto. Così scontò ai fati il debito che avea, vissuto ses- santacinque anni , e dopo sette di regno. In quel tetnpo era in Isparta- re Agesilao.

Timoteo aduuque, prese le redini del governo, le tenue con moderazione , e gli diede forma popolare quanto mai potè, onde non più tiranno» ma benefattore e conservatore dello stato , per fu sue belle azioni, fu chiamato. Egli delle proprie facoltà pagò gli altrui debiti i a chi mancava di danaro ne prestò senza usura, onde poter traffi­care* egli, liberò di prigione non solamente gl’ in- cocenti, ma anche i rei j e fu giudice zelante e severo, ma nel tempo stesso anche umano e be* nigno. Iti quanto poi a fede, nessuno potè fare di lui il minimo sospetto ì laonde eoo Dionigi, suo fratello, non solamente ogni attenzione ed amore­volezza praticò, ma immantinente lo mise a parte del reggimento e lo destinò suo successore. Nelle cose di guerra poi fu svelto quanto a valente uomo conviene , chè ebb'egli spirito grande e generoso, robustezza di corpo e coraggio , e a sciogliere o comporre le differenze, per fu quali poteano nascer guerre, prestossi sempre da uomo amante deirequità e buono d'animo; e perciò uoa fu trovato mai diffìcile. A queste qualità egli univa colpo d'occhio sicuro per conoscer le cose, è· pronta gagliardia per eseguirle^ e meotre d'iodofu e di costume era clemente 9 misericordioso e be*

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s t o r i c i e b io g r a f i p r o f a n i . 3 3 9

n e f ì c e , e n e l l ' i n c o n t r o d e * p e r i c o l i ao im Q S O e f i e r o ,

10 tutte le altre cose della vita era umanissimo e cortesissimo. Per lo che finché visse, a* nemici si rendè formidabile, a modo che lutti quelli coi quali coutraeva inimicizia ue aveano paura ; e dolce e mitissimo si conservò sempre verso i suoi cittadini. Quindi avvenne cbe, cessando di vivere, lasciò grau desiderio di sé, e pari al desiderio fu11 lutto de* superstiti. Sup fratello Dionigi gli fece t onluoti funerali, vedutosi offrire al rogo iu liba­zione l'umor copioso dalle sue palpebre lagrimato, ed alzar gemiti uscenti dall* imo di sue viscere. Celebrò anche, in ouore di lui , giuochi equestri e gimnici, e limelic i , e scenici , alcuui ina manti-· nenie, altri di poi, i quali furono magnificissimi.

Queste cose descrivonsi nei libri IX e X delfu storia di Memnone.

D onigi, prese le rediui delfu stato , non inutil* mente si adoperò per accrescerlo, prevalendosi dell'occasione che, avendo Alessandro vinti i Per­siani al Granico, erasi aperto adito a chiunque di estendere i suoi dominj, poiché ogni ostacolo era sino allora provenuto dalla potenza persiane^ io quel tempo appunto declinante.

Ma iu appresso ebbe a provare diverse vicendb di fortuna, massimamente per gl* intrighi degli esuli di Eraclea , i quali aveano spediti deputati ad Alessandro, già padrone dell’Asia , onde olle- nere il ritorno loro alla patria, e il governo della medesima, per lo che mancò poco che non per­desse la signoria. E l'avrebbe di fatto perduta, se mercè la prudenza ed avvedutezza sua, mercè gli ofìfuj de* suoi concittadini, e il procacciatosi favore

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34ο CttA-'Se PRIMA ,di Cleopatra^ nou fosse giunto ad evitare la guerra, che minacciosamente gli era stata intimata. Ma dopo che gli pervenne la nuova cbe Alessandro , ritornato in Babilonia , avea cessato di vivere , fosse ciò per morte violenta , o per naturale ma - latita, Dionigi consacrò una statua alla Letizia. £ al primo udire tate nuova tanto fu in lui 1* esu­berante gaudio v che una repentina rivoluzione in fui si open>* essendo stato presso ad essere cólto da una vertigine e ad andar fuori di senno. Sub­entrato nel reggimento delle cose Perdicca . gli esuli di Eraclea ripigliarono gl* intrighi fatti sotto Alessandro* e Dionigi gli stessi mezzi di pnma usò; e quantunque camminasse, per così dire, so­pra il taglio di un rasojov pure gli riuscì di scam­pare da tutti i pericoli intentatigli. La morte poi susseguita di Perdicca « mise fìtte alle speranze degli esuli* e gli affari di Dionigi volsero a staio più felice. A ciò contribuì assai un secondo ma­trimonio che contrasse con Amastri , figliuola di Ossatra9 fratello di Dario , che Alessandro avea spogliato dell* imperio, e che ne avea sposata la figlia SUUira j onde coleste due doone erano cu­gine* e teneramente si amavano con una benevo ­lenza la quale messe avea radici nel loro cuore dalla prima educazione e dalla convivenza. Alee- sandro 9 oel mentre che avea presa Statira in moglie « avea data Amastri in isposa a Cratero , uno de*suoi cortigiani piò caro. Cratero poi volse Taoimo a P ila 9 figliuola di Antipatro , e fu con­tento che Dionigi prendesse la donna da lui ab­bandonala. Fu queslo matrimonio «dunque che fu inualzò a maggiore fortuna, tanto per le ι icchezze

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STObici z Biografi ρ&οτλΚΓ. 3<tcbe con le nuove nozze gli si accrebbero, quanto per l* impegno e per la inagnifìcenza con cui usò sèco il principe; e pervenne al segno, di poter comperare tutta la suppellettile di Dionigi, tiranno della Sicilia , quando questi perdette il regno. Né per queste cose soltanto la potenza sua s'aumentò, ma pel buon uso che faceva di tutte queste com­binazioni, e pel favore de* suoi cittadiui; cosicché potè estendere l'imperio sopra molti che prima non erano stati a lui soggetti. Ebbe quindi occa­sione di prestare ajuto ad Antigono, mentre , g ii signor potente dell'Asia , andò all9 impresa di CU prò, e di trovare presso lui Tolomeo, nipote del medesimo, a cui era stata data la satrapia dell’EI- lesppnto ; e potè farselo genero , dandogli in mar trimonio una figliuola avuta da moglie antece­dente. Elevato così a grande gloria, sdegnò di dirsi piò oltre tiranno o signore, e prese titolo di re ; e ornai libero da paura e da cura , datosi a vivere giornalmente fra le delizie* tanto crebbe in pinguedine di corpo, che passò i termini ordinar) della natura ; onde poi nacque che trascurò fu cose del governo, e tanto rimaoeva oppressoda son­nolenza, che a stento poteasi destare col soccorso di aghi sottilissimi, quantunque funghi,che gli s’infìge- vano nella pelle, rimedio solo che avea per trarlo dal sopore in cui era caduto. Due fìgli maschi ebbe da Amastri, cioè Ciearco e Ossaira, ed uoa fem­mina , chiamata col nome della madre· Avvicina­tosi poi alla morte, diede alla moglie tutto il reggimento del regno e la tutela de' fìgli , i quali erano ancora in tenera età , aggiuntevi alcune al­tre persone. Visse cioquaotacfuque ansi, e tenne

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$4? CLASSE PIUMA,lo stato pel corso di trenta , diportatosi eoo tale dolcezza che acquistò il titolo di benigno , e la­sciò ne* cittadini desiderio di sé e lutto. Non ostante poi la sua mancanza , le cose della città rimane­vano in buona fortuna , preudendo cura e de* fi­gliuoli di Dionigi , e de* cittadiui Antigono , al quale, mentre dovette badare ad altre cose « suc­cesse Lisimaco nella cura degli Eracliesi e di quei ragazzi, avendo presa Amastri in moglie, che sul principio amò assai-, se non che imbrogliatisi, po­scia gli affari suoi, dovette lasciar lei iu Eraclea, e volgersi per necessità ad altre parti. Nou istette però molto tempo a chiamarla presso di sé a Sardi, dove con pari amore la trattò. Essendosi poscia invaghito di Arsinoe, figliuola di Tolomeo FUa- delfo, diede a lei occasioue di separarsene* sicché ritornò essa ad Eraclea, e fondò una città, chiamata dal nome di lei Amastri , e la popolò di coloni.

Ciearco allora pervenuto alla età virile, governò Eraclea, e in molte guerre ch'ebbe per varie ra­gioni a sostenere, fece molte belle imprese: e come fu del seguito di Lisimaco, che guerreggiava coutroi Geli, con fui cadde prigioniero de* nem'ci: libe­ratosi Lisimaco, per la prudeuza di questo, anche Clearca di poi fu lasciato libero. Però Ciearco e suo fratello, successori nel regno del padre, molto a questi furono inferiori nella dolcezza e benefi­cenza coi sudditi loro. Anzi un esecrando delitto commisero; e fu che la loro madre, la quale niua grande torto avea verso loro, essendoti esposta ad un viaggio marittimo, la fecero affogare uell’oode.

Lisimaco , che allora governava la Macedonia , sebbene per ia passione concepita per Arsiaoo

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s t o r i c i z b i o g r a f i v r o f a n i . 3*43avesse da sé ailotauafa Amastri, pur sentendo an­cora per questa la scintilla del primo fuoco, noo potè tollerare un sì detestabil delitto. Però tenen­dosi io petto beo secreto quaoto meditava di fare per trarne vendetta, a Ciearco dimostrava l'antica affezione : e cosi seguitò a fare fìocbè, capitato io Eraclea, senta dar ombra di sospetto a nessuno, « mostrando ancora 1’ usata benevolenza di padre , que’ parricida levò di vita , prima Ciearco, poi Ossatra, dando loro la giusta pena della morte della madre. Presa poi sotto la sua protezione la città, e fatto suo bottioo le ricchezze che, regoando ivi tutti i mentovati tiranni, vi aveano accumulate, e libera restituendo ai cittadini la repubblica, come da tanto tempo desideravano, ritornò al suo regno.

Ritornato adunque in Macedonia si mise a ce~ fubrare Amastri, e ad ammirarne ! costumi , e il reggimento, e a dire come lo avesse tratto al colmo della grandezza, della potenza e della maestà j né d'altro ornai parlava che di Eraclea, si però che a parte della laude venissero anche Tio ed Ama- stri, cbe quella celebrata donna avea fondata ed onorata del nome suo. £ come queste cose sempre avea sulle labbra, veone ad eccitare in Arsinoe il desiderio d'avere il domfuio di quelle tanto decan­tate città, e dietro a tale desiderio, a dai le la tenta­zione di chiedergliele iu dono. Ma cosi avendo essa fatto, da principio fìnse che troppo grande fosse il dono chiesto,e fìoì poi col concederglielo dopo alcun tempo, aveado Arsinoe eoo ogni genere d'artifìzj cercato di circuir Lisimaco, e la vecchiezza fatto lui arrendevole. Diveuuta dunque Arsìnoe padrona di Eraclea, mandò colà Eraclito cimeo , n o mo a fui

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S 4 4 CLASSE PfclM*,attaccato, ma rotto assai ; e io consigliare e in ese* guire le risoluzioni diligeotissimo, insieme ed acre. Ito egli governatore in quella cittì, con troppo ri­gore si mise ad amministrare gli Affari , e molti cittadini querelò come rei di delitti, nè meoo fu­ro d o quelli che maodò al supplizio; cosicché ap­pena que’cittadini aveapo vedeta rinascere la loro felicitò che ebbero di ouovo a perder Ih.

Iotanto Lisimaco per fraude di Arsinoe fece dare nascostamente il veleoo ad Amatorie* suo figliuolo maggiore , natogli dalla prima moglie; e poiché avea potuto vomitarlo, Io coudamiò a morire con uoa seoteuza impudentissima; perciocché fu fece

"trucidare in carcere, falsamente apponendogli che avesse insidiata la vita al padre. Fu caroeiice di tnano propria per quel supplizio il fratello di A r- Sinoe , quel Tolomeo soprannominato il Ceraunos ο vogliam dire il fulmine , cosi chiamato per an­titesi a cagione de*suoi sfrenati costumi , e delfu sua dapoccaggine· Lisimaco intanto per la morte del figlio veaoe io odio a*suoi sudditi; e Seleuco% iuformato di queste cose, e quanto fosse facile spo­gliarlo del regno, dachè le città disertarono dalla sua ubbidienza, gli venne addosso con un esercito, e gli diede battaglia, netta quale mentre Lisimaco pur combàtteva valorosamente, trafìtto da uu dardo, ebbe a perder la vita· Fu un uomo di £raclea che così fu trafìsse; e chiamavasi Malacone che mili­tava sotto Seleuco. Morto Lisimaco il regoo cadde in dominio di Seleuco , come aggiunta alla parie cbe dianzi gli era toccata.

£ qui finisce il libro XII delta storia di Mem* nòne. Segue poi quanto oel XIII egli racconta.

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s ton ic i E BIOOSA Fi PK07AK1. 345

Gli Eraelipsi udita la morte di Lisimaco, e sa­puto cbe un furo concittadino fatto avea quel colpo, presero coraggio , e si credettero forti abbastanza per ricuperare la liberti che per eettantaciiique anni loro era stata toha da tiranni domestici, e, dopo questi, da Lisimaco. Per lo che presentatisi ad EracVto cercarono di persuaderlo a dar luogo, proferendogli uon tanto di lasciarlo andar via sano e salvo, ma fornito di splendido viatico sempre che ottenessero la furo pristina libeiXk Ma costui tanto fu fungi dal persuadersi della loro proposta, che acceso d’ira alcuni di loro fece immantinente strascinare al supplizio. Però riuscì agii Eracliesi di accordarsi cogli uifìziali del presidio, conve · nendo che avrebbero avuto egnale diritto anch'esst nella repubblica, ed avrebbero riscossi gli stipeudj, de* quali fossero rimasti defraudati: dei quale ac­cordo Γ effetto fu che Eraclito fu meiso prigione·Il che fatto, e sciolti da paura, smantellarono dai fondamenti la rocca, e mandata a Seleuco ima de­putazione, proclamarono intanto priucipe e cura­tore della città Teocrito.

Ma ZipeUt picool re di Bitiuia , nemico degli Eracliesi, prima a cagione di Lisimaco, poscia di Seleuco, poiché avea animosità conti ο l’ uno e l'altro, eoo «scorrerie sulle furo campagne cam­mei te va a loro dauuo ogni genere di mali. L'eser­cito suo a* saccheggiamenti uni anche uccisioni ; ma questo furono forse minori di quelle cb’ esso soffrì.

Io quel mentre Seleuco ma oda va procurator suo tut certo Jtfrodisio , nella città della Frigia adja- cente al Ponto}-il quale, fatto ciò che avea da lare,

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346 classe fbìua,nel suo ritorno ampiamente lodava altre città; ma «gli Eracliesi querelava presso Seleuco ,· come gente ài medesimo poco beo affetta i dal ctie venne cbe sdegnato, di mal umore vide i deputati a lui spe­diti, e sgridandoli li spaventò con le mioaece, Fu però tra essi uuo, Camaleonte di nome, il quale impavido abbordò il re dicendos Ercole, carrone Seleuco* (Carrone in dialetto dorico significa colui che è più forte). La qual parola il re non Jiveudo capita, fermo siando nell’ ira sua, voltò ai deputati fu spalle. Trovaronsi dunque quei deputati uelfu situazione molesta uè di potere partirsene, nè di poter rimanere» Il che essendo pervenuto a notizia degli Eracltesi, eglino postisi iu arm i, e raccolte truppe ausiliari , mandarono ambasciadori a Mitri­date, re del Ponto, ai Bisanti ni ed ai Calcedonesi, domandando ajuto. Intanto quelli che degli antichi esuli eraoo rimasti, a persuasiooe di uno di essi, chiamato Ninfidio , deliberarono di ritornare ' ad Eraclea; lusingati cbe tale impresa non avrebbe in­contrata difficoltà.» solo cbe si astenessero dal do* mandare la restituzione di quanto i loro maggiori aveano perduto. E cosi fecero t e ben riuscì la cosa; chè furono accolti voleutieri, e comune fu la le · tizia ψ nè furo mancò buon tratto, nè mancò quanto a discreto sostentamento della vita era ne­cessario. E in questa maniera ricuperarono gli an­tichi diritti di nobiltà e di parteeipazione nel go­verno della loro patria.

Seìeuco intanto, insuperbitosi della impresa si ben t l usCitagli contro Lisimaco, pensò a passare in Macedonia, trattovi dall'amor della patria, da cai erasi partito cod AUesandro , quando questi avea

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STe*!C! t BIOGRAFI PBOFAKl» 347portala la guerra .in Asia ; e risoluto a finire ivii suoi giorni, giacché era vecchio, affidò l'Asia a suo figliuolo Antigono. Tolomeo il Cerauno poi , ridotto il regno di Lisimaco sotto il dominio d! Seleuco, anch’ egli vivea in dipendenza di lui ; non però come prigioniere e negletto, ma come uomo di schiatta regia, tenuto in o n o re , e provveduto b e n e , anzi da Seleuco lusingato con promesse ma­gnifiche, a tanto che, morto che fosse il suo geni­tore 1 sarebbe stato posto in possesso del regno d* Egitto. Ma tutti questi beuefìcj uon fecero buono costui ch’era malvagio di natura. Ché il benefattore suo anzi con insidie trucidò; e montato sopra un cavallo velocissimo fuggì a Lisim achia; e cintosiil diadema reale con grossa schiera di'satellilipassò a ll 'esercito ; il qual esercito stretto da necessitàlo accolse, e fu salutò r e , sebbene poc'anzi fosse già legato con giuramento a Seleuco.

Antigono , figliuolo di Demetrio , udito questo latto, mosse verso la Macedonia, volendo con truppe a p ie d i , e cou forze navali prevenire Tolomeo. Ma Tolomeo avendo pronte le navi di Lisimaco, si accinse ad incontrarlo. Tra fu altre navi ch'egli avea, eransi fatte venfre da Eraclea molte a se i, e a cinque ordini di remi, e quelle che chiamansi j4frate, ed una ad otto o rd in i, famosa pel nome di Lione che si era dato , e meravigliosa per la sua grandezza e maguificenza ; imperciocché in essa erauo cento uomini capi de'rematori, ciascheduno de* quali presiedeva alla sua centuria; cosicché per Ogni parte eontavaftv.isi ottocento persone, e in tutto mille seicento, e quelli che fuori de* banchi com­bàttevano , erano mille dogento: due poi erano i

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548 classe raiMA,piloti- Attaccatasi la battaglia \ Tolomeo rimase Vincitore; e Tarmata di Antigono si diede alla fuga. Le navi che piò in valore si distinsero, fu* rouo quelle di Eraclea , e sopra tutte riportò fu palma quella a otto ordini di remi d«?t!a il Idono. Sbaraglialo, come si ò detto, Antigono, andò in Beozia j e Tolomeo, passato ia Macedonia, teoe­vasi ivi io possesso del regno.

Iv i, oode ta malvagità sua si rendesse piò ma­nifesta agli uomini, sposata, secondo il costume degli Egizj, sua sorella Arsinoe, i figliuoli ch’essa avuti avea da Lisimaco trucidò i nè tardò poi a cacciare ignomiitiosameole del regno lei medesima. E men­tre pel corso di due anni si era caricato d'ognì genere di delitti cootrb le leggi divine ed umane, accadde che grossa partita di Galli dalla faine co­stretta ad abbandonare il proprio paese, iovase la Mitcedonia , coi quali veouto a battaglia , egli fu preso vivo, poiché rimasto ferito l ' elefante che il portava, venue gillato a terra , e i nemici lo fe­cero a brani. Degno fine di sua crudeltà. Morto costui, Antigono di Demetrio s* impossessò del regoo.di Macedonia.

Nel frattempo Antioco, figliuolo di Seleuco* dopo avere con molte guerre ricuperato, ma non tntto,il regoo di suo padre , spedì uu esercito al di là del monte Tauro sotto il comando di Patroclo , che per suo fuogoteoie scelse Ermogene% aspendio di stirpe. Or questi, tra le molte città che aveasi proposto di travagliare, mirava ad Eraelea | se non cbe gli abitatori di -essa poterono per mezzo di furo deputati placarlo, sicché si discosto dai furo confini, e fatto trattato con essi, attraversando ia

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storici s tiocRSn fzofaku 549Frigia si voltò verso la Bittoia. Colò per insidie che i Bitinj gli tesero, perì insieme col suo eser­cito , non senza però aver date prove di uomo valoroso.

Per questo motivo andando Antioco contro i Bitinj, il re di questi, eh'era Nicotnede, con inviati cercò dogli Eracliesi soccorso e l’ ebbe, promet­tendo loro ricamb io , ove si trovassero in eguale necessità. In quella occasi01 e gli Eradieti con molte spese trassero a sé Ciero, T io e il paese di Tiuida. Ma non furono egualmente felici , quan­tunque e forze adoperassero, e spendessero danaro, >«1 ottenere A mastri che con le altre città era stata dianzi furo tolta . e la ragione si fu che nVra al­lora io possesso Eumene , il q u a le , piuttosto che venderla agli Eracliesi, pazzamente coi rucciato con essi, volle darla ad Ariobarzane , figliuolo di M i­tridate.

Circa quel tempo gli Eracliesi ebbero guerra con Ziffete, bit io io, che regnava nella Tracia detta Tiniaca. In quella guerra una grossa parte di Era­cliesi, valorosamente combattendo, rimase morta $ onde Zipete potè ottenere grande vittoria. Ma poi fu obbligato a fuggire, essendo sopraggiunti agli Eracliesi i soccorsi de* furo alleati t per lo che po­terono prendere ed abbruciare i cadaveri de’ loro soldati in quella battaglia disastrosa periti; recan­done poi le ossa nella furo città, come a benemeriti della patria fecero ai medesimi funerali maguitici·

Era allora nata grande guerra tra Antioco di Seleuco, e Antigono di Demetrio ; e da ambe fu parti tacevansi apparecchi di truppe. Ad Antigono prestava soccorso Nicaatede, re diBilfuia^ ad ^A­

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fioco parecchi altri. Ma nel mentre che Antioco non avea ancora assaltato Antigono^ si voltò con·* tro Nicomedei e questi, cercati ajuti altronde, li domandò anche agii Eracliesi, ΐ quali gli spedirono tredici triremi. Postosi poi eoo la sua armata contro a quella di ÀttLoco, stettero in faccia Puna del- Tal tra alcun tempo; ma in vece di venire a bat­taglia, ailoQtauaronei entrambe..

Dopo cbe i Galli spintisi fino a Bisanzio diedero il sacco alla maggior parte del paese , i Btsantini sbaragliati mandarono qua e là a chiedere soccorso agli alleali, ed ognuno di questi ne diedero a pro­porzione delle loto forze. Gli Eracliesi ooo manda* roso cbe mille monete d*oro; soia cosa ad essi chiesta. Non molto dopo, mentre i Galli piò volte aveano tentato di passare in Asia, e sempre aveano dovuto desistere per l’ opposizione loro fatta dai Bisantini, Nicomede venoe ad accordar furo il passo, mediante un trattato , le cui condizioni erano fu seguenti t Che i Barbari sarebbero stati sempre antici ed alleati di Nicomede, e de* suoi posteri ; che senza il potere e la volontà di Nicomede , a bessuno che pur ne li sollicitasse con ambasciate, darebbero soccorso di guerra ; ma sarebbero amièl degli amici, e oemici de* nemici di quel re; che sarebbero stati del partito de'Bisantini, se il caso lo esigesse ; che terrebbero alleapza con gli abitanti di Tio* di Eraclea, di Calcedonia, e di Ciero, e con alcuni altri, i quali avessero altre genti sotto la loro giurisdizione. Con questi patti Nicomede lasciò libero il passo ai Galli nett'Asia· I principi di questi, rinomati per potenza, forooo diciassette, tra i quali, sommamente si distinsero.

35o CLASSZ ΡΒΙΜ Α ,

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s t o r i c i z b i o g r a f i p r o f a n i . 3 5 1Leonario e Lutario. Questa trasmigrazione de’ Galliio Asia, che da principio fu creduta fatale agli abitanti, diventò loro vantaggiosa, perchè mentre i re cercavano di distruggere fu stato popolare delle città, i Galli resistendo a tali attentati» maggiormente fu consolidarono. Così Nicomede con l’ajtito de’ Galli, e con quello della gente che trasse da Eraclea, mosso contro i Bit ioj, il paese di questi invase, e gli abitanti ne. debellò. I Galli si spartirono le prede fattes i, quali dopo essersi per ogni parte allargati saccheggiando, finamente diedero di volta, e delle terre soggiogate si riserbaròoo un tratto che oggi chiamasi Galizia, divisa-in tre porzioni, gli abitanti delfu .quali presero i nomi di Tr&gneif di Tolistobogj e di Tettosagi.l Trogoei fondarono A ne ira, i Tolistobogj Tabia > e i Tettosagi Pessi­nunte*

Nicomedem salito ad alto grado di potenza, fab­bricò io. faccia ad Asiaco una città che fu chia­mata eoi nome di lui. Assaco era stata colonia dei Megaresi sul principio della XVII olirne ade. Avea essa poj avuto il nome per ordine dell’oracolo da certo Astaco* uomo- generoso e di gran mente* della stirpe di quelli che. anticamente in Tebe dicevaiisi Sparti o Terrigeni. Questa città', molto invidiata dai confinanti, e con frequenti guerre travagliata , fattasi forte per molti coloni ateniesi in essa andati a stabilirsi, ai liberò dalle vessazioni» e crebbe io gloria e in potenza, regnando allora in Bitfuia Didalfo> Morto questo, regoò Boi irò, vissuto sino alla età di » setftanlacfuque anni. A lui· succedette Baso* suo figliuolo, il quale sbaragliò in battaglia Cotanto uno de4generali di Alessandro 9 ed assai

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35? c l a s s z m i m a ,

valoroso $ e con ciò fece che ì Macedoni eon met­tessero piede in Bitinta. Baso vìsse settaut'un aooi, e ne regnò cinquanta. £bbe poi figlio e successore ZipUe* celebre in guerra, il quale uno def luo£o- Uuenti di Lisimaco uccìse , un altro cacciò assai lontano dai confìtti f e Lisimaco medesimo respinse. Poscia, fatto superiore ad dntioco di Seleuco, che pur regnava sull'Asia e sui Maeedom, fondò presso il monte Lipero una città, a cui diede il proprio nome. Questi visse settantasei anni f e ne regnò quaranta sette , lasciando dopo di sé quattro fìgli * il maggiore de9 quali gli fu successore nel regno ; e fu Nicomede, noo fratello, ma carnefice de'suoi fratelli. Costui però rassodò vie più il-re*no dì Ritinta , massimamente coll9 avere ajotati i Galatì a trasferire la furo sede in Asia , e colP avere fondata la città di Nicomedia, della quafu abbiamo

a

Alcun tempo dopo i narrati fatti i Bisaatioi presero a far guerra contro i Calasfunì , colonia degli Erac>#*ti, e contro gl’ istriani: e ciò fu a cagione di Tomi, emporio vicino ai Calaziaoi che ivi intendevano fare monopolfu di merci. Gli uni e gli altri mandarono deputati ad Eraclea, cercando ognuna delle parti che gH Eracliesi fu prestassero ajuto Gli Eracliesi non vollero prestarsi alfu sol­lecitazioni dì nessuno ; bensì spedirooo £ a Bteaotini, e a Calili a ni ambasciadori, perchè ai venisse ad noa transazione amichevole i cosa però che noi» ebbe effetto. I Caiaziani 'dopo aver sofferti mo lti rovesci dovettero venire appetti,} nè ebbero com­penso di quanto aveano perduto.

Nou passò poi malto tempo <he Nicornede* re

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s T o a t c i . z a t o c M v t * a o r * v i . 353li Bitinta, vedendosi vicino a morte, dappoiché Zeifu, natogli da un primo matrimonio, erasi r i· fuggito presso al re d*Armenia, cacciato dalla cesa paterna per fu trame delfu madrigna Etatela , ΐ cui fìgli erano ancora io tenera età, questi nominò eredi ; e ne istituì curatori Tolomeo , Antigono, il popolo di Bisanzio, e quelli di Eraclea, e di Ciao». JEetfu, con buon nerbo di truppa, acuì davano co· raggio i Galati Tolisiobogj, entrò nel regno paterno. I Bitinj volendo conservare ai papilla il domioio, maritarono la madre di questi a uu fratelfu di Nicomede i ed avuto dai curatori un esercito si opposero a Zexla. Molte battaglie seguirono fra ambe fu parti, e molte forze si consumarono t in fine si venne alla pace. Siccome poi in quella guerra molto aveano operato gli Eracliesi, i Galati ne invasero fu stato, trattandoli da nemici ; e pe-r oetrarooo sino al fìume Callete * e fatto grosso bottino ritornarono alfu loro sedi.

lo una guerra che Antioco volle fare circa quel tempo ai Bisantfua, gli Eracliesi mandarono in ajuto a questi ultimi quaranta triremi ; e ciò fece cbe fu guerra si risolvè in pure minacce.

Poco dopo morì Ariobarzanem lasciando dopo di sé un figliuolo di nome Mitridate, chVbbe discordia coi Galati ) e questi sprezzandone la fresca età , ne travagliavano il regno. Per fu che veggendone gli Eracliesi fu angustie, si posero ad aiutarlo , mandando frumento ad Amiso, onde uon mancasse alfu truppe di quel re fu vettovaglia necessaria. Per questa ragione i Galati fecero una nuota spedizione

stile contro gli Erachesi, e ue saccheggiaiooo le m e fio tanto cheiusono da ambasciadori di Era-

Fozioi V o i /. ?3

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354 C àSSZ MIMA ,

dea mitigati. Era capodell’ambasciata Ninfi* scrit­tore di storie, il qaale ottenne che i Galati par* tissero dai confini del paese, avendo dato alPeaer* cito seiceoto monete d*oro» e dugento a parte ai capitani»

Tolomeo* re d'Egitto, giunto al colmo di prò» spera fortuna, avendo stabilito di gratificare eoa doni magnifici diverse città , mandò in regalo ad Eraclea cinquecento artabe di frumento, grossa m i· sura così chiamata dai Persiani. In oltre fece nella rocca d* Eraclea fabbricare a proprie spese uo tempio di marmo proconnesio ad Ercole·■

L ’autore poi, giunto qui, tocca l'imperio de*Ro- mani, dicendo brevemente di cbe stirpe nati, come ni stabilissero in que* luoghi d* Italia, e quauto fosse accaduto prima dells fondazione delfu furo città; che priocipi avessero avuti, che guerre eoa altri fatte, cosa, stabilito il regno, fosse avvenuto ( e come in fìne la regia podestà si fosse trasmutala nell* imperio consolare. E proseguendo racconta la rotta che i Romani ebbero dai Galli * e come, pfesn la città, sarebbe stata presa anche la rocca, se noo fosse accorso a liberarla Cammino; e come ad Alessandro che passava io Asia, e cbe per fut- tere avea loro intimato che o vincessero, se si sen­tivano capaci di ottenere l*imperio, o cedessero a chi di furo era piò potente , aveano mandata una corona del valore di non pochi talenti, e come guer» raggiato aveano contro i Ta rem fui e contro Pirro epirota, che i Tarentiui ajutava j e come or vinti, or vincitori, finalmente aveano domati i nemici, e cacciato Pirro d'Italia. Poi parla di ciò ch*ebbero a fare coi Cartaginesi e con Annibale ; cosa contro

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e ro s ic i t> s i e c z i n r s o r aiti. S55gl* Ispani ed altri, e Scipione, con prospera guerra fecero ; come questi, dagl* Ispani proclamato re , rifiutò un tafu onore', come Annibaie debellato ebbe a fuggire. Quindi viene il passaggio del mare Jo~ nio, e la guerra con Perseo* erede di Filippo uel regno di Macedonia , debellato per avere da gio­vane temerario rotto il trattato che eoi Romani su o padre avea fatto, e condotto poi> in trionfo da Pao/o Emilio. Finalmente dice di Antioco* re della Siria· della Comagena e della Giudea, ro to fu due bat­taglie , e cacciato d* Europa. Così toccate le cose de* Romani, l*autore ritorna al filo della sua- storia.

Gli Eracliesi, veduti i generali de* Romani pas­sali in Asia, mandarono atnbasciadori, stati ricévuti cortesemente, e riportarono lettere piene di uma­nità, scritte da Paolo Emilio con le quali promet- levasi furo che il senato satehbe stato ad essi amico, né furo sarebbe mai all* uopo ihaocato fu prudenta e la cura de'Romani. Poscia mandarono ambasciata anche a Cornelio Scipione cbe conqui­stò ai Romani l’ Africà , per confermar 1* amicizia dianzi dichiarata. Cercarono ancora con nuovi a*n- basciadori di rimettere in grazia de* Romani À n · tioco ; e quel re esortarono a cessare la guerra cbe coi medesimi faceva. Cornelio Scipione, rescrivendo agli Eracliesi usò la formola: Scipione* imperadore € proconsole de Romani* al senato e al popolo de*

Eracliesi salute. Nella qual lettera assicurava rata e (erma la benevolenza verso di essi, già-di­chiarata e sciolta fu guerra con Antioco. Ne*senei medesimi di £uc<o , scrisse eziandio. P. Cornelio Scipione* fratello di lui, e comandante dell’a rinata. Poco dopo Antioaj rfunovò fu guerra contro i

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356 c i a s s z raiNA,Romani , e violo io una battaglia data eoo tutte fu sue forze, depose le armi, ed accettò le condU ziooi della pace accordategli , per le quali egli veniva escluso da tutta l'Asia Minore, ed era spo­glialo degli elefanti , e delParmata navale , a lui lasciate soltaeto la Siria, la Comagena e la ‘Giudea. Eraclea fu egualmente ben trattata dai generali romani succeduti ai giù nominati , fino a che si venne tra i Romani e gli Eracliesi a stabilire che sarebbevi tra ambe le parti ooo solamente amici­zia, ma alleanza, contro chi, e a favor di chi oc* correste i e questo trattato fu io doppio inciso in due tavole di bronzo, una rimasta presso ì Ro­mani, e deposta oel tempio di Giove Capitolino, l’altra mandata io Eraclea, e messa nel Sacrario di Giove.

Dopo avere Memnone tutte queste cose esposte sei libri XIII e XIV della sua storia, incomin­ciando il XV riferisce quello che segue. Prusia , re di Ritinia, dic'egli, uomo di sommo ingegno, s pronto, e per molte imprese fatto celebre, fra le altre cose, s* impadronì con le armi di Ciero, città del dominio degli Eracliesi, chiamandola dal sao nome Prosiade. Prese egli pure T io , soggetta egualmente-.alla furo giurisdizione, onde per tal modo venne a serrare Eraclea da ogni baoda col mare. Ed era anche sul punto d'impadronirsi di Eraclea medesima, se non fosse accaduto che mentre qbel re voleva scalarne le mura, uo colpo di pie· Ira uscito da alcuno de’ propugnaceli non gli avesse speszata una coscia. Questo accidente obbligò Pra~ sia a desistere dall'assalto} ed anzi cosi ferito, fu •da’ suoi Bitini trasportato fu taesao a cocenti dofuri

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STO»*CI X SIOOatFS M OPAKl. 357al suo paese ; hè passarono molti anni cbe, zoppo di nome e. di fatto, fìnì di vivere*

Nou erano ancora i Romani passati fu Asia, quando i Galati abitatori del Ponto*. bramosi dì tentare il mare, cercarono di occupar prima Era- elea, credendo l'impresa non difficile, poiché motto era diminuita in poteoza , ed avea giù a poco a poco incominciato a cadere m disprezzo. Scesero dunque a guerreggiarla con tutte le furo truppe. Non si dimenticò essa de* suoi alleati } ma per quanto potè nel momento, si rafforzò Andato quindi S'assedio alquanto in lungo, i Galati cominciarono e sentire carestia di vettovaglia t essendo' pro- prfu d'essi correre alle imprese di guerra per impeto d 'i r a , e non provveder prima quanto a ben condurle è necessario. Adunque essendo una gran parte di furo partita dagli accampamenti per cercare il bisogno, i cittadini uscirono fuori, pre­sero gli accampamenti, ed uccisero gran numero di nemici ; e fecero agevolmente prigionieri quelli cbe eraoo dispersi per la campagna. Ciò produsse che appena una terza parte dell'esercito furo ritornasse al paese. Dal qual fatto gli Eracliesi coocepirona Speranza di risalire alla pristina fortuna e celebrità.

Amici, come si è veduto essere stati gli Eracliesi {fui Romani, nr^entre questi facevano guerra sulfu coste d'Afrtca, ne'confini di Cadice· i primi man­darono furo in ajuto due quadriremi coperte, e finita prosperamente quella guerra,l'undecimo anno quelle navi ritornarono al paese, premiati eccelleutemente i valorosi uomini che in esse aveano servito.

Ma intanto sorse l'aspra, guerra'di Mitridate £ontro i Romani. Pretesto a questa fu fu Cappadocia;

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3 5 8 c l a s s s r a n a ,essendosene fatto padrone quel re dopo aver messe fu mani addosso fraudolenteihente ad Ariato% fi­gliuolo di una sua sorella, giacché diami gli avea giurata pace, e trucidato egli medesimo. Fino da ragazzo Mitridate si era veduto inclinato aHe stragi# Divenuto re di tredici anni* non tardò molto a cacciare in prigione sua madre « cbe dal defunto marito era stata lasciata consorte del regno col figlio; e tanto Mitridate la tenne chiusa, che per questo* e pel dispetto della sofferta violenza1 quella donna mori, Egli ammazzò anche un fratello cbe avea. Messosi poi a far guerra, soggiogò i re dei paesi 'giaceoti intorno si fìume Fasi , penetrando sino al di 11 del Caucaso; ed esteso il regno, e sen­tendosi potentissimo, naturalmente s’alzò a pensieri superbi. I Romani intanto guardandolo con occhio sospetto « a far prova di fui decretarono, ch’egli avesse da rimettere ai re degli Sciti t loro domtnj paterni; il che eseguì egli mostrandosi uom mo­derato; ma frattanto fece una lega coi Parti, coi Medi , con Tigrane , re d’Armenia, e coi re degli Sciti, e con gl’Iberi $ e molti altri motivi diede di guerra, spezialmente questo, che avendo i Romani fatto re di Bitinta Nicomede % figlio di Nocomede e di Nita, a quello egli oppose uu altro Nicomede detto il Frugale. Però a malgrado suo prevalse fu creatura de’ Romani.1 Passato alcun tempo dòpo questi fatti, e fu cose romane essendo fu gran disordine per fu guerre civili tra Siila e Mario, Mitridate ordiuò ad Ar* cheìao, generale del suo esercito, che con quaranta mila fanti, e dieci mila cavalli assaltasse i Bitiuj* i quali, venutisi al fatto d’armi, furono battuti, e

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S tO ft tCl X IT O M A H PftOFAlfT. 3 5gNicomede dovette mettersi io fuga con pochi dei suoi· Di che giunta nuova a Mitridate, avendo a sua disposizione fu truppe ausiFftri, levò il campo che teneva in Amasia, e marciò per la Pafìagonia eoo centocinquanta mila uomini. Mario % che non avea seco, oltre pochi Romaui, se non se le troppe di Nicomede, le quali al solo nome di Mitridate si sparpagliavano, dovette cedere a Menofanet altro capitano di Mitridate* sicché perdalo tutto l'eser­cito sparì de'quei luoghi. Allora Mitridate inva­dendo fu Bitinta o’ebbe la città, e il paese senza venire a battaglia ; e delle altre città delΓAsta una porzione ebbe por forza, e uoa porzioue volonta­riamente si arrese. Sicché improvvisamente si fece no gran cambiamento di cose; ed a*Romaui ri­masero attaccati i soli Rodiotti. Mitridate qufudi mosse furo la guerra per terra e per mare ; seb­bene sia da dire che tanto era il valore e la for- tuoa de*Rodiotti che maocò poco che datasi uoa battaglia nasale il re medesimo oon cadesse nelfu nani de* nemici. Avendo poi Mitridate saputo che i cittadini romaoi dispersi per le città dell’Asia cercavano di guastargli i suoi disegoi, scrisse a quelle città onde iu uuo stesso giorno mettessero a morte quanti Romani eraoo presso di esse » e le piu di queste ubbidendo, fecero tanta strage che in un giorno solo piò di ottantamila persone rima­sero trucidate.

Quando poi si videro Eretria, Calcide, e tutta PEubea datesi a Mitridate che a lui eraoo pas­sate anche altre città, e i Lacedemoni n*erano stati t fu t i , i Romani mandarono Siila con buon eser­cito contro quel re. All* arrito di Siila parte di

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3So ctissz pai v a ,quella città si diede a lui spontaneamente , parto fu ridotta a forza : sbaragliò egli» e mise in fuga fu truppe del Ponto, prese Ateoe, e l’avrebbe de­molita, se non gli fosse giunto un ordine del se* nato io contrario. Dopo molti combattimenti, nei quali le truppe del Ponto fecero mirabili prove, me otre erano ritornate vittoriose vennero prese da mancanza di vettovaglia a cagione che s'abu­sava dell’abbondanza, e non sapevansi (are eoa buon ordine le distribuzioni ; e sarebbonsi le genti di Mitridate ridotte a pessimo partito , se presa Amfìpoli, e perciò avendo a divozione la Macedo» ni a, Tassile oon avesse somministrato quanto oc-, correva. Questi , ed Archelao, unite insieme fu truppe che comandavano, ebbero sotto le loro ban­diere piò di sessanta mila uomiui; e s’ernno pian* tali nella Focide per far froote a Siila. Questi iotanto, preso seco Ortensio, che condotto avea d’ Italia sei mila uomini, si accampò fu modo da fusciare tra sé e i nemici un ampio intervallo ; e e come poi i soldati di Archelao si disperdevano senza alcun ordine per cercar vettovaglie , Siila colse la buona occasione, assaltò gli accampamenti, e i più valorosi prese ed uveite ; indi fatti accendere de’ fuochi per ingaunar quelli che senza sospetto della invasione ritornavano , sopra essi ancora piombò; e cosi riportò una piena vittoria.

M i Iridate intanto accusando i Chii d’avere pre­stato ajuto ai Rodiotti, mandò contro quelli Dori- lao9 il quale, sebbene cou molta fatica, pur giunse a prenderne la città, e ne distribuì le campagao alle genti del Ponto, gl’ indigeni facendo imbarcare e gettare qua e là sulle coste dell* Eusino. In quella

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s t o r ic i s stoc ttn taorsin, 36toccatione gli Eracliesi ch’era do amici de'Chii, nel passar che fecero quelle navi piene di Chii* fu as­salirono, e come non trovarono resistenza, fu con­dussero alla loro città ( e somministrarono larga­mente ai Chii quanto loro occorreva in quella cir­costanza v indi poi ben forniti di provvigioni H rimandarono alla loro patria.

Circa quel tempo il senato romano diede il ca~ rito della guerra mitridatica a Valerio Flaoco s a Fimbria, ordinando furo di ajutar s’egllsostenesse fu parti del senato * e . diversamente d* fueominciare la campagoa col combattere lui* Siila da principio trovava» io molte angustie, per* ciocché avea contro e gran carestia di provvigioni, e fu fortuoa delle armi. Ma saputosi opprofìttare di ogoi favorevole circostanza, per fu terre de’Bfuat*» tini {passò in Bitinta, e di là spiatosi a Nfuea, potò ivi accamparsi· Fiacco* mentre di malattia»* solIViva che l’esercito si mostrasse più affezionate a Fimbria , essendo questi nel comando più di* screto ed umano ; e perciò avendo mosso querefu tanto contro Fimbria stesso, quaoto contra i più distinti tra gli uftkiali, da due di questi, sdegnati del procedere di fu i, fu trucidato* Del qual Catto il senato molto si risenti contro Fimbria* sebbe ue credette di dovere dissimulare, e procurargli ansi i l consolato* Intanto aveodo Fimbria Γ intero co* mando dell’esercito le città trasse a sò, quali dì buona voglia, quali per forza, se noo che il figliuolo d i Mitridate* unito a Tastile* a Diafa*le ed a Ménandrot capitani vafuntissfuii, congrqpso eser­cito andò ad assaltare Fimbria e da prima fu forse de* Barbari prevalsero. Per fu cbe Fimbria volendo

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con qualche stratagemma risarcirsi dei danni avuti , dacbé i nemici per numero di soldati erano a fui superiori, si approfittò dell* occasione, e fu questa* Erano i due eserciti separati da un fiume; ed noa grossa pioggia sopravvenne sul far dell9 aurora. Fimbria adunque fa all’ improvviso passar quel fiume da9 suoi soldati* ed assalta nelle tende i nè* miei tanto assorti nel sonno che uoo sentirono fu gente venuta furo addosso \ sicché fu strage che d*esst fu (atta riuscì oltre misura ; e pochi furone i capitani e cavalieri che poterono scampar delfu morte; tra i quali fu Mitridate, figliuolo del re , il quale potè salvarti, e andare a Pergamo, ov'era suo padre, accompagnatovi da un corpo di cavalleria. A tanta rotta delle forz* del re, assaissimo città si diedero a* Romani.

Intanto come Mario era ritornato a Roma, Siila temendo che gli eccitasse contro il popofu delfu dominante, fiera essendo tra essi due rfuimicizia, mandò inviati a Mitridate ; suggerendogli che facesse pace coi Romani. Abbracciò· il consiglfu quel re volentieri; e Siila recossi a congresso prontamente; ed essendo venuti V un l* altro ad incontrarsi, Dardano diede ad essi ospizio per trattare. Ivi fatti allontanare ministri e cortigiani, conciti userò di questa mauiera t che Mitridate la* sciasse l’Asia ai Romani; che a'Bitiuj e Cappadoci fossero dati re di loro nazione; avess’ egli sicuro il regoo di tutto H Ponto. Che pei iu particolare desse a Siila ottanta triremi, e trenti la talenti, onde rhornnrefa Roma , come avea pensiero. Alle città che aveano seguite le parti di Miiridate% i Romani di ciò noo facessero colpa. Ma questa condizioue

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STOHTci z BiooRin rzopiin. 3θ3non fu poi eseguila , perciocché i Romani molte di esse trattarono acerbamente. Siila dopo quella pace onorevolmente ritornò a Roma; e Mario fu costretto ad uscirne* Mitridate andò nel suo regno ; e costrinse a ritornare sotto la sua dominazione molte genti che per Γ avversa fortuna da lui sof­ferta, se n'erano sottratte.

Era stato nel frattempo dato il carico dell* guerra a Marena , a cui Mitridate rappresentò il trattato concluso con SiUat facendo sentire come dovea tenersi buono. Ma non rimase Marena et- pacatalo di ciò) specialmente perchè gl' inviali di Mitridate erano Greci, e filoso!) di professione, i quali anziché sostenerne fu parti, presso il gene­rate romano fu incolparono. Adunque egli mosse l'esercito; e confermò Àriobarxane nel regno di Cappadocia; e alle frontiere del regoo di M itri» date, per assicurarsene 1* ingresso, fondò la città di Nicea. Così stando fu cose e Murena e Mitridate spedirono gente ad Eraclea, sollecitando Γ uno contro l’ altro soccorsi. Gli abitanti di Eraclea ve'? dendo da una parte la potenza de' Romani formi· debile, e dall'altra temendo la vicinanza di Attiri- date, risposero agPinviati, in tanta procella di guerra * molto avere essi a fare per difendere i proprj lari; taoto essere impotenti a prestare ajuto agli altri* Non pochi però consigliaron Marena ad assaltare Sfuope; così dalla reggia del nemico in­comincia odo la guerra, perciocché se gli avvenisse di conquistare quella città, facilmente avrebbe au* che le altre. Ma il re Miiridate l’ avea fortificata e presidiata bene; ed incominciate poi fu ostilità* da prima le forse* sue prevalsero ; poscia si bifuu-

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5 6 4 CLASSZ M IM A ,

ciarono; e cosi la foga di combattere scemò. Per fu quale cosa egli si ritrasse nel paese internò verso il Fasi e il Caucaso; Murena ricondusse fu sue truppe nell'Asia ; e Ognuno di loro badò a governare i propr) paesi.

Non molto dopo Siila mori ; e il senato mandò Aurelio Cotta in Bitinia «, e Λ. Lucutlo nell'Asia , con ordine ad entrambi di tirare innanzi fu guerra contro Mitridate. Questo re avendo pronto un nuovo numerosissimo esercito* e quattrocento tri­remi, e quantità di legni mioori d’ ogni fatta* mandò Diofanie M itero con molte truppe iu Cappadocia, ingiungendogli dt presidiarne fu piazze ; e se £a« cullo entrasse nel Ponto-, d*andargli incontro, e d* impedirgli il passo. Egli poi con cento cinquanta mila uomini a piedi, e dodici mila a cavallo ; se­guiti da centoventi carri falcati, e da ogni genere di macchine da guerra, a marce sforzate attraver­sando la Timoni!ide, fu Cappadocia e la Galizia , il nono giorno giunse in Bitinia. Nel frattempo Lucullo avea - ordinato a Cotta di rimanersi con latta Tannata nel porto di Calcedonio.

Anche l’armata di Mitridate era in moto. Que­sta, passando presso Eraclea, non fu dagli abitanti della città ricevuta; ma però essi accordarono a qoapti v* erano sopra di provvedersi sul mercato d’ogni cesa occorrente. Cosi aperto l'adito, conforme il costume, alfu compere e alle vendite, Archeimo che comandava quell’ armata, fece arrestare Sileno e Satira, due oobili di Era elea v né li lasciò in libertà se non dopo ch’ebbe indotti gli Eradiesl ad ajutarfu io qUelfu guerra contro i Romani eoo cinque triremi* Per questo fatto» meditatotela Aicfwlaù oonfurberie,

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s t o r ic i ζ · s io o r a f i rion in . 365il popolo di Eraclea incontrò l'inimicizia de*Ro manti Laonde come in altre città i Romani mettevano impo­ste e gabelle, la stessa cosa fecero anche in Eracfua per quella ragione ; ed essendo entrati iu città gli appaltatori esigendo daoaro, in grave affanno cad­dero gli abitanti, prevedendo quello essere pria* ci pio di servitù. Per la qual cosa * portando il caso cbe mandassero iuviati a Roma, supplicanda i l senato che li liberasse da tanta calamità, in vece essi fusciaroosi Sedurre da certo arditissimo uomo, e vennero al latto d’ammazzare i pubblicani eoa tanta secretezza, che a nessuuo venne io mente che fossero morti.

Segui poi uu combattimento navale presso CaU cedonia tra i Romani e i Pontici» nel tempo ia cui'gli eserciti del re , e de*·Romani erano alfu prese io terra. Cotta comandava i Romaui, Mitri - date gli altri. I Basterui misero fu truppe degli Italiani iu fuga, e ne fecero amplissima strage. P i eguale maniera andò il combattimento navale * cosicché uel medesimo giorno io terra e in mare si vide Torrendo spettacolo di cadaveri d e v omant che ingombravano tutto, ottomila essendo rimasti morti nella battaglia navale, e quattromila e cin­quecento letti prigioneri; e delTesercito terrestre cinquemila e trecento. Di Basterò· uoa morirono che trenta uouiiui, e settecento dell’altra moltitu­dine. Per questa grande vittoria di Mi iridate gli animi di tutti caddero in sommo abbattimento 9 se neo che Lucullo, udita quella ruina , mentre tra* cavasi accampato sul fìume Sangario, i suoi iocor raggiò con assai acconcia parlata.

I t o pot con grande animo Mttridaie V f r t o C i·

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zico , nell’atto d ie voleva spingere su queHa città fu truppe, gli venne alle spalle Lueullo, che, avett* dolo assaltato, riportò sopra i Pontici una memo· rabil vittoria, più di diecimila uomini esseodo ri­masti morti sul campo e tredicimila fatti prigionieri· Intanto i soldati di Fimbria ; caduti in sospetto cbe i capitani dell* esercito fossero per fidarsi più d’essi a csgiooe di quanto fatto aveano a Fiacco, tacitamente mandarono a Mitridate i promettendo* gli di passare alla parte di lu i; il quale, cono­scendo quanto ciò poteva essergli utile, venuta notte commise ad Archelao che fermasse i patti , e conducesse seco quelli che volevano aggiubgersi al suo partito. Ma que*soldati, appena Archelao fu giuntola loro, il legaroao, ed uccisero tutta fu sua scorta. A questo infortunio si uni it) danno dell’ésercito reale la fame, per la quale molta gente morì. Nulla ostante però tante disgrazie, Mitridate per alfura non si levò dall’assedio di Cizico; seb­bene poi sema averta espugnata , e dopo avere sofferte e cagionate molte perdite , non tardasse molto a partirne. Allora mise alla testa dett'eser* cito Brmeo e Mario , i quali guidavano ognuno trentamila uomini, ed egli deliberò di ritornarsi per la via del mare. Ma non fu . senza disgrazie nemmeno in questa occasione ; perciocché affoU landosi t Soldati per entrar nelle navi , atteso il disordine e la moltitudine, alcune navi pél troppo carico si affondarono con quanti v’ eraoo entrati , altre rovesciaronsi. Il che veduto dai Ciziceni , questi assaltarono gli steccati de* Pomici, trucida­rono gli ammalati lasciati i v i , e portarono via quaoto per avventura poteva esservi rimasto. L u ·

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storici x uociu n n orim . 367dnifu , inseguendo l* esercito , lo raggiunse all’ im­provviso al fìume Esippo, e ne fece gran macelle· M iiridate, raccolte come potè nuove forze nel Ponto, assediò Perinto , e uon avendo potuto im­padronirsi di quella piazza, passò fu Bitinta.

Poscia venuto Barba con nuove truppe d'Italia, e Triario , generale de* Romani, fu da essi fatto 1*assedio di A p a m ea , i cui abitauti per qualche terttpo avendo con le loro forze resistito, finalmente aprirono loro le porte. L* esercito romano pigliò pure la ciuà di Prusa , giacente presso il monte Olimpo dell*As ìa. DÌ là l’ esercito si recò a Pru- siade, situata sul mare, anticamente detta Ciero; luogo a cui è fama che approdassero gli Argo­nauti, e dove dicesi che si smarrisse /fu , e che molte avventore incontrasse E rcole, mosso a cer­care quel giovanetto per que' contorni. Tosto che i Romani si appressarono a quella città , furono dagli abitaoti ben accolti , cacciatone il presidio pontico. Poscia si voltarono verso Nicea, che avea guarnigione messavi da Mitridate , fu quale , ve­duto che gli animi de* cittadini inclinavano verso i Romani, di notte ne parti, andando a raggiun. gere Mitridate in Nicomedia. Niuua fatica ad un- que costò quell* acquisto ai Romani. Questa città trae il suo nome da certa JVaide , ninfa , e fu chiamata Nicea, e venne fondata da alcuoi Nìceni, i quali erano stati nell* esercito dì Alessandro, e ch e , dopo la morie di lui , ritornando in patria, fermaronsi ivi , e le diedero popolo e forma dj città. Quella Naide Nicea di cesi nata da Sangario* dominante del luogo, e da Cibele , la quale, pre* ferendo fu virginità alla convivenza con uomo »

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368 eiASSa mima ,▼isse nelfu montagne e si ooeupò delfu eaecfugion«ύ Bacco s* innamorò di le i , ma essa il rigettava* Laonde, veduto in nessun* altra maniera poter averla alle sue voglie, ebbe ricorso alPinganno ; e rfuganno fu che empì di vino fu fonte, alla quale, stanca del caccfuce, Nicea era solita ad abbeve­rarsi ; ed essa ,< che noo si accorse delta frode , bevuto ch’ehbe , grave del capo e caduta in pro­fundo sonno , fu , nou volendo , fa ci fu preda al proeace amatore; cosicché da essa eacque poi il «ftgiiro ed altri figli. Gli uomini che furooo i fon­datori e popolatori della città di cui partiamo, erano prima vicini alla Focide» ma perchè di poi ribellaronsi, i Foce si li cacciarono dal paese, e ne demolirono te abitazioni. Noi abbiamo riferito come Nicea avesse quel nome e da chi fosse fou- data , e come veuisse in potere de* Romani·

Mitridate intanto rima ne vasi in Nicomedia. Cotta, volendo riparare i passati danni, da Calcedonia , eve avea toccata la rammemorata scoofìtta, mosse fu sue truppe verso Nicomedia , piantandone gli accampamenti alla distanza di centocinquanta stadj, e guardandosi dall* impegnare uua battaglia. Colà a marce sforzate recossi di suo proprio moto TVta- rio t e M tridate si chiuse in città. Entrambi gli eserciti romani prepararonsi ad espugnarla. Ma il re, informatp di due battaglie navali, seguite una verso Teoedo , 1* altra oel mar Egeo, e viute da Luca/fu , né trovandosi in forze per far fronte ai Romatti, mosse la sua armata verso il fìume, ove, sorpreso da fiera tempesta , perdette alquante tri­remi. Nondimeno con molte altre recossi nel fìume Ipio, dove, mentre fermossi, così obbligato a fure

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STOBIcr z BlOGRtfl PROPINI. 36$dalla tempesta, avendo, udito essere al governo di Eraclea Lamneot a lui da molto tempo congiunto in amicizia , con molte promesse il dimaudò che volesse ajatarlo onde venisse accolto nella cittò. A tale effetto avea anche mandato danaro. Lamaeo fece quanto il re chiedeva, ed ecco come. Appa» reccbiò egli un lauto banchetto fuori della città agli abitanti della medesima, durante il quale di- chiarò che le porte non rimarrebbero chiuse, e il popolo beo beue avvinazzò. Coutemporiinesmente era stato d'intelligenza cen Mitridate che io qnel medesimo giorno il re avesse da sopraggioogere. E così avvenne ; e Mitridate si fece padrone della e ittà , senza cbe dell*arrivo suo si subodorasse. Il giorno dopo il re convocò a parlameuto la plebe, fu esortò con belle parole a serbargli fede , e ne consegnò il presidio con quattromila uomini a Connacorige. Il pretesto preso da fui fu che avrebbe difesi i cittadiui e conservata la città, se i Romani C ontro gli* u dì e Γ altra avessero fatto alcun tentativo. Quindi', distribuito danaro tra*cit­tadini , e specialmente tra ϊ m agistrati, parti alla volta di,Sinope.

Lucullo , Colta e Triario , uniti insieme gli eserciti presso Nicomedia , pensarono di fare una irruzione nel Ponto. Ma saputa 1* occupazione di Eraclea, nè iuformati ancora del tradimento, e Credendo che il fatto fosse avvenuto per generale consenso della città , fu idea di Lucullo eh* «gli marciasse contro il re e il regno col grosso del- 1* esercito, passando pei paesi méditerranei e per la Cappadocia ; che Cotta andasse ad espugnare Eraclea, e che TYinrfu, preso il comando dell'ar*

FoiiOf Voi, L 34

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& J 0 CLASSE P f t I U i ,

mata, nel ritorno che far doveano le savi di M i· iridate spedite in Creta ed io Ispagoa , le inter­cettasse versò 1* Ellesponto e la Propontide. Delle quali cose informato il re , si diede a nuovi *ap- parecchi di guerra , sollecitando i re degli Sciti , il Parto e Tigrane* armeno» suo genero. Gli altri si rifiutarono; ma Tigrane, quantunque per fungo tempo tardasse, eccitato continuamente, non senta sua noja, dalla moglie, figliuola di Mitridate^ pro­mise infìue di ajutarlo, Iatanto Mitridate mandò diversi de* suoi generali contro Lucullo ; e dopo molte battaglie date con vicendevole fortuna , ora prospera ed ora avversa, per lo piò i Romani ebbero vantaggio , è a Mitridate incominciò a mancar Γ attimo. Messi iusieme però quarantamila nomini a piedi e ottomila a cavallo , li assegnò a Viofante e a Tassile , i quali, unitisi ai generali mandati prima , da principio fecero la piccola guerra con marcie» contromarche e attacchi di po­sti , e cose simili , esplorando di tale maniera gli eserciti le loro forze. Poscia si venne a due for­tissimi incontri tra la cavalleria d* entrambe fu parti, D e l l 'u n o de* quali fu/o no vincitori i Romani e nell*altro i Pontici. E mentre seguivano queste cose , mandò in Cappadocia una partita per tras­portar provvigioni ; co$a che, saputa da Dio/ante e da Tassile t indusse questi a spedire quattromila fanti· e duemila cavalli , onde * postisi a mezza S t r a d a in aguato, togliessero i convogli che sareb­bero coudotti al campo de* Romani. Ma quando le due partite v e n n e r o ad azzuffarsi , i Romani ,

rinforzati da Lucullo con altre truppe» rimasero superiori, e i 9*rbari dovettero darsi alla fuga.

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STOBI C I, Ζ BIO G Birr ΡΒΟίΛίΠ. 3 y iDietro ai quali sempre piò i Romani spingendoti, giunsero agli accampamenti di Diofante e di Tassile, ove , fattasi la battaglia maggiore , poco tempo i Poutici resistettero; e poiché pei primi dal campo si allontanarono i capitaui , Γ esito del contatti* mento non rimase piò iocerto ; e que* capitani medesimi furono quelli cbe andarono ad annun­ziare a Miiridate la strage de* suo*» In quell* in­contro peri uo gran numero di Barbari.

In questa maniera volgendo la fortuna di Mitri- date in peggio, ed ammazzale le sue mogli, egli dai monti Cabiri, ov'erasi tenuto per alcun tempo na­scosto, $i diede alla fuga» nella quale sarebbe anché stato preso dai Galli che lo inseguivano , te lo avessero conosciuto di persona e se non si fosse dato il caso che s* imbattessero iti uoa sua mula carica di preziose robe, e d'oro e d'argento, per­ciocché perdettero il tempo in far quel bottino. Egli si riparò in Armenia.

Lucullo mandò contro Mitridate Pompeo , ed egli con tutto l'esercito s'incamminò ai monti Ca­biri ; e circondata la città , avendo i Barbari do­mandalo di trattare, si accordò eoo essi* cd ebbe in poter suo la piazza» Di là voltò verso Amiso; e perchè gli abitanti non lo ascoltarono, si portò ad assediare Eupatoria, per piò facilmente pren­der la quale fece vista di andar molto trascurato neU*espugoazione , ad oggetto che , fidali nell'ap­parenza , i nemici stessero poco attenti, ed egli potesse poi sorprenderli all* improvvisa Così av­venne di fatto, e eoo tale stratagemma la città fu presa ; imperciocché mentre fu sentinelle e fu sguardie a tutl' altro pensavano , fatto mettere fu

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CtASSZ ri!M i ,scale alle m u ra , vi fece entrare i suoi soldati. Presa cbe fu Eupatoria, egli la demolì. Poco dopo fa, per iscalata , presa anche Amiso ; ed entrativi i Romani dentro, da prima si fuce gran macello de* cittadini, ma poi Lucullo sospese ogni violenza, e la città e il paese restituì a quelli eh9 erano ri­masti 9 usando verso .di essi maggiore clemenza che verso altri»

Mitridate, giunto da suo genero, non potè o t­tenere un abboccamento con lu i; ma però ebbe una guardia e tutti gli offìcj deH'ospitalità. E come Lmcullo avea spedito a Tigrane Appio Clodio, domandandogli per mezzo di lui Mitridate, quel re noi consegnò , dicendo , troppo temere egli il rimprovero che fatto gli avrebbero tutti gli uo­mini se dato avesse nelle mani de9 nemici il pa­dre di sua moglie. Sapere egli in vero essere Μ Ϊ- tridate un uomo cattivo , ma dover rispettare i vincoli della parentela. Rispose anche in lettera in tali sensi a Lucullo ; la quale lettera irritò quel R om ano, perchè Tigrane non gli diede il titolo d'imperatore ; il che fece perchè anche Lucullo , scrivendo a l u i , avea omesso di chiamarlo re dei re. E qui finisce il libro X V della storia di Mem- none. Ecco poi ciò che segue.

Cotta marciò verso Eraclea, ma prima condusse l'esercito a Prusiade. Questa c it tà , dal fìume che le scorre presso , era stata chiamata Ciero ; m a

avendola tolta agli Eracliesi il re di B itin ia , l a

chiamò dal suo nome. Cotta di là scese al Ponto, ed oltrepassata la spiaggia marittima, andò a p o rre il campo presso le mura piantate sull*altura. F i - davanti gli Eracliesi nella fortezza del lu o g o , «

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s t o r i c i i « m e a m r a o r iK T . 3 ^ 3

r ispondevano vigorosamente, col presidio cbe ave* vano, airimpelo di Cotta, sicché molti Romani vi perdevano la vita. Pativano però anche gli Era­cliesi. Durando essi nella difesa, Cotta richiamò i suoi dall* assalta, e tratto piò discosto il campo, intese solamente, e con gran diligenza , ad impe­dire agli assediati le oase necessarie. Per fu che nata in città gran carestia , mandarono deputati alle coloofu per comprar vettovaglia, e i furo de* putati furoao benignamente accolti.

Triario intanto * iu breve tempo messa in or­dine Parmata, a partitosi da Nicomedia, assaltò fu triremi pontiche, che di sopra dicemmo essere state mandate a Creta e in Ispegna ; ed avendo eeouto che fu altre aveano dato di volta, molte di esse essendo anche perite o per tempesta di mare,o in combattimenti incontrati· coltene quelle cbe trovò presso Teoed o , venne con esse al fatte dVrmi. Settanta triremi erano le sue, fu pontiche erano poco meno di ottanta. Da principio queste sostennero Piropeto de' neiniei, ma poi presero fu fuga; onde, sparpagliate, diedero piena vittoria ai Romani : e così fu perduta tutta Parmata di M i- tridate con esso fui uscita verso l'Asia.

Cotta poi , cbe stava sotto Eraclea , non avea ancora mosso tvtto P esercito per espugnarla, ma adoperava alcune partite di Romani, alla testa dei quali faceva camminar* de* Bitfui· E mentre molti r imanevano feriti, con opere e con macchine an­dava ispirando animo » una testuggine sfugofur#· mente cbe fece fare , più d*ogni altra, mise epa* veuto negli assediati. Con questa adunque tutte fu forze de* soldati impiegò, applicandola ad uua

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3 7 Ì classe n i M i ;

torre che dava speranza di vederla precipitata a terra. Ma battuta e ribattuta con tutto l* impeto, nou solamente, contro l'aspettazione, rimase salda, ma P ariete stesso , eoo ■ isfasciamento di tutta la macchina, si spezzò. Presero gran coraggio da questo fatto gli Eracliesi , e in gran turbamento cadde Cotta, incominciando a temere che la città non potesse cadere. Avendo messa a nuova prova quella macchina, il giorno appresso, senta miglior costrutto, la fece abbruciare , e agli artefici che l*aveaóo costrutta fece tagliar la testa. Quindi la­sciato presso le mura uu presidio , col rimanente esercito andò‘ a mettere fu stanze in uu campo detto il Liceo, luogo ove era larga copia di vitto; e devastato tutto il paese intorno ad Eraclea, ne mise gli abitanti in grandi angustie. Questo fu motivo peichò la città mandasse inviati agli Sciti» abitanti nel Chersonaeso , ai Teodosiani e ai Di­nasti, de'contorni del Bosforo, per avere aiuto ; «osa che non riuscì senza effetto. Ma nel meotte9che al di fuori Eraclea era travagliata dai nemioi, gravi angustie soffriva nell' interno ; perciocché i soldati cbe la presidiavano nou erano contenti di ciò di che il popolo viveva , e a forza di basto­nate volevano obbligare i cittadini a dar loro quello che non avevano. E più importuno de9 sol­dati era il loro comandante Connacori%e% il quafu non.solo non proibivate violenze de*suoi, ma le permetteva loro apertamente. Dopo poi che Cotta ebbe devastate le campagne, di nuovo assaltò la città; ma vedalo che i soldati vi si prestavano debolmente, desistette dai suoi tentativi, e mandò a chiamare Triario , onde prontamente venisse

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eoa fu triremi, per intercettare agli assediati ogui comunicazione dalla parte del mare.

Tr tatto per tanto tohe seco quante navi ave a * e venti di Rodi, cbe insieme facevano quaranta* tré, passò uel Ponto; e dell*arrivar suo concerta» tosi con Cotta, accadde che nello stesso giorno Cotta conducesse Γ esercito sotto le mura delfu c ittà , e Triario te stendesse dirimpetto, dalla parte del mare, l'armata. Pel reoentioo apparir di quelle navi turbenonsi gli Eracliesi» e treota delle furo, ma non abbastanza armate, mandarono fuori, e tutti del resto intesero alla difesa delle mura. Alle furo navi y inoltratesi iu alto mare contro i nemici, i primi » muovere furono i Rodiotti, per perizia e fortezza più degli altri popoli riputati ; e nel subito urto tra le due parti tre navi dei Rodiotti e cinque degli Eracliesi andarono a fundo; poi, sopravvenuti con fu loro i Romani, dopo re­ciprochi danni ruppero gli Eracliesi, e li obbliga* rono a fuggite verso fu città eoo la perdita di quattordici navi , entrando essi intanto vincitori con la furo armata nel porto maggiore. Coita dalla parte di terra noo potò ancora far nulla · e dal­l'assalto cbe teatalo avea richiamò il suo esèrcito; osa fu navi di Triario , ogni giorno ascendo dtl po rta , impedivamo « chiunque cercasse di portar -provvisioni di avvicinarsi alla* città. Gran earestfu adunque ebbe a soffrirsi iv i , a segno che una misura di frumento, dette ctitnice* valeva fìno ad ottanta attici. Alle altre 'sciagure poi s* aggiunse anche la peste, fusse per mutasfune dell'aria, fosse per fu cattive cose di che i popolani erano co* stretti a cibarsi; e per tante diverse calamità f u

S t o r i c i z b toc i i f i r a o r i f f i . 3 ; 5

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eti ss a m h u ,diversi modi gran numero d'uomini andava iw h rendo, tra i quali fu tanche Lamico* il quale però coesumossi con più acerbi dofuri e più luoghi cbe gli altri. La peste avea attaccato in ti^olac mode i soldati del presidia, cosicché di tremifu eh* erano dianzi mille morirono»

Con notorige, disanimato da tante calamità, pensò di eonsegnare la città ai Romani eoo le mina degli Eracliesi, procurando la propria salvezza. E a questo disegno suo prestava mano un certo Era- cliese, emulatore de* consigli di Lamaco$ e per fu morte di quello succedutogli nel pesto. Chiama* vasi eeslui Demofili. Connacori^e non fìdavati di Cotta, ehé malvagio e sleale il conosceva, e per* ciò si rivolse a TVfurìo* e ne Tu mezzano Derno*

f i l i; sicché poi fermati i patti, per l’ adempimento de* quali entrambi speravano d’ esser beati , die* dero mano al tradimento. Delle trame loro intanto usci voce tra la moltitudine ; onde si radunò la concione, e si chiamò il comandante del presidio» a cui Brittagora, uomo di pcincipafu credito tra i cittadini * apertamente espose la situazione . delfu città , e domandoli? scegli approvasse die per fu saluto comune s*aprisse trattata con Triario* Di queste oase parlato avendo Brittagora in tuono lamentevole , quai veniva ospitalo dalle presenti miserie , ed aggfunte preci caldissime , Cannaco* rige altamente rispose non essere da cercar pace, bensì doversi star, furti odfu confìdensa di miglior fortuna e nella conservazione della libertà ceaanne, sapendo egli da lettere avute che il re era stato ottimamente accplto da Ti&raoe, suo genero , nò tardato avrebbe quel monarca ad accorrere in

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STORICI Z M O G A ln F R O riH f. f y f

soccorso della città. Falso era il dir di costui » e eoo grandi parole amplificava l e to ta Onde tratti in inganno gU Eracliesi per la ragfune cbe srm~ pre si crede a ciò che si desidera, alfu astute bu­gie di fui ν come u verità , prestarono fude. Ma qòando Conrtacorige li vide così quietati» nella seguente notte egli con tutti i soldati suoi u scì, ed imbarcossi sulle «avi romane ; così per patto accordato con Triark* « eh* egli andasse salvo con fu sua truppa, portando seco quanto avessero. Dal canto suo DemofiU, aperte le porte , fece entrar dentro Triamo e l’esercito de* Romeni, aleoni dei quali , mentre i piò erano affollati alfu porta , ai iottódussero travalicando le mura. Allora ceoob* bero gli Eracliesi dessere stati traditi, e parte di essi si arrendè a’ nemici, parte si lasciò trucidare. Tutto poi vfun messo a ruba , e crudelmente si trattano i cittadini, irritati i Romani dalla memo* r ia di quanto sofferto aveano nel combattimento navale e nel lungo assedio; perciò nè meno quelli lureno risparmiati ebe si efano tratti a* piedi de­gli altari, ma ivi è ne1 sacrar] tutti spietatamente, quantunque supplichevoli, immolavansi. Per fu ebe molti pel terrore d* inevitabti morte, «aitati giù delfu mura, si dispersero per tutto il paese, e al­cuni si videro costretti a rifuggirsi presso Cattai Da questi informato della presa della città, della strage della gente e del saccheggiamento d’ egei cosa, acceso d 'ir a , volò alla città. Nè egli solo, ma tatto l'esercito fu dolente, non solo di vedersi spogliato. della gloria per quanto di splendido aveano fatto , ma eziandio di rimanere defraudati «fui premio. E sarebbero venuti aHe mani co* furo

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3 ^ 0 CLASSE HUMA ,

stessi compatrioti, se Triario, veduto il mal umore suscitato f con belle parole noo avesse placato Coita « e non avesse altamente promesso di met­tere in comune tutto il bottino. Così fu impedita una guerra tra loroi

Tosto che poi Coita udì che Connacotige avea oceupate Tio ed Amastri, iodilatameute spedi Tria- rio a cacciare colui da que* luoghi ; ed egli* fraU tanto, ricevuti quelli che si erano spontaneamente dati, e i prigiouieri, tutte le cose prese a gover­nare con la più crudele sevizie ; e nel cercare in ogni luogo quanto potea trovarsi di cose preziose, niun riguardo ebbe alle sacre ; imperciocché levò fu statue e le pitture, che belle e mohe erano da per tutto » e con esse l'Èrcole che era nel fóro e Pomato suo, disposto a piramide, che per la spesa, per la grandezza e pel lavoro non oedeva a nes­suna opera delle più celebrate. Eravi la clava fatte a martello , e d’oro purissimo ; eravi la pelle del leooe, di che il Nume veniva coperto; eravi fu faretra, d* oro anch* essa , con dentro Paroo e fu frecce. Molte altre belle e mirabili cose levò dai templi e dalle città, e tutto fece trasportar sulle Davi , e io ultimo ordinò ai soldati cbe alla città attaocassero fuoco , e P abbruciò in molte parti* Cosi fu presa e soggiogata Eraclea» dopo che avea sostenuto uu assedio di due aooi* Triario intaato recatosi alle giù dette città , quelle a certi patti prese, data sicurtà d’audare ove volesse a Conna* corigei che avea creduto con Poccupazione di quelle poter nascondere il tradimento usato ad Eraclea. Cotfa$ fìnita Pimpresa, siccome si é narrato , Pe­sete ito consegnò a Lucullo* e mandò le truppe

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degli alleati ai rispettivi furo paesi, salendo egli poi sulla flotta. Una parte delle navi, eh' erano delle spoglie della città sopraccaricate, non lungi dal lido affondò , una parte da contrario vento e da procelle spinta in secche, fu sì agitata e scossa, cbe assai soffrirono le cose trasportate.

Ltonippoy che, insieme con Cito cari, da Mitri­date avea avuto il comando e la difesa di Sinope, circa quel tèmpo, veggendo disperate fu cose, mandò a Lucullo per dargli quella città. Ma CUo- ceri, unitamente a Seleuco, commissario ivi messe dal re, e di eguale autorità con que* dne, subodo­rato il maneggio di Leonippo, chiamò la concione, ed entrambi querelarono colui. Ma il popolo, che teneva per uomo buono Leonippo , non prestò fede all’accusa; per lo che la fazione di Cleocari > temendo il troppo favore io che presso la plebe era colui « di notte improvvisamente I' assaltò e Puccise. Di mal animo soffrì il popolo quel fatto» e Cleocari co* suoi, credendo di salvarsi dalla pena dovuta al commesso atteotato, impossessatosi del comando, cominciò a governar da tiranno. In­tanto Censorino , comandante delP armata de' Ro­mani, con quindici triremi recando vettovaglie dal Bosforo al campo de’ suoi , approdò a Sioope i d’onde uscito Seleuco con triremi sinopest, attaccò Pannata romana, la vinse, e le navi da trasporto, cadute in poter suo, divennero preda di lui e dì Cleocari· Insuperbitisi costoro dei favori ottenuti dalla fortuna, più tirannicamente ancora trattavano fu città, mandandone a morte gli oppidani seoza processo, e la crudeltà loro esteodendo a molte altre cose* Ma non tardò a nascere fra furo f u

STOBtCt S BfOCBlri PRO r i ITT. 5 ^ 0

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38o classi ratti* »discordia, volendo Cleocari continuare fu guerra , e Sehuco intendendo di fare mano bassa su tutti i Sinopesi, e di dare poi la città ai Romani, pat~ tu itane un* ampia rimunerazione. Ma non avendo essi potuto accordare, messo sulle navi quanto possedevano, passarono a Macaria figliuolo di M i· iridate che alfura stanziava nella Colcbide.

Erasi Luculio accostato a Sinope, e mentre fu stringeva con forte assedfu , Macari gli mandò una deputazione* chiedendogli amicizia ed alleanza: Benignamente ricevette Lucullo quella deputazione, e rispose che avrebbe aderito alla proposta, pur­ché ai Sinopesi Macari non mandasse vettovagliai e questi non solo accettò il patto, ma di più fece audere a Lucullo fu provvigioni ch'era no destinate a MUridate. Veduta tal cosa quei della fazione dì Cleocari 9 perdettero ogni speranza di sostenersi, ed imbarcale tutte le ricchezze che poterono, data ni soldati permijeidne di saccheggiar la citili, di notte navigarono tatti nell’ interno del Ponto , ri­parandosi solla costa abitata dai Saneg} e dai Lazj. Nel partire e#si aveano attaccato fuoco al rima­nente della flotta, dal cui incendio conoscendo LuctUlo cosa fosse accaduto, fece scalare fu mura dai soldati, i quali sulle prime fecero grande strage de* miseri abitanti. Ma sentita pietà d* essi Lucullo, ordinò che si cassasse. In questa maniera Sioope cadde in potere de* Romani. Resisteva per anche Amasia, ma non tardò guari a darsi essa stessa atta loro fede.

M i iridate, fermatoti uo anno ed otto mesi nelle parti d'Armenia, non potè mai ottenere di vedere suo genero ma finalmente, pregato e ripregato di

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STORICI Z BfOOBAFl F IO PANI. 3 8 1

permettergli un abboccamento , Tigrane gli andò con molta pompa incontro, e lo accolse con reale magrtificeoza. Però passarono tre giorni prima che venisse a parlamento con lui. Indi con lautissimi banchetti avendogli dimostrata la sua benevolenza,il rimandò nel Ponto, provveduto di diecimila uo* mini a cavallo.

Intanto Luculio entra in Cappadocia 1 e preva­lendosi dell'amicizia di Ariobarzane, re del paese, improvvisamente con un corpo di cavalleria passa 1' Éufrate , e va ad assaltare la cittù in cui avea saputo che Ti^rane teneva le sue concubine, e fu più preziose e care sue cose. Poi lascia truppe che assedino Tigranocerta , ed altre che lo stesso facciano delle città piò cospicue. Cosi da molte parti assaliate l'Armenia, Tigrane manda a ri­chiamare Mitridate, e spedisce uo esercito per difendere la città nella quale erano le sue donne* Q uesto esercito , avendo potuto con una grandine di saette impedire ai Romani di uscire dai loro steccati, potè mandar fuori della piaiza, di notte­tempo, le donoe e il tesoro; quando poi fu giorno, i R omani e i Traci, venuti al fatto d'armi con gli Armeoi , fecero di questi ampissima strage , nè furouo meno de* morti quelli che presero vivit ma le persone e le robe mandate innanzi a Ti­grane rimasero salve.

Questi per salvare Tigranocerta , e cacciarne lungi i nemici s'inviò a quella volta con ottanta* mila uomini e vedendo la meschinità dell'accam­pamento romauo, superbamente disse che se quelli erano ambasciadori erano venuti in troppi, ma in pochi se nemici. Dette fu quali cose si accampò.

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3 8 a CLASS* TZlMA ,Ma Lucullo compose con singolare iogegno il suo esercito , e eoo accoocio discorso messa fìdaosa ne* soldati , il destro corno degli Armeni imme­diatamente fugò, poi trattosi .contro il corpo vi­cino , tutti voltarono le spalle» Graode fu dunqueil disordine, e a proporzione del numero graude la strage. Tigrane, dato il diadema e le altre io- segne reali a suo figlio , andò a ripararsi a certo castello; Lucullo, dato dì volta, ritornò sotto T i- graoocerta , e strinse f assedio eoo maggior forza. Allora i legati di Mitridate , i quali eraoo nella città, vedendo le cose disperate, si diedero a Lu­cullo , assicuratisi la vita.

Mitridate poi, ritornato a Tigrane, gli fece co- raggio, e fu adornò d* insegoe reali noo meno splendide delle usate. ludi lo consigliò a mettere iosieme uo esercito , aveudo anch'egli un numero non disprezzabile di soldati, giacché con la vittoria sarebbe si rifatto dei daoni della guerra. Ma T i- grane fece arbitro dì tutto Mitridate , poiché co* nasceva quanto valore e quanta prudenza avesse, e quaoto fosse esperto nella guerra coi Romani., Intanto , mandati ambasciadori a Frodate , re dei Parti, domaoda che voglia permettergli di usare della Mesopotamia , delTÀdiabeue e delle così chiamate Grandi Valli; e come giunsero a Fradate anche ambasciadori di Lucullo , quel re fìnse coi Homaoi d'essere furo amico ed alleato , e finse la stessa cosa con PArmeno.

Intanto ritoroato Cotta a Roma , fu dal senato con opor ricevuto , ed iosignito del soprannome di Pontico per aver presa Eraclea. Ma saputosi poi come egli si era condotto , veuoe in odfu a

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s t o m c i i b i o g r a f i p k o f a h u 3 8 5

tutti , e le grandi ricchezze portate seco gli crea­rono invidi?. A distruggere questa , la maggior parte delle spoglie nemiche mise, nel pubblico erario; ma,presso i Romani ciò uon giovò, co­munemente credendosi che nell* erario non avesse deposto che la minima parte. Fu anche fatto de-, creto che i prigionieri di .Eraclea sì mettessero io libertà.Uno di quella città infelice, di nome Tra* simede, prese ancora ad accusar Cotta iu pubblica concione , e a ricordare V affezione del suo paese Verso i Romani, dicendo che se diversamente era paruto, la colpa essere stata non de* cittadini, ma de' magistrati, e tutto effetto di fraude e di vio­lenza nemica. Poi mise innanzi il luttuoso spetta­colo dell’ incendio deplorabile e il guasto orrendo avvenutone , e come Cotta fece sua preda le sta- tue distrutte, come rovesciò, i templ i , come mille altre nefande cose commise; e a parte a parte an­noverò la quantità pressoché infìttila d'oro e d'ar­gento, e ogni alira ricchezza della città che volse in proprio lucro. E queste cose accompagnò eoo sia· g ulti e con pianto, ed accrebbe la commiserazione Taspetto di una moltitudine d'uomini, di matrone, di ragazzi, tutti vestiti a luito , c tutti con acute grida di dolore chiamando misericordia , ed al­zando palme d'oliva che tenevano nelle mani; sic·* chè i Romani e i maggiorenti tra loro rimasero tocchi. E fattosi in mezzo Coita, poiché ebbe detto nella sua lingua alcune cose, alzatoglisì contro Carbone: Noi, disse, o Cotta, ti commettemmo di prendere quella città, non di rovesciarla. E dopo lui altri ancora fecero un simile rimprovero a Cotta. Da molti si pensò che meritasse Γ esigi io :

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5 8 4 CLASSE PRIMA ,

nondimeno si usò moderazione, e gli si tolse so!· tanto il laticlavio. Agli Eracliesi poi fu restituito paese , porto e mare , con la promessa dichiara­zione ehe nessuno d'essi fosse io servitù.

Fatte queste cose, Trasimede rimandò alfu pa­tria la moltitudine , ed egli con Brittagora e con Propiloi figliuolo di Brittagora, fermatosi in R oma alcun tempo , gli affari deLsno paese procurò * e passati alcuni »uni in tali faccende , con tre navi cariche ritornato in Eraclea , cercò con ogni ma­niera di richiamarla, per dir cosi, a nuova vita. Ma con tutti i suoi sforzi , appena potè mettere insieme ottomila uomini da lavoro , che tanti fu­rono di numero. Brittagora poi, crescendo già la città , fece sperare al popolo Γ antica libertà ; e passati non pochi anni , mentre Piirtperio romano cadde in potere del solo C. Giulio Cesare , andò a lui insieme con altri deputati de’ più nobili , e tra questi era anche Propilo. Ove , fattosi a lui conoscere , ed ammesso anche nella sua intimità , ebbe sì la promessa, ma a primo tratto la liberta che cercava non potè conseguire , poiché Cesare non fermossi in Roma, chiamato altrove da gravi affari. Noo ristette però Brittagora dal proposto , accompagnando continuamente Cesare da per tutto, e sempre standogli innanzi agli occhi insieme con Propilo ; tanto che quell* imperadore non oscura­mente dimostrò approvare la domanda di fui. Pas­sati dodici anni nella familiarità de*Romani , nel punto in cui Cesare avea stabilito di ritornare a Roma, Brittagora, consuuto dalla vecchiaja e dalle fatiche, cessò di vivere , e lasciò la patria sua in,, gran pianto. E qui finisce il XVI libro delle sto­rie di Memnone $ che abbiamo compendiato*

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STORICI c BIOGKAri PROFARI· 385Scrillor prudente apparisc'egli in questa storia,

e dà ad essa uo bel carattere di sveltezza. Pone diligenza in essere chiaro* usa digressioni, singo­larmente obbligatovi dalla necessitò e dalla con­venienza de* fatti stranieri , troppo counessi col suo argomeuto. Nè peTÒ fa ciò frequeutemente , ma quando se ne sente stimolato ; e sempre ri* torna al proposito. Adopera poi parole usitate , e non fu muta che assai di rado.

Nulla ho da dire degli otto libri che vengono dopo i sedici già indicati , perciocché uoa mi è ancora avveouto di vederli.

N I C E F O R O

PATRIARCA DI COSTANTINOPOLI

tPlTO M I s t o r i c a .

Prende incominciamento dalla morte di Maurizio^ C. 66 e procede sino al matrimonio di Leone e à% Irene.Il suo stile non ha superfluità, nè oscurità; e con somma diligenza ha usate parole scelte, e compo­sizione di discorso nè troppo sciolta , nè troppo stretta » ma quale potrebbe adoperare qualunque retore od oratore veramente perfetto. Schiva ~egli le nuove espressiooi ; uè omette quello che l'anti­chità e l* uso hanno approvato. Gli coucilia favore fu giocouda maniera da essofui tenuta nel dire; e, per comprendere tutto io breve, egli oscura tutti quelli che prima di fui scrissero storie, salvo che per essere troppo breve sembra non avere tutta la venustà che potrebbe in esso desiderarsi.

FoziOy Voi. L a5

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3 8 6 CL4S9Z FBIMS,

MALCO SOFISTA

LIBAI vii ni STjDBIS JISàìiTINà.

8 Incomincia dal tempo in coi Leone% imperatore» Tanno diciassettesimo del suo regno mori. Narra per* ciò l’ inaugurazione di Zenone, e come questi visse poi cacciato dal trono , e ritornato in condizione di privato j eosì pure come deponesse la porpora Basilisco » λ lui sostituito , e quindi il ritorno al trono di Zenone , e la strage di Basilisco, la cui moglie, e i fìgli, per una iniqua legge furono in­sieme trucidati. Simifu sorte ebbe Armato che avea ricondotto Zenone, quando questi fu da Onulfo ucciso. Riferisce pi|r$ le sedizione di Tendineo 9 fìgliuolo di Triario $ e Γ amicizia di Teuderico, figliuolo di Malamijco*i e la guerra coll’altro Teu· dericót e la battaglia contro Zenone, e la ribellione di Marciami* e prima di questa fu futidie contro Zenone della suocera Benna* e l'esilio perpetuo di Marciano % siccome fu prime insidie della stessa Berma tramate contro Illo i e come T^nderi^p « figliuolo di Malamiro, fraudoleulemeqte occupò Epidamno. Raccontate queste cose tocca eziandio quelle de’ Romani ; e termina il settimo libro eoo la. morfu di Nepote che della imperiale dignità spogliò GliceriOt ed invase il. trotto» lui da impe­ratore facendo far eherico, e in appresso costi* tuendo, vescovo., dal qpafu poscia insidiosamente fu .rufuate· Questi, setto libri sii storie indicano parecchi altri precedenti essere stati da, esso Malto scritti; e il prfuc^io del primo di questi ietto di-

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STORICI t SIOOZAr i p r o f a n i . 3 5 7

mostra fu medesima cosa ; cerne pur si vede nel settimo ebe se avesse avuta più lunga Vita avrebbe scritto socors di piò.

Fu questo M&lco di Filadetfìa, e valentissimo quanto ognun altro nello serivere fu storfu, poiché è poro, niente ridondante» non confuso, usando parole e frasi sommamente fiorite e significanti , tendenti a eerta grandezza e pompa * nè lascia di

.adoperare voci e frasi nuove ; e quando egli s’alza con certa veemenza , fa che quelle abbiano alcun che di sonero e di grandioso. Laonde parmi espri­mere tutto «pianto richiede la giusta norma del sermone storico. Applicatosi alki professione di sofista giunse all'apice deila rettorie»; e debb’tfnno- verarsi, in quanto al culto religioso, tra i Cristiani*

NONNOSO

STOHIA DELLZ IiZOiZlONf.

Quest’opera comprende quànto concerne fu am - C. bnscerie , di eui Nonnoso fu incaricato verso gli Etiopi, gli Omeri ti, e i Saraceni, nazióne allora potentissima, ed altre verso altri popoli orientali.

Fu a quel tempo imperadore de’ Romani Già· stimano* e principe de’ Saraceni era Katso, nipote, di À rexu , il quale tenuto avea dianzi quel prin­c ipato, e a cui era stato spedito come ambascia* dote l’ avolo di N&rtnoso dall’ imperadore Ano* statio, ed avea concbiuso uu trattato di paCe. Lo stesso padre di Nonnoso , Àbramo di nome, era stato mandato in ambasceria a’ que* medesimi Sa­raceni sotto il principato di Alamundaro, regnando

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388 c tu sz prima ,l ’ imperadore Giustino ,. per ottenere la libertà, come fece, di. due generali romani, caduti prigio­nieri di guerra, Timostrato e Giovanni.

Kaiso, a cui fu spedito ambasciadore Nonnoso% reggeva due popoli, tra i Saraceni chiarissimi, i Chiodini e i Maadeni. Anche il padre di Nonnoso era stato inviato a quel Kaiso da Giustiniano m e­desimo, prima di lu i; ed avea conchiuso, un trat­tato, pel quale Kaiso dato avea in ostaggio un suo figliuolo chiamato Marna, stato condotto ali’ Im­peradore io Costantiuopoli, La spedizione poi di Nonnoso avea 'avuto due oggetti : uno de’ quali era di condurre a Giustiniano, se ciò fosse possibile, Kaiso medesimo; e l’ altra di recarsi presso il re degli Auxumiti, che chiamavasi Elesbaa% eoa com­missione inoltre di recarsi presso gli Ornanti. Auxuma era città assai vasta, e quasi capitale di tutta l’ Etiopia, volta piò al mezzogiorno e al le­vante di quello che Io sia l’imperio romaoo* Non- noso scampato alle insidie di molte genti barbare, e ai pericoli delle belve feroci, come a tutti gli altri disagi che pur ebbe a soffrire, condusse a termine i suoi viaggi, e ritornò salvo alla patria.

Narra egli dunque qualmente, essendo stato una seconda volta Àbramo a Kaiso , questi por tossi a Costantinopoli , diviso avendo il suo governo tra Ambro c leiidop suoi due fratelli, e che egli ebbe dall’ imperadore il governò della Palestina , dove seco lui si portò una moltitudine d’ uomini suoi sudditi.

Ecco poi alcune particolarità da Nonnoso esposte*Dice che quelli che presentemente chiamansi

Sandali, gli antichi li chiamarono Ai bili.

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STORICI z BlOOBér i ΡΒΟΓΑΜ. 38ρ

Dice che per la più parte i Saraceni, tanto quelli che abitano nel Fenicooe, quanto quelli che soggiornauo oltre il Fenicoue , e i monti chiamati Taureai, hanno per sacro un certo luogo, dedicato ad alcun J)io, ove due volte alPanno concorrono. Uno di que* concorsi dura un mese intero e ciò accade circa la metà di primavera quando il sole è nel segno del Tauro * l’altro dura due mesi ; e ciò accade dopo il solstìzio estivo» Questi concorsi sono .mirabilmente pacifici, nou tanto per parte dei Saraceni medesimi, quauto anche rispetto ai fore.- atieri, i quali capitino colà ; e giungono que* po­polani a dire che ffuo le bestie feroci e seco me* desime , e con gli stessi uomini vivono iu quei tempi tranquillamente· Nonnoso narra altre cose meravigliose, e molto simili alle favole.

Lungi da Auxuma per un capunino di quindici giornate è Adulioj e Nonne so racconta che passaudo egli iusieme co* suoi pel paese dello Aue, il quafu è a metà strada tra quelle due città, vide un graude spcttacolo.i e fu una tale quantità di elefanti che si credettero da quasi cinque mila. Quegli elefanti pascolavano iu uua vastissima pianura nè era fa­cile ad alcuno degl* indigeni avvicinarsi ai mede­simi, né cacciarli da quel pascolo.

Parla egli aucora del clima tra Aue e Auxuma, chè estate e iu verno sono ivi rispetiivamente al. coutrario. Perciocché fino ad A u es quando il sofu é ue* segni del Caacro, del Leoue e della Vergiue, l*estate è come da noi', e la stagione è somma­mente secca; ma da Aue ad Auxuma ed oltre verso fu rimanente Etiopia, iu que* medesimi mesi corre inveruo gagliardissimo \ e non tutto il giorno, ma

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590 c l a s s z m i m a , βτοι et a B io e a A r t « z o p a n i .

solamente fucomfuciando dal mezzodì, tempo in cui costantemente comincia un grande a «nuvola mento che rende Paria oscurissima, e che dirompe posc ia in grosse piogge, per le quali tatto il paese viene inondato. Itt quel tempo appunto scorrendo il Nilo ampiamente per 1* Egitto, ne allaga hi terra coinè un mare. Quando poi il sole si trova in Capri· corno, in Aquario e ne* Pesci , gli Aduliti sino ad Aue hanno uo profiuvfu di pioggia} mentre da Aue ad Auxuma , e alla rimanente Etiopia allora si fu estate, e la terra matura i suoi frutti.

Navigando Nonnoto da Farsa, fino all*ultima delle Ìsole che a tale direzione si trovano, ebbe a veder cosa che fa maraviglia anche al solo udirla· $* incontrò egli in cert*unS, di forma e figura sivvero umana, ma che erano di statura piccolis­simi , neri di pelfu, e tutti pelosi della persona. Simili agli uomini erano fu doune , e i ragazzetti anche più piccoli. Tutti andavano nudi e sola­mente gli adulti coprivansi con qualche poca cosa le pudeode. Nessuno però d*essi avea alcun che di selvatico, o di feroce : aveano voce umana -9 tale però che quei del paese noo ne intendevano pa­rola, e molto meno poi Nonnoso e i suoi com­pagni. Ostriche di mare, e pesci gittati nell*isola dal flutto , erano il furo alimento. Nessun segno d'ardimento videsi in loro, i quali anzi al compa­rire de* nostri, furono presi da timore , come po­tremmo essere noi al vedere una grossa fiera·

me* o z i yolumz n u to.

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I N D I C E

DI CIÒ CHE SI CONTI E X E

NEL VOLUMS PRIMO.

A L cortese Lettore .................................. pag. vNotizie concer*ettt* fu Biblioteca di Fozio e

fui medesimo . . . . . . . . . » sPrejatioae · « ...................................» . n 19

CLASSE PRIMA

S T O R I C I z I I O G B i l l P R O * A NI .

A s ì t u c h i d i , Storia ........................................ » 21-r- Buratti delie Storie di questo scrittore » a3AMtitvtffo , Sopra Alessandro il gronde . » 7 9

Anonimo, Estratti della vita di PUegora. w ivi A # n a io ALesSA»DZiNo, Storia romana , li*

bri X X lV ....................................................» 8 8Anzi avo , Storie parti che, hi Uniche ed altre » 93 —* Delle Impreso di Alessandro i l grande *

libri VII . . . . . ..........................*»95Delle cose accadute dopo Alessandro* li­

bri X ....................... .................................. · 98— Le biiiniche, libri V il i . « · · · « u t

Candibo, Libri III di s t o r i* ....................... » 11SC i r*Laoifz, Le Mute* 0 sia Epitome sierica*

libri i l ........................... · * 117

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3gl INDICE.

Coitone , Racconti . . . . . . . pag. 1 19

A p o l l o d o r o G r a m m a t i c o , Biblioteca . · » ivi C t e s i a G r i d i o , Delle cose de* Persiani, //-

ò n X X III . . · · · . . · · · · i 5 j— Z)e#e cose de/P India . . . . . . * i85 Dsssippo, Libri IVdelle cose succedute dopo

Alessandro, Epitome storica fino al?impe­rio di Claudio, e delle cose scitiche . »> aoa

D a m i s c i o D am a sc e.n o . Vita <T Isidoro filosofo n ao4— Estraiti dalla pila (V Isidoro filosofo . » a 08

D i o d o r o S i c u l o » Liòrl X L de/fu storie · ·» a 5 3 ■ —■ E$tf*otti . . λ s54 D i o n e C a s sk p, Libri LX X X di storie . . n 3o5 D i o n i g i d i A l i c a b n a s s o , Libri X X di storie n 3o6— Sinopsi delle storie , libri V . . . . n 3oj Eu n a pio. Libri X IV di croniche dopo Dexippo n 3o8 Esicaio I l l u s t r e M ilesio , Storia omnigena

e romana, libri VI% e Imprese di Giustino sentore . w 3 to

Erodi ano, Libri V iII di storie . . . · » 3u Erodoto di A licarnasso , Libri IX di storie » 3*4 G ioseffo F lav io , Delia guerra giudaica, Zi-

òri f 7 i ..................... ..... 9 3t6— Dette antichità g iu d a ich e .......................n 3 1 7

— Ai òri Χ Ϊ de//e antichità giudaiche. . » 33o G iusto T ib sr i e r s £ , Cronaca d e 'r e giudei 1» 334 Mzmkokz, Storie de* tiranni di Eraclea, ci/tó

dei Ponto . ί ............................... ..... . » 335NictroRO, pa tr ia rca di Costantinopoli, Epi­

tome storica . · . . ' ............................. » 385M alcoS o fis ta , Libri VII di storia bisanUna n 386 N o n n o s o , Storia delle legazioni . . . . » 3 8 7

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W M M I W Ù h

S C E L T A

D I O P E R E

<K&E£tt3 E LATINETRADOTTE

IN LINGUA ITALIANA

po /. 4 6

B I B L I OTECA DI FOZI O

VOLUMB SECONDO

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μ ι μ ο τ κ ε δ

DI F OZI OPATRIARCA DI COSTANTINOPOLI

TRADOTTA XX ITALIANO

DAL CAVALIERE

GIUSEPPE COMPAGNONIE RIDOTTA A PIÙ COMODO USO

DEGÙ STUDIOSI

rOLVME SECONDO

M I L A N O

PE R G IO V A N N I S I L V E S T R I

M.DCCC. XXXV1.

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D I F O Z I O

SEGUITO BELLA CLASSE PRIMA

STORICI E BIOGRAFI PROFANI

0 L I M P I 0 D 0 R 0

L IM I XXII n i .TO BI*

Q o i s t o autore prende incomiociamento dal set- timo consolato di Onorio » imperadore romano, e dal secondo di Teodosio, e conduce la sua sto eia fìno al tempo in cui fu dichiarato imperadore romano Valentiniano, figliuolo di Placidia e di Costante.

Oiimpiodoro nacque in Tebe d'Egitto, e fu poeta di professione, siccome dichiara ei medesimo : egli era stato allevato uella religione de’Geutili. Chiara é la sua dicitura * ma b a s s a e sciolta, ed affogata io u n a massa di p a r o l e e di £ a s i V o lg a r i . Cosicché l’orazione suà è indegna delia s t o r i a . Di che per avventura consapevole egli medesimo, dichiara, non lutendere di presentare una storia, ma unicamente di dar materiali, o commentar] per la storia t ranto «ache a lui è paruto inforca* e privo d’ngni bèl-

Fotio, VoU IL i

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* classz m a i ,lesta il carattere delta sua dizione! £ di futto niuna bella idea qui splende, se non voglia dirsi che qua e là apparisce uua certa semplicità; seb­bene nè questa pure oousiegùe, mentre troppo vile è il genere del suo parlare, tutto plebeo, e pieno leppo d’ idiotismi. Quantunque poi chiami egli quest’opera Selva, la divide pelò in libri, e cerca di adornarla ct.ii prefazioni. Egli dedica questa Storia a Teodosio Minore, figliuolo di Arcadio, e nipote di Onorio e di Placidia.

Narra egli adunque coinè Stilicone pervenne a grande potenza, poiché Teodosio il Grande il diede per tutore a* suoi figli Arcadio ed O/tono, ed ebbe per moglie Serena, fidanzatagli da Teodosio me·* deiimo : indi data sua figlia Ter manzi a iu isposa ad Onorio % ebbe questo imperadore per genero· Molte guerre pe*Romani felicemente fece contro vnrie genti, finché poi fu ucciso per crudele opera di Olimpio che Slilicone stesso avea fatto familiare dell’ imperadore.

V.'eue poi ad Alarico% re de’ Goti, che Stiìicone avea diansi chiamato perchè stesse alla difesa del- l’ Illirico, provincia da Teodosio assegnata nella divisione,dell’unpeiio ad Onorio; e racconta come, sia per la mone data a Stihcone, sia per non es­s e r g li attenuto quanto gli era stato promesso, egli assediò .e prese Roma, e portò via da quella città uua incredibile quaiititi di danaro^ e Placidia slessa, sorella di O/torto, che stava alfuia iu Roma, condusse seco prigionie*a ·, e come prima di pren* dare quella città, proclamato avea imperadore un illustre uomo. Aitalo di «tome, che allora era.pre­fetto t cose tutte avveduto per . f u cagioni già at*

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SToztct a ztoGzsrf vzorsitt. 3eeunate, e perchè Saro, goto anch'esso, ma capi­tano di poca gente, poteva avere sotto di sé du- gento, o al piò trecento uominij del resto, uomo geneioso, e valente guerriero , fattosi alleato dei Romani, si era dichiarato nemico acerrimo di Ala* rico, e questi avea rinunciato per sempre all’ami­cizia di lui. Soggiunge poi in quell’assedio di Roma gli abitanti essere stati ridotti a mangiarsi 1’ uo l’altro ; Alarico, vivente ancora Stilicone* aver toc­cato di stipendio quaranta mila monete d’ oro- Dopo la morte di Sùlicone, essere Serena, moglie di lui, perita soffocata, per credersi ch'essa fosse stata cagione dell’andata df Alarico a Roma : uc­ciso Stilicone , essere stato ammazzato Euckerio , figlio di lui, e nato da Serena. Riferisce finalmente che il nome di buccellati a’ tempi di Onorio fu dato a’ soldati non solo romani, ma anche ad al­cuni Goti; e nella stessa guisa quello dì federati fu dato ad Una moltitudine d'uomini di niun conto, e di diversa origine : che queU'O//m/7i0 che ruinò Sti!icone , fatto Maestro degli oifìcj, poi perdette quella dignità ; e che ristabilito in potenza, ne fu di nuovo privato e finalmente fu ammazzato a forza di bastone da Costanzo che avea presa per moglie Placiclia. prima della morte essendogli state tagliate fu orecchie. Coti tal empio, uon essere andato impunito. Segue poi a dire i principali tra i Goti, che erano con Rodo^niso, essere stati detti Ottimati i ed erano circa dodici mila $ i quali tutti essendo stati debellati, Stilicene avea poi fatta lega con Rodogniso.

Morto di malattia Alarico, gli ft dato a succes · sore AdauÌfo$ fratello della moglie del medesimo.

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4 class* ρβιμα ,Olimptodoto dice che il pan secco chiamava» Bne- celiato ; e per questo esxere venuto soldati il soprannome di Baccellurj.

Esseodo stato inalzato alPimperio tirannicamente Costantino, questi mandò inviati ad Onorio , scu­sandosi che coltro sua volontà , e dai soldati co­stretto , avesse accettato Γ imperio ; domandando perciò compatimento, e d’essere accettato collega, L* imperadore lo ricevette collega, a cagione delle srugustie iu cui si trovava. Questo Costantino era stato proclamato nella Btita^nia, e tumultuariamente trattato all* imperio. Prima del settimo consolato dì Onorio , queiresercito , alzatosi in seditione » avea creato imperatore uu certo Marco ; poi uc­ciso dai medesimi, gli era stato'sostituito Gra- sfuno; il quale dopo qùatiro mesi, veouto loro a tedio, fu da essi ammazzato. Allora salutarono Co- etaniino col nome di Augusto. Costui, dato il co* mando delle truppe a Giustino e a Neovigasto, lasciando la Britannia, passò il mare co*suoi , e Tenne a Bologna, città marittima così chiamata, e posta aui confini della Gallia. Ivi fermatosi, e ag­giunti alPesercito Galli ed Aquitani, di tutta fu Gallia s* insigoorì fino alle Alpi , che separano té Gallia dall* Italia. Ebbe dtie fìgli, Costante e Giù* itatio , il primo dichiarò Cesare, e il secondo no­minò Nobilissimo.

Attalo, tenendo l’ imperio contro Onorio, si ac- Campò presso Ravenna y ed Onorio mandò a Itti come imperadore ad imperadore Giowano% prefetto e patrizio , e valente capitaoo d'ambe le militie*, e Potam, o questore, e Giulia# o% primicerio de*notai. Questi significarono ad Aitalo qualmente erano

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erosici z si oc ra ri rzoriirn 5i nviati da Onorio, onde trattare con fui della col­leganza deir imperio. Acconsente egli però con» cedergli, come innocente de*mali, di abitare ua*isola9o qualunque altro luogo che a lui meglio piaccia· Lieto Gioviano risponde che Aitato avea già spo­gliato Onorio di una porzione del regno ; di che Attalo riprendendo GfuWano, fu avverte non es­sere permesso dire che sia spogliato uo impera­dore, il quale spontaneamente rinuncia. Giobiano* stato replicataroente inviato senza concludere uuHa, final meni e sf fermò presso Aitalo t e fu da lui no- minato patrizio. In Ravenna intanto vien fatto preposto alla sacra camera Eusebio ♦ il quale poco dopo per violenza di AUovichio , e per decreto pubblico, sotto gli occhi stessi dell* imperadore fu ammazzato. Alcun tempo appresso, non secondando Onorio i voleri di Alarico, e massimamente per istigazione di Gioviano che avea traditi gl* inviati di Onorio, viene cacciato giù del trono, e rimane privato presso Alarico medesimo. Non molto dopo regnò di nuovo» e di nuovo fu obbligato d’abdi* care. Poscia ito a Ravenna, tagliategli le dita della mano dritta venne proscritto. Anche AUovichio per avere fatto ammazzare Eusebio preposto, per ordine dell* imperadore, e io presenza del mede­simo viene ucciso. 11 tiranno Costantino, udita la morte di AUovichio, mosse verso Ravenna, onde collegarsi con Onorio* soprappreso da paura, ritorna indietro.

Olimpiodoro dice che Reggio era la metropoli de* Bruzj, e racconta come Alarico volendo passare in Sicilia , ivi fu ritenuto· Uua statua inaugurata» dic*egli,che ivi era, vietava il passaggio· Era, coma

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fieoe favoleggiato , stata iiiaugqrata dagli An­tichi , tanto perchè tenesse lontaiti i fuochi del­l'Etna, quauto perchè impedisse il tragitto ai Bar­bari t perciò avea all'uno de* piedi un fuoco per­petuo, e all'altro acqua perenne. Quindi essendo stata rotta la Sicilia ebbe a soffrire e il fuoco del- FEtha, e Γ invasione de* Barbari ; fu eisa poi ro­vesciata da Esculapio , procuratore in Sicilia dei beni di Costanzo e di Plncidia.

Vinti e messi in fuga il tiranno Costantino , e Costante , suo figlio, it quale prima ra stato d i­chiarato Cesare, e poi creato imperadore Gcromio, cbe era il capitano di quella guerra, fatta pace coi Barbari proclamò Cesare suo figliuolo Massimo che era ascritto iti domestici· Quindi inseguendo Costante, Io fece morire, e intanto inseguiva anche Cosian· tino. In questo mentre Costa»lino ed Uf/ila man­dati da Onorio contio Costantino 9 essendo giunti presso Arli. ove questi trova vasi col figliuolo G iù· liano9 mettono l'assedio a questa città. Costantino rifuggitosi in una chiesa , viene ordinato sacer­dote, datagli sicurtà della vita; e così furono aperte agli assedianti le porte ; e si spedi Costantino con Giuliano ad Onoriot il cfuale non volle perdonar loro a cagione della morte che data aveano a* suoi pa­renti : onde contro la fede del giuramento h fece vendere a trenta miglia da Ravenna. Geronzio quindi, airavvicinarsi Ulfila e Costantino prese fu fuga, e venne a perire per insidie de* suoi stessi, atteso che avea assai maltrattato il proprio eser­cito. Il suo fine fu questo, che essi misero fuoco alle case in cui egli stava. Molto valorosamecte si difuodeva egli coutro gli assalitori, sebbene non

6 C U S S I PfttMA,

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storici z ΖΙΟΟΒΑΠ raorAVt. ηavesse in ajuto che un servo solo , di nazione èlano. Quando vide dispertito il suo caso , uct:isa qnell'alaoo, e la moglie propria, così domandando essi ; quindi uccise sè medesimo· Andatane la uuova a suo figlio Massimo* questi andò a ripararsi tra i Barbati·- Giovino presso Mogontiaco, città della seconda Germania, usurpò Γ impero per opera di Goare, alano, e di Ganzi ario che signoreggiava i Borgo­gnoni , a cui Aitalo fece che si unisse A dà al fo t questi si mosse a quella volta con le sue truppe. Ma Giovino malcontento dell'arrivo di Ad%\uìfo% di ciò De fece querela in termini misteriosi ad Attalo. Era per unirsi a Giovino aoclie Saro : il che ve­duto da AdaulfO) questi con dieci mila uomini andò contro Sarò, che oon ne avea seco che diciotto o venti. Fece costui mirabile difesa , egli , e i suoi eopreudosi con gli scudi; che a grande stento potè essere preso vivo: dopo di che veune ucciso» Saro avea disertato da Ottorio» poiché seppe essere stato toho di vita Beileride , suo domestico·, e 1* impe­radore non avere tenuto conto del misfatto; uè' punito chi lo avea ammazzato.

Parla eziandio di Donato, e degli Unni, e della bravura de4 re di cotesti popoli in saettare. Dice d'essere stato inviato egli medesimo e Donato agli Uniti; e descrive tragicamente quanto errò,e quauto arrischiò navigando per quella spedizione. Aggiunge come Donato fu raggirato con giuramento, indi contro Ih fede scannatoi e come Curatone, prin­cipale tra i re di quella nazione , irritato per la strage di quell*uomo commessa, si placò poi ia vista dei doni dell’ imperadore.

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§ « . a s s e rsiM A ,

Queste souo le cose contenuto nella prima de­cade dell’opera di Olimpiodoro. Ecco poi da chi l’altra incomincia.

Giovino, creando imperadore Sebastiano , suo fratello, incorre nell'odio di Adaulfo% il quale per messi fa sapere ad Onorio che gli manterrà le teste degli usurpatoti', e gli ptomene pace. Ritornati que’ messi « ed assicurato Adaufo dal giuramento, egli mandò all* imperadore la testa di Sebastiano; e poco dopo maudò al medesimo in pel sona Gi'o- vino che , assediato, avea dovuto arrendersi ad Adaulfo. Giunto alla Corte il prefetto Dardano fu uccise distia mano; e le teste dell'uno e dell’altro furouo esposte in cima a pali fuori di Ravenna, eom’erast diausi fatto delle teste di Costantino e di Giuliano; e di quelle pure di Massimino e di Zfugettio che aveano voluto usurpare l’ imperio sotto Teodosio il Grande. Fu poi domandato ad Aàaulfo che restituisse all* imperadore Onorio fu sorella Placidta ch’egli riteneva come prigioniera io Roma; e quella domanda era sollecitata spe­zialmente da Costanzo che poi l’ebbe per moglie. Ma perchè le promesse fatte ad Adaul/o, e quella, tra le altre, di provvedere l’ anuooa, non gli si erano mantenute, non restituì la principessa ; ed anzi mostrò disposizione a mettersi in guerra. Adaulfo adunque, chiedendoglisi Placidia, dal canto suo chiese il frumento promesso. Però in fine , sebbene quelli che provvisto lo aveano, non se ne trovassero forniti , dissero che quando Placidia fosse stata mandala, l’avrebbero «trovato ; e come questa per furo parte era una dichiarazione arti­ficiosa, di simil giro si servì anch’egli. Fra tonto

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*T0MC1 z BIOCCA FI rBOFÀHt. §

passò a Marsiglia * e cercò d* impadronirseae per sorpresa t ma nella mischia che occorse, ferito da Bonifacio, uomo nobilissimo, a stendo potè salvar fu vita fuggendo, e si ritirò alle sue tende , eoo grande allegrezza di quella città che di lodi, d'o­nori, e d’ogni dimostrazione di gratitudine colmò Bonifacio.

Lo stesso Adattifot mirando alle nozze di Pia- ridia* mosse querele gravissime a Cosiamo che la desiderava, a segno da far concludere, che se uo,a otteness’egli quelle nozze, si potesse dire ch’egli avea giusta ragione di ritenerla.

Costanzo, il quale era stato in addietro desi­gnato console, ottieoe jfualmente d’essere -creato tale in Ravenna* e con esso lui fu console in Co­stantinopoli Costante. Loro sufficiente per soste­nere le spese del cousolato trovossi ne’ beni di EracVano , stato ucciso per affettare l’ imperio , sebbene io sostanza IadIo non riuscisse , quanto si era sperato j chè uon inootava a due mila de- oari» e ij beai stabili ascendevano al valore di due mila libbre. Con tutto ciò Onorio regalò tutto a Costanzo alla prima domanda che fece.

Era Costanzo qual vedevasi in pubblico, di volto malinconico e tetro \ con occhi spalancati, con alta fu testa» ma poi inclinandola *ino al collo del ca* vallo, su cui era salito * e volgeva obbliquamento qua e là lo sguardo a modo cbe pareva a tutti , come con frase antica si dice, fìgura degna d’iin- pero. Però nelle uoe, e negli altri simposj era si. giocondo e civile che molte volte a tavola gareg­giava scherzando coi mimi.

Pec cura e consiglio di Candidiamo 9 si stabili-

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I O e t A.1S* Piti M i ,

scono le nozze di Adaulfo e di Piaci dia; e Pepeea d’esse venne fìssala in uu giorno del mese · di gen- najo, in Narbona, città della G.«llia, e in casa di certo Ingemo* nom principale di quella città. Que­sti, sedendo Placidi a nel luogo più degno, entro l’atrio, all’ uso romano, e vestila aila reale, si as­sise accanto n lei , e cosi Àdaufo , vestito della clamide e d'ogni altro ammanto romano. Tra gli altri doni dì nozze, fece Adaufo anche quello di cinquaota bellissimi ragazti tutti vestiti di seta , portante ognuno d’essi con ciascheduna mano due graodi deschi, uno pieno d’oro , l’altro pieno di pietre preziose, o, per dir meglio « di prezzo inestimabile * cose che dal sacco di Roma i Goti aveano portato via. Poi cantarousi versi epitala­mici , intuonandoli Adaulfo, seguito indi da Ra* etacioj e da Febadi0f% e fu dato fine alla festa nu­ziale con giuochi, e con allegrezza de’ Barbari e de’ Romani che erano intervenuti.

Dopo che Roma fu «tata presa, ritornando già essa al pristino suo alato, Aibino, prefetto delta città, scrisse non bastare gli as^gnameuti fatti al popolo per la moltitudine cresciuta4 in prova di che al­legava che in un solo giorno aranti giunti quat­tordici mila cittadini.

Adaulfo, avendo da Placfdia avuto no figlio, a èui diede il nome di Teodosio* pareva prendere piò amore allo stato romano i ma gli sforzi di lai, e della moglie p!acidia% per istabilire una ri* conciliazione e ia pace, furono vani, resistendo sempreC o stanto e quelli ehe a fui erano «fiaccati. Si diede poi il caso che il figlio nato morì ; e fu da smbi « suoi genitori molto pianto: i quali ne

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storici z etoGiuri propali. vifecero chiudere il·cadavere in una cassa d'argento, e Io seppellirono in un tempio di Barcellona.

In appresso fu ucciso Adaulfo stesso, mentre S ta v a osservando nella stalla, c o m ' e r a accostumato d i fare, i suoi cavalli; e ciò fa per mano di un Goto sup domestico, di nome Debbio \ trovata op­portuna quella occasione per soddisfare ad un odiò suo antico. L'odio eia nato da q o e & to , che Adaulfo avea ucciso un primo padrone di questo Dobbio, che era re di uno parte del paese goto; poi preso avea Dobbio tra i famigliati: sicché per uno strano pensamento colui a vendetta del primo suo pa­drone avea violeutemeute ammazzato il secoudo. Adaul/o sul punto di morire ingiunse a suo fra­tello di mandare Placidiλ ad Onorio* e gli racco­mandò di fare quanto mai fosse possibile per ricon­ciliare insieme, i Goti e i Rom ani, e perchè vi* vesserò entrambe le nazioni in mutua amicizia ed

alleauza. Ma Stagi rico , fratello di Saro, che suc­cedette nel principato', per intrigo e violenza, anz i* chè per parentela, o per legge, i figli di Adaulfo, che questi a v e a avuti da uua prima moglie, strappò dalle mani del vescovo Sigesaro, e li uccise* e ia contumelia di Adaulfo la stessa iegiua PI acidi a obbligò a camminare a piedi dinanzi al suo cs* v allo con gli altri prigionieri « per tutta la strada ebe è dalla città sino «Ila duodecima pietra. Ma costui dopo un regno di sette giorni fu ammazzato ; ed ebbe il ponto supremo Vallia.

Olimpio doro riferisce d 'aver udito da Valerio, personaggio chiarissimo, parlare delle statue d'ar­gento inaugurate per tener lontani i Barbari. Im-

-percioechè, dic’egli, a' tempi dell' imperadore Cq~

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Ϊ * CLASSE PUMA ,

stanzo* essendo quel Vai erto t prefetto nella T r a c » , furono date indicazioni di un tesoro nascosto : e Valerio ito al luogo accennato iti lese dagli abitanti ch’esso era addetto alla religione, e che le statae ivi deposte con gli antichi solenni riti erano state eonsecrate Di ciò avendo egli informato 1* impe­radore, n'ebbe in riscontro l* ordine di levare di là quauto vi era. Si scavò dunque la terra, si tro­varono tre statue d'argento massiccio, in positura barbarica, e eoa ambe le braccia a guisa di ma* nico, le cui vesti eraoo variegate, ben capelluto iu testa , e rivolte a settentrione, che è il paese de* Barbari. Tolte cbe furono di là , uon passa­rono ih e pochi giorni, e si vide una invasione di Goti in tutta la Tracia * e poco dopo accaddero incursioni d* Unni e di Sarmati nell* Illirico, e nella l'racia medesima , tra lé quali province era appunto il sito dell’anzidetta consecrazione, e le tre statue parevano propriamente inaugurate contro tutte leggenti barbate.

Passa poi Olimpiodoro a parlare della sua na­vigazione, e dei disastri da lui sofferti* e dice es­sere approdato ad Atene; e per mezzo suo essere stato messo sulla cattedra de’ sofisti Leonzio, quan­tunque questi noi volesse* e intorno al pallio dei sofisti dice a nessuuo, e molto meno a forestiere « essere stato permesso diportarlo in Atene, se non nel caso che gli fosse stato conceduto per suifra~ gio de’sofìsti medesimi, e dalle leggi con certi riti confermata una tale dignità. Que* riti poi, ecco quali erano. Primierameute i novizi che si pre­sentassero, grandi, o piccoli, si conducevano al bagno* e tra questi anche quelli, i quali per fu età fossero

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STOBICl Μ Β106ΖΑΠ VftOFAKl. l 3capaci dì assumere il pallio ; i quali gli scolastici, che li guidavano, mettevano in mezxo; e facevano loro intorno uu grao bagordo, alcuni andando in­nanzi, e impedendo ad essi d* innoltrarsi, gli altri all’opposto incalzandoti. Quelli che impedivano di andare innanzi, gridavano: età , sta\ non lavarti. Però in mezzo al contrasto pareano vincere quelli,i quali in onore del candidato, agli altri resistendo,lo spingevano avanti. Finalmente dopo alcun tempo, e dopo lungo garrir di parole, secondo Puso, colui che conducevasi» veniva introdotto iu una camera calda, ed ivi si lavava· Rivestitosi poscia, riceveva Pouore del pallio , e cou esso sulle spalle usciva del bagno, e cou gran pompa accompagoato pio - cedeva ì e davasi splendido trattamento ai prin­c ipali delle scuole, chiamati Acromiti.

1 Vandali chiamano i Goti Trali, per la ragiooe cbe questi uoa volta trovandosi presso a morir di fam e, comprarono dai Vaudali una trula di fru­mento per una mooeta d’oro, e la trula era una misura che non giungeva a cootenere la terza parto di un sestario. Mentre i Vandali devastavano f us

Spagne , i Romaui che si erano chiusi entro le cittfe murate, vennero a tale miseria di vettovaglia, d ie si videro ridotti a mangiarsi l’ uu l’altro Ivi nna donna , madre di quattro figliuoli , ti divorò tutti, ad ognuno adducendo per pretesto di volere alimentare e salvare gli altri ; finché fatta la stessti cosa di tutti, dal popolo venne lapidata.

Eupiuzio Magisiriano fu mandato a Vallia, si­gnore de’ G oti, per fare seco lui alleanza , e per ricevere Placidia. Accettò egli il trattato, ed avuta nua provvigione di frumento di seicento mila tsi-

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l 4 CI* A SS Z FRI HA,

sure, consegnò Placidia, la quale veone condotta «1 fratello Onorio.

Essendosi iu Ateue incominciato a cercare com e si pofesseio legare i libri, F;itaiio9 compagno di Ollmp odoro* uomo uelle lettere beo istrutto, inse­gnò qual fosse ia colla nt*eessaria ; e i cittadini di Atene per ouoratlo gl* inalzarono uoa statua.

CHimpiodoro i acconta molte ed incredibili cose intorno all* Oasi. Parla primierauieute della tem­peratura di essa, e dice che ivi nou solo nessuuo soffre del morbo sacro, ina che se veugouvi per­sone da altro paese, le quali ue soffrano , ne ri- mangono liberati : effetto questo della beuiguità di quel climn. Parla quiudi della copiosa areqa clie ivi è, e de" pozzi che, scavati a dugeuto e trecento cubiti sotto terra , e talora anche a cinquecento, tale quantità d’acqua buttali fuori, che quelli , i quali in comune fecero l’opera , ne traggono ad ioaftuunento delle terre lavorate. Ivi gli alberi portano sempre frutta; e il fi umento che vi nasce, riesce il migliore d’ogni altro, e più bianco della stessa ueve. Talora ivi ogoi anno si semiua l’orzo due volte; e il miglio perpetuamente tre volte* Gli abitanti sogliono irrigare le loro campagoe l’estate O gui tre giorni, e l’ inverilo ogni sei : da ciò nascere la tanta fertilità dc’ rerreoi : il cielo poi ivi uon presenta mai nubi. A queste cose ag­giunge quanto riguarda gli orologi che vi si fab­bricano. Dice poi che aulicamente lOasi fu uu’ isofu distaccata dal continente ; e da Erodolo chiamarsi Γ isola de* beati \ e da Etodoto che scrisse la storia d i Orfeo e di Museo, si chiama Feacià. Che prima fossa isola congetturarsi da questo , che testacei

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s t o r i c i z ΒΙΟ G iu r i r itOFlKI . | 5marini, e crostacei attaccati alle pietre trovausi ia quel monte che dalla Ttbalde si stende alIOasi % ed anche dal vedersi ivi copiosa perpetuam e le uscire l'arena. Egli riferisce tre essere le Oasi<, due grandi,* una esterna , interna l’altra , giacenti dirimpetto entramb e, e distanti per lo spazio di cento miglia: la terza è piccola , ed è separata dalle altre due per assai lungo intervallo. Aggiunge inoltre in prova dello stato insulare di queste Oasi* il vedersi spessissimo colà dagli uccelli recenti dei pesci, o de* resti de* medesimi: oude congetturasi non essere di là il mare molto lootauo. Dice an» cor a che Omero trasse I*origiue sua dalla Tebaide, paese vicino alIOasi,

Onorio Augusto e Costanzo, creati consoli, il primo per la undecima volta , il secondo per la seconda volta, stabilirono le nozze dì Placidi a. Ala essa le abborriva sommamente ; e questo fece che Costanzo andò in gran collera contro le per­sone della casa di lei. Iti line però nel medesimo giorno, in cui piese possesso del consolato, l1 im­pera do re Onorio, a malgrado di lei la diede sposa a Costante), e celebratoti*! le uozze spleudidameotei Da quel matrimonio nacque uua figlia, chiamata Onoria; indi un figlio ch’ebbe il nome di Palen* tiniono% il quale, vivente ancora OìoWo, fu detto nobilissimo, a ciò avendo Piacidia spiuto il fratello» Morto poi Ortorio , e soppressa Γ usurpazione di Giovanni, Valentìrnano fu proclamato Au$tisio. Costanzo intanto fu fatto collega di Onorio neU Γ imperio; in tale dignità inalzato sivvero da.lui, ma cootro cuore. Anche Placida fu detta Augusta* sì dal fratello che dal marito» Recata fu n u o v a

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della elezione iu imperadore di Cattarne a 7W * dosiot figliuolo del fratello di Onorio9 il quale re­gnava nell* oriente * non Papprovò. Costanzo in­tento cadde ammalalo pel riocrcscimeuto d’ avere accettata la diguità imperiale, poiché nou poteva piò, com'era solito , andare e venire liberamente ovuuque volesse, né piò avea la 1 bertà di diver- tirsi io giuochi e spettacoli , come prima ; tali cose uon essendo permesse ad ua imperadore. Pei ciò nel settimo mese del suo imperio, conforme a oc he quello che uu sogno avea indicato , esseu- dogli paruto di udire: il sesto amloy ed incomin­cia il settimo, egli morì per uria pleurìlide ; rima- neu do estinta eoa esso lui l’ ira contro P occidente e la spedtzìooe miuac.ciaU , poiché Teodosio nou avea approvate l'elevazione di lui all’ imperio. Es* seitdo poi morto Vailin che regnava sui Goti* ebbe per successore Teuderico.

11 nostro scrittore dice laute cose avere sofferto navigando per mare che pareagli scampato per miracolo Nella uarrazioae de' quali casi occorsigli rammenta certe cose prodigiose di uh» stella eoa tanto peso buttatasi sull'albero della n ave, che già credevano tutti i naviganti dovere essere som­mersi. Urania quella meteora viene chiamata dai marinai Riferisce anche di un psiltaco (pappagallo), col quale essendo egli vissuto vent’anoi , attesta quasi oiuna umana fttioae avere quell’ uccello man­cato mai d’ imitare. Esso saltava, cantava, chiamava ognuno per nomet ed esprimeva altre cose simili.

Racconta parimente che trovandosi a Tebe, e a Siene, luoghi visitati da lui per desiderio d’acqui­star coguizfuni, dalla fama di l i eccitati i priu-

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ctpi, β * «Μι di que’ Barbari che abitano Talliti, e ch e t i chiamato Blemmj, aveano bramato un abboccamento eoe esso lui. Mi presero essi adun­que, dicVgli , onde vedessi anche i furo paesi, e mi condussero neUe regioni di Talmi, distonte il cammino di cinque giornate da’ittiei popolani, e alfu «ìttò. che chiamasi Prima. Uua volta questa prima ,ckiò-della Tehaide,era prossima alle terre de* Ber­beri;* e per questo i Romani con vocabolo .futìno J'aveano detta Prima , come ai chiama aucbe di presente, quantunque.già da fungo tempo i.Bar- .bari se V abbiado-presa insieme eoo quattro altre che sene .Fenieioue, Chit j, Tapi p Smaragdo. Nel paese di quest* uh ima Qlimpiodoro scrive d* aver ritrovatele cave,da cim ima volta i re d'Egitto, trae- .vano , tanta quantità di smeraldi. Lo invitavano i ivati de* Barbari a vedere quelle ma non era .eiò permesso senza fu liceuza del re.

Narra p ure mirabili cope di Libani&> Costui, Da­tivo dell*Atia, sotto, gl'impe^adori Onorio e Costanze capitò a Ravenna , e il nostro scrittore dice che fu. sommo avversatore e stregone· Vautavasi per­ciò di potete senta «omini trinati far meraviglia eoutro i Ba< barji» Ha avendo messo a prova fu sue promesse.9 e giunto fu («ina delle strepitose sue cose alle orecchie .di Piaci dia fu fatto morire , minacciando quel)* principessa di far divorzio con Costanzo* al fur a auo, marito, se tolto uajr avesse del < mondo :φ»?Μο stregate e infedele.

Costanzo fu illirico di nazionale di Paneso* città della Cadia. Passato fìoo dal tempi di Teodosi» il Grande per molti gradi .militari, era, finalmente stato inalba tot siccome dicemmo», all'imperio* Molte

fozio t VoL IL· a

STOftICI s KOGBAVI FftOFAKI. \ η

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‘>6 CltASSC PUMA ,lodi meritò; e quella spetialmeoto ebe uon fa avido d’oro prima che sposasse Piaddia. Quando però l'ebbe sposata, ue diveatò avidissimo. Per fu che, morto che fu, acc orsero a Ravenna da ogni parte persone da lui ingiustamente ' spogliate dei loro beni, e che li domaudavaoo. Ma fu bonarietà di Onorio e la troppo influenza' che sopra di Ini Piaeidia esercitava, rendettero inutili le querelai e perciò fu forza e la potenza della giustizia.

L ’affezione di Onorio per la sorella fu tonta, dopo la morte di Cosiamo, che vedutene fu smor­fie, e il frequente baciarla snlla bocca ch'egli usava, fece in molti nascere il sospetto di uoa turpe in­trinsichezza. Ma lauto amore si convertì poi ia odio, ad istigazioue specialmente di Spadusa e di Et pidia, uudrice di Piaci d ia , persona a cui essa dava assai confidenza $ e v’aggiungeva l’opera sua Leonteot gran maestro della casa di fui. fi fu coee giunsero al seguo cbe frequenti sedizioni vidersi scoppiare iu Ravenna, e tumulti, e risse con ispar· gimento di saogue; perciocché a Piaeidia era an­cora affezionata la turba de* Barbari a riflesso dei matrimonj dì lei con Adaulfo e eoo Costanno. Di modo che in fine, prevalendo il fratello, per cotesto inimicizie, e per l’odio succeduto al primo smore« Piaùidia co’ suoi figliuoli venne confinata a Co* staotitiopoli. Il solo Bonifacio rimase fedele a lei, mandandole danaro, come poteva, dall’Africa cbe governava, e cercando di comprovarle il suo oe« «eqtiio in ogni altra maniera. Egli inoltre usò ogni opera, e si espose a molti pericoli per fare che ricuperasse la sua potenza.

Onorio preso da idtopisia, prima del r f d’afovto

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STOa ict a siooaari r i o r a h i. 1 9

morì; e furono spedite Isuere per tutto occidente apportatrici della morte dell* imperadore. Mentre quelle futtere giravano qua e li, un certo Giovanni si proclamò imperadore, e per la inauguratione sua, come cosa predetta da un oracolo, si spacciò il detto; Cede, e non itià \ e il popolo travolgen- dofu gridava : Sta* 0 non cade.

Bonifacio era uomo .di uo caratteri eroico , il quale soventi volte avea valorosamente combattuto con geoti (>arbare, ora cen poche truppe^ ora eoo molte, e qualche volta esiaodio a petto a petto in duello 1 ed era gfunto a discacciare dall'Africa molte e diverse nazioni de* Barbari. Era poi osser­vatore zelantissimo della gìustisia, astinente e dis* pressatore del daosro. Di lui raccontasi questo futto* Un certo .abitator d< campagoa si accorse cbe sua moglie, danna assai bella, avea una tresca amorosa cpn un Barbaro di que* militari ch'eiano confederati deli* imperio, e pregò Bonifacio a pre­stargli ajuto. onde togliere quella infamia dalla sua famiglia. Banifaeio , futtosi iodicare e fu distanza del luogo, e il nome del silo ove l'adulterio com­mette vasi, licenziò l*uemo, ordinandogli di ritor­nare il di seguente. Di notte poi, senta dir parola ad afuuno, fatto il cammino di sellaota stad), sorpreso con la donna il Barbaro, a costui tagliò la testa, e nella ootte stessa ritornò alla sua residenza. Essendo poi veouto il marito nel gfurno prefìsso­gli, Bonifacio gli presentò la tosto del Barbaro , domaodaudogli se la conoscesse. Fu colai colpito da quello spettacolo quasi ad uscire de* seosi t e riconosciuto di ehi versmente era fu testa, quante mai potè, rendette g?asìe delfu giustiafu fsUagh, e lieto ritornò a casa sua.

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90 CLAMI pai MA ,Nelle grandi case di Roma , secondo che Oft'ivr-

fiodoro riferisce , ognuno nel suo recinto avea quauto può avere una mediocre eiMò ; ippodromo, fari, templi, fontane, bfcgni d iversi. Quiodi esclama: È città una casa sala; e una sofà città comprende mille città mitiori. Afa’ i bagni pubblici pòi furono di un'ampiezza smisurata; tra i quali quelli che si chiamano Terrne'Antoniane, per più còmodo di chi andava a lavarsi, ebbero fittile seicento sedili di marmo ben liscio. Le Diochmane t>* ebbero quasi piò del doppio.

Le mina di Roma nel· tempo in cui i Goti fu prima volta v’ atidaròno, secóndo la misura pre­sane dall*'Ingegnere 4 mnonet giravano i t f intorno ventnna miglia.

Moke famiglie di Roma aveano d*anaua rendita circa quaranta mila centinaia d'oro, senza ctoni a re frumento, vino, ed nitri generi, i quali, se si fos­sero venduti , sarebbero saliti ad equivalere àlfu lerza parte· dell'oro accennato. Ah re dieci, o quin­dici centioaja aveano anche nel censo. - P r o b o fi­gliuolo dì Aitilo*nella pretura esercitata al tempo dell’usurpatore Giovanni, avea speso dodici een- t inaja dV>ro. Simmaco, oratore, senatore di censo mediocre, n'avea date tenti centina/a a Simmaco suo figliuolo netfu pretura tenuta da questo prime ebe Roma fosse presa. Massimo uno de* più ric­chi e beati uomini, in simile congiuntura di' suo figliuolo, ne avea spesi quaranta. I pretori celebra­vano per sette giorni solenni giuochi.

Il nostro scrittore d»ee che UUsse non vagò in­torno alla Sicilia, ma alTestveme costo d'Italia, e ebe discese- all* inferuo tragittato avendo l'Oceano ;

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stoil' c i z atoaam w o f a h i . a ie in quel mare in diversi modi errò. Egli cerca di comprovare tale sfa, ofpfuiensì con molti argo­menti i e noi abbiamo letto parecchi autori che dicono la medesima «osa.

Teodosio spedi da Costantinopoli Piaeidia coi figlinoli contro rusttrpatore Giovanni.Essa avea.il t itofu di Augusta, e VmUmtiniano qu*ifu di Nobi­lissimo* e fu pure spedito un esercito, e d ’ambe- due le miliaie fu fatto comandante Ardaburio unita­mente ad Aspare* suo figliuolo, e a Candidano, ag* giunto per terzo. Pervenuto l'esercito a Tessalonica Elione* maestro degli offici,.«sudalo colà da Teo­dosio* mise isdosso in quella città a Valentiniano, che non avea più di cinque anni, la vette di C e­sare. Essendo poi giu&ti io Italia, Ardaburio caddeio maoo de* soldati dell* usurpatore i ed essendo stato condotto a lui, fece con etto amicizia ; e in tanto suo fìglio Asparo e Piaeidia, disperando delle cose eraoo in gran letto* Ma dissipò quel lutto | e diede furo coraggio Candidi ano , avendo prese molte città, e fatto assai belle imprese le quali gli diedero chfuro nome. Ucciso pei 1* usurpatore Giovanni* Piaeidia insieme col fìgliuolo Cesare andò a Ravenna. Elione* maestro degli offìcj, e pa­trizio , invase R o m fi ed accorsi colà tutti,, vesti Valentiniano* il quale allora avea sette anni, degli abiti d'imperadore. E q ui fu storia di Olimpio- doro finisce·

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22 CLASSI nvM A|

P À M F I L A

ST O i i i m i s t i , t tiai vur.

Questa donna, che visse tredici anni in matri­monio , di boon\rt*e ai diede alfu studio, ed ogni giorno ed ogni o ra , fuggendo Pozio , andò scri­vendo tanto ciò cbe udiva da suo marito, con cui visse io grsnde concordia, e che iva apprendendo dalla cooversszione di parecchie persone che fre­quentavano fa sua casa, chiare di nome e di dot­trina , quanto ciò che le accadeva di osservare leggendo. Tutte queste cose, ed altre che le par­vero degne dì memoria, essa riferì in questo Commentario, non ordinate secondo gli argomenti e i tem pi, ma gettate giù conforme le si presen- lavsoo ; il cbe ella fece non giù perché le fosse diffìcile classificar fu materie, ma perché credette cbe maggior piacere dovesse recare la mistura e fu varietà di laute cose diverse. Ed è iu vero utile questo libro, cbe abbraccia ógni genere di dot* trioa ; imperciocché iu esso troverai noo poche cose storiche necessarie a sapersi, e dette con s s - sai maestria e molte di rettoWca, di filosofìa e di poetica, bene scelte e ben considerate»

Fu questa Pamfila egixiaoa di ossione, e fiori nel tempo in cui regnava in Roma Nerone. La sua dicitura, per quanto può argomentarsi dal proemio e da quello che scrive di proprio , e quando esprime U suo sentimento , é quale si addice a donna , vale a dire semplice, e con parole alle sue idee ben adattate. Quando poi raccoglie i detti

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stobici s sioosAri vaorsin· a3memorabili degK antichi , Γ orazione sua i varia , e prende forme diverse, come sooo diverse le cose cbe riferiset.

FILOSTRATO TIMO

t i n » i aroLLoxio t u h io , l iz z i viti.

Fdostrmto ba in quest* opera fatto uso di uno C. 44 st ile aperto, graafuso, conciso, pieno di dolcezza| e cerca lande tanto dalle forme del parlare antico, quanto delfu eleganze moderne

Racconta essere Apottonìo andato agl* Indiani , cbe chiama anche Bracmami, per apprendere quanto di divina sapienza possedevano *, che andò anche a* sapienti di Etiop ia, cbe chiama Gimni % per fu * ragione che andavano sempre nodi, né mettevansi mai alcun abito, qualunque fosse la stagiooe e Tinclemensa dell9 aria. Dice però cbe i sapienti indiani erano più eccellenti di questi, sia perché , essendo più vicini al sole , più acuta e pura sveano la mente, sia perchè erano più vecchi.

Ninna cosa poi di quelle che favolosamente ven­gono narrate di lui riferisce egli essere state fatto da Jpolto*io; e solamente lo loda per la vita da lu i condotta filosofica e temperata, col tenor della quale ti mostrò pitagorico sì ue* costumi come oelfu dottrine. Scrive oscura essere stata la morte di lu i, che fu varie maniere da molti viene riferita ; ed egli medesimo ha messo studio in parlare di questo fatto, perciocché avvisa aver detto più volte ÀpoMomo che il .sapieote deve, nelle cose cbe fu fu >ita , sottrarsi a tu tti, ma cbe se non

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*4 e i s m t i n t i ,può lento * almeno deve morire- occulto. Infatti in nessun luogo si mostra il sepoloro dritti* Aggiunge di ricchezze essere Apollonio stato sprezeatoee sommo, tanto cbe le proprie sue possessioni ab­bandonò spontaneamente a suofra tolto e ad altre persone, e da niun potente ricevette mai daoaro , quantunque molti assai glie ne volessero dare per benemerenza. Avere assai prima annunziata la fame di Efeso , e venuta, averne liberala quella città. Veduto per accidente un leone , aver detto chè l’anima di Amati* re d'Egitto , era passata in quella fiera, in pena delle scelleratezze commesse. Aver presa 1* Empusa sotto fìgura di una mere­trice cbe finge vasi innamorata di Homippo. In Roma avere richiamata in vita una denteila che il giorno prima era paruta morta. Aversi sciolti da sé. medesimo i ceppi, mentre era tonato io pri­gione· Avere perorato presso Domiziano, impera*, dorè, per sé e per Nerva , che poi succedette a Domiziano ; indi essere sparito dal fòro » e ito a Demetrio e a Damide in un istante , quantunque fossero lontani il cammino di alquanto giornate- Tali cose va dicendo di lui Filostrato ; e non. di meno egli nega che Apollonio abbiasi a tenere per uo ciurmatore, atteso che varie cose fstto da lui, litri si siauo pur vantati d'aver fatici ma so­stiene essere state in A poiionio opera della filo­sofia e della purità delfu vita, chè, lungi dall'esser egli dato all* arte magica, fu dai maghi e dai ve­nefici odiato.

Intorno agl' Indiani Filostrato spaccia uoa quan­tità d i . cose assurde pienamente, e indegne d ' es­sere riferito. Pone presso gt’Iodfuni botti piene di

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STORICI E BIOCIUFI P10FAK1. 35

piogge e di; vènti da cui* io ìne^zo a siccità , il paese ottieoe acqua, che poi, fìnita di cadere, la-, scia iT paese di nuovo asciutto.s e tutto questo procede dal vatiato uscire da quelle botti e le piogge e i venti. Altre cose a queste simili, stolto e prodigiosamente bizzirre, s*iuventa ; e così , con­suma gli otto suoi libri io uu vano ammasso di spropositi'

V i t a d i A P O L L O N I O T 1 A N £ o

s c r i t t a da p t lo s t s a t o ( i ) .

Ho letto fu vita di Apollo aio , scritta da. i^fu-C* 1 strato* Le, mura , d ite g li , di Babilouia compren­dono un circuito di quattr.oceutoOanta stadj, che s’alzano tre mezzi jugeri,^ sono larghe poco meno di un jugero. L* Eufrate taglia per mezzo Babilo­n ia , ed.avvi un ponte interno ed occulto, pel quale, senza, essere veduti, si passa dall'un canto all? altro della reggia , che giace sopra ambe fu sponde , e cbe ne lega insieme le due parti. È fuma che questa sia opera di Medea, la quale ivi una volto regnò. Ed ecco com'essa fece. Unito che ebbe sulle sponde del fìume le pietre , i metalli, il bitume, e le altre cose atte a formare un solido impasto per mezzo dell'acqua, derivò in certo pa­ludi la corrente delfiumei e diseccato cbe n'ebbe il* letto, vi scavò uua fossa, per la quale si potesse attraversare da una ripa all* altra , e comunicare

(1) È questo un s e c o n d o articolo scritto da Fczio , il quale forse sì avvide aver detto poco ne Uv antece­dente.

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* 6 c l a s s z f u m a ,

dall'una alPaltra parte della reggia* A9 lati di quella alzò le pareti, e ne selciò il suofu interposto « quindi fece il vòlte, cbe corrispondeva al Ietto dei fìume. CoH' acqua tutte le adoperate materie in­durarono , e se ne feee un masso. Poscia rimise P Eufrate nell* antico Ietto. La reggia è coperta di fulgido metallo. I talami , i portici, gli apparta· menti sooo ornati tutti, parte di velami d 'o r o , parte d'oro figurato in velami. Dice che ÀpoUonio entrò in un portico * la cui vòlta » fabbricata a forma di cupola imitava I* aspetto del cielo , ed era coperta di saffìro, pietra che sommamente r i · ferisce Π color ceruleo delfaria. Ivi erano le im­magini degli Dei venerati nel paese , cbe scolpite come sono, per l'oro di cbe son fatte o coperte , splendono mirabilmente. È quello il luogo iu cui il re usa render ragione. Dalla soffitta pendevano quattro uccelletti che volgarmente vengono detti motaciUe, rappreseotanti Nemesi, ed avvisaoti il re di non credersi al di sopra dell' uomo. Questi dicono avere i magi ordinato che fossero ivi po­sti , e i popolani li chiamano lingue , degli Dei.

Apollonio e i suoi compagni, uscendo del regno de* Persiani» all'iooltrarsi verso il Caucaso, senti­rono uscir dalla terra un odor soavissimo. Noi facciamo quel monte come principio del Tanro» che scorre per l'Armeoia e fu Cilicia sino alfu Pamfilia, e a Mite, la quale finendo a Micafu nel mare, presso cui abitano i C a rj, viene riputato il fìue del Cnucaso, e non , come altri tengooo , il principio. £ la ragìooe si é cbe 1' altezza di M i­cafu non è molto grande, laddove le sommità del Caucaso diconsi alte a segno» che il iole tra esse

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STOZICI a ΒΙΟΟΖΑΠ ?BOFAWt. »7pere scisso. Il Tauro poi dall* altra parte abbrac­cia presso la Meotide e fu sponda sinistra del Ponto, per la lunghezza di veotimila stadj , tutta fu Scizìa confinante con l'india» e tanto spazio di terra occupa col suo giro il Caucaso. Che p o i. dalfu parte nostra il cosi chiamalo Tauro si stenda sopra l'Armenia v cosa per lungo lempe non cre­duta, lo comprovano le pantere, fu quali veggiamo prendersi in que* luoghi della Pamfìlia cbe ‘pro­ducono aromi ; imperciocché quelle fiere amano gli aromi , e traile da lungi dall'odpre , attraver­sando fu montagne dell'Armeòia, portaosi ove-énno fu lagrime di storace, quaolunque volto i venti , soffiando da quella parte , recano lungi l'odore di quella gomma stillante dagli alberi. Udii anche essere siala presa in Pamfìlia una pantera avente al colfu un cerchio d* o r o , su cui erano incise fu parole : Il re Anace al Dio Niseo. Imperciocché a que* tempi regnava io Armeoia un re di nome A n a ce , il quale, come sembra, coosacrò a Bacco quella belva di singolare grandezza sopra le altre; e Bacco dicesi Niseo da Nisa , che è in Iodia « non solamente dagl'indiani, ma da tutte le nazioni che guardano l'oriente. Quella belva cbe accennai fu per alcun tempo educala da un uomo, e si la­sciava toccare ed accarezzare. Ma al sopr aggi un­gere della primavera , presa , pel caldo tempera- mento, dal desiderio del maschio, andò a ritirarsi pe' monti, portaodo al collo I* ornamento soprad­detto. Era in Calti stata presa al bosco del Tauro,, ov'era ila tratta dall'odore degli aromi. Il Cau­caso poi, toccata la Media e l ' ladia , con 1* altro braccio scende al Mar-rosso.

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a8 et asse f«iicì9Or ritornando ad Apollonio e a*suoi, passando

U Caucaso dicesi che s*incontrassero io »uomin« alti quattro cubili 9 di color nerastro 9 ed altri ne vedessero di cinque cubiti, quando giuosero al di là del fìume ludo. Passati oltre il monte, ebbero10 spettacolo di uomini che si facevano portare da elefanti \ e questi erano qnelK cbe abifaoo tra11 monte Caucaso e il fìume Cofeoe , uomini af­fatto incolti, cavalcatori di elefanti, altri de* quali cavalcavano anche camelli, di cui gl* Indiani si servono per cqriere, e con questi si fa in an giorno il cammioo di mille stàdj, senza che mai si fermino. Apollonio tragittò co* suoi il fìume lodo, largo, ov’é navigabile, quasi quaranta stadj* Esso nasce dal Caucaso, fìno dal suo principio più grande degli altri fiumi dell’Asia, indi procedendo molti fiumi navigabili . mette fuori. Andando essi innanzi oltre il fium e, ebbero dal satrapo noa Scorta che li guidò a Tassila, ov’era la reggia del re degl’Iodiani. Quelli che abitano dietro il fiume lodo, copronsi con vesti di lino, che copiosissimo nasce nelfu campagne , ed hanno scarpe fatte di papiro; i più nobili usano bisso , e il bisso nasce da un albero che nella sua parte inferiore è si­mile al pioppo ed ha le foglie come quelle del salice. Quando Apollonio vide il bisso,, ne fu lieto, poiché non era molto dissimile nel colore al fosco vestito eh* egli portava. Tassila non è per gran­dezza differente molto dall’antica Nitìo , ed è fab­bricata all*uso greco. Essa era la reggia di Poro , quando regnava. Le fonti del fìume Ifaside, a cu i Filostrato dice che si avvicinò Apollonio, varcato ridralte ed oltrepassate varie genti γ scaturiscono

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storici a mogia r i taorAirr. agdalla piana terra, e quel fìume sino dal suo prin­cipio è navigabile, irta procedendo alcun poco non ammette più barche, e ciò a cagione di acuto pietre e di scogli, di cui il suo letto é pieuo. In furghezza: eguaglia 1* (stro , cbe ia Europa tieosi pel maggior fiume. Nelle sue rive vedonsi alberi sim ili a quelli cbe nascono presso l’isiro dai quali alberi distilla un unguento, di cui grindiani nelle loro nozze haono costume di ungersi. Dicesi pai ebe in questo solo fiume travinai i pesci chiamati tao*, cioè pavoni, e si d i furo un tal nome per avere creste cerulee, squame di varj colori e fu coda dorata in qualunque parte votgeotesi. In qu^l fìume avvi accora una bestia simile al verme bianco, di cui quando si prende si fa uu olio che serve ad accendere il fuoco » e che noo può te­nersi che deatro vaso di vetro. Q uesto pe^ce si pìgHa solamente pel re , il quale di quell* olio si serve per dislroggere le mura delle città nemiche. Imperciocché tosto che il detto olio tocchi i prò· pugoacoli delle mura , si accende un fuoco più potente di qualunque cosa possa mai dagli uomini im maginarsi per estinguerlo. Narrasi ancora che in .certi luoghi palustri si pigliano asini selvatichi, aventi neHa fronte un corno, con cui generosa­mente combaltooo come tori. Con que’ corni gli ludiani fanno de’ nappi, e tengono che in qoel dì in coi uno beve entro i medesimi, non soffre di nessun male , uè seota dolore se anche fosse fe­rito , e che esce salvo dal fuoco, che nulla pati*» sce da veleno , o da cosa qualunque datagli per nuocergli. Perciò que* nappi essere de* re, e al ce solo essere permesso di cacciare tali belve*

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3ó classi raiMA ,Di là passarono a quella parte del Caucaso cbe

volge verso il Mar-rosso. Iti è abbondanza di aromi di specie diversa. Le cime del monte pro­ducono cinnamomo, il quale si assomiglia a sar­menti nuovi : della bootà sua poi ne fa prova fu capra, poiché se taluno presenta* a quell*animale il cinnamofpo , essa lasciasi accarezzare come un cagnolino e segue chi 1* avea così accarezzata , e quaoto più può gli purga le narici. Che «e il pa­store vuol rimuoverle, se ne querela come farebbe se le si togliesse il mangiare. Nella più scoscesa parte del monte nascono altissimi alberi, dai quali stilla Γ incenso e molte altre specie di aromi, tra le quali sooo gli alberi del pepe , il qual pepe viene coltivato da una certa specie di scimmie , come se esse fossero agricoltori. Di cesi quell* al­bero del pepe simile al detto dai Greci casta , lauto nelle altre parti, quanto ne*grappoli dei frutti. £ nasce nelle rupi e ue* luoghi scoscesi , come si disse , dove l'uomo non può ginogere, e dove abita solameute quella popolazione delle ac­cennate scimmie % che ivi tengono le caverne del monte e tutti i buchi del medesimo. Molto Conto gl* Iudiani fanno di quelle scimmie, poiché sotto come le vendemmiai rici del pepe; oud*è cbe con fu armi e coi cani le guardaoo dai leooi, massi* ma meni e che il leone ha I*o*o« quando si seute ammalato , di gettarsi addosso alle medesime per medicarsi, essendo la carne di esse un ottimo ri­medio per le malattie de* leoni. Cosi quaudo in­vecchia ne cerca pasto, non potendo allora cor­rere dietro i cervi e i cinghiali, e la forza che gli rimane adopera contro le scimmie· £cco intanto

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s t o b i c i s B ieetm r a o rAHi. 3 i

altre notizie sul pepe· Andando grimiiani a quegli alberi cbe nascono al. basso del monte e distac­candone i frutti, fanno vicino ai medesimi alfcuoe piccole aje, nelle quali ammucchiano il pepe, get- taodolo colà come cosa di niun conto. Allora le scimmie, che stanno nascoste in luoghi alti ed aperti, venuta fu notte, pongonsi ad imitare gPIo- diani, e distaccando dagli alberi i grappoli, si cac­ciano su quelle aje ; onde poi gl* Indiani fanno buona raccolta senza fatica.

Superato che i viaggiatori ebbero il monte, vi­dero la sottoposta pianura tutta frastagliata da fosse piene d’ acqua. Alcune di quelle fosse erano dritte, altre obblique, e traevano l’acqua dal Gange; e fu loro detto cbe alcune servivano a dinotare i confìtti, altre ad iuaffìare le terre, ove ne aves- sero bisogno. Quelle torre, fra tutte le altre cbe si lavorano in India, sooo fu piò ubertose; e ric­chissima perciò è l'eredità di tutti. Esse stendonti in lunghezza dietro il corso del Gange per uno spazio di quindici gioroate di cammino , e si al­largano dal mare al monto delle scimmie per di* ciotto gioroate*. tutto poi ferma uoa pianura sola· Il suolo é uero di colore* abbondante d’ogni pro­duzione , e dicesi cbe le spighe s’ alzino come le canne, e che fu fave sieno tre volte più grosse di quelle dell’ Egitto. Ivi si ha anche sesamo e mi­glio di ootabile grossezza. Sono iu que’ luoghi anche noci ; le viti però sooo assai piccole , ap­punto quali nascono prèsso i Meonj e i L id j, ina però il vioo che se ue fa ha fama d’ essere per gusto e per odore giocondissimo. Raccoofa Filo­strato esservi uo altro albero somigliantissimo al

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3à classz r m m ,lauro, che fa un follicolo" della gitaadezza di uoa melagrana, nel qirai follicolo v*è un poinodi color Ceruleo, somigliante a quello di giaciuto ,' e soavis­simo sopra quanti ne nascano su Ha terra, .«-t* Scen­dendo poi dei monte trovarono fu caocia de* dra* gbi, chè tutto il paese dell'india abbotidit di draghi matavigliosi per la moltitudiue e la grandezza, e ne sono piene le paludi , piene le moaiague , né trovasi un'alzata di terra che oon ue abbia. I pa­lustri souo pigri e tardi, -lunghi da trenta cobiti., stentano ad alzare la teila , simili ai draghi fem­mina , con la schietta oerastra e meno ,squamosa degli altri: I campestri sono iu tatto superiori ai palustri , chè hanno maggiore lunghezza . e . sooo veloci piò di qualunque rapidissimo, 'torrente , - a modo che uon v*é chi possa fuggire da essi . Hanno questi una cresta mediocremente prominente nei giovani, ina grande ed assai alta negli avanzati in età, ed è fatta a segfe ed infuocata. Questi alzano fieramente le giubbe e la' testa', la loro scaglia splende come se fosse d'argento, e le pupille do­gli occhi loro scintillano al pari di una pietra ar­roventata nel fuoco. Vuoisi che abbiano una grande virtò per guarire malattie pericolosissime. I cac­ciatori trovano i draghi campestri morti , il che succede quando si souo azzuffati eoo qualche ele­fante, chè l*una e l*a!tra bestia vi perde.la.v it a ., e chi li trova ne guadagna gli occhi, la pelle e i denti. Sono nelle membra eguali ai cinghiali grandi, ma più sottili di corpo, e iu qualunque parte ver­satili s hanno il rostro fortissimo , come * i grossi pesci. 1 draghi montani hanno fu squame di color fulvo, eccedono ia lunghezza i- campestri, hanno

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STOBICJ Z BIOGRAFI FBOFAlfl. 3 3

barba arricciata, di color d*oro, e le sopracciglia maggiori , sotto le quali stanno gli occhi di un gtsardo torvo e fierissimo, ed ogni volta che muo· Tonsi serpeggiando sibilano con la forza di uu istromento di metallo. Rosse sooo le loro creste e scintillanti come fuoco. Anch’essi pigliano gli ele­fanti. Per far preda di questi draghi tremendi, ecco qual arte gl’ Iudiani usano. Stendono dtuanzi alle caverne uo pallio coccigeo, su cui sono tessute in oro alcune lettere ; le parole che ne sono compo­ste banoo tale incanto da addormentar quelle fiere. Ne aggiungono griudiani parecchie altre di arcana sapienza » in virtò delle quali esse vengono tratte a metter fuori del nascondiglio la testa? e come sono prese dall* incanto ed assonnate, gl* Indiani tagliano loro con uoa scure il collo , e spezzatane la testa, ne levano alcune pietruzze che ivi sono. Imperciocché dicesi essere nella te&ta di que* dra­ghi montani certe pietruzze , belle di forma e di aspetto, e splendeuti a varj colori , e di tale mi- rabil v irtù , qual ebbe , secondo che si racconta, 1*audio di Gige: Non dee però ‘ omettersi che a l­c une volte accade che il drago, nou incantato bene* tira a sé nella caverna, insieme cou la scure e col pallio, l*Indiaoo, e lo divora, con tal furore scoteodosi che tutto il monte ne trema. Cotesti draghi montani abitano presso il Mar*rosso. Quanto durino a vivere, è cosa diffìcile da dirsi, ed incredi­bile se si dice. Si è osservato che ascoltano il s u o q o

della zampogaa del pastore quando richiama dal pascolo le sue cerve biauche; giacché usan gl'in­diani allevare questi animali e mungerli, teneudooe il futto per uu nutrimento migliore di tutti gli altri.

Fozio, Fot. IL 3

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3 4 CLASSE PRIMA ,

Da que* Inogbi che si sono descritti i viaggiatori tiraodo innanzi il loro cammino per quattro giorni attraverso di una bella e beo coltivata couIrada , giunsero ad una città abitata dai sapienti detti Bracmani , e con essi conversarono assai tempo * e le cose che ne videro , e ne udiroao » nessuno ch*abbia buon senno crederà. Da quel paese viea riputato che per messo degli Egizj sia venuto a Pitta gora Pempio dogma della trasmigrazione delle auime. Si lasciano crescere lunghi i cape gli, come una volta facevano i Lacedemoni e i Turj * si fasciano con una benda bianca, e camminano scalzi.Il loro abito avea la forma di nn sopraumerale, ed era fatto di certa lauuggine bianca che nasce spontaneamente io que* luoghi , come quella che nasce in Pamfìlia; ed essi soli la raccolgono dalla terra. Portano poi un anello ed un bastone. Quel­l’anello ha una pietra detta Pantarba , della gran-, dezza dell' unghia del dito pollice, la quale si ge- u'era nelle viscere della terra alla profoudità di quattro jugeri ed ha tanta virtò che si gonfia , e fa cbe si apra la terra, ov'essa si genera; nò poi alcuno può trarla fuori, se noo che sia iniziato ue*suoi arcani. Essa pietra di notte mette un chiarore come quello del giorno, essendo essa come un fuoco raggiante, e gittando da ogni parto scio· t i Ite meravigliosissime ; e la luce che in essa splende è lo spirito di una potenza occulta. Di che si dà per prova cbe se si prendono ciottoli, e alcuno li getti qua e là per varie direzioni nel mare, mandando poscia giù nell'acqua cotesta pietra, essa unisce insieme tutti que*ciottoli,eg!i ammucchia a modo che pajono uno sciame d’api. Aggiunge it

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STOBICI z BIOGRAFI PROFANI- 3 5

favoleggiatore Filoslrato che Jarba disse ad A poi* Ionio tutte queste cose* e gli mostrò quella pietra, e tutte le virtù della medesima.

Dice poi die i Pigmei viventi sotto terra abitano luoghi posti sul fìume Gange * e quanto d’essi é detto , egli accerta. To non credo che né presso gl’ indiani, nè in afunn'altra parie della terra vi­vano gli Sciapodi, che sono quelli i quali si fanno ombra co’ piedi, nè i macrocefali , nè tali altri mostri, decantati dalle storie di Sctface ( i) . L ’ oro che dicesi venire scavato dai Grifoni, non consiste che in certi minutissimi granelli che sono dentro pna pietra , i quali il Grifone rompe col rostro. Cotesti uccelli trovansi nell’ ìndia » grandi c forti al pari de’ leoni, ed essendo forniti d’ ali gettanti sopra i leoni, gli elefan ti, e i draghi, e rimangono ad essi tutti superiori. Non volano molto , ma solo quanto usauo gli «.ocelli piccoli '9 poiché non hanno penne » ma una rossa cartilag* gine sulle ale che si attacca alla costa. La sola tigre , per quanto gl’ Indiani dicono, è pe’ gtifooi insuperabile, perchè nel fuggife essa è rapida quauto il vento. — Parla anche della fenice;e di essa racconta quello che raccontano gli aliti·

Quattro mesi dice essere stato ApMonio presso gl’ indiani: di poi tenendo alla destra il Gange, e Γ- l fa ti alla sinistra, discese al mare, fatto il cam­mino di. dieci giornate dal Motti e sacro, in cui si era fermato. Nel discendere cosi videro molte al­tre cose : una razza di scimmie differentissima da

( 0 Scitare fu u n g e o g ra fo d t i l a C aria , d i i q a a l e

parie riferendone, 1# opere.

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quelle che vedale aveano presso gli alberi del pepe. Queste erano nere; pelose, e simili agli uo­mini piccoli. Finalmente i viaggiatori giuusero aft Mar-rosso : il quale non rosso veramente, ma anzi é assai ceruleo, detto rosso soltanto dal re ISrifra, il qual nome equivale a rosso. Nella loro naviga­zione ebbero ad ammirare la foce dell* Ifasi che si getta in mare eoo uo precipizio terribile; per­ciocché scorre esso attraverso di scogli e di rupi e per luoghi si angusti che da per tutto l'acqua é obbligata a rimbalzare, in cento opposti punti ad ogn* istante rotta ; cosicché non avendo poi che tina bocca sola per uscire nel m are, vi si ag­glomera furiosissima ; e con tale impeto cade, cbe guai a chi naviga troppo vicino a que* luoghi ! Dicesi che videro anche le foci del fìume Indo, ov* è una città chiamata Palala, adjacente al fìume; ed ivi fa uo giorno la flotta dfAlessandro e Nearco che fu guidava. Quanto poi iutoroo al Mar-rosso sì narra da Ot'iagora , cioè che ivi noa si vide l ’Orsa, nè i naviganti possono segnare il mezzo* giorno, quantunque altre stelle ivi apparenti fac­ciano ancb'esse l’ordinalo loro corso, lo stesso v i­dere anch’essi. Parlarono pure della piccola isola chiamata Biblo , ove diconti essere conchiglie, e murici ed ostriche di singolare grandezza ; e fu ostriche le quali vi si trovano attaccate alle pie- tte, sono dieci volte maggiori di quelle che reg- gotisi in Grecia. Ivi anche si piglia in utì gu­scio bianco la perla, che dicesr stare nelle ostri­che in luogo di cuore. Narrasi che toccarono an* ebe V Eupegade, paese dt'gli Oriti , presso i quali sono pietre di bronzo, area · di brai&ó, e pezxi

3 6 CLASS? PRIMA,

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STORICI z BtOC KAri PROFANI.

di bronco trasportati dalle acque de’ fiumi* e n*é quella terra stimata d*oro pel valore che si dà al bronzo. Dicono avere anche parlato agl* Ittiofagi * abitanti una città chiamala Si obera , ove si faouo gli abiti con le membraue de’grossi pesci, ed ove fu carne medesima de* bestiami ha sapore di pesce per la ragione che si pascono di pesce anch*essi, quantunque ciò non coofacciasi alla l$ro natura. Gl* Indiani poi, detti Carmani* sono una razza di itomioi mansuetissimi* i quali abitano uu mare tanto dì pesce abbondante che non hatiuo bisogno di farne provvisione a parte né di salarne* poten­done prendere ad ogni momento quanto vogliono. Dicesi pure che approdarono a Valara , emporio abbondantissimo di mirti e di palme « e v* hanoo alcuni allori, ed orti moltissimi copiosi di tutte cose. A quel paese sta dirimpetto uo* isola sacra che si chiama Se lira» In quella parte che riguarda il grosso mare, Pacqua é immensameoie profunda; e produce ostriche di guscio bianco* e piene di grassume* senza veruna perla. Quando gl* Indiani veggono .il mar tranquillo, vi buttano sopra delPolio, Ìndi nuotando sommergono sotto Pacqua per pigliare quelle ostriche* valenti io ciò come quelli che vanno a pigliare le spugne. Hanoo essi uoa specie di mattone di ferro, e uo vaso d*alaba$tro pieoo d* ungueale i e giunti presso alle ostriche di quell* unguento si servono come d*e$ca per attirarle; ed esse sedotto s'aprono e *\nebbriano di quel liquore. Allora cou. uno stile il pescatore le fora, e mandano fuori un sugo ch*egli con quel mattone va raccogliendo en­tro molto varie cavità nel medesimo praticate ap·* posta: il qual sugo .di poi s*indura a modo di

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38 classe prima ,perla naturale \ essendo esso sangue bianco ia1 mar-rosso. Ogni akra parte di quel mare è selva* fica e fiera. — Sooo ivi anche tarme tante di ba­lene t per lo che le navi per difendersene usano avere a prora e a poppa delle campanelle* al suono delle quali, impaurile quelle bestie, si allontanano dalle cavi. —- Di poi entrati nelle foci dell* Eufrate dicono di là aver navigato a Babilonia.

Nel IV libro Fiiostralo noo fa che accumulare favole e menzogne per lodare A poi Ionio. Nel V parla de*promontorj d’ Europa ed Africa* conte­nenti un seno di sessanta stadj, cou cbe congittn* gono ΓOceano ai mari esterni. Il promontorio d*Africa» chiamato Abita , ha leoni abitanti ne’ ci- glioni de* monti. La parte interna di quella mon* lagna appartiene ai Getuli e ai Tingi, nationi fe­roci , e ai Libj i e i naviganti per TOceano la Yfggouo protrarsi per novanta stadj sino alle boc- che del fiume Salece* quanto poi di lì vada oltre, nou è facile congetturarlo, perchè dopo quel fìume l*Africa è deserta4 né piò al di là (rovaosi uòmini. >1 promontorio d* Europa, detto Calpe* alla destra ^egnà una navigazione di seicento sudj* e termina alfantrca Cade. Io medesimo vidi le giravolte del-1 Oceano presso i Celti , quali aoche per fama si coiiofeetfoo* e spesso pensando alta cagione* per cui si vasto pelago affluisce e refluisce, credo che la indovinasse Apollonia in quella lettera che scrisse agl' Indi ani, ove dice che POceaoo spinto da venti sub^equei per molte aperture, si diffonde patte neMooghi inferiori, e parte uelle esterue plagile delfa terra t iodi «i ritira al cessare del vento, qtiasi a modo di anelito. A questa opinione dà

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SToiuci a ztOGtsri prof ani. 3gforte quanto si vede accadere agli ammalati in Cade. Imperciocché quando l'acqua crescente inonda il paese, i moribondi non sono abbandonati dal* l’anima nè questo succederebbe se lo spirito stesso non si volgesse allora alla terra. E quanto *i vede apparire intorno alla luna cbe cresce, si fa piena, e cala, io vidi avvenire rispetto allOceano, il quale, con essa cafu e cresce; e la notte al giorno; e poi il giorno alla notte succede, presso i Celti a poco a poco mancando o la luce , o le tenebre , come accade pure presso, di noi. Ne* contorni di Cade poi dicesi cadere innanti agli occhi in gran nu­mero colonne come fulgori. £ di ce ti inoltre che presso ai coufìoi dell1 Affrica stanno le isole dei. Beati, volte verso la parte del promootorip che é inabitabile. Cade è situala dal lato d* Europa. I suoi abitanti sono nei loro sacrifìzj superstiziosi « poiché hanno dedicato uu altare alla Vecchtaja, e sono i soli fra gli uomini che nelle furo feste danne laudi alla Merto* Sono anche presso loro altari consecrati alì’A rto e alla Povertà, egualmente che ai due Ercoli, l'egizio, e il tebaoo^ e questo per­chè dicono l* uno essere penetrato stuo alfu con** finante Etisie con Gerione9ed avere a costui por*, tati via i buoi; l’ altro sapientissimo aver fatto il giro di tutta la terra. D i , piò dicesi che gli abi­tanti di Cade sieno G reci, ed istrutti alla nostra maniera. Dicesi ancora che ivi si' trovino alberi , che non veggonsi in nessuu’altra parte della terra, i quali -chiamansi Gerioni , ed essere soltanto d u e , nati presso il sepolcro eretto a Gerione , parteci­panti della natura di due specie diverse di pino 9 e stillanti sangue, come vfun riferito che il pioppo

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io CLASSE MtÌMJk ,diade stilli oro. L*isola, in cui é situato il tempfu, è in grandezza eguale al tempio medesimo , non vedendovisi parte alcuna del suolo petrosa , ma tutto coperto di pulitissimo peristilio. In quel tempio si venerano ambedue gli Èrcoli· Nè sooo rappresentati con simulacri. L* Egizio vi ha due altari di bronco : uno solo ve n* ha il Tebaoo. Veg- gon vi poi sculture in marmo che raffigurano 1* Idra, i cavalli di Diomede, e le dodici fatiche di Ercole; e nel tempio stesso d*Ercole v* è l’aurea oliva di Pigmalionet degna, come vuoisi, d'ammirazione per la giusta somiglianza che l*arlefalto ramo ha al naturale , e più ammirabile nelle frutto, di cui è carico , fu quali sono di smeraldo. Vi si mostra aucora l ’elsa d’ oro di Teucrft Telamonio. Come poi questi, e perchè questi giuguesse all’Oceaoo, gli abitanti confessano di noo saperlo. Bensì dicono che fu colonne che sono nel tempio furono fatte d*oro e d’argento, fusi insieme, e ridotti di un sol Colore. Esse sono quadrangolari come le iocudfui ; e ue* loro “capitelli sooo iscrizioni con caratteri nè egiziani, né indiani , né cogniti in alcun modo a nessuno. Apollonio vedendo che di tal cosa i sa­cerdoti non dicevano nulla i Non permette a me , diss*egli, Ϊ Ercole egizio che taccia quauto ne so· Questo colonne sono il vincolo della terra e del* I*oceano; e vi fece su quella iscrizione Ercoio stesso io casa delle Parche ; e la fece perché inai non venissero a contrasto gli elementi, né mai s i rompesse la colleganza in che sono.

Navigarono ancora que'viaggiatori pel fìume Reti, il quale iu singolarissimo modo fa chiara fu natura del flusso e riflusso dell* Oceano. Imperciocchù

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STOBIC! Z BltfGSArt t t O T k V U 4%

quando il mar cresce Tacqui) di quel fìume va verso fu sue fonti, respinta dal mare da on certo spi* rito. La regione da quel fìume Dominata Bel ics è ottima; e doviziosissima, e beo fornita di città e di pascoli. Quel fìume scorre presso tutte quelfu città , e le campagne iodustrfusameute coltivate producono di tutte cose in Abbondanza* Il clima del paese è come quelfu che suol esser dell’Attica all* autunno ne* giorni dei inisterj.

Tutte fu cose che i poeti dicono dell'Etna, F i- k>sfratò raccoota essere state come tante favole ri­gettate da Apoliamo, di questa maniera ragionando egli: La favola che rigettiamo,* non è simile agli apologhi di Esopo , ma appartiene alle finzioni di chi sa dare ad intendere cose false , come sone i poeti, i quali dicouo che certo Ttfeo od Encelado» fu fugato, e posto Sotto quel monte, al cui peso mortale resistendo, con grandi aneliti vomito quel fuoco. Io poi credo essere stati al mondo i Giganti, e io molti luoghi esistendosi i furo sepolcri, se ne mostrano i corpi. Ma non credo poi cbe quei giganti combattessero cogli Dei ; bensì penso che ne violassero i templi e gli altari. In quaoto *poi che assaltassero il cielo, e noo volessero che ivi gli Dei abitassero, reputo il dirlo pazzia, e maggiore pazzia il crederlo. Nè vorrete voi pur credere ciò cl»e si crede comuoissimamente, cioè che Vulcano esercita nell* Etoa il mestiero da fabbro $ poiché molti altri monti sono al mondo che gettao fuoco, senza che alcuno dica ivi essere i Giganti, o Fui* C a n o · Dell’ardere adunque che fanno certi mosti , ecco quale dicesi che ne sia la cagione. La terra mista a bitume e a solfo furmenta, ma per anche·

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4 * c c a s s * n i t i A ,

non arde. Ma se avvenga che abbia caverne, e in esse entri alcun sofGo di vento , allora si accende ed alza le fiamme a modo che , crescendo esse , .versanti sulle cam pagne non diversamente da quello c be faccia l'acqua «Calurtìado dai monti; ed alcune volle quell' allagatacelo di fqoco scorre sino al mare, e vi fa impeto al pari .di un fìume.

L* Etiopia occupa il corno occidentale di tutta la terra, come P India occupa quello cbe guarda rotiente. EiS» é congiunta alP Egitto dietro a M e· roe, e stendendosi verso la parto deserta della Libia va a terminare al mare che i poeti chiamano Oceano, con questo *solo e medesimo nome signifi­cando U tltotl mare che circonda la terra. Altri* b u s cano poi alP Egitto il fìume Nilo , il quale preadendo priitcipio dalle Catadupe, PEgitto, chè tutto irriga, viene ad unire alia Etiopia. L'Etiopia tjou è dat paiagouarsi all1 India nella grandezza, nè è da. paragonarvi alcun'altra parto nota agli uo­mini. Né·sedotto l’Egitto aggiungiamo alfu Etiopia, il che - crediamo appuuio fare il Nilo, non per anco que' <Aue paesi -saranno grandi quanto P India. NeU P una' eu etiV tra conti a da ^erò i due fiumi* I*Lido e il Nilo, sono tra essi simili. Eutraudo in fatti iu tempo d’ estate, quando appunto la terra n' ha bi­sogno. essi la bagna uo e la coprono di limo^ en­trambi soli tra i fiumi contengono coccodrilli ed ippopotami. La somiglianza poi delle terre viene aitostata in ambi i paesi dagli aromi ivi nasceoti j e così dai leoni e dagli elefanti, obbligati nelPuna contrada e neiPahra a servirò. Ciascheduna, d'esse ha ancora altre fiere che non si trovano altrove) ed ha u&ntioi negri, che ni un altro luogo del con*

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STOZtCf z BtoOKAPl b b o f a h i. tinente ha( e insieme cui Negri ha ciascbeduua anche Pigmei. Quantunque poi i Grifoni degl* In* d ia i i i , e le formiche degli Etiopi tiene differenti di figura, cip 'ion ostante hanno le iuclinazioni medesime -, perc iocché si dice che iti entrambi f* luoghi cotesti animali cijstudi&couo l oro, ed amano fu terra die lo produce.

Essendo A poiionio pervenuto sul confine d e l · Γ Egitto e della Etiopia,, ( il luogo chiamati Sica- mi u o } trovò oro greggio, lino» avorio, e diverse

radiche, e unguento , e varie specfu di aromi ; e tutte queste cose esposte sulla strada in tanti muc- chj senza che élcuno le ^custodisca. £ la ragione di tal cosa è questa- Gli Etiopi traspoitaho fu metei del loro paesei e g li Egifcj preadendo questo, quelle vi portano .del paese proprio di> valore eguale; cosi barattando fu uue cou le altre , ed> ognuno provvedendosi di quelfu che nou ba* QueHt che sono più vicini al contine*le uèt* sono ancora

negri affatto 4 ma avendo Utili una medesima tinta,1 rimangono diversi dagli aliti. Costoro sono nevi meno degli Etìopi, e alcun poco piò degli.£gizi.>*

Riferisce f do tirale poi che A poliamo giunse. sU*· reggia di Memftonet Aveano: i «viaggiatori per .guida uo giovatto egiziaoo di oomie Tìmasio^ e dice chei Apollonio fu malairf*f*to accolto , mentre recavasi· ai Gimuosofìsti degli Etiopi, .niuuò di quegli oneri, avendo ricevuto che gli fecere i Brahmani dell'In- dia* ed ecco il percihè» Un certe Eufrate, filosofo; essendo nemico di Apollonio* ne avea denigrata cou calunniasi rapporti la fama presso i G wiNioao-* fìsti. Del resto egli drtsste che » Bracmatu de'H'lndià erano assai più sapienti de'Gunuosofìsti d ’Etiopia ;·

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fìe questi vivevano nudi a cielo scopert o , saprà una montagna dalla natura assai ben formata, poco fungi dal Ni fui e eh t Apollonio giunse ad essi na­vigando parte per m are, e parte sul Nilo. Poco fermatosi coi Gtmnosofìsti, e disputando co* soni compagni andò ai monti a man sinistra del N ilo; ed ecco fu cose degne di memoria che in quelfu parti videro. Le Catadupe sooo montagne di terra, simili allo Tmolo di Lidia \ e da esse montagne scendendo il Nilo, della terra cbe di fu seco trae ingrassa l’Egitto. Il rumore strepi loto cbe fa Tacque al cader di quel mbnte« è cosa orrenda, né Torec- chio può tollerarlo ; onde molti cbe s’accostarono e que* luoghi, perdettero Γ udito. Andando Apoi- Ionio icoaozi co Vuoi compagni videro alcttne col- lineile coperte d’albeti, fu cui foglie, e la corteccia* e le gomme, cbe da questa tramaadatto, dagli Etiopi vengono te.oute in conto di frutto. Videro anche per la via fuoni, pantere, ed altre belve simili* nessunadelle quali tentò alcuna cose coolro d'essu ma come al veder uomini fossero prese da stupore tiravano dritto il loro cammino. Videro parimente cervi, capriuoli, e-struzzi, ed asini selvatici in gran numero, ed altri animali di.diverse specie, tra i quali furooo buoi silvestri, ed ircebuQ·. A l­cune di queste belve nascono <kl cervo e dal Ti reo, altre dal mescersi altri eoi mali different i ; e se­condo questi, prendono particolare denomi sezione» Trovarono anche essa e membra divorate e metà di cotesti aoimali, avvenendo che i leoni uoe volta cibatisi di preda calda, disdegnano poscia quanto d'esse é loro avaozato, sperando, io credo, di po­terne aver delfu nuove· Ivi ebiteno gli Etiopi detti

CLASSI FUMA ,

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ST0K1C1 z SIOGSSFI HtOFAlfT. $5No triadi, i quali baono fu furo città piantate sopra carri. Vicioi ad essi stanno i cacciatori di elefanti* cbe ne vendono a brani le carni \ e sono per ciò stati detti elefaotnfìighi. I Nasameoi , gli Antropo* fegU ■ Pigmei e gli Sciap o d i, >000 tutti genera­zioni di Etiopia, e stendonsi fino alfOceano etiopico* nò lo passano se oon a loro malgrado, strascina· tivi dalla lorza di qualche procelta. Mentre anda­vano que* viaggiai ori ragionando ira loro intorno •Ile fiere veduto* ed ammiravano la natura che nudre tante e sì diverse spècie di animali, nn ru­more venne a colpirli, simile al tuono quando noo iscoppia ancora, ma sta serrate rombando in seno alle nubi. Allora Timasio disse : È vicina fu cata­ratta cbé a chi va su si presenta per la prima , ed è 1* ultima per chi va giù i esse sono quattro. Andati * iaoanii per circa dieci stadi videro il fiume venir giù del monte, niente più grande di quel che sia il Marsia, o il Meandro là dove si uni­scono insieme. Tirarono ancora innanzi; e uoo videro p iù nessuna fiera· Imperciocché essendo esse per naturale paurose , più volentieri stanno presso acque quiete cbe dove queste fanno grande stre­pito. Dopo altri quindici stadj udirono fu strepito di altra cataratta, più intollerabile a udirsi di quello della prima ; ed era di quella maggiore del doppior La quale osservando Damide che preci- pitavesi da luogo più alto cbe l'altra, e i compagni, ed egli medesimo riferisce esserne rimasti tanto etordili cbe pregarono Apollonio a non sodare più avanti. Ma egli, fermo uel suo proposto, presi seco noe cbe chiama vasi Nilo, e Timasio si avvi­cinò atta tersa cataratta j indi ritornato ai compa-

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1$ Ctissz Misti ,gni annunzio loro colè essere la maggiore eleva­zione del Nilo, dì quasi otte stadj ; la riva oppo­sta ai monti avere il fianco di un masse maravi­gli oso, e l'acqua cadere dia Ila sommità ia uoa vane* sassosa , e di ]» tumultuosa e spumante alzarsi taoto, come se volesse risalire alto parte , d ' onde procederà. Gli accidenti poi die indi so rgono, sono molti, e p iò varj di quelli cbe veggonst nelle altre cateratte ; e il fragore dilla caduta de* monti é erudissimo; e tutto il complessa di quello spetta­tolo rende incornprentibile la nascita di quel-fiume,li cammino alle sue fonti ptitae é uon solo aspro all* ultimo segno,, e d rfiicilistimo a farti, ma pur anche a concepii si. £ molto cojenerransi dei de- mooi che stanno a quelle fonti < e Pindaro cantò di quello che siede colà a temperarne il corso. Passa in fine lo storico a riferire come Domi­nano » imperadore, avea vietato thè si castrasse alcuno, e che si piantassero v i t i , ed anzi le già piantate si strappassero^ ed a proposito avere Apoi· Ionio dello; questo voler forse dire, che io non ho bisogno nè di tali parli, nè di vino. Ignorò cosi qnelf uomo ammirabile risparmiare egli gli uo­mini, e castrare la terra.

Nel VII ed V ili libro Filo strato riferisce il li­bero parlare di Apollonio intorno a tiranni, e se­gnatamente intorno a Oomiz'ano ; e come fosse accusato, e spontaneamente si presentasse per es­sere giudicato; indi, in che maniera feste tenuto in carcere,e dal giudizio uscisse liberato, sciòlto e difeso. Tali cose racconta ; e prova noti essere egli stato mago, ma quanto ogni altro mai avere ah- feoraiuata furtissitfiaineuto fu magia 4 quantunque

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STOSICI z BIOGSAM Ht07Àlff. 4 ?molti prodigi narri di essa. Dice ancora essere stata la morte di lui oscura, e ia vita celebre; e del vi* vere e del morire, come credeva convenire, aversi egli dato sempre gran pensiero, solito a dire: staiti occulto vivendo ; e se noo altro: muori occulto ; ed aggiunge alle virtù svere atteso continuamente, ed in ispecial modo avere imitato Pitta jora-

Fitostrato lia usato nella sua narrazione ame­nità, e varietà , e parole conveuienti alle cose , e «ostruzione adattata, quale nessuno scrivendo ado* però; poiché veggiamo taluni dire piuttosto sgar­batamente che con giusti modi. Al contrario di die 'Filostrato, uomo dottissimo, mai non si Hoglie dalla buoua strada; tentando novità sua propria nella Costruzione; e ciò che assai di rado gli antichi 'dissero, egli dice liberissimamente fino al sover­chio, dimostrando cosi potersi ciò fare lecitamente, dappoiché non pel capriccio era egli condotto, ma sivvero'per dar grazia e dolcezza al suo discorso. £d in fatti la sua dicitura concilia l'attenzione ed ba una certa veuoetà.

Cose estratte dal·a medesima vita che si sonò omesse, ma che sono eccellenti pér la belletta delle parole e per la composizione (i).

( i ) Fozio p o n e q u i u n a In n g a s e r i e d i passi t o l t i d a Fitostrato, il in er i t o d e 1 q n a l i n e n p u ò c o n o sc e rs i che n e l l a l i n g u a o r ig in a le , fu li lascio si p r r q u e s t a rs* g t o n e , $i p e r c h è li t r o v o t r o p p o t r o n f i l i , e t a l o r a p o c o c o n fo rm i al t e s t o : il c h e oii ro i irav ig tto noa e s ­s e r e frtato n o t a t o n è d ag l i e d i to r i ) n è d a g l1 i n t e r p r e t i d i F o z io . Q u e s t o l u n g o a r t i c o lo d i s e d o t t o «ioni? b a

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cusis r im i,

FLEGONTE TRALLIANO

aàCCOLTA ni coss OLIMPICHE s cronic i e.

Questo scrittore fu liberto di Adriano augusto; e dedicò l'opera ad uo certo Alcibiade, che era nuo della guardia di quell*imperadore. Incomincis dalla prima olimpiade a motivo che i fatti ante- eedeuti, come acche quasi tutti gli altri afTertnaoo, nen hanno fìa qui avuto alcun diligente e verace scrittore , e quelli che pur cercarono gloria scri­vendone, non fecero che dir cose tra esse troppo diverse e contraddittorie. Trae aduoque Flegonteil priucipio, siccome ho detto, dalla prima olim­piade ; e vico disceudendo sino ai tempi di Adriano»

Io ho letto sioo alla C L X X YII olimpiade, in cui fu vincitore Ecalonno, milesio nel corso e ricorso: sei corso armato tre volte yiose Ipside » siciouio* nel dolico, Gajo, romano \ e Arilo ni mia, eoo, Isi­doro f alessandrino, nei peotafìlo^ nella lotta Aproto\ nel periodo Atiana, figliuolo à'Ippocrate atrami- teo* nel pugillato, Sfodrìa, siciooio^oel paocrazio Sossigene, asiano. Tra i ragazzi vi use nello stadio Apollofane ciparìssio, Della lotta Solerico di Elea, nel pugillato Calasso, di Elea auch'egli ; come nei

sicuramente sofferto o dal tempo, o dai copisti. For­tunatamente abbiamo l'opera di Filo strato $ e ognuno può a suo agio vedervi U bellezza di cui abbooda, coine dall’articolo antecedente ognuno può vedere di qual grado fosse » rispetto a certi paesi , U scienza in geografia e ia istoria naturale , si di FMostralo cqjue di Fot io medesimo.

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STORICI s BTOQftitt M o r s u i . 49pancrazk), e pel corso armato Ecatonno , milesio. Questi fu coronato tre volle nel medesimo giorno, <ioé per io stadio corso» e pel ricorso; e pel corse armato, Aristohco* che fu vincitore di quadriga; e d* uu cavallo solo Agemone* eleo. Ellanicò, eleo, fu fu di biga e di quadriga cogli ecuìei : di biga si* mi le lo fu Ciezia eleo , e di solo eculeo Callippo peleo

Lucullo ia quel tempo assediava Amiso ; il quale, fasciato sotto quella città Murena con due legioni, cou tre altre si portò cooiro i Cabiri, e sveruò nel furo paese. Il medesimo diede ordina ad Adriano di combattere con Mitridate, e vi ose la giornata, in Roma fu tremuoto; moke altre disgrazie interven­nero ; e molti altri fatti io questa olimpiade accad­de roj imperciocché uel terzo anno di essa si ceusi·. rouo in Roma sovecentodiecipoila abitatiti, Essendo morto Sinalruce Λ re de’ Parti, succedette a lui Frante, sopraooomiuato Dio-, e morto FedtP epi­cureo ne prese il posto Patrone. Parimente iu quell’anno nacque Virgilio Marone il giorno delfu Idi di ottobre. Nell'auno quarto poi della stessa olimpiade Tigrane e Mitridate, messi insieme qua­ranta mila fanti e trenta iniìa cavalli, ed ordinato l'esercito all’ uso de’ Romani , combattendo con Lucullo rimasero vinti;essendo rimasti morti delfu truppe di Tigrane c inque mila uomini» e io mag­gior numero esseodo caduti prigioofun , oltre fu ciurmaglia attaccata ai servigi dell’ esercito* Catulo dedicò in Roma il Campidoglio ; e Metello man­dato alia guerra di Creta con treula legioni, eoo* questo quell’ isola : nella quale venuto* alfu mani c*n Laoslenes rimasto vittorioso fu proclamato «m-

F o iio , Voi, JL

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5o « .sss · yhima,persdore, costretti i Cretesi a serrarsi entro le mura delle furo città. Àienodoro, pirata» traendo •chiavi gli abitaoti di Deio, distrusse fustatue degli D ei; ma un certo Gajo Triario, restaurando le ruioe delfu città « cinse di muro Deio. Fino a questa olimpiade leggemmo cinque libri dell’autore·

Il suo' stile non è affatto basso, ma non cou- serva nemmeno il carattere attico. Altronde troppo dispiace Paecuratezza e la diligenza di lui in contare fu olimpiadi, in riferire i nomi di tutti quelli che ebbero parte nelle gare de’ giuochi, in allegare i fatti avvenuti, e io riportare gli oracoli ; cosicché con tale massa di minute cose annoj*4 chi legge, mentre intanto tutte le altre cose rimangono iu quest’opera coperte, né si lasciano apparire. Oltre ciò eensa garbo affatto riesce il ctfscorso \ e può dirsi cbe l'autore non bada che ftd andare incul­cando senta discrezione i responsi d'ogui specie degli Dei.

PLUTARCO

ZSTRSTTO DE*r*RAl.LZLt.

. »45 Leggemmo diversi libri dei Paralleli dì Pfa- tarco , i cui scelti Contpendj contengono grande utilità per chi àma imparare.

Dalla vi(a di Dione.

Timeo, cogliendo Pottasione opportuna di rim­proverare i riguardi e la fede di- Fdisto verso i tiranti, fu colma fino all’ecoeHO di contumelie'

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8T0BIC I t BIOGRAFI PROFANI. S iF otrebbesi perdonare a d ii inveisce contro uno cbe in vita l'ofTese, non avendo nel tempo avulò modo di sfogare T ira sua; ma dii venne scri­vendo la storia dopo, e noo fu offeso, ed anzi potè approfittare di alcuna cosa lasciata , dal co- mun giudizio degli uomini dovette essere distolto dal rimproverare con obbrobrj e con iscurÌIità dis­grazie che per ingiuria della fortuna ogni uomo dabbene può incontrare. Né Eforo mostra miglior seuno, il quale lodando F ilin o , quantunque astu­tissimo uomo, cercò i cattivi costumi, e le mate azioni coprirne ed iscusarlo con considerazioni in apparenza oneste. Chè a malgrado d'ogni suo sforzo noo potè purgarlo dai delitti appostigli e si fece vedere cortigiano de*tiranui, e grande ammiratore del loro lusso, della loro potenza, e delle ricchezze e nozze loro. Miglior consiglio si è nA lodare t fatti dì Filietot nè rinfacciargli fu vtceude1 sofferte.

Dal Bruto.

Mentre altri a Cesare sì univano, ahn éd An­tonio, e gli eserciti stavano per mettersi io ordine> e ognuno correva ove sperava miglior partito, Bruto veggendo fu cose affatto disperate risolvè d'uscite d 'Italia , e attraversò la Lucania a piedi siilo al mare Eleo. Di là ritornando Porcia a Roma,' volendo essa occultare P immenso dolore che fu rècava fu separazione del marito, quella donna, al­t r ó n d e generosa e forte , fu vinta da una'pittura che fu cadde sotto gli o£cbi. Rappresentava quelhl· pittura Andromaca, che ricevendo dallè braccia di1 Ettore il figliuolino restituitole, teneva fu «guardo-

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5a c l a s s i n u m i ,fìso oel marito. A Porcia quella pittura feOe sen­tire la disgrazia del proprio caso, tutti oe sollevò gli affetti, e le desiò amarissimo pianto, rinnova­tosi io lei ogni volta che sulla medesima fermava gli occhi.

Dal Paolo Emilio.

In cui tra fu varie passioni, e gl* ioterni cattivi affetti , P avarizia tenne il primo luogo. E Più· tarco parla così *di Perseo, re de' Macedoni.

Dalla vita di Demostene,

Uditi tutti gli ambasciadori ateniesi veouti a lui, Filippo rispose con molta precisione a Demo- Siene, ma non usò seco lui l'onoranza e la cortesia cbe usata avea agli altri, migliore accoglimento fatto avendo ad Eschitte ed a Filocrale. Per lo che lo­dando quelli Filippo come facondissimo e bellis­simo uomo, ed ottimo bevitore, lasciatosi sopraffar dall’ invidia si mise a porre in ridìcolo cotali elogjt dicendo in quelle cose nul la essere di che lodare degoamente un r e , perciocché fu prima qualità appartiene al retore, la seconda alla donna , e la terza conviene alla spugna. Mortagli fu figlia, Demostene avendo avuta la nuota allora per auche secreta che Fdtppo avea cessato di vivere, per alzare gli animi degli Ateniesi a buona speranza snir&Yvenire » andò tulio lieto in volto iu senato, dicendo 9vere fatto un segno,cbe annunziava grande felicità al «popolo. Poco dopo giunsero quelli che s$cavauo l’ ttuujuozio delle motto di Filippo, E

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STORICI z B10G1UFT ίΚΟΓΑΗΓ. 55Demostene vestito splendidamente, e cou corona iu t esta apparve in pubblico, essendo allora il settimo giorno daché sua figlia era morta. Il qual fatto riferisce Bschine traeodolo a vituperio* di lui, come uomo seoza cuore pel proprio sangue. Di niolle animo e degenere era egli, se credeva indizio di man­suetudine e di amore de'suoi i pianti e le strida, ed imputò a vizio il sostenere siffatti casi senza senso di dolore, e mollemente. Non affermo io invero cosa decorosa negli Ateniesi metter corone, e far an­c he sacrtfìzj per la morte di un re che usata avea tanta clemenza ai vinti. Aggiungo ancora essere cosa odiosa, e indegna d' uomini ingenui, che dopo aver colmo di onori , e rimeritato con la cittadi­nanza quel re, mentre era vivo, esultassero poi alla nuova che non vivesse p iù , e a lui morto insul­tassero. In quanto a Demostene, eh' egli lasciasse aHe donne 11 piangere sopra le disgrazie domesti­che, occupandosi egli iotanto di ciò che credeva dell* interesse delfu repubblica, io di ciò il lodo ; e dico procedere questo da animo forte » e vera-r mente civile , il cui officio ò badare sempre a quelfu che appartiene alla repubblica ; a questo posporre fu domestiche cose, conservar sempre fu propria dignità, molto meglio di quello che sulle •cene *faceano gl’ istrioni rappresentando o r e , o tiranno, i quali veggiamo non ridere* o piangere come più loro piace, ma come vuole la ragione deirargomento a cui servono. E se ò coutro ogni dovere abbandonare chi sia colpito da infortunio, * lasciare che si consumi nel suo dolore privo di ogni consolazione^ chè aozi dobbiamo la sua tri­stezza alleviare con dolci parole, e chiamarlo alla

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5 4 CLASSZ M IM A ,

speranza di migliori eventi, oou diversamente che facciasi cou uomo ammalato d'occhi che dagli o g ­getti troppo splendenti, e che la sua vista offen­dono , volgiamo a mirare verdi, e soavi co furi ; qual fìa migliore maniera di consolate la patrie afflitta, quanto il temperare le disgrazie domesti­che con le pubbliche , e le avversità proprie co­prire con quaoto di prospero può alla patria stessa accadere ?

Vinto, dice Plutarco , dai regali di Arpalo, e preso Demoslene, come se gli si fosse posta affianchi una guardia, si mise nel suo partito t e chiamata fu moltitudine che dove» giudicare degli affari di Arpalo, poiché prima ch’esso empiute avesse d'oro all’oratore le maui questi erasi opposto a chi voleva salvarlo, e dargli ricettoi copertosi ben beneil collo con laqa, e con fazzoletti, si presentò alfu concioue; e chiamato a parlare, fece segno d'aver perduta la voce. Onde i piò spiritosi motteggiatori della città dissero che l'oratore fu notte antece* dente era stato {preso non da angina , ma da ar* gentaugina.

Dopo che Demostene pei regali avuti da Arpalo fu cacciato iu esiglio , i giovimi che andavano a trovarlo » e spesso conversavano con esso fui* li dissuadeva dall* impacciarsi nelle cose pubbliche * dicendo cbe se da principio gli fossero state pro­poste due strade» uoa della tribuna»,e della con­cione, e Paltra della .morte immediata , ed avesse preveduti i mali soprastanti a chi fi dà ai pub­blici affari , i terrori , le invidie, fu calunnie, fu opposizioui, egli sarebbe entrato iu quella che a dirittura avesse condotto alla morte.

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«t o sic i aKHUAn s v z o rs jn .

Dal Cicerone*

È certo cbe Pazione giovò non poco a Cicerone per persuadere, ed egli ridendosi degli oratori ebe fanno grau rumore, diceva che per debolezza ri­correvano al chiasso, come gl» zoppi ricorrono ai cavalli» Pare eo*a propria dell’oratore Sopprimere i nemici con acerbissimi obbrobrj, o pungere gli avversai) con motteggiarne offendendo egli il pros* simo a spalle altrui eccitaodo il riso , si concitò contro l’odio di molti. Per cotale sua mordacità si fece assai nemici ; e Clodio cosi altri dà ciò prese occasione di cospirare contro di fui. La più pic­cola «noseta di rame ptesso i Romani è il qua­drante. Viene raccontato, dice Plutarco, che Cesare avendo ne*primi giorni contrastato per salvar Ci- cerone, il terzo giorno acconsentì che il sud amico fosse proscritto. Ma si fece nn cambio, cbe Cesare fusciasse mettere tra i proscritti Cicerone, Lepido* suo fratello Paolo* e Antonio vi lasciasse mettere suo zio L. Cesare* Cosi 1* ira e fa rabbia rovesciato in essi aveano ogni ornano sentimento) ed ausi dimostrarono non essere al mondo bestia più fe­roce dell* uomo quando ba i mezzi di eseguire quaoto nella perturbazione delle pessiooi deliberò.

Dal Pacione,

Focione fu nomo severo e d* umor tetro. Se* deodo io tribunale per fare il registro di quelli cbe còmpor doveano 1*esercito, al vedere da lon- taoo Aristogitone sicofante, cbe Delle concioni avea

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eccitato il popolo alla guerra , e camminava" eoo uo bastone ed una coscia fasciata, gridò al can­celliere : Registra Aristogitone, ancorché zoppo e da nulla. E farà in vero maraviglia come un uomo severo e duro abbia potuto ottenere il some di buouo. Ha credo che , quantunque sia diffìc ile , pure accader possa c h e , come succede del vino , anche un uomo possa essere dolce ed austero ; come al contrario veggiamo alcuni che * mentre pajono soavi , riescono acerbissimi a chi ha che fare con essi, e nuocono non poco. Narrasi à'/pe- ride che una volta parlò al popolo di questa ma­niera; Badate, o Ateniesi, non solo se io sia acerbo, ma se per avventura uon sfu tale perché offeso» Focione nou fece male a nessun cittadino per ini­micizia , né anzi pensò mai che alcuno gli fosse nemico. Bensì mostrossi aspro e fiero con chi re­sisteva a* suoi coosigli diretti al bene della patria. Nelle cose della vita privata fu compagnevole, be­nigno e mite con tutti, cosicché prestò ajuto nelle 'loro bisogne anche a quelli che aveano mostrato «sai cuore verso di fui, e li difese vedendoli espo­rti ad uu giudizio che poteva decidere della furo vita. Dicesi che lo stesse Antipatro, principale tra i Macedoni, e che fu cose di questi governava, disse io qualche occasione aver egli ia Atene due amici , Focione e Demade, ad uno de’ quali uoo ave* mai potuto persuadere di ricevere , all* altro di dovere usa volta essere sazfu d’ avere avuto.

$6 c l a s s i m i m a ,

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rronci ■ a i f o s t i n n o n n . *7

V a l Catone.

Catóne mettendoti p«r imparare, fu lardo a et- «pire - f u cose , ma capile noa volta , le riteneva' *a memora tenacemente. Così appunto veggiamo che ehi ha svelto ingegno, presto metto in sua meato •le cose; ma chi ve le mette con laìica, fu ritiene essai piò, perchè fu ha, direm cosi* impresse sella -sua testa eoa uoo stampo rovente·

Dai? Alessandro.

Dice che Alessandro fu bianco, e ebe alla bian- ehetza unì il rosso, specialmente nel petto e snUa faccia ; che esalava un odor soavissimo e dalla bocca e da tutta la persona; cosicché, come molti attestarono , fu «ue tonache erano piene di fra* gran za. Di ciò forse la cagione era il tempera­mento caldo ed igneo del suo corpo; imperciocché^ se crediamo a Teofra&to, 1* odor buoeo nasce qnando il calore coucuoce gli umori ; e per que* sto le parli secche e torride della terra «generano Molti ed ottimi aromi, appunto perchè il sole alza Tumore che come maceria di putredine trasuda dalla superfìcie de* corpi. Onde poi per questa ragione Alessandro fu bevitore .ed iracondo· ■ Avendo Filippo ricusato di comprare il Bucefalo, propostogli da Filonico di Tessaglia per tredici tafunti, per ;fu ragione che non soffriva d’ essere cavalcato da nessuno, e non ascoltava fu voce di nesauno di quelli eh’ èrano con quel re , Alessan-* dre, di d ò delent?, pregò il padre di acquistarlo}

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SS «.*$»* sai ma »ed egli, mentre quel cavallo era da tutti giudicato feroce ed iudomabifu, preso pel freoo lo voltò in faccia al sole, con che potè osservare come altri- mente dalla proprfu ombra agitela e tremule quel­l'animale Imbavali. Posc ia palpatolo a poco a poco e dolcemente accarezzatolo, tosto che fu vide in* focato, pian piano toltasi di dosso la clamide , vi saltò sopra, vi si adagiò con sicurezza e violente­mente fu scosse. Alcuoi di quelli ch’erano presenti fu guardavano con [Mura cbe gli succedesse quaU che disgrazia, altri si posero a battere lieti le mani, e tutti rimasero del pari stupefatti. Quando poi festoso, volto indietro il cavallo, tornò in in «zio alle universali acclamazioni, dicesi ebe Fi­lippo piangesse di gioja , e quando Alessandro fa disceso, presolo con ambe le nfuui per la tosto lo baciasse , e gli dicesse: Figliuol m fu, Cercati un regno degno di te , poiché la Aiaeedooia non può contenerti. — Dice anche Come Alessandro sti­mava migliore opera di re il vincere sé medesimo che Ì nemici, e come i>ò alcuna deile fìglinofu di Dario, quantunque bellissime, oè altra donne qua­lunque prima delle nozze toccò ». salvo Sartina » che fu vedova. — Avendo uua peoora partorito no agnello che avea nel capo la ligure e il oofuré di una tiara, e dall'un* parto e dall*altra i testi­coli, abbontinando un tale prodigio 7 fattoti pur­gare dai Babilonesi ebe a tafu effetto «alea m ndut seco , disse agli am toì , non per sé , ma per tesai essersi di tal fatto turbalo, onde quando fosso morto il fato ooa facesse cedere l'imperio in u h m dì >qaalehe nomo igoobifu ed ito bel fu Ma da qae* sto pensier tristo fu sollevò no più lieto accadente.

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stonici a Biomun rsorsar* ^Imperciocché accadde cbe facendo Prosiamo, so­printendente de* mob ili reg j, un luogo presso il fium e.0*0 onde piantare fu tonda, scoptì una, sorgente di un liquore ^pìngue, da cui, falla levare fu parte ,eh*era alfu superficie, ne scaturì un olio puro e luceste >,per nulla differente dall’olio vero nò per Pudore, nò pel sapore , o per cbìaretza e grassezza ; dovendosi anche avvertire che in. quel paese oon v'ha olivi. Ma ΓΟχο ha unTacqua assai morbida , cosicché chi vi sì lava si trova come unto dì certo grassume fu pelle. Alessandro molto fu lieto dì quel prodìgio* t - Filippo ebbe «n al­tro figlio, dì nome Arideo> generato da ima *gno* bile prostituta detta FiUn$i, e non era affatto sago dì mente ; il cbe procedeva da miti* affusione dì corpo. Quella mala affeaiooe p^rò nen veniva da vizio di natura, poiché .dicevi ,cbe da .fanciullo fosse dì bella e svelta, ma da certo, beveraggio propinatogli da Olimpia ,* ticcfcè p$r òsso rimase tocco e*cbe nel senno.

Dalla vita di Cesare.

Raccontano che prima che Cesare giugnesse ad Arimino, città grande nella Celtica , la quale con improvviso assalto egli occupò, dì notte ebbe un bruttissimo sogno, parendogli di giacersi osceta- ipeale con fu prpprfu madre·

Dalla vita di Eumene.

Le prosperità alzano .l'animo anche a coloro ebe Sono di scarso e basso ingegno» sicché' si les^ouo

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0e CLASS* PKTWl,per grshli, ed alzan le creste se avviene che v e g - gansi -collocati in eccetsò grado. Ha fa vera m a­gnanimità e *costanza risnlta nel sostenere e co r­reggere i casi delta fortuna avversa: di che diede bell* esempio Eumene; perciocché si vide in e sso lai una nobiltà d’ animo ed una sveltezza d’ inge­gno superiori di gran lunga a tutte fu avversità che incontrò. Per lo che sentendo ch*essi ( i suoi avversar]) vicendevolmente si disprezzavano e che temevano di fui , ed erano deliberati di ucciderfu ove furo se ne presentasse l'occasione, fìngendo di aver bisogno di dattaro prese ad imprestito molti talenti da que* medesimi che sommamente 1* odia­vano , onde credessero* a l u i , e per fa paura di perdere quanto furo doveva desistessero dal tra­mare contro la sua vita. Con che venne a costi­tuire I* altrui danaro guardia di sua persona ; e mentre gli altri redimevano la vita sua col danaro a, Ini dato, egli solo colPaverlo ricevuto si fece sicuro. Filopolemo , cioè amante della milìzia . è colui che preferisce P utilità alla sicurezza ; Pole­mico, cioè militare, è colui che possiede sieureizs eoi mezzo delfu guerra·

Dalla pila di Sertorio·

Trovandosi Sertorio in Ispagaa, gli si presentò mn certo nocchiero che di fresco era ritornato dalle isole Atlantidi. Sono esse due , separate da un piccolo stretto, distanti dall*Africa diecimila stadj, e diconsi le isole Fortunate de* beati. Sono bagnate da piccole e rare piogge, venti dolci e rogiadosi vi soffiano $ e eiò fa che la terra noa

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solo sia fenile per arature, e piantagioni che vi si- pratichino , ma spontaneamente nascouo e fu copia e squisite le cose che bastano per alimeli* tare il popolo , il quale vive ozioso e da niuna facceuda iuquietato. L ’aria è io quelle isole inno­cua , e piccolissimo è io esse il variare delle sla- gioiti imperciocché le boree e i venti di levaute che verso quelle parti sooo tratti dalla tori», scorrendo una grande vastità di spazio a cagione della di­stanza, cadono cola penza forza, perdendola per vfu prima d’arrivare. I venti di poneuto e gli zeffìri, che soffiano aliimorno dall'alto, mandano (M in a rep io cole e rare piogge, e rinfrescano per lo più eoa nn poco d'umido l’ aria, quando è serena, e pla- c idameote tengono saoi gli abitatori. Perciò anche presso i Barbari si è radicata Γ opinione che in quelle isole siano que’ campi elisi e quell'abita­zione de' beati, che Omero descrisse. Udite tali cose iSertorio fu preso da gran desiderio d’ire ad abitare quelle isole , c , lasciala la tiranoide e le guerra, vivere colà in tranquillità, e in pace» Ma turbò e fece svaoire un late desiderio l’arrivo dei Cilici» e la cura di nuove guerre. È stato dello che Strlorio nou inclinava punto né a voluttà, né a paura, Era nelle cose avverse d’animo imperterrito, e nelle felici moderalissim?. Nessuno al suo tempo fu ca­pitano che come Iti più schivasse di venire ad spetta battaglia. Fitistimo era poi iu tutte fu in* dustrie militati j cose iu occupare luoghi di loro pittura forti * in pasnr fiumi , e in tulle le altre eose per fua quali vudti celerilà , astuzia e simu­

lazione. Fu pure liberdissiteo in dar pretoj, e moderato iu dare gtsti^ti* E £? osUeml di

s t o r ic i t BioGttAri e n o r m i * (5*.

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6 ) C t k S i t PIUMA,

ina vita (per ciò che riguarda gl! ordini dati ri­spetto agli ostaggi) apparisce, anziché mansueto, crudele, dee dirsi a ciò essere stato tratto da ne­cessitò. Come poi parmì che la violenza delfu mata fortuna noo possa mutare io contrario fu vera virtfi dalla retta ragione stabilita, così penso non essere cosa assorda il crédere che Ì consigli, altronde retti , e Ì buoni naturali, ove sìeno so­praffatti da gravi calamità , possano con la fortnna Cambiarsi. £ questo è quello cbe parmi sacceduto allora a Sertorio, mentre la buona fortuna fu abban­donava; chè, inasprito dalle avverse combinazioni, fccese con troppa atrocità a vendicarsi de*mali che soffriva.

Dalla vita di Demetrio.

Demetrio fu di statura meno alto dì suo padre, quantunque però fosse grande; ed ebbe persona e faccia co4 bella , che nessuno potè né scolpirlo , nè dipingerlo qual era. Alla venustà ed eleganza univa gravitò , e spirava terrore dal volto ed in­sieme certa eroica e regai maestà, mista a giova­nile svelte ita. Egualmente tale fra l ' indofu sua , che sapeva atterrire gli uomini, e conciliarsi fu loro affezione.

Fo singolarissimo H ritrovai# dì Stratocle* au­tore di coleste lusinghe fìne, t da vero Serto. Co­stui pubblicò una legge, per /a quale dichiarò che se per pubblica commissione fossero spediti in­viati ad Jntigono, o a Demetrio, non si dovet­tero chiamare uè legati, nè ambaseiadort, ma bensì teori, tale a dire consulto^, che è >1 titolo di eo*»

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storici x siOGsart ?kofìvi. 63loro cbe per istituto de* maggiori , nelle sofuooe adunanza de* Greci in Pitia o in Olimpia, ese­guivano i sacrifìzj decretati dalle città, Costoro con siffatte adulazioni corruppero Demetrio, cbe altronde era uomo dì assai buon senso. — G li A teniesi, assediati da Filippo * avendo fermati i corrieri che portavano lettere, fu lessero tutte * eccettuata quella che mandata Ohmpia, la quafu, sigillata com'era, mandarono a Filippo· — Nè al* con9 azione piò coovieoe ad un re quanto il f u giustizia. Imperciocché Marte , come dice Timo* ieo , è tiranno ; e Pindaro chiama fu legge il re di tutti i re. — Fino a Demetrio, figliuolo di An+ iigoito, cbe fu,chiamato Poliorcete, nessuno avea mai vedute oavi di t|ufadici o di sedfuì ordini di remi. Di poi ne fece una Tolomeo FUopatore di quaranta ordini4 funga dngentoHeola cubiti, ed alta, dal foodo atta cima della poppa, quarantotto* Essa portava quattromila remiganti, avea quattro*, cento nocchieri, e da circa tremila soldati distribuiti sulla corperta e svi tavolato. Ma una tal nave servì piò a pomposo spettacolo, che ad utile uso , per­chè con difBeoltò e con pericolo poteva muoversi, e poco differiva dagli édifìzj piantati io terra.

Dalla vita di Antonio.

Antonio ignorò molte cose, nou tanto per fu sua inerzia, quanto {ter h semplicità eoo cui era tratto a credere facilmente a4 suoi. Era di fatto d’ indqfu semplice, e si accorgeva tardi delfu cose. Quando* poi si accorgeva d'aver fatto m ale, fortemente set ue pentiva , e confessava il suo fatyo i* prete*»*

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tnussm mimi , di qwetti ebe avea offeso. Era largo e a e* supplizi e ne’ prtfmj, ma più negligente nella misura di gcatifìcire «he in quella di punire. Ne* motteggi e oe* frizzi mordac i , io >cui eccedeva * questo v* era di temperamento,ohe soffriva ch'altri facessero al­trettanto con lui e mostrava piacere che si ri­desse di l u i , come di riderò egli degli altri ; e questa fu massima sventura di l u i , perchè nen pensava ohe io adulassero , parlando con lui sul serio* quelli che eoo lai scherzavano liberamente. Cosi facilntetvto ingannatasi lodaodolo, doti iuien- dendo esservi persone che mischiano all* adula­sene la libertà come un condimento acidetlo, onde tra i bicchieri alla proterva loto loquacità togliere qeauto potrebbe avere di fusàidfuso e sazievole 4 fu fìne de? coati conseguendone che, secondando e oedepdo quante volto occorra discorso di grave argomento, mostrano itoa di procacciarsi favore,, ws xti riconoscerei infurio ri fu prudente.

Dolio, vita di Pirro*

Ebbe Pirro veramente aspetto di se , ma più terribile che veneranda. JSbo avea molti deuti* ma cella parte superiore della bocca ebbe uu*ossatura intera e continuat», ae gesta, ad ùfttofvalli di piccoli solchi, come questi distinguessero i denti. C re­dala d'arem La «urtò di gestire il male d i milza, «e un moia odo un galfu bianca , e fatto stendere stipino fu teua l'ammalato, agli coi piede ne pre­sto Aie legger mente le viscere. Non fuvti poi «4« pavero* né upfuo uomo» a e u i , pregatone, Pirro Mt» psestaiet questo jnedicimu Che uftxi prendeva

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STOZlCt S HOGZAFl PROFANI. 65

ed immolava Pirro medesimo quel gallo , ed era

c iò onoiatezza gratissima ad essi e a lui. Si a g ­

giunge che anche il pollice del suo piede avea

una divina v i r t ò , e cbe dopo essere stato il suo cadavere1 abbruciato , quel dito si trovò intano

ancora , uou avendolo il fuoco per niuu aiodo

offeso.

Dalla vita di Mario.

Della temperanza e tolleranza di Mario ban-

c o s i molte prove , ed una è questa , che avendo grandi varici all 'una e atì’allra g amba, e mal sol*

frendo quella deformità, chiamato il medico, seazs

farsi legare , gli presentò la gamba , e eoo fermo

Tolto sostenne i gravissimi dolori de* tagli , seoza

fare alcun moto e senza gettare uo gemito. £s*

seudo poi il medico per operare sull'altra gamba,

fu ritirò, dicendo non meritare un tale rimedio il

costo di tanto tormento. — Mario, ritornato dal-

l ’Africa con l 'eserc ito , prese possesso del conso-

Isto e trionfò, dando ai Romani l'incredibile spet­tacolo di Giugurla iu catene, meotre nessuno mai

avea sperato che, vivente quel re , potesse ripor­

tarsi vittoria di lui, che, valentissimo ad accomo­

darsi ad ogni caso di fortuna , a grande astuzia

univa singolare ferocia. Dicesi che nel trioufo por­tasse tremila e sette pesi d* oro , di argento nod monetato cinquemila settecentosettanta, e di mone­tato dugentottantasettemiln denari. — Soglionsi chia­

m are muli mariani i soldati laboriosi,*e che taciti e pronti eseguiscono i comandi avuti ; e ciò per­

ch é Mario era instancabile, e i suoi soldati, pren-

Fozio, VoU Ih 5

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6 6 CLASSZ PIUMA ,

dendo a cuore le cose di fui come proprie, nelfu instancabilità sua Io imitavaoo. — Aveudo Mario debellati centomila Teutoni , dicesi che delle loro ossa i Marsigliesi avessero alzate siepi intorno alle loro vigoe, e che per le piogge iovernali consan- tisi i loro cadaveri, tanto la terra se ne fosse in­grassata» che poi avesse prodotto abbondantissimo frutto j ed essersi in quell* occasione confermato quanto avea detto Archeloco, che di tale maniera i campi diventano grassi. E succede appuoto cbe dopo grandi battaglie sopravvengono grosse piogge, sia che alcun Dio co» pure e celesti acque in­feuda di mondare la terra , sia c h e , mettendo i cadaveri e il furo .grassume un* umida e pesante esalazione, 1* aria-s* addensi e cagiooi le piogge, altronde per leggierissime cause soggetto a cam­biamenti» — Sono degni di ammirazione i servi di Cornuto; imperciocché mentre nella guerra c i­vile molti veuivano condannati a morte senza ra­gione , e s* eraoo già commesse stragi in gran numero , aveudo essi nascosto il furo padrooe , presero dalla messa de* moni un cadavere, e mes­sogli un anello fu d ito , lo mostrarono ai satelliti di Mario come fosse quello di Cornuto ; indi , fatto uo funerale qual qouveo iva alla diguità di lui, lo seppellirono, e nessuno s*accQrse delta pia frandev ed iu tal modo, per opera de* suoi servi , occultamente Cornuta potè salvarsi uella Gallia*

Dalla vita di Arato.

Arata, venuto a fiera battaglia éou Asistippo e i soldati di lui , ed ucciso il tiranno da uo certo

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STORICI E BIOGRAFI Fiorici. 67C retose di nome ΊVagisco, coti la strage d ' oltre niillecinquento uomini dalla parte di questi ,e sei;za averne perduto nemmeno uoo solo dalla parte sua, non potè però né prendere Argo , uè liberarla K la ragione si fu perchè Àgide ed Aristomaeo mi­nore col regio esercito eraoo entrati in quella città, e ue aveano occupato il governo. Egli con­futò gran parte de* motteggi che contro lui sca­gliavano gli adulatori de* tiranni, i quali in grazia de* toro signori solevano andar dicendo che al ca­pitano degli Achei nel momento di dar battaglia scioglieva*! il ventre* e che al primo suonar delle trombe venivagli una vertigine al capo ed un grave sopore Perciò tosto che avesse messo l*e- sei cito in ordine di battaglia e consegnata la tes­sera , essere stato solito a interrogare i suoi cen­turioni, domandando a che servisse ornai la sua presenza, gettata già la carta e così ritirandosi assai lontano i aspettare poi Tesilo del combatti­mento. Questo ha fatto che anche nelle scuole i filosofi disputino se sia proprietà de*timidi il pai* pi laménto del cuore , il cambiamento di colore elo scioglimento del. corpo nell* imminenza del pe­ricolo , oppure' effetto d ' alcuna intemperie nel corpo, o frigidità. Essere Arato sempre stato creduto un buon capitano , e nondimeno sempre essergli accadute le auzidette cose. — Perchè poi eravi un* antica legge , la quale proibiva che nessuno fosse seppellito dentro ia città , e la su persiiz/one la sosteneva, mandarono a Delfo, oude consultate la Pizia , la quale permise che a quella legge si derogasse. Allora tutti gli aliti Achei e i Sìcionj molto ue furono lieti e voltalo in festa il lutto ,

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6 3 CLASSZ P U M A ,

eoo le .ghirlande fu testa e vestiti di abiti bìan- -chi , subitamente ne trasportarono in città il ca­davere eoo canti e danze; e scelto un sito che fosse cospicuo a tutti , io quello lo seppellirono , come fondatore e salvatore della città. Il qual sito an­che al presente dicesi PArateo. Morì di veleno propina togli per fraude di Taurione , che abusò della familiarità concedutagli $ e colui al misfatto fu incoraggiato da Filippo, tiranno del Peloponneso,il quale lo assicurò che sarebbe stato impunito.

DalV Àrtaserse.

La madre di Àrtaserse fu Parisati, donna di niente svelta, e valente a gettar dadi. — La paura è uo gagliardissimo stimolo ad un tiranno per ve­nire alle stragi. —-

NB. Patio non fece alcun estratto dall'Agide di Plutarco.

Dal Cleomene.

Antigono, re di Macedonie, chiamato dagli Achei in ajuto contro Cleomene , vinse questo in batta- glia , e lo pose in fuga. Quindi essendosi itnpa- drouito di Sparta, umanamente ne trattò gli abi­tant i , e né conculcò, né dispregiò fu dignità di quella repubblica, ma restituì agli Spartani fu leggi ed ogni pubblica cosa; e il terzo giorno ri­tornò in Macedonia, aveudo udito cbe vi ardeva fu guerra, e cbe i Barbari la devastavano. £ già era egli attaccato da malattia cbe grandemente

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STOHICl S ΒίΟΟΒΑΠ VftOr AKl. 6 9

volgevasi in tisi, e cagiooavagli un continuo flusso di materia dalla testa. Non però ebbe allora a suc­cumbere; chè ebbe forza di combattere pel suo regno, onde, riportata una grande vittoria e fatta strage de*Barbari grandissima , poter morire con gloria. Filareo scrive che a forza di gridar molto in mezzo al trambusto della battaglia, se gli ruppe qualche viscera: cosa nou molto iuverisimile. Nei discorsi che si fecero si diceva che dopo la bat- taglia per l'allegrezza esclamava: O la bella gior­nata} e intanto sputava mollo sangue, e sopravve­nutagli un’acuta febbre, mori. Essendosi Cleomenem dopo la rotta avuta da Antigono, rifuggito in Egitto, da priucipio fu dal re accolto molto onorevol­mente; ma poco dopo» senza alcuo giusto motivo, e per gPiniqui sospetti e la malevolenza degli ac- cusatori, cessando nel re l'affetto, questi diede or­dine che fosse imprigionato, con pensiere di farlo morire. Se uou che Cleomene, con sedici suoi compagni saltato fuori di casa cou la spada alla piano» corse per le strade, e chiamò il popolo alla liberili. Lodarono, maravigliati, l'ardimento e il coraggio di Cleomene i cittadini , ma nessuno si pose a seguirlo, troppa paura avendosi del re. Eglino intanto si misero a trucidare quanti incon- travauo, e tra questi furoavi due loro inimici di· chtaratissimi; e dopo avere uccisa una moltitudine di persone accorse contro, finalmente furono am­mazzati anch*essi, ed appesi in croce. Pochi giorni dopo, quelli che custodivano il corpo di Cleomene, tuttavia rimanente sul patibolo , videro un drago di giusta grandezza che si era attortigliato intorno alla sua lesta e ne avea copèrta la faccia , sicché

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^o classe pftiafi,niun uccello carnivoro potesse appressatisi. C iò mise un supersfizioso timore nell'animo del re , parendogli cbe si fosse ammazzato un nomo caro agli D ei, e di una natura piò nobile dell* umana. £ gli Alessandrini , accorrendo numerosissimi a quel luogo, dissero Cleomene uu eroe e figlio de­gli Dei. Il che durarono a fare sin tantoché i piò dotti dileguarono Terrore , dicendo che dal putre­fatto cadavere del bue nascano api, da quello del cavallo le vespe, da quello dell’ asino gli scara- faggi, e che in quello dell* uomo , per la marcia che coufluisce intorno alla midolla e si condensa, nascono serpenti; e per questo gli antichi sapienti tra tutti gli animai/, specialmente il drago coose* crarouo agli eroi.

Dalla Pila di T. Flamminino.

Celebrandosi i giuochi dell* Istmo * mentre uoa immensa moltitudine d’ uomini sedeva nello stadio per vedere i certami ginnici, tanto più che vóto di guerra la Grecia allora trovavasi , e , sperando libertà , tranquillamente celebrava una festo so­lenne, videsi un banditore avanzarsi nel mézzo, e fattosi silenzio da ogni pai te , pronunziò queste parole : Il Senato romano e Tito Quinzio * impe* radore console , vinto Filippo e i Macedoni, or­dina che sema guarnigioni, e liberi ed immani, vivano sotto le proprie loro leggi i Corintj, i L o- crj , i Focesi, gli Eubei , gli A ch ei, i F tio ti, i Magneti, i Tessali, i Perrebj. Da prima nè tutti, nè perfettamente udirono la voce del banditore, e tumultuosa e confusa era oello stadio ia commo*

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zione di chi ammirava, di chi interrogava e di chi domandava che si ripetesse Tedillo. Come poi, fatto silenzio , di bel nuovo e con voce più alta ebbe il banditore gridalo, sicché tutti poterono aver capito , tanto fu il clamore che per P alle­grezza s’alzò, che è impossibile dirlo , e quel cla­more si udì sino al mare. Tutti quelli che erano iu teatro si alzarono , nè piò alcuno badava allo spettacolo de*giuochi, tutti intesi a saltare addosso, stender le braccia f a parlate al salvatore e pro­tettore. della Grecia. E in quell* occasione vera­mente si vide ciò che suol dirsi di un immenso e smisurato clamore; im per ciocché caddero giù nello stadio i corvi che allora trovavansi volare nelTarie soprastante. La cagione di quel fatto si é fu squarciamento dell* aria , imperciocché quando una gran voce »*alza , rottane Paria, essa non so­stiene piò chi per essa vola , e fa. che gli uccelli cadan o , come se fossero nel vóto ; se non sia piuttosto che da una specie di colpo delTaria tra­fìtti gli uccelli, come da una freccia, restino per­cossi , e precipitino giù. 'Si può anche dire che avvenga allora uell* aria una specie di vortice, o di procella, a somiglianzà di qaello cbe succede nel mare *, cioè cbe per la forza del clamore im­mantinente si agglomeri, e di poi con grande im­peto si sciolga. Del rimanente, Qninuoy se presto, facendo cessàre i giuochi non si fosse sottratto all’ impeto e al concorso del popolo, v*é a credere cbe non avesse potuto ir salvo, troppa essendo la moltitudine che da ogni parte correva ad affollar* segli intorno.

Plutarco, come egli medesimo dice in questa vita di Quinzio e in a lire, fioriva ai tempi di Trajano*

STOSICI f. BIOGRAFI PROFANI»

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c t A s s z n m i ,

PRASSAGORA ATENIESE

u s i p a t t i d i c o sT A ir r i i ro i l o b a n d e , l i b r i t i .

62 In questi due libri Prassagora narra come Co­stanzo, padre di Costantino, regnò nella Britannia e nella Spagna ( Massimino in Roma e nel rima­nente d*Italia, e nella Sicilia * l’ altro Massimino nella Grecia, nella Macedonia, nell’Asia Minore e nella Tracia; e Diocletiano, maggiore d’ età fra tutti, nella Bitinia , nell'Arabia , neU'Africa, e io tutto il paese d* Egitto, bagnato dal Nilo. Il padre mandò Costantino a Diocleziano io Nicomedia, onde s'istruisse nell’ arte del governare. Epa ivi quel Massimino che regnava sull’Asia Minore, il quale insidiando alla vita del giovanetto, fu trasse ad affrontarsi con un fiero leone. Egli uccise quella belva, ed accortosi delle insidie tesegli, si rifuggi presso il padre, a c u i, essendo morto, succedette nell’ imperio.

Prese fu redini del governo si assoggettò i Galli e i Germani, nazioni confinanti e barbarej e ve­duto poi come governava tirannicamente Massen- zio, il quale dopo Massimino regnava in Rom p, voltò le armi contro di lui , intendendo di vendi* carne i sudditi. Rimasto vincitore in battaglia, mise in fuga quel tiranno , il quale io fìue cadde nella fossa cbe preparata avea per gli altri: la cui testa troncata dal busto, i Romani portarono sulla cima di uoa picca per la città, e si diedero di buona vòglia insieme con lutti gli abitaoti del re­gno al vittorioso Costantino.

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STOIICI z BlOGBiri PftOFANt* 73Udito po i che aocbe Licinio , a cui era toccato

la parto dell* imperio stala prima di quel M assi- mino cbe avea lese insidie col leone * Costantino, e ch'era già morto, i suoi sudditi trattava con cru­deltà ìoumana, non soffrendo che tanta violenza ed ingiustizia si usasse ai cittadini, mosse le armi contro di lui, onde alla tirannide far succedere un governo legittimo. Per lo che vedendo Licinio p repararsi la spedizione contro di sé , preso da paura, cuopri la sua crudeltà* e prese le sembianze di principe umano, eoo giuramento ancora si obbligò ad essere iu appresso clemeute co1 suoi audditi, e a mantenere fedelmente quanto con atto positivo avea promesso. Per questa ragioue 1* im­peradore allora sospese l’ impresa. Ma, non potendo la malvagità quietarsi, si fece reo di violato giu­ramento, e d’ogoi genere di nequizia* sicché Co· start tino dopo averlo sbaragliato io varie e grandi battaglie, fu assediò iu Nicomedia. Ciò fu iudusse a recarsi supplichevole β Costantino, e a perdere Γ imperio che v e n n e nelle mani di Costantino il Grande i e questi rimase padrone di tutto, avendo avuta per diritto di eredità la parte tenuta dal padre, il regno romaoo dopo la caduta di M asti- mino ( Mo,s$e*zio)i e ia Grecia , la Macedonia e l’ Asia Minote, spogliatone Licinio. Aggiuose poi l'altra parte che tenuta avea Diocleziano; e ciò per diritto di guerra, avendola tolta a Massimino,il quale a Diocletiano era succeduto. Rimasto aduuque vincitore, ed unita in sé la domina· zio ne di tutto fu stato , fece sua residenza Bi~ saozio , chiainaodo quella città col suo nome. Prassagora, quantunque gentile di setto, dice che

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j i CLiSSB P *lM i ,Costantino fu pieno di virtù e di onestà « e cbe in ogni genere di felicitò oscurò quanti impera do rilo aveano preceduto. Con che hanno termine i suoi due libri delle storie.

Avea' ventidue anni Prassagorn, come egli me­desimo dice, quando scrisse quest* opera. Avea scritto iooanzi due libri intorno ai re di Atene » •vendo diciannove anni, e io età di trentuno com­pose in sei libri fu Storia delle imprese di A lts · tandro il grande. II suo stile è chiaro e grade­vole, ma uo poco troppo languido. Anch'egli poi usa dialeno jonico (i)«

PROCOPIO RETORE

L l B f t l V i l i D E L L E S T O B l B .

C. 63 Io quest* opera Procopio narra fu guerre che , regnaudo Giustiniano imperadore, i Romani fe­cero coi Persiani, coi Vandali e coi G o ti, spe­cialmente sotto la condotto di Belisario , con cui questo retore visse lungamente e molto familiar­mente : sicché scrisse quauto avea veduto con gli occhi proptj.

Ecco ciò che contiensi nel libro I : Arcadìo , imperadore de' Romani, morendo, lasciò per te­stamento -Isdigerda , re di Persia, per tutore di Teodosio, suo figliuolo. Accettato quel testamento, Isdigerda con assai liberalità prese cara di quel

<i> Ogni lettore si accorgerà come questo articolo » qualunque ne tia la cagione , è pieno d’ inesattezze storiche.

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STORICI z RlOGfUFl PROFANI.ragazzo, e gli conservò intatti gli stati. Morto Isdi- $erda9 Vararane9 suo successore, mosse guerra ai Romani; ma avendo Teodosio mandato ambascia- dorè in Persia Anatoìio. governatore dell’Orieole, Vararane acconciatosi con un trattato, ritornò alla sua capitale. Alcun tempo dopo Peroze, re di Persia , succeduto ad Jsdigerda II , figliuolo di Vararane , fece guerra a quegli Unni che chia­matisi Eftaliti e Candidi, i quali, per essere bian­chi di colore e belli delia persona, sono differeblis- simi dagli altri Unni. Né questi vivono vagabondi come i Numidi , ma hanno civile società , mante­nuta tra loro con leggi , ed hanno* re proprj , ai qunli ubbidiscono. Confinano coi Persiani dalla p arte di Borea; e fu per questione di confini cbe Peroze andò loro contro con l'esercito. Ma l'astu­zia degli Efìaliti lo trasse in cattivi luoghi, sicché ebbe da ventre a patti ignominiosi se volle ritor­nare al suo paese ; imperciocché dovette adorare come suo signore il re di quella gente, e giurare di non muoverle mai guerra. Ed avendo in ap* presso rotto il suo giuramento « fatta contro gli Eftaliti una nuova spedizione, peri con tutto l 'e ­sercito , essendosi imbattuto inavvedutamente in fosse e in pozzi, fatti apposta dai nemici, ne*quali precipitò sciaguratamente con tutti i suoi , dopo aver regnato veutiquattio anni. Con lui si per­dette una famosissima gemma ch’ egli era uso portare uelPorecchio destro.

Dopo Perone regnò Cabade, il minore de* suoi figliuoli. Fattosi costui reo delle leggi, da* Persiani medesimi fu posto in una prigione, detta il Lete9 dalla quale liberato per astuzia della moglie, andò

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y o CLASSE PRIMA ,

a rifuggirsi presso gli Eftaliti ; dai quali avuto aveudo uo potente esercito, con esso aodò io Per­sia , e ne ricuperò il trooo senza veoire a batta­glia ; perciocché Biase, fratello suo, che regnavaio luogo di luì, fu abbandonato dalle sue truppe, onde , caduto prigioniero , fu accecato eoo olio bollente, chè cosi i Persiani usaoo fare.

Procopio racconta in oltre quanto accadde tra Pacuriof re di Persia, ed Arsacem re degli Armeni; e riferisce il consiglio dai maghi dato a Pacurio contro Arsace ; se però le cose eh* ei dice non sieno favolose.

Quel Cabade , pagar dovendo', secondo gli ac­cordi fatti, uoa grossissima somma agli Eftaliti , domandò un imprestito alPiroperadore Anastasio ; e non avendolo avuto * per questa sola cagione improvvisamente entrò nell’Armenia e ne devastò uua gran parte , e mise l'assedio ad Amida* Nel­l'alto poi che, disperando dì prendere quella città, ne partiva , un certo turpe spettacolo di ineretri- celle fu cagione che rinnovasse Passe dio; cosicché stringendolo quanto Pira e il furore poteaoo sug­gerirgli, finalmente espugnò la città, e ne mise in ischiavitù tutti gli abitatiti. Di poi però la mag­gior parte rimandò liberi gratuitamente , i quali da Anastasio ancora furono trattati con ogni ge­nere dì benevolenza.

Fin da quando Anastasio avea saputo posto Γ assedio ad Amida , egli avea inaudato contro i Persiaui un esercito, facendone comandanti A reo* hindo, governatore dellOrieute, e genero di quel- Γ Olibrio che poco prima avea regnato in Occi- deute; Celere, graude uCGziale di cortei Patritio ,

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sto n ici z BiocBAFi ΡΒΟΓΑΝί ηηfrigio , ed Ipazio , cugino germano ; ai quali fu­rono aggiunti e quel Giustino che regnò dopo Anastasio , ed altri parecchi valentissimi capitani.I Romani non aveano mai messo in campo contro i Persiani esercito sì grosso. Ma essendosi posto indugio a marciare , la città era stata presa ; né poi assaltarono tutti insieme Cabadè, ma ciasche­duno parzialmeute» sicché furono vergognosamente vinti, e con grandissima perdita d’ uomini ritorna­rono indietro. Nondimeno, riaccouciatisi, andarono poi ad assediare Amida, e , standovi sotto per molto tempo . obbligarono i Persiani che v* erano dentro, e mancanti di provvigione, a segnare una tregua di sette anni, la quale si fece per opera di Celere dalla parte de* Romani, e di Aspeide da quella ile' Persiani.

Il Tauro , monte de* Cilicj , primieramente si stende pei Cappadoci e gli Armeni, e per la terra cbe chiamasi de* Persarmeni; indi si prolunga per gli Albani e gli Iberi, e per altre molte nazioni , fu quali in qne* luoghi abitano a divozione dei Persiani. Oltrepassato il confine degl*lberi, trovasi un sentiere strettissimo , lungo da » circa sessanta stadj , che va a finire in certo luogo scosceso ed affatto impraticabile , dove nessun passaggio si scopre, fuori che una porta che par quasi fabbri­cata a mano, e che pure non è se non opera della natura- Gli antichi la dissero Caspia. Al di là di quella porta presentansi campagne attissime al corso de* cavalli, piene di belle pasture e di sor­genti d'acque abbondantissime, ed ivi abitauo quasi tutte le generazioni Unne , estendendosi poi sino alla Palude Meotide. Queste se per quella porta

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7 $ c l a s s e r u m * ,Caspia vogliono recarsi sulle terre de’ Romani , o de’ Persiani , lo fanno velocemente correndo coi loro cavalli i perciocché ooa hanno altro intoppo che dei sessanta stadj di quell* aspro sentiere di cui si è detto per avere a giungere ai confini de- gl'Iberi, ché quando hanoo voluto uscire per altra parte , hanno dovuto farlo a grande stento. A les­sandro , figliuolo di Filippo , veduto quel luogo, fece edificare una porta a guisa di fortezza , e vi mise buon presidio. O ra , regnando Anastasio , Ambazute, unno di nazione, ed amico de' Romani e di quelt*iinperadorev trovandosi padrone di quel luogo , lo consegnò ad Anastasio. Gradi questi il dono , ma non ne tenne conto come doveva. Ca· bade , morto €\\\e\V Ambazute , cacciati di là per forza i fìgli di lui * occupò quelle porte.

Anastasio^ stipulata ta tregua surriferita, a mal­grado de' Persiani , edificò nel paese detto Dacas ed Aochu uoa città chiamata dal suo nome j ed un’ altra pure in Armenia, vicinissima al confine della Persarmenia , detta prima Teodosiopoli per­ché Teodosio , imperadore, avea ad uu ignobile villaggio ch'era ivi dato il nome di città.

Mono Anastasio , quantunque molti vi fossero per chiarezza di nascita degui dell* imperio , a preferenza loro fu proclamato Giustino, a cui Ca- bade , per assicurare il regno a Co^sroe, il piò giovane de* suoi fìgli , come desiderava , scrisse , chiedendo che volesse adottare egli medesimo Co- sroe , come pure che la stessa cosa facesse Giù- stiniano , figlio di uua sorella dell* imperadore , e che spera vasi successore allo zio. Ma a ciò si op­pose il consiglio del tesoriere Proclo , e pei ciò

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STORICI a BlOGKiTf PZOFAICU ycpGiustino non adottò il principe persiano. La ra­gione poi per la quale Proclo opinò contro, fu questo , cbe in virtù delle leggi i figliuoli sono successori ne* beni de* padri e furo eredi. Nel ue* goziato che allora ebbe luogo, tanto rispetto a -Cosroe > quaoto rispetto alla conservazione della pace, furono adoperati per ministri per la parte de* Persiani Sene* cbe dianzi avea salvato Ca· hadet e Meodoi e per fu parte de*Romani Ruffino e Jpazo { ma nacquero tali intrighi, che Beod* calunniò presso i Persiani Serse, e procurò che fosse messo a morte , e Ruffino accusò presso 1* imperadore Ip a ù o 9 il quale perdette le cariche di cui era investito.

Quello spazio di paese eh e sta tra il. Bosforo e Cherson, ed è lungo il cammino d! venti giornate, viene abitato digli Unni , i quali in addietro vi* ve vano cou fu proprie leggi, e di recente si erano dati a divozione di Giustino « di* modo che Cher» son era il cenffue deli* impero romano. Unirons* alla dominazione di Giustino anche gl* Iberi , in­sieme col loro principe Gurgogene% trovandosi mal trattati dai Persiani. Per questa ragione si accese guerra Ira i Persiani e i Romani·

Giustiino , vivente ancora, fece suo eolfugu uet- J’imperio Giustiniano, il quale, morto fu aio , ri­mase solo sul trono. Beli sor io e £/la erano soldati pretoriani nel tempo che Giustinimno avea il co­mando delfu truppe ; e Giustino fece Belisario prefetto dei soldati di Dura , asseguaodogli per consigliere Procopio, scrittore di questa storia. Quando poi regnò solo Giustiniano , questi creò Belisario governatore dell* Oriente » c gli ordiuò

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che movesse fu armi conti o i Persiani. Cabade diede il comando del suo esercito a Peroze^ per­siano di nazione, ed insignito alla corte delfu di­gnità di Merano. Essendo accampati i due eserciti presso Dara , Perete fece intendere a Belisario qualmente egli s*avea fatto preparare un bagno fu quella città, e perciò volere lavarvisi il giorno se­guente. Era questa rintimatione delfu battaglia, e i Romani vi si prepararnno eoo coraggio* Stando adunque a fronte i due eserciti, uo certo Andrea% bisantiiio , prefetto in Costantinopoli della scuola degli esercizj ginnastici, e domestico dì BuZaM tri­buno de9soldati insieme con 'Belisario* e solito ad assistere Bnza quando andava al bagno, esseodosi dai due eserciti fatta sfida per un combattimento fra due sole persone, una da una parte e Γ altra dall*altra, sconosciuto a tutti , due volte combat­tendo rimase vincitore ; e così per allora fini la giornata. Ma poi azzuffatisi di nuovo gli eserciti, i Romani restarono di lunga inaoo superiori con grande uccisione de* Persiani, i quali non vollero più venire a battaglia spiegata , e soltanto segui­rono poscia scorrerie da entrambe le parti.

Cabade mandò uo altro esercito , composto dì Persa r me ni , di Sa uniti e di Saberi , nelPArmenia soggetta ai Romani. A questo esercito .comandava Mermeroe. Ma ed egli e i suoi, quantunque su­periori di numero, furono disfatti t ed obbligati a fuggirsi io Persia, da Doroteo, governatore d’ Ar­menia , e da Sita , che avea il supremo comando militare di tutto I* esercito romano che era in quelle partii In quella occasione i Romani, tra gli altri paesi di dominio persiano, presero il Faran-»

S o CL4SSS r a t f t u ,

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STORICI S BIOOa*tl PZOFAIfl. S rgÌ6, dalle cui miniere i Persiani traevano 1' oro che pagavano al re. £ gli Zani, anticamente delti Sauoi, popoli liberi , e cbe , a guisa de i ladroni , saccheggiavano i luoghi vicioi , domati da Sita , vennero sotto il dominio nostro, si fecero cristiani, ed ai Romani ubbidiscono, e veggonsi ne’ mede-' fimi steccati guerreggiare insieme cou essi.

Cabade, perduto avendo Puno e l’altro esercito, trovavasi esitaule. Ma Alamttndaro , re de* Sara­ceni persiani , uomo fiero in guerra e valorosis­simo, ruppe molto le forze romane per cinquauta auui, Costui suggerì a Cabade d'andare ad inva­dere Antiochia, spoglia dì presidio, e di occuparne il paese vicino. Belisario, informato di tale dise­gno, fu presto ad accorrere, tolte truppe dagPIsauri, e facendo muovere Areta , re de* Saraceni delle parti romane , che avea un bell'esercito composto de* suoi. Allora Alamundaro , e con lui Àzarete , intimoriti, ritornarono al loro paese. Belisario an­dava loro dietro , noti tanto per venire con essi al fatto d'armi, quanto per metterò loro paura. Se non che provocato, prima temperatamente, poscia con pubblici vituper;-, a suo malgrado dovette ve­nire alle mani, La battaglia rimase lungamente indecisa , eoa mortalità dall' un lato e dall'altro;, ma poi, messe iu fuga le truppe di Areta e de- g l'Isauri dai Persiani, che combatterono con sommo valore, fu vittoria rimase a questi, a modo che se Belisario boa saltava giù'di cavallo e non si fosse posto fu persona ad ajutare i suoi, sarebbero stati uccisi tutti fino all'ultimo. Petò AZarete, generale de'Persiani, essendo ritornato a Cabade9 non trasie frutto dalla vittoria, poiché avea perduta

Fazio, VoL U . 6

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gran gente, sebbeae maggior numero de* dentici fosse rimasto morto. £ ciò fece che rimanesse tra ΐ capitani di nessuna fama.

Giustiniano, imperadore, chiamò Belisario a Costantinopoli per farlo marciare contro i Vandali, lasciando alla custodia delP Oriènte Sita. In quei tempi i Persiani mostravano di volere accostarsi ai Romani, ed essendo morto Cabade, Cosroe avea prese fu redini del regno. Furono adunque inviati a lui Ruffino, Alessandro , Tommaso ed Ermo- gene, ai quali Cosroe disse .di voler fure pace per­petua , cioè centenaria, o sia di centodieci anni· Ma però partirono senza avere concluso nulla , e solamente alcun tempo dopo quella pace perpetua venne stipulata, correndo l* anno sesto del regno di Giustiniano. Per quella pace i Romani resti­tuirono a* Persiani i danari, il Farangio e la rocca di Bolo ; i Romani ebbero io compenso fu città poste a* confini dei Lazj , ed ebbero Dagaro, uomo in guerra valentissimo, e per esso lui un altro cospicuo soggetto· Di poi alPuoo e all* altro monarca furono dai furo sudditi tramate insidie.1 Persiani, odiando Cosroe,come principe d*indole turbolenta ed iotemperante, deliberarono di met- tere in trono Cabade , figlio di Zarna * fratello ài, Cosroe. Il che portò Cosroe a far morire,Zarna e tutti gli altri fratelli, e i complici della congiura* Così le cose furono acquietate. Cabade però, fi* gliuolo di Zama, per la prudenza di CanarangjiQ% signore delPAdergio, schivò la morte; e questo fu causa che poi Canarangio fu da Cosroe fatto uc­cidere. Io quauto a Giustiniano % la plebe romana, tumultuando e ribellandosi in tempo de* giuochi

8 a c l a s s e pf t tMA,

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STORICI a BIOGRAFI PRO TAXI. 8 3

c ircensi,' proclamò imperadore, beucliè ripugnante, Spazio, cugino del defunto imperadore Anastasio. Giustiniano* per mezzo di Belisario e di Mundor suoi capitani, uccise Jpazio , e tolse di mezzo molti complici di quella cospirazione, a tanto che per quel fatto perdettero la vita trentamila citta­dini. Giovò alPimperadore l’opera di Boraide e di Giusto , figliuolo di un fratello di Giustiniano.

In questo stesso libro Procopio parla di T ri- tornano , nativo di Pamfìlia , stato tesoriere * e delPava rizia sua e della sua lusinghevolissima elo­quenza, Parla pure di Giovanni Cappadoce , pre­fetto del pretorio, e de’ molti suoi vizj % e dice come Antonina, moglie d i Belisario, scaltramente circonvenne quel Giovanni per mezzo di sua fi­glia Eufemia, e potè propalare le insidie che quegli tendeva alPimperadore; e come finalmente, essendo stato per infame trama ucciso Eusebio, vescovo di Cizico, tenuto per complice di quelPempia scelle­ratezza , messo a’ tormenti, fu senza misericordia proscritto.

Libro H delle Cose persiane. Fitige, re dei Goti» prima per mezto di certi inviati liguri, po­scia per quello di Basato , conoscendo come Co­sroe vedeva con dispettosa invidia che i Romani dominassero in Africa , e già inclinato a rompere la pace, vie maggiormente fu infiammò in questo pensiero. E poscia che io quel tempo gli Armeni si erano ribellati a* Romani , e morto Sita , capi­tano di questi, si eraoo dati a’ Persiani , Cosroe da questo prese animo a rompere quella pace che si era detta perpetua, e a far nuova guerra* Di ciò informato Giustiniano, mandò Anastasio a Cosroe*

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S4 CtrASSS fRlMi ,esortandolo a noo rompere la pace. Iiifrattaoto Vitige , caduto prigioniero di Belisario, da questi fu mandato a Costaotioopoli. Ciò oon ostante Co­sroe fece una irruzione sui confini de'Romaoi, prese la città dei Suri e ne condusse schiavi gli abitanti. Però avendo Candido, vescovo di Sergio- poli, promesso di pagare, per undicimila di que­gli schiavi , dugento pezzi d' oro , li lasciò andar liberi t e come poi quel vescovo nou manteneva la promessa, vi fu obbligato per forza. Cosroe di poi assediò Jerapoli e come il vescovo di Berrea, che chiamavasi Magno , gli promise duemila lib­bre d’ argento, levò quell’ assedio , e promise di piò di ritirarsi dai domiaj orientali de'Romani se gli si dessero mille libbre d'oro. Intanto BuZa, governatore d* Oriente , diffidando delle proprie forze, oon volendo venire alle mani con Cosroe, andava girando qua e la. Ciò diede occasioue a Cosroe di avvicinare l’ esercito a Berrea, doman­dando a quella città quanto gli parve} ed avutene duemila libbre d* argento, ne volle ancora altret* tante* la quale somma uou pagandogli gli abitanti, la città strinse e gagliardamente assaltò. Ma an­dato da lui Magno, vescovo della medesima , alle preghiere d'esso Cosroe permise che gli abitauti fossero salvi , e che insieme .co* furo figliuoli an­dassero liberamente dovunque volessero. Molti dei soldati i qoali erano ivi di presidio , spontanea­mente passarono al servizio del re , poiché l ' iru­pe rado i e non li pagava. Cosroe audò anche ad­dosso ad Abtrochia* e come gli abitanti di quella città ricusarono di pagare una somma ch'egli do­ni su da va furo , vi pose 1’ assedio. £ mentre con

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sroaici % tioozàn rito?**!. 8§forza Γ iocalzava , Teotùsto e Muìaize , losieroe e oi soldati eh* essi aveano seco loro condotti dai

«

Libano, e che doveano difendere la città, nasco- atameole usciiioe t presero la fuga ; onde quel re senza fatica costrinse Antiochia ad arrendersi , e ue ridusse in ischiavità i cittadini (i) .

Furono a luì io vieti Giovanni, figlio di Ruffino, e Giuliano , segretario^ e dopo molti dibattimenti per veoire ai patti , fu conveoulo che i Romani pagassero a Cosroe immediatamente cinquemifu pezzi d’ oro, e a titolo di tributo annuo cinqoe* ceoto, e ciò iu perpetuo, prometteodo egli che in appresso data nou avrebbe alcuoa molestia e fu­rono intanto dall* imperadore maodati altri plenl·- poteoziarj a cou ferma re il trattato. Ad onta per^ di questi accordi, Cosroe* andato ad Apamea, ove aedea vescovo Tommaso , gli fece sborsare uoa grossa somma di danaro, e, partendone, levò dalle c hiese tutti i vasi sacri e le cose preziose. Nella quale occasioue uo miracolo accadde rispetto al legno della veueranda e vivifica croce. Si narra che in Apainea intervenne anche ai giuochi eque», stri* Di fu passò a Calcide, e tratti dagli abitanti di quella città dugeuto pezzi d*oro, aodò innanzi *enza assediare quella città. Portossi fu appresso ad Edessa, e ne trasse altrettanta somma : alcuoi segni divini ivi 1* atterrirono a modo, che npn pensò a porvi l*assedio. (È Edessa quella città in cui fu Abgaro% il quale anticamente ebbe a fare eoo Cristo. Qaesi\dbgaro, ito ad Augusto , allora

(t) Procopio diee che Cosro* incendiò Antiochia salvando soltanto le chiese.

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86 CUSSB PfttMà ,imperadore de4 Romani, ne incoutrò tale amicizia, «he d o d ritornò al suo paese che in forza della sua molta-insistenza. ) Cosi adunque Cosroe partì di' £dessa.

In quel tempo Giastiniano scrisse a* suoi in­viati essere disposto a dare esecuzione al trattato di pace. Ciò noo ostante Cosroe volle danaro an­che dagli abitanti di Costanza, e recatosi a Dara l ' assediò* se non che, trovata forte opposizione dalla parte di Martino, che la presidiava, diffi­dando di riuscire» n'abbandonò l'assedio, ed ava* tene mille libbre d* argento , si ritirò in Persia. Avea edificata in Assiria, lungi da Ctosifonte uua sola giornata di cammino, una nuova città chia­mata Antiochia di Cosroe, ed ivi fece abitare tutti gli Antiocheni che tolti avea dalla loro patria ; e tanta benevolènza e grazia usò verso di essi , che non li volle soggetti ad altro principe fuori che a lui solo. Li rallegrò ancora con ippodromi e con altri oggetti di divertimeuto e di piacere.

Belisario , richiamato dall’Italia , nella vegnente primavera fu mandato coutro Cosroe e i Persiani; il qnale , fermatosi nella Mesopotamia , trovando l'esercito poco meno che senza armi, e con grande paura al solo nominare i Persiani, con sommo studio lo armò e lo animò. Cosroe , chiamato dai Lazj, i quali col loro principe sperano dati ai Per* siaui , non potendo soffrire le dissolutezze e la rapacità di Giovanni, che governava il paese, andò addosso a Pietra, città della Colchide, si­tuata sul Ponto Eusino. Assediandola, finché Giù* vanni fu vivo, nou potè averla $ ma ucciso quel capitano da uoa freccia che gli tfapajsò fu gola ,

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storici z biografi pRorAirr. 57

se ne impadronì. Lasciò per altro andar liberi gli abitanti da ogoi danno, imperciocché a tali patti essi si arrendettero \ e mise le mani sopra i beni del solo Giovanni, cbe erano molti, ed accumulati da esso lui a forza di mooopolj. Belisario intanto, avendo inutilmente tentato di avere Nisibe , por­tatosi ad assediare la città de9 Sisauri, l'ebbe per capitolazione , e mandò a Costantinopoli prigio­nieri Riescamene e varj personaggi ’ persiani di gran vaglia. E come era^ ta to spedito con un eser­cito Areta neU’Assiria, questi depredò quel paese, ove i compagni di fui» aveodo messo insieme gran danaro , ricusarono di ritornare a Belisario. Bell- sario poi, preso da malattia l'esercito, e non an~ cora informato delle cose operate da Areta , ag- g ian tosiche Recitando e Teottilo accingevansi a partire per difendere la Fenicia, allora devastata da Alaniandaro, abbandonò la Persia , e voltassi e Costantinopoli, ove Giustiniano, augusto , lo chiamava ( 1).

(1) fozio , come qui si vede, non ha lasciato 1’ e- stratto che di due libri delle Storie di Procopiot tras­curando , qualunque ne sìa stata la cagiooe , gli altri due , ne1 quali si tratta delta Guerra vandalica , e i quattro riguardanti le Co «e de* Goti. Cosi ni un cenno ha fatto del libro unico , in coi trattò degli Edifizj di Giustiniano, e molto meno della Storia segreta.

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ss CLASSI MIMA ,

TEOFILATTO SIMOCATTA

Limai vili ni s t o z i z -

.65 Questo TeofilaUo, ex prefetto e segretario , fu egiziano di nazione. Il suo stile ba qualche cosa di veousto, se oon che, troppo usando Voci figu­rate e seosi allegorici a sazietà, cade in certa freddezza e in inezie giovaoili. Nondimeno quel suo meno opportuno interporre tanto sentenze, di­mostra una diligenza studiosa tanto , cbe va oltre il bisogno, Nel rimanente essendo storico buono, noo merita per le acceonate cose riprensione. Egli comincia dal regno di Maurizio* e tira innanzi sino al tempo in cui fu creato imperadore Poca.

Ecco eiò che narra nel ■ libro I. Maurizio fu dichiarato imperadore da Tiberio , cbe allora re­gnava ; e in quel tempo occupava la sede della chiesa di Costantinopoli Giovanni. Tiberio diede a Maurizio alcune istruzioni; il cbe fece per opera di Giovanni, tesoriere, a cui commise di parlareio sua vece a Maurizio medesimo ed al popolo* Tiberio diede anche a Maurizio sua figliuola io isposa « e il giorno dopo queste cose cessò di vi* vere* Vicino a morte ebbe una visiooe, e udì una voce che disse : O Tiberio / Dio trino f a saperd che sotto il tuo regno (t) non verranno i tiran*

(i) Noi siamo tentati a credere guasto il testo, poi­ché ognuno intende che se questa vistone accadde quando Tiàtrio era « c im o λ morte, essa veniva tardi per avere un senso discreto·

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Atorici a stoeasn rzorsw. Sgmiei tempi delia empietà. Con che allude vasi alla orribile tragedia che dato avrebbe il crudele scel- furatissimo Foca.

Maurizio fece tregua con gli Avari, i quali aveano £fu incominciato l’assedio di Sirmio, e ciò a patto ebe ogni anno pagato avrebbe ai Barbari* tanto in danaro quaoto iu vestiti, la somma di ottantamila libbre d* oro * la qual tregua , dopo un bienuio, per la insaziabile cupidigia di que* Barbari, fu rotta, volendo eglino che quella somma sì accre ­scesse d* altre ventimila libbre. Di quella rottura* fu conseguenza la presa fatta da essi della città di Singedone, di Augusta e di Viminaico, e l*as* aedio di Anchialo. Furono al Cagano degli Avari mandati ambasciadori de* Romani Ei pidio e Co* memiolo , i quali vennero mal accolti per avere Comenziolo parlato con assai franchezza a quel Barbaro. Sul fine di queil’anuo medesimo fu man-* dato di nuovo Elpidio al Cagano , e promise fu ventimila libbre d’oro pretese. latonto per termi­nare il negozio diresse a Costantinopoli uo certo Targetio , ambasciadore degli Avari. Ma avendo questi messe a ruba le campagne de* Romani , o fattovi grossissimo bottino , quel Targtzio veone deportato nell* isola di Calcide , condannatovi per sei mesi. Comenziolo di poi, creato capitano oon* tro gli Avari, fece furo la guerra valorosamente e con buon esito. La pace però fu dal Cagano tur* baia di nuovo. L* autore parla di un luogo chia­mato Boscolobra, e di molte città de* Romani espugnate dai Barbari.

Jtarra poscia la battaglia tra i Persiani e i Ro­mam , avvenuta presso il fiume Nimfìo ; fu nozze

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90 etis ie MIMA ,dì Maurizio e di Co$iantinat fìgliuola di Tiberio; Tinceodio succèduto nel fóro sul principio del re­gno di M aurizio; la morte dell'avvelenatore Pao* lino* e un miracolo accaduto nel catino della mar­tire Gliceria, e coi^e Giovanni, patriarca, avendo Cesare pronunziata contro quel Paolino una sen­tenza troppo mite, dichiarò che quel prestigiatore doveva essere abbruciato, citando in prova fu pa­role dell'Apostolo. Paolino però e suo figlio, reo della medesima empietà, furono decapitati. Ag­giunge ciò che riguarda il presidio d'Afumona e di Acba, e una nuova battaglia seguita tra i R o­mani e i Persiani, e la sconfìtta del figlio di G io· vanni , rimasto oppresso dall* impeto de* Barbari* Parla di poi di un tremuoto accaduto aoch* esso sul principio del regno di Maurizio e del conso* lato di questo imperadore ; e narra come F ilìp* pico « fatto genero dell* imperadore per averoe sposata la figlia G ordia , fu destinato generafu delPimperio in Oriente, e fece assai belle imprese. Narra egualmente come l'esercito de'Romani uscisse della Media , travagliato da . mancanza d* acqua 4 come il generale de' Romani permise al suo eser­cito il salcheggiamento dell'Arzaoina; come quello de' Persiani fece devastare da9 suoi le campagne di Martìropoli; e riferita fu condotta valorosa del* l'esercito romano, termina il libro I con due am­bascerie de' Persiani.

Nel II libro tratta del monte Izala , e degl'in­sulti petulanti di Cardariga9 generale de'Per* siani ; della battaglia seguita tra Filippico e i Romani con Cardariga e i Persiani , succeduta ad Arzamone , riferendo che Filippico girò per

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STORICI e BTOeRtri ÌROPAHl-P esercito suo portando una certa immagine non manufatta, e segnalatissima vittoria i Romani eb­bero i quell'immagine poi- non manufatta fu man* data a Simeone % vescovo d*Amida. I Romani de* predarono il paese de* Barbari e fugarono Cardariga, che andò a Dara, i coi abitanti lo cacciarono dalla loro città , esseodo già smunto di forze. Poseia narra fu spedizione de' Romani nell* Ariani na , e l'unione a Filippico e ai Romani di Morata e di Griovio, principi di quel paese. Cardariga avea raccolte truppe sue particolari per assaltare insi­diosamente i Romani| ed Eraclio , padre di quel* VEraclio che poi fu imperadore , mandato da Λ - lippico a scoprire l'inimico, li salvò mirabilmente· Segue ciò che riguarda il fatto di Zaberta , per­siano, e l'abbandono che i Romani fecero dell’as- sedio di Clomaro; e fu fuga vergognosa e terribile di Filippico « e la dispersione di tutto 1* esercito romano, e la malattia sopraggiunta a Filippico* fu nuova chiamata all'esercito di quell’ /Trac/fu che si è nominalo di sopra ; e come infine qnell’/?r<xc/i*0, preso il comando delle truppe, andasse nella Bfe-= dia meridionale, e sul cominciare di primavera i Romani invadessero le campagne persiane. Que* sto libro abbraccia ancora fu spedizione di Co- menziolo contro gli Avari. Trovò égli all’ esercito luogoteoenti Mastimo e Casto , e molte belle im­prese contro i nemici furono fatte ; ma poi Casto" cadde vivo in mano degli Avari ; e fu stesso av~ veone ad Anumuto* tribuno deU’fufantoria de’ Ro­mani v e gli Avari fecero un' invasione nella Tra· eia. Stette intanto Comemiolo a deliberare se avesse ad andare iocontro agli Avari o no; e fat-r

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«LASSS MIMA 9tosi consiglio su tale argomento , fuvvi opiniose fu contrario. Nel frattempo un grande clamore si udì nel campo degli Avari : qui raccontasi come ciò impedì Γ assalto che Comemiolo era per dare al Cagano ( e come poi essendo stato preso dagli Avari un soldato de* Romani, di nomé Buza% men-> tr* era a caccia , da* suoi medesimi fu quei fran­gente abbandonato con dispresso, s’ acconc iò coi Barbari, e fu il primo ad insegnar furo fu costru­zione delle macchine con le quali si prendono le città II Cagano assediò Berea , ma non fu potò prendere. Lo stesso gli avvenne assediando Dio* elea. Intanto Maurizio fu in Costantinopoli insul­tato dalla plebe pel mal esito della guerra coi Barbari, e per fu stato cattivo in cbe era 1* Eu­ropa. Il ebe fece eh* egli nominasse generale Gio* vanni* Mistacona di soprannome, datogli per luo­gotenente Drotione, Giovanni salvò Adrianopolì , assediata dagli Avari, venuto con essi a battaglia. Questo libro aggiunge ancora come Eraclio volle prendere a forza una certa ròcca de* Persian i, e come per 1* incredibile valore di un soldato detto Sapere, i Romani occuparono il castello di Beinde ed in fìne come Filippico rimase nella reale città, di Costoniioopoli.

Libro III. In luogo di Filippico , fu fatto gene­rale dell' esercito d* Oriente Prisco ; di che tocco da invidia Filippico , scrisse ad Eraclio, onde di­minuisse all*esercito fu vettovaglia. Prisco , giunto al campo, salutò l'esercito non fermato sui piedi, eome portava l’uso antico, ma nelfatto cbe smon­tava da cavallo. Per fu che 1’ esercito , Unto per vedersi diminuito fu rationi) quanto pel disprezzo

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St o b i c i z b i o g r a f i p r o f a n i . g 3ehe d* esso Prisco avea mostrato , si mise in tu­multo. Volle egli placare i soldati, esponendo furo quella oon manufatta immagine (i) di cui si è parlato di sopra, ma essi la ricevettero a sassate* onde Prisco corse a rifuggirsi in Costantina. L’ e­sercito si scelse a generale Germano , quantunque questi ripugnasse. Mentre accadevano queste vio­lenze e questi tumulti, i Romani ebbero dai Per­siani molti danni* ondé 1* imperadore levò la di­gnità a Prisco, e in luogo di fui incudo di nuovo al comando Filippico: ina non cessò per questo il tumulto. I Persiani aveano posto I* assedio a Co­stantina , ed accorso in ajuto di essa Germano , rimase salva. Si venne poi a battaglia tra Romani « Persiani presso Martiropoli, ed io quella gior­nata i primi riportarono una splendidissima vitto­ria , essendo rimasto morto con tremila de* suoi M a n n a , geuerale de* Persiani , e di questi rima­stine mille prigionieri. Riconciliatosi, per opera di Aristobolo » Tese rei to col generale , spiccò mi­rabilmente il valore de* soldati prigionieri al forte dei Giligerdi , e Gregorio, vescovo di Antiochia, in qualità di legato, restituì Filippico all'esercito. Per tradimento di Sitta , Martiropoli é presa dai Persiani, Filippico vien tolto dal comando dell*e- sercito , e vi é dall* imperadore sostituito Corneo- tiolo. In quel tempo i Geti, o' Slavi, saccheggia-

( i ) Lisceremo la cura agli eruditi di dire cosa fosse questa immagine non manufatta. Avviseiemo soltanto i nostri lettori che qui le viene dato P aggettivo ili mlifrefa , vocabolo b a rb a ro , forse inintelligibile egual­mente. *

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9 Ì CLASSE FUMA |vano i luoghi vicini alla Tracia*' Roma volgeva le armi contro i Longobardi* PAfrica debellò i Mau­rus j, e si fece gran battaglia, sotto il comando di Comeneiolo* a Si serbano, presso Nisibe, tra i Per­siani .e i Romani, rimasti vittoriosi questi, facendo Eraclio grandi prodezze. Iu quella battaglia moti Fraate , generale de* Persiani, e grossa preda fu fatta nel campo di questi.

Baramo* viuti i Turchi, grandi ricchezze som­ministrò al re O rm ile , e sguainata la spada mi­nacciò di morte Suania. I Romani poi , guidati da uno che avea uome Romano , veuuto a gior­nata con Baramo* essendo superiori di forze* eb­bero una grande vittoria ( ed Ormisda , per la rotto delle sue geuii irritato, fece l'obbrobrio a Bar amo di mandargli una veste da donna* e quel «apitono, per vendicarsi deli’i usuilo, scrisse al re t d d Ormisda* figliuola di Cosroe. In questa guerra gli Armeoi, a persuasione di Sabagio, uccisero i l loro governatore Giovanni Λ e si disponevano ad unirsi ai Persiani. Nel frattempo Comemiolo, giuuto a lf esercito , ne sedò il tumulto, e mandò a C o­stantinopoli Sabatio , il quale, condannato alle fiere , per la clemenza dell* imperatore fu liberato dalla morte. Ormisda manda coutro Bararno Sa­ramene , il anale , viuto io battaglia , da Baramo fu esposto tid essere fatto in peszi dagli elefanti. Di poi apertamente audò contro Ormisda. Prima della sua ribellione era egli veuuto in tanto onore fu Persia , che riguardavasi come il secondo per­sonaggio dopo il re, ed avea iu coite le funzioni che presso i Romaui ha il curopalata. In questo libro si fa di passaggio uo compeudio delie cose

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storici s sioeasrt ?αο?αηι· g$zoticamente seguite, e brevemente si riferiscono » fatti accaduti sotto Giustino e Tiberio* Augusti» Si espone pure la crudeltà di Ormisda, re di Persia, e si premette fu serie dei monarchi persiani.. Il IV libro espone la guerra intestina suscita­tasi in Persia, e fu vittorie e tutti i felici successi Avvenuti sotto fu tirannide di Bar amo. Così pure rammazzamento di Feretano* e fu riuscite di ite» despra ; e come da Bindoe, spogliato del regno Ormisda* domandò , dalla prigione in cui era, di perorare la sua eausa, e come avendola perorata, parlò anche Bindoe. Sotto i suoi ocehi Ormisda si vide scannato il figliuolo* segata viva fu regina, ed egli acciecato e poscia fatto morire a colpi di ' bastone per ordine di Cosroe , fìgliuofu suo, che i Persi a oi aveano costituito furo re. Potenza del tiranno Baramo* e foga di Cosroe* re de* Persiani; suo arrivo a Circésio, e suoi messi spediti a Maurizio* imperatore. Come Baramo cerca d‘ es­sere proclamato re , e non r iu s c e n d o g lis i pro­clama re da sé stesso. Come l* imperadore fa condurre Cosroe a Jerapoli, e gli dà corte degna di re* Delle cose seguite tra Cosroe e Baramo prima che si facesse alleanza coi Romani, e come avendo Barano spedita ambasceria a Maurizio , quella fosse rigettata , e Cosroe al contrario otte­nesse quanto desiderava. Dell* ambasceria di Do­miziano, vescovo di Meleti na, e dì Gregorio « p a­triarca di Aotiochia , mandati da Maurizio a Cosroe* Della morto di Baramo, tentata per fraude di Romeoda e di Zoanamba * e della strage fatta di costoro come consapevoli di quell* assassiuio.

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§ 6 c l a s s e m i m a ,

Della fuga di Bifido* dalla Petsia , per essere sialo compagno di quelli che aveano ucciso Ba­ramo. Di Martiropoli da Cosroe restituita ai Ro- maoi, e di Sitta abbrucialo. Solenne oraziooe recitala da Domiziano* vescovo dì Militine, all’oc- casiooe della restituzioue di Martiropoli.

Il V libro contiene , Cosroe , re di Persia , ca* duto io perplessità ed ammalato , venerò il bealo martire Sergio« solito ad essere onorato auche dalle nazioni barbare per essere liberate da* mali; e come quel re facesse dono a quel saato di una croce d’oro tempestata di giofe. Poi parla dell*as­sassinio di Radespra, commesso da Rosa per consiglio di ÀUscane; e d’altre cose avvenute se­condo i desìderj di Cosroe ; e del danaro a fui imprestato dalPimperatore M aurizio, e del chiro­grafo da Cosroe rilasciato in dichiarazione d'averlo ricevuto. Ambasceria spedito da Cosroe perchè fosse tolto a Comenxiolo il comando dell* esercito/ Narse è sostituito a fui. Guerra contro il tiranno Baramo t dai Romani intrapresa come alleati di Cosroe· Regali a Cosroe mandati da IH mpe rado rei e spedizione all1 imperadore di Doiba , per parte di Cosroe, onde a Maurizio recare le chiavi dt Dara. Orazione di Dornizianof vescovo di Militine, per esortare i Romani a fare, insieme con Cosroe* la guerra a Baramo ; e quanto di prospero sue· cesse a Cosroe prima della battaglia de* Romani coi Persiani; e come quel r e , per mezzo di Birn· dee , ricuperasse i tesori e la reggia stessa per­siana. L ’ uuione deile truppe romane si d*Armenia come dell'Otiente. Battaglia con Baramo, é memo* rabile vittoria de’ Romani. Nella qu*de battaglia ,

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STORICI E SlOCRAri PftOFUU. QJseguita sotto la coudotla di Narse , furono presi anche de* Turchi, i quali portavano sulla fronte il seguo della croce, che s'aveano essi medesimi im­presso , come dicevauo , per allontanare dii sé la peste onde in addietro erano stati minacciati. Delle cose operate in Persia da Goiinduca% e della vita monastica da lui uieoata con molta austei ità. Del ristabilimento di Cosroe uella sua prima residenza, e dei doni mandati da fui al martire Sergio. Messi di Cosroe inviati allo stesso santo per ottener prole da Jere , eh* era donna cristiana $ e come, avuta la gratia , nuovi doni magnifici mandò al tempio del santo martire. Cosroe i complici della tirannide, e Bindoe medesimo, che avea impugnate fu armi coutro il re , li fece morire. Del presagi- mento di Cosroe che i Romani * oppressi da ti­rannide » avessero a tumultuare. Ambasceria di' Probo, prefetto calcedonese, e dell'immagine delfu Vergine genitrice di Dio , e delle cose avvenuto uelTainhasceria acceuuata. Andata dell* imperatore ad Anchialo, città d'Europa, del portento presen* tatoglisi in uua troja » e come ritornato alla capi* tale ed entrato nel palazzo, trovasse ivi giunta un'ambasceria persiana , capo della quale era Za* lambano·

Nel libro VI contengonsi le segueuti cose t Come parteodo dalla capitale f imperatore , sorse una fìera tempesto di mare ; e stando in Eraclea in­tervenne un parto mostruoso di un bambino nato senza mani e senza occhi, ma con sopracciglia e cou le palpebre, e con una coda di pesce ai tac­cata al femore* e come quel mostro fosse ammaz­zato. Di que* tre Slavi ; portanti cetere , i quali

/*oxio, VoU IL η

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c l a s s e p r i m a a dicevansi dalle parti dell’ Oceano spediti al C a­gano , e che dall’ imperatore Maurizio furono ve­duti. Legazione de’ Franchi a Cesare, per la quale olTerivan&i a militare per lui : era composta di Bosso e di Betta , spediti da Teodorico; le loro offerte fuiono rigettate. Di un gregge di cervi * e come uno d’essi, colpito da uu dardo, si riparòio uua selva, e come inseguendolo un alabardiere ed un Gepido , questi l’altro proditoriamente am­mazzò per levargli gli ornamenti d’ oro , e dopo lungo tempo il reo di quell’ assassinio , preso , fu condannato alle fiamme.

Spedizione degli Avari c o n t r o i Romani , ed assedio da quelli posto alla città di Singidone. Come fu eletto generale di quella guerra Prisco , e messo alla testa di tutte le truppe d’ Europa, Come il Cagano , recatosi a Drizipera , assediò il tempio del beato martire Alessandro; e come as­sediò i Romani deulro la éittà di Tzurulo , e Maurizio con astuzia , ingannando il Barbaro , fu fece partire di là Ambasceria dagli Avari man­data ai Romani; i danni che dall'esercito romano trasse Ardagaslo , e quanto si operò sotto Tati­mero. Fortezza di Alessandro, tribuno de*soldati, valorose imprese de" Romani; rotta degli Slavi, ed impeto di questi dal canto loro fatto contro i Ro­mani. Mostri D a t i nella regia città, di bambini, uno cou due teste, P altro con quattro gambe. Come fu tolto il comando a Prisco per aver ri­mandala al Cagano uua parte del bottiuo fatto *opra gli Slavi; e come alla guerra d’Europa fosse iu luogo di Prisco soitimito Pietro. Di Teodoro% maudalo da Prisco ambasciatore al Cagano , e

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s t o r i c i z b i o g r a f i p r o v a i t t . 9 9

della dottrina di quell’ uomo e destrezza nel ma­neggio degli affari.

Nel libro VII si tratta della confusione nata nelPesercito de’ Romani , e delle cose valorosa­mente da e.*ti fatte contro gli Slavi, o Geli, giac­ché que* popoli anticamente furono· chiamati con questo secondo nome. Delle cose accadute in certo ignobile borgo della Tracia a Pietro e agli abi­tanti del medesimo , e come rimase ucciso Pira· gasto v prefetto degli Slavi Dei valore de’ soldati romani, quantunque travagliati d* gfande penuria d* acqua. Pietro viene sconfìtto io battaglia dagli Slavi; e Prisco Ita di bel nuovo il. comando della guerra. Morte di Giovanni detto il Dipunalore, patriarca di Costantinopoli. Dell’ imprestito di da* naro preso da Maurizio, imperatore, e del chiro­grafo di ricevuta | e quanto quel pio imperadore apprezzasse le grossolane vesti di quel1 prelato. Della spedizione de’ Manrus) contro Cartogitte , e come pel valore di Gennadio la guerra in quelle parti fosse estiota. Di una cometa vedutasi per parecchi giorni. Di una guerra intestina e civile Sorta tra i Turchi. Qui l’autore dà conto del loro governo, e narra come il Cagano de’ Turchi, uc­ciso il principe degli Eftaliti , si assoggettò tutta quella nazione ; come facesse orrihile strage di trecentomila tra Agareni e Colchi; come ammaz­zasse Turoi che erasi levato contro di lui, e scri­vesse all’ imperatore M aurizio, informandolo di quella sua vittoria. Il medesime mise sotto il suo giogo anche gli Avari. Parla pure delle genti che abitano Tauga, e di Nticri, uve gli Avari vinti si dispersero. Cosi atrche dei Fari e dei Cuni » una

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1 0 0 CLASSZ MUMA ,

grao parte de* quali fino dai tempi di Giustiniano hanoo sede in Europa, e si Dominarono Avari. Dice che il paese de’ Turchi nou é soggetto dò a tremuoto, nè a peste. Parla del moote detto Au* reo, e della città di Tauga. Parla dei bombici , cbe dalla loro*sostauza medesima si faooo le ve­sti di seta, e come gran copia di seta si produce presso la città di Cubda; e cosa si soglia fare per agglomerare insieme que' vermi. Parla degl’ lo- diani, che sono bianchi di corpo. Coutiasto del Cagaoo con Prisco intorno al coudurre in iscbia- vitù i Singidooesi; e contraria opinione dì Prisco» e come questi salvasse quella città. Imprese dei Barbari in Dalmazia, e che città distrussero. Come Gundoe, da Prisco spedito contro i Barbari in Dalmazia, si comportasse valorosamente.

Nel diciannovesimo anno del regno di Maurizio^ un monaco predisse a quel principe e a’ fìgli di lui la morte ? e il fece correndo dal fóro al vesti­bolo .del palazzo con una spada in mano, e gri­dando dover succedere tal fatto. Anche un certo Erodi&no annunziò all’imperadore la fame che poi sorse negli accampamenti; di modo che il Cagano, mosso da umanità , accordò all’ esercito affamato cinque giorni di tregua, onde a’ Romani , senza paura de’ Barbari , potessero giugnere le vettova­glie di cui abbisognavano. Si riferisce eziandio come Prisco mandò regali al Cagano, e questi si ritirò ne*vicini luoghi della Mesia. Nella Mesia il Cagano venne a giornata eoo Comenziolo , e per fu perfìdia di questo generale, l’ esercito de’ Ro­mani fu dai Barbari sconfìtto ; e fuggitosi sbara­gliato a Drizipera , gli abitanti di quella città fu

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STORICI e RrOGfUFt PROFANI. fo trespìnsero, trattandolo da disertore; onde si trasse ai cosi detti Muri lunghi* I Barbari, inseguendolo, prendono Drizipera , ed incendiato il tempio di S. Alessandro martire, toltoue dalla cassa in cui n'era riposto il 'corpo, ne fecero ignominioso stra­pazzo. N’ ebbero però pena coodegna ; perciocché morirooo sette figliuoli del Cagano in uoo stesso gfuroo, presi da pestileozi*l morbo agl’inguini. In mezzo a questo trambusto , Comenziolo fermasi dentro Costantinopoli , e i Barbari si avvicinano ai Muri Lunghi; d’ oòde tanto terrore iovase gli abitanti di Costantinopoli» che vennero iti pensiero di abbandonare l’Europa. L ’impera dorè si fece al­lora sollecito di maudare al Cagano un’ambasceria, di cui incaricò Arma tona, dandogli splendidissimi regali e veotimila libbre d’oro, con che comprare la pace, dicendo con aoimo coolristato : Dio giù* dichi Ira il Cagano e Maurizio , e tra i Romani e i Barbari Passa quiodi P autore a parlare di mostri veduti nel Nilo, della crescita ed alluviooe di quel fìume , e delle varie differenti opinioni sopra tal cosa. Nel che couviene con Agatarchide Gnìdio, dicendo che ogni anuo ue* luoghi di Etio­pia dal solstizio d’estate sioo atl’equioozio d’autunno cadono grosse e continue pfugge; e perciò non senza cagiooe il Nilo nell'ioveroo è magro d'acqua, perché non ha allora che quella che gli somministra le sue naturali sorgenti, e nell*estate s* ingrossa eoa quelle che cadooo dal cielo. E qui finisce il libro VII.' Nel Libro V ili ecco ciò che contiensi. Cosroe

dalle incursioni de’ Saraceni soggetti a’ Romani ò tentato di rompere la tregua sussistente , e dalla legazione di Giorgio è tenuto fermo ne* primi·

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ι ο ί cl a s s i prima,

patti. Ma Giorgio incorre nella disgrazia dell’ iro- peradore per avere Cosroe dei lo che conservava fu pace a riguardo di Giorgio, e non dell* impe­ratore Maurizio. Narrasi poi come Comenz:o io , mentr'era querelalo come reo di tradimento, si beue si acconciò co* soldati , che dall ' imperatore fa di nuovo messo al comando dell'esercito. Segue uua battaglia tra i Romani e gli Avari , sotto la condotta di Prisco e di Comemioto; ma per qual­che dissidio insorto, Comenzìolo s* astenne dal prendere parte nel combattimento , e Prisco sololo diresse. Valore de*Romaui e rotto degli Avari, che lasciano sul campo quattromila de* furo. Bat­taglia seconda, 'nella quale gli Avari perdono no- vernila uomini. Terza battaglia , che agli Avari ne costa quindicimila. Quarto battaglia eoo vitto­rie splendidissima de* Romani , essendo rimasti morti trentamila tra Avari e Gepidi. Quinta bat­taglia eoa nuova .vittoria de*Romani. Io questo fucoutro , ira morti e presi * gli Avari perdettero tre mila uomini, altri Barbari ne perdettero sei­mila e dogenlo, ed ottomila gli Schiavooi. Il Ca­gano di poi , ingannando Mauri z ia , riebbe gli Avari rimasti vivi· Si parla della desolazione di spirito in cui era caduto Cornernzioìo, e come per la sua temerità le truppe de* Romani, eh*egli fa­ceva marciare verso Filippo^oli , mori rouo di freddo i e come Pietro un* altra volta dall'impera­tore fu creato generale comandante per tutta l'Eu­ropa. Si descrivono le nozze di Teodosio, fìgli nolo di M aurizio« con la figlia di Germano. Si parla della carestia sopraggiunta in quel tempo nella capitale j del tumulto del popolo, nato mentre

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storici z BIOGRAFI PROFàF I· io3Maurizio stava in chiesa pregando; della mansue­tudine e dolcezza di luì* del congedo dato ai sol­dati, e del richiamo de* medesimi nel giorno stesso. L* imperatore manda Pietro , onde ad ogni costo tenga le truppe di Tracia sulla opposta riva dell* Istro. Pietro è da uoa voce divina chiamato. Nuovo tumulto nasce negli accampamenti de* R e ­maci $' alza una fazione contro Maurizio , it da una pazza moltitudine viene eletto imperatore Poca. Pietro cerca di salvarsi con la fuga, e l*im- peratore viene avvisato della sedizione. La plebe da prima , eccitata da Sergio e Cosma , tribuni , incomiocia a cercar novità , e per contenerla nou trovansi che millecioqueceDto Prasini e trecento Veneti ; perciò Maurizio■ cercd di quietare i ple­bei con donativi. Nello stesso tempo manda in­viati ai soldati tumultuanti , e quegl*inviali sono respinti indietro. Egli presidia la capitale. Intanto viene una deputazione dell* esercito a Teodosio , figliuolo di Maurizio, cou la domanda d'avere per imperatore lui e Germano, suo suocero. Informato di ciò Maurizio, sospetta che Germano medili di usurpare il trono. Teodosio avvisa Germano delie minacce dell* imperatore , e Germano corre a r i­fuggirei nel tempio della Madonna. Sooo maudali a Germano , per farlo risolvere ad uscire di là , Ciro e Stefano , eunuco , ajo de' fìgli de 11'impera­tore, ma senza costrutto. Maurizio fa frustare Teodosio per aver riferite al suocero le minacce in che contro di lui avea prorotto. Germano dal tempio della Madonna passa* quello di santa So­fia ; nuove esortazìooi perchè u*esca * ma uol fa, persuadendolo io contrario uo certo Andrea , ilo

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ι ο ί CtASSE PRIMA,

colà a fare orazione. Nuovi tumulti in Cosentino· poli, ed incendio del palazzo urbano di Costantino, patrizio , volgarmente Lardi. Agitazione e fuga di Maurizio % impeditagli da improvvisa tempesta. Spedizione del figlio Teodosio a Cosroe, e ritorno di lui da Nicea in virtù di un anello dato da Maurizio al figliuolo per tessera Concorso degli abitanti di Costaotfuopoli all* usurpatore , fra i quali fu Ebdomite. Inutile tentativo di Germano per farsi proclamare imperatore, avendo i Prasini ricusato di aderirvi , sotto pretesto eh*egli fosse della fazione dei Veneti. Viene gridato imperatore Foca nel tempio di S. Giovanni , che è in Set­timo , essendo patriarca della regia città Ciriaco : ingresso di Foca nel palazzo. Leonzia , sua mo­glie, viene salutata Augusta. Grau lite de* tribuni della plebe a cagione depposti. Cacciata di Cosma9 tribuno della plebe della fazione veneta, fatta da Alessandro * ed avvertimento che Maurizio noo era aucora morto, onde l*osurpatore corre ad uc­cidere 1* imperatore. 1 figli di questo vengono messi , sotto i suoi occhi , nel porto d*Eutrapa. Grandezza d* animo dell* imperatore v egli rende grazie a D io, ed è ucciso da Lilio. Qui viene ri­ferito il testamento di lui, trovatosi sotto il regno di Eraclio. Poi narrasi come i corpi de* principi reali furono gettati iu mare ; e segue un elogio funebre di Maurizio , e il castigo sopraggiuoto ai soldati romaui per la criminosa loro condotta coa­tro quell* imperatore, uon essendo , poco tempo dopo , rimasto vivo in tanta moltitudine oessuno de* compiici della morie di lui e delia usurpa­zione £ imperciocché una parte ne perì di peste,

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STORICI E BIOGRAFI PROFANI. Ι θ 5una parte per fuoco caduto dal cielo , e gli altri tutti di ferro , di modo che quando Eraclio , ve* nuto al trono, fu per far guerra con Rasate, per­siano , facendo la rassegna , appena trovò due di quelli che aveano presa parte in que* fatti. Allora poi i Romani incominciarono a rimanere superiori ai Persiani, quando da questi in addietro erano sempre stati vinti. Morte deU'usurpatore per mezzo di Alessandro data a Teodosio, figliuolo di Mau­rizio , a Pietro , a Comenzioto ed a Costantino Lardi. Falsa voce uscita che Teodosio non fosse stato ucciso. Come in Alessandria le statue mos­sesi dai loro luoghi, a certo Calligrafo* così chia­mato, mentre ritornava da cena, annunziassero quanto era accaduto in Costantinopoli. Come si dicesse che Maurizio avea rimessa a* suoi sudditi la terza parte de* tributi , e dati ai Bisantini in dono trenta taleuti per ristaurare gli acquedotti. Gli onori e i premj da fui dati agli studiosi delle buone discipline. I miracoli avvenuti nel liquefatto sangue della martire Eufemia ; e come Maurizio , avendo voluto farne la prova, mentre prima non credeva il fatto, vide confermato il miracolo. Come l’ usurpatore Foca chiuse in una casa privata Co­stuma , moglie dell* imperatore Maurizio , unita­mente alfu sue figlie. Foca manda un* ambasceria a Cosroe, re di Persia, ma inutilmente; e la tre­gua fu rotta , dicendo Cosroe di volere giusta­mente vendicare Maurizio. Perciò Litio , che era stato spedito colà, ritornò indietro senza avere ottenuto 1* intento. Missioue di Alessandro , com­plice delle novità di Foca , caduto sospetto di avere salvato Teodosio , figliuolo dell* impera-

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ιο β classe FRI MS,

dorè Maurizio » che pure avea ammazzato. —■ E qui ha fìue tutto la storia di Teofilatto Si­mo catta.

TEOFANE DI BISANZIO

STORIE l i b r i X.

. 6 4 n primo di questi dieci libri comincia da quella guerra di Persia che si ridestò al rompersi il trattato che fatto aveano Giustino , imperatore* e il re Cosroe. Questa rottura fu fatta da Cosroe medesimo e da Giustino« successore a Giustiniano % nel secondo anno del suo regno. Da quel punto principiando, procede sino al decimo anno di quella guerra. In questo primo libro ricorda ancora co­ro’ egli avea scritto eziandio delle cose avvenute sotto Giustiniano^ e manifestamente indica come »hri libri avea aggiunti a quoti dieci· Ora in questo i ; ferisce il perchè quell’autocedeote trattato fosse rotto; il che avvenne per la domanda per tntzio di Comemiolo fatta da Giustino, a Cosroe di avere Suania, mentre Cos*oet dopo averne latta positiva promessa, di poi uon (a mantenne. Rife­risce inoltre un tremuoto accaduto iu tutta la Me­sopotamia che fu principio delle calamità iu ap­presso sopraggiunte.

Alla parte d*oriente» presso il Tanai vivono i Tnrchi anticamente detti Masageti» e dai Persiani nella loro lingua Kermichioni. Costoro iu quel tempo mandarono legati loro a Giustino con re- geli, domandando che uoo desse ricetto agli Avari. Giustino accettò volentieri i regali ; e rimandò al

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furo paese quegl'inviati colmi d*ogni maniera di benevolenza e di umanità Essendo poi venuti gli Avari, chiedendo di potere abitar la Pannonia, ed aver pace da* Romani , pel trattato che s* era fatto co*Turchi ebbero la negativa.

Un certo Persiano (j) , regnando Giustiniano , riferì in CostautiuopoU l’origine de* bachi da seta, fino allora ignota ai Romani· Quel Persiano ve» nendo ,dal pae*e de'Seri u'aves portata la semenza chiusa etilro un bastone; e giunta* la primavera pose quella semenza sopra foglie di gelso, d*oude sbucati i bachi, fucomiuciarooo a ondarsi di quelle foglie,, e cresciuti iufìue si misero mirabilmente a lavorare. Ed aveudo Γ imperatore .O tu stino fatto vedere agl* inviati turchi e come que* bachi ua~ scovano, e come tessevano i loro bozzoli, esjsi grau- demente ue stupirono. Possedevano essi allora gli etnporj e i poni cbe diauti erano iu dominio dei Persiaui* imperciocché Efimlano^ re degli Eftaliti, da cui tutta quella geuerazione trasse il nome, avendo vinto in guerra Peroze* e i Persiani, ob­bligò questi a ritirarsi da* que' luoghi, ed egli &e ne impadt*ouì. Poco dopo avvenne aucora , che i Turchi sbaragliaudo gli Eftaliti , li cacciarouo da que lle coutiade·

Giustino mandò Zemarco ambasciator suo ai Turchi, il quale e pubblicamele li convitto, e da

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( i ) Se ciò é vfro, cade adunque U benemerenza praticata fin qui de’ due Monaci che recarono a Co­stantinopoli le u<»va de* bachi da seta, come 4 detto e ri «letto in tanti * libri. Non ai era duoque mai letto Xtofane clif pur era contemporaneo !

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ro8 classe pai ma ,essi fu con ogni genere di buon’accoglienza trat­tato; e ritornò contentissimo a Costantinopoli. Fa questa la ragione, per la quale Cosroe andò contro gli Etiopi, amici de*Romani, anticamente chiamati Macrobj, ed ora detti Omenti; e per opera di Merane% suo capitano , ebbe vivo io poter suo il re di que* popoli Sanata ree p e distrutta la loro città, ne soggiogò gli abitanti.

Gli Armeni, mal contenti di Sunna, massima- mente per rispetto alte cose di pietà e di religione cospirando insieme con Vardano, il cui fratello Manuele Surina avea ucciso, fui e un certo Fardo ammazzarono, e ribellandosi ai Persiani passarono a* Romani abbandonando la città che abitavano, chiamata Dobio, e trasferitone*! nel paese romano: E questa fu la cagione principalissima di rottura tra Persiani e Romani. Ribellaronsi immediata­mente dopo gl* Iberi, è sotto la condotta di Gor* gone passarono ai Romani anch’essi. La loro me­tropoli era T itlis.

Marciano, cugino di Giustino , imperatore, già fatto comandatile delPOrieute, nelPanno ottavo del regno di Giustino fu mandato contro Cosroe, lu ­tanto Giovanni, capitano degli Armeni, e Mera ne% detto anche Baraomane% capitano de* Persiani, an­davano raccogliendo 1* esercito. Agli Armeni si unirono compagni nella guerra i Colchi, gli Aba- sgi, e Saro e, re degli Alani ; e si unirono a M e- rane i Sablri, i Dagani e i Dilmaini. Marciano 9 venuto a giornata presso Nisibi , mise in fuga Merane\ e in quella battaglia uccise mille e du» geoto nemici, e ne prese vivi settanta, non avendo perduto de* Romani che sette soli. Poscia mise

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storici a BIOGRAFI froìahk 109l'assedio a Ni sibi. Cosroe f informato del fatto, con quaranta mila uomini a cavallo, e più di cento­mila fonti corse iu ajuto di quella c ittì, e ad af­frontarsi co’ Romani. Nel frattempo Marciano viene accusato presso Giustino di ambire V imperio \ e Giustino dando mente alla calunnia gli leva il comando deiresercito, sostituendogli Teodoro, fi­glio di Giustiniano detto Tziron» Così turbate le cose i Romani abbandonarono l’assedio di Nisibi, e Cosroe espugnò Dara.

TEOPOMPO

S T O a i a , L I B R I Lim

Questi sono i libri storici ebe rimangono di C. Tcopompo. Anche alcuni degli antichi hanno af­fermato essere andati perduti il VI, il VII e IX, il XX e il XXX. Ciò che io posso dire, si è cbe non mi è mai avvenuto di vederli* Menomane* antico anch'egli » ed autore da non dispregiars i, dove parla di Teopompo , dice che perì anche il XII, ma noi fu abbiamo letto iusieme cogli altri»

In questo libro XII raccoutansi fu imprese di PacorU re degli Egiziani , come si confederò coi popoli di Barca, e come sosteune Èva gora, ciprio, contro i Persiani: in che modo inaspettatamente Evagor* ottenesse il regno di Cipro, fatto prigio­niero Jndimone, citico , cbe prima vi dominava ; con che arte i Greci , seguendo Àgammennone , occupassero quell* isola, cacciandone Cinnira coi suoi, i cui posteri che rimangono, sono gli Ama­tu*} : come il re ai risolvesse a far guerra ad Evm·

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t IO C tASSE PMM1,gora, dato il comando detlVsercito ad Àntofradate, satrapo della Lìdia, e fatto suo ammiraglio Ecatum» fiioj e parlando finalmente della pace data ai Greci,e del piò gagliardo suo impegno iu ispiogere fu opera­zioni ostili contro Euagora, e della battaglia navate occorsa presso Cipro. Vi si dice pure, come gli Ateniesi cercarono di tener ferma 1' alleanza che aveano col re*, e come i Lacedemoni, insuperbiti del buon esito delle cose loro, roppero i patti stipulati! come Teribazo facesse la guerra, e tendesse insidie ad Evagova* e questi lo accusasse presso it re , e transigesse con Oronte t come poi, occupato ch'ebbe Nectenìbi il regno degli Egiziani, Evapora mandasse ambasciadori a» Lacedemoni ; ed in che modo ter­minasse la guerra di Cipro. Vi si nana ancora di Nicocreonte che avea tese insidie, riferendosi in che maniera fosse stato improvvisamente prese, e fosse scappatoie come con la figlia di lui, vergine ancora e abbandonata, si fossero giaciuti seoza sapere Γυιιο dell* altro, ad Eragora e Pritagoru^ padre e figlio, stato fu tale oosa mezzano ad entrambi Trae deo* eunuco, ed eleo di naziooe; e come co tei la doooa fosse la ruioa di tutti e due , fu stesso Trasideo avendo procurata la loro morte.

Iti questo libro si narra iuoltre per qual ragione Acoris egiziano, lacesse lega coi Pisidj, e si parla del loro paese , e degli Aspendj· Si parla pere de'Med tei di Coo, e di. Guido, cerne sieno Ascfu- piadi, e come primi vi si unissero da Sitoo i po­ster i di Podalirio* Del vate Mopso ancora, e delfu sue fìglie; Rode, Mah ode e Pamfìlia^ si ragiona ; dalle quali· presero nome Mopsuestia , e in Licia Rodia, e fu Pamfìlia, paese; e come incominciatoti

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s t o r i c i z b i o g r a f i f r o f a n i . i t i

questo paese ad abitare da'Greci, vi si accendesse una guerra tra loro ; e come io Licj guerreggias­sero coi Telmissj » sotto la condotta di Pertcfe , furo re; oè desistessero dal combattere iufìuo a tanto che, ridotti a serrarsi entro le mura, noo li ebbero costretti a domandare la pace Queste sono fu cose riferite in quel libro XII che Menofane non vide.

Questo Teopompo fu di Chio, figliuolo di Da- mostrate. Dicesi che col padre abbandonasse la patria , essendo questi convinto di favorire i La­cedemoni. Si vuole ch'egli poi, morto il padre , spatriasse , essendosi per lui interposto Alessan­dro, re de* Macedoniv il qnale scrisse , per impe­trargli il ritorno, una lettera a que'di Chio ; e Teo­pompo allora avea quarantacinque a noi. Di poi, morto Alessandro , Teopompo andò errando lungi d a Chio; ed essendosi portato in Egitto, noo so­lamente dal re Tolomeo nou fu accolto ; ma poco inaucò che fosse per ordine di lui me**o a morte, avendogli apposta troppa, curiosità d'informarsi d elle cose; e non fu salvo che iu grazia de«li of- Bcj che dagli amici forouo fatti iu favor suo· Egli medesimo nomina i letterati uomini suoi coutotii* porauei, Isocrate, ateniese, Teodette di Faselo» e

alterate, eritreo! i quali dice avere seco luh nella e loquenza tenuto il primato io Grecia: che Isocrate stretto di modi, come pure Teodette scrissero ora­zioni per guadagnarsi da vivere* ed aprirono scuola per istruzione della gioventù i egli poi, e Nati· crate , avendo di che bastautemente sostenersi , contiliuameute si esercitavano nella filosofìa, e nella eloquenza. Nè dee dirsi che inconsiderata-

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1 1 2 cl a s s e p u m a ,meo te parlasse di tale maoiera di sé, essendo certo cbe egli scrisse oraziooi di genere dimostrativo noo meoo importaoti di veotimiia versi; ed anzi più di quiodici miriadi di versi, in cui possooo leggersi narrate da fui le imprese de* Greci e dei Barbari. Aggiunge oon essere stato io Grecia alcun luogo di qualche cooto, e nessuna città, dov*eg!i noo si fosse recato , e dove noo avesse lasciato perorando mooumento di sua facoodia. Tali cose riferendo di sé, quelli che un secolo prima erano stati celebri nell*arte del dire, pospone di luoga maoo agli oratori della età sua; e che non pos­sono quelli preteodere nemmeno il secondo posto, fu afferma egli, e il dice manifesto confroolandosi gli scritti degli uni e degli altri, e le oraziooi trasmesse ai posteri ; avverteudo come immensamente era al sao tempo cresciuta la facoltà del dire. Ma io non intendo bene quali sieoo quelli ch'egli comiua del secolo aotecedente ; oon credeodo mai cb*egli ardisca intaccare Erodoto e Tucidide, a* quali uo­mini egli nella facoodia è di grao funga inferiore. Se non forse voleva alludere ad Ellanicot e a Fi- Ustoi istorici, o a Gorgia , e a Lisia% e agli altri più vicioi alla età sua ; quaotunque nemmeno que­sti sieno tanto poveri nell* arte del dire. Checché sia di c iò, cosi Teopompo giudica*

Dicooo ch’ egli insieme con Eforo fu discepolo d’ /iocMto, come vico aoche dichiarato ne* suoi iibri. £ si osserva di fatto negli scritti di Teo­pompo i* imitazione delle forme teocratiche, quan­tunque uella diligeoza gli stia di dietro. Vogliono poi cbe il precettore desse ad entrambi gli ar­gomenti delfu furo narrazioni , ad Eforo per le

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STOJtlCl η ΒίΟΟλΛΠ rBOTAWl. t l 3cose del tempo antico, e a Teopompo per quelfu cbe a* Greci erano occorse dopo Tucidide* aven· dole proposte ed indicate secondo la capacità ri­spettiva dell'uno e dell'altro. Perciò si osserva che i proemj delle storie e oe* sentimenti e nelle altre cose sooo somigliantissimi , avendo la loro storia lo stesso andamento, quasi uscito dalle car­ceri delfu stodio medesimo , e correndo tino alla meta. Teopompo riempie* i suoi libri storici di moltissime digressioni; e perciò il re Fiìippe che guerreggiò coi Romani, tolto via tutte quelle di­gressioni, e raccolte insieme le cose cbe del pa­dre di Alessandro Teopompo avea scritte, io se* dici libri soli le ordinò, nulla aggiungendovi del proprio.

Duri , samfu, nel libro primo delle storie, cosi scrive di fui : Eforo e Teopompo sono assai in­feriori ai precedenti. Mancano di grazia nell'imi­tare , e di venustà nel dire ; e fannosi soltanto Solleciti di scrivere. Quautuuque in vero sia da dire che Duri stesso nelle cose medesime, uelle quali redarguisce que9 due scrittori , sta loro in­dietro per luogo intervallo. Ma oon ho ohe ap­porre alla osservazione di Duri * s'egli ha voluto far sentire l*arroganie censura di Teopompo che agli antichi scrittori noo voleva accordare che il secondo posto. Solameute dico che uè l'uno, né Paltro «fessi potessi giustamente riprendere di tale maniera, deodare, smirleano , parlando , come io peoso di tutti gflsocratiei, fermo nel paragone con Demostene a noo dare ad essi Γ ultimo luogo, si esprime iu questi termiuit: Le orazioni di Demo- Siene pajono assaifs mo sint .i al corpo de'soldati ;

Fono, VoL IL 8

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114 CLASSZ PRIMA ,quelle d 'Isocrate al corpo degli atleti. È poi m i* ni festo che tra ΐ discepoli d "Isocrate, Teopompo nel dire oon è inferiore a veruno.

Ma noi abbiamo fin qui bastantemente esposto quanto concerneva alla patria di Teopompo, alla sua educazione, al precettore, agli eguali, ai libri, alla vita civile, alla forma della orazioni, e al. suo istituto, e ai tempi fu che fiorì, e alfu cose che gli accaddero.

TOLOMEO EFESTIONE

L is a i v i i DI STORIA NUOVA IK ARGOMENTI

n i VARIA ZBUDIZIONE.

Gioverà sicuramente quest'opera a tutti quelli ehe impiegano il furo tempo nella lettura di sto* rie d’ogni genere, poiché io essa trovansi raccolte insieme cose, per conoscere le quali converrebbe altrimente consultare una moltitudine di libri , io eui trovansi sparse. Cootiene essa però assai pro« digj ed assai favole; e quello che è piò assurdo si è, che l'autore cerca di spiegare le cagioni di molte favole, come se queste fossero fatti veri. Perciò riesce raccoglitore alquanto frivolo , e nel tempo stesso alcun poco arrogante : uè poi il suo discorso è civile quanto converrebbe. Egli dedica quest opera a certa Tertulìa» da fui non solo chia­mata sua signora, ma predicala anche ampiamente tome letteratissima d o n n a , e pieoa di varia dot­trina ; e intanto riprende alcuni di quelli che prima di lui traltarouo l'argomento da esso gre*

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STORICI B BIOGRAFI PftOFAHI. 1 l 5

scelto, come se malamente vi si sieno comportati. Egli è vero però che le cose da lei narrale , e quelle spezialmente che noo sono nè improbabili, nè indegne di credenza, per la piò parte sommici- strano una scienza e varia, e non disaggradevole.

Adunque nel libro I racconta la morte di So- J b cìe , premettendovi quella di Protesilao. Scrive quindi di Ercole, e come uel cinquantesimo anno della sua vita finisse abbruciandosi per la ragione che non poteva più teudere il suo arco. Parta di Creso salvato meutre pure egli era sòl rogo * della morte di Achille e di quella di Laidem meretrice, rimasta soffocata da un osso di oliva· Le quali cose partitamente esposte da luì, dice egli poi nou essere state dagli altri per l’ addietro fedelmente riferito. Raccoota del re Alessandro che mentre stava contemplando in £feso un quadro rappre­sentante Palamede ucciso a tradimento , grande­mente si turbò, ricordandosi che simil fine era toccato ad Aristonico, suo compagno, nel giuoco della palla : sì mansueto d'animo era Alessandro« e taoto affettuoso verso i suoi amici 1 Riporta in appresso un verso di EuJbrio ne nel Giacinto ± verso rimasto iguorafo

D*Adon le piaghe sol Cocito tapi:

il che significa, dic’egli, che uu certo Cocito, sialo d iscepolo di Chironet nella medicina, curò Adone stato ferito dal cignale. Riferisce pure che la per­sona , la quale presso Erodoto nel libro I delle storie vien detto ucciso da Adrasto, tagliuolo di Gor­dioi, «i chiamava Agatone* che fu tolto di vita mentre contendeva per uua coturnice. Po i aggiunge Cadmo

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ed Armonia essere siati trasmutati in leooi ; Ti­resia avere cambiata figura sette "Volte; rendendo ragione del perché io Creta fosse detto la fìglia di Forbante\ Eri man lo figli uolo di Apollo, essere stato acciecato per avere veduta Venere lavarsi dopo ch’era giaciuta con Adone di che sdegnato Apollo, datagli forma di cignale, era pof avvenuto che co’denti ammazzasse Adone. Quiudi spiega il perché il poeta facesse fu colombe ministre del cibo degli Dei * e dice cosa il re Alessandro, e perciò anche Arìstóiile% su questo argomeuto pen. sasseto; e qui parla di Omero medesimo e delfu eolombe. Poscia narra che il poeto Epicarmo traeva l'origine sua da Achille, figliuolo di Peleo $ che Patroclo da Omero viene chiamato cavaliere per eccellenza, come quegli che avea appresa l’arte di guidare il carro da Nettuno che di quel gio? vane fu amator grande; che Ulisse fu da prfuci- pio detto outtn per avere orecchie grandi ; ina poiché per grossa pioggia sopravvenuta sua madre che n era incinta, non potè portarlo piò oltre pell’ utero , e lo partorì sulla strada , da ciò fu chiamato Odissea ( Ulisse ). Un Arcade di nome Peritano stuprò Elena che viveva iu Arcadia eoo Paride^ del quale adulterio Paride fece a colui pagare la pena , tagliandogli i geoitali ; e quindi nacque che gli Arcadi chiamarooo peritarli gli uo­mini così mozzi. Aristonico tarentino scrive che Achille mentre vivea presso ■ Licomede confuso con le ragazze della corte, era chiamato Cercisera; ed Issa e Pirra-A&peto e Prometeo. Batria, min­dio, dice che tutti quanti i figliuoli di I9iobe furono ammazzati da Apollo ; l'autore poi asserisce che

1 ! 6 C t i S S Z PRIMA ,

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svoltic i x Iiogbah fiofìmi. t iyil padre diede ad Olisse uo ammonitore, o vo- gliam dire un ajo; e questo fu Musco di Cefalo- nia ; che uno simile seguiva Achille , Penice di nome , e uomo prudente , nato in Celidonia ; e Patroclo avea cella stessa qual ita Eudoro. A n ti·

patron acantio, riferisce che Darete, il quale scrisse V Iliade prima di Omero , fu ammonitore di Et­tore* e che lo consigliò a uon uccidere il compa­gno d*Achille. Medesimamente aggiunge che Pro- tesdao ebbe Dardano, tessalo di nazione 9 ed An - tiloco ebbe per ammonitore insieme e scudiere Calcone, datogli da Nestore, suo padre. * Questa sono le cose trattate nel libro primo.

Nel libro II tratta di E rcole, e dice come fu con l'elleboro guarito dalla pazzia per opera di uo Auticireo, il primo che trovò questo rimedio molto usato in Aoticira, città della Focide; quan­tunque altri d'altra maniera raccontiuo la sua gua- rigiooe. Narra inoltre ch'Ercole fu molto amato du Nestore ; e poi che nou Filottele, ina Morsimo di Trachiuia fu q dello che attaccò fuoco al rogo di Ercole. Aggiunge che Eccole » avendogli il leooe oemeo strappato un dito, n’ehbe solamente nove 4 e che sussisteva il sepolcro di quel dito strappa­togli. Altri però dicono che Ercole perdesse quel dito per la puntura fattagli da un pesce detto pa­stinaca. Sul sepolcro poi di quel dito vedovasi in Lacedemone stare uo leone di marmo f simbolo delfu forza à*Ercole ; d’ onde venne l* uso di met­tere statue di leooi auche sui sepolcri di altri.* V ’è però chi altriineote spiega quest* uso. Aggiunge dal rogo d'Ercole essere uscita una grande quan­tità di locuste che devastarono a modo di peste

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ii9 c l a s s e ì b i m a ,il paese ; e narra come quel flagello fìoisse. Racconto esiaodio come Venere, a cagione di Adone, suo bello, e bello di Ercole. palerò a N a so , Ceotauro, fu insidie eh11 Ercole gli tramava ; come Nireo, ti­meo , bello di Èrcole, combattè iosieme con fui eootro il leone elicooio : alcuni però fanno quel Ifireo, figliuolo à'Ercoie. Passa dipoi a dire quali sieno presso il poeta quelle grazie , con le quali egli compooe i capegli di Eaforbo. Afferma che Ercole al nascer suo fu chiamato Ntlo ; ma dopo ch*ebbe salvata Giunone, uccidendo i giganti Anonimo e Peripnoo cbe le aveano messe fu mani addosso, mutò nome, appunto per la valorosa im­presa fatta per quella Dea. Aude , altro bello di Erco'e . aveodo aonuoziato a Teseo ciò che ri­guardava il rogo di lui, fu da Teseo ammazzato. Aristonico, tarèutioo, dice che la metà della testa dell* Idra era d*oro. Alessandro, miodio, riferisce ohe uu drago, generato dalla terra, combattè in­sieme eoo Ercole coutro il Ifune nemeo : il qual drago, outrito da Ercofet e coodotto a Tebe* ri­mase nella sua tenda; ed è quel medesimo , il quale avendo divorato i pulctui di una passera fu convertito in una pietra. — Ercole fabbricò fu nave Argo iu Ossa, moote della Tessaglia; e le diede il uome d'Argo da Argo figliuolo di Giasone ch'egli amava fortemente ; e fu per que­sto chVgli uavigò con Giasone nel paese degli Sciti. — Giunone, combattendo con Gerione. ebbe da Ercole una ferita nella destra mammella, con eiò cbe indi seguì. — Conio , ibero di nascila, ed uoo de*belli d'Èrcole, fu il primo che fabbricò Pelino; e per ciò quella sorta d*armi ebbe da

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s t o r i c i s b i o g r a f i f r o f a u i . i t g

principio nome da lui. — Quel sepolcro che in Creta si dice di Giove, è di quell* Olimpio cre- tense , che rapì Giove a Saturno , e lo educò, e gli insegnò fu religioue. Si dice poi che Giove quel suo balio ed ammonitore fulminò per avere sospettato che i giganti volessero invadergli il re­goo; e che poscia pentitosi del fatto, e non po­tendo in altra. maniera mitigare il dolore che n’ebbe, diede il suo nome al sepolcro dell’ ucciso.— Di chi sia questo detto usato da Alessandro , figliuolo di *Filippo :

Piglia, ο Proteo, e bevi questo vinoOr che d'umana carne sei satolla.

£ similmente di Proteo : qual canzone Alessandro fosse solito usare : e dì chi essa fosse. Contro chi quell’ epicedio scrivesse lo stesso Alessandro , ti- gliuolo di Filippo. — Questi sooo i capi del libro secondo.

Nel libro III Γ autore intorno ad Ilio , figliuolo 3’2?rco/e, racconta ch’egli ebbe no picciol corno alla siuistra banda della testa, il qual corno, avendo EpopeOf siciooio, ucciso in un combattimento Ilio, prese, lo riempì dell'acqua della palude Stigia, ed occupò il regno del paese vicino. Dell'acqua stigiaio Arcadia aggiunge narrarsi, come aveudo Nel* tu no tentata Cerere nel tempo ch*essa piaugeva afflittissima il ratto della figlia, di sdegno si tra­sformò io cavalla. Condottasi poi al foute, e veg- gendosi in quella figura, n’ ebbe orrore , e fece negra quell’acqua. Parla di Ecale% e dice a quanti fu quel nome comune. Dice che non Filippo fu i r padre di Alessandro y ma bensì un certo Ar-

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IS O c l a s s e PRIMA,cade. Dracone di nomey e che da ciò nacque fu favola del Dragone. Dice del cane di Tolomeo% il quale combattè pel suo padrone, e come dopo morto aperto si trovò avere il cuore tutto peloso. Era qtiel cane delfu raxza de*molossi, e veniva chiamato Briareo. — Parla dì Polidamantc. Poi cosa voglia dire il poeta ;

Come di Pandareo la schiatta, ecc.

con quel che segue. — Del Palladio, furtivamente portato via da due , *Diomede, cioè » ed Ulisse.— Della canna che diceva : Mida ha le orec- chie dell*a$ino. — Degli «ugelli acestalj cercati presso ·Stesicoro. Della pietra g'gonia presso rOceaoo; e come si muova pel solo asfodelo, niuna altra forza poteudo sopra di essa. — Di Ropalo, figliuolo d'È rcole , esponendo che nello stesso giorno gli fece i funerali come ad eroe, e gli sacrificò come Dio. — Che Àmfiarao ebbe il suo nome per questo, che ambi i genitori di sua ma­die aveano pregato che fosse conceduto alla loro figliuola di partorire senza fatica. — Di chi fosse Piano che i Tebani cantavano in onore di Ercole* e in esso dicevasi ad Ercole : ο figlio di Giove c di Giunone ! Ed ivi parla di quelli che composero gl* inni soliti cantarsi in ogni particolare città. Narra come Ftlostefano* vate e poeta, fino dal dì della sua nascita mai non usò vestimeuto alcuno t e come Mairi, tebano, scrittore d’ inni, per tutta la sua vita noo mangiò che bacche di mirto. E poi narra che Eupompo, samio, il quate (cosa ia veto incredibile) nodriva uu fiero mostro, cioè uu dragone, ebbe uu figliuolo chiamato Dracon*,

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s t o b ic i a sioosiri m o f a h i . i a idi tafu acutissima vista che vedeva comodamente gli oggetti alla distaoza di venti stadj. Ed aggiunge che tolto al servigio di Serse con la paga di mille taleoti, seppe a quel re, sedente sotto un pfutano d’ oro, a mano a mano riferire la battaglia navale tra i Barbari e i Greci; e il gran valore di A r ­temisia. Narra che Ple$irroo9 tessalo, scrittore d’ inni, fu amato da Erodotof il quale lo istituì erede dei suoi beni 4 ed aggiunge ch’egli fece l’esordio del primo libro delle storie di Erodoto d’AlicaroasfO; essendo il vero principio delle storie di Erodoto questo : / pik dotti tra* Persiani ditono che gli autori delle discordie furono i Fenicj. Segue poi che Politelon cireneo* mai non rise ; e perciò es­sergli stato dato il soprannome di Agelosio* Nel culto degli Dei tutti aver superato chi dice An~ tigono, efesio, chi Lucio, ermionio, di cui fa men­zione anche Teofrasto nelle sue lettere. Ad Achille ed a Deidamia nacquero due figli, Neot~ toierno ed Oneiro i ed Oneiro fu ucciso nella Fo- cide dalPimprudente Oreste in occasione che questi venne con fui a contesa sul luogo ove avea piantate le tende. Passa quindi a parlare di alcuni casi storici. Dice nata al sepolcro di Amico fu rodo- dafne, fu quale, chiunque oe gusti, gl* infonde passione pel pugillato. Per questo Antodoro che avea mangiato di quel lauro , tredici volte avea riportata corona : però alla quattordicesima volta era stato vinto da DiocorQ di Ter* ; e 1* istesso Amico dicesi essere stato superato Della lotta da uno dei Dioscuri. — Cneso essére nato nel giorno della festa di Ventre* nel qual giorno i Lidj per onorate fu Dea le raettevauo intorno eoa gran

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1 1 9 CLASSE PitiMA ,

pompa (alle le furo cose preziose, —— Che al pa­dre di Temistocle fu annuoziala la nascita di quel figlio mentre slava sacrificando un loro, e che avendo bevuto del sangue di qoella vittima, mori.— Che Dario , figliuolo à'Èstaspe , dalla madre esposto, veone attaccato alle poppe di una cavalla da Spargapiza , pastore di cavalli; e di poi dal nitrito di un cavallo fu fatto re. — Che un servo del poeta Jbico, chiamato Ercole » fu abbruciato vivo per avere cospirato insieme con de* ladri contro il suo padrone. — Che Oreste nacque nel giorno festivò di quella Cerere che chiamasi Erinni.— Che Filippo aucora fanciullo, alla sera tentava di colpire fcon frecce quelle strisce di luce che eofue stelle vedeva talora cader1 verso (erra ; e dióesi cbe da ciò il vate Diognato presagisse che quel giovanetto avrebbe dominato sopra molti. Chiama vasi Astro colui che eoo una freccia gli eavò uo occhio. — Che Marsia, sonatore di t ibia# il quale morì scorticato, nacque nel dì della festa d*Apollo, io cui venivano a quel nume consacrate le pelli di tutti gli animali che gli si sacrificavano. — Di Tizio* il quale tese insidie ad Alessandro. — * La madre di Claudio imperatore, essendo gravida di lui, maogiò de* funghi, presa di gran voglia di essi ; e Claudio morì ma u gì andò fanghi stati av­velenati. —- Di Centauro% figliuolo di Lamia conte colto in adulterio fosse ucciso, chi dice da 'Peritoo* eunuco, chi da Teseo* —; Tali sono i varj casi ed eventi cbe io queste storie si riferiscono) coi quali finalmente si dà termine al libro terzo.

Ecco ciò che narrasi nel libro IV. Che E lena fti la prima a trovare il modo di giti*care alfu

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STORICI X BIOGRAFI PROFANI. Ia3sorto con fu dita; e che giuncando così vinse ad

Alessandro ; e che fu fìglia di Venere. Che da Elena e da Achille con altri nacque un figliuolo nelle isole de* beati , al quale per la fertilità del paese misero nome Euforione. Dell'amore di fui preso poscia Giove) e non potendolo avere, fu saettò nell* isola di Melo, mentre fuggiva da lu i , e tra­smutò in rane le ninfe che Io avevano seppellito. Dice poi che hIcuoì narrano come Efena cacciando, sul monte virginale, fu rapita da Paride, e presa dalla bellezza di lui ; lo seguì come se fosse un Dio* Parla l*au!ore io appresso del cinto ricamato cbe avuto da Venerei 'Giunone diede ad Elenaf a cui l'ancella d stia nasse furtivamente lo rubò, e che Venere levò a costei. — Cosa intenda dire Omero parlando di Elena t

Tutte con le parole degli Argivi Imitò le consorti.

Egli dice poi che Elena fu figliuola del Sole e di Leda y'ed essere stala chiamata LeonAia\ essere stata rapita per la collera di Venere presa contro Menelao, che avendo per le nozze eoo quella pro­messa un*ecatombe, noa avea poi adempiuto il voto. Parla dell'erba eleoea che nasce io Rodi, e che da Elena prese il nome, essendosi trovato che nasceva presso la quercia a cut Elena si stran­golò, eiba che ha la proprietà che chi ne mangia vieue assolutamente eccitato alle risse. Fu Mene- tao da prima amato da Elena , oude poi egli la sposò; e qui l’autore aggiunge narrare alcuni che ita Elena eoa Menelao a Tauride nella Scizia per cercare Oreste, fa eoa fu sposo ivi immolata a

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134 CLASSE rkIMA,Diana da Ifigenia: altri però volere che d*i Teli, fu quale avea presa la fìgura di vitello marino , fosse stata levata mentre i Greci eoo le navi ri­tornavano alle case furo. Dice poi raccostarsi che ad Elena fosse dato per uome proprio quello di Eco. onde potesse egregiamente imitare fu voce degli altri ; e che venisse chiamata Elena dall* es­sere stato partorita da Leda in una palude. Cosi in Lacedemone trovasi un luogo detto Sandalio d l sandalo scappato fuori di un piede ad Elena$ mentre fuggiva da Alessandro che le correva die-* troj avere Alessandro avuto da lei una figlia; ed essere nato contrasto sul nOme da d«rle, volendo •gli che si chiamasse Alessandra v ed essa che si nominasse Elena 9 ma avere Elena vinto il puuto, essendo rimasta superiore ad Alessandro nel giuoco dei dadi. Aggiungono poi che Ecuba,, preso Ilio , uccise quella figliuola. Dai tempi di Troja io poi, Γ autore dice molte donne presero il nome di Elena s come furono, una figlia di Egisto e di C/i- tennestra, a m ma zia la da Oreste ; una figlia di Epl· damniot ministra degli amori di Venere con Adone, e Sotto fu figura di Venere venerata dagli Epidamnii, come quella che accordava ricchezze a chi le desi­derava; e. la figlia di Faustolo che allevò Remo e Romolo i come pure ebbe nome Elena una che ogai giorno mangiava tre capretti; e similmeute la so­rella di Dtfiearco, telesioo ; ed altre diciotto dooue, fra le quali è da porsi quell’ Elena piò antica di Omero, la quale scrisse la guerra di Troja , e fù figlia di Museo, ateniese: riputandosi che da essa Omero * prendesse lv argomeuto del suo poema, e possedesse uu agnello di due lingue, Ebbe un tal

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s to b ic i z BtoosAr i pzorAvr. iv 5nome manche la figlia di TWro di Etolia, la quale, provocando Achille a battersi seco in duello fui feri quasi mortalmente nella tosta, ma ne fu uccisa.'

Mettesi uel uumero delle Blene anche la figlia di uu Tm one% egizio, valentissima iu pittura, fu quale col pennello rappresentò la battaglia issica, succeduta al suo tempo ; e il quadro, ch'essa fece, fu da Vespasiano imperatore collocato nel tempio della Pace. Archelao, ciprio dice eh* ebbe nome Elena 1* amica del poeta Stesicoro , figlia di Micito % la quale , quantunque da fui unicamente amata , fu abbaodooò, e passò a Bupalo ; onde Stesicoro adi­rato, in disprezzo di lei scrisse un componimento intitolato s Fu Elena che volle andarsene. E qui l'autore dice essere falso il racconto che si fa di Stesicoro acciecato. Passa quindi a parlare del-* l'erba detta moli da Omero cbe vuoisi nata nel· l'isola di Circe dal sangue di uu gigante ivi ucciso, e che produce un fior bianco ; narrando come Circe chiamò in ajuto del combattimento il Sole che ammazzò il gigante * e che a quell'erba fu dato l'accennato nome , il quale significa il combatti­mento. Racconta inoltre che Dtontsio fu il bello di Chirone, e che da questo quegl'imparò i mangiari, i beri, e i sactifìzj. Poscia parla del Taraxippo dei Mirtilli, padre e figlio in Olimpia. Poscia che il solo Neottoiemo Maciote udì da À eto % uno dei fratelli, l'oracolo di Femonoe\ e di quell' Aeto «lire Erodoto nel primo libro delle storie : Quan­tunque me ne sia noto il nome, io perà noi ri- corderò. — Del doppio nome presso Omero, uno usato dagli Dei, l'altro dagli uomini; e di Xanto, solo tra i fiumi , figliuolo di Giove. Così di altri

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I3i CLASSI MIMA,

* ebbero nome doppio. Qufudì essere ancora nella Tìrreoìa la torre dì A li , così chiamata dal nome di A li avvelenatrìce di quel paese, la quale essendo serva di Circe , scappò dalle case delfu padrona ; e ad essa essere capitato Ulisse per ìucan· tesimi trasmutato in cavallo, ed essere stato nutrito da lei finché per vecchiezza morì i soggiungendo l’autore che da questa storia si scioglie il nodo di quelle parole dì Omero che leggonsì nel li­bro V delPOiù'ma al v. i 33- — E qui ba fìoe il libro quarto.

Le cose contenute nel libro V sono le seguenti: Giasone, e oon Polluce, combattè con Amico e di ciò fa prova il paese detto cuspide jasonia ; e la fontana che scorre appresso,-chiamata Elena. Con ciò viene anche ad intendersi ^epigramma di Crinagoraf ove dice :

/ cavalli di Proclo hanno la verdePsalacanta.

Il che ignorò Callimaco « essendo un detto del eomìco Èbulo nella commedia sopra Bacco , trat­tando della parodìa dì quel verso, imperciocché fu psalacanta é un’erba dell’ Egitto, la quale legata addosso ai cavalli, dà loro la vittoria nel corso. L’au­tore aggiunge che alcuni dicono Psalacanta essere stata una ninfa nell’ isola Icaria, la quale innamo­rata di Bacco mollo fu ajutò per ottenere Arianna^ a patto che poi sì giacesse anche eoa essa. Ma avendo poscia Bacco ricusato dì ciò fate, la ninfa tramò insidie ad Arianna ; e Bacco sdegnatone tra­smutò quelfu ninfa io un’erba. Se non che di poi peatìtoue, per onorarla, dì quella p:anta fece uua

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STORICI B BIOGRAFI PROFANI· \ 2 f

corona ad Arianna* la quale era stata trasportala tra le stelle. Alcuni fanno quell’erba simile all'ar- temisia ; altri la fatino simile al meliloto.

Atenodoro di Eretria, dice l'autore, riferisce nel- Γ ottavo suo libro delle Cose Memorabili che Teli e Medea vennero io Tessaglia a contesa sulla bellezza ; e che chiamato ad arbitro Idomeneo , costui diede la vittoria a Teii. Che Medea sde~ goata dicesse allora: I Cretesi essere sempre men* daci ; ed avergli imprecato che mai non dicesseil vero; e nemmeno, come non fu avea detto nel sentenziare in quella contesa. Quiudi scrive essere accaduto che i Cretesi fossero riputati mendaci 4 e introduce a narrare la cosa medesima Antioco nel libro II delle Favole Civili. -— Ilo , siccome narrano, padre di Laomedonte usava fregiare l'elmo con crini di cavallo, come usarono fare anche M e* nalippo , e Id eo , fìgli di Priamo. — I cavalli di Achille, chiamati Xanto e Balio, da prima furono giganti ; e tra ΐ giganti furono i soli cbe coatro i loro fratelli combattessero per gli Bei. — Es­sendo Ulisse naufragalo presso Mila di Sicilia, lo scudo à%Achille andò a porsi presso il sepolcro di Ajaco\ ma il giorno dopo venne colpito da un fulmine. — L'autore dice che Ercole noo portò la pelle del leone nemeo , ma quella di uoo dei giganti chiamato Leone 9 ucciso da Ercole per averlo sfidato a battersi seco fui ; ed aggiunge poi che quel drago, il quale custodiva i pomi d'oro , ebbe a fratello il leoae nemeo. — Ito presso Omero fu di Beozia* * La moglie di Candaule , di cui Erodoto tace.il nome, fu detta Nissiaz ed avea doppia pupilla , ed actitissioto viata, per*

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1 9 8 Cl a s ss p r i m a ,chè portava indosso la pietra del drago: e per ciò potè' veder Grige anche attraverso dell* uscio , quando colui stava a contemplarla. Alcuni però vogliono che si chiamasse Tudoì altri Clizia. Aba dice cbe si chiamava Abro. Erodoto poi ne tacqueil nome, perché aveodo P!esirroo% suo bello, un’a­mica chiamata N issia , di Alicarnasso, nè riusci­togli di goderne, essendone rigettato, fìuì la vita impiccandosi. Per ciò avere Erodoto abborrito di ripetere uo nome divenuto odioso. — I Centauri fuggendo da Ercole per fa Tirseuia , e ingannati dal dolce caoto delle Sirene, perirono di fame. —- Aldero , uno de*belli di Ercole % era fratello di Patroclo. — Epipola% caristia, figlia di Traditone, fìngendo dVsser uomo, militò insieme coi Greci ( ma scoperta da Palamede fu dai Greci lapidata. — Nel tempo 9 io cui Alessandro rapiva Eterna, M e- nelao sacrificava una ecatombe a Giove , in Gor- tina, cittù di Creta. — 'Palamede ebbe il comaodo sopra i Greci fu vece di Agamennone \ e ciò fu per fu seguente ragione. Agamennone giuoto in Aulide uccise uua capra selvatica, sacra a Diana \ e per quel fatto impediti i Greci di navigare, Calcante anounziò potersi placare la Dea ed espiare il fatto, se Agamennone sacrificasse a Nettuno sua figlia Ifigenia. Or ricusando Agamennone di far ciò, i Grec i se ne sdegnarono; e gli tolsero il comando, cteando re Palamede. L’autore aggiunge che Pilot- tete morì morsicato da un serpente ; e Paride fu ammazzato da Menelao che Io ferì con Tasta nel femore. — Dicono cbe morto Demetrio Scepsio, gli si trovò sotto la testa il libro di TV/li | com'ebbe sul suo cappezzale Titanico di Calcide il poema

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STOBlCI Z BIOGRAFI VROFAKI. \ $Q

delle Sirene di Alcmatte , Efiaìlo le ibrisfodiche di Eupolim ed Alessandro, re de'Macedoni, l'E^nide di Cratino. Cosi faceva sempre del poema di Esiodo sulle Opere e i Giorni, Seleuco, figliuolo di Nicatore. Cercida poi , legislatore degli Arcadi , ordinò ’clie si ponesse nel suo sepolcro il primo e secondo libro della Iliade^ e Pompeo il grande non intraprendeva mai una spedizione che innanzi nou leggesse il primo libro di quel medesimo poema, essendo emulo ed imitatore di Agamen­none, come Cicerone, Porator romano. stava leg­gendo la Medea di Euripide nella lettiga , iu cui facevasi portare, quando fu decollato. L’ autore se­gue ancora dicendo che Diogneto , cretese, vinci­tore nel pugillato, non solamente oon ebbe fu co­rona, ina dagli Eieesi fu cacciato, perchè l’emulo, da lui vinto ed ucciso, portava il nome d'Èrcole. Però i Cretesi veoeraoo quel D'ognero come un eroe. — Viene poi l’autore a ricordare un verso di Omero concerneote a Menelao ch'era per es* sere ferito verso che il Pizio, oracolo per paro­dia, applicò mutando il nome di Menelao in quello di Menedemo. Imperciocché alfu tavola dell’ im­peradore Augusto si disputò qual verso fosse quello che parodiando usò l’oracolo, e chi l'uomo h cui lo applicò. Dicesi che Menedemo , eleese , figl io di Buneay insegnasse ad Ercole iLtnodo cou cui purgare ja stalla d'Augea ; e per questo deviòil fìume* Augea combattè coti Ercole , ed ucciso, veooe sepolto uel Le p reo, vicino ad un aibeio stillante pece; e per cagiooe di tal fatto Ercole venne a duello cou Teseo \ ed essendo entrambi eguali di forze, dagli spettatori fu gridato essere

Foziot Voi. IL 9

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z 3 o c l a s s e p r i m a ,Teseo un secondo Èrcole. — Dicesi similmente che noa certa Fantasia di Memfì, figliuola di 7Vi- corion prima di Omero scrisse la guerra trojaua, e te avventure di Utìs$e\ e depose l’opera sua in Memfì i e che Omero andato colà , gli riusci di farsi imprestale quell’opera da Fanite% custode dei sacri archivj i e ne seguì poi l’ ordine ne* suoi poemi. —- Di Adone riferisce quanto alcuni dis­sero , essere egli stato androgino , e con Venere ttver fMio da uomo, e da donna con Atwlìo — Similmente che volendo Ercole vincitore ne’ giuo* chi olimpici rimunerare il fìume Alfeo, dal nome di lui diede nome alla lettera A lfa , e la pose prima di tutte le altre.

Questo scrittore atte altre sue favole aggiunge anche questa, che Mosè% legislatore degli Ebrei, fa chiamato Alfa* per la ragione che era tutto coperto di vitiligine , detta dai Greci alpho. Dice che Galerio Crasso, tribuno de* soldati sotto Tiberio i mperatore , fu chiamato Beta per 1* uso eh’ era soldo fare di un'eiba chiamata Beta dai Romani.— £ così Orpilli , prostituta di Cizico, chiama vasi Gamma i e fu chiamato Delta queWAntenore, il quale scrisse la storia de’ Cretesi, per essere stato uomo buono ed amante della sua città , poiché vuoisi cbe presso i Cretesi Delta significhi b'tono.— Cosi A poiionio Λ insigne astronomo a’ tempi del Filopatore , fu detto Epsilon dalla figura di tal lettera che votgesi eoa la luna, intorno alla qaale egli erasi con molto studio applicato. — Così ancora Satiro , familiare di A tistarco , fu chia­mato Zeta a cagione dello studio fatto da lui per investigare le cagioni delfu cose. — £ cosi pure

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STO R IC I E B IO GRAFI PROFANI. l 3 lsì racconta che Esopo fu dal suo padrone tdmone, chiamalo Tela per essere d* indole servile ed astutos in greca lingua tetes significando servit siccome si racconta che la madre di Cupselo fa da Apollo pitio chiamata Sarnbda per avere le gambe storte. — In fìne Dernocide riferisce che Pitagora, il quale descrisse tutti i numeri, ebbeil nome suo dalla tei za lettera. — £ queste sono le cose conteuute ne] libro quiuto.

Ecco quelle che compreode il libro VI. — Che Achille fu ucciso da Ptnie$ilea\ e per le pre* ghiere di sua madre Teti richiamato in vita, uc­cisa Pcntesilea, ritornò aìlOfCo. — Che-dicendo Lieo fronte ue\ suo poema V Alessandra s

Qual la sterU Lacinia centaaricida,

volle col nnme di centauricida significare le Si­rene — Che Eleno, figliuolo di Priamo, ben innato di Apo'lo ; ebbe in dono uu arco d’avotio, eoo cui feiì Achille in una mano e che Priamo andò a supplicare Achille per avere le ossa di E tore , accompagnato da Ecuba e da'suoi figli. Cbe Teli i sei fìgli avuti da Peleo avea fatto morire so­pra uu fuoco nascosto e che dando mano ad Achille con la intenzione medesima, Peleo, che se ne avvide, glie lo strappò di mano, mentre nou era stato abbruciato che in un tallone, e lo collocò presso Chirone, il quale disseppellito il co po del gigante Damiso, il piò veloce di tutti i giganti che giaceva iu Paleney e toltone il tallone, questo adattò al piede di Achille , e con empiastri vel fermò.· Accadde poi che quel tallone se gli distac ­casse mentre Apollo gli correva dietro * onde j Cr

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CLASS E ?K IU à ,

ciò stramazzato a terra fu ucciso. Dicesi ancora che .Achille da Omero fu chiamato podarce, per­ché Teli* fìn da quando fu nato , gli aggiunse fu ali d'Jrce i e podarce viene a significate quel ch^ ha le ali d'arce ai piedi. Quest* Arce era fìglfu di Taurnante* e sorella d*Jr(We; ed entrambe eb­bero le ali. Nella guerra degli Dei co* Titani Arce disertando dagli Dei si mise dal partito de* Titani; onde poi venne che finita la guerra con la vitto­ria degli Dei, Giove la cacciò nel Tartaro, toltele le ali. Essendo poi ito alle nozze di Peleo e di Teli, offri a questa in dono quelfu ali, come d i­cono cbe Vulcano donò a Peleo una spada ; Ve­nere un nappo d’oro su cui era scolpito Cupido, Nettuno i due cavalli , Xanto e Balio , Giunone un manto, Minerva le tibie, Nereo in una scatolettail sale, chiamato divino, avente incredibile virtù per dare appetito, e procurare la buona digestione. Onde cou ciò rendest chiaro il passo d*Omero :

Di sacro sale asperse.

— Poscia parla di Achille generato dalla Terra, e di tutti quelli cbe dopo i tempi trojani sotto il nome di Achille furouo illustri. Questo A ch ille , figliuolo delta Terra, accolse celia sua spelonca Giunone che fuggiva dagli abbracciamenti di Giove, e la persuase a ritornare a lui ; e seguì allora fu prima congiunzione di Giunone e di Giove,. Laonde Giove promise ad Achille di fare che fossero illustri tuiti quelli che portassero il nome di lui. Per questo fu illustre VAchille figliuolo di Teti. Anche il pre­cettore di Chirone si chiamò Achillei onde da Cki~ ione fu dato ua tal nome al fig lio di Peleo* Si

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s t o z z i z b i o g r a f i p h o f ì n i · i 3 3

aggiunge che il primo che io Atene introdusse l'ostracismo, si chiamò Achilìe, figliuolo di Lisone. Dicesi inoltre che da Giove e da Lamia nacque un A chilìe , di bella fìgura, che contendendo in bellezza, per giudizio del Dio Pane , restò vinci* tore. Per tal fatto sdegnata Venere fece che Pane s ' innamorasse di Eco, e così fu difformò che poi nessuno potè vederne la fìgura, brutta ed amabile insieme. Parimente fu chiamato Achille il figliuolo di un certo G&lato che fino dal nascer suo fu canuto. Furonvi ancora altri Achilli illustri, fino al uumero di cinquantaquattro ; due de’ quall petulanti al pari dei cani} ed ammirati pure per opere nefande. — Pri&mo, dice l'autore, divenuto il bello di Giove, da questo Dio ebbe in dono una vite d'oro ch'egli poscia regalò ad Euripilo , figliuolo di Telefo per averlo soccorso in guerra. — Esopo ucciso in Delfo, ricuperò fu vita; e di poi militò coi Greci alle Termopili. — Filottete fu nelPisola di Lenno medicato da Pilio, figliuolo di Vulcano, ed in contraccambio fu da fui ammaestrato neU Parte di tirar Parco. « Si dice che il fìume Sca+ mandro ebbe un figliuolo di nóme M elo , bello di fìgura, pel quale vennero a contesa tra loro Giunone, Pallade e Venere, delfu quale egli era sacerdote: cbe Paride, fettone giudice, decise per Venere i e che da quelfu storia nacque poi la fa­vola del pomo conteso· — Ipermene nel suo rac­conto di Chio riferisco cbe Omero ebbe un servo di nome Scindapso, il quale fu multato dai Chii da una somma di mille dramme per non avere ab­bruciato il cadavere del suo padrone. — Quegli però che inventò l ' istromento lirico detto scio»

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>34 c la sse rmiMA ,dapso, fu Eretrio* figliuolo di Fecile9 sonatore ditibia. Qui termioa il libro sesto.

Nel libro VII tratta delle seguenti cose. « Teo­doro di Samotracia racconta che quando Giove fu osto, rise per sette giorni continui e che da ciò riputassi perfetto il numero settenario. — Achille per essere stato salvato dal fuoco, quando sua madre lo abbruciava , ebbe da principio il nome di Pirissoo, come appunto salvato dal fuoco. Perché poi gli si era abbruciato un labbro , il padie fu chiamò Achilìe- Le Sirene, quando intesero che Telemaco era figliuolo di O lisse, lo •mmazsaroiTO. — Ulisse uella Tirreuia gareggiò nel suono delta tih*a e rimase vincitore. Cantò poi il poema di Demodoco sulla ruioa di Troja.— Sàchto , etolo , uno de* belli d* Ercole , es­sendo stato aperto , si trovò avere il cuore tutto coperto dì peli. Egli era staio ucciso da Ercole% qua odo eotrato in furore ammaxzò anche i suoi fìgli $ e si aggiunge eh* egli in vita sua pianse soltanto per quel giovane. — Mercurio innamorato di Polluce, uno dei gemelli, gli donò un cavallo lessa lo, — Quando Apollo fece i giuochi funebri per Pitone, vennero gareggiando Ira loro Mercurio e Penerei e rimasta vincitrice Venere ebbe per premio una cetra, ch*essa poi regalò p Paridei della quale fece menzione Omero in que* versi s Nè a te giovò la eetra9 con ciò che segue.

L*antore cerca cosa significhi ciò che in Bac- ehilìde riferisce detto da Sileno* e a chi fosse indirizzate quel carme. — Lo scoglio di Leucade, secondo ch'egli dice, fu cosi chiamato da Ltuco * uno de* compagni di Ulisse9 il quale era di Z a ·

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STORICI z SlOCKAFl PROPANI. *55cinto, e fu, come racconta Omero, ammazzato da Antifo. Si aggiunge che questo Leuco dedicò il tempio colà ad ApoVo , leucade i cbe quelli cbe si gettauo giò di quel sasso, si liberano dall* a- ìnore; ed ecco la ragione che se ue adduce. U c­ciso cbe fu Adone , narrasi cbe Venere si pose in cammino, e lo andasse cercando e che trova­tone il cadavere in Argi, città di Cipro, nel tempio di ApoUo Eritreo, fu trasportò, seco avendo a lungo favellato cou Apollo dell'amore di Adone. Giunta poi con quel cadaveie alfu scoglio di L e u ­cade, ordinò d'esserue precipitata giò j e che per quel salto in fatti essa fu liberata dal caldo amo­roso ond* era presa. Ed avendo essa domandato ad Apollo come ciò fosse, dicesi quel Dio averle risposto cbe essendo vate avea saputo che anche Giove ostinatamente innamorato di Giunone era ito b quello scoglio* e che intrattenendosi colà, avea sentito mitigarsi Tardor violeuto che fu striugeva; e che molti e molti, sì uomini che donne, ardenti d'amore, gittaudosi giù da quello scoglio, n’crauo rimasti liberi. Così accadde anche ad Artemisia , figlia di Ligdami, , la quale militò coi Persiani * imperciocché innamorata di Dardanos abideuo, avendola costui disprezzata, essa lì ovaiolo dormire, gli cavò gli occhi. Ma per lo sdegno che di tal fatto ebbero gli Dei cresceudo ognor piò Tamore, così consigliata dalToracolo andò a Leucade, si gittò giù di quel sasso, e rimastane morta, fit ivi seppellita. Così pure accadde ad Ippomedonte epidamnio, il quale erasi innamorato dì uo giovanetto di quel paese * e che rigettato da fui che ad altri si dava, fu uccise» Ito adunque anch’egli a Leucade, fece

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l 3 6 CLASSE PETMt ,

ìt salto, e peri. Meglio però avvenne a Nicostrato* comico, innamorato di Tettigedea mirrinea, il quale precipitatosi dall'altura di Leucade risanò. Rac­contasi poi che Maceta di Butroto fu sopranno· minato Lemopetra per questo, che quattro volte precipitatosi da quello scoglio, quattro volte guari dell’amore che fu tormentava. Altri ancora diconsi avere avuta simile ventura. Ma Balogora Farago- riie, perduta amante di Diodoro, aulete , prec ipi­tatati di là , vecchia com'era, perì. Perl pure ia questa maniera Rodope amissena, che volle fare quel salto, innamorata di due gemelli delle guar­die del re Antioco, i quali aveano nome, uno Ciro, l'altro Anti/onte. Anche a Carino, scrittore di giambi, che furentemente amava un certo eunuco Erotat coppiere àeWBupatore* credendo alla favola di quello scoglio, ebbe tristo fine, perchè, precipi­tatosi di 1*, si ruppe una coscia ; e mentre pel do­lore era presso a morte, fece questi versi :

Il mar subbissiti» fallace, iniqua Pietra di Leu cade ! Ahi l ahi ! Catino,Poeta giambico* con tue lusinghe,Con le tue favole troppo tradisti.Tale fin abbiasi, se per Erota Un dì sia tenero anche Eupatore.

Non fu cosi di Nereo di Catania, innamoratosi dr Atenaide, che precipitatosi di là fu liberato dalla passione che il molestava; il quale andò a cadere entro la rete di un pescatore, e ne fu estratto con una cassetta piena d'oro, a conto della quale ’vènoe poi con quel ,pescatore io contesa. Ma apparsogli in sogno A pollo , gravemente fu minacciò se liti*

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STOBlCI Z BtOGMFt ÌftOKANl.

gasse ; avvisandolo che dovea essere grato se era scioltQ da 11'amore che fu tormentava ; e non aspi­rare all’oro altrui.

— Passa poi fautore a dire che Pana è un pesce' di mare, grande come una balena , e nella fìgura non dissimile da un pane. In questo pesce trovarsi una pietra chiamata asserite, la quale esposta al sole di ceti che s* infiammi, e che valga per fìltro; e perciò una averne posseduta Elena , su cui era scolpila la fìgura del pesce Pana ; e della qualeanche servivasi per suggello---- Questi sono i capi'del libro settimo delfu Nuova Storia di Tolomeo Efestione.

Z O S I M O C O N T E

Ltsax vi ni SToaiz.

Fu conte ed avvocato del Fisco; e com*era C*9& seguace delPempia religione dei Pagani, in parec­chi luoghi spesso latra contro gli uomini pii. D ’altronde è breve, chiaro e puro nella sua dicitura; né é senza grazia di stile. Incominciando la sua storia, direi quasi, da Augusto, e parlando di tutti gl* imperatori sino a Diocleziano, poco piò d’essi fa che una semplice nomenclatura, e 1* indicazione dell* ordine con cui si succedettero. Piò largo è parlando di quelli che vennero dopo Diocleziano ; e quaoto ad essi appartiene è da lui trattato nei cinque libri susseguenti il primo, in cui appunto parla di quanti precedettero Diocleziano. 11 sesto termina coi tempi, in cui Alarico assediò la se* cooda volto Roma3 e se ne ritirò ridotti gli abi*

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» 3 8 CLtSSZ PRIMA,tanti di quella città al Tal luna miseria, e dato lo ro ad imperadore Aitalo che poscia levò di trono, com e uomo» il quale gli parve mal goveroare lo Stato che gli avea dato; e lo mandò ad Onorio *ugu- sto. il quale allora risedeva in Ravenna, onde ^ e - goziasse uo trattato, di cui si era già fatta fpe.r- tura. Asaro , (o Savo) . goto anch'egli, che avea mali umori verso Alarico, unitosi eoo treceolo nomini, ai quali comandava, al partito $*Onoriot a questo imperatore prometteva lega nella: guerra, e impedì ad Alqrioo, di mandare ad effetto i dise­gni che meditava. Con ciò Zosimo dà fine al sesto libro dalle Sue storie.

Dirà poi qualcheduno ch'egli non iscrisse una storia sua propria, ma che compilò quella di Eu* napiOf ia ciò solamente differente, si per ia bre* vità che tiene, sì per noo ingiuriare, come fa l’al­tro, Stilicone* Ma uel ri mane υ te si cou forma ad Eunapio uel dir male de*pii imperatori. Io peoso poi che anche Zosimo, al pari d 'Eunapio* facesse due edizioni delfu sua opera, benché pur non m*abbìa veduta la prima ; e fu eougetturo dal ve* dere questa intitolata editione nuova. Ma Zosimo è piano, e piò breve di Eunapio, siccome disti £ e di rado assai usa modi figurati.

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C L A S S E S E C O N D A

r o m a n z i e r i

A C H I L L E T A Z I O

usai vm D iu s avventure ai l z u c i p p z

a 01 CLiToroNTt»

- È questa opera drammatica, esponente certi C- 87 amori intempestivi. Achille Tazio mostrasi scrit­tore eccellente sì nella dicitura come nella compo« aizioue . pieno esseodo di perspicuità , e bene usando all* uopo j traslati. Coti souo ben piantati e chiari i suoi periodi, e sommamente dilettevoli, cou certa consonanza lusingando fu orecchie. Ma oscenissime e troppo impure.sono fu cose che ri­ferisce , dalle piò serie traeudo tali sensi 9 che obbliga chi volesse leggerlo ad abbandonarlo con abbomioio. Eccettuati poi i nomi delfu persone e quella sua detestabile oscenità, uelt’apparato e nei racconti molto si assomiglia al dramma di Eiio· doro (1).

(1) Veggasi questo più avanti.

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CtASSZ SECOKSA ,

ANTONIO DIOGENE

DCLIK cosa INCBEDIBIU tPZLt'lSOL* TULZ ,

ItlBBI XXIV·

• Quest* opera è scrìtta drammaticamente , e fu dizione n* è così chiara , cosi pura , che non v* è a desiderare perspicuità. Diletto assaissimo poi reca col giro che dà alle sue narrazioni; e quando è a raccontar favole , ed apre funanzi al Ieggitor suo una selva di ragguagli incredibili, lo fa con tal garbo e rende così verisimili fu cose che dice, che nulla più.

Egli introduce a parlare un certo Dima , come la storia richiedeva, insieme con suo figlio D & mocare. Profughi entrambi dal loro paese , iti pel Ponto , al Mar-Caspio e Ircano , di II andarono ai monti chiamati Rifei. Aveano prima vedute le bocche del T ao ai, e stretti dai grandi rigori del freddo, voltisi all’oceano scitico, e di là oU’orien- tale » giunsero alle parti del sol levaste ; sicché , fatto uua specie di circolo, girarono intorno al mare esterno per lungo tempo e con varj divaga- menti. In questi trovarono compagni Carmane, Menisco ed Attili, e finalmente si trassero allusola T u ie , come luogo di riposo. In quell*isola Dima* fece pratfua con certa Dercillide , donna di razta tiriotta e d* illustre famiglia , la quale stava colà con un suo fratello di nome Manùma. Con ver- sando dunque Dinia con essolei , udì le loro ro­manzesche vicende e i mali che loro avea csgin-

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lO M IK Z IZ ftl . l 4 lnati uo certo Paastio, ( i) sacerdote egiziano. Per le devastazioni che fu sua patria avea sofferte, costui erasi rifuggito a Tiro , ed avea trovato ospitale asilo presso i genitori di Mantinia e Der· cillide. Da principio costui erasi dimostrato grato a tutti del beoe che oe riceveva, ina poi avea fi­nito con far la rovina di tutto fu famiglia. Der- cillide racconta come col fratello, dopo quel disa­stro, fosse condotta a Rodi , e di là per errore trasportata in Creta , poi al paese dei Tirreni , e di nuovo ritornato indietro, andasse ai popoli detti Cim m eri, presso i quali le accadde di vedere F fuferoo , e d* imparare a coooscere molte cose cbe sooo presso i medesimi, sotto il magistero di Mirto , sua antica accompagnatrice , la quale era già morta tempo iuuaozi, e morta istruiva la sua padrona.

Queste cose incorxtiueia Dirti a a oarrare ad un Certo Cimba , arcade di nazione , che gli Arcadi aveano maadato ambasciadore a Tiro , invitando esso Dinia a recarsi alla patria, cbe era appunto l’Arcadia. Ma poiché Γ età decrepita gl* impediva ornai il viaggio , qui si fìnge che racconti .tanto fu cose che negli errori suoi avea vedute egli me­desimo, quanto quelle che udito avea vedute da altri, e specialmente fu raccontategli da Dercillideio T u ie ; e specialmente come ritornata essa dal­l’ inferno, e 3 se adosi già separata dal fratello , fosse

(O In progresso di questo articolo Fozio non fu nomina piò Paastio* ma Paapi; di che non saprebbe*» indovinare la ragione, lo continuerò a nominarlo Paa- aio , bastando che siati notata la variazione.

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l4? C LASSE StCOKDA,cou CerHìo ed Àstreo pervenuta al sepolcro delfu Sirena; e quanto essa da Àstreo avea ioteso intorno a Pitagora e Mnc$arco\ e quaoto avea Àstreo udito da Ftiotidei e quanto concerneva uno spettro ed una visione affatto favolosa che riguardava i suoi fratelli. A queste cose aggiungeti ciò che Dercit- Itde, ritornando a’ suoi errori, raccontò ancora, come in Ibetia capitò in una città i di cui abitanti di ootte vedevano, e di giorno erano ciechi, e le cose che ivi Àstreo , à forza di suonare la tibia , fece ai nemici di quella città , sicché poi dagli abitanti della medesima furono beoignameote con­gedati ; come passarono a*Celti , gente immaoe e stolida, da cui con Pajuto di cavalli scamparono ; e qui nuove maraviglie accennava . prodotte dal cambiar di colore che i loro cavalli facevano. Dì là penetrarono nel paese degli Aquilani , presso i quali assaissimi onori ottennero DerciUide e Ct- rit/o, e piò ancora Àstreo, il quale eoo ingraodire ed impiccolire i suoi occhi, mostrava le varie fasi della luna; e che inoltre giunse a far cessale i contrasti nati fra due re del paese, contendenti tra loro del priocipato , i quali in conformità di tati fasi della luna succedevano a vicenda oel co­mando, E per siffatte cose Àstreo si rendette caro e ben accetto a quel popolo.

Dima racconta piire che Dercillide vide e sof­fri moke altre cose , e singolarmente che giunse presso gli Artabri ( i) , ove faono guerra fu donne, e gli uomini badano alfu faccende domestiche e si

ii) Questi erano abitanti presso H Capo ora chia­mato di Finititrra.

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tOMÀKZ l l M . * 4 5

occupano delle cose donnesche. E parimente dice quanto presso gli Asturi a lei e a Cerato accadde, e quanto iu sua specialità accadde ad Àstreo ; e come contro ogni speranza scampati essendo Ce­ri/fu e Derciìlide dai molti pericoli dei quali presso gli Asturi furono minacciati , Ceri Ho però non iscampò dalla pena che per un*<antica sua malva­gità avea meritata; perciocché* sebbene inaspetta­tamente fosse rimasto salvo dai mali che allora gli sovrastavano , fini poi scarnificai” . DerclUide riferisce ancora ciò eh* essa vide scorrendo per l'Italia e fu Sicilia; come in Elice, città delia Si­cilia , fu presa e condotta innanzi a Senisidemo , cbe allor* comaudava ai Leoatiai , ove s*iocoutiò di bel nuovo ia quello scelleratissimo Paastio * vivente presso Sentsiderno; ed inaspettatamente, a conforto de* suoi guai, trovò Mantinia , suo fra­tello, il quale, balzato dalla fortuna da uoo in altro luogo , ebbe a raccontare alla sorella mille v a r i e ed Ì H c r e d i b i l i cose d*uomini e d’ altri v i­venti , e del sole , dtdla luna , e delle piante , e d’ ìsole vedute *, con che prestò copiosa materia di favole, che Dina di poi ordinatamente vien uai- rando all* arcade Cimba.

Aggiuoge poscia come Mantinia e Dercitìide, tolta a Paastio la bisaccia co* suoi libri e eoa una cassettina di erbe, dalla città de* Leontini passarono a Reggio , e di là a Metopooto , ove raggiunti da Àstreo, seppero da lui come Paastio gl’ inseguiva; per lo che essi andarono con Àstreo nella T racia , e poscia recandoti egli presso i Massfigeti al suo compagno Zamolxi, gli sodarono dietro. E qui è detto quello che Àstreo iu quel

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> 4 4 CLASSE S ECONDA ,

viaggio v ide, e come s* iocootrò io 2jtimolxi, fin d* allora venerato presso i Geli cqme un Dio ; e quello che Dercillide e Maniini a vollero che Àstreo domandasse per essi ; e come ebbero dall* oracolo essere destioato dal cielo eh*essi aodassero nel­l’ isola di Tuie, e dovere poi io fìue ritoruare alfu patria , ma prim$ avere a passare per molte tri- bolaziooi , e specialmente «a pagare la pena della furo empietà verso i genitori, quantunque li aves­sero abbandooati contro furo voglia ; e la pena dovea consistere in vivere e morire alteroativa- meute, cioè vivrebbero la notte, e nel giorno sa­rebbero morti. Dinia riferisce come, avuto questo vaticinio, partirono di là , lasciato aveudo Àstreo con Zamolxi in somma venerazione presso i Geli; ed espone quauto , cammin facendo verso Borea , di maraviglioso e videro ed udirooo. Queste cose, che Dlnia avea io tese da Dercillide in Tuie, egli segue ora a raccontare a Cimba.

Ma Paastio , inseguendo Dercillide * giunse in Tuie auch’e g li , e eoo 1’ arte sua magica fece che alternativamente morissero, meutre poi sull* im­brunir della sera toroavano iu vita ; il che ope­rava egli col solo sputare ad essi in faccia pub­blicamente. Ma un eerto Tuscanos nativo di Tuie, amoroso di Dercillide, vedendola per le male arti di Pausilo soggetta a sì grave incomodo, tanto dolore ue concepì, ch e , assaltando improvvisa­mente colui, Γ ammazzò a colpi di spada. Questo Ìu il fìue de’ mali di que9 Tiriotti. Ma Tuscano , vedendo Dercillide giacersi come morta, si am­massò di propria maoou

Tutte queste ed altre cose simili, come la furo

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XOMAHZlZRt* l 4 5

Sepoltura e il loro ritorno dalla tomba , gli amori di Mantinia f e quauto per questi accadde loro, e molto altre particolarità della stessa specie , che Dinia avea udite neU'isola di Tuie da Dercillide, vieo qui raccontando a Cimba ; e qui finisce il veotesimoterzo libro delPopeia di Antonio Diogene* intitolata Delle cose incredibili di Tuie, della quale isola quasi niente , o poco si parla.

Nel ventosimoquarto libro s'induce Aiuti a rac­contare le avventure sue, che Dinia poi aggiunge riferendole a Cimba. Ivi narrasi come Azuli co­nobbe la natura de* prestigi , de*quali Paastio si serviva a danno di Dercillide e di Mantinia , fa* cendo che di notte si vedessero v iv i , e morti di giorno ; e come ne li liberò , imparandone il se-» greto dal libro che era nella bisaccia di colui , portatagli via da Mantinia e da Dercillide. Nè in quel libro trovò egli soltanto il secreto di questo, ma il modo aneora di liberare i furo genitori , che Paastio teneva io tramorti mento. Nel quale stato, per violeuto comando di Paastio , come cosa di loro grave danuo , eglino medesimi i furo due figliuoli li aveano gettati da lungo tempo. Di poi s* aggiunge che que*due giovani rifornaronsl alfu patria per richiamare a vita e sanità i loro genitori.

Frattanto Dinia, ius ieme con Carmane e M i niseo, divisosi da essi. A zu li, andò oltre T u ie ; e qui si pene a raccontare a Cimba le incredibili' cose cbeio questi suoi nuovi errori egli vide , dicendo di avere osservato quelle cose che gli studiosi degli astri sogliono insegnare. Cioè potere alcuni abi­tare sotto il polo artico, e trovarsi ivi la notte di

Fozio, Voi. l i . jo

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1 4 β c l a s s e s e c o n d a ,uo mese , ed altra ora più breve ed ora più lunga, fìno a comprenderne sei , e durare anche un anno. Non la notte sola poi tanto prolungarsi* ma il giorno p u re , il quale colà corrisponde proporzionatamente alle notti. Queste ed altre si­mili cose annunzia , ed avervi trovali uomini e cose parecchie che nessun mortale né vide mai , nè udì, né fìgurossi mai in sua mente. Ma quello che sopra lutto è superiore ad ogui credenza , si è che, andati verso Borea , ed avvicinatisi alfu funa la videro essere una purissima terra, ed ivi poterono scorgere cose che solamente può scor­gere chi s< strana favola immagina. Né qui fini­sce , chè racconta ancora da Carmane fu Sibilla avere imparata l'arte del vaticinare * ed ognuno poi aver veduto i voli e le preci sue , e tulli i suoi desiderj traili a compimento, sicché, sve­gliatosi dal sonno, Dinia dice essersi trovalo nel tempio d'Èrcole in Tiro , e ricongiunto a Dercil- Ude e a Mantinia, che ivi erano anch’essi; e come tanto altre belle cose, anche questa intervenne, che i genitori di que’ due giovani furono felice­mente richiamali da quel letargo, o piuttosto da quella morte in cui erano assorti , e nel rima­nente vissero vita per ogni verso beala.

Tulle queste favole Dinia narrò a Cimba , e messe fuori alcune tavolette di cipresso, volle che le scrivesse Erasinide, ateniese , compagno di Cimba , e sapulo iu lettore. Fece poi loro cono­scere Dercillide , la quale era quella cbe sommi- ttislrò le tavolette accennale, ed iocaricò Cimba λ fare della storia sua due esemplari, uno de*quali riterrebbesi egli medesimo que\YErasinide^ e Tal-

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« ο μ α κ ζ ι ζ ε ι . * 4 ?tro Dercillide riporrebbe* chiuso io una cassetta, sei sepolcro di lui ('Dinia J quando fosse morto.

Or questo Antonio Diogene, il quale induce Dinia a raccontare a Cimba · tante favole prodi­giose , dice a jFaustino scrivere le Cose incredi­bili che erano oltre Tuie , e le dedica a sua so­sella Isidora , donna dilettaòtesi di lettere. Si professa egli poi poeta delfu commedia antica ed aggiunge che quantunque abbia fìnte tutte questo cose false ed incredibili, di esse però tiene testi­moni antichissimi , dagli scritti de* quali egli fu ha con assai fatica raccolte e compilate. Perciò in ciascheduno di questi suoi libri nomioa gli autori che dianzi le 'aveano messe in iscritto onde veggasi che anche le cose iocredibili hanoo il furo autorevole appoggio.

La lettera a sua sorella Isidora sta in principio delPopera, nella quale, meotre por dedica t'opera alla medesima, introduce uu certo Seiagro a seri* vere a sua moglie, di nome Fila, figliuola di An- tipatro ; e fa che raccooti come nel tempo che Alessandro. re de* Macedoni , prese Tiro e quella città fu data alle fiamme , un soldato preseotossi ad Alessandro, diceodogli aver egli a partecipar­gli cosa straoa e non immagioabile, eTquesta de» goa veramente d* esser veduta , e trovarsi fuori della città. Laonde Alessandro, presi seco Efestione e Parmentone, segueodo il soldato, si trasse a certi sepolcri di pietra sotterrauei , sopra uuo dei quali era Piscriziooe : l i s i l l a v i s s e x x x i AWKij so­pra un altro era: m s u s o k e f i g l i o ni m à n t i x i a v i s s e

s i tk x l x v i t .poi l x x i j sopra un altro leggevasi ;

AEiSTIOITS FIGLIO 01 F1L0CLZ VISSE ΛΥΗ1 XLYUi F01 U l j

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<4 8 c l a s s e s s c o i r s t ,

m i q u a r to p o rtava scritto: m autiN ia p i g l i o n» Μ N A ­

SONE VlSSS ANNI XLlI B NOTTI LX £ tDCCj UU quiutOS

ZPCBClLLlDZ FIGLIA IH MNASONB VISSE XXX lX ANNI »

r x x i d c c n o t t i ; il sesto : n iN iA à r c a d e v i s s e

a n n i c a XXV· Mentre tutti erano maravigliali di queste iscrizioni , fuor che della prima, che nulla avea di singolare ed era chiarissima , s' imbatte­rono a vedere nella parete uoa cassetta di cipresso, avente per iscrizione! Forestiere* qualunque tu sia% a p ri* ed apprendi di che stupire. Fu duuque dai c ompagni di Alessandro aperta la cassetta , e vi si trovarono fu tavolette di cipresso che , come è manifesto, Dercillide* secondo gli ordini di Dinia* v'avea riposte. Così l'autore introduce Beiagro a scrivere alla moglie nel tempo che le trasmetteva uoa copia''di quelle tavolette. £ quindi poi s’apre l’adito a riportarne il tenore , che è appunto quauto accennammo essersi da Dinia raccontato a Cimba. *— Tale si è adunque, ed iu tal modo è c omposta la finzione di cotesto Antonio Diogene*

£ pare cbe egli sia stalo il primo di quelli che diletlaronsi di siffatto genere di scritture, come sono Luciano* Lucio , Jamblico , Achille Tazio % Eliodoro e Damaselo ; perciocché è facile com­prendere cbe delle Narrazioni vere di Luciano* e delle Trasformazioni di Lucio, quest'opera di cui abbiamo parlato é il fonte primo e la naturale radice. Anzi vedesi apertamente che quanto fu scritto di Simonide e Rodane * di Leuctppe e C/i-lo fo n te , di Cariclea e Teagene* e de'furo fìnti fatti , errori, amori , rapimenti e pericoli * tutti sono ideati sull*esempio di Dercillide * di Ceritlo, di Ti use ano , di Dinia,

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ItOMAWZlZRI. i { g

In che tempo poi questo atttor favofuso , Anto- nio Diogene , vivesse, non posso accertatamente affermarlo. Congetturo però che non fìoriss* egli molto tempo dopo Alessandro il Grande. Egli fa menzione di certo Antifone, piò aulico di lui , il quale dice avere scritto cose delfu stesso genere. Da questi però e da altri racconti simili può trarsi, per due rispetti , oon mediocre vantaggio. Primieramente quindi s* impara cbe chi commise alcuna ingiusta azione , sebbene assai spesso veg- gasi sfuggirne il castigo , infìue però meritamente fu incontra. In secondo luogo si vede che quan* tuoque molti innocenti sieno talora prossimi a roina , pure spessissimo oltre ogoi speranza ri­mangano salvi (i).

<i) Fozio prudentemente trae da questi romanzi una conclusione morate. Ma io avrei detiderato che fosse penetrato piò addentro ne* secreti che possono nascondersi sotto il velo di questi favoleggiamenti anti­chi. Non vi potrebbero essere tradizioni antichissime di veriU che col tempo si smarrirono perchè da chi non ne intendeva la sostanza mascherato eoa aggiunte assurde e capricciose? Non vi potrebbero essere sottili ironie di opinioni sostenute dai tanti ciarlatani che I Greci ζ da noi creduti a si buon mercato illuminati e sapienti) chiamarono sì spesso filosofiì Molte cose po­trebbero esservi sulle quali infingardamente noi pas­siamo come colui che sulla terra che calca non vede che ciottoli e cattiva erba , intanto che a due palmi sotto s’ asconde un tesoro. È poi curiosa cosa veder Fozio darsi tanta pena nell’ estratto di questo libro, quando il veggiamo andare ristrettissimo sopra molti di grave argomento.

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> 5 o c l a s s i s e co * dà ,

ELIODORO

n z L t z cosa ζ τ ι ο ρ κ η ζ , l i b r i x .

Questa aoch* essa è uo'opera drammatica, scritta col fraseggiamento che coovieoe a tale materia. Molta semplicità vi s'incontra, e molta giocondità, senza affettasione Verona. È la uarràzfune con­giunta con affetti destati dalle cose in parto pre­senti , in parte sperate o non isperate, facendosi spessissimo saltar fuori in mezzo alle calamità la salvezza cootro ogni aspettazione. Anche le parole che vi si adoperano , sono significanti e pure, fu quali, se di tratto iu tratto declinano a seoso fi­gurato, non perciò sooo esse meno chiare, nò meno evidentemente presentano le idee propostesi dalFautore. Auche i periodi souo proporzionati alla materia esposta, veggendovisi e brevi e strin­gati. Io fine la cpmposizione, siccome tutte le al­tre cose, é ben adattata alle uarrazione, uella quale si riferisce l'amor di un uomo e di una donna; ma tale cbe vi si vede desiderio di castità, e cura di custodirla.

Diedero all'autore l'argomento di questo dramma Teagene e Caricìea% casti e pudici amorosi, i quali vagarono balzati qua e là ; e piò volte caduti schiavi sempre serbaronsi la fede conjugale. D'essi adunque si racconta quanto patirono, e quanto ope­rarono. Eccone il compendio.

Ad.una festa degli Ateniesi, nella *quale Cari· idea era la sacerdotessa , Teagene si metto uella gara del corso· Al vedersi i due giovani vice»-

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r o m a n z i e r i . t 5 ì

devolmente s’ innamorarono ; e Cariclea, così punta nel cuore, non a suo malgrado viene rapila dalla casa di Caricle, riputato suo padre. Teagene Ò quegli che cou Pajuto di Catasiride l’ ha rapito. Navigarono a Zi acinto ed ivi approdarono. Il ca­pitano della oave s* innamora di Cariclea■; e Ce- las iride fa una fìnta promessa di matrimonio. Viene Cariclea accolta ospitalmente sài lido da un pescatore, il quale dà avviso che uti certo Tra­chinio, capo di ladroni, medila di rapirla. Qttiùdi Calasi ride e Cariclea preodooo fu fuga 3 il Trachi­nio gl* insegue , preda la oave, su cui eraoof s'in­namora di .Cariclea, e questa fìnge di volerlo spo­sare. Querele di Teagene che si dichiara fratello, e di Cala siride che si fa credere padre 1 entrambi i . quali ottengono 1* intento. Alzasi intanto grave tempesta di mare; schivano il naufragio, e appro­dano a certa spiaggia di Egitto. Il Trachinio però ritorna al pensiero delfu nozze. Calasiride , fìnto padre, gli promette l'assenso, e fu inganna al m o. mento cb*era già pronto il convito nuziale» Vieti fuori un altro amoroso, di nome -Peloride f a cui dà eccitamento Calasiride $ e gran contrasto nasce tra questo Peloride e il Trachinio sopra Cariclea. Quindi si viene alle titani, e succede una graude strage fra que* ladroni, aizzala da Cariclea mede­sima. Ma essa fa gran pianto sopra Teagene > ri­masto ferito. I nostri amanti s* imbattono *n altri ladroui che colpiti dall* aspetto =di Cariclea la ra­piscono insieme con Teagenet e li conducono'a Ttami. Costui era il capo de* ladroni Bucoli^ che cosi chiamavaust coloro che dominavano nel* risola. Anche costui s* innamora di Cariclea, a

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sfcontx,Teagene si dice fratello di lei. Si assalta i B ti- poli, succede un zuffa , e si fa strage di coloro* Ffiggono Tiam i, Ermuli , Cnemone e Teagene. Cariclea futaoto è condotta in una caverna per sua sicurezta, alla bocca della quale giacendo morta Tisbe* Teagene cbe la crede Cariclea è preso da immenso dolore » da cui poscia il trae la voce di Cariclea che dal fondo della caverna fu chiamava. Pensieri fatti sulla morte di Tisbe* e gran pianto per essi di Ermuti. Andata di Cnemone e di Er~ muti } e fatti di Cariclea e di Teagene. Cnemone separatosi da Ermuii va incontro a Calasiride ; e si raccontano a vicenda le loro avveoture. Cnemone parla molto di Tisbe, e delfu madrigna Dernenete* deU'esiglio a voti dati coi cocci , e d’altre cose funeste; Calasiride parla di Cariclea di Cariclea, e di Teagene \ e piangono insieme sulle loro dis­grazie. Cnemone iofìne dà la lieta nuova che 7Va- gene e Cariclea sono vivi, e che anch’egli è stato eoo essi nelle mani di Tiami. Nausicle poi in casa del quale Calasiride alloggiava, presente Cariclea sotto il nome di Tisbe : cosa che mette io .per­turbazione Cnemone che sapeva Tisbe essere già morta. Ma poscia vedendo Cariclea si dà all’alle­grezza. Ricerche di Teagene, nozse di Cnemone e di Nausiclea\ e viaggio di Calasiride con Ca~ ricleas e come ritrovino Teagene. Incontro di una vecchia, la quale piangeva il figlio morto in guerra, e oe consultava il cadavero con magie e super­stizioni, presenti Calasiride e Cariclea. La vecchia eoo terribili riti interroga di nuovo il cadavere per sapere se uo altro suo figliuolo fosse vivo; e il «norto grida male alfu madre per fu vfulenaa, e

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r o m a n z i e r i . i 53P arti illecite che usava ; e le predice che l'altro figliuolo sarò ucciso aoch’e g li , ma prima morrà essa medesima per avere fatta ingiuria al morto. Morte consecutiva della vecchia, avvenuta per un troncone d'asta.

Tiami e Teagene con la banda rimasta de* la­droni andava a Menfì, città d'Egitto, per riven­dicare il sacerdotio che occupato ne avea Petotiri, fratello minore di Tiami. Gran tumulto si eccita per questo nella città; Àrsace che ivi era, ordina che si soprasseda da ogni guerreggiamento, e che i due fratelli decidano in duello tra loro, e sia il sacerdozio di chi rimarrò vittorioso, i due fratelli si battono, con mala voglia di Petosiri, come poco pratico del Panneggia re, quando all'opposto Tiami n'era peritissimo. Costui adunque obbliga Petositi a voltare le spalle, e a sottrarsi dal combattimento gittate vie fu armi- Tiami oon di meno fu insegue, e fanno più volte correndo il giro all'intorno delfu città. Teagene va dietro a Tiami9 di cui, vedutolo, s* iooamora Arsace, moglie di Oroondate. Soprag* giungono Calasiride e Cariclea \ e Calasiride ve* duto cbe eraoo per amazzarsi i suoi figli, tali es­sendo Tiami e Petosiris corre, grida, e a stento può impedire la strage, poiché que*giovani appena conoscevano il lor genitore. Cariclea ivi s'imbatte in Teagene \ i due fratelli depoogono fu armi; il padre conferisce a Tiami il sacerdozio, e poscia muore.

Ecco intanto che Àrsace insidia Teagene e Ca- riclea. Essa ha a* suoi servigi iu tutto prontissima Cihele, sua sorella ; questa chiama entrambi ia casa é* Àrsace t amor furioso di fui per Teagene

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l 5 4 CLASSt S E COITO A ,

macchinazioni inique che usa , e lusinghe, e se­duzioni d'ogni genere. Aggiunge il maligno pen­siero di dare a Cariclea un nappo avvelenato ; Cariclea si salva; e Ctbele si ammazza. Tormenti e miserie di Teagene e di Cariclea per quel­l’amore di Àrsace. Cariclea viene coudannata ad essere abbruciata ; ma Pantarbe eoa l'ajuto di una pietra estingue il fuoco. Così pel momento Cari· riclea scampò dal supplizio. Furibonda Arsace macchina fu morte di Cariclea nel di susseguente· Oroondate, marito di Arsace, manda l'eunuco Ba- goa, onde prendere seco di notte que* due giova­netti. Così era stato comandato dopo che il figlio di Cibelet deluso dalla speranza di sposare Cari· eleai avea significato al suo padrone quanto A r­sace era* disposta a fare.

Una irruzione* improvvisa di Etiopi succede intanto, i quali rapiscono Teagene e Carichat e qui narrasi come entrambi furono condotti ad Idaspe* re degli Etiopi, e come Teagene fu de­stinato per vittima al Dìo Sole, e Carielea alfu Luna. Giuochi e sacrifìzj si fanno, alle quali cose intervengono e Sisimitro* capo de'Gimnosofìsti con la turba de'suoi, e Pesina , moglie del re. Ca* riclea domanda di potersi difendere alla presenza del re Idaspe. La causa si tratta in fatti, e per sentenza di Sisirnitro, corroborata da testimoni che rimanevano , vieti dichiarato che Cariclea è figlia d'Idaspe e di Pesina· Noo per questo però Idaspe rimane persuaso, e si dispone a sacrificare i due giovani alle fuggi e ai costumi del pnese. Ma vi si oppone il popolo. Di questo maniera Cariclea é mandata via libera, e tutti godono di

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BOMATfZlERI, l 5 S

questa sua avventura. Se oou che in altro guai cade, perchè si vuole s a c r i f i c a t o Teagene che giò bello e legato si conduce vittima all’ara. Molte preci si fanno, e da molti al r e , ma egli è fermo i» non voler liberare Teagene, e lasciarlo ir salvo. Cariclea per trovar pietà fa a sua madre i l

racconto di tutte te avventure occorse a sé e a Teagene : Teagene intanto abbatte un fiero toro* eoo esso gagliardamente combattendo , il che dò gran piacere al popolo. Di piò venuto a prova con uu Etiope che pareva uo gigante, vince que* sto i e la vittoria gli merita gli applausi del po­polo. Ma ad onta di tali sue bravure, inghirlan­dato vien condotto all’ara , onde cadervi a* piedi Vittima. Caride intanto da Ateoe capitato colà, e trovandosi spettatore di quanto si è esposto, si fa innanzi al re, e chiede che gli sia data la fanciulla, da lui creduta sua figlia. Promette il re di dar* gliela, se la trovasse. Ma Càride oon la trovava t ben mise egli le mani addosso a Teagene, gri­dando questi essere colui quegli che gli avea ra­pita la figlia in Atene. Finisce la cosa col dichia­rarsi salvo Teagene, e sentenziando Sisimtlro che d'allor* io poi nessun uomo fosse sacrificato ; il che mise io grande allegrezza tutti; e che Tea■» gene e Cariclea^ dopo taote avventore sofferto, e tanti pericoli incontrati si sposassero. Quindi avendo essfe dalla madre, Teagene dal suocero ot­tenuti gli ouori del sacerdozio, e celebrati i sacri riti, festosamente si uniscono io conjugal nodo.

Eliodoro che scrisse questa storia , fu figli uolo di un Teodosio, fenicio di uazione , e di patria am>deuoj e dicesi che in appresso fosse fatto vescovo.

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c l a s s i s s c o k b a .

J A MB L I C O (i)

usai xvi

OELItZ a v v e n t u r e d i s o d a k z X DI s i n On i d z *

È questa ua'acione fìnta , rappresentante amori* Ma quantunque fautore sia più onesto di Achille TVzsio, viene scoprendo i secreti de* furti assai più

sfacciatamente di quelfu che faccia Eliodoro fe­nicio. Tutti e tre questi scrittori si prefìssero ar­gomenti* d'amore. Eliodoro però si comporta con più gravitò e decenza: minor decenza usa questo

(t) Chi fosse questo Jamblico sembra poterai argo­mentare da una memoria che lo «Scotto trovò in anti­chi codici greci, riportata però anonima. Difesi adun­que in essa che questo Jamblico nacque di genitori sirj, e indigeni di razza. Che fu educato nella lingua e ne*costumi di quel paese, finché un Babilonese, che prese poi cura di Ιοί , Io istruì nella lingua e ne1 co­stumi dì Babilonia, e gP insegnò , e fu fece esercitare nella rettorìcs, supponendosi che Popera delta qnale qui si fa menzione, fosse una de1 lavori fu quegli eser- ciij. Quel Babilonese cadde schiavo nel tempo della spedizione di Trajano a quelle parti , e fu venduto ad un Siro assai colto, il quale era stato nella sua pa* tri a uno de1 secretar) regi. Jamblico poi, cbe sapea già la lìngua siriaca e la babilonese, imparò anche la grecai ed ebbe non ‘mediocre nome tra i retori. Da eìò fu Scotto conchiude che questo Jamblico deve essere di­verso da quello che fu discepolo di Porfirio, e fami­liare dell1 imperadore Giuliano, il quale fu sìro an­ch’egli , autore fra le altre cose di una Vita di Pitagora.

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SOMAVZlEAt.Jamblico, e queir^c/t///e poi che io otto libri narrò gli amori di Leucippe e CUtofonte , noo ò che scrittore osceno e loverecoudo ; la cui dicitura é scorrente e ttiolle ; e quaoto io essa può trovarsi di plausibile, uoo dà fermezza e vigore al discorso, ma tutta è rivolta a certo titillamento , dirò così, a lascivia. Jamblico , io quaoto spetta alla eccel­lenza delle parole e della composizioue > e alPor- dine de* racconti, meritava d* avere impiegato il suo ingegno e Parte sua retorica ooo in questi ar­gomenti di leggerezta e di finzione, ma beusì ia cose più serie-

Sinonide e Rodane sono adunque i personaggi del dramma. Ambedue belli di persona , e come per matrimooìo congiunti, così ancora innamorati ì*uo l'altro. Garmo , re di Babilonia , perduta fu moglie, e preso d'amore per Sinonide , disegnava di farla sua sposa ; e come Sinonìde vi si ricu­sava , essa vìeo legato con una catena d*oro, e Rodane dovea essere appeso ad una croce, dato essendone Pordine a Dama, e a Saca , eunuchi del re. Ma per I* ingegno di Sinonide liberato, egli scampa dalla croce , essa dalle nozze. Saca e Dama per questa fuga hanno tagliate le orec- cliie e il naso ; e spediti ad inseguire i fugia- schi, essi si divisero in due brigate; e raancù poco che Rodane oon fosse preso da Dama in uft certo prato, ov* erasi rifuggito. Un pescatore avea indicati certi pastori che potevano averne traccia, i quali messi a* tormenti infìtte furono costretti ad indicare quel prato, in cui Rodane aveva tro­vato detPoro, additatogli da una iscrizione di una colonna, presso cui slava .uu teoae»

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i 5 3 c l a s s e s e c o n d a ,Sinonide avea iucominciato ivi ad am^re la fi*

gura di uo irco; e questa fu la cagione per fu quale Rodane partì di quel prato. Dama intento avendo ivi trovata la corona di Sinonide, la recòio conforto a Garmo. I due amanti scappati di là a* imbatterono in una vecchia che abitava entro no tugurio; ed ivi trovata uaa caverna che an­dava sotterra per trenta stadj, e il cui ingresso era coperto di densi cespugli, vi si nascosero. Dama sopraggiunto cercò de* profughi : la vecchia negò d*averti veduti ; ma vedendosi minacciata dalla spada di Dama perdette animo*

Vengono dunque presi i cavalli che servito aveano a Rodane ed a Sinonide ; una schiera di armati circondò il luogo ove questi erao nascosti· Essendo per avventura caduto sulla parte supe­riore della caverna ad uno di quelli che giravano intorno, lo scudo di metallo che portava, si senti rimbombarne l'eco al di dentro; indizio che colà fosse gente nascosta ; onde presto si scavò d* in­torno per giungere al vóto,* e Dama si mise a chiamare da ogni parte, tanto che quelli ch’erano dentro udirono, e ritiraronsi più a deutro, finché giuusero alleai tra apertura che la caverna avea.

Intanto i soldati che scavarono il terreno, fu­rono soprappresi da uno sciame immenso di api che si gittarono loro addosso, mentre il melo scorreva fin dove erano i fuggiaschi. Quelle api, e quel mele, per essersi di questo fatto pasto i ser­penti, erano infetti : onde di coloro che scavando la fossa dalle api rimasero punti , parte furono mal conci , parte anche morirono. Rodane e fu compagua» stretti dalla fame, aveano aneli*essi gu-

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ΒΟΜΑΪΤΖΙΕΛί, lJ)gstato qualche poco di quel mele avvelenato ; onda poiché l'ebbero in corpo , seutironsi dolori di morte. Le truppe che stavano scavando presso fu caverna, non potendo resistere alla furia delle api rabbiose dovettero voltar le spalle; ma però con­tinuarono ad inseguir Rodane ; e come videro stesi a terra que* che cercavano, passarono oltre ripu­tandoli cadaveri. In quella caverna Sinonide s*avea tagliati i capegli, per trar acqua con essi: i quali trovati da Dama, furono da fui inandati a Garrno per segno che presto i fuggiaschi sarebbero rag­giunti. Quella gente armata adutique* veduti sulla strada giacere come morti Rodane e Sinonide, si accostò ad essi, e secondo 1* uso del paese alcuni gettarono loro sopra vestimenti onde coprirli, altrio carni , o pane , secondo che veniva loro, alle mani; e poi se o*audò. Ma noo per anco que'due per quel mele il dì innanzi gustato potevano sve~ gliarsi , uè il fecero che in grazia delfu strepito che venoero facendo accorsi in torme i corvi al­l’odore di quelle carni. Allora essi presero una strada ^diversa da quella che presa aveano i soldati, cer­cando di non essere couosciuli per quelli che ve­nivano cercati ; e trovati di poi due asinelli, impu­tarono sopra essi, caricandoli iuoltre delle cose che seco aveano; ed erano quelli che i soldati aveano lasciati loro credendoli morti. Di là si trassero ad uu alloggiamento, da cni passarono ad uu altro, ove intanto accadde che essendo seguita la morte violenta di un giovane, accusati essi dal fi atollo di quelfu come re i , furono imprigionati. Era stato il maggiore de* fratelli che avea fatto mo­rire di yeleno il minore , e data poi la colpa a

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i6o clami sscoira* ,que* forestieri ; ma essendosi dopo ammazzato d i propria mano , venne a liberarli da ogni imputo* sione. Rodanet senza saperlo, di là portò seco del veleoo. Iodi poi capitarono in casa di uo ladrone cbe assassinava i viandanti, e poi ue mangiava fu carni. Furouo colà mandati da Dama soldati , i quali dopo aver preso quel ladroae, misero il fuoco alla casa di colui; dal qual fuoco con gran fatica poterono scappare i due giovani, spingendo a forza i due asiuelli attraverso della gente morta e delle iantine. Veduti pertanto di notte dai sol­dati che aveano dato fuoco alla casa, e interrogati dell*esser furo, dissero essere ombre di quelli cbe il ladrone avea scaooati; di che que* soldati r i­masero persuasi veduto il pallor macilento de’ loro volti, e udita la fìevol voce; cose che li riempi­rono anche di terrore. Scappando di là, si avven­nero oel convoglio di gente cbe portava una fan­ciulla al sepolcro, e meschiaronsi a quella turba. Ma intanto un vecchio mago cbe trovavasi vicino, vietò che quella fanciulla si seppellisse, dicendo che aoco* respirava ed era viva, come il latto il comprovò. Egli vaticinò anche a Rodane, pre­dicendogli che sarebbe uo giorno re. Sì lasciò dunque vdto il sepolcro della fanciulla, abban­donato ivi quaoto di vestimenti erasi recato da abbruciare, e cib i, e bevande, delle quali coso lautamente ebbero modo di trattarsi Rodane, e fu compagna; i quali toltisi aucora di que’ vestimeuli, pensarono di passar ivi fu notte e dormirvi. Ma que* soldati che aveano messo il fuoco alfu casa del ladrone, veuuto gfuruo, ed accortisi d'esseie stati ingannati, sudarono dietro a Rodane e a

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BOMàKZlEftl. t 6 tSinonide, reputandoli compagni del ladrone. Laonde iti a quel sepolcro per gl* indi*) che n*ebbero, poiché li videro ivi giacenti, e non muoversi , essendo sepolti nel sonno e nel vino , credettero di veder de* cadaveri ; né li toccarono, esitando d'accostarvisi. Patti di lì Rodane* e passò il fìume della cui acqoa dolce e lirapida usava il re di Babilonia ; e mentre ivi veodè i vestiti di «Siso- nide* fu preso come avesse rubato a un sepolcro, e venne condotto a Soreco, figlio di Soreco pub­blicano , soprannominato il Giusto » il quale ve­dendo la giovane di singolare bellezza , pensò di mandarla al re Garmo* Per Io che Rodane e Si* nonidc diedero mano al veleno de* fratelli che Ro­dane s*era acco l to d*aver seco; entrambi risoluti di morire, piuttosto che veder Garmo. Intanto noa ancella riferisce a Soreco il pensiere di Rodano e di Sinonide} e Soreco occultamente caccia via quel mortifero farmaco ed empie in vece il nappo di uua bevanda sonnifera, presa la quale entrambi furono messi sopra un carro, ond*essere condotti al re· Cainmiu facendo Rodane svegliato chiama e sveglia Sinonide \ ed ella a un tratto si dà un colpo di spada nel petto. Soreco incomi ocia a in­terrogarli de*fatti loro; e giurato il secreto udì quanto si riguardava ; e li lasciò liberi, ed ansi mostrò loro in un* isola vicina il tempio di Vè­nere , ove Sinonide poteva essere guarito dalla ferita fattasi#

L ’autore qui fa una digressione narrando di quel tempio, e di quell* isola formata dalle acque dell*Eufrate e del T igri; e come ivi il sacerdote di Venere avea avuti tre fìgli , Eufrate, Tigri e

to f-o , Voi. U. η

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1 $ 2 c l a s s e s e c o n d a ,

Mesopotamia i questa essere stata bruttissima, e da Venere trasmutato io sì bella doooa che era nato lite fra tre suoi amanti , i quali aveano ri* messo il giudicare chi di loro dovesse averla, ad nn certo Boroco, o Bortchio , il piò sapiente dei giudici del suo tempo. Aggiunge che questi tre dissero lutti le loro ragioni· Uno avea avuto da Mesopotamia il nappo, con cui essa era solito b ere: ad uoo avea tolta di testa la ghirlanda, e se l*avea posta in sua testa; al terzo avea dato un bacio. £ quantuoque poi quest* ultimo riportato avesse il giudizio favorevole, il contrasto durò ancora, a taoto cbe venuti alfu mani si ammazza­rono» Parlando poi del tempio, l’aulore racconta essere stato necessario che fu matrone, fu quali andavano co là , esponessero, pubblicamente cosa fognando nei dormire ivi elle avessero veduto : prendendo quindi occasione di parlare di Farnaco, di Farsiride* e di Tanaide , d*onde viene anche il fìume Tanai ; e narrando come i misterj di Ve­nere presso gli abitatori de* contorni del Tanai , sono quelli di questa Tanaide e di Farsiride ; e come nella detto isola fu estinto Tigri soffocato da un bottone di rose, essendosi posto sotto vasi di rose , le cui foglie non si erano per anco svi­luppate. La madre di lu i, dopo vatj incantesimi usati, erasi poi persuasa che Ttgri fosse divenuto un semideo.

Ed a proposito Jamblico qui annovera diverse specie di magia * e dice esservi il mago delle lo- «uste, quello de* leoni, quello de*sorci, e la magia de*sorci riputarsi la prima di tutte; e similmente «sserri il mago della grandine , il mago de’ aer*

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r o m a n z ie r i. i 63peuti e quello de'morti, e il ventriloquo, che, se- coodo ch*ei dice, vieo chiamalo Euriclea dai Greci, e Saccura dai Babilonesi.

Questo scrittore si fa babilonese, e'dice d*avere imparato la magìa del paese suo, e d*avervi ag­giunte le discipline de*Grecia d’essere fiorito si tempi di Soemo% figlio di Achemenide, e nipote di Arsace: il quale essendo re oriondo da re, con tutto ciò era stato creato senatore dì Roma ed anche consoiot e indi un*altra volta re delPArmenia maggiore. Afferma perciò essere stato al tempo che regnava io Roma 1* imperadore Af . Aurelio Antonino \ e dice che quando questi mandò Vero% imperatore aucb'esso, ed insieme f rateilo e genero, a far la guerra a Vologeso, re de* Parti, egli pre­disse e cbe sarebbe succeduta quella guerra , e quando si sarebbe venuto a giornata : aggiungendo poscia che Vologeso sconfitto fuggì oltre 1* Eufrate e il Tigri, e che il paese de* Parti divenne di do­minazione de* Romani.

Tigri ed Eufrate , fìgli aoli di quel sacerdote , erano similissimi tra loro; e Rodane nelle fattezze li raffigurava entrambi* Passato Rodane con Sino* nide nell* isola, tosto cbe la madre dell*estioto Tigri lo vide, gridò che suo figliuolo era risuscitato, ed ordinò alla figlia che gli andasse dietro . Rodane dissimulò il fatto, ridendosi della semplicità degl'iso­lani. Intanto Dama avea saputo quanto era seguito a Rodane·) e cesa avea fatto rispetto a lui Soreco'9 e il delatore di queste cose era stato uu medico,a cui Soreco avea raccomandata la cura di Sinonide. Fu adunque fatto imprigionare Soreco » e mandato al re. Mei tempo stesso Gama spedi con sua lettera

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i 64 η ι τ κ SECOHDi ,quel delatore al sacerdote di Feneret ordioaodogli che avesse ad ni restare Sinonide. II medico per passare il fìume, onde approdare all* isola Sacra, si attaccò* siccome é l'uso, al camello, e pose la lettera che recava* all’orecchio destro del giumento. Ma fu onde del fìume sommersero colui, e il ca­mello approdò all* isola, dove Rodane, tolta dall'o- recchia del medesimo la lettera, apprese il peri­colo nuovo, da cui era minacciato ; e quindi en­trambi si diedero alla fuga. Nel cammino che presero, vennero ad incontrarti con Soreco, il quale era condotto al re*, e presero lutti alloggio oel medesimo luogo t ivi Rodane la notte, corrompendo con promessa di danaro le genti che potè, giunse a far uccidere le guardie di Soreco : il che seguito, egli, Sinonide e Soreco fuggirono^ trovando Soreco buona ricompensa alla beneficenza dianzi da lui usata· Dama nel frattempo mette le mani addosso al sacerdote di Venere * e gii domanda conto di Sinonide. La conclusione del processo fu fu condanna di quel vecchio , a cui fu imposto che di sacerdote diveuisse carnefice. Quindi mentre Eufrate si mise ad insegnargli cosa il carnefice deve saper fare » egli padre e sacerdote , prende £cc*

fra te per Rodane , a cagione della grande simi* glianza $ e lo chiama per tale. Allora Eufrate si dà alla fuga insieme con la sorella - Mesopotamia. Accade poi che Eufrate vien condotto dinanzi a Saca* e interrogato intorno a Sinonide, giacché anche da Saca ritenevasi per Rodane, e si esami­nava da lui come tale. Per lo che costui mandò a dire a Garrno qualmente Ìiodane era stato preso; e presto sarebbe presa anche Sinonide· A ciò oltre

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ItOM AWZIEST. j 6 5

la somiglianza contribuito avea E n fiati , rispon­dendo, come se fosse stato Rodane veramente che Sinonide , meotr* egli veniva preso , era fug­gita; il che diceva, obbligato a chiamare Sinonide sua sorella Mesopotamia.

In questo mentre Rodane , Sinonide e Soreco , volti in fuga, andarono a ricettarsi nel tugurio di nn villano , il quale avea una figlia assai bella che di recente era rimasta vedova , e che aveva tagliati i capegli pel lutto del morto marito. A fui diedero essi da vendere un pezzo della ca* tena d’oro che Rodane e Sinonide aveano recata seco fìn da quando erano stati prigione per ordine del re. Ma quando la figlia del villano si presentò a ll*orefìce per venderne quel pezzo, l'orefice veduta fu bella fìgura delta giovane, quel pezzo di catena ch*ei conobbe per quella ch’ei medesimo avea fatta, e i capelli tosati, sospettò subito che la giovane fosse fu stessa Sinonide4 onde mandò ad informare Dama\ e presi alcuni seco si pose ad osservare nascostamente ov’essa partendo si recasse. Ma questa del disegno di colui sospettando, andò iu casa deserta, ove era seguito quanto narravasi di certa donzella chia­mata Trofima e di un servo amoroso ed omicida ( e degli aurei ornamenti di donna ; e gli atroci fatti di quel servo, che si diede poi la morte da sé stesso; e come la figliuola del contadino, tutta aspersa di sangue, e percossa da paura fuggì, spa­ventata, e poserei in fuga anche le guardie. Di là poi trattasi a casa raccontò al padre Poccorso* cosi che Rodane prese la fuga. Avea intanto Pore- lice scritto anche al re Garmo d’avere scoperta Sinonide $ e io prova gli. avea mandato il pezzo

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di catena da lui comprata , gli altri contrassegni aggiugoeodo, pe'quali avea creduto di vedere nella figlia del villano Sinonide. Rodane nel partire da quel tugurio avea voluto dare uo bacio 8 quelfu villanella. Di cbe Sinonide prese ira veementis­sima , prima sospettando della cosa a qualche in­dizio; poi confermatasi in crederla certa, tergendo dalle labbra di fui il sangue cbe nel baciare fu giovane gli era rimasto attaccato. Volle perciò furibonda ammazzarla ; e tornò indietro verso di fui. Soreco che non avea potuto calmare la rabbia, fu andò dietro. Arrivarono intanto in casa di un assai ricco uomo, ed assai scostumato cbe chiama- vasi Setaboy il quale innamoratosi di Sinonide* Ten­deva sollecitando^ ed essa fìngendo di corrispondervi, di notte, e ai primi amplessi, essendo ebbrio, lo ammazzò con un pugnale, indi fattasi aprire fu casa, lasciando ivi Soreco ignaro di tutto, si pose in via verso la figliuola del villano. Ma accortosi Soreco della sua partenza, le andò dietro, e con- dusse seco alcuni servi di Setabo, pagati da lui perché lo abitassero nel salvar che voleva la vita a quella giovane. Avendo adunque raggiunta Si* nonidei Ì& pose sopra una carretta, dianzi dispo~ sta, e ritornò indietro con essa. Ma uel mentre cbe così davano tutti di volta, gli altri servi d i Setabot i quali si erano accorti della uccisione d i l u i , corsero furibondi, e presa Sinonide9 e bea legata, fu condussero a Garmoi come rea d'assas­sinio e degna di morte. Garrno cbe dalle lettere di Saca avea inteso essere giò preso Rodane, e da quelle delPorefìce essere scoperto Sinonide » preso da indicibih allegrezza, era andato a sacri-

v€ 6 cl a s s e i i c o w d a ,

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BOMtXZUftl. 1 6 7

fi care agli Dei , e preparavasi alle nozze tanto bramate. Avea di piò per mezzo di banditore pubblicato uo editto, con cui ordinava ebe tutti i carcerati fossero messi in libertà* Iu virtù adunque di questo editto, Sinonide, che dai servi di Selabo veniva legata, fu disciolta , e mandata libera· DÌ più Garmo ordinò che Dama fosse ucciso, e fu consegnato a quelfu stesso che di sacerdote egli medesimo avea voluto fare carnefice. Era Garmo fortemente sdegnato che Rodane» com’ egli credeva, e Sinonide, fossero stati arrestati da tutt’altrì che da luì. A Dama poi succedette nelle cariche cbe avea , Monaso , suo fratello.

Qui l’autore passa a dire di Berenice, figlia del re d’Egitto, e del grande e ìneoaarrabile amor suo, e come Mesopotamia gìuguesse a parlare e dfu ventare familiare di lei. Quindi, presa da Suca Mesopotamia, insieme con suo fratello Eufrate., vien condotta a Garmo, il quale, per fu lettera dell’ orefice fatto certo che Sinonide era fuggita , diede ordine che quegli fosse ammazzato, e che tutti Ì soldati spediti a custodirla e a condurla a luì fossero sepolti vivi insieme con fu furo mogli e figli. lutooto il cane di Rodane , a cui era po­sto il nome d*Ircano , trovalo fu quell’ abbomine- vol luogo il corpo della infelice giovane e quelfu elei disperato suo amante, sicario e servo , questo da prima si divorò, Ìndi a poco a poco si mise a rodere fu viscere della gfuvane quando il padre stesso di Sinonide capitò a quel sito» Riconosciuto eh* ebbe questi il cane di Rodane , e le reliqufu della giovane veggeodo, ammazzò quel caue in vendetta dì Sinotudc, poi s* impiccò , data pritoa

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sepoltura ai resti della giovane, e col sangue de! cane scrittovi: Qui giace fu bella Sinonide. Capi­tarono ivi per avventura Soreco e Rodane, e ve­duto sol sepolcro ucciso il cane , e il padre di Sinonide pender da un laccio, e letta infine l’epi­grafe, Rodane da prima si ferì, e col suo sangue aggiunse al l’ iscrizione: e il bel Rodane ; e Soreco mise la testa nel laccio. Stava Rodane per darsi P ultimo colpo , quand* ecco la figlia del villano correre gridando : No, non è cosi, o Rodane,* non è Sinonide che giace qui. £ senza porre indugio taglia il laccio di Soreco e leva la spada di mano a Rodane. Quindi narrando i casi della giovane infelice e dell* oro scavato, a prendere il quale essa era venuta, a stento ancora trova fede presso entrambi.

Intanto Sinonide9 sciolta dalle catene, corse alla essa del villano » tuttavia agitata dal furore della vendetta « e nou trovandola, ne dimandò conto al padre. Egli le additò per che verso era andata , ed ella si mise dietro i passi di lei col ferro alla mano. E quando poi la raggiunse, e la vide sola sedente , e Rodane a lei prosteso, mentr' essa fu rinfrescava la ferita del petto * essendo andato Soreco a chiamare un medico , presa vie piò da furor geloso , scagliossi sulla giovane ; e fu gran cosa che Rodane , richiamate le sue forze , pel sangue cbe spargeva già indebolite , potesse lei sviare e levarle il ferro di mano. Allora sempre più i nviperita, ballando fuori della casa, e forsennata correndo v ia , queste sole parole gli disse t Oggi a tuo dispetto sarò sposa di Garmo. Ritornato «Soreco» e udito il fatto, eousolò Rodane, e cura-

»68 CLASSE β*COHOA ,

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BOKfftirzizfci. i6 gtane la ferita, rimandarono eoa danaro la giovane doona a suo padre.

Io questo meutre Eufrate veniva condotto a Garmo come se fosse Rodane , e Afesp potami a in vece di S'nonide. Egli, veduto che Mesopotamia non era la vera Sinonide , la consegnò a Zobara perché le tagliasse la testa sol fiume Eufrate, onde , di ss’ egli , nessun* altra ad esempio dì fui prendesse il nome di Sinonule. Zobara però, con­cepito amore di lei, la salvò, e a Berenice, che , morto il padre, era fatta regina d'Egitto , da coi egli era stato in addietro condotto via, la menò ; e Berenice la fece sposa di lai. Per la qual cosa Berenice e Garmo si minacciarono vicendevolmente di guerra. Eufrate fu mandato a suo padre come a carnefice, da cui riconosciuto fu salvo; e cosi potò fare gli offìcj di genitore , nè contaminarsi del sangue di alcun uomo. T>i poi, uscito di carcere come se fosse stato la figlia del carnefice , fu li­bero. Ivi ancora parlasi della coocubioa del car­nefice, e delle leggi e de* costumi di fui , e come fu figlia del villano, dopo che Sinonide, fatta sposa del re di Siria, trovò modo di saziare Tira sua, fu rapita per forza , e condannata a giacersi col carnefice. Entrata uel luogo de*carnefici, si giac* que con Eufrate, il quale, fingendosi lei, per essà da quel luogo esce * ed ella a vicende fa Γ offìzio di littore io vece di Eufrate. Così sederono le cose.

Soreco fu condannato ad essere appeso in croce, e venne scelto per luogo del supplizio il prato in coi Rodane e Sinonide da prima s'eraoo fermati ; nel qual sito io addietro Rodane avea trovato il

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\ηθ CLASSE SECOITDA,

tesoro , che ora anche indicava a Soreco mentre era condotto al patibofu. Accadde che allora st trovasse ivi accampato l’esercito degli Alani, preso a9 suoi stipendi da Garmo , e non pagnto; per fu cbe era sdegnato col re, e movea intenzioni ostili· Quell* esercito , cacciati per forza coloro che con* dacevano Soreco » lo salvò ; ed e g li , ritrovato il tito in cui gli si era indicato il tesoro ; e eoa ceri* arte ed astuzia fatto trar fuori quanto v’ era di prezioso * diede a intendere a quegli Alani di essere stato e di questa e d’altre cose istruito da­gli Dei. A poco a poco con fu sue buone maniere s e temperò in tal guisa fu nativa fierezza, che fu fecero loro re, e eoa essi fece guerra a Garmo e ne vinse f esercito. Ma queste cose avvennero al­quanto più tardi.

Nel tempo in cui Soreco veniva condotto a l patibolo, Garitta, esultante di gioja, inghirlandato e danzante, faceva appendere Rodano alla croce , già prima destinatagli. Se non che nel mentre che più impazzava di tripudio ballando intorno a quella croce al suono di una turba di donne, in mezzo alle q uali solazzavasi, gli si ricapitarono fu lettere di Saca 9 nelle quali gli veniva data fu nuova cbe Sinonide si era fatta sposa col re di Siria » prin­cipe ancora giovane.

Di quelfu neova Rodane* appeso alla croce, for­temente si esilarò, e Garmo io vece era per am­mazzarsi. Pur si ristette; e subitamente fece fuv&r dalla croce Rodane9 che avrebbe voluto piuttosto morirvi; lo lasciò libero , ed anzi lo decorò d’ia- aegne militari, e fu creò suo generale nella guerra che stava per muovere al re di S ir ia , couside-

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KOMAWZIEEI· rrando che , come rivale , Rodane P avrebbe con~' dotta cou tutto Γ impegno. Con questi lusinghieri modi, ma falso in cuore, Garmo fu trattò, poiché di nascosto scrisse a’ capitani subalterni , che re* stando 1*esercito suo vittorioso, prendessero viva Sinonide ed uccidessero Rodane. Questi vinse fu guerra, ricuperò la sua Sinonide* e regnò sui Ba­b ilonesi ; cosa presagitagli anche coi lieti auspicj di uoa rondinella sugli occhi stessi di Garmo ; i mperciocché accadde che mentre quel re fu man* dava alfu commessagli spedizione, un’aquila e uno sparviero inseguivano quella rondinella , e quan­tunque essa scappasse dagli artigli dell9 aquila, fu però rapita dalfu sparviere· — Questo é il fìne dei X V ! libri*

L U C I O P A T R E N S E

m e t a m o r f o s i .

Si sono fette le Varie narrazioni delle tras/or- C. iap inazioni dì Lucio patrense. Chiara o’è la dizione» pura, di dilettevole dolcezza, aliena da ogni inno» vaziooe ne* modi del d ire , e comprende racconti si straordiaarj, cbe con tutta ragione puoi dirfu un secondo Luciano. £ per certo i due primi li* bri sono così scritti da Lucio, che pajono tolti dat libro di Luciano intitolato II Lucio , o L'Asino ; se non fìa per avventura che dai libri d’esso Lu­cio quel suo non abbia tolto Luciano* Anzi si può congetturare , giacché finora non ho potuto conoscere quale dei due scrittori abbia preceduto 1’altro) tutta l’apparenza sia che piuttosto Luciano

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χη* cl a s s e s e c o n d a , ro m an z ie r i .sia quegli che ha copiato P altro , in quanto L a ­dano , t rova to avendo i libri di Ludo piò copio­samente sc r ì t t i , ne abbia risecate le cose non pa- rutegli adattate al suo scopo, e con fu stesse parole e frasi abbia poi le altre cose acconciato alla sua narrazione, e così furtivamente compilato il libro intitolato II Ludo , o L'Àsina. Sono poi i libri di eotrambì pieni di favolose finzioni e di nefande turpitudini, con questa sola differenza cbe Luciano, come gli altri suoi sc r i t t i , così p u r que­sto fa servire al d ilegg io del Colto superstizioso degli Dei de* G entili, e Lucio p re n d e le cose su l serio , e dà per fatti certi le trasformazioni , sia degli uomini in altri uomini, sia dt animali pr iv i di ragione in uomini , e di uomini iu animali^ e le inezie delle antiche favole, ed ogni stolta cosa simile ha insieme unito e messe in iscrittura.

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STORICI E BIOGRAFI ECCLESIASTICI

CLASSE TERZA

À N O N I M 0

POLIZIA De’sS. PADRI MZTROrANK ED ALESSANDRO,II? Coi TRATTASI nZLLA VITA DS COSTANTINO IMPERADORE.

I j e s s i il libro intitolato : Politia de* SS. Padri C. a56 nostri Metrofane ed Alessandro , in cui anche la Fila di Costantino imperadore serve di non mi­nore utilità.

Nell* anuo XIX del regno di Diocleziano » di Cristo il 3o5, una grave persecuzioue di nuovo ti alzò contro i Cristiani; nel qual tempo Costantino, figliuolo di Cosiamo, uoo dei paggi di corto, non si era per anco da essa partito. Non so poi d'onde fu scrittore abbia tratto ciò che dice, che Costan- tino fu dal padre istruito ne* miste» j de9 Cristiani, e da fui proclamato Cesare; .e co1 propri occhi avere veduto il medesimo Costantino tra i paggi servire iu Palestina sotto Diocleziano, mentre que­sti facea la guerra agli £gÌ2j· Fu cagione della guerra una sedizione, che venne seguita da ribel­lione. L'autore riferisce che Costantino si rifuggì presso suo padre, aveudo scoperto che Massimiano gP insidiava la vita, e che dal padre moribondo fu dichiarato successore all' imperio. £ dicesi che io quelfu occasione il pio Costanzo pronunciasse

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i 74 classk t e r z i ,

qaeste parole: Ora la morte m*è grata pilt della pila, poiché Vimperio tuo, o figliuolo mio, sarà i l mio sepolcro. C5W to’ e tv ò più felice riposo* la - scianco in ferra un imperadore che potrà ascia · gare le lagrime de* Cristiani, ed arrestare le in i- que SU'agi che Massimiano non cessa di macchinari contro i medesimi* Durava la persecuzione da tre anni , quando Cosiamo cangiò \\ caduco regno con l*eterno; e dichiarando imperadore il figliuolo, fu lasciò predicatore di pietà e difensore dei Cristiani.

Morto di malattia Severo* regnò Licinio* marito di una sorella di Costantino, e Massimiano tenne la rimanente parte dell* Oriento. Alla parte occi- dentale del medesimo comandò M assenzio, fi* gliuolo del fratello di Massimiano.

Costantino , pio imperadore , avendo oditi gli otnicid), le crudeltà, gli stupri delfu vergini, i ratti delle mogli altrui e le violenze di cui quel malvagio Massenzio diletta vasi, e come per mezzo di legatiil senato lui avea proclamato vindicee protettore di Roma , si rivolse con lettere ad esortare quel ti* ranno ad astenersi da quelle inique azioni. Ma non giovando fu parole, ricorse a misure dt guerra^ e nel primo incontro delle armi poco mancò che non snccumbesse. Ma essendogli apparsa in cielo noa forma di croce, figurata con materia priva di luce, insieme con lettere, nelle quali dicendosi: la questo segno vincerai, gli veniva promessa fu vit­toria , io nuova battaglia , d* essa e del tiranno vincitore , diventò padrone delI*imperio. Prima di venire a giornata avéa fatto mettere nel suo sten­dardo quella forma di croce, ed ornata di gemme

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storici a BIOORA ri rcclrsiastici# 1^3 e d 'o ro , data l* avea da portare a chi cavalcava innanzi. Massenzio adunque dovette succumbere , cadendo in que* lacci che tesi avea per prendere Costantino ; imperciocché vicino al Ponte Milvio , nou lungi da Roma , un altro ponte avea fatto costruire con (ale artifizio, che quando Costantino avesse voluto forzarlo, dovea ruioare. Ma accadde che volti in fuga quelli ch'erano venuti da Roma, e nata nell* esercito di Massenzio grande trepida­zione, lo. stesso autor delPinganno, rottosi il falso ponte , insieme co* suoi precipitò nel fìume e ri­mase estinto· Perito Massenzio, la parte d’ impe* rfu ch'egli avea fu di Costantino, e i sudditi non solamente poterono respirare dai mali che pareano irrimediabili , ma lieti celebrarono quel giorno come la festa piò solenne. Licinio poi, il qual era Gentile di religione, inasprì contro i pii, da prima occultamente per paura del cognato, e di poi apertamente e con le anni} chè per lo piò quandoil male ò inveterato e di dentro nudrito, noo può starsi sempre nascosto, e finisce poi con fu scop* piare al di fuori. Per lo che quell* infame perse­cuzione centro i Cristiani mosse il pio imperadore a giusto odio verso Γ empio parente , e dall* odio nacque la guerra. Molte e varie battaglie segui­rono e per terra e per mare, nelle quali Ucinio ebbe il disotto; ina fidato nella benignità dell* ini* peradore si arrese ; e il fatto dimostrò che non avea pensato male} perciocché, quantunque avesse meritato gran castigo, fu dimesso libero, assegna­tegli per soggiorno Tessalonica , dove vivere · in tetta sicurezza. Ma Licinio , corrispondendo alfu «mattiti con fu armi, e pazza spente volendo ritor-

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t y 6 c l*ssz T c iz i «tiare alle s trsg i, suscitò una sedizione, fu qua le

per giusta veodetta gli fu cagione di perdere la vita.

Muore il santo martire Pietro , e nella dignità di Alessaudria a quel santo nomo fu successore A chilia , e ad ÀchiUa Alessandro. Liberata fu Chiesa dalle persecuzioni , ed illustrata dalla co­stanza de* martiri , la letizia della Chiesa fu con­tristata da A n o , che può dirsi essere stato un mal turbine ed uua tempesta procellosa del mondo; imperciocché costui prese a legare alle creature il Figliuolo di Dio , e a volere iu certo modo met­tere oell* ordine delle creature quel Dio delle cui mani ogni creatura è opera. £ come poi Alessan­dro , vescovo di Alessandria , nè con te ammoni* zioni , uè eoo le esortazioni potè guadagnarne 1* animo, poiché il seme della divina parola era stato oppresso dalla forza e quantità delle zizza­nie * con la spada della Chiesa fu divelse.

E allora accadde che Eusebio , noo contento della sede di Berito, e a quella aspirando di Ni­comedia, insuperbitosi per avere ottonata questa , prese a farsi difensore di Ario e de* s* l asci di costui , tra il cui numero erano, io addietro stati fatti vescovi, Secondo e Teona% e tra i diaconi ei sacerdoti Ario % capo della eresia, ed Achilìa e un* altro Ario , e alcuoi altri delfu medesima di­gnità e società, io uumerodi nove; e tutti questi da uo concilio di circa cento padri, tutti vescovi, unitisi dall*Egitto e dall*Africa, furono scomuni­cati. Udite di as&ai mal animo queste cose, Co* stantiiio spedì iu Alessandria O lio , di nome e di fatto uom santo, il quale ere vescovo di Cordova

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st o r ic i s b io g ra f i zcclksiASTICI. l yynella Spagna, e gli diede lettere, per l'arcivescovo Alessandro e per Ario , fonie della eresia, al primo insinuando che procedesse con Ario umanamente» ed al secondo ch e , deposto ogni rancore, si, ac­cordasse con la Chiesa *, e fu esortava inoltre ad astenersi cogli altri dalle dispute e dai contrasti , giacché a molti fu cagione di molti mali. Ma uon avendo 1* eretico Àrio abbandonato il <uo errore nè per la presenza e dottrina dell* illustre Ósio , né per le ammonizioni dell* imperadore, questi convocò in Nicea, città della Bitinia , un concilio di vescovi f in cui sedendo que* prelati , ed egli stando in piedi in mezzo a furo , non ad altra condizione dichiarò di condursi a sedere, se non quando così annuisse tutta quella congrega. Dife­se ro l’ eretica empietà di Ario Eusebio di Nico­media , Teo*omo di Nicea , Mari di Calcedonia ; e la causa della pietà Alessandro , prete di Co- stontiuopoli , il quale faceva le veci dell'arcive­scovo f perché S. Metrofane , giunto a decrepita età, per cagionevolezza non intervenne; ed a quel prete costantinopolitano si unirono Atanasio , ar­cidiacono della chiesa di Alessandria , e l'arcive­scovo di questa Alessandro. Intervennero anche al coocilio alcuni non ancora iuiziati agli ordini sacri, e nemmeno al battesimo , ma celebri nel­l'arte di ragionare , i quali certi vecchi, non con graude apparato di frasi , nè con pompa di ri* cercata eloquenza , ma con semplicità di parole e eon la ispirazione della divina grazia, dall' errore e dal gentilesimo, ed anche^dalla eresia di A rio , per la quale mostravansi ardentissimi , trassero all'ovile di Cristo. Eia a questo coocilio anche il

F o iio | FoU //. sa

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venerabile S. Pajhuzio , egizio di nazione e con· fessore della fede, a cui Massimiano , inimico d i Cristo f eavò l*occhio destro e tagliò i nervi del gomito del braccio sinistro , e poi fu mandò oi lavori delle miniere. Uomo era questi facitore di molte Opere soprannaturali e di miracoli, il qualeil piissimo imperadore con molta riverenza ouorò, nè potea saziarsi di baciare il luogo dell* occhio destro che gli era stato cavato. Eravi pur ancheil veoerabile Spiridtone9 del quale, tra mille cose jche potremmo riferire, noi accenneremo qualche­duna. Pascolò un tempo le sue pecore, quantunque fosse investito delfu dignità di vescovo. I ladroni assalirono il suo gregge , e costoro trovaroosi le­gati da vincoli non apparenti ed invisibili; ed ac* cogliendoli così legati, come con le preghiere a Dìo li avea legati, per ristesso modo ancora li disciolse \ oltre ciò diede loro un ariete in mer­cede del notturno patimento sofferto. Ebbe in casa una figlia vergine, la quale dopo aver ricevuto un deposito d'oro da ceri* uno, morì. Questi che in- frattanto era gito in lontano paese, ritornato, do­mandò il suo oro, e si mise a cercare se potesse indovinare il luogo ove la donzella io avesse ri* posto. Lo cercò pure per tutta la casa Spiridione, e noi trovarono. Onde- questi andò al sepolcro della figlia, e disse: Figtia mia , Irene ( così essa chiama vasi ) , ovf é il deposito? Ed essa risposo dal sepolcro , ed indicò il luogo ed ingegnò come ritrovarlo, il che avendo Spindtone fallo facil­mente , lo restituì. Ma tali cose narraudo, noi fucciam vedere il leone dall’ unghie.

Pertanto questi trecento e p iù , cosi radunati ,

c l a s s * t z r z a ,

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STORICI s B10G14F1 tCCLESlASTICl. l 'QArio e i suoi seguaci coudauoano di empietà , e dichiarano ad uoa voce cousustanxiale al Padre il Figliuolo. Diciassette di iiumero fuiouo quelli che rimasero attaccati aU'opluioue di Àrio9 ma uscito uu decreto dell’ imperadoie che li condauuava all* esi­gilo, rimasero beusi nella loro empietà, ma simu­lando di abbaudonare V errore e di accedere al ta sana dottrina, sebbene ciò non facessero con tiu* cerità , ma per pura ed astuta finzione ; e il capo d ’ essi fo Eusebio. Quindi tutte te chiese tespira­rono , liberate dai tumulti e dalle faziooi dianzi insorte ( ed Osto » vescovo di Cordova, co* suoi colleghi , recando seco quanto erasi fatto uel con­cilio 5 portò la pace agli Occidentali -, Atanasio, ardente di zelo , fece Io stesso cogli Hgizj e cogli Africaui ; ed Alessandro , quaotuuque vecchio , poiché era settuagenario, recò, com’era prescritto, I* annunzio della comunione e della pace dello chiese ai Traci ed agl’ lliitj, aveudo seco compa­gno di viaggio il beatissimo Paeìo% il quale allora esercitava 1* officio di lettore e sottoscrittore della chiesa Costantinopolitana , e che al tempo del conci/io avendo dodici anni, visse cou Alessandro. fila di ciò si pallerà iu appresso. Per ora diressi che prima si presentò al santissimo M ttrofane, ricreandolo con la sua presenza e col l i e to an­nunzio « ma nou ricreandolo per la prossima par­tenza da fui * che però coi più fausti voti lo li­cenziò per la missione della quale era incaricato. Andati poi Alessandro ed egli in Tracia , io Ma­cedonia, iu Tessaglia, per tutta l’Acaja, per ΓΕ1- lade e per le terre del continente » non ti accula­rono le isofu * e navtgaudo svelseio dalle radici

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i 8 o classe t e r z a ,tutta la zizzania , seminando ovunque il buonseme della dottrina evangelica e dei decreti delconcilio*

Finito entro un triennio e sei mesi il concilio , poiché era incominciato il di 15 d’ aprile , e ter­minato scorsi tre anni , e compiuti nello stesso mese d 'aprile, con di piò protratto sino al suc­cessivo settembre , secoudo che , descrivendone il dotto Alessandro gli a tti, notò ; finito , dicesi, il concilio, l’ imperadore stando io mezzo si SS. Pa­dri, domandò che gli si facesse una grazia, e beu volentieri eglino glieP accordarono. La grazia do­mandata era che tutti andassero seco lui a C o ­stantinopoli, in cui avrebbero veduto l’arcivescovo, che l ' imperadore chiamava suo padre e deside­rava ancora che eoo la loro presenza e con fu loro orazioni alla città, ch'egli avea fondata , des­sero il nuovo nome del suo fondatore. Andati i vescovi a visitare il chiarissimo ÌMetvofane, c be fu in giorno di domenica, e trovandovi^ presente l’ imperadore, tra fu altre cose disse: Io ti veggo, venerabilissimo padre , e per la vecchiezza e per la infermità ridotto agli estremi tuoi giorhi ; e chieggo che ci si crei e si nomini dopo di te un pastore del gregge. Metrofaney con lieto sembiante vólto all*imperadore s Io accooseuto nel Signore, diss’ egli , poiché ora lo Spirito Santo per bocca tua , fìgliuol mio , ha parlato. £ Dio , standomi assai pensieroso di questa cosa, sette giorni sono, mendicò che fra dieci morrommi , e che mi suc­cederà nella dignità Alessandro « meritevole in vero di tale elezioue e del suggerimento delfu Spirito Santo* Egli poi avrà suo successore, come

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storici a biografi ecclesiastici* i 8 i figlio, Paolo, lettore. Guardando quindi ad Àles- s andrò, vescovo di Alessandria : E tu , disse, ο fratello, avrai un successore egregio; e presa la inano ad Atanasio, arcidiacono: Eccoti, soggiunse,il valoroso soldato di Cristo. Questi ti seguirà; e non solo col mio fratello Alessandro ha combat­tuto contro l’eresia di Ario, ma con esso sosterrà ancora molti contrasti , e subirà molti guai ; nè sarà ciò soltanto per una seconda volta , ma do­vrà contendere auche la terza , insieme col valo­roso Paolo. Così disse , e come col suo spirito c reasse gli altri , venne coi vescovi al tempio , e dopo la lezione delTEvangelio parlando al popolo, dichiarò il sacerdote Alessandro per successor suo nella sede arcivescovile, e il popolo ad una voce, insieme con Timperadore, per alquante ore gridò: Egli n*é degno. Indi depose Γ umerale suo sulta mensa dell’altare, ordinando che fosse serbato pel suo successore , e predisse che sarebbe arrivato con molto dopo, cioè il giorno settimo dachè egli fosse morto. Tutto accadde come avea predetto ed ordinato. Egli morì nell* età di centodiciassette anoi, il giorno 4 di giugno.

Costanza, sorella del pio imperadore Costantino, fu quale era stata moglie dell* empio Licinio , es» sepdo per morire , disse al fratello : Ti domando una grazia che sarà l'ultima , richiama dall'esiglio A rio , falsamente accusato, il quale é già d’accordo col concilio. L'impegno di Costanza proveniva da questo , che un certo sacerdote ariano , il quale erasi insinuato da prima presso gli eunuchi di quella principessa , per opera de'quali avea tro­vato accesso a lei , con blande parole e con adu-

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| 8 ? CI.ASSE TCBZA ,

Uzioni 1* avea persuasa che per sola invidia Ario era staio scacciato , e che del resto sosteneva fu retta dottrina della Chiesa. Così riferendo essa al- Γ imperadore lo commosse a taoto , che immanti­nente scrisse affinché Ario fosse richiamato. Essa poi mise alle coste del fretellp un sacerdote, il quale , essendo, non meno adulatore che eretico, con sottile ingegno e con lusinghiere parole, pre­sto giunse s trattare liberamento coll’imperadore ; e tanto seppe dire di A rio , che gli dimostrò co ­lui avere retti sentimenti. Onde 1* imperadore gli risposet Se Arto conviene col concilio, io fu ve­drò volentieri, ed onoratolo grandemente lo resti~ tuirò alta chiesa di Alessandria. In conseguenza di che fu fece con lettere richiamare. Ario venne a Costantinopoli insieme coll'esecrando Eusebio* e henig-iamente entrambi furono dall* imperadore accolti ; e domandato furo di che sentimento fos-* sero» si udì rispondere uon altro sentimento avere essi cbe quello propalato dai trecentodiciotto S S. Padri. E di piò que* miserabili alla falsa loro di* esarazione aggiunsero il giuramento· L* impera­dore impose loro di dargli io iscritto la profes­sione di fede; ed essi prontamente scrissero le loro bugie, attestando cosi con fu scritto da essi e dai loro seguaci credersi quello che la lingua negava. Mutò adunque 1* imperadore il primo d e ­creto, giacché aveano confessata la pia verità; ed immantinente Ario e quelli eh* erano con esso lui onorevolmeote mandò in Alessandria. Ma Γ arci­vescovo di quella città, Alessandro* d'accordo con Atanasio t non ammise alla sua comuuioue l 'a p o , stata; ed Ario scoprì di bel nuovo la sua eresia ,

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STOGICI £ B’OGRAFI t CCL ESUSTICI. 1 $5e tarbò l ' E g i t t o ; sicché l'imperadore lo chiamò a sé, i n t e r r o g a n d o l o se rimanesse fermo nella di* chiarazione che in suo cospetto avea fatta, ed Ario francamente disse di sì, e lo giurò. Ma que­ste erano per parte di costui tutte finzioni e scene da teatro ; dicendosi che avendo occultamente scritto un libro pieno de* suoi empj errori, e por­tandolo nascosto sotto l'ascella, su quello, ponen­dosi la mano al petto « intendeva giurare , mentre pur proferiva la carta della pia dottrina che dianzi avea sottoscritto. Poco tempo dopo 1* impe­radore cangiò questa vita caduca nella immortale regnato avendo trentun anni, e vivutiue sessao- tacinque.

Trovandosi egli vicino alta morte avea conse­gnato ad un sacerdote eretico il suo testamento, incaricandolo di darlo a suo figlio Costantino, che con quello dichiarava successore della fortuna pa­terna e dell'imperio. Ma quel sacerdote noo ser­bando fede nè a D io , nè agli uomini, occulta­mente consegnò quel testamento a Costanzo che si fece tutto insieme traditore del padre, delta te­stamentaria volontà del medesimo, e della eredità dal figlio preferito. £ra gran maneggiatore di quella iniquità Tempio vescovo Eusebio* con alcuni suoi compagni, empj del pari, c uon degni di essere chiamati uomini. Ora quel sacerdote dando a Co- slam o it testamento affidatogli , in premio delia sua iufedelt? verso gli uomini, dimandò il sacri­fizio della vera fede, e a*suoi aggiuogendo gli otficj del suo complice , vescovo di Nicomedia , Eusebio* ottenne che la causa di A rio si trattasse iu Costantinopoli, e con iu Alessandria» credendo

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184 c la sse tzxza ,ehe più facilmente potesse viocersi nella capitale dell* imperio, ove non era Atanasio, ed onde l'au­torità dell* imperadore sarebbe stata piò efficac e , intrigando fortemeute per trai*re Alessandro, pa­triarca di Costantinopoli, a patti nocivi alla pura dottrina. E come non venivano a Capo dell* intento loro per quella v ia , produssero Pordirie dell’ im ­peradore pel quale veniva detto che o ricevesse Ario nella sua comunione, o rinunciasse alla sua sede; e non adattandosi a nessuna di queste con­dizioni sapesse che sarebbe mandato in esiglio. Persuasero poi a Cosiamo ch e , chiamato a sè Alessandro, se non si acconciasse alle proposte, fu minacciasse eziandio di ridurlo a stato servile, poiché tenevasi che non per zelo della pietà, ma per la memoria dei disgusti avuti, e per odio alfu persona à'A riot riputerebbesi ostinato nella resi­stenza. Il patriarca fidando nella virtù di Cristo, nella innocente sua vita , e nella sua coscieoza , rispose all*imperadore che il tempo farebbe v e ­dere la verità. Nè io , soggiunse , posso ammet­tere alla comunione de* venerandi mister] un uomo convinto di tante empietà , e giudicato già da tanti vescovi. A cui Costanzo rispose ; Bada adunque, o vescovo, che non sii poi obbligato ad ammetterlo a tuo mal grado; giacché un concilio di vescovi va ad essere convocato. Il patriarca allora s*alzò ed usci, recandosi alla chiesa di Dio, ove con gemiti e lagrime invocare Dio, pregando a oon permettere che con 1* ingresso di Ario il suo gregge venisse guastato. In questa orazione passò prostrato innanzi all'altare tutta la notte. Eusebio intanto, fervido settario della empietà, re-

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STORICI t BIOGRAFI z cc l e s t a s t t c t . i 85 catosi eoo una turba di eretici ad A no , fu stra­scinò al concilio, onde a dispello di Alessandro gli venisse restituito la dignità del sacerdozio in­giustamente levatagli. Gran tumulto nacque per questi moti ed una specie di sedizione per tutta la città, gli uni stando in favore di Àrio% gli altri non sofferenti che la verità rimanesse tradito. Piena era la chiesa di tante persone radunato e procedeva,coi suoi seguaoi Ario% il quale sceso da cavallo entrò nelle pubbliche latrine, eh*erano presso il Fóro di Costantino ; e mentre scaricava l'alvo, con gli escrementi gli uscirono gl'intestini, e con questi miseramente esalò P anima. £ come non vedeasi ricomparire, e s' ignorava 1* acca­duto , dìcesi che andasse verso lui Eusebio , e il querelasse di tanto ritardo , riprendendolo del torto che faceva a' suoi amici, e a basso e servile animo attribuendo quello starsi restio. £ più s'andò in ccllera non ndendosi che rispondesse, di quelfu che la tardanza a ricomparire avesse offeso. Laonde entrato a fui Eusebio gli disse che s'alzasse di buon animos aspettarsi φι tutto il concilio per assolverlo. Ma egli taceva ancora , e sarà il suo silenzio eterno. Finalmeute adunque quel disgra­ziato Eusebio vide ch'egli era morto; e così il coocilio si disciolse ; e quelli che stavano per condannare Alessandro attesitio, non piò pensando alt'empio scrutinio, a cui erano preparati, e ve­dendo il caporione degli eretici sprofondato vivo alP inferno, furono presi da gran dolore. Ma non durò molto la vergogna, di cbe per quel divino fatto eraoo rimasti co nfusi f cbè poco dopo coq- vocarooo uu nuovo coociliabolo , cercando di ri*

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iS6 classi terza »ferire la vendetta di Dio contro Ario ad un fatto comune nella condizione degli uomini. Vero è però che se guardi al tempo, io cui egli tentava d* invadere la chiesa di Dio , crederai essere r i­masto estinto noo per morte naturale» ma per gastigo espresso di Dio· Coloro però giunsero a persuadere a Costanzo che Ario avea pagato alla natura il debito tributo, e non subita la pena della divina vendetta. Cosi q u e l miserabile' per fu pre­ghiere di Alessandro vergognosamente fìnì ·* ed al contrario Alessandro poco dopo piamente e san- tameute consegui il domicilio celeste per quelfu di quaggiù. Avea tenuto l'episcopato ventitré anni, e n’avea d'età novaototto.

La stona , da cui abbiamo tratte q>ieste cose noo é assolutamele né ben composta, nè ornata di elocuzione e di seoleuze; ma nemmeno poi essa é affatto bassa e negletta. Se. poi contiene cose contrarie a quanto altri narrano, il notarlo e giudicarne é officio d’altri, oon di chi si propone uo semplice transunto e compeudio.

ANONIMO

MARTIRIO DI SETTK R*G\ZZt.

C, 253 Lessi il martirio di setto ragazzi , i cui nomi sooo Massimiliano, Jamblico, Mari imo , Dionigi Esacustudiano , Antonino e Giovanni, del quale ecco il sunto. Questi, patrizj di nascita, e cjguiti di seguire e di estendere fu religione ciisiiana , condotti dinanzi a Dccio, che col disprezzo d i Dio governava da tiraono Γ imperio romano ,

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cbiarameuto confessarono il colto che tenevano.'É come perchè Γ imperadore villeggiava altrove, tro­varono sicuro scampo, andarono a rifuggirsi in una spelonca di uoa montagna prossima ad Efeso, ed uno di essi, che dicesi essere stato Jamblico, avea cura di servirli nelle cose necessarie aUa vita. Poco dopo, udita la loro fuga, e saputo il luogo, io cui si erano riparati, e come viveano, Pimperadore ia furia , ordiuò che si turasse V ingresso di quella spelonca, onde morissero di fame. Trecentosettao· tadue anni dopo governando P imperio Teodosio, ed esseodo vescovo di Efeso Maro, per nuovo, ed iuusitato spettacolo comparvero que’ martiri egregi, ricuperata aveudo la v ita , a*quali accorrendo e Pimperadore, e quel vescovo (e Pimperadore che trovavasi assai lootooo di là , volle essere te^ti— monio anch’ egli di quel meraviglioso fatto ) e con essi molte altre persooe , tutti Tollero meritaroe le preci e la benedizione. L ’ imperadoie e il ve* scovo si assisero eoo essi, e venuti a ragiooemeoto vollero udire quaoto a que’ martiri era accaduto, e si certificarono di tutto. Io cospetto poi dell'im** peradore , e di quanti erano presenti , nella epe* lonca stessa, iu cui erano stati chiusi, tutti sette insieme passarono agli eterni riposi, onde a tutti si facesse manifesta la loro morte, e l ’antecedenfe loro vita, stata prima incognita. Fu nel trentesimo ottavo anno del regno di Teodosio cbe Dio volle mostrare al mondo questo graude miracolo j ed in quel tempo era un tale prodigio necessario.

Era vescovo degli Egei, e cosi nou fosse stato 1 un certo Teodoro, il quale, uoo so perchè, as· sorto nel fango della iucredulitòj vomitò proposi*

STO Ut c i z BIOGRAFI E C C L E S U S T JC T ,

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i 8 8 c l a s s e t e r s a ;

ziòni mal sonanti, negando la risurrezione de’ morti, ed-attirando molti de* suoi seguaci in quell’errore· Per questo miracolo divolgandosi in tutta la terra un chiaro attestato delta risurrezione , si coloro che tutti i gentili che rimanevano, parte ammu­tolirono confusi e vergognati, parte I* indussero a concepire certa e ferma speranza della risurrezione .

Come poi la spelonca di que* sette si aprisse , ecco. Àdofio, a cui apparteneva la montagna nella quale quella spelonca era scavata , ordinò "a* suoi servi di erigervi una stalla; e l’opera fu fatta in due giorni, e fabbricato un casolare, trasportando a questo effetto le pietre che tenevano chiusa la spelonca. Così venue questa ad essere aperta. Γ martiri cbe ivi giacevano , ritornati per ioaudito giudizio di Dio, in vita, mandano fuòri Jamblico che in addietro era stato solito a provvedere, e a recar loro i cibi necessarj. Jamblico , entrato io Efeso, viene arrestato a cagione delle monete che per le compre occorrenti profferiva, come persona cbe trovato avesse un tesoro; e cosi giunse a no­tizia di tutti il miracolo, e fu riguardato per cosa degna di ammirazione.

ANONIMO

XSTftATTI DALLA VITA Ol GZEOORlO

ΚΟΜΑΚΟ PONTEFICE.

. a5a Leggemmo gli estratti dalla vita di Gregorio, uomo a Dio carissimo , e come piamente governando la chiesa ronnma scrisse i quattro libri dei Dialoghi, assai utili alla condotta della vita.

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Questo sacto Gregoria, patrizio romano ,- ebbe S ilv ia per madre. Visse nella solitudine di S. A n­d rea apostolo , detta il Clivo di Scauro , poscia nella via delia santità aodò innanzi a tutti gli al· tr i, assai cose faceodo, necessarie ad uom pio, ed applicandosi congiuotameute al lavoro delle maui, e allo scrivere; ornandosi d'ogtii v irtù , e distin­g uendosi uel soccorrere a'poveri: uel c h e , come fu sua misericordia e clemenza in molti, modi ri­fulse $ spezialissimo documento ne prese a cono­scere Γ umanità sua, e Panimo limosi ni e re il fatto seguente *

Gli si presentò una volta cert' uomo, doman­dandogli carità, al che diceva ino?so per nau­fragio patito. Egli prontamente gli diede sei mo­nete d’oro. Poco appresso ritornò colui, dicendo non essere bastami quelle monete avute, conside· rata la grandezza della sua disgrasia, e chiese di più. Gregorio eoo eguale carità di prima gli diede altrettanto. Ma ritornò quegli anche la terza volta, e disse , e domandò come dianzi, uè Gregorio Io respinse * ma ordinò che il cassiere di cui si era servito, desse altrettanto. £ come fu cassa dou v'era più danaro, cercando diligentemente come a quel povero uomo potesse soccorrere, trovato una sco­della d’argento, con cui sua madre era solita a mandargli una minestra di legumi e che non l'era stata ritornata, quella fece dare al chieditore di ulterior soccorso. £ cosi allora andò la cosa.

Poscia per divin giudizio dal voto de* sacri pre­lati elevato al trono pontificale, volle secondo l’ uso de* patriarchi avere mensa seco fui dodici poveri, ed ordinò al suo limosfuiere che ti radunasse. 11

STORICI X B I OORAFI X O C L tS l ASTICI. i g g

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IQO CLASSE TtftZA,quale avendo eseguito l’ordine, quando tutti dodici furono seduti a tavola, visto avendone il pontefice uno di più assiso eoo que’ dodici, e sentitosi di ciò rimproverare di oon essersi, attenuto esatta­mente all'ordine avuto, negò d'avere ecceduto* ed enumerando i commensali oon ne vide che dodici. Ma aveudo & Gregorio veduto quel tredicesimo , ed osservato che non solo era dissimile nelt*aspotto agli a ltri, ma che di tratto io tratto compariva dissimile da sè stesso, capì non essere del nu­mero deg’i altri ; e tolte che furono fu mense lo chiamò a parte, e l'obbligò severamente a ma­nifestare chi fosse. Allora colui disse essere quel medesimo che in addietro tre volte nella stessa giornata gli area dimandato limosina , e tre volte Tavea ollenula , senza che il benefico uomo di lauta importunità si fosse tenuto oifeso. Il qual tuo misericoidioso tratto fu si caro a Dio, disse, che da quel giorno in poi, essendo tu, per dispo* sizione divina, assunto alfa somma polesta, di cbe sei investito, io ti sarò perpetuo custode della vita, e ti assisterò dirigendoti nelle tue azioni. 6 gli dichiarò per questo accennato officio chiamarsi angelo di Dio. Ciò udito il pontefice, gittatosi in gioocchione adorò Dio, e lo ringraziò. Quell'an· gelo poi sparì; ed invisibilmente custodi il beue- fico uomo.

Questo mirabile Gregorio scrisse io latino molti Utilissimi l ib r i , e con omelie spiegò al popolo gli evangetj; e compose inoltre le vite di q u e l l i c h e in Italia erano illustri, cou salutari racconti com- f onendole io q u a t t ro d ialoghi ·, e per cento sessaa- t anni della utilità di q u e s t 'o p e r a nou hanno par-

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STORICI S BIOGRAFI ICCtSSl ASTICI· ( g *

lecipato que* soli che ignoravano la lingua latina. P o scia Zaccaria, che col tempo venne a succedere a questo sant* uomo , voltando in lingua greca qu ell’opera fece che ne fosse tratto profitto anche f uori d* Italia, e potesse leggersi per lutto il mondo.Nè restrinse il suo zelo in tradurre cosi que* soli dialoghi, ma tradusse pur anche altri scritti de­gni d'essere letti.

ANONIMO

MARTIRIO DI S. TIMOT EO.

Si sono letti gli scritti iutorno al martirio del-C. :»54 l'apostolo Timoteo.

L a stori» riferisce che Timoteo fu il primo ve· scovo di Efe$o , e che fu ucciso a colpi di clava per avere proibito agli Efesini le esecrande e san­guinarie solennità e gli spettacoli de* Gentili, uoo de’ quali spettacoli fu detto Catagogio , e fu per avere voluto abrogate questo che ebbe l’ooor del martirio.

Governava allora il romaoo imperio Domiziano. Avendo S. Timoteo per questo motivo, siccome dicemmo, finito di vivere, ed essendo a Domiziano nell’ imperio succeduto Nerva9 S. Giovanni libe­rato dallesilio veone ad Efeso, di dove Domizianolo avea relegato. Imperciocché S. Giovanni nel tempo che il crudel Nerone infieriva contro i cri­stiani, avea posto suo domicilio in Efeso, capita­tovi dopo un naufragio sofferto sulla costa, sulla quale era stalo dalle stesse onde gittato accora spiratile. Io quel tempo avendogli alcune persone

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i g ? CLASSE T S SZA,

recati libri, i quali iu varie lingue contenevano fu salutare Passione del Signore, e i miracoli e fu dottrina del medesimo, egli li mise in buoa ordine, e li divise, e si aggiunse per quarto ai tre evan­gelisti. Impercioechè, come dissi, per sentenza di Nerva richiamato dalPesiglio, presiedette alla chiesa di £feso, e ne resse la diocesi immediatamente da sé insieme con sette vescovi , e coatiuuò io quel ministero, insegnando la pietà, sino al regno di Trajano. Queste e tali altre cose coatieue questo martirio di S. Timoteo, scritto iu umile stile.

L'apostolo Timoteo era stato creato ed instal­lato vescovo della sede primaria degli Efesini dal gran Paolo. Usasi presso gli Efesini uu'ebhomi - nevole ed esecranda solennità detta Catagogia, la quale celebra vasi nella seguente maniera s

Yestoosi di maschere indecenti, e per non es­sere conosciuti si coprono il volto , e portano iu giro molti idoli, facendo gran baccano con certi loro canti, e a foggia di ladroni assaltando uomiui e donne oneste, e neMuoghi pubblici ammazzando fu persone, e di queste illegittime scelleratezze gloriandosi come di azioni legittime.

ANONIMO

MASTI*IO DBL GRAK MARTIRE DEMETRIO-

C. a55 Lessi il Martirio di quel grao martire Deme- ifio* scritto della stessa maniera. Questo martire di Cristo Demetrio, predicante e dottore di pietà, imitava le pellegrinazioni e le imprese degli apo. stoli, e col lume della sua dottrina, ri li atta dalle

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STORICI Z BIOGRAFI SC C tSSU STIC t. >q 3

tenebre la città dei Tessalonìcensi, la condusse a Cristo, fatto splendidissimo con uo tenore dì vita corrispondeute a ciò che insegnava. Regnava allora Massimiano, inimico di D ìo , e soggiornava in Tessalonica. Andava quel tiranno alfu spettacolo de* gladiatori, e gli empj ministri di fui condus­sero legato il martire alfu stadio che era ivi vi- ciqo, come uomo cristiano e di vita e di dottrina. Affrettando adunque Massimiano allo spettacolo , ordinò che l*uomo santo fosse custodito entro ima volta presso fu stadio, a cui trovavasi vicino il bagno. Uno de*gladiatori, mollissimo apprezzato dal tiranno, passava pel piò valente combattitore di tutti, ed avea nome Lieo; e quello che dovea venire a prova con costui in quel d ì, era plebeo di condizione e giovane di età ; e il nome Suo era Nestore. Il tiranno , quantunque sanguiuario con tutti, peosava di risparmiare quel giovane appunto in grazia della età ; e gli promise di dargti la somma di danaro, per avidità della quale credeva ch*egli avesse tolto di venire combattendo al pa­ragone con un tanto antagonista , qual era Lieo* Lo fece dunque ammonire che desisi esée da quel mortale combattimento. Ma Nestore rispose sou riguardare egli il danaro , ma bensì la gloria che. acquistata avrebbe che avesse ucciso Lieo. £ ciò detto , immuntinente discese sull’arena, ed uccise1* uomo chè a giudizio di tutti era il primo in forza e destrezza. Ma non consegui nulla di quanto a* vincitori era proposto. Per fu che preso da in­tollerabile dolore, e da ira, alzossi furioso controil tiranno, il quale acceso dì bile levatosi dal Seg- gio andò a ritirarsi alla sua abitazione. E poiché

Fozio% V oi IL i 3

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t g i c l a s s e t e b z a ,

fuvvi gente che gli parlò di certi discorsi del mar­tire Demetrio, ebbro di furore e di empietà, pen- saodo nel tempo stesso che l’ fucoutro di fui quando andava allo stadio , fosse stato d* infausto augu­rio, mandò ordine che fosse ucciso a colpi d'asta uel luogo fu cui era chiuso. Le persooe pie di notte nascostamente, ove non ebbero a temere degli empj, scavata uoa fossa ne'ruderi su'quali era stato ucciso, ne seppellirono il corpo.Per fu cbe fu sai vo da iugiurie ; e ne sparì poi ogni ombra per la fama sorta de9 miracoli, e delle guarigioni ope­rate. In appresso, divenuto prefetto dell*Illirto un certo Leonzio, espiando il luogo, in cui riposa­vano le reliquie del S. Martire, ed ampliandolo, ivi edificò un tempio, fatto luogo di propiziazione, e di rifugio non solo per gli abitanti di Tessalo- nica, ma eziaodio per tutti i popoli confinanti*

A N O N I M O

VITA SI PAOLO

VESCOVO COSTANTIHOPOL1TARO £ CONFESSO»*.

f : r r7 Lessi il libro intitolato Vita e combattimento del santo padre Paolo, vescovo di Costatitioopoli e confessore. Ed eccone parimente' un estratto.

Costanzo regnava nell* Oriente delP imperio ro­mano » intrusovi pel tradimeoto di uo sacerdote emetico , e sul consenso degli euouchi. Gli Ariani n u o v a m e n t e perseguitano i pii ; ed Atanasio è accolto nell* Occidente, e il divioo Alessandro vicino a morte nessuno ei nomina a succedergli nella

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chiesa di Costantinopoli. Però di due soggetti tra gli altri parlò al popolo, mosso dal suo zelo contro l'eresia ; onde, volendo, scegliesse o il dotto e pio Paolo * ch'egli stesso avea ordioato sacer­dote, o se volessero preferire persona di bello esteriore, Macedonio% ordinato io addietro diacono e già vecchio. Cosi détto poco tempo dopo muore, avendo tenuto l’episcopato ventitré anni « e vissu­tine novaototto. Nacque grau contrasto nella scelta tra questi due. Gli Ariani inclinavano a Macedo- nio\ ma i fedeli preferivano Paolo. Viuse il par­tito dei pii; e Paolo fu ordinato vescovo nella chiesa di S. Irene, la quale in progresso di tempo, per distinguerla da uo'altra nuova , si chiamò la vecchia. Noo molto dopo venuto da Antiochia a Costantinopoli Pimperadore Costanzo andò io col­lera contro Paolo, per uon essere stato eletto per sno suffragio; e convocato uo Concilio di Ariani costriose Paola ad abdicare, e crea vescovo di Co­stantinopoli Eusebio, cbe per la terza volta cam­biava sede, ora abbaudonaodo quella di Nicomedia· Fatte le quali empietà ritorna ad Aotiochia.

Eusebio intaoto si mise a muovere ogoi pietra perchè si levasse dal simbolo la parola Consustan­ziale· Cadeva allora la dedicazione del tempio di Antiochia, fabbricala edal pio Costantino ; e Co­stanzo volle che si consecrasse s e col pretesto di questa solennità radunò novanta vescovi. Non v'in­tervenne però né Massimo, vescovo di Gerusa­lemme, e piissimo uomo ; né Giulio, romano pon­tefice, né in persona , né per legati. Si raduna il coocilio preseute Costanzo. Gli £usebiaoi vogliono cbe per prima cosa si deponga Atanasio. Da prfu*

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1 9 6 CLASSE ΤεΒΖΑ ,cipio lo accusano d'avere operato contro il canone da essi allora pubblicato, dicendo, che ritornato dairesiglio da sé avea assunto l’ episcopato, e noo per giudizio di tutti* In secondo luogo, che nel- 1* ingresso suo, essendosi fatto tumulto, molte per- sooe* erano perite. In terzo luogo, per le cose de» cretate in Tiro. Per lo che condannando quel v a ­loroso atleta, posero nella sua sede Gregorio, uomo di furo setta. Ciò tentarono essi, e tentarono anche di cambiare la fede, non però dicendo parola al­cuna contro ciò che nel concilio di Nicea erasi trattato, ma con improba e fraudolosa iateoziooe spargendo i semi onde si togliesse il Consustan­ziale. Quel concilio d’Antiochia, per questi ed altri simili attentati commessi, e alcune disposizioni emanate, si scioglie. Eusebio mandò legati al ro­mano pontefice Giulio, cercando cb?egli confermasse quanto era stato deciso coutro Atanasio t ma gli andò fallito il colpo.

lutatilo l'arcivescovo Paolo andato a Roma, trovò in quella città alcuni vescovi, insieme con jftana~ sio per intrigo di Eusebio espulsi. £ Giulio udito quanto erasi fatto con que* vescovi, e conoscendo tutto essere fondato sopra calunnie, coofermaodoli eon sue lettere ne* loro diritti, ti rimandò in Oriente, ad ognuno d'essi restituendo la sua sede, e giu­stamente accusando quelli che li aveano condannati. Tptti adunque riacquistano le loro chiese; e si dì spaccio alle lettere secondo che erano dirette. Nel frattempo muore Eusebio, e Paolo viene restituito al suo posto} ma in vece di fui gli Ariani creano vescovo Macedonio* il quale bestemmiava il Figlio come minore del Padre, coodaunava il Consustan*

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afufu · e rigettava fu divinità delfu Spirito Santo· fi radunatisi di nuovo io Antiochia , volendo dal canto furo recriminare il pontefice Giulio, ad Aia- nasio entrato già nella sua sede, Tempio Grego­rio , da essi contro ogni diritto ordinato, mandano immediatamente ad Alessandria, che il prefetto di quella città fece scortare da sette mila soldati. Alanasio veduta quelfu prepotenza, di nuovo uà* yigò verso Roma* Gli Alessandrini mal soffrendo uoa tauta ingiuria attaccarono fuoco al tempio del B* Dionigi, mala cosa , invero ! perchè non v* é regione di punire chi non ha colpa, ancorché certi nomini impazziscano. Costanzo che soggiornava iu Antiochia, udito che Paolo9 sostenitore della ve­rità, era restituito alla sua sede, ordina ad Ermo- gene, da fui maudato comandante nella Tracia, cbe discacci il sant*uomo dalla sua chiesa: recatosi Ermogene a Costantinopoli tentò di eseguire Tem­pia commissione* Ma trovò opposizione nel popolo, il quafu a tanto giunse che e ue incendiò il pa- fuzzo, e fui uccise strascinandolo pei piedi fungo fu strade* Informato del fatto Cosiamo , recossi alla capitale, e il santo Paolo ne discacciò. Di più fu città punì, togliendole metà del frumento gra­tuito che il· clemente Costantino le avea assegnato. C onsisteva il dono in ottocento mila pani al giorno. Si adirò aoche contro Macedonio, uoo solamente perchè era stato ordinato .senza sua saputa, ma perchè molte uccisioni eraoo stato commesse, delle quali egli riguardavasi come aulor sedizioso. Tut- tavolta lasciandolo nella chiesa, nella quale era Stato ordioato, ritornò ad Antiochia.

U divino Paolo andò di bel nuovo a Roma, ed

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i g B c l a ss i t e r z a ,ivi accordatosi con Atanasio, riferì al romaoo pontefice quanto avea patito, ed ottenute lettere di fui e dell* imperadore Costante» sollecitamente ritornò, e con grande allegrezza delia città fu re­stituito alla sua sede. Io uuovo sdeguo moutò Co­stanzo, e lo esigiiò per sempre, e Filippo, prefetto, eseguì il decreto; e collocò nella chiesa Macedo­nio , impugnatore dello Spirito Santo. Paolo però fu mandato in es'glio occultamente, poiché il caso di Ermogene avea insegnato a Filippo come eoo* venisse operare con prudenza. Perciò cominciò dall* invitare onorevolmente il vescovo di Dio Paolo al bagno che chiamasi dì Zeassippo, supponendo avere a parlargli di cose importanti pel bene pub* blico, e consultarlo sopia affari segreti. Poi fu mandò al palazzo imperiale \ iodi a Tessalouica , patria sua e de'suoi maggiori, nè gli vietò mai di ritornare alfu parti dell'Oriente, nè di recarsi alfu vicine città. Allora 1* empio Macedonio, ajutato dalla forza armata, e condotto con lo stesso pre­fetto, invade la chiesa di Dio; e nel trambusto fu quelfu occasione nato, molta uccisione seguì* es­sendosi contato di morte tre mila cinquanta per­sone ; e così con la strage de* cattolici viene egli installato.

Nello stesso tempo Costanzo avea edificato 11 gran tempio detto Sofia di Dio \ e poco dopo il diviuo Paolo per la terza volta andò in Italia, e fattosi compagno Atanasio, ambedue si presenta­rono a Costante, imperadore d'Occìdente, narran­dogli quante traversìe aveano sofferte. Costante data attenzione alle cose udite , scrive al fratello che gli mandi tre vescovi d'Oriente» i q u ali.gli

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storici a bioorafi ecclzsi astici* igg dessero conto di ciò che aveano avuto Pardire di commettere cootro dtanasio e Paolo. Quattro Co- slamo oe mandò* e furono Narcitio, ci lice, Teo­doro > trace, Mari* calcedonio, e Mara (o Marco)* siro. Costoro non ebbero Panimo di abboccarsi con Atanasio e con Paolo, ed occultando la fede che in Aotiochia aveano professata, e componen­done una dichiarazioue, la quale noa potesse aper­tamente riprovare, ma però non confessando il Consustanziale, la presentarono alPiraperadore, nò altro fatto, né di altro inquietati , partironsi. Pas­sati tre anni da queste cose i vescovi d'Orieote adunaronsi, e decretarono un*altra formula di fede, trasmetteudola agl* Italiani. Erano procuratori del coocilio allora JSudosio, vescovo di Germania , 'Martirio, e Macedonio di Mopsuestia. Quella for­mula era la medesima che fu prima , se non che si estendeva assai piò , e vi si erano in fine ag­giunte alcune cose assurde. I l concilio de* padri , che si tenne in Roma, non accettò quella formula, dicendo bastargli il simbolo di fede decretato in Nicea. Per queste cose cresciuti essendo i tumulti, e nulla definito, viene convocato un concilio ge­nerale per decreto de* due imperatori Panno un­decimo delfu morte di Costantino, Questo coocilio fu intimato iu Sardi , e vi concorsero dalPOcci- dente piò di trecento vescovi, e soli settantasei dalPOrientenon avendo volutogli Orientali trovarsi con gli Occidentali per la ragione, che erano a questi uniti Paolo ed Atanasio. 9 difensori delfu verità* Laonde i più non rigettando gli Atanasiaoi, nè gli avversi volendo deporre 1* astio contro i sostenitori della fede, si disgiunsero; e gli Orien-

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tali tatti traeodosi a Filippi, citta della Macedonia, pubblicamente congregatosi di nuove , ed ivi apertamente detestarono il Consustanziale ; e i S ar­di censi quelli condannano, e deponeodo gli accu* satori di Atanasio come calunniatori, stabiliscono la fede coofermata nel concilio niceno, e sot to­po ugouo fu contraria al Panatema· Le quMi cose all' imperadore Costante riferite , egli con lettere le comunica al fratello Costanzo, e lo ammonisce a trattare amichevolmente Paolo ed Atanasio, e a nou impedire che ricuperino fu furo sedi ; aggiun* geudo che quando alla giusta proposta nou ceda, verrebb'egli medesimo, e a malgrado di lui ren­derebbe giustizia a chi contro il debito era stato offeso. Cosiamo temendo le minacce del fratello, proibì al divino Paolo di risedere neP proprio suo vescovado; e Pi 11 usi re commilitone di lui Atanasioj eoa molte lettere chiamò a sé , fu accolse assai cortosemeute, e fu restituì alla propria dignità. Di questa inaoìera fu sedalo il grati tumulto, e ral­legrossi fu chiesa di avere ricuperati i suoi piicampioni·

Ma essendo succeduto che Magnemio usurpò il dominio, ed uccise Costante, imperadore di O cci· dente t fu procella delPariana empietà turbò di nuovo tutte fu chiese , e di ouovo Atanasio fuggi, e la sede sua venne occupata da Gregorio; e Paola fu rilegato a Cuccuso , luogo d'Armenia , e quel propugnatore della pietà, assalito di notte da uomini empj , strozzato, fu fatto martire. Nella chiesa di Costantinopoli fu costituito patriarca Macedonio t aocbe da altre chiese discacciatisi i pastoris i lupi invadono Povile ; il furore di Macedonio tenta di

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oscurare le crudeltà dagli Etnici commesse cóntro i Cristani e lO rienteiotero viene avvolto in grave calamità , e* massimamente Costantinopoli. Avvenne per fìoo che fu mandato in esigi io anche Agelìo% vescovo de* Novaziani ; e questa era incre­dibile sciagura , perchè non solo questa violenza estendevasi a* vescovi, ma si diffuse aoche a donne, e a ragazzi *ed a chiunque non ammettesse la eo- rouuiooe di Macedonio. Diremo empietà non più udita: le poppe delle donne chiudevansi entro i coperchi di piccole ceste, e compnmevansi finché rimanessero stiappaie; altre troncavansi col ferro, altre abbruciavaosi con uova infocate, i cui fram­menti* avvilupparonsi entro fasce. Così a questi empj venne in pensiero ciò che il pudore umano non permise a* Gentili d* inventare contro la na« tura. Macedonio estese la sua crudeltà fìno io Pa- fìagooia, avendo udito dire trovarsi colà molti ed Ortodossi, e Novaziani} e quattro coorti di gente armata mise in ordine, onde contro quelli moves* sero, e cou la forza li costringesse ad abbracciare fu sua empietà. Ma i Mantinei unitisi insieme, e per zelo della pietà dando mano a falci, a scuri, e a quanto potesse servire di armi, si opposero a quelle coorti, e venuti a combattimento, molti in* vero de’ Pafìagoni rimasero morti, ma quasi tutti ebbero lo stesso fine que* soldati. Cotanta strage , e l’ impudenza, con cui le altre iniquità accennale furono concesse , con tutta ragione fenderono odioso Macedonio non solo a quelli che da lui erano sì mal trattati , ma pur anche alle persone della sua stessa setta. Nè poi per coleste sole cose, ma ancora perché , minacciando ruiua il tempio,

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9 0 2 CLASSI TZBtA,io cu! giaceva il corpo del piissimo imperador Costantino, prese di proprio arbitrio quelle spo­glie fu trasferì nel tempio d i 'S . Acacio. E come quella translaziooe con piacque a tutti, ed a molti pareva empia cosa il disotterrare i cadaveri dei morti, e quello massimamente di uo imperatore si illustre per pietà, ne segui grande strage. Dei molti e si gravi mali da Macedonio commessi piccola peoa però ebbe a patire, nou altro essen­dogli toccato che di perdere fu dignità. Prevalse Pariana empietà finché Costanzo regnò* e maggior- mente a tempi delPentpio Valente, fino a tanto che la vendetta divina fu punì. La fede ortodossa s’alzò da taote agitazioni sofferte, quando per giu­sto divisameoto di Graziamo che avea P imperio in Occidente, alla imperiale dignità in Oriente fu inalzato Teodosio, spagnoolo. Per la pietà di lui fu esterminata l’empietà ariana che per quarantanni avea vessata la chiesa ·9 e i'u il debito ouore re­stituito alla fede ortodossa. Il pio imperadore adun­que convocò un concilio per comporre i Macedoutafti cogli Ortodossi} e perchè tutti confessassero fu Con- su stanziati tà. Al qual fìoe raduuò i capi degli Ere­tici* t degli Ortodossi concorsero da Alessaadria Timoteo ; da Gerusalemme Cirillo ; NeUzto da da Antiochia ; Gregorio ffuziaazeno , da Tessalo* nica Àchtllio ; da Nissia, Gregorio e moltissimi ai* tri, il cui numero giunse a centocioquanta. Della turba eretica erano caporioni JElensio, ciziceno * Marciano , lampsaceoo , Eveùo, efesio, ed alcuni altri che in tutto furono trentasei. L’ imperatore, e con esso lui gli Ortodossi esortavano gli eretici onde, abbandonata quella fazione, si unissero in*

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sieme tutti, ed ammettessero il Consustanziale* come anche diaozi, senza esortazione altrui , mandato aveodo legati a Liberio aveano promesso di confes­sare, che usando insieme la parola omousion (consu­stanziale), spontaneamente erano venuti ad ammet­tere la comunione cogli Ortodossi. Ma gli eretici ni un conto facendo della giusta rimostranza e della buona ammonizione, non abbandonarono la loro empietà. Perciò vennero discacciati dal concilio e dalla città ; e il concilio creò vescovo Nettario, nomo di sangue senatorio, e dì dolci maniere, per fu quali massimamente era in buon concetto. Il concilio poi coofermò la fede proclamata iu Nicea. L'Imperadore approvò tutto , ed ebbe cura che si trasportassero con graode riverenza fu reliquie di S. Paolo ; ed i vescovi quanti erano insieme con Nettario uscendo di Calcedotiia andarono per luogo cammino ad incontrarle . e con ampia prò*· cessione e con canti , portaadole attraverso della capitale, le collocarono nella chiesa di S, Irene VJntica% che, di piccola ch’essa era , Cosiamo , imperadore, aveà*per ogni verso fatta grande, ed alta quale Paolo in addietro avea presieduto* Ivi tutta la notte si consumò in canti ; e nella seguente mattina tutta fu città con eguale onore e gloria, presenti tutti i vescovi, il clero e Pimperadore medesimo, vennero quelle sacre spoglie tumulate s ella chiesa che oggi chiamasi dal nome di lui.

La vita da cui cavammo queste notizie, é nella elocuzione e uelP affetto alcun poco migliore del* l'antecedente*

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ANONIMO

SSTftfcTTl DALLA VITA DI ATANASIO.

Lessi il libro futitolato Vita e combattimento dei nostro Santo Padre% vescovo di Alessandria , il grande A tana $ io > scritta oello stesso modo delle già indicate*

Correva fu festa di S. Pietro, vescovo e mar­tire, tutta la città di Alessandria era in tripudio, ed AUssandro, successore di quel santo dopo fu celebraziooe de* santi misterj, sedeva a mensa coi principali del suo clero. Così stando vide dalPalto luogo ov* era alcuni fanciulli sul lido divertirsi ira loro innocentemente, e nel divertimento inci­tare la celebratione de’ sacri e venerandi mister)) non per farne soggetto di scherzo, ma per genio di rappresentare quaoto potevano aver veduto; ardimento, ò giusto dirlo, che nou doveano per· mettersi. In quella rappreseutaziooe furo Atanasio veniva da’ fuociulli creato vescovo; e gli altri fi­gurarono chi i catecumeni e i battezzatati , chi i sacerdoti e i diaconi. Finito cbe ebbero quelfu furo cerimonie, Alessandro li chiamò a sé , udì che non per ischerzo delle cose sacre aveano essi fatto così, ma come da ciò , che poi avvenne, tu capirai, per un certo divino istinto, e con la sem* plicità d'animo fìn d* allora in essi volgente al bene. Quindi quelli che erano di quella maniera stati battezzati , Alessandro uuse col segnacolo di Cristo ; e consegnato Atanasio a’ suoi genitori , ordinò furo che fu facessero studiare, e quando

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fosse adulto lo consegnassero a fu i, o piuttosto alla chiesa , come un altro Samuele da essi of­ferto a Dio. Fecero eglino quanto l'arcivescovo avea loro imposto; e venuto il tempo debito gli consegnarono il figliuolo. Lo accolse egli, e lo fece suo convittore, partecipe d'ogui suo pensiero, ed ajutante suo in ogni opera di pietà· La rabbia ariana, la quale avea invaso il mondo, fìn da princi­pio avea avuto molte contese col divino Alessandro t e di poi altre Atanasio ne chiamò sopra di sé a cagione della pietà sua. Perciocché egli scoprì che Ario dopo la condanua e la scomunica subita , si fìnse ortodosso * onde cou queste larve vie più confermare la sua eresia ; e quando dai pio impe­radore Costantino (sapendo sovente gii astuti e fallaci uomini ingannare anche i prudenti ) fu mandato ad Alessandro, vescovo di Alessandria, egli non volle accoglierlo. Morto poi il sant'uomo, Alessandro, fu Atanasio ordinato a successore di fui > e poco dopo incominciarono i suoi contrasti, in fui solo le lingue degli eretici tendendo, e vi­brando le loro calunnie ; ed Eusebio, vescovo di Nicomedia, spezialmente, e i seguaci di questo gli macchinarono contro insidie di piò maniere, pren­dendo a soldo anche certi uomini di Melegio * e inducendo costoro ad accusarlo di parecchie cose# Primieramente dissero che gli Egizj per l'avari­zia di Atanasio dovevano somministrare alla chiesa Alessaodrina vesti di lino. In secondo luogo che tramava insidie all* imperadore, avendo sommini­strato danaro a certo Fdomeno che affettava l’ im­perio. In terzo luogo oppongono il fatto d* Ischira, della mensa rovesciata, e del sacro calice spezzato)

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*o6 c u s s i n u i ,quello di Mareole, del prete Macario, assalitore come ladrone* e le diffuse per tutto il mondo false novelle circa queste cose. I seguaci di Bu· sebio ioformaoo Pimperadore di queste e simili cose, e per eccitarlo maggiormente contro Atana~ sio, accusano questo di aver ricusato di accogliere un uomo che ubbidiva agli ordini dell* impera· dorè, e che rettamente sentiva nella fede.

In quel tempo quasi tutti i vescovi concorrevano a Gerusalemme per celebrare 1* Euceoie* e il pio imperadore Costantino ordinò cbe si radunasse di nuovo uo concilio per esaminare quauto dicevaai del sant* uomo Atanasio, e per ridurre Ario alfu fede. Aggiungendo che se l'invidia avesse separato Ario 'dalla chiesa, i vescovi cercassero di riconci­liare fu parti t e che se Ario si fosse prevaluto di /rode, dovesse recarsi ad Alessaodria, ed ivi isti­tuirsi processo accurato , e giudicarsi di lui. O r­dinò per tanto che diverteodo il cammino, prima i vescovi congregati in Tiro dovessero esaminare le imputazioni dato ad Atanasio, e per connessione discorrere aoche di ciò che si poteva fare contro Ario. Era quello Panno trentesimo del regoo di Costantino. I vescovi adunati io Tiro furono ses­santa , andativi dalle diverse città ; e presie ­dette Dionigi , uomo coosolare , e con esso lui il prefetto di quella spiaggia, ed uo certo ma­gistrato. ‘V* intervenne pure Atanasio \ e il prete Macarto vi. fu coodotto , incatenato e custodito da una squadra di soldati. Primierameote adunque gli accusatori parlarono delle vesti di lino; ma tale calunnia, che non fu nuova in Tiro, ma era stata dianzi in Nicomedia udita dall* imperadore ,

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A p i, e Macario, prete d’Alessandria, capitati colà per accidente, facilmente sventarono. Da ciò 1* imperatore ebbe 'occasione di fare per lettere alti rimproveri agli accusatori: indi ordinò cbe Atanasio si recasse a lui. Quelle lettere indiriz­zate al concilio congregato in Tiro, quando furono udite dagli Eusebiani fecero costoro dóleoti, quaoto prima le loro cabale aveano contristato Atanasio, essendo essi rimasti molto mortificati pei rimpro· veri dell* imperadore e per la riproposta calunnia delle vesti di lino, udita già in addietro dall*im­peradore. Avendo questa calunnia avuto poco esito, si veone al fatto $ Ischira e di Macario * Il grande Atanasio con eccezione legittima, escluse i seguaci di Eusebio come nemici suoi manifesti. Egli ve­le va che a*incominciasse a dimostrare, se fosse veramente sacerdote queìj* Ischira, contro cui , mentre celebrava i sacri misteri, fingevano che To­rnano fosse insorto, e gli avesse usata voleuza per ordine di Atanasio , avesse rovesciata la sacra mensa, spezzato il calice , ed abbruciati i sacri libri. E que* due punti egli oppose alla legge co- muoe. I Giudici ricusarono di pronunciare, con cbe si diede tempo a confermar fu calunoie ; e perciò quauto con buope ragioni era stato detto, non ebbe effetto. Nel sostenere il fatto d* Ischira e di Μ acario, Ta rd i mento loro era intollerabile ; e fu scarsità delle prove dimostrava che Taria loro di sicurezza altro non era che una frode e un ma­lefìcio di empietà, e d* invidia. Con la poca dila­zione poi, e col dolo coprendo Ja vergogna della ripulsa , mandarono contro Mareote uomini della stessa fazione, fìngendo doversi esaminare fu cose

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?θ8 CLASSE TCRZA *sul luogo ìn cui erano avvenuto. £ quando A ta ­nasio vide mandati quelli che avea ricusato d'avere per giudici, cioè Teogonio, Mari, Teodoro, Ma* cedonio9 Ursacio gridò, e dichiarò a tutti l ’ in­giustizia essere inaoifestissiina j tenersi in carcere il prete Macario, d quale era stato il primo ad accusare ; e l’accusatore Ischira aggiungersi a* giù* dici illegittimi. £ veggendo che dai padri non si avea nel concilio verun riguardo per lui, partì di nascosto ed andò all* imperadore contese ne fosse chiamato. Coloro poi , i quali eraoo stati mandati contro Mareo te * badando ad una parte sola, sic­come il mendacio e l'invidia loro suggeriva, com­posto un libello d’accusa, ritornarono al concilio , il quale già avea prima condannato Atanasio sul fondameuto d’ essersi allontanato* Ritornati adunque confermarono, con l’aggiunta di molte calunnie, quella condauna; e in tutta fretta da Tiro anda­rono a Gerusalemme per celebrare la festa delfu consacrazioue della chiesa con quelle maui conta­minate; dove gli £usebiaui ebbero Ario in luogo di prefetto. Ma i fedeli, diversamente opinando , abborrirono i fatti seguiti , e domandarono che Ario dovesse rendere conto in Alessandria delle cose, delle quali veniva accusato ; e quando fu giunto colà, fu messo in prigione..

Mentre tali cose seguivano, furono ricapitate lettere dell’imperadore , per le quali veniva ordì* nato che Atanasio andasse a fui, e così pure gli Ariani quanto prima comparissero fu Costantino* poli. Queste lettere misero il concilip ia mestizia, per fu che molti vescovi andarono alle loro sedi , ed Eusebio e Teogonio deliberarono di rimaner»

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ST O R IC I E B IOGRAFI E C C L E S IA S T ICI . 2 θ §seoe ivi , pensando che il tempo avrebbe fatta svanire la mestizia oud'eraoo presi. Frattanto Afa* nasìo presso Pimperadore, che allora era iti Psa- mazia , sobborgo di Nicomedia, si purgò del de­litto appostogli, che avesse, cioè, mandato danaro a Fibmenot e di là onorevolmeote fu mandato ad Alessandria con lettere imperiali che la sua io Do­cenza attestarono. Era colà anche Dario% mandato dai Gerosolimitani; e FEgillo fu di nuovo terbato. Di che aveudo Atanasio informato 'Pimperadore, questi ordinò che Ario fosse richiamato. Eusebio ed Ario, trovatisi insieme sulla strada di Cesarea, ordirono nuove calunnie contro il saot* uomo. Giunti poi gli Eusebiaui ben tardi e di male umore a Costantinopoli, dicevano nou essersi presiio esame gli altri· delitti apposti ad Atanasio* ma in quanto riguardava ad ischira, la cosa essersi esaminata, ed essersi apertamente conosc iuti tutti

attentati di Atanasio. Slmilmente dicevano avere egli proibita la provvisione del frumento solito ad essere da Alessandria mandalo a Costan­tinopoli , e per questo essersi poi occultamento -eoo fu fuga sottratto, Di queste cose persuaso Pimperadore, e vólto a sdegno,' co udanti a A tana· Sio alPesiglio, ed oidina che vada a Treviri nella Gallia. Per tal fatto tutto di tumulti e di sedi­zione non comune empiutosi P Egitto, e P eresia infettando le chiese a guisa di pesto , Costantino venne a morte iu un sobborgo di Nicomedia, dopo aver regnato trèntuu anni, e nella età d'anni ses- santacinque. Egli fusciò il suo testamento a certo prete ariano , commettendogli di portarlo a Co- stante, suo figli uolo. Per questo testamento quel

Fozio, Voi# IL t i

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i l o CMSSR TERZI,principe era fatto erede dell* imperio sì d* Occi­dente conte di Oriente. Ma quel maligno uomo, domandato da molti se Pimperadore avesse fatto testamento, fu negò, in ciò acconciatosi cogli eu­nuchi nella fraude. Poco dopo andò Costanzo a quel prete, il quale nascostamente il testamento consegnò, di una sola grazia pregandolo, cioè che volesse tenere la dotti ina di Ario. Gli Eusebiani', per nrfezzo di quel prete, trovarono accesso presso Costanzo e presso il capo degli eunuchi , che chiamavasi Eusebio, e così presso gli altri , ed óltre ciò coovertirono alla eresia ariana la stessa imperatrice, e gli affari di Ario presero nuovo vigore.

Io quel tempo Massimo reggeva la ch':esa di Gerusalemme, e quella di Costantinopoli Atessan· dro , ed Atanasio era iu cogito. Venuto A rio a Costantinopoli , si mise a fare di tutto per cor­rompere la Chiesa di Dio \ se non che infine ne ebbe la mercede che meritava. Perciocché per le orazioui di sant'ÀÌessand/ο , ' vescovo costantino­politano , ritiratosi per bisogno in una delle la­trine della città reale, improvvisamente ebbero ad uscirgli ad un tratto dal corpo le viscere. E gli Ariani, che poco prima si erauo tenuti quieti, di poi tutto turbarono, credendo d'avere trovata oc­casione opportuna nell' esigilo di Atanasio , che allora credettero dover durare. Ma la provvidenza di Dio mandò vuoto le loro speranze, perchè Co* stante, imperadore di Occidente, richiamatolo eoa sue lettere dalPestglio* fu restimi alla sua sede di Alessandria, somministrandogli quanto occorreva al viaggio, e tutti gli Ortodossi molto volentieri

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STORICI S BIOORAFI IC C L E S U STICT. a f t

accolsero il loro pastore. Gli Eretici però mossero dal cauto loro sedizioui e tumulti , d'onde i se­gnaci di Eusebio presero motivo di calunniarlo presso l'impeiadore; e per quelle calunnie Costunto andò in toota colieta, che di bel uuovo fu con­dannò all' esiglio. Coloro , tagliala avendo ad un morto la mano, ne formarouo uu soggetto di ca­lunnia, dicendo che Atanasio l'avea fatta tagliare ad un certo Arsenio , cou la quale poi volea fare uu venefìcio. Ma il decreto dell* esiglio non era ancora pubblicalo', e per ordine di Costanzo te- nevasi di uuovo il concilio di Tiro* Spedì adun­que Costanzo il domestico Àrcheleao, della fa­zione medesima, iusieme col preside della Fenicia, onde insieme con gli Eusebiani intervenissero a quella congrega , ed esaminassero fu querele fatte contro Atanasio. Molto si stette in Tiro , e alla dilazione artificiosa presero per pretesto che si aspettassero gli accusatori da Alessandria , poichà dicevasi che iti furo presenza era stato commesso quel delitto. Ma per divina disposizione ecco 'cosa accadde. Eia q^eWArsenio lettore della chiesa Alessandrina, il quale dovendo essere castigato per qualche fallo commesso , liberato del beato Atanasio , erasi poi salvato con fu fuga. E come, esseudo esule, non conij-ariva, quegli empj da ciò trassero l'audacia della calunnia. Ma tocco nel cuore Arsenio, e uou potendo soffrire che chi fu avea anzi liberato dal meritato castigo fosse vit­tima di sì patente caluuuia, avendo le dilationi di Tiro dato tempo cbe quella si spargesse da per tutto, egli seti volò a Tiro, deliberato piuttò­sto di morire, se fusse necessario, cbe tradire nella

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o r a c l a s s e t k b z a ,

causa d i . Atanasio la Chiesa. Si presenta egli adunque' fu secreto ad Atanasio. il quale fu con­sigliò a noa farsi vedere da alcuno prima della sentenza che si doveva proauaziare, tanto per ti* more de*nemici , capaci di tentar tutto iu .suo danao , quanto perchè nou avessero a ricorrere ad altre dilazioni oode lasciar cadere P accusa.

Convocatosi dunque il concilio, la prima accusa che intentarono ad Atanasio fu di adulterio, fatta venire una donna impudica , fu quale sfacciata- meote, e corrotta eoa danaro, gridava essere stata da Atanasio in tempo di notte eoa violenza stu­prata. Era con Atanasio il prete Timoteo, e come per divioa ispirazione presero il saggio consiglio pel quale la calunnia degli accusatori subitamente cadde vuota ; imperciocché essendo venuti al co­spetto della donna , Atanasio stavasi tacito , pre­gando tra sé Dio, e Timoteo* che quella sfacciata donna , cosi istigata , L u i , fui , questo Atanasio , dicendo essere *il suo corruttore; Timoteo* giacché di fui colei parlava, come se fosse stato Atanasio* fu disse : Dimmi adunque , o donna , sono io ve­nuto a trovarti, o m'hai tu accettato in casa tua, oppure ti violai io di ootte? E colei, com'era volgare prostituta, cou volto sfacciato e guardando fìsso a Timoteo t Tu , rispose, tu sei quello che mi violasti di notte; e cosi con gran rumore volta ai giud ici giurando i Costui* mostrando col dito Timoteo e traendolo, é costui , diceva, e non al­tri che mi corruppe. Conosciuta 1* ebbrietà di quella vile carogoa, e giudici e satelliti ridevano, ed ammiravano la prudenza di sauto Atanasio, il quale, serbandosi tacito, l'accusa ritorceva contro

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STOBI CI & BIOGRAFI ECCL ESIASTI C I. 3 » 5

gli avversar], mostrando quanto fosse sfacciata l’ordita calunoia. Ma non perciò si rendettero mi­gliori, chè oon si attenuerò a quanto 1’ equità ri­chiedevi! e la giustizia. D’ altra parte gli accusa­tori , i quali dovevano andar lieti di sfuggire fu pena della calunnia, si volsero a parlare della de­stra di Arsenio , e di quel delitto , e de9 prestigi pe’ quali dicevano che Atanasio fu avea commesso» rinnovarono la querela. Allora Atanasio conferma voce e con animo intrepido domandò; Chi di voi conosce Arsenio , o sa che sua sia questa mano ? £ rispondendo molti degli accusatori eh9 essi co­noscevano ottimamente Arsenio, Atanasio sog­giunse: Giacché con tanta sicurezza hanno confes­sato di conoscere Arsenio, egli è qui» e cbe entri* Ed essendo Arsenio entrato, domanda di bel nuovo se conoscessero la persona introdotta, e se questa fosse Arsenio. Nè potendo essi negare che noi fosse, egli fu trasse più innanzi nel giudizio , ed avendolo iovitato a stendere prima la mano de* stra e di poi la sinistra, gridò : Ecco Arsenio , o cittadini! ed ecco la mano di un uomo, o giudici mar&vtgliosi ! Dicano dunque gli avversar] di chi sia questa mano , e d’oude P abbiano tratta, giac­ché a che fìue abbiano ciò fatto nessuno piò può dubitarne, eh'essi taglia rooo fu mano ad un uomo per uccidere noi. E cosi ancora distrusse fu furo fraudi. Ma ciechi e muti i giudici, sia per com­piacere a Costanzo , sia per favorire gli Eretici i ei quali erano attaccati, lasciando di pronunziare, cercavano di nascondere la calunnia sventata.

Non più gli avversai] ricorsero alla calunnia , ma svergoguataineote a fui, sortito già vincitore r

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1»4 CLASSE TEMA ,

intentarono ona querela d’omicidio, e gli uni coO le parole , gli altri lo investivano con battimenti di mani, altri fu minacciavano che l’ imperadore fu avrebbe fatto morire. Onde Archelao, veggendo che quegli empj potevano metterlo in pezzi, uscito appena di casa, quantunque non temesse del con­cilio, pure, mosso da naturai verecondia , fu levò al pericolo soprastantegli per parte de’ satelliti della fazione, e lo persuade a sottrarsi con la fuga , e glie ne somministra i mezzi. I suoi av~ versar), radunatisi di nuovo in concilio , altri ne­fandi e falsi delitti gli appongono , perché sia messo in prigione. Le quali menzogne, esposte in un libello, essi mandano a Costanzo e fu spargono per quasi tutto il inondo. Ogni luogo fu dunque un asilo per santo Atanasio » dachè facevansi grandi ricerche di fui ; cosicché erasi fatto capi* tale delitto per chiunque sapesse ove si trovasse e trascurasse di notificarlo, e dall’altra parto premj proponevansi per chi lo conducesse vivo , o ne portasse la testa. Il che saputosi da lui , forte di una pazienza che direbhesi di chi abbia il cuore di diamante, per sei anui interi si stette oascosto in una fossa priva d' acqua. Il giorno poi antece­deste a quello in cui dovea essere scoperto il luogo del suo rifugio , per una specie di rivela­zione diviua si trasse ad un altro, e venne in Occidente, ove regnava Costante sulla porzione dell’ imperio toccata a lui, e fu quella di suo fra- te lfu Costantino , stato questi ucciso dall’ esercito per essersi creduto che volesse usurpar tutto. Ivi adunque Atanasio recatosi a Roma « rappresentò al pontefice Giulio quanto avea patito per parte

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s t o r i c i e b i o g b a f i e c c l e s i a st i c i . s ? 5

degli Ariani; in cospetto di Costante imperadore , e come a sovversione delia fede ortodossa erasi convocato un concilio in Autiochia» ed a lui dato, contro tutte le leggi» uu successore di nome Gior­gio-, e in luogo di questo Gregorio. Eusebio poi, fatto quauto abbiamo esposto , inandò una lega* tione al venerando pontefice romano Giulio , cer­cando che anch'egli condannasse Atanasio. Giulio però , avute fu lettere di Eusebio , tanto fu luugi dal condannare Atanasio » che anzi trovò doversi assolvere , e con sue lettere dichiaiandoti contro le ingiurie fatte ad Atanasio , Io mandò iu Ales­sandria, e. ne* suoi diritti , come se mai non ne fosse stato escluso, fu restituì, non poco rimpro- veraudo quelli che ingiustamente lo aveano tur­bato. Gli Ariani, che ogni gioruo piti corrompe­vano Co starno, procurarono che cou forza annata fosse maudato ad Alessandria quel Gregorio che essi vi aveauo ordinato ; della quale forze armata era capitauo Siriano , e quel corpo si componeva di cinquemila uomini. S. Àianano fuggì da quel­l'esercito e dai soldati eh* erano deliberati di uc­ciderlo , e nuovamente andò a Roma; e 1* empio Gregorio occupò la chiesa d'Alessandria. Di che sdegnati gli abitanti di quella città , incendiarono per dispetto il tempio di S. Dioai°i.

S. Paolo , vescovo di Costantinopoli, stava in Roma, esule insieme con Atanasio, e fu compagno a fui nella palma. Costante poi scrisse al fratello Cosiamo» pressandolo il poutefice Giulio , perchè que* prelati fossero reintegrati nelle loro sedi; e come ciò uon si ottenne, Atanasio e Puofo do­mandarono che da uo coucilfu ecumeuico fosse

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at (5 Ct i SS E TERZA ,I 9

determinato quauto riguardava la fede ortodossa e le loro persone , giacché fu vioUztooe de* loro diritti si risolveva anche in discapito della fede.

Si raduna dunque di nuovo, per consenso dei due ìmperadori, il concilio di Sardica, undfui anni, dalla morte di Costantmo% furo padre. Piò di tre­cento vescovi vi concorsero dall*Occideute, e dal- rOrieote settantasei soli, tra i quali annoveraVasi come fosse vescovo I*Ischira, di cui si é parlato. Fattasi dunque la congrega in Sardica, gli Orien­tali ricosavano di unirsi insieme con gli Occiden­tali , a meno che non fossero dal concilio espulsi Paolo e Atanasio. Md a questa domanda non consentirono né Protogene * vescovo di Sardica , né Osio cordovese , né gli altri vescovi , non in· tendendo che gli uomini i quali essi eraoo chia* mati a giudicare s* avessero a condannare e scac­ciare senza udire le loro ragioni. Separatisi duoque dagli Occidentali quelli dell*Oriente, questi anda- rooo a congregarsi io Filippi % e non più eoo al­cuna riserva ; ma apertamente ed audacemente condaonaodo il Consustanziale , stabilirono l*ine~ guagliaoza tra il Figliuolo e il Padre, e da per tutto diffusero l'empia eresia. Quelli poi che erano in Sardica, primieramente condanoarooo il sinodo privato di Filippi·; iodi gli accusatori di $. Ala· nasio, come rei di calunoia, privarono d’ ogni furo dignità, e per la terza volta fu coufermato il de­creto ai ce no , la ioeguaglianza condaonaodo nella Trinità; e tale sentenza sparsero anch’esti da per tutto cou encìcliche. Le qualf risoluzioni prese in Sardica, tosto che furono notificate alPfmperadore di Occideote, questi immantinente le comunieò al

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STORICI S STOGI A FI BCCtVSUSTTCr .

fra (elio , e in parte fu ammoniva ed in parto an­che gl* imponeva a far restituire fu furo sedi a Paolo , ad Atanasio e agli altri vescovi che li avèano seguiti. £ come Atanasio continuava ad essere perseguitato dalle insidie degli Ariaoi , ed erasi di nuovo tratto a Roma , Costante replicò lettere al fratello , dicendo che se· di buon animo fu avesse voluto accogliere e collocare nella sua sede, fu avrebbe prontamente fatto parti re £ diver­samente che se ne sarebbe fatto vindice. Cosiamo* messo io paura, chiama con sue lettere Atanasio non una volta sola , ma ripetutamente due o tra volte, e spedisce aoche persone che fu lusingas­sero e fu conducessero. Costante. adunque non esitò a licenziare il grande Atanasio , facendolo accompagnare da buoaa scorta di armati, e il pontefice Giuliq fu munì di molte lettere· Costanzo fu accolse e fu restituì alla sua chiesa, alle cor­tesi parole però aggiungendo qualche rimprovero* Imperciocché, diss'egli, a mio spregio tu ten fug­gisti quando io era disposto ad abbracciarti cou fu migliore baoua grazia. Voglimi dunque sapere buoo grado in una sola cosa. Volentieri t o impe­radore , mi presterò a quanto dimanderai, con tutte fu forze mie. £ Costanzo a fui ϊ Concedi agli Ariani una delle chiese che sono in Alessan* dria. Ed i*gli : Farò ciò cbe comandi, o impera- dorev ma tu devi dal canto tuo coocedeie che ne sia data agli Ortodossi una io Costantioopoli , giacché ivi ue maocaao. * Prontamente Costanzo disse di s ì , ignorando di recare con ciò dofuie agli Aitarti, la cui dottrina egli seguiva. £gli per­tanto aramiraudo Sa prudenza e destrezza di Ata~

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S t S C U S I S TEftZft,

n asio y fattogli grande onore, fu congedò, scrivendo anche alPaugustale Nesiorio, onde tra le altre cose fu trattasse e fu facesse accompagnare con somma onorificenza , ed avesse per nulla tutto quelfu che ei medesimo imperadore, e gli Ariani contro lui stabilissero , e di più ordinò che anche il clero di fui godesse della dignità e libertà di ainmint~ strare,le cose sacre.

Essendo Atanasio* cammin facendo, arrivato a Gerusalemme , comunicò a Massimo » vescovo e confessore, gli atti del coocilio di Sardica, e come Coi tanto gli si era dimostrato benevolo. Massimo poi raduna un sinodo di vescovi , che decreta al beato Atanasio la episcopale comuuiooe e dignità, e scrive agli Alessandrini e a tutti i vescovi del­l'Egitto e della Libia quauto intorno ad Atanasio efesi decretato e fatto. Andato poi Atanasio in Alessandria, convocò nell* Egitto uu concìlio di vescovi, i quali di pieno accordo accolsero ciò ebe in Sardica e in Gerusalemme era stato fatto.

Ma neU*alza!a che fece Megacuzio per usurpare il trono, e nella morte di Costante da quella tem­pesta morto , gli Ariani trovaron modo di conci­tare un* altra volta Costanzo contro Atanasio ,* e perciò ecco empj decreti, ecco nuova fuga di fui, ecco nuovo inseguimento per discoprire ove - si fosse riparato. E Giorgio, invasore della chiesa di Alessandria, ed A cacio e Palrofilo* setta rj di Ario* discacciarono da Gerusalemme S. Massimo , e a fui sostituirono Cirillo i Giorgio poi fece fanti mali fu Alessandria, che quanto gli Ei etici fecero con. tra i Cristiani diresti cose cbe pur aveano qual­che colore di umanità. Si pensò ad inveutare

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STORICI Z BIOGRAFI ECCLESIASTICI. 2 1 $

nuove pene ; buttavansi al fuoco uude fu vergini, e la morie sola molli liberò dalla vila e dalla pena. In Egitto erano sbandali Ireuladue ira ve­scovi e sacerdoti. Quando Costanzo si vide pa­drone dell* imperio occidentale , diauzi tenuto da suo fratello , tentò d' indurre i vescovi di quella parte di mondo a condannare Atanasio, e ad adottare la dottrina ariana. A tale oggetto convocò un concilio ; e-in Milano, città d* Italia , molti trasse ne* suoi disegni. Ma Dionigi, JEusebio % Ro­dano , Paolino, Lucifero non vollero acconsentire nell'errore, nè concorrere a condannare Atanasio* riputando che, perito lui, andava a perire la pia dottrina ; e furouo rilegali in Arimino. Atanasio , trovandosi di nuovo iu evidente pericolo di c*der vittima degli Ariani , i qiiali né desistevano di cercarlo da per tutto, e vie piò accanili non la­sciavano dubbio che uon fossero per trattarlo più crudelmente di prima , senza che nessuno se oe avvisasse, si rifuggì presso una certa donzella, ivi, fuotano da ogni cospetto, nascondendosi. Era que­sta giovanelta e bellissima, cosicché a nessuno sarebbe mai venuto iu pensiero che alcun uomo , od un vescovo potesse stanziare presso di lei, che avea venti anni. A fui custode di sua verginità, ed istitutore , Atanasio le rappresenta come gli Ariani armali per ucciderlo Io vanno cercando in tulli i luoghi fuori della capitale, e per ispira- ziope di Dio, che vuole salvarlo, essere ricorso a Jei. Fu lieta la donzella in dargli ricetto, e presso di lei si stette nascosto per sei anni, fìulanio che fu morte di Costanzo fu liberò dalla persecuzione. Per tutto quel tempo ella eoo zelo e religione

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fise c l a s s e t e b z s ,

tutto gli sommioistrò quanto occorreva alla vite % oè piccoli , nè graodi , né amici, nè nemici sep­pero mai oulla di lui. Iotauto Cosiamo deliberò di cacciare dalle furo sedi que* vescovi ohe in Italia non volevano adottare la dottrina degli Ariani, e surrogarne altri. E allora-aodò esule an*? che Liberio, che dopo Giulio tenne il pontificato, e io vece naa fu creato Felice, il quale ben presto, per. disposizione di Dio, divenne cieco, ed io appresso morì di pestilenza. Simile trattamento ebbe a sof­frire Melevoi vescovo di Antiochia, nel cui posto fu dagli Eretici mes&o Eutoio , e a vescovo d i Costantinopoli misero Eudosio , empj uomini en­trambi , e degoissimi dell'eresia per fu peccami­nosa loro vita.

Nel tempo medesimo Costanzo crea Cesare Giuliano, e fu spedisce nelle Gallie ; e contempo­raneamente celebrò la d«dicaziooe della chiesa da fui edificata e detta di Sofia. Nel primo sedersi* sul trono patriarcale di Costaiitinopoli , Eudosio prouuoziò quell' audace e svergognata formula s Padre empio, Figliuolo pio; e a quel detto susci­tatosi gran tumulto, voleodo sopire il male cou un ritoedio peggiore: Non vi turbino, disse, que­ste mie parole? perciocché esse altro noo signifi­cano se non che il Padre oon venera, nè adora alcuno, e il Figlio venera e adora il Padre. A l dire così di quell* empio Eudosio , si quietò beasi il tumulto, ma oe seguì mi ridere generale di quanti l* aveano udito, e molti rideodo ancora uscirono di chiesa. Giuliano poi staudo oella Gallia, avendo riportate molto vittorie sui Barbari , incoronato , fu dai soldati creato Augusto. Di che giunta la

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STOfttC! E BlOOBAFt ECCZZSlàSTICf. M Inuova a Costante * questi si fece battezzare da Ifusoio, nemico di Dio * e si acciuse a far guerra al principe che s’era alzato contro di lui; ma nel mentre che trovavasi in una piccola città Ci* lìcia, detta Mopsacreue, per Paifanoo che gli dava fu guerra che dovea intraprendere 9 colpito da apoplessia, spirò, venticinque anni dopo cbe suo padre era morto, avendone vissuto quarantacinque»

G'orgio entrò in pensiero di fare un oratorio di uo tempio abbandonato in Alessandria , nel quale gli Etnici una vòlta sacrifici»vano a Mitra uomini, donne e fanciulli, osservandone le viscere,

■ Μe da quelle pretendendo di rilevare le sorti umane* Nel purificare adunque quel tempio trovaronsi le teste di molle persone uccise ; per fu che i Cristiani di queste facendo spettacolo» e come per pompa mostrandole, aggravando calunnie a calun­nie, al popolo le presentavano per ludibri. Di cbe punti i Pagani-greci, di tale tra si accesero, che, correudo a quanto poteva loro servire di armi , diedero furiosamente addosso ai Cristiani ; e gli uni con le spade, gli altri con le pietre, gli a ltri con clave v gli altri con ogni altra sorta d* istru- meoti uccisero , e alcuui altri ancora crocifìssero* In quauto a Giorgio, strappatolo di chiesa e le* gaio sopra un camello, e messo fu b ran i, fini? rooo coll* abbruciarlo insieme con quell* animale. Giuliano , impossessatosi del Pi m peri o , ed essendo ancora Gentile, prese ad annullare tutte le cose fatte da Costanro, e tutti gli esiglìati richiamò* A tale nuova Atanasio uscì dalla casa delfu don­zella , in cui erasi tenuto celato, e si trovò la notte nella chiesa , e dagli Alessandrini, che so*

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*11 CL&SSS TEJIZ4 ,leooizxavano una festa , fu con molta allegrezza ricevuto, come morto risuscitato.

Gli Ariani ch'erauo nella città, in vece di Gior­gio , crearono fu io vescovo Lucio. Ma Giuliano , che teneva il culto degl' Idoli , faceva pubblica­mente sacrifìcj io Costantinopoli alla Fortuna. Nel qual tempo Mari , vescovo di Calcedonia, fattosi condurre per mano, poiché per la vecchiezza avea perduta la vista , molti rimproveri ed aspri fece all* imperadore apostata. E quegli dal canto suo ricainbiollo con ingiurie , dicendogli cieco e mal­vagio , uè poterlo guarire il Dio G alileo. A cui Mari rispose: Rendo* grazie a Dio cbe mi rendè cieco perchè non vedessi l* impura e tenebrosa tua faccia. Ed allora Gtopiniano e Valentiniano,i quali regnarono dopo di fui , scioltesi le loro fasce le gittarouo ai piedi del tirauuo , dicendo : Prenditi queste fasce e tienti i tuoi ouori ; eccoti pur anco le nostre vite , se vuoi punirne. L* im­peradore adunque deliberò co* suoi consiglieri di cacciare Atanasio , peusaodo che noa avrebbesi potuto rimòvere dalla furo pietà i Cristiani se quel vescovo non si facesse andar luogi da Ales­sandria. Onde uscirono di bel nuovo accusatori, c di bel nuovo ecco capitano e soldati , e di bel uuovo si va in traccia di fui, e di bei nuovo egli fugge, imbarcatosi sopra una nave di nascosto , e ritirandosi nella Tebaide. Segui vaio alla schiena 1* offiziale ; di che essendosi egli accorto , per di­vina ispirazione fece dar di volta al piloto , ed andò incontro a chi lo inseguiva; e quelli i quali erano con esso fui , piangeudo , fu dissuadevano dal ciò fare , onde sé stesso e i compagni non

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esporre a manifesto pericolo. Confidate, disse, e non abbiate timore , chè Dio combatte eoo noi j sicchèU nave veleggiò verso Alessandria. I per­secutori tosto accorsero , domandando se avessero veduto Atanasio fuggire; e que'della nave rispo­sero averlo veduto, e non essere mollo lontano, di modo che se si aÌTrettassero potrebbero rag­giungerlo, Oode noo si fecero altre ricerche. La nave intanto presto approdò ad Alessaudria % e statosi per poco tempo* ancora Atanasio nascosto, accaduta la morte di Giuliano per divina opera , egli con libertùr potè predicare la parola di Dio ed annunziare la fede di salute. Morì Giuliano in Persia , alenai dicendo averlo uccido un disertore persiano, altri alcuno de1 Suoi stessi soldati. Ma è piò probabile , e così credettero · i più , da Dio essere stato tolto di mezzo (t). Giuliano non re-

.STORICI E BIOGRAFI «C C L C S l ASTICI. 325

(i ) Certamente Dio è quagli che dispone della vita e drlla morte degli uomini. È sì notabile i! modesto racconto che della morte di Giuliano fi Eutropio che militava n- Ila sp^lizione di quell1 imperadore contro i IVr«taiii , rhe sarà grato ai lettori udirlo , tanto piò rhr il Compendio della Storia fìomaaa di questo scrit­tore non è alta inano di tutti* Dice rgli nel lib. X , cap. 1 6 : — Alquante città e castella de1 Persiani ebbe a patti, o eoo la forza- Poi , saccheggiala PAssi ria t tenne per qualche tempo piantati gli alloggiamenti '* a Ctesifonte , d'onde ritornando vincitore , menti e con poco riguardo si mescolava coi combattenti , rimase trafitto da mano nemica, addi 36 di giugno delPanno l n 5. —* Aurelio Pittore dice che, tratto negli eguali da un disertore, trovossi per ogni parte incalzato dai Parti i onde } armatosi sol dello scudo * scostossi dagli

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ctàssz 'te&za,gnò che venti me s i, e visse trentun anni. Morto fu i, per consenso di tutto V esercito sali al trono Giovinianot di coi poco fa noi facemmo memoriaj «na noo regnò che otto mesi , e morì in Bitinia. A lui suceedé Valentiniano, propugnatore delfu pietà , e si fece collega nell' imperio suo fratello Valente \ ed avesse pur voluto Dìo che ciò oon fosse accaduto! Ma Valentiniano, trattenutosi sol­tanto* trenta giorni io Costantinopoli, assegnò Γ Oriente a Valente , ed egli sì ritenne 1* Occi­dente e quando egli fu in Occidente, suo fratello, dal medesimo utero uscito, ma a fui infedele, mosse una guerra implacabile alla Chiesa orto­dossa. Incominciò dal mandare in esiglio Melilo * che Giuliano avea richiamato e restituito alla pro­pria sede, e con* Melilo mandò in esiglio molli altri vescovi e i principali del clero, lodi turbò lutto Γ Egitto, e. riempì Alessandria di tumulti e di persecuzione maggiore di quante per fu in­nanzi lessero state. Per fu che temendo Atanasio che si facesse sedizione contro di fui, andò a ce­larsi per quattro interi mesi nel patrio suo mo­numento. Xatiano9 allora incaricato, come prefutto dell'E gitto , delle stragi commesse, e di motto aTea afflitti gli abitanti del paese, fa per divfua

alloggi smentì ch« avrà piantiti, e mentre «enza troppo guardarti intendeva a schierare le truppe per un con- battlmeuto, rimase ferito da imo de1 nemici che era fu fuga, e la notte seguente, per la soverchia effusioneili sangue, morì. Cosa simile racconta dmmiano Mar- <tUino , che si trovò presente a neh* egli , se noa che tace che il funtore fusse nn fuggiasco.

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STORICI z BIOGRAFI ZCC*tSl ASTlCU SlSvendetta* assai presto castigato perciocché, spo­gliato insieme della dignità e <Pogui avere, fu ri­dotto a cercare la limosina , e divenuto cieco 9 tfotto il peso di tanta igoominia fìoì di vivere. A tanti mali per ogni parte estesi si aggiunse un t rem noto universale , che rovesciò motte città, e dieci nella sola isola di Creta. Venne ancora die­tro Cale flagèllo uoa inondazione, che si giunse a navigare ne' luoghi che dianzi erano fabbricati» Per contrario da altri luoghi le acque si ritira­rono , a modo che chi navigava ebbe a trovarsi i n secco· Ma non per questo Valente si corresse* £ perché poi, per Passenza di 5 . Atanasio, tutte il popofu di Alessandria era dolente, e diceva tu» multuariamente.che non solo alle navi da trasporto, tna eziandio agli edifìzj pubblici avrebbe messo fuoco se non avesse a rivedere Atanasio , infar­inato Valente di questo, scrisse che Atanasio an­dasse pure con tutta sicurezza al governo della S u a chiesa. £ come, essendo Pimperadore in viag­gio per Antiochia , venne a morte quelP empio Eudosio , il quale pel corso di diciannove anni a v e a fatta una guerra implacabile ai p i i , ed egli fermossi io Nicomedia $ gli Ariani al morto sosti» tuirono Demofilo, e gli Ortodossi elessero un certo Bvagrto , già ordinato dal B. Eustazio, il quale dianzi prima di Melezio avea presieduto alla chiesa d'Alessandria, discacciato dagli Ariani, indi richiamato dalPesiglio dal pio Joviano , cbe allora #tava in Costantinopoli. Valente, informato di futto,, di buon animo approvò quanto gli Ariani aveano futto » e i sostenitori della pia dottrina 9 c i o è Eustazio , eh' era stato 1! ordinatore di JSV*-

Foziot Voi. IL *5

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c l a s s e t e r z a ,

grio , a mano armato fece condurre ia esiglio a Bizi , città di Tracia , e P ordinato Evugrio ad altro luogo· Fatte queste cose, Tempio Falente si portò ad Antiochia, ove slmilmente infierì contro i p i i , iuventaodo ed eseguendo procedi­menti molto peggiori di questi } perciocché fece morire i Cristiani in diversi modi , e molli fece gettare nel fìume Oronte. Tutto cosi essendo fu iscompigtio in quella spiaggia, dopo molte futte e fatiche , al Signor comuoe , che avea amato, e per amor del quale tauje tribulationi di lieto animo avea patito , Γ atleta Atanasio passò per riceverne la meritata corona » stato nel sacerdo­zio quarant’ anni , o piuttosto in travaglio per la fude ortodossa.

Il libro da cui traemmo le allegate cose sente piuttosto, di negligenza cbe di diligenza } massi* marncote poi in molti capi narra cose nuove, noa riferite da altri ( t ).

(i) Noi crediamo bene avvertire quelli che non eo- d o ì c o d o troppo U storia ecclesiastica «le’tempi ne'quali vissero Atanasio Paolo e gli altri santi vescovi, che som»ii «oggetto de* riferiti Estratti di Fozio , qualmente la buona critica ha già rettificati parecchi fatti qui ac­cennati j lasciando da parte che i leggitori troveranno facilmente'’ còme seppi ire col lóro buon critèrio alta esagerazione' greci , fu ’ tafcte parti da tè medeaiflMt troppo matoftettaatesi*

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STORICI B SIOCRAFI i c c l z s i a s t i c i . 2 3 7

A N O N I M O

TITZ ©z* SANTI

c b e f i o r i r o n o a l t b u f o zpu. g r a n © e A n t o n i o .

È questo un compendio, siccome apparisce, dal^* gran Limonano , come vien detto, ó sia Prato Spirituale , in cui si narrano le azioni del grande Antonio e de* suoi contemporanei , sia di quelli che fìorirouo dopo loro; nella maniera che qoello che s*intitola, Nuovo Orticello % descrive le vite e gli esercizj religiosi de* piò recenti siuo al tempo di Eraclio. Questo libro, diviso in ventidue argo­menti, con varj racconti, espone Putilità d’ognuno d’essi; e il modo di trarnela.

Il Cap. I contiene un* ammonizione onde giun­gere alla perfezione, secondo che fecero varj santi uomini. Il II dimostra il frutto della vita tran­quilla e solitaria. Il III tratta della continenza ; fu quale dice doversi esercitare non solamente net vitto, ma eziandio iu tutti gli altri moti deiranima.11 IV come ognuno debba premunirsi contro i combattimenti della fornicazione. Il V della po­vertà , e come convenga evitare I* avarizia. Il VI della pazienza e della fortezza. Il VII non doversi far nulla con ostentazione. L*YI1I noo doversi giodicare nessuno. Il IX della discrezione· Il X doversi essere sempre sobrio, o sia circospetto. L*XI doversi pregare assiduamente c con atten­zione. Il XII doversi esercitare con ilarità l'ospi­talità e la misericotdta. Il XIII iu segna l*ubb>-

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33$ CLASSE Π Ι Ζ Α ,

dieoza. II XIV parla della umiliò. Il X V della tolleranza de'mali. Il XVI della dilezione. Il XVII di quelli ch'ebbero visioni. Il XVIII de* vecchi ebe fecero miracoli. II XIX della vita di yarj saati padri a Dio grati. II XX Savj detti di al- eooi invecchiati nella vita monastica. II XXI con­tiene i colloqu) vecchi fra loro intorno alle pro­prie considerazioni. II XXII ed ultimo contiene le sentenze di Esichio, prete gerosolimitano, con fu quali termina questo libro , utilissimo quanto ogoi altro a tutti quelli che la furo vita confor­mano al desiderio di procacciarsi Γ eredità del Cielo. L*a ut ore usa la chiarezza che avea promessa, e nel rimanente si comporta nella maniera piò atta a farsi intendere da quelli che non badano alle parole, ma sivvero pongono ogni furo studio e sforzo io operare.

GIOVANNI MOSCO

P»ATO, o S U HUOVO OSTICZLLO.

,00 Questo contiene trecento quattro racconti ; ed anch'esso ò un libro che principalmente guida alla ▼ita monastica, e tratta a\in di presso fu stesse cose ehe il Prato Spirituale» di cui si è parlato di so­pra ; se uon che raccoglie i detti e i fatti di quegli nomini che vennero dopo i mentovati in quello ; cioè che dall* epoca nel detto Prato fiorirono, e piò si distinsero io virtò sino all* imperio di Eraclio.

L ’autore chiamò il suo libro Prato ; ed alcuni fu ebiamano Nuovo Orticello. Fu quest'autore u u

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s t o r i c i e b i o g r a f i e c c l e s i a s t i c i . 3 3 9

eerto Giovanni f soprannominato M osco, il quale da prima diede uo addio al mondo nel monaste* rio del beato Teodosio ) poi visse con que* mo­naci che stavano nel deserto presso il Giordano v imitatori del grao Sabba. Per questo ito alle spiagge di Aotioehia, o alla città d’Alessandro, e al deserto prossimo, e iodi fino alPOasi, raccolse i fatti egregj di m°lti e grandi uomini f parte da lui medesimo osservati, ■ e parte uditi da quelli ch'era00 io que4 luoghi. Altre cose ricercò, e co­nobbe Delle isole, a cui approdò navigando verso Roma, delle quali arricchì questo suo libro che de­dicò a Sofronio, o Sofrona, suo discepolo, e glielo offre oel momento che sentivasi già vicino a cam­biare la presente vita in altra migliore.

Quest*opera è scritta eoo dicitura piò umile, e piò rozza delPaltra. Troverai poi non io tutti gli esemplari sussistere il numero medesimo de* rac­conti , in alcuni estendendosi questi sino a tre- centoquarantadue ; il che vuoisi derivato , o dal- Tessersi fatta uoa divisione di cose cbe dianzi erano unite , o daiPavervi qualcheduno aggiunto Cose che Pautore non avea scritte. Egli è però certo cbe ogni beo disposta persona, amante di Dio, ne trarrà frutto; e noo dorrassi della troppa prolis­sità di questo scritto.

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CLASSE TZtZA ,

F I L O N E G I U D E O

s u MODO n i VfVERS BEGLI 15SEK J

a DEI TZlàPZOTU

ioa Furono questi uomini che presso ΐ Giudei vi- veaao vita filosofica, o contemplando, o operan ‘o.I secondi furono gli Essenj, e i Terapeuti i primi. E questi uon solamente edificarono monasteri , ma diedero anche la norma di vivere a quelli cbe al presente vivono solitari·

FILONE GIUDEO

QUO tMTBRATOBZ a WLkCCO K lfltSI.

io5 Sooo due opuscoli distinti; e in entrambi, più che nelle altre sue opere, Filone mostra maggior furza di dire, e venustà. Pecca però noo di rado n$l trasmutare le idee, e nel descrivere fu cose alieoe dalla setto giudaica.

Fiori al tempo dell*imperatore Ga/o9 a cui dice d'essere andato in deputazioue per fu sua uasioue, regnando nella Giudea Àgrippa.

Girano varj altri opuscoli di fui, in cui con* tengoosi quistioni per fu piò. intorno ai costumi , e spiegazioni dell’ aulico Testamento, nelle quali travolse frequentemente la lettera stessa a senso allegorico. Ed io credo che dal fatto di lui sia dèrivato uella chiesa tutto il senso allegorico cbe si dà alfu sacra Scrittura. Narrasi che Filone, ini-

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s t o r i c i z b i o g r a f i r c c l e s u s t i d u 2 5 1

sialo anche oe*mister) cristiani, da essi infioe con qualche dolore e sdegno disertasse. Che dianzi ito a Roma, regnante Claudio, si era imbattuto fu 8. Pietro » principe degli apostoli , ed avea con­versato con lui famìgliarmente ; e da ciò essere poi accaduto ch'egli facésse menzione, ed elogio dei discepoli del S. Marcof evangelista, discepolo di S. Pietro. Imperciocché, dicesi, egli ' narrò ai Giudei come quelli veveauo vita fìlosofìca , ehis» mando mona ster j le furo abitazfuni, ed aperta*-# mente esponendo la loro vita, consistete essa nella meditazione, nel digiuno e nella preghiera, intanto che niuna ricchezza possedevano.

Filone traeva l'origine sua da sacerdoti ; ebbe Alessandria per patria; e presso i Greci salì in tanta celebrità di eloquenza, cbe per proverbio si disse comunemente : o Platone fiionUza, o Ftlotte piatofiizza.

EUSEBIO DI PAMFILO

LI141 x 01 STORIA ZpCLZSi ASTIO*.

Egli comincia dalla nascita di Cristo* nostro vero C. Pio, e proseguendola accuratamente pei tempi dei tiranni la conduce sino al regno di CostentinQ. il grande » trattando cpn singolare diligenza fu cose Sotto di fui seguite nella chiesa, e quelle che dal medesimo furono ordinate e decretate.

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C L M S I T M U ,

EUSEBIO DI PAMFILO

u s t i »v DELLA VITA DI COSTAITTlirO IL GRAND Ζ .

137 Leggessi i quattro libVi encomiastici delfu vita di Costantino il grande* imperadore,* scritti da Eusebio di Pamfiio. Essi contengono intorno a questo personaggio non solo quanto riguarda il suo tenore di vivere, incominciando dalla prima età di lui , ma eziandio tntto ciò ch'egli fece di appartenente alla storia ecclesiastica , sino al fìoe di sua vita , che giunse all* anno sessantesimo· quarto.

Anche in quest*op^ra l’autore è simile a sé me­desimo per ciò che co n c e r n e la dicitura, se uon ohe va dando alla orazione alcun che di splendido, e le voci che usa tendono a certo genere fiorito s poca giocondità e grazia però adopera, conforme pratica negli altri suoi, scritti. Notisi ancora cbe va iu questi quattro libri nfereodo molti passi tolti dai dieci suoi libri delia Storia ecclesiastica.

Narra egli dunque cbe Costantino fu battezzato iti Nicomedia; e ohe differì sfuo a quel punto, avendo sempre desiderato di farsi battezzare nel fiume Giordano. Non nomina per altro chi Io battezzò/ Similmente nulla affatto parla della eresìa di Arto « uè dice se Costantino mai la seguisse, né se (‘abjurasse; nè-se buona, o cattiva fosso L'opinione di Ario. E tien silenzio di queste cose iutanto -che necessità pur v*era di .parlarne, poiché tra le cose fatte da Costantino fu appunto il grande concìlio, che allora si convocò, e che quel conci·

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S t o r i c i % b i o o r a * i s c c l b s i ì s t i c i . *53 lio esigeva una storia esattissima di quanto si fece in esso. Parla egli però della discordia nata fra Ario ed Alessandro» col nome di discordia chia­mando egli, e velando 1* eresia , dicendo esserne stato il piissimo imperadore dolentissimo ed avere procurato tanto con una sua lettera, quanto per mesto di Os'o, vescovo di Cordova, di far cessare la con­tesa * e riconciliare insieme i dissidenti. Il che non avendo ottenuto, radunò poi da tutte le parti il concilio (d i Nicea) e ristabilì la pace. Queste cose però Fautore non le scrive nè diligentemente» né chiaramente. Oode sembra che per vergogna non abbia voluto pubblicare né il torto di Ario « nè il decreto contro di essi emanato dal concilioi onde non mettere ia luce oè i compagni dell’ er­rore di Ario* o la giusta veodetta presa contro gli espulsi, nè molto piò quelfu che ogni occhio vide presa da Dio sopra ^rio medesimo (i) . Nulla adunque rammemorando di questi fatti, uon tocca se non leggermente e di solo passaggio la storia di quel concilio , e di ciò cb’esso fece. O ode av­viene, che doveudo parlare del divioo Euitatio (a), non fu nomina nemmeno * tanto poi é fungi che narri le trame audacissime contro fui ordite, s di fatto eseguite. Per fu che riferendole unica­mente alle discordie » e a t tumulti iu generale .a quel tempo accaduti » la traoquillilò poi acconta

(1) Qui allude Fozio alla violenta morte di drio ; qnale fu supposta come miracolosa', e che oggi i più dotti nella storia rigaardano non' rettamente com­provata.

(a) Questi fu vescovo d’Àntiechia.

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a 3 4 c l a s s e t e s s a ,

di qife'vescovi, i quali dietro gli eccitamenti det- Γ imperadore adunatisi in Antiochia, ristabilirono fu pace. Similmente ove prende a raccontare quanto perversamente fu operato contro quel grande atleta Jtanasb) dice hensi che Alessandria fu di nuovo piena di sedizioni e di rumori ) ma tutto poi essere stato quietato dalli presenza de* ve scovi che sull'au­torità deirimperadore-appoggiavanii, senza dire io* tonto né chi eccitasse la sedizione, né quale essa si fosse, nè in che maniera altri sedassero i contra­sti: E si osserva che questi ogni volta che se gli presenta proposito di parlare delle differenti opi­nioni de* véscovi sopra articoli di fede , o d’altre dissensioni insorte, cou lo stesso avvedimento, tiene nella sua narrazione la medesima riserva.

FILOSTORGIO

UBA! X tl W STO*! A z o o l e s i a s t i c a .

1 1 Filostorgio fu* ariano. Egli riferisce quasi tutto al contrario le cose narrate da tutti, gli storici ec felesiastìci; loda al cielo quaoti eraoo iofetti d'a* nanismo, e copre d* ingiurie gli Ortodossi. Così l'opera sua può dirsi nou tanto uua storia, quanto tm panegirico degli eretici, unito ad una mera e nuda vituperazione' de’ cattolici.

Grazioso è lo stile di costui, e pieoo di frasi poetiche, dispiacevoli* nè ingrate; e i suoi tropi, come certe sue parole significative , hanno assai buon garbo e dilettano. Nulladimeoo alcune ▼olte ue usa di sì inconsiderate e sforzate che il suo discorso riesce freddò ed inopportuno. Adorna

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STOftlCl z BfOGlUFl ZCCtESlASTlCI. ^35poi Torezione sua in tonto maoiere che dà quasi in eccesso, a modo che chi legge, senza avveder- sene cade in certo oscurità , la quale non sempre gli reca piacere. Molte volte però é sentenzioso senza essere grave.

Fdostorgio dà incominci e mento alla sua storia con la prime mosse di Àrio verso l'eresia, e tira innanzi fino al richiamo di Aezio* uomo di somma empietà. Ed è noto che cotesto Àezio. superando nella empietà quegli stesti che pur sostenevano la

-stessa eresia, come a malgrado suo Vìa tesso Filo· storpio confessa, fu tolto della saa sede, e poscia richiamatovi dall* imperadore Gtuiinnate da questo umanissimamente accolto e traitelo* Questa sua storia, che in un volume solo contiene sei libri , é coadotta sino al presente tempo.

Filostorgio è scrittor mendaces non risparmia -favole, ed altamente fuda A ttio ed Eunomto% mas­simamente a cagione della loro dottrina, parlando d’essi come i soli che, per avventura, abbiano ri- purgati i dogmi che col progresso de* tempi erano restati contaminati t in cbe mirabilmente si dimo­stra bugiardo. Così ancora loda per prodigi fatti, e per tenore di vivere, Eusebio vescovo di Nico­media eh*egli chiama Grande * e Teofilo indiano e parecchi altri. All'opposto riprende come iutol- fura oda fu severità di Aeacios vescovo di Cesarea di Palestina, e come inespugnabile la furberia di lu i s eoa le quali arti egli diee ohe quel vescovo giunse a prevalere sopra tu tti, non tanto del suo partilo, quantunque vicendevolmente si odiassero, quanto del partilo contrario· φ ύ abbiamo letto della sua opera»

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l X 6 C L A M I T E SSA ,

Poco tempo dopo si sono trovati in altro volarne f rimanenti sei libri, cosicché pare che tutta l*opera ne contenga dodici. Ed è notabile che le lettere · con le quali ognuno di cotesti libri comincia, se si uniscono insieme, vengono a formare il uòmo tdi Filostorgio, Io questa egli si condusse fino ai tempi di Teodosio il minore, e finisce quando, morto Onorio % Teodosio lasciò fu scettro dell’ imperio romano a Pai enti mano il minore, figlio di Piaeidia e di Costantino, e engino suo.

Quantunque poi FUostorgio fosse furibondo con* Irò gli Ortodossi , osservasi non avere egli avoto ardimento d’attaccare Gregorio soprannominato il Teologo, di cui a controcuore esalta la dot­

trina. Ma egli ha cercato di calunniare il grarn Basilio, il cui nome però co9 suoi stessi sforzi è venuto a rendere piò illustre, essendo stato co­stretto dalla stessa evideoza delle cose a confes­sarne la forza e venustà d'azione ne' Panegirici» Però é da dire, come vigliacco, egli non teme di chiamarlo temerario poiché, mal pratico, come egli dice, della eloquenza disputatrice, ebbe ardimento di combattere con iscritti Eunonico.

GIOVANNI PRETE

&1BM v ZP1 s t o m a e c c l e s i a s t i c a ·

C. 4i Questi incominciò la sua storia dal regno di Teodosio il minore, e dalla eresia di Neslorio* o cacciata di costui dalla sede che occupava » e fu prosegui fino a Zenone, e alla depositione di Pie* trof eretico, il quale con male arti avea occupato

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storici s iio ciu ri zcclzsusticu η η la sede di Antiochia· Chiaro e fiorito è fu stile di questo scrittore \ e discute diligentemente quanto riferisce intorno al terzo concilio cbe fu celebrato fu Efeso, e .il couciliabofu ivi pur tenuto, dopo chiamato l'assemblea de* pirati e de* ladroni t il quale conciliabolo nondimeno questo prete Gio* vanni tiene per divino , come tiene per tale e Dioscoro> che ne fu presidente, e i seguaci di co­stui· Narra similmente quanto riguarda il concilio calcedonese ,· ma nou senza ingiuria e calunnie. Il perché è luogo ad argomentare che di questa opera è autore quel Giovanni prete, egeate, il quale come eretico scrisse contro il concilio cal- eedonese. Questa storia è divisa in dieci libri , come l* autore dichiara $ ma non mi è avveouto di leggerne che cinque, quali contengono, conforme ho già accennato, gli avvenimenti seguiti dalla eresia di Nestorio fìno alfu deposiaioné di Pietro eretico.

BASILIO DI CILICIA

usai IU OZLLA STOftIA ZCCLlSlastica.

Questi prende i neom ine lamento dalla morte di C, fa Simplicio % vescovo della eittà di Roma, il quale scrisse ad Àcacio di Costantinopoli , perchè non avesse a tener comunione con Pietro detto A/ongo,il quale allora corrompeva Alessandria. Questo Pietro pubblicamente , e io chiesa condannava >1 santo concilio tenuto in Calcedonia. Àcacio da principio s*alzò anch'egli contro colui ; ma poscia non csseodosene distaccato, presso molti cadde in

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a38 classe rzazA,

riputazione di eretico * e dai Romani fu tolto de l la sua sede: affare trattatosi poi di nuovo sotto il regoo di Zenone,

Preode adunque Basilio principia dall* accen­nata epoca , e viene sino alla morte dell* impera­dore Anastasio che, siccome egli scrive, regnò ven­tisette anni e tre mesi, ed ebbe a successore, se­condo che Basilio medesimo referisce, Giustino il Trace \ del qual Gtusttno termina 1* opera, appena tocca Pelezioae 4 e tutto questo contieusi nel primo libro.

Accenna poi d*averoe scritti altri due, il primo, e vii terzo, in quello narrando gli avvenimenti se­guiti dal regno di Marciano fino al regno di Ze» none\ d’onde diede principio al secondo, nel terzo ponendo il fine del secondo cominciando dai tempi di Giustino,

In quanto allo siile di questo scrittore, esso uonlo ha molto accurato; e di quando io quando lo ha disugualissimo. Usa egli poi recare le lettere vicen­devolmente speditesi dai vescovi ; il che fu, com’egli dice, per dare maggior fede a quanto narrai ma uo tale metodo ba latto immensamente crescere il volume; e in tanta massa di parole trovasi ap­pena alcun che della storia che intendeva presen­tare. Oltre ciò per le tante cose che frammischia, è tolta ftlla narrazione fu debita chiarezza·

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STORICI Z BtOOZAFt ECCLESl ASTICI

LUCIO CARINO

FEftKPDl DEGLI APOSTOLI.

Abhrsocia gli atti di Pietro, Giovanni, Andrea, C. JTommaso e Paolo. Disuguale e varia n*è la dizione i ed usa costruzione e voci talora non ubjetto , ma per lo piò forensi e comunissime. Egli é poi loutaoo assai da quello stile naturale, eguale e spontaneo, che veggiamo negli evangelisti e negli apostoli.In quanto poi alla cose che dice, molte ne ha di stolte, molte di contraddittorie. Asserisce altro es­sere il Dìo de1 Giudei che tiene per cattivo, e di cui dice SimoneM ago, essere stato ministro; altro essere Cristo che fa buono. E confondendo e cor­rompendo tutto , lo ' chiama ti padre che figlio. Dice poi non essersi già- fatto uomo , ma sola­mente essere comparso tale; e sotto diverse forme essersi sovente fatto vedere a* discepoli, vale' a dire ora come giovane, ora come vecchio, ed ora come fanciullo; ed anche alcune volto d'alta sta- tura, alcune altre di bassa, e in fìue aoche sì graode da toccare il cielo con la testa. Aggiunge intorno alla croce chiacchiere e sciocchezze molte; né vuole egli che Cristo fosse alla medesima ap­peso, ma altra persona in vece sua; e che poi di fu si burlasse di quelli che creduto aveano di aver crocifìsso lui. Carino rigetta anche i inatrimonj legittimi, e reputa ogni generazione cattiva, e pro­cedente da cattivo principio; e fu quanto ai demonj tic spiega la formazione io diverso modo da quello che si tiene. Covi de* morti uomini* buoi e giumenti

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>4o e t a s s e t s i z a ,

immagina capricciosamente risurrezioni assurde e puerili. Negli atti de! S* Giovanni riprova fuso delfu Immagini con gl4 Iconoclausti. lo somma tutto quanto questo libro contiene iaezie senza nu­mero, e mal pensate cose, maligoamente supposto0 false ; anzi stolte affatto, e tra loro contrarie i e dirò infine empie e detestabili al segno cbe chilo dicesse fonte ed autore di ogni etesia uoo an­drebbe per uulfu lontano dalla verità.

C R I S I P P Q

PRETE DI GERUSALEMME.

sToaiz ni o a m a l i z l z z or h i c o o z m o .

i In questa storia é -detto che Gamaltele, maestro nella legge di Paolo, credette, e fu battezzalo, che Nicodemo* prima amico notturno di Cristo, fu di­ventò anche apertamente di giorno, ed ebbe fu corona del martirio. L ’autore fu dice anche cugino di Gumaliele· Aggiunge poi Puno e Peltro essere stati battezzati da Giovanni e da Pietro % insieme ad Abibo* figliuolo di Gamaliele. E narra come avendo1 Giudei saputo che Nicodemo si era futto battez­zare* lo percossero a modo che dopo pochi giorni ebbe a morire. Così leggevasi in un Codice che questa storia attribuiva a Crisippo , prete di Ge­rusalemme, 11 quale in un panegirico 4 i Teodoro* nartire, di passaggio parlò di certo Luciano* prete anch'egli delfu medesima chiesa, nel tempo cbe •'era vescovo Giovanni,

Dicasi che qitosto Luciano in uoa certa noti*

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s t o r i c i b B i o c H t r i i c a t s u s T i c i .

non però sognando, imparò fu cose meotovate ; e glie le rivelò tutte Gamalieìe medesimo, fattovisi presente s cioè essere vero che Gamalieìe dai so· p rad detti apostoli fu battezzato con suo figlio Abiba, e fu riposto nella stessa arca. Parimeote che Ste­fano* protomartire, fu seppellito in una teca dalla parte di levante ; e a* suoi piedi fu messo in ua* alita cassa Ni co demo. Disse poi e da chi, e sotto chi soffrì martirio, e che Parca vicina contenevail corpo di lu i , e di suo figliuolo. Gamalieìe or­dinò a Luciano cbe noa lasciasse per trascura* tozza guastare al sole, e alle piogge quelle reli­quie. Del resto essersi ivi udito tremuoto; e molte specie di malattie essersi cullate per opera mas- simameate della teca del Protomartire.

S O C R A T E

LIBRI VU D» STORIA ECCLESIASTICA.

Attacca la sua narrazione a quella di Eusebio, principiaodo però dal regno di Costantino; e fu termina giungeudo ai tempi di Teodosio il minore»

Socrate frequentò le scuole di Ammonio e di Elladio% ambedue grammatici d’AIessiindria; e fin da fanci u^o ebbe i rudimenti di letteratura da maestri etnici, fuorusciti del loro paese per avere avuta parte in una sedizioue, e rifuggitisi io Costantinopoli. Quest’opera contiene i fatti acca­duti nel corso di ceuto quarantanni che ha com­presi io vu libii. Il suo stile oon è molto splen­dido; nè è uomo grao futto accurato nelle mate­rie dogmatiche.

Fotio, F o l IL 16

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c l a s s e t e r z a ,

EVAGRIO SCOLASTICO

LIBRI VII 0 1 STORIA ZC CLZSlA STIC f,

Egli era nativo di Epifania, città della Cefusiria, ed ero stato goveroatore di proviocia.

Iocomincia la sua storia dove finiscono quelle di Socrate e di Teadoreto, e fu conduce sino al dodicesimo a o d o del regoo di Maurizio , impe­radore. Non dispiace il suo stile, quantunque di tratto in tratto pecchi in certo modo di ridon* danza. Quello che ha di particolare si è ch’ egli è più accurato di tutti gli altri storici riguardo alfu verità dei fatti t all’ opera sua egli ha aggiunto alcuni esemplari di ritratti.

ERMIA SOZOMENO

LIBRI IX 01 STORtA ECCLESIASTICA.

Fu di Sa lamina ; e dedicò Peperà a Teodosio il minore· Egli la incomincia dal consolato di Crispo% e di suo padre Costantino*e la conduce sino al regno di Teodosio il minore» Sozomeno era stato professore di diritto in Costantinopoli. A paragone di Socrate ha migliore stile; e in certi racconti differisce da fui*

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STOBlCl X BlOORATl SCCtSSUSTICW tifò

TEODORETO

fclBB! V n i STORI* e c c l e s i a s t i c i .

Questo scrittore in paragone di tutti i nominati fin qui è quegli che ha stile più appropriato alla storia. Egli fu ha chiaro e grandioso, e senza ri­dondanza veruna. Se non che però è giusto dire, che qualche volta asa traslati tanto arditi, che si direbbero centro il buon senso. Ha poi di partico- fure , cbe più diffusamente degli altri espone le cose relative al secondo coocilfu, mentre gli altri ne parlano come per accidente, e ~quasi* a furo malgrado. Vero è però che nemmeno egli dice partitamente tutto.

Teodoreto incora io ciò fu sua storia dalla eresia di A rio , e fu proseguì anch egli sino ai tempi di Teodosio il minore , terminandola alla morte di Di odoro, quando in Costantinopoli era patriarca Stsinnio.

G I U L I O AFRICANO

s t o r i a s o a l t s s o f z r s .

Q uesta Storia è compresa -in quattordici libri t l ’autore è conciso i ma però non omette cosa ne­cessaria a sapersi» Incomincia dallit creazione del mondo, come l’abbiamo da Mosè 9 e viene sino alPapparire di Cristo, fi re vomente anche comme­mora la oose avvenute dal tempo di .Cristo sino a quelfu dell* imperadore Macrino ) dicendo egli

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244 c l a s s e T i a x A ,

medesimo d'avere allora termìaata eotesta soa Cronaca, abbracciente fu spazio di cinque mila settecento ventitré anni. L' opera è compresa in cioque volumi.

Giulio Africano scrisse anche ad Origene in­torno alfu storia di Susanna , rendendo ragiooe del perché essa non leggasi ne' libri degli E b rei, e dimostrando con la cilaziooe di alcuni passi com^ vi sieno espressioni affatto eoo tra rie alle frasi pro­prie dello stile ebraico. Origene fu confutò»

Giulio Africano scrisse anche ad Aristide per dimostrare noo sussistere la differenza che appa­risce circa fu genealogia del Salvatore ne' due evangelj di Matteo e di Luca*

FILIPPO SIDETA

LlBBl XXlT DI STOftU CBlSTlANA.

Egli incomincia : In principio Dio creò il cielo é la terra ; e prosieguo con la storia di Mosè9 alcune cose d'essa toccando brevemente , altre trattando con ampiezza, e diffondendosi in molte parole. Il primo‘ libro é compreso in ventiquattro volumi, e così pure gli altri ventitré libri che sono quelli i quali finora ho veduti. Quest'autore sì perde in un profluvio di chiacchiere seoza urbanità e senza grazia, onde ristucca e nausea ; e certamente poi ha più dì ostentazione che dì utilità. Vedesi inoltre una quantità dì cose inserite in quest'opera, fu quali nuli' bau che fare con la storia, di modo che si direbbe, anziché storia, una farraggine di materie affatto estranea j tanto fuor di proposito

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STORICI X BIOGRAFI ZCCLKSl ASTICI. 3 { 5

accumula cose! Fu il Sideta emulo di ?ììì««io e di Proclo, vescovi di Costantinopoli) e nello scri­vere questa Storia soveute pizzica Sisinnio a motivo, per quaoto dicesi, che meotre quegli concorreva con essolui, e poteva superarlo io fatto di eloquenza, Shinnio gli fu preferito nella sede ps tri a reale.

SERGIO CONFESSORE

s T O R I A.

Principia dalle imprese dell’ imperadore MtcheÌe,C.ty riassumendo gli empj fatti del Copronimo. Ordina­tamente poi prosegue a narrare fìno «1Γ a uoo ot­tavo di Michele, quaoto questi fece all* imperio e nella chiesa, tutti accuratamente espooendo i fatti militari di lui, e i sentimenti ch'egli ebbe intorno «Ue cose diviue.

La sua dicitura è chiarissima, e libera da or* samenti affettati, o si riguardi il significato delfu parole , o si consideri la compos iziooe, e tutta la disposiziooe delle cose discorse. A tal chè pare ch’egli abbia parlato all’ improvviso, veggendosi l'orazione sua piena di naturale venustà senza in­dizio di soverchia eura iu cercare forme studiate·Con che dee dirsi che ha tenuto la vera maniera che conviene alla storia ecclesiaatica»

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* 4 6 CLASSE TZIZA,

G E L A S I O

VESCOVO DI CESAREA DI PALESTINA

LIBAI III DI ST OBlA e c c l e s i a s t i c a .

C. 88 In questi tre libri si aoouoziano in forma storica fu cose seguite nel coocilio niceno. L ’ autore rife­risce cbe v* intervennero Osio, vescovo di Cor* dova , e i sacerdoti Bilone e Vincenzo, come le­gati di Silvestro* papa romano* Eustazio % patriarca dfAntiochia, io persona, e4 Alessandro, prete , in qualità di legato di Metrofane costantinopolitano, che per la sua decrepitezza, avendo egli oltrepas­sali i cento anni dell* età sua , non potè interve­nirvi* Vi fu pure Alessandro , patriarca di Alès- sandria , insieme con Atanasio, che a lui poscia succedette nel vescovado; ed oltre questi M aca­rio* vescovo di Gerusalemme, con una moltitudine di vescovi e di sacerdoti. Dice quel concilio essere stato convocato 1* aono decimosesto del regno di Costantino i e le sue sessioni essere durato Qno all* anno ventes imoprimo e la. metà del ventesi- mosecondo del regno medesimo, cosicché i padri vi stettero sei auui.

Riferisce esserne stato cacciato Ària » e fulmi­nato di scomunica ; ma poi avere cercato di ot­tenere d* essere di nuovo accettato , mediante i replicati tentativi di Eusebio, vescovo di Nicome­dia, e di Eutocio, ariano, ordinato prete, il quale Costanza , sorella dell* imperadore , avea racco­mandato al fratello. Ma non ostaute che questi

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CTOftlCt X »100**71 ecclesiastici, tanto sì odoperassero per Ario, la vendetta di vìna non permise che quel nemico uomo insultasse fu sua Chiesa entro il tempio e nel più secreto sa­crario della medesima; poiché volle ansi che» ca­rico della fulminata sentenza , termioasse la vita olla latrina , in quello stesso giorno in cui egli e i seguaci suoi aveano stabilito di profanare col ritorno di fui e la chiesa e i santi ntisterj. La morte di lui accadde poi in luogo pubblico, dap­poiché quelfu latrine » in cui fìnì fu vita , erano prossime al fòro. Scrive l'autore cbe Costantinoil Grande fu assai lieto cbe Dio, giudice integer· rimo, òosì sciolta avesse ogni controversia , e che scrisse lettene a varie persone , propagando con esse fu giusta vendetta caduta sopra Ario , ser­vendo esse come d'iscrizione lapidaria. Di tafu maniera il racconto di colesto scrittore si con­forma a quauto dissero e il grande Atanasio , e Teodoreto , e molti altri ; perciocché ad alcuni parve di dire che si obbrobrioso ffue di Ario succedesse non ai tempi di Costantino il grande ma quaodo regnava Costanzo, suo figliuolo. Que­sto è ciò che contenevàsi in quel libro. In u n a U tro esemplare, che pur d ic e v a le medesime cose , trovai posto al Kbro il titolo di Gelasio , vescovo di Cesarea di Palestina. La dizione poi presenta uno stile umile e basso più di quelfu che a|fu materia decentemente convenga. Ma chi sia que* sto Gelasio » non potei saperlo di certo. Di tre Gelasf fio qui , vescovi di Cesarea di Palestina , che non possono distinguersi tra loro , o almeno di due, leggemmo i libri, uno de* quali è intito­lato; Contro gli Anomei ( eretici ), e gli altri due

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9 4 $ CLAISZ TERZA,

contengono fatti ecclesiastici, di uuo de* quali ab­biamo noi ora di passaggio fatta menzioue, il cui titolo» ove noi fu trovammo scritto, è quello che dianzi riportammo , cioè : Libri H I di Storia ec­clesiastica di Gelasio , vescovo di Cesarea di Pa- testina. Questo incomincia t Ciò che nel santo , grande ed universale Concilio di vescovi, congre­gato da tutte, per così dire » le province delVorbe romano, e dalla stessa Persia, ecc. Termina poi alla morte di Costantino il grande, quando, rice­vuto il divino lavacro di remissiooe de* peccati, purgossi delfu macchie che nella vita avea dovuto, secoudo la comune sorte de* mortali , contrarre* Assicura egli poi che quel priocipe ebbe il bat­tesimo da uo sacerdote ortodosso e secondo i sa­cri riti , e non g ià , come biconi scrìssero , da alcun eretico; aggiungendo che iotanto Costantino avea procrastinato per tanto tempo a Carsi bat­tezzare, poiché era suo desiderio compiere questa cerimonia nelle acque del Giordano.

Questo autore auuunzia d'essere vissuto sotto Basilisco , il quale , cacciato Zenone , occupò il trono-imperiale } e d* aver letto gli atti del conci­lio, scritti in membrana antiche, mentre trovavas* ancora nella casa paterua *, e così da quelle me­morie e da altri scritti raccogliendo quanto oc­correva , poscia avere composta la sua storia. R i­corda inoltre e loda alcuoi detti di certo Gelasio9 eh* egli chiama anche Ruffino. Egli si dà per na­tivo dì Cizico, ed accenna avere avuto per padre euo de* preti di qnella città. Così parla lo scrit­tore di questo libro, e queste cose rammemora il libro stesso»

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STOBICt X BIÒGRAFI S CCLSSUSTICT.

Proemio di Gelasio , vescovo di Cesarea di Pale­stina * in aggiunta alla Storia ecclesiastica diEusebio di Pamfilo.

Il secondo libro ( delle Cose ecclesiastiche ) di Qt eui parlammo di sopra, ha il seguente titolo^ Proemio del vescovo di Cesarea di Palestina so­pro le cose che si aggiungono qlla Storia ecele· siastica di Eusebio di Pamfilo; ed incoìniocia coti: Tutti quelli the si rivolsero a scrivere , adendo stabilito di tramandare ai posteri le storte dellè cose succedute , ecc.

Egli dice d'avere avuto per zio Cirillo, vescovo di Gerusalemme, il quale lo animò a scriverò queste cose. Altrove poi trova*! che Cirillo* insieme con questo Gelasio, tradusse in greco la storia di Ruffino romano, e non già ne scrisse egli uoa sua propria. Certo è cbe, ritenuto questo Gelasio per contemporaneo a Cirillo di Gerusalemme, egli fu di età maggiore di fui , e la maniera di diro ebbe differente * comeché entrambi sieno in ciò inferiori d'assai al Gelasio che scrisse contro gli Aoomei. Il quale s*intitolò anch'egli vescovo della chiesa medesima in Palestina , e che e nella d u zione, e nella varietà della dottrina , e nelle logi­che argomentazioni , delle quali cose però pare , qualunque ne fosse fu ragione, che nou facesse il miglior oso che poteva, gli altri due si lasciò di luoga mano indietro. Se poi alcuno d*essi seri* tesse medesimamente queste cose , ed opportuna- mente fu raccogliesse, e ve ne aggiuogesse altre, questo è quelfu cbe io con bo aocora potuto sapere.

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GELASIO DI CESAREA S i PALESTINA

MBftO CONTRO GLI ANOME1.

Lo scrivere dì fui uon è per nulla ridondante » ma grave e veemente, e pieno di voci attiche , e assai diligentemente fortificato con assiomi e con raziocfuj \ sicché per ogni verso riesce illustre. Tutlavolta cade bassamente in troppe puerilità, e fa la fìgura di un ragazzo che allora allora in»* parato avesse le summole della logica) oltre di che abusa anche delle voci che adopera. Di che egli si scusa , ma stato sarebbe meglio a non impe* gnarsi a scrivere ciò di che sentiva dovere scu­sarsi di poi * Io stesso ordine che in questo suo libro tiene, non va esente da giusto rimprovero.

Unito a questo libretto erano anche varj argo­menti di Diodoro Tarsense intorno allo Spirito Santo , ne* quali si* fa vedere fìn d* allora infetto degli errori di Nes torio,

GIORGIO VESCOVO ALESSANDRINO

OSMiA VITA ΧΡΒίι B* CRISOSTOMO.

C.96 Quest’ opera è intitolata: imprese del B . Griso· Storno. Chi poi sia questo Giorgio , io non so dirlo. Certo è che la dicitura sua ' è semplice , eil suo stile cade molto basso , né usa diligenza afuaoa in costruire i nomi e le parole ; cosa che pur noo isfugge ai meno letterati. Egli ha com- posta questa Vita togliendo quaoto per l'argomento

s 5 o CLASSE TESSA,

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STOIICI « SIOOliFt ZCCtZSUSTlCT· a5 f

uno ha trovato in Palladio vescovo, che in formo di dialogo egregiamente scrisse le cose del Cri­sostomo > e io Socrate » e in altri ehe del Criso­stomo parlarono.

Adunque il gran Giovanni nacque presso Ao- t iochia da nobili genitori , Secondo ed Antusa* Milesio* Armeno, il quale allora governava fu chiesa antiochena » istmi nella salutare dottrina que* due, che prima seguivano il culto de* Gentili» e li rendette atti a ricevere il lavacro del batte­sim o, beo istruito però innanzi e battezzato il loro figliuolo. .Giovanni mandato a scuola, fio da ragazzo mostravasi sommamente modesto ed umile* onde non laseiavasi ammollire, siccome è uso dei giovanetti pieni di ricchezze e di boria, nè per- metteva-cbe questi gli facessero corte t sè soste­neva neppure di farsi portare da cavallo· Indi in Antiochia attese egli studj della grammatica o dtUa .rettorie* sotto Libante* e sotto Andragatio a quelli delfu filosofìa'. Motto il geoitore , mise ogni cura io confortare co* suoi discorsi fu madre ;.ed astenendosi da tutti i divertimenti e da tutti » piaceri , nel solo stadio delfu buone disciplino mise il suo animo.

Laonde recatosi ad Alene per vie piò perfezio­nare riogegao, cosi aodò innanzi in breve tempo a tutti gli altri, che Àntemio , il quale allora era ivi' sacerdote di Minerva* n’ebbe invidia » essendo fino allora riputalo primo tra i sapienti. Qufudi avvenne che il governatore stesso di Alene, chia- maio Demostene , questo sapiente Giovanni con «pollo odore .chiamava a sè , a cui per altro egli andava eoo molta modestia ed umiltà. Ivi venuto

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35s et issa TsizA,a discorso con jintemio* Giovanni gli restò sop e- riore noa solo in dottriaa ed in intellrgeoza , ma eziandio in pietà ; e allora fece egli il suo prim e miracolo, poiché coovfuto Antemio dal divioo parlare e dal pregare di Giovanni t ne parti per andare dal vescovo di quella città a farsi b attei· a u r e con tutta la sua famiglia* Il governatore poi, ehe già era battezzato, udì voleutieri il catechi­smo di Giovanni, istruendosene , e v* accorse an­che una moltitudine d'uomini pagani. Per lo che renne in pensiero alfu stesso vescovo della città di ordinare Giovanni, e di lasciarlo vescovo io vece sua.

Di ciò Giovanni informato, nascostamente, e presto navigò verso la sua patria , ove mentre i suoi concittadini aveano deliberato di affidargli la cattedra di diritto, egli preferì d r vivere solitario, oon avendo allora piò che diciotto anni ; e tra I molti suoi coodiscepoli persuase a Teodoro che poi fu vescovo di Mopsuestia « e a Massimo, cbe lo fu di Seleucia, di abbracciare ona vita privatae semplice, abbandonata ogni vita mercenaria e pub* blica. Assaissimo poi conversò con Basitio il grande, e non con l'altro di tal nome, come afuuni affer­mano. Fu da Mciesio ordinato allora dracooo \ e fu cui amicizia Giovanni preferì a quella di tutti gli altri. Questi poi, avendo dato un addio al mondo prima di Giovanni, chiamò l'amico al medesimo genere di vita, da cui fino allora l'avea tenuto lontano la cura della madre. Trovandosi in quel tempo per avventore ivi Zenone venuto da Geru· Salemme, fu costituì lettore dalla chiesa Antiochensi e poco dopo fu madre di lai morì» Ciò seguilo»

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STORICI s B10GBAF1 ECCLESIASTICI r 3 5 3

avendo distribuite fu sue facoltà ai poveri, abban­donata fu città andò a ritirarsi in un monastero, Ch'era fuori d'essa* e diveuip io specchio di tuttii religiosi·

Uo certo Esichio, mouaco di Siria, presago delfu cose future, vede due uomini vestiti di abiti can­didissimi, uno de* quali dava a Giovanni uo libro cbe avea in mano, e l'altro le chiavi. Questi di­ceva d'essere l'apostolo . Pietro l'altro Qiovanni il teologo. Queste cose Esichio narrava ai monaci, dicendo loro però che si guardassero dal fama saper nulla a Giovanni onde (aggiungeva egli) per fu somma sua umiltà oon abbandoni il monasterio* Ed allora narrasi vie più essere stato questi io* fervorato ne* religiosi eseretzj ed avere scritti di? scorsi ascètici. Ma ivi operò aocbe miracoli. Eravi un cittadino preso da tanto dolore in una parte della testa che gli era venuto fuori rocchio de­stro ; ed ito a Giovanni , subitamente riebbe fu sanità. Di più* un certo Archelao , potente per riccbesse, e per autorità, essendo stato preso dalfu lebbra in faccia, avuto ordine dì lavarsi iti un bacino, da cui i frati beveano l'acqua fresca, ri­mase libero da quella malattia * onde poi distri­buite fu sue facoltà, ritornato in quel monastero abbandonò il mondo $ e così fecero, olire lui, molti altri. Uo certo Eacleo, avendo per malignità del demonfu perduto uo occhio, andò a vivere c o r o ­naci ; e dal santo uomo tosato , ricuperò l'occhio perduto* Anche una donna da sette auni ammalata di flusso di sangue, riebbe fu sanità» Raccontano ancora cbe un leone, il quale sbranava molti pas­teggi eri , ad un seguo di croce di Giovanni ita- inaat menti crepò·

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554 CIASSS TEMI,Accorrendo a fui numerosissima turba, Giovanni

dopo essere stato per quattro soni in quel mona­stero, ne partì; e per due anoi stette nascosto ia una spelooca, quasi sempre senza dormire, e noo mai per tatto que! tempo giaciutosi io terra.

Essendogli poi pel freddo ammortite le parti del corpo cbe toccano il ventre e le reni,' per tale malattia fu costretto a ritornare in eittfe , ove or­dinato diacono da Melezio, per cinque anni servì nelle funzioni a quel grado aonesse. Io quel tratto di tempo scrisse i suoi libri tre a Slagirio, l’altro Della dignità del sacerdozio e l’altro DeWincom­prendibile. Morto poi Mtletio in Costantinopoli, il beato Giovanni ritornò al suo monastero» cui FUs- viano, successore di Melezio nella sede antiochena, per divina visione avvertito , avendolo richiamato dal monastero io città l'ordinò prete. La qualevi- sione imponeva e che Giovanni fosse ordinato , e che si ordinasse Flaviano. E non è poi da dubi­tare che quella colomba, la quale volando andò a posarsi sul capo dell'ordinando, oon dimostrasse chiaramente che di questa divina grazia non dovesse egli essere ripieno. Per dodici anni adunque eser­citò le funzioni del presbiterato in Antiochia. Era egli per l'ardente amore di probità fìoo dalla sua adolescenza severo ed aspro, e più alla iracondia cbe alla verecondia concedeva. Scrisse in quella città varie altre opere ; e ad Istanza del vescovo dal pulpito predicò al popolo all’ improvviso.

In quel tratto il figliuolo di una donua ch ia­mata Euclia, preso da febbre cbe i medici aveano disperato di guarire » fu sanata da Giovanni eoo acqua, che, prima col segno dalla crooe benedetta,

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STOBIc f E BIOGRAFI z c c l r s u s t ic i . a 5 5 g li avea data oode se ne aspergesse. Un’altra donna d ella setto de’ Marcioniti, il cui marito nella città era magistrato, trovavasi gravemeute ammalata di dissenteria; e disperat asi della sua vita. Essendo stata da lui guarito , insieme col marito , e con tutta la soa famiglia, e con molti altri Marcioniti, abjurata l’eresia, si trasse alla fede Ortodossa.

Essendo in appresso. morto Nettario , patriarca d i Costantinopoli, viene da Antiochia chiamato colà il crisostomo » contro fu volontà degli An-

'tiócheoi che non volevano perdere il bene che possedevano. Ma prevalse il comando di Cesare; e Teofilo, vescovo di Alessandria, dovette ordi­narlo Contro sua voglia, poiché d’altronde avea da temere di vedersi querelato, se non avesse annuito. Accadde però che mentre veniva ordinato , per opera sua uno ossesso da’ demonj ue fu libero.

Intanto il grande Grisostomo si applicò tosto a levai* di mezzo l’ uso che allora prevaleva cbe chi professava celibato tenesse in casa a luogo e fuoco, persoue di sesso diverso. Cosi con lun* ghi sermoni inveì contro gli uomini ingiusti# ghiottoni e libidinosi. D’altronde de’ poveri era egli si compassionevole, che dai più fu chiamato il Limosiniere. Dirò tutto in breve: egli insegnava ogni virtù, e ritraeva da ogni vizio. Mandò ancora in Fenicia de’ monaci, onde togliessero dalla ido­latria i popolani che coli vivevano attaccati al· l'antico culto delle genti ; e per mezzo di que’mo- caci, armati delle leggi dell* Imperatore, rovesciò i templi degl’*idoli , di quelle distruzioni avendo fatte fu spese alcune pie donne. Similmente re­stituì al grembo delfu chiesa ortodossa uoa turba

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* 5 6 c l a s se t e r z a ,

di soldati Setti, infetta d’ariauismo, a ciò adoperati sacerdoti che sapevaoo la lingua di quella naziooe.Io oltre spedì altri sull* Istro , i quali traessero alla veriti della fede cristiana gli Sciti nomadi che coli abitavano; e nello stesso tempo estirpò pienamente nelle parti orientali l'eresia di A far· ciorte che colà ripullulava. D'altra parte accrebbe gl* inni notturni de* salmi. Sofuva poi preoder cibo da solo, tanto perchè astencvasi dal vino a cagione di troppo calore alfu testa, di cbe pativa t se uon se iu estate soltanto ue beveva concio di rose; quauto perchè esseodo debole di stomaco, di modo che nulla mangiava di quanto gli si preparava, appetendo cose differenti ; e per­chè in fine frequentemente distratto dagli affari passava la giornata senza cibi. Al clero riusciva

A

troppo rigoroso ed aspro ; e Serapione * suo dia* cono, il reudette molto odioso ; sebbene molti an­che per altri motivi discacciò dalla chiesa. Quel Serapione attaccò anche Serenano , vescovo dei Gabali s e in quel prelato eccitò contro Giovanni un rancore che conservò in cuore finché visse. Ma Giovanni era grandemente amato dal popolo per le frequenti prediche ch’egli faceva nel tempio; ed egli dal canto suo grandemente amava Pepi- stole di S. Paolo , fu quali egli spiegò ; e Proclo per tre notti continue vide l'apostolo Paolo che a Giovanni suggeriva la spiegasiooe delle epi­stole sue.

Giovanni disgustò anche l’Augtista a cagione di Teuderico patrizio ; ed ecco quale ne fu il motivo. Preode va Eudosio iniquameute da quel patrizio uoa grossa somma di danaro; ed egli eoo graude

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STORICI E BlOfcBAFI ECCLESIASTICI. 2 0 J

impegno e fatica ne lo liberò : poi Teuderico la massima parte intanto delle sue facolla distribuì ai poveri delle chiese, come un dono gratuito of­ferto a Dio. Per questo essa prese odio al patriarca. Accadde ancora che avendo Eutropio procurato che si facesse una legge , la quale abolisse Γ im­munità dell’asilo de* luoghi sacri, poco dopo avesse a cogliere il frutto di quella legge * imperciocché essendosi prostrato innanzi all’altare, Giovanni lo investi con un sermone si pieno di rimproveri che venne a concitarsi Podio di assaissiine persone , parendo che con troppa inumanità trattasse quel­l'uomo caduto in estrema sventura. Egli levò an­che le chiese agli Ariani; ed invocato il braccio dell'imperatore li discacciò da Costantinopoli. E come poi essi aveansi procacciato favore presso la moltitudine col canto a due cori di antifone da essi composte , egli fatte altre antifone simili li superò | nel che tanto giovò l'Augusta che a renderne piò solenne il canto poteronsi adoperare croci d'argento. Del rimauente Γ origine delle au-* tifone risale fìno a quel divino uomo di Gioseffo, cbe in tale cosa imitò gli angeli cautanti le laudi di Dio* Gain a , ariano , aveudo gran potere alla Corte , domaodava all'imperatore una chiesa in Costantinopoli pe* suoi Ariani; ma Giovanni tro- vatovisi presente, declamò con estrema libertà coa­tro tale domanda * e si oppose perchè non fosse esaudita. Meutre poi , ribellatosi all' imperatore Gaina, ivi raccogliendo truppe, Giovanni, senza paura alcuna, contro le persuasioni di tutti, as­sunse d'andare ambasciatore a quel barbaro, e ne compresse fu ribellione*

F o lio , Voi* IL 17

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2 5 8 c l a s s e t *r z a ,Eusebio, vescovo di Valenl inianopoli dopo Ce/*

biano , diede in iscritto uu'accusa ad Antonino, vescovo di Efeso, compresa in sette capi. Lo que­relava di tre sacrilegi i poi, che un ragazzo o m i­cida, non solo noe avesse ripreso, ma lo tenesse iu casa * e cbe tutti i beni che ad utilità delfu chiesa avea lasciati Basilina, madre di Giuliano, egli avesse venduti, e tenutone per sè quauto avea ricavato. Diceva iu oltre, che avendo in addietro per titolo di pietà abbandonata la m oglie, eoa questa familiarmente fosse ritornato a vivere , e oe avesse avuta' prole. Iu fìue, che ordinasse per danaro. In questo settimo delitto che tene vasi pel piò grave , si fece processo, fila nel mentre che il giudizio andava in lungo, dicendosi che ma­lignamente, e a bella posta a ciò adoperavasi l'ac­cusatore medesimo, Antonino morì. Laonde il graa Giovanni andò in Efeso * e sei di quelli che per danaro erano stati ordinati , ed aveano confessato il tatto , levò delle loro sedi: altrettanti pel de­litto medesimo in quella parte d'Asia cacciò dal vescovado* e in luogo di Antonino ini se Eraclide9 suo diacono s onde nacque una seditione. Così ia luogo degli espulsi creò vescovi per pietà e virtù di gran lunga migliori* » quali tutti però, quando egli fu tnaudato io esilio, vennero privati del ve­scovado* e vi ritornarono quelli che n'erano siati per giudizio tolti via. Un certo Severiano, vescovo de* Gabali, inteso che fosse andato a Costantino­poli Antioco 9 e molto avesse guadagnato mercè l'abilità sua nella eloquenza, andò anch'egli colà} ed a questo Giovanni .nel partire per £feso rac­comandò che mentre stava lontano fucesse le sue

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storici i biografi KcctESiASTim a5g veci uella chiesa predicando; e di questa maniera quel Severiano si fece ooto all* imperatore, e a tutti.

Si era iniquamente tassata la vedova di certo offic iale d'armata, detta Callitropa\ e Paolaccio , augustale in Alessandria, tormentava quella misera douoa, volendo ad ogni modo che pagasse la somma di cinquecento oumtni. Ricorse essa alfu imperatrice, la quale impose a Paolaccio noa multa di cento libbre d'oro, sulle quali però a quella doooa infe­lice non toccarono che treutasei nummi. £ssa si voltò al grau Giovanni, come al comun porto di. tutti i battuti dalla huriasca; ed egli immediata­mente intimò giuridicamente a Paolaccio che avesse da pagare alla vedova i eioqueceoto nummi estor­tile. Quindi Eudosia prese male umore contro Giovanni, procurando che Paolaccio venisse assolto dal paganieulo domandato. Ma ciò non seguì -9 chè giusta essendo 1* istanza, Paolaccio fu obbligato a restituire il mal tolto alla vedova. Nel quale in- cootro seguì anche uu miracolo \ imperciocché mentre 1* imperatrice voleva prepotentemente far levare di carcere Paolaccio a malgrado di Gio- vanni, apparve no angelo armato d'asta, il quale spaventato avendo i satelliti mandati da Eudosia, fece che non eseguissero i comandameoti di lei. Per queste e simili cose, Àcacio di Rerrea, Tea·

filo* Antioco e Scveriano , spalleggiati e preceduti da Eudosia, iocoiniuciarono a macchinare oeri e maligui disegni* aggiuntisi tosto ad essi altri molti, a cui egli erasi renduto molesto co'suoi rimproveri.

Teofilo accusò Pietro, arciprete di Alessandria, d*aver data l'eucaristia *ad uoa donna manichea*

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Egli in sua difesa allegava che quella donna si era convertito; e doverla fatto partecipe de4 mister} solamente per comando di lui medesimo : di cbe citava testimonio il prete Isidoro, deputato a r i­cevere i forestieri. Era Isidoro quegli cbe per la sua virtù Teofilo avea in addietro mandato a Du­moso * e che a Flaviano avea recato da Roma amicizia ed alleanza, mentre per venti anni fu due chiese erano state disunite. Or questo Isidoro te­stificò quello che Pietro affermava. Il perchè Teo- filo% pieoo d* ira , immediatamente cacciò dalla chiesa Pietro % e contro tsidoro, venerando uomo, mise fuori un falso processo pieno di calunniose impudicizie, avendo con danaro comperato un ra­gazzo che ne fosse l’accusatore. Fu la catnnnia scoperta; e ciò mise in maggior furore Teofilo \ il quale ebbe ancora altri motivi di così andare in escandescenza ^ imperciocché Isidoro avea ri ce* vuti da Teodora , e, secondo 1* intenzione di lei distribuiti ai poveri mille nummi, senza averne fatta parola a lui. Isidoro adunque per sottrarsi a tanta iracondia si ritirò sul monte di Nitria, ed ivi eercò pace nella solita sua cella, essendo allora pre­sidenti a'monasierj dell’ Egitto Dioscoro% Ammonio, Eutimio ed Eusebio, frittelit germani, dalla corpo- ratura loro soprannominati i Lunghi. In quel tempo ardeva la lotta con gli eretici Antropomorfìti ; e come alcuni monaci ignoranti e selvatici eccitavano per l’Egitto tumulti , da questi assediato Teofilo, per paura, siccome sembra , volendosi liberare da essi , gl* imbrogliò dicendo; ho vedute le facce vostre come la faccia di Dio. Ma avendogli inol­tre domandato che fosse condannato di anatema

a 6 o c l a s s e t e r z a ,

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anche Origene, che avea detto Dio non avere umaua forma, rispose che così avrebbe fatto, e di questa maniera evitò d'essere ucciso.

Fresa egli dunque questa occasione contro i fratelli Lunghi* i quali da gran tempo ricusavano di convivere cou essolui, poiché sostenevano , co- in'è di ragione, non doversi attribuire a Dio umana forma, egli li calunniò presso i monaci d 'E gitto , e quella ignoratile masnato concitò contro di loro, non meno che contro Isidoro.

Pertanto dopo avere sofferto molte ingiur ie , e superate molle iusidie , dopo aver veduto gituto il fuoco sopra te loro celie , cercando di salvarsi con la fuga vennero a Costantinopoli. Ivi il beni- guissitno Giovanni accolse bensì con tutta Puma- uità que* fratelli ; ina per riguai do a Teofilo nou li ammise alla comunione ; e gli scrisse invitan­dolo alla concordia* Egli uon diede ascolto* I fra­telli Lunghi intanto cou prodotti libelli accusarono Teofilo. Teofilo eccitò dal canto suo alcuni mo­naci ad accusar essi ; e come questi nou polerouo provar uulla contro i Lunghi* furono mesti in pri­gione, e gravemente flagellati, cosicché poi iu parte morirono oelle carceri, e iu parte furono depor­tati nell' isola di Proconeso. Giovanni avvisò Teo­

filo delle accuse cbe gli veuivauo date, e questi pieno di bile rispose : lo credo che tu non ignori i canoni del concilio niceno, e come per essi viene proibito al vescovo di farsi giudice del pellegrino di cose appartenenti all'altrui diocesi. Che se lo ignori, imparalo ; ed astienti dai libelli che riguar­dano le accuse contro di me. Ma egli che allora scrisse cosi, di poi arbitrossi di cendaonare cou

STORIC I Z BIOGRAFI EC CLESIASTICI . 2 6 ϊ

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262 CLASS* TSJUA,suo giudizio questo stesso Giovanni che ad altra diocesi apparteneva. Non cessando iofrattanto > monaci dall'accusa re Teofilo , Γ imperatore ordinò che Teofilo si presentasse per essere giudicato. Ma l'animosità contro Giovanni andò crescendo a segoo che quaodo Teofilo fu giunto, in vece d*es~ sere giudicato sulle querele inteutategli, fu costituito, giudice di Giovanni medesimo.

Avea la moglie di Teognoslo, senatore proscritto, e morto in esilio, un lenimento lasciatole dal ma­rito» e che Eudossia Volle per forza. Essa ricorse al protettore delle vedove, il quale molto perorò; ma con cattivo successo, cosicché si tirò addosso anche per questo Podio delPAugusta. Per lo che diede ordine che nella festa della Esaltazione della Croce, la quale cade nel gioroo quattordicesimo di settembre, venendo alia chiesa la iuiqua impera­trice, le si chiudessero in faccia le porte del tem­p io. £ Pordine del prelato veune eseguito ; ed Eudossia, colma di vergogna e di rabbia, ritornossi al palazzo. D ’allora in poi cominciò a peusare come avrebbesi potuto far balzare dalla sua sede il santo uomo, maodarlo in esiglio, e fargli altri mali che lo sdegno le suggeriva È da d ire intanto che quando essa andava alia chiesa e ne vide chiu­dersi le p orte , uno del suo corteggio , volendo adoperare la spada contro quelli che le chiudevano, nell* istante si senti assiderare la mano, ch'egli poi gittatosi ai piedi del santo uomo ricuperò sana.

Anche il grande Epifanio che Teofilo astuta­mente ingannandolo , avea coucitato contro Gio- vanni , venendo a Costaotioopoli con alcuni suoi fatti turbò Pordiue ecclesiastico. Imperciocché avea

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s t o r i c i e b iog r a f i e c c l e s i a s t i c i . 2 6 3

contro i canoni ordinato un diacono nel Settimo, che così chiamavasi il sito del tempio di S. Gio­vanni, indi senza permissione del Grisostomo avea celebrati i divini mister} ed avea domandato che egli condannasse gli scritti di Origene. Riferisce poi l’autore nostro» cosa che si legge anche nella Vita di Epifanio, non avere egli acconsentito, come alcuni supposero , alla cacciata del Grisoslomo , quantunque dalla imperatrice fosse a ciò fortemente tentato. E ricorda pure i vaticinj viceudevohnente dettisi, cioè, che nè 1’ uno uè i*altro avrebbe più veduto il suo trono.

Avvenne ancora, prima che Giovanni fosse con* dannato* che avendo egli saputo come Eudossia era contro lui sdegnata, egli facesse una lunga predica .contro le cattive donue. Nou mancò il popolo di trovar l’allusione alla imperatrice { e giunto a Costantinopoli Teofilo , più vigore pre­sero le macchinazioni già ordite contro il grande atleta Giovanni. Quindi noo essendo mai questi i ntervenuto al Sinodo che vi si convocò , pure Teofilo insieme co* suoi proferì contro di lui sen­tenza , reclamante egli indarno, e pubblicamente dichiarando essere pronto e a comparirvi iu per* sona , e a rispondere alle accuse, purché ne fos­sero allontanati i suoi dichiarati nemici. Avea Gio· vanni seco ancora quaranta vescovi pronti a com­battere per lui contro Teofilo% i quali, caldi nel­l'impegno, egli con le lagrime agli occhi e con fu preghiere cercava calmare, esortandoli a non la­cerare le chiese eoo la discordia. Cacciato della sua sede, fu rilegato in Jerooe sul Bosforo \ ma come veone per mano di Dio uo gran tremuoto,

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? 6 4 c l a s s e TEBXA ,.Γη ricondotto a Costantinopoli , e a suo mal­grado restituito alla sua sede. Imperciocché ricu­sava di riassumere le cure pastorali prima che Tini, quo giudizio contro lui pronuncialo non fosse ri­proposto ed esamioato. Ma non molto dopo accesa di uuovo furore Eudossia, vedutasi anche piò li­beramente di prima attaccala, a cagione di una statua innalzatale vicino al tempio, onde eccita* vasi grande strepito nel tempio medesimo, diede φοίο a nuove calunnie contro il santo uomo. Quantunque però oltre ogni sua speranza ciò riu­scisse a seco « da delle proprie passioni, pur 7Vo-

fiiOs temendo Podio dei ciitadini, s'asteuue dall’ iu- tervenire al uuovo concilio. Nè era senza fonda­mento il suo timore, poiché erano già cominciati ahi sussurri contro di lui , tanfo perchè cacciato Giovanni avea comunicata coi fratelli Lunghi, per mezzo de* quali avea dianzi supposto gli si ten­dessero insidie, quanto perchè nou cessava di leg­gere gli scritti d'"Origene, di che avea fatta querela a Giovanni. Si asteuae adunque dalP intervenire al Sinodo: ma intanto mandò altri in sua V ece , facendo decretare non doversi Giovanni ascoltare, perciocché il Sinodo antiocheno jion avea lasciato luogo a difendersi a chi dopo l'espulsione avesse fatte funzioni di sacerdotio. Contro il quale statuto i fautori di Giovanni non mancarono di dire *es· sere esso .stato opera di un' assemblea di Ariani, e fatto espressamente ad oppressione di Alano* sio i e perciò dai padri del concilio di Sardica essere stato dichiarato per nullo; e quel con* cilio avere in opposto accordato ad Atanasio di dìfeudersi, e permesse a lui e a Marcello le fuo* zioni del sacerdozio*

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s t o r i c i z b i o g r a f i E C c t i Z s n s T i c t. α 6 5

Fu dunque proibito al Crisostomo di celebrare, anzi di andare iu chiesa. Era prossima allora la festa del Natale * e rimase sino alla festa di Pen­tecoste, e cinque altri giorni dopo, astenendosi da ogni funzione ecclesiastica· Indi totalmente discac­ciato dalla chiesa e dalla capitale , fn mandalo iu esiglio a Cucuso. Nel qual tempo, attaccatosi fuoco al pulpito del tempio, molle cose che v' erano intorno rimasero pteda delle fiamme. A ciò s'ag­giunse che la piò parte de* nemici di Giovanni ebber a dare un · funesto esempio, molti essendo morti di sozze malattie, molli essendo periti da strage mandala da Dio. Deportalo egli duoque a Cucuso , siccome questo scrittore narra, ivi ed istruì predicando, e molti vescovi e sacerdoti, e diaconi ordinò, e parecchi miracoli fece ancoraio quelTestglio, sì vivente che morto.

Cessò di vivere noo mollo dopo» avendogli an­nunziato in sogno il suo fìue Basilisco , vescovo de' Comaoi e martire; e fu sepolto uella tomba di quel martire stesso.

Teofilo poi, e i seguaci suoi condannarono E ra­d i da , vescovo di Efeso assente , e Serapione eoo molti strappazzi cacciarono dalla sede di Eraclea > nella quale il gran Giovanni lo aveva ordinato vescovo dopo il primo suo esiglio -9 in posto di Eraclida mettendo un eunuco del tribuno Vittore, uomo svergognatissimo. Così rimossero dalle loro sedi altri venti vescovi, e molli preti e diaconi , e dalle chiese parecchi laici , quanti seppero de­voti a Giovanni, ed inoltre alcuue pie matrone, tia fu quali furono di celebre nome Olimpia, Pen* tadia9 Proda e Silvana·

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Intanto Innocenzo , vescovo di Roma, molto si adoperò iu favore del beato Giovanni, sebbene inu­tilmente. £g!i mandò a tale oggetto suoi Apocrt- siarj che furono rispediti contumeliosameute ·Scrisse anche lettere , nò queste giovarono punto -9 e a grande stento Arsacio potò rimettere ne* dìttici il nome di Giovanni. Finalmente molto tempo dopo Proclo ne trasportò in Costantinopoli il corpo Fin qui Giorgio-

Questo scrittore sembra aver narrate alcune cose eccedenti la fede'delta storia. Ma chi impedisce al futtore di scegliere le cose utili, e di tralasciare le altre?

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M E D I C I E F I L O S O F I

CLASSE QUARTA

AE Z I O A M I D E N O

LIBRI XVI 01 UN* OPZRA MEDICA.

T ’JL/ a u t o r e raccolse tutta quest’opera non solo da C. aai quegli scrittori, dai quali trasse Oribasio i suoi libri, o a Giuliano imperadore, o ad Eustazio ed Eanapio indirizzati, ma eziandio dai libri tera­peutici di Galeno , e da Archigene e da Rufo , non meno che da Dioscoride, da Erodoto, da So· rano , Filagno , Filomene , Possidonio, ed altri , che rinomanza e gloria acquistarono nell* arte di medicare. Egli principia dalle facoltà de* medica* menti semplici e de* cib* , brevemente tali cose , tolte da Gaìeno% ricoidando; e finisce nel libro X VI, daudo precetti sulle malattie delle donne. La quale materia trattando, agli altri capi di dottrina ag­giunge quanto concerne il lavare la faccia e in ben governare tutte le altre parti del corpo , e suggerisce il modo di preparare 1* unguento di lambrusca, ed alcune altre cose simili. Così, come dicemmo , principia e termina tutta quest* opera* Venendo poi ai particolari , il libro I tratta bre­vemente delle qualità degli alimenti e de* medi* cementi. Il l i dichiara le qualità e P uso delle cose metalliche ed animali, P utilità di queste

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α β 8 C L A S S · QUARTA ,

cose, o intere, o io parte con egual brevità e*po- aeodot però io maniera che questa parte di tutta fu trattazione intorno ai medicamenti semplici può stimarsi non lieve. Il libro I li tratta degli eser­cizi d’ogni fatta, e di quanto può ai medesimi dar luogo. Quindi, dopo aver ragionato delle evacua­zioni e delle occulte traspirazioni degli umori, parta dell’aprire la vena, indicandone non tanto i modi opportuni , ma eziaudio la grandezza , le forme, il tempo a proposito, e fu misura del san­gue da estraersi. Poi parla del taglio dell’arteria , del medicamento per fermare il sangue di essa , della cucurbita , della scarifìcazioue e della scelta delle mignatte. Delfu qualità ed uso del vitto. Delle medicine purgative , e del vario modo di prepa­rare i vini purganti^ del vino dolce purgante, del condito, del fatto coll’assenzio, del rosato, del mele rosato, dell’aceto dolce , e del garo purgatile. Del m ele, del vino dolce, dell’ ossigeno, e dei brodo ammolliente * del latte , e delle olive purganti. Intorno a tutte le quali cose dà precetti. Inoltre parla degli aceti, e di varj purgativi, e delle pastiglie e biscotti della stessa virtù. Descrive pure gli aloetici purganti , e simili prepara­zioni composte con sale , e quelle cinque cele­brate per sacre. Parla iuoltre di ciò che giova in ajuto di quelli ai quali il medicamento p urga­tivo non fece effetto , o ne fece uno soverchio. Poscia del vomitivo, e a chi debba darsi j che forza questo abbia , e chi sia atto a rice verlo. Delfu esplorazione dell’elleboro , e come conveoga disporre chi lo ha da bere. Del vario uso e del apprestare l’elleboro, e della cura di chi 1* abbia

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preso. Continua a teoer discorso degli epitemi purgatiti , e delle parti che in noi si purgaoo , come gli occhi, le orecchie, ed altre. Del profumo allo stesso effetto appartenente , e di quelli che e vacuano gl'intestini tenui e ceite parti del fegato, e rose simili, DelParia , de* venti , e delle signifi­cationi delle stelle. Delle acque e de* bagni tanto con arte preparati, quanto maturali Della lavanda fredda, delP applicazione d 'o lio , dell* asperger la faccia , della perfusione, delle bagnature a mezza v i ta , della umetazioue , e del fomento secco Dei vatj generi di cataplasmi. Del depilatorio, dell'im- pegolametito, del sinapismo , dei rubefacienti, e in chi sia da far uso dei metosincritici, o sia degli ajuti che chiamano gli umori dalPalto. Tutte que­ste cose conteogousi nel libro III.

II libro IV contiene quanto occorre per con­servare la sanità. Ed incominciando dalla educa* zione de* fanciulli, espone tanto fu malattie a cai vanno soggetti, quauto i rimedj. Tratta del modo

.-di nudrirsi io tutte l*età e condizioni. Poi della diminuzione delle carni, e della corroborazione delle persone gracili ; della stanchezza dopo gli esercizi delle differenze delta medesima; di quella che procede dalPuso della venere, e di quella di cut s' ignorb 1« cagione , e che si dice spontanea. Detta eura che deesi avere per digerire; del come provvedere nel caso della pelle indurita ; dell’aria infuocata , e della frizione opportuna. Della cru­dità, della crapula, e della eguaglianza della tem­peratura Indica qual sia Cottimo temperameoto , e i caratteri del calido, e degli altri sì semplici che composti^ oè del solo intero corpo, ma ezfun-

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270 CLàSSK 'Qusar* »dio delle singole parti, eoine del capo, del cervello* del ventre , del cuore , del fegato e dei testicoli5 ed espone i rimedj pei diversi casi , se fìa che tali parti decliuiuo dal loro buono sialo di sanità,

Nel libro V A et io disputa intorno alle malattie, e prima di tutto iutorno alle febbri, delle quali indica i segni , le prenozioni , le denotazioni e fu cure cou molta diligenza , e quanto appartiene a questa parte dell’arte medica cioè quale si debba giudicare il principio della malattia, che accenna di tre maniere^ quale sia Peccesso della medesima, quale la remittenza; e cosi il vigore e U declina­zione, con l’aggiunto di malattia di qualche parte, o di tutto il corpo. Parimente quali sieno uell’iu- fermo i segui della sanità o della morte , e quali di questi o piò presto, o piò tardi , o a mezzo stadio si giudichino riferirsi alla sanità o alfu morte· Dei segui de’ polsi , e della denotazione delle oriue , e cosa queste cose dimostrino. Delfu qualità degli escrementi, e della prenozione e de* notazione del vomito. Dell’uscire sangue dal uaso, e delfu purgazione del’e donne. Delle note criti* che de’ sudori, e degli ascessi, e dell’ indizio dello sputo. Aggiunge inoltre che il medico ben istrutto deve couoscére se la malattia sia bene sciolta o no, noo ostatili le apparenze che pur sia sciolta j e sapere il giorno e l’ora in cui l’amma­lalo sta per maucar di vita. Quindi tratta delfu malattie popolari e comuni , e pestifere ì e delfu persoue le quali per varie cagioni veugouo prese da sincope, e dei deliquj, che per diverse cagiooi anch* essi sopravvengono. Della doglia alla testa , della veglia, dell’ indebolimento della vista di che

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soffrono i febbricitanti , e del curar quelli che nelle febbri sono soggetti a perder sangue pel naso, e del provvedere a* febbricitanti. Della ve­scica , della difficoltà di orinare, dei dolori ai lombi , delle ulceri all* osso sacro , de* testicoli , delP ano. Delle pustole sparse per tutto il corpo ,o nate iu Alcuna parte del medesimo + e de* tre­mori e delle convulsioni. Finalmente sigai fica a chi nelle febbri massimamente sieoo utili le be­vande dolcificate ; ed ivi termina il libro V.

Nel VI tratta di tutte le malattie della testa e del cervello, e de’ rimedj per le medetirne occor­renti. Tratta di chi sia stato morso da ciane rab­bioso, appreso da apoplessia, o da paralisia. Dello disciogiimeuto de’ sopraccigli e delle palpebre, e delfu lingua, e degli orgaui della voce e della gola * in quanto restino affetti da morbo , e della cura che conviene. Della convulsione caoiua , e della cura della vescica inerte, della verga e del- P intestino retto. Delta medicina delle cosce , o di altro qualunque membro, e del tetaoo , o sia di-· stensione. Delle varie doglie di lesta « da diverse cagioni procedenti, e delfu cefalea ed emicrania· Descrive te cure delle tigne , de* capelli cascanti e de* peli de* sopraccigli uel tempo stesso ag­giungendo quali cose tiogano i capelli, gl* incre- spiuo, li estirpino, giovino ai cascatiti, li attenuioo e quanto riguarda la manteca usata per levaro ogni sorta di peli. Parla delle scabbie, del morbo pedicolare, dfUe croste , delle pustole che seuza* cagione cognita vengooo alla testa t ed iosegua come tutte questo cose , ed altre simili si medi­chino. Fa fu stesso rispetto «Ile varie malattie

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n y i c l a s s e q u a b t a ,

cbe per diverse cagioni attaccano le orecchie e tratta del caso in cui da esse esca sangue, come pure di quanto può riguardare le parotidi. Di poi passa a dire delle affezioni a cui il naso è sog­getto, e degli stfìrnutatorj , e con che rimedj pos­sano sedarsi gli sternutameuti soverchi.

£ dopo essere nel libro VI disceso fino alle affezioai morbose delle orecchie e del naso, e ad­ditatene le cure opportune, nel libro VII passa a parlare degli occhi, incominciando dal descriverne la Datura ; e poscia tratta di tutte quante le ma­lattie a cui essi vanno soggetti , od abbiano la cagione loro nell'interno, o la ricoooscano da cose esterne. Dà inoltre precetti pel taglio delfu arte­rie , e dello scitismo , e della escoriazione della fronte col mezzo di scnlpello, e delta scelta' delle vene ; al quale proposito parla delle unzioni , dei cataplasmi , e delle varie specie di collirj con cui gli occhi si curano.

Nel libro VII! dà princìpio con riferire alcune delle cose che adornano i sopraccigli, ed acceona cosa sia Pechimosi al disotto dell’ occhio, e in che maniera si faccia e si curi. Poi spiega come dal sole e dal vento la faccia non rimanga abbruciata* e con quai mezzi possa conservarsi senza rugh e, fuVMfusi il color atro , o in altro modo restituirle un color bello e lucente, ed inoltre rendere di grato odore la pelle del corpo· Quindi tratta di lotte quelle malattie che attaccano la faccia , la bocca e le tonsille , o procedano esse da cagioni interne, o vengano da esterne. E perciò viene a dire de! tanti incomodi dei deoti , e del come curarli; e de’ mali della lingua, di quello del gur-

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gulione, e di tutti gli altri che sono compresi sotto il nome di mali di bocca , tra i quali s’ intendono essere la cinanche e la sinanche (1), malattie cbe attaccano le fauci; e vi si aggiungono anche i tu­mori delle tonsille. Insegna ivi ancora come pos­sano rifocillarsi gli strozzati, i quali non sieno morti; indi parla delle affezioni delle arterie, e de’ convenienti rimedj. Trattando in appresso del catarro e della tosse, descrive i farmachi cbe pos- sooo alleviare il dolor della tosse, insieme coi fo­menti e gh epitemi opportuni. Poi delle varie malattie ragiona provenienti da difficoltà di re­spiro, e delle palpitazioni di cuore e de’ polmoni, e de4 mali di petto , chiudendo questo libro con precetti sulla pleuritide, tanto se sussiste di futto* quanto se se ne ha sospetto, l’ uno e l’altro caso distinguendo e spiegando, e i rimedj additando che possono prestar visi.

Incomincia poi il IX libro dai mali cardiaci ; e p rocede trattando dei tuibainenti che l’atrabile ap­porta allo stomaco, e di quegli sconcerti che iofe*> stano la bocca di tal viscere. Prescrive cataplasmi ed altri rimedj a cbi é tormentato da varj mali di sto­maco. Ivi tratta anche di quelli cbe soffrono convellU rnento di stomaco a modo degli epilettici; e parla delfu inappetenza, della fame canioa, della crudità di siomaco, e ne addita Ja cura. Poscia passa a dire del come ajutare cbi soffre a cagione di crapula , e chi ba stitichezza di corpo. Tratta del meteo­rismo e del volvolo 9 o sia della ostruzione del­l'intestino tenue , e de* dolori colici ; e parimente

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( i) Entrambe specie d'angina.JTouo, IL 18

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c l a s s e q u a b t a ,

del flusso del ventre, e del l’affezione detta celiaca» della colliquazione, de* lombrichi t tanto rotondi, quanto p ìau i, e di quelli che cbiamansi asca­ridi , come pure delfu passioni degl* intestini. Dà inoltre rimedj per quelli che inghiottirono oro, o rame, o tale altra cosa; dà pure i rimedj pe^dis- senterici, introdotti o per dì sopra, o per di sotto* ed annovera le pastiglie, i supposti, gli'unguenti, e gli epitemi, fino a che viene a terminare il libro parlando delfu lienteria.

Della debolezza del fegato, e di tutte le malat­t ie dell* epa tratta incominciando il libro X , e di ogni sussidio cbe la medicina può prestare in tali casi. Poi procede a dire delle affezioni della milza, e come curarne le diverse cagionevolezze, cioè fu enfiagioni, le infìammazioni , gli scirri, i tumori fuor di natura , e le durezze. Di poi tratta dell’ it· terizia, o sia morbo arquato, e della mala abitu­dine del corpo, e dell’ idrope» o sìa acqua tra fu pelle ; ed acceona oode queste malattie nascano e come si possano curare.

Nel libro XI tratta del diabete, o sìa profluvio delle orine , e della debolezza delle reni che pro­ducono orina sanguigna. Quindi parla dei calcoli dei reoi, della vescica calcolosa, e della infiam­mazione » durézza e suppurazione dei reni. £ poi della disuria , della stranguria e della iscuria. Inoltre del rilassamento della vescica di quelli c he sognano di orinare 9 della vescica infiammata, e della uscita di saogue della medesima , come pure de* grum i, tubercoli ed ulceri in essa esi­stenti , e delta flussione e scabbia di essa. Dalle quali cose passa a trattore delfu satinati, del prfu*

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pismo, del flusso seminale, e della polluzione Sofferta io sogno. Spiega per quanto può fu ca­gioni di tutte queste malattie , e oe addita i preservativi e le cure. Io fìoe del libro prescrive gli esercizj e le cure per quelli che non possooo usare la veoere.

Nel libro XII tratto della ischiade , della poda­gra e dell’artritide, o sia morbo articolare ; delle quali malattie tutte espooe le cagioni si geuerali come particolari, iosieme coi varj modi di curare taoto esse, quaoto altre che sogliono unirsi alle medesime, presetiveodo per tutte queste evacua­zioni, unz ioni, unguenti, ed altri mezzi e purganti convenienti , e antidoti , ed assai altre cose cre­dute utili.

Nel libro X I I I , trattaudo del morso d* animali infesti, ed esponendo fu affezioni e le malattie che fpossooo venirne, per tutti i casi propone i rimedj -e così fa parlaodo delle fiere che slanciano veleno, n o u meno che dell'erbe e delle piaote che sono velenose , e nuocooo a chi ue fa uso. Nè omette ciò che riguarda i fuoghi, il saogue di toro e il latte aggrumatosi nel veotre; delle quali cose parla m luogo. E parla pure, e spiega quauto conceroe

metalli nocivi all* uomo , se s’ introducono oel ventre. Similmente tratta dell’acqua fredda , o del vino fu cui bevanda nuoca; poi degli strozzati , o soffocati nell’ acqua, o precipitati da alto luogo. Quindi volge il discorso ai preservativi e ai pre­sagi degli animali, specialmente domestici; e quindi parla della teriaca di Andromaco, fatta con le vipere, rispetto alla quale dice e come si compone , e quale ne sia l’ uso, e come se oe debba servire,

MEDICI E FILOSOFI. % j 5

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2 7 6 c l a s s e QUAΗΤΑ,

descrivendo i modi di esplorarla , fu misura ia che s* abbia a somministrare , e a quali malattie specialmente convenga. Tratta parimente delle al­tre teriache , e dell* antidoto mitridatico , e sua preparazione ed uso, e de*casi in cui g io v i; a cui aggiunge anche altre specie di antidoti* Q uindi passa a dire de’ due generi di cifo; e poi scende a ragionare della elefantiasi, delle eruzioni pruri­ginose, delle pustole psidraci, delle bolle nate dal sudore, delle eruzioni ulcerose delle gambe, e delle cicatrici lasciate dalle ulcere, che fanno brutto il corpo; de* due generi di vitiligine, o sia alfo ; e della leuce (t) , ed infine della lebbra , riferendo Porigioe e la cura di tutte queste malattie*

Nel libro X IV diligentemente ragiona di Tarj morbi vergognosi , e dei buboni nelle pudende, delle rime e loro iufiammazioui , delle ulceri de­pascenti, dei carboncbj e delle ulceri occupanti il meato delle orine, dello scroto scabbioso e p ruri­ginoso, della infiammazione di esso e de* testicoli, e delle specie diverse di ernia. Poi viene al modo di comporre gli empiastri, e al come preparare le cose che entrano nella loro composizione. E qufudi si spre campo a trattare de* nervi feriti , o coo-

( 1) Il seguente passo Hi Celso spiega le diverse ma» lattie indicate con questi nomi. La vitiligine ( mac­chie sparse sulla pelle ) quantunque non importante peticolo} i però brucia cosa· Ve ny ha di tre specie : Alfo, sono macchie bianche t aspvette } non continue, ma sparse come tante gocce d'acqua; Melas , macchi* nericce come P ambra; Leuce , come Valfo , ma più biancastre f ed hanno più fondo e copro tisi d i ptli bianchi.

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Minici t filosofi. ιηηtusi, e delle gìaodule all* inguine , e della infiam­mazione in generale. Poi vieue a parlare delle posteme e delle ulceri interne , ognuna di questo cose spiegando, e ad ognuna suggerendo i rimedj proprj. Oltre ciò propone i rimedj contro i vermi cbe nascono nelle ulcere, e per le ulcere e putre­dini , e pel sangue colante dalle ulcere stesse. Scrive di piò dei seni « delle fistole , della can­crena , dello sfacelo , de* tumori cancerosi , d$i carbonch}, delPerisipola , dell'erpete, della epini* tide, del tenninto e di altre pustole, il come na­scano e come si curino esponendo. Aggiunge an­cora la medicatura per gli scottati dal fuoco , o dall* acqua bollente , pei frustati, per gli abrasi , per quelli cbe hanno escoriazioni , e pei casi di carne pesta o rotta, di convulsione, o contorsione,0 di tassazioni nelle giunture , e di buganze. SÌ- milmente parla delle escrescenze nelle dita e dei panerecci, delle unghie peste, di quelle che hanno sangue di sotto , delfu scabre e leprose t ed inse­gna con che rimedio possa ottenersi che alle ca­dute altre in luogo di esse sottentrino. Parla ancora degli aoelli, cbe qualche volta accade cbe ai fissino entro fu dita ; e parla de* ca lli, e delle rime, o crepature de* piedi, e delfu varici. £ dopo •vere·ogni utile prescrizione accennata per medi­care tutte queste cose secondo fu leggi mediche · termina il libro trattando dei furuncoli delle brac­cia e delle cosce.

Nel libro X V si occupa dei tumori vaganti, dell* enfiagioni , de* tumori d u ri, degli ateromati , delfu strume , dei broococeli , meliceridi, ganglj, aneurism a, fav i, e dell'idrocefalo. Di tutte questo

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a 7 o c l a s s i q u a r t a ,

cose espone l’origine , fu cagioui, fu chirurgia , e fu altre c u r e , unitamente alfa preparazione di molti empiastri di vario genere.

Nel libro XVI ed ultimo principia dal descri­vere la positione, fu grandezza e fu forma d e b u ­terò, e il tempo in cui la femmina suole purgarsi e seminare. Poscia parla del tempo del concepimento e degl* indizj della fecondità « ed anche se abbia altre volte concepito, e delle altre affezioni delle donne iacinto. Tratta della cura e sollecitudine da aversi per esse, tanto se abbiado maggiore dispo­sizione a partorire, quanto se assai poca o niuna; del parto diffìcile, de* parti contro natura ; dello estrarre il bambino a brani, e della mancanza del secondo involucro. Dice ancora per quali cagiooi l ’ uomo e la donna sieno sterili; e per tutte que* ste cose dà rimedj per concepire, come pozioni, empiastri, cataplasmi o fomenti* Quindi passa, eoo fu scienza conveniente a quest'arte, a trattare di tntte fu malattie a eui fu mammelle sono soggette, e fu costituzioni delle medesime; e l’origine, e fu chirurgia , e le cure aggiunge. Poi discorre delle varie cagioni per fu quali nelle donne la purga­zione mensile si arresti; e parla di questa quando é soverchia, e del flusso parte rosso e parte bianco; poi dello strozzamento dell’utero» e del fiosso #e- minelé, con suggerire assai buoni metodi di cura· Prosieguo poi a trattare di varie altre affezioni dell’utero, come posteme, tumori, mole, idropi, ulceri , ed altre siffatte ; ove, parlando dell* utero ostrutto, non perforato , e simili , aggiunge anche fu medicature opportune. Similmente parla del ta- glio della uiofa , della coda , deir ernia varicosa ,

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dei tumori, e sim ili, prescrivendone gli acconci rimedj. A queste cose aggiunge le macchie della faccia e delle altre parti del corpo, e la compost* sione de* rimedj atti a levarle. £ così Jezio ter* mina tutta quauta Γ opera sua di medicina.

Il lavoro di quest* uomo , per qnaoto io potei discernere, in tutto supera pienamente i compendj di Oribasio , o parlisi di quello che indirizzò ad Eu$taùo% o si dica di quello che dedicò ad Eu* napio. Né li supera solamente in quanto adduce le cagioni e reca le dinotazioni, le prenozioni e le definizioni d* ogni cosa ; ma in quanto più copiosamente assai riferisce le cure opportune· E dirò di piò che noo solo supera, a quel che si vede, que* trattati 9 e tutto ciò che Oribasio con molta accuratezza compendiò da Galeno * ma egli eoa maggiore perspicuità propose fu sue dottrise , e tratta di assai più malattie. Ma l’operà di jiezio , confrontata con la raccolta di Oribasiot contenente settanta libri * forse verrà giudicata inferiore , sta perchè Aezio ha omesso di trattare ddl'anatomia» che Oribasio spiegò, sia perchè Ha inoltre omessa la considerazione sull* uso delle parti, considera­to n e però più propria del filosofo che del medico pratico. £ forse per fu stesse ragioni potrà dirsi cbe meno vinca quel compendio raccolto dagli scritti di Galeno. Ma dirò, osservando quanta sia al presente la negligenza degli uomini, e fu mag­giore furo inclinasione a lutt*aliro che a ciò che riguarda la cura degl'infermi, che quest* opera di A et io è sopra gli altri scritti degna d* essere te* so la per guida da quelli singolarmente c^e noo vogliono occuj^rsi odio scrutinio della mediefua,

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? 8 θ CLASSE QUARTA ,

più astrusa, nè col sussidio della fisiologia cercare fu cognizione e verità , ma limitarsi alla sola me­dicatura de* corpi , e non mancare in nulla di quanto appartiene alla pratica. Ed io tengo p er fermo cbe qnelli i quali vorranno dimostrare cbe con fu cure si vincono le malattie, non avranno che da attenersi a questo libro , e da studiarlo con vero proposito e costantemente. Al quale a v vertimento chi si presterò, troverà per propria esperienza che lo studfu fattone gli procaccerà buon frutto.

G A L E N O

D ILLE SETTE Or ' m BDICI.

164 Discorre delfu Sette che nell’arte medica con­trastarono tra esse» Tre principalmente egli dice essere: una chiamata Logica* che chiama anche Dogmatica e Ànaìogistica; la seconda Empirica, e fu chiama eziandio Osservatrice e Memoriale ; fu terza Metòdica. Queste sette differiscono tra esse, oltre che in altre cose, nel modo della invenzione. Il medico dogmatico costituisce Γ arte sua io quanto a forza de* suoi raziocinj trova i metodi ài curare. L ’ empirico costituisce la sua arte non col raziociuio, irta con gli esperimeoti e con la osser­vazione. Il metodico si distingue da que* due io quanto procede e col raziocinio e con gli esperi­menti » quantunque non abbastanza· diligentemente faccia uso dell* una cosa e dell'altra.

Queépo libro è diviso io tre parti. Nella prima descrivesi vivamente la setta empirie0 e dogmatica,

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MSDICI E f i l o s o f i . a 8 i

e si dimostra quale sta la natura d’entrambe*Nella seconda pnrte si mettono a fronte quelle due setto tra loro contendenti e cootraslautisi il primato· Nella terza parte si inette inuaazi fu setta meto~ dica t gareggiante con le altre due , ove ognuna adduce le sue ragioni, e cerca di vincere le. rivali. £ qui finisce il libro.

È chiara cosa che tra gli altri scritti riguardanti «l'arte medica· quest’ opera vuoisi preferire a tutti ; convellendo troppo di discernere quale setta in confronto delle altre sia l’ ottima, onde seguire quella* Pare ciò non ostante non debbasi riguar­dare propriamente per un’opera medica, ma benti che formi nna specie di proemio, e ehe piuttosto appartenga alla filosofìa.

É pur cosa chiara che per quanto concerne la dizione e la composizione dell’opera, essa è pura e venusto. E Galeno di fatto è assai studioso di queste qualità, non ostante cbe uella maggior parto de* suoi scritti usi co’ suoi intempestivi discorsi , con le sue digressioni, e con periodi lunghissimi, imbrogliare fu cose, non senza tedio di chi legge, e mettere oscurità ne* suoi detti , e rompere fu serie de*suoi discorsi; cosicché con si lunghi diva­gamenti stanca il lettore, e lo rende meno allento a ciò che pur vuole che sappia Di questi vizj ò esente quest* opera delie Sette.

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*8s c l a s s i qua s t a ,

ORIBASIO MEDICO

ortas.

C. 316 Lessi quattro volumi, ue’ quali Oriòatio ha com­presa la materia medica da lui composti; e altri sette pubblicati da lui in forma a un di presso simile.

Compendio di Gcdenot da Oribasio» medico, w * diriexato aWimperatore Giuliano.

Nel primo volume Oribasio compendia quaoto oel suo primo volume Galeno, medico, avea scritto; e fu dedica a G iulianocosì sul principio decendogli:

« Impostomi da te, divo Giuliano imperatore» il carico di Restringere io mioor mole gli utilis* simi libri cbe intorno alle cose di medicina scrisse Galeno, uomo amntiraodo, beo volentieri io mi prestai al voler tuo; imperciocché a coloro cbe vor* ranno applicarsi a quest’arte» com'egli dice, e man*> cane forse di naturale talento, nò in opportuna età ciò si accingono, e sovente aacora sono spogli forse dei primi rudimenti, onde que* diffusi volumi noo saprebbero intendere, basteranno te cose qui com ­pilate, poiché non troppo lungo tempo avranno a consumare per erudirsi, e fu materie fu trove­ranno presentate in modo da facilmente com­prenderle; brevità e perspicuità essendosi qui in- sieme unite a loro profìtto. Quelli poi cbe dianzi appHcaronsi alle scenze cbe preparano Γ ingegno allo studio della medicina, né per mediocrità d’ io*

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M a n ic i x f i l o s o f i . ? 8 5

gegno, né per l*età hanno ostacolo ad istruirsi più perfettamente nè precetti dell'arte, troveranno anch'egliuo convenir loro questo compendio; mas* simamente che vedranno fu esso suggerito loro brevemente quanto fìa necessario , ove necessità prema in casi di cura, n

Così parlando nella prefazione Or ibasio promette di raccogliere nella sua opera quelle sole eose che a Galeno stesso nell* accennato intendimento sa· rebbero piaciute, e all’arte medica, e trattazione dèlia medesima fossero più opportune. Compie egli poi l'opera in libri « . . . .

Libri LXX di cose di Medicina raccolte dal medesimo Oribasio.

L*altra opera» a Giuliano anch'essa dedicata* è C .a compresa iu settanta libri, non minore ponte della prima,, e piuttosto maggiore per la sua utilità. La prefazione alla medesima è come siegue s

« I l compendio che in addietro, divo Giuliano Cesare, mi ordinasti di fare, mentre ci trovavamo nella G allia occidentale, è da me stato, come tu volevi, ridotto a termine, ed è composto delle sole cose che Galeno scrisse. Ma lodata quella mia fatica uu’altra me oe imponesti, volendo che in un volume solo io comprendessi quanto i più va­lenti medici, bene istudìate le loro opere, avessero opportunamente suggerito, e tendesse allo stesso fine della medicina# Or questo incarico ancora mi assunsi per quanto fu mie forze valevano, e con volonte­roso animo mi accinsi all'impresa. Nella esecuzione della quale, avendo stimato superflua cosa , e di

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a 8 £ c l a s s i q c a b t a ,

oiun conto, ripetere tutto quelfu che scritto aveanoo gli ottimi medici, o quelli che uoo tanto dili­gentemente aveano trattata la materia, venni in pensiero di raccogliere soltanto ciò che ci lascia­rono i migliori » nulla insieme omettendo di ciò cbe avesse detto Galeno. Il che taoto é piò g iù · ato, quaoto che a tutti quelli che fu medesime cose Irattarooo» per ottimo metodo, per discernimeoto, e distinzione, egli.va innanzi a tutti, fattosi se­guace continuo de* principi e delle sentenze d* Ip· poetate· Di questa maniera poi ho ordinato il mio lavoro. Primieramente raccoglierò ciò cbe appar­tiene alla parte materiale; poi ciò che é stato detto intorno alla natura e costruzione dell* uomo; quindi tratterò del conservare la sanità e ristorare i corpi; ed aggiungerò in appresso quanto coucerne la dia­gnosi , e la prognosi ; e quanto vuoisi circa la malattie, e i sintomi delle medesime. Finalmente esporrò le cose cbe valgono per correggere quauto sia preternaturale, n

. Questa adunque é la prefazione della seconda opera di Oribasio, la quale opera, come é delfu precedente , incomincia dall'argomento che espone la proprietà degli alimenti. Tutte le accennate cose ha comprese in settanta libri; ed è quest* opera, come posteriore di tempo, prima per la utilità, IVè essa contiene solamente quelfu che Galeno avea scritto, ma quelfu pure che* omesso da Galeno, altri proposero da imparare. Ed a me pare questo In* voro utilissimo sopra tutti gli altri libri, fin qui composti per fu studio e la pratica de!l*arte me­dica, al certo sopra moltissimi; e ciò singolarmente per questo , che non solo lutto.espone, con chia-

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MEDICI E FILOSOFI. a gj

rezza, e Dulia omette ; ma inoltre, parlando delfu cose qui raccolte , la piò parte d'esse indica con di versi vocaboli; il che fa che se alcuna cosa sia indicata con qnalche oscurità, tosto venga dichia­rata eoo comoda spiegazione. Oode io esorto quelli,i quali si applichino allo studio della medicina, ad osare assiduameute, e di pieno proposito, di que· ai’ opera.

Libri IX del compendio di Oribazio, ad Eustaziosuo figliuolo·

Una terz’ opera dal medesimo fu scritta, sic- C. come egli medesimo attesta nel proemio $ ed è uu compendio della seconda, intitolata a suo fi­gliuolo Eustazio, e distribuita in nove libri « nei quali propongonsi que* medicamenti delle inalata tie che possono prepararsi facilmente , ed essere alla mano* peiò in questa sua raccolta omise affatto ogni cosa riguardante fu chirurgia.

Quest'opera» esercitando la memoria di quelli che souo già abituati nell* esercizio e nello studio della medicina, non sarà loro di piccola utilità , nè di minore comodità. E a quelli, i quali sperino di potere tosto pervertire cou questo compendio alla cognitione di quest*arte, direi che iu breve tempo sarà loro di oon poco vantaggio } se uoa che per maacare di metodo, e per niente decidere potrebbero taluni, aveudo poca esperienza nell'arte e troppo solleciti di assumere cure, da quest'opera essere tratti a fortemente pregiudicare non che a persone ammalate , talvolta anche alle sane.

Del rimanente questi nove libri sono il ristretto dei settanta già accennali·

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? S 6 c l a s s e Q u i u t a ,Nel primo libro tratta delle cautele da aversi

negli esercizi del corpo, degli esercizi medesimi , de1 le evacuazioni sì in geoerale che in particolare, e tanto di quelle che con lo studio si s o d o tro­vato, quanto delle altre che la natura opera. Di poi tratta dell4 aria, e de'bagoi sì naturali cbe ar- tifìziali; e de1 stidori e de* cataplasmi dell’olio puro, e della bagnatura dell'olio diluito eoo acqua. Finalmente parla delle cose che corrodendo, od almeno disciogliendo la cute, formano quella cura di funghe malattie, dai metodisti chiamato Meta- smcritica.

Ne} Π libro parla della virtò de4 medicamenti semplici , e della loro scelta ; poi dell’apparecchio degli unguenti e degli empiastri. Iodi de’ pesi degli empiastri larghi ; della cottura delle medi· cine che entrano negli empiastri.

Nel III libro continua a parlare delle composi­tioni delle ntedìciue d’ogni specie.

Il libro IV tratta della proprietà degli alimenti, del furo apparecchio ? del vino dolce e di tutte te specie di bevande utili agli ammalati. Del bere futte e delfu acque.

Nel libro V si discorre degli accidenti a cui sono esposte fu donne incinte, e della scelta delle nutricis della educazione de’ fanciulli, e degli ac­cidenti che possono ad essi sopravvenire. Poi della lassezza proveniente sì dalPesercizio fatto, sì da causa non apparente alTesteruo, come dalla costì* pazione della cute. Qui trovasi auche il vitto dei Vecchi » e vi si ragiona delfu cose cbe sopravve­nienti all’ esteriore producono deformità; e del modo di espellerle e di curarle. La custodia dei

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MEDICI a m osori. a e y

denti, la difficoltò di udire, fu caligine degli occhi, sooo pure argomenti qui trattati cou fu regole e coi mezzi di rimediarvi. £ vi si tratta aocora del curare le conseguenze-del mangiar troppo, e vi s* iodica il vitto proprio di chi mena vita operosa. V i si parla delle cose che corrompooo gli allineati, e vi si prescrive il vitto convenieote a chi fu viaggio, e a chi oaviga. In fìne si ragiona e della esteouaziooe della carne e della nutrizione: dopo di che vi s* insegna quanto occorre per coooscere il temperamento, e per curarlo, quando è sconciato.

Nel libro VI sooo raccolte quelle cose, le quali sooo"i segnali opportuoi per rettamente e sicura­mente giudicare de* morbi. Parimeote vi si tratta della cura e prognosi delle febbri e de’ sintomi , con 1* aggiunta de* varj generi di febbre , e dei rimedj. Poi si parla della faine, dei deliquj, della sincope, del dolore e del singhiozzo* dell’appetito canino, e della inappetenza, e della cura di fame immensa. Inoltre della nausea, del vomito, delfu veglia, del torpore, della colliquazione, della sete e della medicatura dell* osso sacro esulcerato.

Nel libro VII si parla delle ulcere d*ogni fatta, tanto semplici, quanto le così dette cave, e di quelfu che hanno bisogno di essere cicatrizzate , e delle altre abbondanti di carne; al quale proposito si accenna il rimedio per le ustioni. Parimente si parla degli esantemi* del prurito, delle pustole chiamate flittene e delle ulceri rotte e maligne. Si descrivono le core de* carbonchj e de* cancri. Si ragiona delle membra stravolte, lussate, o in­frante , nel quale proposito s* insegna come, si le* vipo frecce , canoe, spine, o legni infìssi entro fu

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» 8 3 c l a s s i q u a b t a ,

earoi. Poscia passa a dire delle redivive ulceri negli articoli ; e delle eruziooi del sangue ; dei nervi feriti, delle articoìazioai lussato ; della in* fìammazione , e deH’affeziooe procedente da flus­sione ; della caocfeoa e dello sfacello, delle po­steme, od ascessi « e delle fìntole : della risipola e dell’erpete. Degli scirri, degli edemi, del termioto, della epioilide. De* legamenti tagliati, del timo, de* por ri fichi e de* foruncoli. Delie verruche, inir- micj, e simili. Si espongono i medicamenti pei gan- g'j, pei formicolamenti , per le fessure, e per le pudeode ulcerato. Inoltre si parla del leuce, del- ì’alfo, della lebbra* della scabbia, della impetigine, e delle enfiagioni * e come la teriaca fatta con le vìpere sia di graode ajuto agli elefantiaci.

Nel libro V i l i Oribasio tratta delfu perdita della memoria, dei tormentati da soverchia veglia , o da grave sonnoleoza ; poi dice cosa sia l’efialte, il morbo comiziale, la vertigine, l'apoplessia, l’aIra- bile, I* insania , l’ amor veemente e la licaotropia ; e dà i rimedj per tutte queste cose. Tratta in ap­presso delfu malattie del cervello, e del morso del caoe rabbioso; della paralisi, o soluzione de* nervi e della rigidità che ooo può riscaldarsi i della con­vulsione, della distensione e delle doglie dì tesia. Di più delle scottature de'ragazzi, del cattivo odore del naso, delle lividure sotto gli occhi, degli ecbi- mosi io vetorati , e delle labbra fesse. Ed anche della efelide, de* nèi sulla faccia , delle macchie oere negli occhi , delle storture de* piedi e delle protuberanze ulcerose sul mento: del cattivo odore aòlto fu bracc ia , de’ varj dolori degli occhi del morbo pedicolare, della ostrtuioae delle carici, e deg li strozzati»

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M i n i c i a h l o s o f i . a g g

Il IX ed ultimo libro comprende le varie ma* lattie del torace e delle viscere , scendeudo sino alle pudende. Ragiona anche delle malattie delfu donne; e prescrive rimedj contro fu podagra, l'ar- trilide„ e la sciatica. £ queste sono le cose conte­nute nella terza opera medica di Oribatio,

Libri IV di Oribazio ed Eunapio.»

La quarta opera di Oribazio è aucora un com-C pendio dell'arte, diviso io quattro libri, a comporre la quale dice essere stato eccitato da Eunapio, cbe nomina come uomo eloquentissimo. L'oggetto pro­postosi è quello d'insegnare come facilmente pre­parare i rimedj, cosa ch’egli compie io tre maniere.

Incomincia dal notare in generale ed in parti­colare le virtù dei semplici, e l’uso di ciascheduoo d ’essi. Indi prescrive fu cura di ogni malattia. In terzo luogo espone, oltre la cognizione della parte affetta, il modo di medicarla. Aggiunge poi quanto concerne la conservatione della sanità. £ dovea dirsi ch'egli premette questo argomento agli ac­cennati; e come fa la natura, principia dalla edu­cazione del fanciullo-

È da dire intanto cbe quest'opera ad Eunapio, é a un di presso la medesima iu sostanza cbe l'altra indirizzala a suo figliuolo. In nessuna poi si occupa di chirurgia ι e nel resto sooo tolte conformi, salvo che io alcune cose ose osservasi l’ordioe medesimo , o simile. Ye n’ ha, dove una parte è meglio trattata cbe l'altra: come*nella piò porte delle malattie delle località* e io quanto alla cogniziooe de'medicameoti semplici, l'opera diretta

Fozio, Fot. IL !Q

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3 9 0 c l a s s e q u a r t a ,ad Eunapio prevale. Ed al contrario in quella ad Eustasio v* ha qualche cosa di meglio che nell'al­tra. Però per l'utia e l'altra dobbiamo essere grati all'autore, poiché per quauto fu da fui, egli scrisse l'una e l'altra , noti a incomodo di alcuno , ma piuttosto a vantaggio.

Per ciò che riguarda il carattere della dicitura, pare dubbia, e superflua cosa il daroe alcun giu­dizio, dappoiché cotesti suoi volumi sono composti di cose tolte da varj libri d’ ogni mano· e d’ogui carattere; e il medico uoa iscrive per render ra­gione agli esperti delta eleganza· e perizia del suo discorto, ma bensì di quanto intorno agli oggetti dell^rte medica per avveutuia abbia o ripetuto, o dimostrato di meno retto·

lo vidi uu'altr’opera dell'autore medesimo, in al­trettanti libri divisa, e intitolata .* Delle cose facili a prepararsi. L'avea indirizzata ad un certo Euge- n/o, ch*egli chiamava eloquente. Aggiuntesi che sarebbe utile a chi' sta in campagna , e ai viao* danti, e dovunque non si potesse aver medico. Ma quantunque e pel titolo, e per la speziale dedi­cazione alcun poco differisca, le cose che in quel· l'opera espone, manifestamente appajono le stesse che sono scritte uella indirizzata ad Eunapio. Laonde io sono venuto a pensare cbe quelfu non sia stata fatta da Oribasio ; ma che o per errore di chi trascrisse il libro ad Eunapio si sia mutato il titolo, poneudo Belle cose facili a prepararsi% ovvero cbe mettesse ad Eugenio in vece che ad Eunapio; ο iu fine che qualcheduno speculando sulla dedica­zione inventasse il bel giuoco di sostituire ad Eu* napio ΐ ad Eugenio, e al titolo originafu quelfu Delle cose fa cili a prepararsi·

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MADlCl a f i l o s o f i .

TEONE ARCHIATRO

V VOMO.

Lessi il libro medico di Teone archiatro a le s - C .

saudriuo, intitolato VUomo, e dedicato a Teoitisto. Egl* incomincia dalla testa dell* uomo, e va sino ai piedi, a tutte le parti accumulate del corpo umano prescrivente rimedj. Non ispiega però la natura della malattia, se non se per avveutura in poche, oè eoo precisione bastante parla delle cose prò· postesi. Descritti poi i rimedj di quelle malattie che sogliono intaccare i piedi, e le articolazioni, tratta de* medicamenti purganti semplici, e cerca di darne certe ragioni, per quanto pare a me nè buone , né vere, perché la natura manifesta fu facoltà purgativa de’ farmachi. Poi tratto della com* posizione di ogni genere di medicamenti, i quali possano sufficientemente servire alle malattie ac· cennate, e alle altre affezioni del corpo umano * e prescrive i rimedj alle singole parti morbose che avea omesse. Presenta inoltre ai medici empiastri, rimedj contro la lassezza, collirj, e diversi aotidoti da diversi medici prescritti. Coo che termina l’o­pera, la quale può essere air incirca olile quaotoil compendio di Oribasio.

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CLASSE QUARTA,

ALESSANDRO (i)

r a c c o l t a n i c o s e m i k a b i £ i

a LIBRI V i BELLA GEOMETRIA DELL* UNIVERSO ΜΟΗΟΟ

S I F&OTAGORA.

188 Narra molte cose prodigiosissime ed iocredibili; ma insieme loda altri non senza fama, i quali prima di lui narrarooo le c o s e medesime» Egli scrive de­gli animali, delle piante, di alcuni paesi, fiumi e fonti, delle erbe, e d'altre cose sìmili· La sua dicitura é chiara ; e sebbene tratti la materia com­pendiosamente, pure diletta.

Nello stesso volume contenevansi anche i V i libri di Protagora, intitolati della Geometria del- Γ universo mondo. Cinque di questi abbracciano, quantunque non diligeute, nè accurata, come poi dopo la rendè, la descrizione della situazione del* l'Asia, deII’Africa e dell' Europa. II libro sesto corrisponde a un di presso alla Raccolta di Ales­sandro, poiché descrive le. strane cose che raccoo- tansi io tutto il mondo : la maggior parte tolto dagli antichi scrittori, assaissime dice essere stato da lui medesimo vedute, le quali noo meno delle prime souo contrarie alla opiuione di tutti. Anche di Protagora la dizione è chiara, fu narrazione é breve, massimamente poi parlando di questo sesto libro.

r- (O Questo A le s s a n d r o fu Milesio di patria ; · pir * latto di fui Ateneo e Svida-

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m e d i c i s r i L o f o r i .

A N O N I M O

LIBRI VI DEΜ Λ BEPUBBLlCA.

Tengono dall'autore introdotti a parlare sul pro* C. 37 postosi argomento il patrizio Menay e il referen­dario Tommaso. Quest’opera contiene sei libri, nei quali si espone uo nuovo genere di reggimento politico diverso da quanto immaginarono e propo­sero gli antichi * e non senza ragione vi si cen­sura la Repubblica di Platone. 11 politico reggi­mento che quegl'interlocutori propongono è un complesso delle tre note specie, cioè del re, degli ottimati, e de'popolani, sosteueodo questa loro idea quaoto di puro e giusto presenta io partico­lare sul motivo, ch'essa viene a comprendere ciascheduna di essej e per ciò questa sarà la forma ottima di governo.

D A M A S C I 0

LIBRI lY DELL* COSX ÌKCBIDIBIM.

Si sono letti i quattro libri.di Damascio il p r i m o C. i3o de' quali intitolato Capi 55a di finzioni incredi· bili i il secondo Capi 5a di narravo ni incredibili intorno ai demonj ; il terzo Capi 63 di narrazioni incredìbili intorno alle anime dopo morte apparse, e il quarto Capi io5 della natura anck'essi in· credibili. In tutti questi libri troverai moltissime cose che non possono nè essere per nessun conto, oè credersi: portenti mal composti e falsi, degni veramente di Darnascio , uomo empio ed ateftta»

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3 9 4 CLASSE QUARTA ,il quale, mentre la luce dell’ evangelio illustrava l ’ universo mondo, volle starsi immerso nelle fitte tenebre della idolatria. Breve e compeodioso è in questi suoi libri il suo dire, non però disadorno, e molto meno trascurato in chiarezza, siccome io siffatte narrazioni suole vedersi.

ENESIDEMO

LIBRI V i l i INTORNO AI PIRRONISTI.

Lo scopo di quest'opera è di provare noo po­tersi comprendere nulla di certo, sia per fu via de’ sensi, sia per quella dell’ intelletto. Perciò néi Pirronisti, uè gii altri sapere la verità nelle cose,io cui essa sì nascoude. Quindi i filosofi delfu al­tre Sette non solo ignorare assai cose, ma in ut il* mente tormentarsi, e consumarsi con fu tante peue che dannosi per coooscere la verità ; ed anzi igno­rare positivamente di non («vere compreso nulla dì quelle cose che pare credttno di avere compreso. Al coutrario chi siegue la filosofìa di Pirrone, felice per ogni altra cosa, principalmente fu è in questa che sa di uqu avere com presi di certo cosa veruua i ed ansi mette tutto il suo studio in ben guardarsi di affermare o di negare checché gli pare di conoscere.

Coti abbiamo detto qual sia l’assuuto dell’opera. Egli la intitolò a certo suo collega accademico, di nome Tuberone , romano di nascita, e di stirpe illustre che sostenuti aveva magistrati c iv ili, non volgari.

Nel primo libro riferendo egli fu differenza tra

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MEDICI s f i l o s o f i . 2 g 5i Pirronisti e gli Accademici '. ecco che a fìor di labbro io sostanza vien dicendo; — Che gli Acca­demici stabiliscono dogmi, e pongono come certe ed indubitate alcune cose « ed alcone altre senza esitazione escludono. — Che i Pirronisti si ten­gono dubbiosi, e liberi e sciolti da ogni dogma; tanto che nessuoo di furo ha detto mai che possa, o nou possa comprendersi cosa alcun*; e così pure che fu cose siano piò tali che tali, o che sieno tali in una circostanza, e tali in un’altra, e che ia oltre circostanze sieno oon tali , o che per uno sieno cosi» per un altro non così, o veramente non essere di alcuna maofura. Piò: le cose comune· mente non essere di tal sorte che alcuno possa conoscerle, o non possa almeno conoscerne qual­cheduna e uon potere darsi che uno giunga a conoscere, anzi che a ciò non giunga ; o che possa giungervi ora, e non in altro tempo. £ in fine che nè il vero, nè il falso, nè il probabile, oè quelfu che è, nè quelfu che non è, potersi asseverare per tale, e dire ciò è piuttosto vero che falso; o è piuttosto probabile cbe improbabile, o è, piuttosto cbe oon è, o fu tale iu addietro; e di poi fu al­tra cosa; od é tale per uoo, e non è tale per un altro. Cosi i Pirronisti non defìniscouo niente di oiente i e nemmeno defìoiscouo di uon defluire * e dicono essere soliti a parlare di questo modo per­ché oon hanno criterio bastante per poter dichia­rare i sensi delta mente. Al contrario quelli che appai teugouo all'accademia , e massimamente alla nuova, talora couvengone nelle opinioni con gii Stoici, e se vogliam dire la verità, esséudo essi medesimi Stoici, pur sembra che eoo gli Stoici

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* g 6 CLASSE QTT&ftTA ,

contrastino. In appresso poi stabiliscono fermai mente alcune massime. Essi tengooo darsi virtù e pazzia; pongono per principi il beoe e il male *e parimente definiscono di certo il vero e il falso,il probabile e 1* improbabile, ciò che è« e ciò cbe non è, e non poche altre cose ,* dicendo soltanto dubitare deità comprensiva della immaginazione. Dal cbe , dice Γ autore, si vede che i Pirrooisti, mentre si ristanno dal definire, non si espongono a riprensione; e che gli Accademici sono obbligati al pari degli altri filosofi a render ragiooe di ciò che definiscono. V*è aoche dì più. ·I Pirronisti, du­bitando di qualùnque cosa cbe loro -si presenti', tengonsi sempre fermi nello stesso sistema ; né mai trovansi seco stessi in contraddizione, non accor­gendosi per nessuna maniera dt contraddirsi ; men­tre intanto non può negarsi che siavi uaa mani­festa contraddizione in affermare una cosa, e poi in rigettarla seoza pur dubitaroe; e cosi in dire che comunemeute alcune cose sono comprensibili, e nello stesso tempo che noo lo sono. Altrimente come potrebbe essere che chi conosce tal cosa essere vera» tale altra falsa, dubiti ancora e eoa certezza l'una non adotti, e l'altra nou rigetti? im­perciocché se s* ignori che questo è un bene, Tal- Irò un male, o questo vero, l'altro falso, ed una cosa essere, e l’altra non essere; uopo è confes­sare, ciascheduna di queste cose non potersi com­prendere ; e se evidentemente o per via de'seosi, o per quella dell* intelletto alcuna di queste cose si conosce , doversi dire che ogouna di esse è comprensibile.

Questa ed altre cose simili, svolgendo sul pria-

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MEDICI Ϊ FILOSOFI.

eipio dell'opera la differente dotlrioa de* Pirroni­sti e degli Accademici. Enesidemoy egeo, tratta io questo primo libro tutto in generale l’ordine, e il complesso delle opinioui de’ Pirrooisti compendio* samento dichiarando.

Nel secondo libro, incominciando a trattare par­ticolarmente le singole cose che io geuerale avea toccate, disputo intorno alle cose vere, e alle ca­gioni delle medesime, e alle affezioni, e al moto, e alla generazione e corruztoue, e de* loro cootrarj, ponendo innanzi agli occhi di chi legge con ra­gionamenti da lui creduti forti che tutte le accen­nate cose sono dubbie ed incompreosibili.

Nel terzo libro paria del moto e del senso, e deHe loro proprietà, con molta diligenza investi­gando quanto può a tali cose contraddire, sforzan­dosi di provare nou potersi nè conoscere , né comprendere.

Nel quarto libro, egli nOn vuole nemmeno che sussistano segni delle cose oscure, le quali noi di­ciamo essere manifesto ; ed ingannarsi per una certa vanità di quelli cbe le tengouo per tali. E qui muove, come è suo uso, varie questioni in­torno alla universa natura, intorno al moudo, in­torno agli Dei, sostenendo uessuna di queste cose potersi conoscere.

Nel quinto libro a chi tiene le anzidette cose per certe propone argoineoti di dubitare delle cagioni, dicendo niuna cosa essere cagione delfallra*, ed ingannarsi quelli che tentano di addurre cagioni, annoverando i modi, coi quali stndiansi di allegare cagiooi quelli che sonosi precipitati io tale errore.

Nel libro sesto, parlando de'beni *e dei mali, e di

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2 9 8 CLASSE QCAftTi ,

quaoto è da appettirsi, e da fuggire , con simil metodo ne disputa ; e per quaoto sta io essolui » tali cose esclude anch’esse dalla cognizione e com- prensiooe nostra.

Nel settimo libro discorre contro fu virtù, rife­rendo fu varie opiniooi intorno alle medesime (or­matesi dai fìlosofì, ingannatisi io quanto si diedero ad intendere d’ essere giunti a praticarle e ben conoscerle.

Nell*ottavo disputa contro il fine de* buoni, di­cendo questo non essere né la beatitudine , nè la voluttà, né la prudenza, nè altra qualunque cosa cbe siasi irnmagioata dai seguaci delle varie sette de’fìlosofì : sostenendo oon essere per nessun modo alcun fine, quantunque da tutti si decanti.

A siffatte dispuiasioni tendooo i libri di Enesi· demo% i quali a Piatone e ad altri parecchi stati al mondo prima di noi bastantemente dimostrarono che la sua opera é pieoa di stoltezze e di ciarle t né giovaoo a confermare alcun dogma \ cosa chia­rissima del pari, per lo meno considerando come ba preso di estirpare contemplazioni dogmatiche inerenti all* intelletto nostro. Per quelli però cbe si esercitano nella dialettica, questo libio può noa essete inutile , purché però la meote di tali per­sone, non ancora beo ferma ne* buoni priocipj dai ragionamenti dell’autore non si lasci sorpreodere, e la chiarezza del giudizio in essi noo si corrompa.

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MZXPlCl z f i l o s o f i .* 9 $

DIODORO VESCOVO DI TARSO

c o n t r o i l f a t o .

Si é letta l’ opera di Diodoro , vescovo di C. Tarso, contro il Fato% divisa in otto .libri, e in ciuquanlatrè capitoli. Ne' quali libri cotesto pio scrittore veramente nulla affatto declinò a quella setta cbe con Nestorio empiamente pensò del F i · gliuolo di Dio* ma beosì negli argomenti, quan­tunque con sufficiente criterio e con destrezza pro­ceda f lodatori del fato impugnando, pure è da dire cbe non abbastanza'chiaramente, nè accura­tamente abbastanza, ràentre intende combattere i dogmi degli avversar), quelli investe, lasciandosi guidare piuttosto dalle apparenze^ onde avviene cbe sovente mostra di combattere piuttosto altri ebe quelli contro i quali si è mosso. Sebbene nessuno sensato arbitro deve riprenderlo per es­sersi in qualche parto di quest'opera meno felice- mente condotto , considerando cbe da quanto ha preso a fare gli si debbe onore e grazia, poiché non senza lode in molte altre parti cerca di di* struggere Terrore riguardante il fato. Prova di ciò che dico , si é che nel ciuquantesimoprimo capi* tolo , nel tempo che l'opinione sul fato rovescia , ribatte ancora il sentimento di Bardisane, che quella opinione dimezzò, e la lasciò fino ad ora per inetà infetta. Imperciocché quantunque con­servando all'auima fu libertà delF arbitrio là fac­cia esento dal fitto, e da quèlla che dicesi in­fluenza natalizia, tutte però fu cose cbe riguar-

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3o o c l a s s e q u a r t a ,

dano il corpo, e il corpo stesso pone sotto il governo del fato, come è dire le ricchezze, la po­vertà, la malattia, la vita, la morte, e quaoto non è discendente dalla volontà e podestà nostra t le quali cose tutte dice essere soggetto al fato. Dio- doro perciò, da studioso uomo v e pieno d'amore del sapere,· chiaramente e fortemente ribatte Sor* disane dimostrando come stando alle sue parole una parte, è v e r o , sostiene di quello errore, ma fu sostanza lo adotta tutto intero, poiché assaissime affezioni del corpo sogliono accadere e compiersi, o per operazione e cooperazione dell'tfnima o ve­ramente ancora per consenso della natura.

Adunque nel primo libro, dopo aver detto varie cose intorno al fato ed investigato onde tanta audacia l’errore, rispetto al medesimo, abbia presa, sorge con­tro quella opinione che asserisce questo universo noo avere avuto nascimento, da tale opinione argomen- tondo egli, che sìa derivato Terrore intorno al fato; e termina questo libro in modo che continua la confu­tazione anche nel susseguente. Perciò dopo le accen­nate cose, nel capitolo decimo dimostrando che tantoil mondo, quanto l'uomo in esso dimorante hanoo avuto n a s c i m e n t o , di questa maniera prende egli a ragionare :

Gli uomini, dic’egli» presi ad uno per uno, sono soggetti alla corruzione e alla generazione. £ da ciò si fa manifesto che anche la natura si riduce ad una simile dissoluzione, né dura se non se in forza delle sole vicendevoli successioni. Ora ciò che non ha nascimento, non può avere la sua io- corruttibilità dal succedere cbe fu Ona sua parte a mano a mano in luogo dell'altra; e soltanto è tale per

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MEDICI B FILOSOFI. 3θ f

sé medesima » e fu forza della sua sostanza. Che poi anche il mondo abbia avuto uascimeuto, vieu chiaro da questo che hanfìo nascimento le cose ehe sono in esso, cioè il fuoco, l’acqua*, la terra e l’aria; imperciocché queste cose ogni giorno in particolare e si corrompono e si generano. £ di fatto che la terra sia corruttibile scorgesi da questo cbe tanto P uomo, quanto gli altri animali corrom- ponsi, e si couvertouo in terra. Dacbé poi in essa corrompousi, resta provato che da essa le cose corrotte ebbero in principio il loro uascimeuto. Aggiungasi che anche presentemente la maggior parte degli animali dalla terra mutata e corrotta si generano, e fauuosi. £ ciò che si converte , ancorché la corruzione sua fosse per avventura manifesta , come potrebbesi dire che non abbia nascimento; poiché ogni cambiamento dì ciò clic di sua natura dianzi sussisteva, dee aversi per massima cagione del oascimeato del medesimo. £ se la natura dell* uomo fosse senza nascimeuto, Com e fu genesi, o il fato, potrebbe disporre della medesima? Perciocché ciò che é senza.nascimeuto, per sussistere non ha bisogno dell'opera d'altri.

Se poi forzato dalla evidenza delle cose alcuno forse venga a confessare avere bensì avuto nasci* mento le cose terrestri, acquatiche ed aeree, ma però quella genesi, per la quale si compiono, col suo corso produce una certa corruzione cootruua ed esente da nascimeuto, e cbe tutte le accenuate cose perpetuamente e seuza principio essa opera; questi dalla sua propria asserzione viene ribattuto. Clié oon é per verun modo possibile che le me­desime cose sieno nate» e uoa sieuo sempiterne,

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3 υ ϋ PASTE QUARTA,

e tuttovolta sieno sottoposto ad uoa disposizione sempiterna. Può uoo disporre, e conservare fu cose che sussistono, ma quelle che non esistono, pri­mieramente le fa, indi le governa e le dispone ; e non dispone e governa prima le cose che non esi­stono e di poi le crea.

Che poi abbiano nascimento, o principio anche gli elemeuti, l’autore fu prova da questo, cbe essi reciprocamente ogoi giorno , siccome veggiaino , hanno bisogno di soccorsi, mentre ciò cbe non ha nascimento, è immu'abile, né ha bisogno di alcuno. Ed intanto gli elementi hanno un mutuo bisogno non solo per conservarsi essi medesimi, ma ancora per conservare gli animali che in essi vivono. Così che tutto il inondo abbia nascimento apparisce dal vedere che nói facciamo come esso è im com­plesso composto del cielo, della terra* e delle cose che sono in mezzo alla terra e al ctelo. E di fatto se, come l’occhio, o il capo nel rimanente corpo, cosi il cielo tra le parti del mondo é la più de­gna, dobbiam dire, che come il capo e l'occhio, quantunque degnissimi sopra le altre membra, sono soggetti col rimanente corpo ai medesimi commo­vimenti $ così pure il cielo , che é soggetto agli istessi moti con la terra, eoo l’acqua, con Paria, e con tutte le corruttibili cose che sono in esso » non isfugge dalla corruzione comune. Come si dirà adunque che quelle cose che dipendono dalla disposizione della genesi, non abbiano nascimento^ o come le cose le quali per esistere non hanno bisogno dell’opera altrni, incominciassero ad aver bisogno dell’altrui disposizione, ed invero anche non buona? E che vantaggio trarranno da questa disposizione,

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MEDICI E FILOSOFI* 3 θ 3se già dianzi mancavano di nascimeuto ? Ogni cambiamento di ciò che uno ha nascimeuto, è. corruzione; è peidita dì una cosa esistente, la quale mancava di principio. £ come parimente supporre discendenti dalla disposizione della genesi le cose noo aventi nascimento, nou per dare ad esse una na­tura di tale specie, ma soltanto pei* conservarla ad esse?

Se poi alcuno dicesse cbe il cangiamento di quelle cose manca di principio, o nascimento, di­rebbe ancora cosa che nou paò assolutamente es­sere. Imperciocché un tale cangiamento é una certa affezione, la quale ha principio^ e niuuo direbbe mai che uo cangiamento sia senza princìpio. Aozi, per dir brevemente, il cangiamento sapientissimo e degli elementi,e degli animali e corpi cheiuessi si fa, e fu varia differenza della figura, de*colori, e delle altre qualità, oon solo non permette che noi pensiamo o non mancare »1 mondo di nascimeoto ,* ed esistere di sua natura, e senza provvidenza veruna; ma c* induce a chiaramente sapere, ed a credere fer­mamente che Dio a tutte queste cose dà Tessere, e Tesser bene. Ma forse si dirà che tutte le cose haono principio bensì ma non averlo fu natura,o la posizione delle stelle. Ma che genesi é quella che si suppone prima che alcuna cosa sia fatta? £ chi avrebbe creati gli elementi ? Nessuno, e da sé stessi ? Ma quello che nob ha nascimeoto, o principio, non può da sè subir cangiamento. Chè a tutti grato essendo quello cbe è , secondo la propria natura, molto più debbe esserlo a quella natura cbe non ha pi incipio , nè nascimento. Nè v* è alcuna cosa, di tofu natura, fu quale* ove non

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3 o 4 c l a s s e q u a s t a ,voglia, possa da alcun a l t r o r patir cangiamento, poiché quello che é piò forte , da uiuuo di forza minore può essere forzato { e cedo noo v*é piò forte natura, di quella che non ricooosce prin­cipio e nascimento. E poi come le cose che io nessuna maoiera esistono, possono essere falle senza artefice? e come levaodo a Dio questa forza, le cose possouo appropriarla a sé stesse, a modo da prodursi da sè quando prima ooo sussistevano ? E se potevano produrre sè stesse, perché non eb­bero la facoltà di disporsi da sé 'medesime , ma ebbero bisogno della cura. d*altri? È molto piò diffìcile Tessere da prima fatto che, dopo essere stato fatto, rimanersi. E come adunque ebbero da sè ciò che era piò diffìcile , e non ebbero poi il meno diffìcile se noo ricevendolo da uu altro? Come poi la genesi dispone della terra, del Paria e delta altre cose ch'essa nou fece? Dell* autore é officio auche la disposiziooe, non solo perché egli cono­sce la natura di tutte le cose da essolui fatte, ma perché principalmente egli conosce in che maniera possono conservarsi, e come inclinare a confon*· dersi ed a corrompersi. Che se v* ha chi ardisca attribuire al fato auche la creazione degli elemeoti, bramo che questo tale ci dica quale sia l'astro che al suo ingresso uel circolo zodiacale facesse la terrai quale facesse Paria, o il fuoco, o l’acqua. Ma nessuno di costoro dirà mai taoto , ancorché voglian pur dire ogni geuere di fantasie. Oltre ciò, se ciò che la geuesi fa, noi fa uua volta sofà, ma assai sovente dopo alcun periodo di tempo ripete, ci mostrino essi piò volte essere state fatte molle terre intere, molte intere acque, moki m*

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M a n ic i a f i l o s o f i . 3 o5

ferì m ari, oude costituire eziandio mondi infiniti. M a come ciò oon è possibile, non è nemmeno pos­sibile che fu genesi abbia anche uoa volta sola prodotto uno degli elementi. £ se passando di va­nità in vanità dicessero che gli elementi furono sivvero fatti da Dio, ma però disporsi da quella genesi, la quale al pari di Dio non conosce nasci­mento, con ciò dimostrerebbero molto più chiara­mente la loro pazzia. Come mai Dio l’opera da esso creato sottoporrebbe alla genesi, che non os­serva alcun ordine? Forse perché manchi egli delfu sapienza necessaria a provvedere a quanto ba creato? Chi tollererebbe una tale bestemmia? Come immaginare una stoltezza siffatta? Dio aver potenza di creare, non avere poi tanto di provvi­denza, quanto quella genesi disordinata appropria a sé medesima l Ma infinita è la serie delle as­surdità che da tal concetto consieguono. Ora» se come per fu sua bontà Dio fece fu creature, cosi anche vi provvede, superflua e stolta cosa é questo immaginarsi fato, o genesi. £ dìcesi ancora : come può il cielo essere senza nascimento, daché esso è parte del moodo cosi fatto che da esso per ogni verso n*é cinto? Ma ciò che non ha nascimento, né può cingere altri ué può ad altri servire di luogo, ma di sua natura è libero tanto da questa quanto da altre affezioni. Anzi dalla stessa ipotesi cbe si pone, abbastanza apparisce che ué il cielo, né le stelle mancano di nascimento, o principio che vogliam dire» Alcune di queste stelle si vo­gliono benefiche, altre si fanno malefiche, e a quale desse una, a quale un*altra cosa sì attribuisce* nelle quali, mentre stanno, alcune diventano più

Fouof rou IL· do

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3o6 classe quaeta ,malefiche, od almeno si fanno malefiche di boni· gue che erano; ed altre all'opposto, di malefiche ohe erano, volgonsi ad essere benefiche, o più be­nefiche si Fauno di quello cbe fossero dianzi. Come dunque può mai concepirsi che sieno immuni da ogni perturbazione , o semplici * o composte, o senza nascimento, ed altre quasi infinite «ose di questa mauiera? — Cosi termina il secondo libro di questvopera, e que*dieci capitoli, i quali dal decimo si stendono sino al vigesimo.

Nel terso libro ai cap. a t , aa, a3 e assume a riprendere coloro, i quali pongono il cielo ro­tondo; ma non adopera argomenti che a ciò val­gano. Ed egli ricusa di dare al cielo una tale forma, credendo che da quella ictdurrebbesi il fato, quando non dà alcuna prova di ciò. Imperciocché accor­dato che il cielo sia rotondo non oe consiegue necessità d’ammettere il fato. Nel cap. a5 e a6 contengonsi alcune pie ragioni, le quali non hanno molta forza per far rigettare I* ipotesi della quale si tratta. Nel 37 riferendo intorno al cielo e alle stelfu fu opinioni che fautore dice essere degli astrologò né le preseota con bastante esattecca, nè gli argo­menti che alle medesime oppone hanno la forca conveniente alfu scopo che si propone, o per fu meno mancano di certa verisimiglianca. Dicasi fu stesso rispetto a quanto contro le medesime opi­nioni accumula nel cap. ad, se non che non taoto discostasi dalla verisimiglianca.

Nel susseguente cap. poi riferisce come gli astrologhi dividono tutta la terra in dodici parti eguali , corrispondenti 8lPegual numero de* segni celesti, ed attribuiscono fu singole frazioni della

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MZDici s r iLOSoru dojterra insieme coi loro abitatiti cosi defìoitivainenteo ciascun segno che ogni particolar segno dello zodiaco soprastà alla rispettiva frazione della terra, e come nebbia a quella stabilita porzione della terra fa ombrello. Ma poiché per sentenza de' me­desimi il cielo perpetuamente si muove, e muo* vonsi con esso girando que*dodici segni, dicVgli cbe noo può essere che perpetuameote que* segni alieno sopra alla medesima frazione della terra , ma che ogni segno trapasserà secondo il procedi­mento del cielo, tutto le frazioni della terra, mentre ora al levante, ora all'occaso del sole ed ora al mez­zodì insieme col moto celeste esso vieoe aggirato, né rimarrà mai fìsso in alcuna frazione. Ond*é che ogni particolar segno avrà a reggere oon meno la frazione della terra assegoatagli che Rassegnata ad un altro. Aggiungasi: se, secondo la loro opinione, la terra sta rispetto al cielo come il puuto centrale, e se ciascun segno delfu zodiaco tanto per latitudine , quanto per longitudine é di molte parti maggiore della terra, come può essere che ciascuna di quelle dodici fraziooi delfu terra corrisponda con esatta parità a ciascun segno, e si coestenda al medesimo, e perciò abbia con esso quella giusta affinità che suppongono? E molto piò poi che tutta fu terra non é abitabile , anzi per la massima parte , pel troppo calore, pel troppo fieddo, noo può dare stanza agli nomini, e fu parti abitabili sino da principio s o d o dalle altre tutte disgiunte. Che se dicono non per ragione del sito i segoi influire sulle singole frazioni della terra , né per ragione delfu materiale grandezza, poiché la terra noo preseoto tanta ampiesza, né per ragione della uà-

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3o8 CLASS* QUARTA ,tura le singole parli de*segni godere delle singole parti della terra ; vanamente giusta le figure dei segni distribuiscono anche i luoghi della terra : tome quando attribuiscono alle branche o alle for­bici del Cancro certe eminenti parti,'ed estese oltre la mole del tutto ; cd alfe corna, e alle zampe del Tauro certi altri luoghi che piò ne avvicioaoo la naturale figura.

Piò; se ciascun segno zodiacale per ragione di satura presiede alfe singole frazioni della terra per modo che ue offenda, e ne*vizj le parti, o con tremuoti, o con guerre, o con devastazioui di vul­cani, o con isterilito, quante volte alcun astro ma­ligno comparisca, ed al contrario sommamente gravi all’agricoltura, con le fabbricazioni, con la ubertà, alzandosi sopra d'esse una qualche stella benigna, come avviene che trovinsi luogbi , i quali o per soverchio freddo, o per calore soverchio perpe­tuamente rimangonsi deserti ; né alcun astro b e­nefico mai le portò contro tal solitudine migliore temperatura \ né altro assai malefico ascendente ai luoghi abitabili li ridusse a deserto? Impercioc­ché quantunque pur sia che alcune volte in questi luoghi si sieno vedute alluvioni, o grandini, o tempesta di fulmini, sempre però é in esso ritor­nato il buon ordine, e la naturale uberta ; ed al contrario ai luoghi deserti mai oon giovò alcuo astro benigno. £ veggiamo altronde, sia oelfu so­litudini , sia in tutt’ altro luogo uno stabile anda­mento posto da Dio nell'ordine della natura* in virtò del quale mai non viene pioggia ove questa naturalmente non suol venire, nè giammai man­cano nevi, ove sempre dominarono luoghi ed acati

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MEDICI E FILOSOFI. 3 oQfreddi. Che se questo immutabil ordine di cose nella Datura de* luoghi si prende per indizio, e per prova che ogni seguo zodiacale presiede alle singole parti della terra, i cangiamenti poi di ferti­lità io isterilità, e i tremuoti, abbastanza dimostrano fu debolezza della loro tesi; perciocché quantun­que soventi volte la temperatura de* luoghi felici sia sparita, mai però nou si è cangiata l'asprezza inevitabile delle solitudini. — Queste sono fu cose $be nell'accennata maniera si tratta n el3o cap. con qualche conseguenza e probabilità. In quauto alfu altre, io parte n*è parlato ne* capi precedenti , e io parte veggonsi esposte soltanto per una esteriore apparenza.

Nel 3 t cap. rovesciando I* opinione degli astro­loghi, cerca perché essi chiamino case delle stelle erranti i segui dello zodiaco. È egli perché sono, fissi nel cielo? Se ciò è , tutti quanti gli astri, cbe similmente rimaogono fìssi, saranno del pari fu furo casa. No* ma perchè non ognuna delfu stelle erranti gode di altra errante. £ perchè diio- que anche i pianeti nou chiamatisi case de* segni dello zodiaco ? Come non sono case a vicenda i pianeti benefìci, e prosperi,e i malefici; anzi quei segni dello zodiaco che hanno seco stessi una certa, direm così, familiarità? Se poi vuoisi ciò dire perché i segni compongoosi di molte stelle, quandoi pianeti sono di un solo genere, anche iu questo caso gli astrologhi saranno obbligati a costituire casa de9pianeti ogni composizione di stelle fìsse; giac­ché chiunque ben voglia osservare troverà molte composizioni di altre stelle fìsse. Se poi si vorrà dire che fuori de’segni dello zodiaco, niun’altra delle

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3io classz q »taits ,stelle opera insieme co* pianeti effetti fatali , ri­spondo , perchè i pianeti non sono case de* segni celesti, siccome operano con insieme essi ì Se per avventura non voglia dirsi cosi, perchè i pianeti pos­sono rendere fu operazioni de*segni celesti o nulla od efficaci· Ma allora perchè altri non sono an- ch’ essi case di altri, giacché, r.ome gli astrologhi asseriscono, possono renderne a vicenda gli effetti* od efficaci, o nulli? E parimente come mai ò cbei soli segni zodiacali cooperano co*pianeti? e che fu rimanente, moltitudine delle stelle fisse è affatto superflua, inutile? E come asseriscono essi che ΐ pianeti possouo essere benigni, o nocivi? forse a cagione del loro moto? Adunqtie niuuo de* dodici segni dello zodiaco sarò prospero od avverso; e fu stesso sarà d'ogui altra stella non errante· Se si dice che la cosa succede perchè i pianeti corrono per que*segui, molto più avranno questa podestà di far bene, o male fu zone, o i luoghi dell'aria, per cui i pianeti corrono. Imperciocché colesti luoghi toccaoo il cielo de’pianeti, per essere, come gli astrologhi dicono, molto inferiori Finalmente a che fu luna può diminuirsi ed accrescersi ; e come i progressi di tutti gli altri pianeti condu­cono stati fìssi, e ritorni, lasciano poi che il sole e la luua sieno liberi da questo errore retrogrado? E se Saturno, che apparisce piccolo» ma è, come dicono, maggiore degli altri pianeti, per la ragiooe che muovesi con piò alto, giro ; perchè maggior delfu luna apparisce il sole che pur corre pel quarto circolo al di sopra di essa? È manifesto cbe dovea comparirne minore. Sono dunque false , e insussistenti le cose che leggonsi negli scritti degli

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m e d i c i e f i l o s o f i . 3 i iastrofugì. Così l'autore termina il cap. 3 i. Nel sus­seguente poi nulla adduce , atto a confutare gli avversar) cou qualche apparenza di vero; e quanto ne9suoi ragionamenti comparisce pio , altrettantolo trovi languido per ciò cbe appartiene a ribat­tere Terrore. Nel cap. 33 trattasi di quanto ap­partiene alla efficacia dalla forma. E fu cose che pone in mezzo per rigettare la rotondità del cielo banco comuni fu difficoltà contro quelli cbe di* cono che il cielo é emisferico, e concavo a guisa dì una volta, o alcon’altra simile forma gli attri­b uiscono. Ed ivi finisce il terzo libro.

Nel quarto libro, ai cap. 34» 35 e 36 , tratta a un di presso fu seguenti cose. Prende egli a com­battere la genesi, o il fato , dalla diversità che trovasi tante tra la parte abitabile della terra e la inabitabile, quanto tra i climi considerati tra furo. Qoale, domanda egli, è quel moto degli astri, pel quale accade che noa parte delfu terra pel troppo f reddo, e Faltra per l’ intollerabil calore non pos­sono in nessaa modo abitarsi? e similmente parte ve d* ha che, o dileguandosi pel calore, o da con­tinue nevi percossa e dall* asprezza del freddo t ribolata, non può abitarsi che difficilmente ? E come mai anche in queste quella genesi perpetua, fu qoale in altri climi produce tanti cangiamenti, non cangia la costituzione dell*aria? Egli è dun­que certo ebe non il corso de* pianeti, oè la com­posizione de* segni celesti producono queste va­rietà , ma cbe fu produce unicamente la uatara del sole , secondo I* fu ter vai lo e fu situazione dei luoghi. Diciamo ancora, perchè mentre da per tatto altrove fu terra vieoe irrigata da piogge, il

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3 1 3 c l a s s i QTTiHTA ,

solo Egitto viene fecoodato dal Nilo , quando ia certa stagione dell’anno, crescendo d’acque, le versa su quel paese? E perché l'interiore cootrada della Tebaìde, che dicono O asi, uè da fìume , nè da rugiada viene irrigata, ma soltanto da fontane, fu cui acque oon ispootanee , ma eoa graode fatica degli abitanti sono tratte per caoali al bisogoo ?Il qual fatto é anche mirabile per questo, che i luoghi vicioi ai mouti hanno di queste fontane, le quali mandano interi fiumi d’ acqua non. meno limpida che dolce , quando le larghissime pianare più looteoe da que* monti o noo hanno oino* ac­qua, o ne hanno poca, e torbida e salmastra, oé di sorgente, ma di fosse , e noo suffìcieote nella state al bisogno della sete. Che se tutto é gover­nato dalla geoesi, come succede che il piaoeta domioaote , eotrato fu alcun segoo umido e a sé familiare, non empie tutto il paese di acqua , ma ne abbondi là, e qua ne manchi nel tempo me­desimo , e cbe la terra si vizj a sì breve inter­vallo di luoghi ? quantunque tu vegga in questi medesimi luoghi avvenire in altro tempo il con­trario. Se per avventura non debba dirsi che il popolo coli abitante abbia , commessi dicono, una certa genesi particolare, o che in vicinanza, per certa singolare maniera, alzandosi un segno, que­sto travolga que* comuni effetti della geuesi, e la fon a universale della genesi diventi vana, ed una genesi tutta particolare coucorra* Le genesi aduo- que delle parti singole della terra muovono l'aria* né il segoo umido , congiunto pure col soo affino pianeta, potrà produrre Teifutto suo proprio, re­sistendovi un fato particolare. Perchè inoltre io

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MZIPfCt % TÌLÓtÙTU 3 i 3certi' luoghi l* acqua potabile é più rara , in altri abbonda, e ia altri gli ebitooti hanno acque calde spootaneamente sorgenti ? Perchè in Sicilia , nella Gallia, nella Licia e in altri popolati paesi sooo monti assai grandi , che mandano perenne fuoco · a tanto che di notte si rende visibile a genti lon* taoissime , nè pel freddo dimiouisce , nè si estin­gue per piogge» nè porta nocumento veruno alia vegetazione, mentre i popoli a que’ mooti adja- ceoti nulla hanno di simile, nè possono dimostrare qual cosa rechi tanta differenza d’aria, di campi, di mooti ? 'Se tal fatto è opera dei dodici segni- dello zodiaco e de* sette pianeti , perchè dunque questi noo operano le medesime cose da per tutto? Tu trovi poveri e ricchi , imperanti e soggetti, ammalati e sani, ed altre cose simili da per tutto) e perchè da per tutto ancora non abbiamo anche e le piogge, e fu siccità, e fu altre cose di sopra accennate? £ il metallo dell’oro, dell'argento , del rame, delfu stagno, del piombo, e tanti altri, da qoale genesi trovansi prodotti? Confessiamo adun­que piamente che queste e tante altre varietà in** numerabili, principalmente per rispetto di noi sono date da Dio $ e che dal fato sieno creati gli artefici, onde delle cose di questo mondo possano valersi » né il diremo n oi, né fu dirà, cbtuoque abbia boon senso. Oltre queste cose, se ogqi clima rimane ( ciascheduno. fornito sino dalla creazione del rnoodo di mille cose differenti) noo guasto dai cangiamenti della genesi, se tante cose fino dalla eteroità restarotto immobili, se mai non cessarono e il fiosso e riflusso del maro., e i fonti fu estinti di fuoco , e fu, differenti razze di animali io ogni

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S f i OLAISB QOSBTA ,

d in a* e altre ienumerabili ed immutabili altera* ziooi di cose, meotre tante la stessa genesi ne cangiò ; come negare cbe senza la medesima al­cuna cosa possa rimanere, o governarsi? Da co­storo volentieri cercherei cbi per avventura desso priocipio al moto ravvivante nelle erb e , nelle piante e negli animali che sussistono. Perciocchò dee dimostrarsi Torà nella quale dalla terra for­ma vasi la genitura di ciascheduna di queste cose* e perchè altra essere quella della palma» altra quella del fìco ·, e cosi quella cbe è propria del cane, e similmente quella cbe è propria del cara­mello j nè essere la medesima quella del cavallo , della colomba» o degli uomini; e coti discorrendo* Se possono dire perchè non ora la geoesi formi dalla terra fu predette cose, ce fu additino. Per­ciocché non v’ ha da esser nulfu che solamente uoa volta si (accia pel giro delfu geoesi, ma fu stessa cosa ba da farsi soveute. P iù , perché da principio ooo sarebbero state le cose cbe so d o

state prodotte , se dalla terra oon fossero state formate, e di pei ni una d* esse può germogliare dalle terra, ma devo conservarsi per mezzo di vi­cendevole successione ? O come , oon avendo la geoesi per fu cose che sono proprie e somma­mente necessarie, la furia di formarle tutte dalla terra » potrà poi conservarle , perfezionarle , di­struggerle^ Inoltre da U'acco rat a cogoi sione dell'ora essi riferiscono quanto deve accadere a ciascuna cosa cbe si genera; voglio dire alTuomo, al bue, alPuc- eello, alla nave, alla città, e ad ogai altra cosa di cui dicono avere precoaoissone; ma per quale'ragione poi $ oon conoscendo i tempi della geoitura della

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wcotct a m o sori. 5 ι5terra, del mare, del Paria , promettono essi di di* chiara re le effusioni, i movimenti e i cangiamenti di queste cose ? E come prestar fede a costoro ? come non isdegnarsi delfu furo arroganza, giacché ad oota di taoto loro vantarsi, mai non potranno mostrarci le geniture proprie di ciasehedona cosa in particolare ? Certo è che tante sono le diffe­renze delle geniture , quanti sono i generi delfu cose che si producono. Or come fu medesima genesi produce il cane e il leone, e così Puomo e il cavallo nelPisfaote stesso, quando queste cose sono tanto tra sè differenti ? Come tanto varietà di colori, di ligure, di qualità, se la genesi, che» secondo il detto loro, fa queste cose, non si sup- pone varia? E di fatto non essendo una sola 1* a- sione, od affezione di tutte le cose, né di tutti i majali la grandezza, fu velocità, fu robustezza, fu voce , sarà forza dire non uno solo essere il mo­mento della genitura , ma bensì tanti quanto sa· ranno le differenze delle cose che dalla genitura sì fanno , e noo solamente riguardando agli ani* mali terrestri, ai volatili e agli acquatici, ma pur anche alle piante, all* erbe, e a tutto ciò, in una parola, che in terra ha nascimento. Domando poi come potranno essi mettere insieme tanto ed im­mensa moltitudine di momenti di tempo. No , noi potranno , se anche suppongono P anno composto di dieci miglia}· di giorni. E la mendace furo opinione tanto più rimarrà rovesciata ove si con* sideri il sì frequente partorire degli animali , sic­come de* cani, de* majali, delle galline , e princi­palmente di quelli che mettooo io luce ad un tempo assaissimì feti. Chè i majali, i pesci, i cani

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3 t 6 CLASSZ QTXABTA ,durano tafura de* giorni interi partorendo, e i pe­sci, secondo che credo » anche più giorni, poiché quella moltitudine d’uova ch'essi mettono fuori si converte ordinatamente in tante miriadi di pesc i. E mentre così avviene de* pesci, in que'medesimi giorni certo è che in tutto il mondo si generano volatili e terrestri e acquatici in tutto il mare e oe1 fiumi e negli stsgni.

Un’ altra osservazione è pure da farsit all*inco­minciare una ben temperata primavera, ogni erba fiorisce e partorisce, ed ogni specie di alberi fa10 stesso , e molte generazioni, sia d’ uccelli, sia d’animali, sia di pesci, di qualunque maniera con­cepiscono. Ed iufìoiti sono i generi di piante che nel medesimo tempo portano semi perfetti; infiniti gli alberi che portano fu furo frutta; e non giò in uo solo momento , ma in molti giorni , giacché oella stessa piaota qui vedi fiori e frutta che cre­scono , e frutta che maturano. Lo stesso procedi* mento si vede in tutti gli animali; e intanto tutto queste cose non possono avere fu stesso momento di. genitura. Aggiungasi che alcune specie portano11 feto un anno intero , alcune dieci mesi , altre quaranta giorni , ed altre presentono altre diffe­renze. Or quale astro, e in quale segno entrando, determina ad ogni specie il tempo di sua portata? E d’ onde avviene cbe mentre nella particolare specie degli animali non è eguale la durata delfu vita, é però eguale il tempo della portata? Dicano essi adunque gli astrologi che queste cose ancora procedono dalla genesi, onde vie maggiormente ci ridiamo di loro. Che se preferiscono di tacersi, e perchè poi oeg&tfu che alcuna cosa facciasi seoza

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MZOICl E FILOSOFI. 5 l 7geoesi ? E oon voglio qui recare in mezzo fu dif­ferenze de* feti, alcuni de* quali sono simili ai loro genitori, siccome gli uomini, i cavalli, * leoni ( altri noo simili , come le orse , le vespe , le ap i, ed ogni animale uscente da uova. Una parte pur v 'h a che vien generata senza eongiuogimenti, uo' altra che essenzialmente li esige. £ chi può annoverare le differenze innumerevoli cbe tro­vassi in tanta moltitudine, e non dico soltanto d! animali, ma di piante, di erbe, e d'altre cose'si* mi li ? Delle quali tutte è pur giusto chiedere agli autori del fato le rispettive cause , poiché, se­condo che essi sostengono, tutte dipendono dalla genesi sì nel riguardo della esistenza e del modo d*essa, si nel fatto delfu loro portata, e di quaoto concerne il patire, l’operare e il morire. Dovremo noi pèr avventura dire che fi si studiato discorso loro intorno alla genesi comprende solamente % miseri uomini, affinché la più bella ed onorevole qoalità che noi abbiamo, cioè la libertà deU’arbi- trio , rimanga si ignorata ♦ e noa abbiaosi a reo* dere grazie a Dio pei benefìzi eM0 *u' com­partiti al genere umano ? Ma , dirò pur aoche , come avviene che la genesi operi quelle intem­pestive aggiunte , quali sono quando nascono feti di quattro teste , o mani, o gambe di più che fu natura esige? Come a' rettili noa concede fu gambe per camminare , non gli occhi alle talpe, ooo al­tre cose a cui pure abbisognano? Di' ancora che a chi dà cotali intempestive aggiunte nou per­mette durar nella vita , poiché le cose di forma prodigiosa sogliono avere vita breve, e per quelfu aggiunte sue distrugge io esse tutta fu furo oaiura»

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Si 8 ctAsss quarta ,intanto cbe poi a quelle a cui tolse o > p iedi, o fu mani, o gli occhi permette di vivere , però seoza alcun compenso di tale mutilaziooe· Cbi queste cose attribuisce al fato, oltre fare assurdo il fato » fa assurdo sè medesimo. Se poi fu ri* guarda come uo peccato della natura, toglie ogni occasione di accusare il Nume ; imperciocché avendo stabilito cbe la natura procedesse con certe sue leggi, le' diede ancora di operare giusta fu condizione de* mortali con certa loro utilità. Laonde serbando essa i modi suoi proprj, niuna cosa produce a tale intendimento opposta. Che se p o i, cadendo in eccesso o in difetto , in paura o in affezioni veementi, viene a fare alcun che di contrario alle leggi avute, forca è che anche nelle cose che si generico manchi della esattezza sin­cera che dovrebbe serbare.

Finalmente è anche da domandare perchè al­cuni animali oon nutrooo i loro feti, siccome reggiamo negli avvoltoj, oe* corvi, e in quasi tutti i pesci } e perchè alcuni altri prestano alimento ai genitori nella vecchiaja di questi. Similmente come è che alcuni nudrooò 1* altrui feto messo furo sotto, e i piò oon fanno così· fila chi può annoverare fu differenze di tutte fu cose? — Que­ste cose conteogonsi nel libro quarto.

Nel quioto molte cose discorre, e , prima di tutte, fu seguenti iotoroo al fato.

Dice adunque l’ autore : Se ciò che i padri ge­nerano è opera della genesi, diviene manifesto che dalla genesi de’ padri è stabilita quella dei figli, ed anche l’ ora della medesima. Se ciò noo fia, oasce di conseguenza che fu genesi de*geni·

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M inet s mosorr. 3 tgtori oon influisce su quelli cbe tengono generati; ed è perciò vano ogni ulteriore ragioaameoto sol fato. Imperciocché se dalla genesi de* genitori procede il seminare « il portare , il venir perfetto o imperfetto il feto, chiara cosa é cbe anche l’ora di questo procede dall'ora medesima di quelli. £ se così non è dell'ora di questo, noo è nemmeno così deir ora di quelli. £ fu ragione si é che so le geoesi dipendono fu one dalle altre, e il mo­mento del nascere deriva dal feto di quelli cbe generano, potranno facilmente i sostenitori di que­sta opinione trovare una qualche genesi dell'uomo, e da questa indicare la genesi tanto de' padri, quanto degli a v i , ed anzi de' maggiori, e d 'essi tutti fu affezioni sì dell* anima che del corpo , o le azioni e fu figure, i colori e fu stature. Né questo solamente , ma potranno da quella genesi sola , e di una sola persona predire cbi debbasi generare; e perciò tutta per ordine la cognaaìooe futura cou fu sue azioni e tutte fu sopraddette cose, a modo che niuno rimanga ignorato né dei passati, né de' venturi. Ma essi medesimi i so­stenitori del fato riderannosi di questo tema. Ma badami pure. £ssi dicouo t La geoesi de' fìgli rende infelici i genitori, ancorché dalla geoest propria sia loro attribuita la felicitò. Alcuna volta eziaodio la genesi de'padri è tolta ed è vinta da quella de'fìgli , ogoi volta cioè che questa é uo fatale effetto di quella ; ed alcuna volta fu genesi de'padri rende infelici i figliuoli, e i fratelli dei fratelli, e oel medesimo modo quelli de* conjugi r quantunque una abbia uo'altra genesi e sia oata d’altronde. £ ciò che è più deplorabile» fu geoesi

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3αθ CLASSI QUARTA ,sforza i generanti ad odiare i fìgli io vece di amarli ; essa rende ioimici i figli ai genitori , i fratelli a vicenda tra loro, e medesimamente i coojugi , e li provoca ad uccidersi Può 1* altro ; cosicché arma fu natura contro sè medesima, e turba tutta la cognazione. Ed un tale si duole che il fìglìo sìa ammalato, o gli sia morta fu moglie, ignaro intanto che la genesi di ciascuno di que­sti oecessariamente operò e l’amore e gPinfortunj. £ qual uomo savio sosterrà un tale pensiero? S i­milmente insegnano che per fu genesi de* padroni sooo prodigiosamente infelici i servi; che cosi ac­cade delle gregge di capre, degli armeoti di buoi, delle mandre d'altri animali, per la genesi dei furo possessori; che cosi accade per la genesi del Re di eserciti interi. In siffatta maniera genesi innume­rabili, in forza della sola genesi di un uomo onico, volgonsi a migliori, o a peggiori fortune; e que­ste , felici- od infelici che sieno, per la genesi dì oaa persona sola comprendono una varietà infi­nita di età, di anni, di mesi, di giorni , di ore , di padri, di madri, di cognati; e talora eziandio il geoere di morte, o per ferro, o per naufragio , o per qualche altro simile accideute. Ciò non ostante però io trovo la geoesi de* servi e de* sol­dati , come essi dicono, superante i padroni e i re. Imperciocché i servi, con fu furo fallacie e adulazioni, o qualunque altro artifizio, assalgono i loro padroni , ed è la loro genesi che contro i padroni li arma. Che se i uostri sostenitori del fato dicessero che la geoesi del padre di fami­glia dà ai servi questo potere di nuocergli , ac­crescerebbero la difficoltà. Chè noo solamente lo

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genesi de’ padróni forzato avrebbe i soggetti a non essere inferiori, ma di piò a vincere quello stesso di cui è la genesi. E cosi coloro i quali pel loro fato oon avrebbero mai osato tanto, dalla stessa genesi del re sarebbero siati tratti ψ muo­vere coutro di lui ; imperciocché noti può essere che le geoesi di tanti soldati cospirino atta morte del sovrano. Così la genesi di uua città comanda sulla moltitudine degli abitanti \ chè quando que­sto cade, viene a toglier di mezzo varietà infittite di età , distinte da moltissime genesi , e con una sola e medesima ruina fu rovescia. Nella stessa maniera anche Paria corrotta e il diluvio sovente distrugge tutta una popolazione * chè tonte genesi non possono avere un solo genere di morte. Che se c iò , che pure è impossibile, si ammetta, io dirò che la genesi dell' aria , o della città viene sopraffalla dalla genesi della nioltitudiue *, ed al­lora bisogna concedere una delle due seguenti cose , cioè , o cbe la genesi di molti viene rea* duta vana dtf una sola , o che questa , spogliata •della efficacia propria, viene strascinata da quella di molti. E fu stesso può dire ognuno ragionando degli alberi, delle piatile, delleeibe, e di tutti gli animali. Per lo che se fu uoe genesi vengono rove­sciate da altre, cosicché quelle de* figliuoli distrug­gano la genesi de'genitori, e quella dei genitori di­strugga 1* genesi de* figliuoli, e siutilmeuto quelfu de' eoejugi tra loro, come la genesi delle case quelle de'furo abitanti, o al contrario quelle degli abitanti fu genesi delle case, dovremo conchiudere che la geoesi da sè stessa e da per tutto si distrugge e si scioglie. Coti l'autore ragiona nel cap.

Foiio 9 Voi. IL 21

M ZplCl z FILOSOFI. 3 a t

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Nel csp. seguente poi soggiunge i Aocbe noi confessiamo che quanto é in terra , iu aria e io mare é soggetto alle varie aziooi ed affezioni o naturali, o libere; ma che una fatale necessità sia la cagione di tutte coleste cose , noi abborriatno di dirlo, e il neghiamo*, incominciando il discorso dalle cose inanimate e discendendo a quelle che bsnno conoscenza , ed infine all'uomo , dotato di ragione. La calamita trae a sè il ferro; e non so­lamente lo trae a sè, ma gli dà anche la virtù di trarlo a sè anch’esso» e questo secondo comunica quella virtù ad uo terzo, e cosi di mano io mano. Il dittamo è un* erba tantp inimica degli animali velenosi , che accolta anche col solo odorato, to­glie ogni forza di nuocere. Fra tutte le erbe Pa- glaofoti sola splende di notte, a segno che al chia- ror suo può leggersi, e che fugge se alcuno tenta strapiparla, perché, sebbene abbia fìtte le radici , pure contro natnra pas*a da un luogo all* altro , quando le altre cose che sono attaccale per le radici non hanoo questa sorte di moto. Il cama­leonte è un animale che cambia in molti colori il corpo, ed apparisce quali souo i corpi sui quali posa, o legno, o pietra, o tutt’ altro, al colore di essi conformandosi. 1 / uccello seleuci è sì inimico delle locuste , che ammazza tutte quelle che pas­sano sotto 1* ombra sua. Ad altri uccelli piò che il giorno è acconcia la notte per la vista. Ad al­cuni è utile alimento ciò che per altri è morti­fero , e il bere non convfune a tutti gli animali. Tra* quadrupedi ve n’ha alcuni che noo hanno fu facoltà di orinare, e tutti i volatili sono di questa condizione. Ma che importo dire ad una ad oca

5 * 3 c l a s s i q u a k t a ,

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MEDICI z FILOSOFI. 5^3le infinite differenze che scorgonsi negli animali rispetto al cibo e alla bevanda, e nella fìgura, uel c a u to , nel silenzio , nello stanziar e , nelPemìgrafe e nel ritornare» e così nelTossequio, nella libertà, reità temperanza, nella libidine, nella fatica , nel- l ’ o z io , nell* audacia , nella tim idezza, e in altre qualità innumerevoli! Ora per qual moto del corpo fatale produsse ognuna di queste specie ? E qual è , iti mezzo tanta università, la ragione per cui nè il lepre ai d isce , nè il leone paventa , nè cia­scun altro animale si toglie dalle proprietà della specie sua, e in esse ogni razza è ferma immuta* hilm ento, e F uomo solo poi varia con tanti can­g iamenti? Se per forza della sua genesi ogni ge­nere da per tutto si conserva nel costume proprio della sua natura , come è mai che così l 'u o m o non fa? In esso tu vedi e timidezza ed audacia , ira e mansuetudine, improbità e p r o b ità , .e tante altre cose contrarie Tona alPaltra. E così essendo» dov’ è dunque il decantato corso della genesi ? dove la fotza de* sette pianeti e dei dodici segni dello zodiaco? E cosa è quella che agli uomini dà tanta varietà di affezioni e d* inclinazioni , e noo la dà agli altri animali ? Imperciocché P asino da per tutto porta la soma, il pardo è rapace, e tutti gli altri cosi P ordine conservano di loro specie, Retta medesima maniera la natura, che è ue’bruti secondo la rispettiva loro sp€cie , vince la genesi e le stelle levantisi alP intorno di quella , e tutta quella funga seiie di cose. Infatti dov’è egli Marte? di quale bruto armò egli la destra con fu spada»o copti con furica il petto , o difese eoo elmo la testa t o d* altri iogegui fu cosce e i piedi ? Nè

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3 ? 4 c l a s s e q u a r t a ,egli armò il lupo contro il lupo ft nò fece discen­dere tra furo a battaglia i leoni. Ma chi può ram­mentare ciò che ni uno può annoverare ? Se nulla succede fuori dei termini delfu geoesi, come mai né astro alcuoo, nè stella errante, uoo altra le- vaotesi io alcuu luogo all' intorno, non segoo al­cuoo zodiacale comunica ai bruti quanto comu­nicò agli uomini? Voglio dire uoo l'arte d'iutessere, non quella di lavorare metallo, o legname; nè diede loro maestri tia essi, che altri poi ne eru­dissero uella loro specie ? Se alcuno dice che noi ammaestriamo gli animali, pochi fatti p ri mie ra­ro ente addurre in questo proposito, e troverà poi assai diffìcile il dimostrare perchè noo imparino ogni cosa. Indi dovrà vedere che noo mai per via d’iolelligeoza, come si fa eoo l’ uomo, ma s’istrui- scosso con artifìzio , o col timore , come si fa col cane, con la scimia , col cavallo. A fona di ba­stonate questi aitimeli badano a quanto loro s'in­segna t e se lo imparano , non fanoo questo io considerazione dell1 utile che possono recare al padrone, ma bensì per evitare le botte. Il pappa­gallo imita fu voce umana per certo suo estro quando per mezzo di ano specchio appostogli noo bada a chi esso imita , usandosi di parlare nascostamente di dietro ad uno specchio loro ap­posto , col dir le parole le quali vuoisi eh' egli apprenda, O ode poi il pappagallo, credendo di ve­derne uo altto, cerca di ripetere le parole udite, senza intendere ciò cbe vien detto» ancoicbé tutte articofutamente le ripeta. Ed è il pappagallo solo che così fa, nè s'insegna simile cosa, od altra nè all* aquila, nè ad alcun altro animale. Ma come

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poi non ò contro fu legge della genesi anche questo , che mentre essa produce tutti gli altri animali spogli di ragione , alcuni però di qnesti Tengano dagli uomini istruiti, e superi i termini della genesi quegli che mai non viene sciolto dalle leggi della medesima? Se poi si dirà che le api s’ istntiscono vicendevolmente, sosterrò ancora nna tesi falsa *, imperciocché I’ ape dalla natura trae, e non già dall’arte, il modo dell’operar suo. Se non che anche da ciò cresce la difficoltò. E perché gli altri animali, ciascuno nella sua spe­cie, nè danno* nè ricevono istruzione? Perciocché chi insegnò a* corvi ed avvoltoj a volare, che oon sogliono nemmeno essere. uudriti piccini dai loro genitori ? Perchè la genesi , che suol costituire i re e i principi, li negò ai bruti? chè nè l ’ asioo è re degli asini, uè il lupo è re dei lupi ; né tra questi uno è povero e l’ altro ricco , nè tra essi v’ha alcuna di quelle cose a cui l’uman genere é soggetto. Dove aduoque troviamo e quelfu stelfu che levanti insieme, e quelle genesi che sooo ad essi proprie, e quella moltitudine di congiunzioni o di iuflussi sì decantata! Forse che tutta la furo forza si sfoga sui miseri uomiat? Ma egli è pur vero intanto che sopra tutti quanti gli altri animali 1’ uomo è potentissimo , superando i piò forti per I’ intelli­genza} e, quantunque confinato a camminare sulla terra , facendosi padrone tanto de* volanti per Fa* ria, quanto dei nuotanti uel mare, è a tutti supe­riore per sottigliezza e per accorgimento. Laonde come mai diremo che la geuesi ha imperio sopra di lui, che impera sopra tutti gli altri, e che non p uò imperare a quelli clie pur sooo soggetti al-

MEDICI E ritOSOFT.

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3 %6 c l a s s e q u a r t a ,Γ imperio degli- nomini ? Ma per quaoto apparisce da un cattivo, demnne cotesta macchinazione è stata inventala contro gli uomini , onde , persuasi che il vivere piamente e Γoperar giustamente sia effetto di necessità , reudonsi alieni da Dio ; e dalla stessa causa pur nascendo il contrario, non abbiano ritegno a commettere qualunque peccato. Diciain dunque noo sussistere alcuna genesi , ma contro fu verità fìngerei dai nemici dell* verità , come dai oeinici di essa vien dimostrato.

Né il diligente investigatore delle cose troverà cbe Tessere gli animali privi di ragione sia la causa per la quale essi non appreodono quaoto gli uomini sogliono apprendere , come uon essere la ragione quella che faccia atto 1* uomo ad ap­prendere le pressoché infinite serie delle disci­pline. Costoro dicono: Quanti e quanti mai la ge­nesi rende sordi, muti, stolti, inerti, incapaci di tutto ? £ a che giovò la ragione a chi nacque cieco, sordo, o di simile maltiera magagnato? E a quali auimali nou sooo tali uomiiti inferiori nel rispetto sia di cercarsi il vitto, sia di apprendere fu cose necessarie alla vita? D'altra parte, che danno ebbe Tape, il regnatelo, la formica, non avendo avuto il dono della ragione, quando intanto esse fanno tutto quello che alla loro natura convieue ? Che danno ebbero gli altri animali rispetto al fare quaoto ai loro bisogni è d'uopo, essendo privi di regione? Forse per essere privi di ragioue rc'gai e le cicale fttrooo impediti dal muovere le loro ale caotaodo ? E quelli poi che la geoesi può pro­durre atti di loro natura a cantare*come nou potè essa renderli anche eloquenti? E perché così parli

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MEDICI £ FILOSOFI. 5^7de*bruii? E ooi, ooi medesimi conosciamo cosa veruoa, se non l'appreodiaino prima * Ma i bruti esseodo privi di ragione noo possono appreoder nulla di quanto alla ragione appartiene. Sia cosi. Ma perchè duoque, se tutti souo privi di ragione, non apprendono ahneoo quelle cose che agli altri bruti appartengono , e le grò quello che saunoi cigoi , e gli asiui ciò che sanno i caoi, e le api quaoto saooo i regnateli; e cosi dicasi del resto? Certameote il bruto perché é privo di ragione, è incapace delle istituzioni degli uomini; ma tale si è per la differenza di oatura, posta in essi dal Crea* tore. E quale è l'astro che, occupato il segno zo-i diacale, prefisse quel fatai punto o ala li* io alle fiere, ai giumenti ad ogni altro animale della terra , o del mare? E ood’ è che oon succede anche .oggi simil cosa? Perchè quella geoesi, che prescrive la morte, non fa aoche che uno di dieci anni sia vecchio, od alineuo uon si vegga coprire di lanu­gine il volto? E se a ciascheduuo di noi toglie ta vita ai sessanlacioque anni, e talora auche molto prima di questo termine, perchè mai nop lo pro­duce a cioque, o a dieci volte di più ? Ma cbe parlo di cioque volte di piò? domanderò piuttosto a tre, o auche a due volte di piò. Coti avendo l’autoie detto, passa a descrivere il climaterisino, questa descriziooe diligentemente illustraudo coi oomi e con le figure asirologiche. Poi soggiuuge : Se dal corso delle stelle, e dalle loro figure tutti gli animali vengouo governati , perchè uiun astro inai, e niuoa fìgura, o levata di viciua stella feceo. padre il mulo , o madre la mula , quando pur questi coogiungoosi talora ad animali fecoodi ? La

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c l a s s e q u a i t ì ,

natora certamente oe toglie la forza* e da per tatto la vince, nella protrazione del tempo, nel con­giungimento de’ corpi* nella varfutà della portata , nella stabilità delle età, in tutte iosomma le cose lotte, fu quali secondo la natura accadono, ed alle quali essa oon può cangiar nulla. Perchè uessun cavallo od asino fogge la frusta degli uomini , quando tutti gli altri animali non ne sofTrono i colpi? E se v* ha qualche esempio di questo, che però è raro» non ancora fu difficoltà rimane sciolta·

Imperciocché domaoderassi, perché tutti gli altri animali non ne soffrono in maggior numero. Par­lando poi di quelli che vengono battuti, essi sono liberi fìncbé sono nella prima età; e poi quaodo abbiano incominciato a portar pesi, iocomiuciano anche ad essere battuti. Al contrario l’ uomo vien battuto spezialmente nella pue^zia , e non mai poséia, o ben di rado soffre ciò giunto che sia alfu età virile. Dicasi ancora, perchè ai castori , ai majali, a’ galli, a*gallinacci, agli uomini, accavalli e ad alcuni altri tagliansi i genitali, e il ferro fa che di fecondi sieno sterili, quando io ciò lotti gli altri animali per necessità degli astri noo solo non rimangono offesi , ma quelle parti si portano sicuramente in ispettocolo?

Finalmente perchè sotto il corso della medesima posizione di stelle, se si tagliano le piante,queste mettono di nuovo i loro rami, e se si tagUa l’erba all*intorno, essa cresce di nuovo, e diventa anzi piò alta; laddove negli animali,se si taglia alcun membro come un occhio* il uaso, un dito, il fato per niun modo ajuta a restituirlo quautunque si dica essere stato esso che dato avea quello cbe

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poscia tolse? Noo è proprietà della natura, ma un certo- moto degli astri, e la loro costituzione, quelfu che distribuì parte alle bestie e parte agli uotniot ciò che hanno. Ma di* : cbi prescrisse che i ma­jali, i gallinacci, le capre, i buoi ed altri simili dovessero morire di ferro, quando tante altre spe­cie di animali uon periscono di tal genere di morte? Anticamente quando era uso dì sacrificare agl’ idoli, una moltitudine innumerabile d’animali sovente ve­niva scannata nella stessa ora. Cessato quest’uso, non di tale maniera si ammazzano colesti animali i e uon pertanto rimane la stessa costituzione delle stelle, e, com* essi direbbero, esse tengono costan­temente il corso medesimo. Cosi fu condizione mutò di cotosti animali quella supposta medesima forzaj la quale per sì fungo tempo aulicamente era stata invariabile. Che se per avventura alcune altre cose in questo modo souo state cangiate, dachè nè in tutte, nè in moltissime ciò è avvenuto, l'equabile corso degli astri, e la decantata immu­tabile necessità , sono fatti uu giusto oggetto di ludibrio £ così finisce il libro quinto al

cap. 43·Al libro sesto, e cap, 44- Fautore soggiùnge

quanto siegue ?Se il corso della genesi produsse dalla terra

Γ uomo, e gli altri animali , come è mai che ora nè l’ uomo, nègliaoimali delle varie specie si pro­ducono piò salvo che per mezzo di congiungi­menti? £ se pur ve n* ha alcuni che si producono come prima, quai sarebbero i vermi, e simili in­setti, e perchè poi nou succede lo stesso ancora di tutte fu altre specie che da prima furouo geuerate

MEDICI E FILOSOFI. $2$

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35o classe quìkta ,dalla terra? E se il corso delle stelle da principio formò dalla terra gli uomini, perchè oon li formò tali ancora che fossero istrutti delle arti; non so­lamente assai lungo tempo dopo e Parte fabbrile» e quella dell*intessere, e la storica, e la geometrica, e la retorica , e le innumerabili altre dovettero oscire dall’ ingegno dell’ uomo? Se poi si favoleg­giasse che una volta gli uomini fossero dalla terra scienziati» come allora s o d o essi dunque nati dotti, meotre ora si fanno tali appena con grandi fatiche, ed esercizio? Dove andò egli dunque ora quell’an­tico corso, per cui dal loro oascimento gli uomini erano sapienti; o d’onde è proceduto l’ordin pre­sente , cbe esige fatica e lungo esercizio perché rimangono addottrioati quelli che giò fu erano di furo natura?

Cosa faceva quel Marte sì crudele quando gli uomini non si armavano per uccidersi l’uo Tatuo? Dove era quel corso degli astri, per cui dopo molti secoli furono ispirati re e priucipi ad abi­tar villaggi e borghi, quando nemmeno per om­bra ebbero gli uomini la ntiuima idea di città e d*imperio? Perchè gli uomini una volta erano trovatori di arti, ed oggi, contenti di quanto inven­tarono , non cercano di procedere piò inoanzi ? Certamente è manifesta cosa da Dio essere stato data agli uomini la forza d’ intendere, indi dopo inventate a forza di tempo e di fatica, e spezial­mente col celeste ajuio, le cose uttli a conservar la vita, essi arresfaronsi, uè essersi messi in futica d* inventarne di tiuove, poiché l’opera era vana. Similmeute come avviene che tutta una parte della popolazione deija stessa provincia si lascia crescere

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la capigliatura, e l’altra parto se la taglia C?me10 una nazione i fìgli si congiungooo alle madri 9 e parecchi detestano un tale costume? Per altre inuumerabili differenze di leggi, di usanze, di vita le genti si distinguono ; nè intanto alcun corso di stella forza gli uomini a tagliarsi la chioma, o a lasciarla crescere, ed altri a fare altre cose, nelle quali dalle loro leggi non sono istruiti. — E queste cose si contengono in quel capitolo.

Nel susseguente dicet Se quegli amatori del fato credono di dover ricorrere alle levate delle stelfu viciue, le quali essendo diverse dai segai e dai . pianeti , non hanno affinità con gli eventi fatali della geoesi, nè tra esse si accordano, ma secondo fu differenze de’ climi somminisireno ciascheduna per sè gli eventi proptj, vorrei che ci dicessero ove sia quella iucoucitssa fermezza e costanza delfu genesi. Da quanto eglino riferiscono, bastantemente apparisce che ognuna di esse con le proprie forze distrugge gli effetti di quella , quantunque non 'tutte spaziino sulla stessa regioue della terra come è a dire la porzione de' Persiani e degl’ Iberi , o de’ Lazj e de* Romani ; o di qualsivoglia altra. Come aduuque uua nazione si regge con norme di vivere, con fuggi, e cou costumi sì opposti alle norme, alle leggi, ai costumi dell’altra naziooe ? E poi , come tante nazioni abitanti ciascheduna11 suo territorio, irruppero entro i confini dei Romani? Irt terzo luogo, una volta il popolo ebreo passò in Egitto , nè perciò abbaudonò le patrie leggi : dall’ Egitto di poi partendosi, abitò la Pa* tostine e l’Arabia, avendone con la guerra discac­ciati prima gli idolatri * nè per ciò abbandonò

MEDICI Z FILOSOFI. 5 3 1

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3 3 l CLASSiì q u a z t s ,

ancora le legge mosaica ; né ciò fece alfurebé fu condono schiavo in Babilonia ; e nemmeno dopo, quando venne disperso per lotto fu terra- Non vi fu levato di stelle poste fuor dello zodiaco, né la stessa geoesi « cbe potesse fargli abbandonare il precetto delta circoncisione e del sabato. Anzi noi stessi Cristiani « da quattrocento anni nati, ben presto occupammo a un tratto il mondo intero; abbandonando i riti ciascuno della gente a cui apparteneva « e cedendo all* impulso di vivere netla pietà, per ciò fare non mutammo patria, ma in quella restammo, nella quale e noi, e i maggiori nostri eravamo già stabiliti ; e per ciò lasciando gli antichi influssi di quelfu stelle svergognati della vaoa loro forza. Una dottrina proclamata da uomini idioti manifestamente quegl* influssi rove­sciò, ai quali l*imbelle genesi di tale maniera ce­deva. Una volta il soggetto mondo obbedì agii Assirj ; poi imperò Babilonia ; ne presero poscia il posto i Medi ; dopo questi i Persiani, fìuchè il dominio passò ai Macedoni. Ciò noo di meno ogni nazione conservava i suoi costumi, ed era gover­nata dai proprj re * °d almeno riconosceva per signore quello cbe sopra tutti imperava. Ora, come una sola é la religione, cosi uno solo tiene il re­gio imperio; ed a trecento e piò nazioni presiede fu sola legittima Maestà dell* imperio romaoo f come una sola è anche la religiooe. E intanto nessuuo io questo tempo è dalla genesi costretto a venerare gl* idoli, o a congiungersi con le madri, od a . fare .alcuna di quelle cose, per le quali quelfu tante nazioni potenti non solo erano Ira loro dis­cordi , ma distinguevansi eziandio dalle nazioni

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m e d i c i a f i l o s o f i . 3 3 3

ad esse contrarie. Ci spieghino aduuque come il fato induca caogiameoto di religione e di dottrina $ e uoo abbia poi forza alcuoa di cangiare tutte fu altre cose. Imperciocché nou si vede che alcuni mai o cou la persuasione, o con la violenza abbia potuto indurre altri a tanto da fargli desiderare ignominia, povertà, malattia, servitò, ingiurie, od alcuno degl'infiniti mali che affliggono. Ma come da per tutto si è veduta fu natura piò potente degli effetti fatati , così chiaro apparisce che la ragione fortificata dalla dignità della libertà propria, nelle cose che volontariamente opera, apertamente viuce tutte coleste ciarle.

* Oltre c iò , se Toperare pienamente od empia­mente procede dalla genesi , vorrei che ci spie­gassero qoale genesi renda Γ uomo, stoico , quale10 renda epicureo, peripatetico, platonico. Quale fu guidi a sacrificare a Bacco, o a Cerere* al Sole,o alla Luna. Quale quella che fa all*Egizio ado­rare il bue , il cane , il gatto ; quale quella che strascina I* uomo alla setta de* Maoichei, o a quella de* Valentini. Che se uon sanno dirlo, li avverto di non ispingersi oltre. In ooi adunque é posto, e non già nella operazione della genesi, il vene­rare il nome io questa, o in quelfu maniera. E se è così, così è ancora il venerarlo semplicemente, e11 non venerarlo uieote affatto\ imperciocché tutto procede dai padri. Come poi non si riguarderò per cosa assurdissima Tessere fatto improbo per iorza della geuesi, ed alla medesima, a titolo d’im­probi tà, essere io odio? e così Tessere fatto buono e dégno d’ammirazione e similmeote essere adulto,od omicida ? Dalla stessa geuesi forzato violentemente

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554 c l a s s e QUARTI ,

a far male, e per essa ad esserne punito? Costi­tuire legislatori, punire scellerati, e nondimeno altri spingere a loro malgrado a penare, o a fare checché nella vita veggonsi ftfr gli uomiui. Le quali cose se sono in poter nostro, di esse ancora giusto è che sopportiamo la colpa. Se poi è fu genesi quella che ha il sommo potere, o dessa è da accusarsi, .o quegli è certamente che la cTeò. Per queste considerazioni si dimostra che non so* lamento il fato in nessuu modo sussiste , ma in oltre che esso è uu* empia ed obbrobriosa idea, — Cosi termina il libro sesto, e il 4 ^* capiioio.

Nel libro settimo scioglie una questioue solita a proporsi dagli astrologhi.

Costoro dicono (cosi l'autore) onde vengono i mali, se nou se dal fato? — Ai quali ecco.come risponde: Se noi ci creamo scambievolmente i mali, e bramato di sapere onde provengano, mentre avete dinanzi agli occhi quelli che li fanno, inutilmente ne cercato altra cagione. Se parlate de9 mali cbe noi soffriamo a malgrado nostro , lo scioglimento di questa questione é auch'esso evi. dente. Turbammo col turbine d’uoa improbità di ogni geuere la vita: facciamo quello che Dio odia e detesta. Perciò patiamo quello che non vo­gliamo, afliucbè iu appresso uon cadiamo in vizio, à meoo che non si dica che soggetti così a peccare dovremmo godere felicità, onde vie piò ignorar Dio, e piò speditameote commettere il male. Ma se Dio per mezzo del fato ci sforza a fare il male, comò poi ci purtiscea guisa di peccatori? Altra cosa poi, siccome è chiaro, è permettere cbe ognuno si serva del suo libero arbitrio , e scelga ciò che vuole ;

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M BtPÌC I S F ILO SO F I. 3 3 5altra è fu spingere a commettere il male. E come poi, die* egli, a voi che ignorate la profondità del governo divino, viene in testa di volgervi a quel sogno delfu geoesi? e andar dicendo non essere opere nostre quelle che veggiamo farsi da noi stessi? e quelle che gli astri uoo possouo in uiun modo fare , bugiardamente fìngere che da quelli si facciano? Perchè voi strisciandovi per terra non saliste ali’alfezza de’giudizj del Creatore, per que­sto cercate di riferire alle stelle, al sole, alla luna fu cagioni delle cose che da noi si fuuno Atizrio stesso (dice l’autore) mentre scrivo queste cose, secondo voi, sono dalla genesi costretto a scri­vere la coofutaziooe della medesima, affinchè piò acremente essa medesima sorga nemica contro di sè, meglio di alcun altro nemico estraneo che si alzi ad impugnarla. Ma a che giova imparare quelle cose che dalla geoesi si aspettano? Imperciocché se a chi le conosce è dato di evitare quauto il fato destinò, il predire è inutile: chè vìnta è la ge- r.esi della facoltà che è io ooi; e molto piò che quelli, ai quali il fato noo è iguolo, potranno scioglierne la serie, mentre conoscendo piò degli altri quanto fu dalla genesi ordinato * nou soffi i- rauoo che loro avvenga alcuna delle disgrazie, di che essa li miuaccia. Ma, ripigliano essi, neppur è fuori della serie della genesi che quelli che tali cose conoscono, ne fieno lìberi.[Duuque la geoesi si divide in contrarie parti ? una usa della predizione, IV - tra se oe fa giuoco. V’ è egli cosa piò ridicola da dirsi? Se non che per una parte v’ha molta in­g iustizia ed ineguaglianza. E perchè non ispirò a tutti d’ imparare quanto fosse per accader loro ,

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356 c l a s s i q u arta ,onde tatti ne scampassero? Che se mai a cbi tali cose conosca non è dato di scamparne, a che giova una inutile cognizione, e prima del tempo angu­stiarsi, prima del colpo riportar fu ferita, e prima di morire provar dolore piò grave cbe nella stessa morte? Tutti poi sanno che quelli* i quali sosten­tano il fato, tolgono di mezzo le lodi de* probi, e le corooe loro dovute, ed al contrario annun­ziano agl'improbi una pena ed uua correzione in­giusta. Iinpeiciocchè se necessità è quella, per la quale I* uomo è indotto a fare ciò che fa, né per fu virtò è mercede, nè luogo è a pena ; il che oon può non confondere affatto, e tutta travolgere la vita nostrale rendere impudentissimi coloro che con tali sensi parlano contro Dio : quasi noo ba- stosse a* miseri uomini il forzarli a pestare, a dire, a fare il male, che oltre c iò , ove meriterebbero compassione, veri ebbero oppressi da odio e da gastigo. Che se alcun dice uon appartenere a ooi il sapere perché Dio abbia stabilita uoa tale ge­nesi , nel mentre che costui fìnge, così parlando, modestia, fa onta alfu pietà, e con tale moderato discorso si costituisce empio maggiormente. In fatti se è veramente buona La genesi che a noi com­parisce cattiva , e ciò per sé medesima assoluta­mente , oon errerò fu già , se la giudico cattiva non essendo tale; bensì errerà piuttosto quegli che per mezzo nella genesi m* induce a cosi giu­dicarla. Imperciocché se mio è Terrore , alieni dalla genesi saranuo i miei giuduj dal discorso, e dalla operazione seguili ; e la geoesi rimarrà inu­tile. Noo fìa qui dunque moderazione* e ctrcospe* aioue rudeute Γ aver supposta malvagia la ge-

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MEDICI E FILOSOFI. 3 3 7

nesi , e a Dio P attribuire il pensiero da* mali * come nemmeno Palfermare ch'egli spinge al male, e che punisce poi quell! che per la ordinata ge* nesi al male spìnge di tale maniera. Dire sif­fatte cose non é da uomo che parla con modestia, ina da chi, sotto Pappareuza d* umiltà, induce ia gravissimo errore. Al contrario chi esercita la pietà niuna iogiuria fa a Dio con ciò , con die pensa di venerarlo, nè toglie di mezzo la bontà di lui attrihueudogli il potere di far male } per­ciocché la divina potenza né ora sa fare ingiusti­zia, nè potrà farla giammai. Non punisce essa di poi colui che rendè omicida; nè vieta il cadere in peccato sì che poi costrìnga a non ubbidire, al precetto, e castighi il negligente. Tali cose noo cadono in Dìo , nè entrano in alcuna mente pia. Noi seguendo nell* intelletto nostro le idee alta na* tura delle cose consentanee, confessiamo Dio comprendere perfeitamenfe tutte le cose che ac­cadono uel moudo; ma non presumiamo .già di comprenderle anche noi, che anzi siamo certi di non poterle mai comprendere. Bensì del rimanente conosciamo tale essere la vera potenza di Dìo che nè mai viene superata da' mali, ed usa bootà pel bene delle cose da essa create. ■— Altra conside- zìone vo’che tu faccia. Sogliono nelle cacce i tori eccitarsi con istimoli, ed aizzarsi a combattere ; ei toro padroni sentono dolore, se veggauo che quelle bestie vadano alquanto lente ad infierire* AI contrario quel corso degli astri rimunera con la morte quegli che a* suoi fatali decret i abbia ce­duto. Noi castighiamo i nostri servi scostumati, e premiamo gli ubbidienti» Ma la genesi, di cui par-

Foiioy Voi. IL 22

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338 c l a s s e q u a r t a ,liamo, fu quale sforza a pensare ed a fare coteste cose, ordina prepotentemente il mal fare, e sot­topone a* tormenti chi cosi fu· Questa medesima genesi talora rende noi giusti verso i sudditi uo- itti, meotre intanto nou si vergogna di trattare noi iogiustissimamente. Ora il sostenere siffatte propo­sizioni non è egli il colmo della demenza Que­ste cose l’autore discorre nel cap. £ 5 dell’opera sua·

Nel cap, £6 dichiara che coloro, i quali si sono lasciati impazzire da questa dottrina genetliaca, alla geoesi assoggettano lo stesso Dio, artefice di tutte fu cose. Ragionano, dic’egli, così. Siccome il vivere giusto proviene dalla genesi* cosi dalla me­desima proviene che chi prega sia esaudito, e che sia ripieno della presenza di Dio , e fatto degno delle apparizioni divine. Adunque* secondo eòe ardiscono asserite, dichiarano che Dio é il mini­stro della genesi, e ebe per quelli soli egli è be­nefico, a* quali il corso di questa benignamente abbia conceduto un tal benefìcio. Di cbe quale cosa può mai essere piò empia? Di tale maniera ragionando, tolti da Dio i beni massimi, verranno a concludere ch’ egli domina puramente sulla sola malìzia. Intanto il tempo ci espresse che moltissi­mi uomini ch'era no buoni, diventarono cattivi, cosicché cangiando i probi in improbi, egli acqui­stò di nuovo podestà sopra quelli cbe erano sottratti alla sua potenza. Tanto cosi della genesi statuendo, tutto si confonde e si contuiba, e da si stessa prima di tutto si abbatte* e girando ro­vesciasi*

Nel cap, susseguente, che é il 4?« l’autore an-

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MEtPicr e f i l o s o f i . Ó 3 gnunzia che alcuni de’ fìlosofì greci, prendendo le addotte cose in considerazione, si trassero a dete­stare cotesto chimera della genesi , e a farseae giuoco, quautunque pure ponessero anch’essi tondo il cielo, nè dtversamente pensassero intorno alla composizione de* segoi zodiacali, e al moto delfu stelle erranti. Cbe modo adunque di pensare fìa questo che mentre si conviene nelle accennate «ose , non si ammette poi l’applicazione che ai Genetliaci piace? Pensano invero que' filosofi che il corso degli astri ha foizà di prenunciare quanto accede stilla terra, in mare, nel Paria, e negli altri elementi; ma non già quella di forzare e di ope­rare. Parlano essi intorno al prenuuciare fu cose future come parlasi dell'arte del divinare, del· Π aruspicare, e simili, cosicché le cose oon acca­dono perché si prenunciano , ma sivvero pronun­ciatisi perchè accadono; chè gli aatri non gover­nano con la forza queste cose inferiori, ma sola­mente denunciano quanto di poi ha da succedere. Però è da dire, che quantunque cotesti fìlosofì , cosi pensando, rigettino da sé quella enorme em­pietà degli astrologi, non hanno però afferrata la perfetta verità. » Cosi termina il libro settimo.

Nell’ ottavo libro, che incomincia col cap. 48« Fautore dice due essere i cieli creati, uno al di .sopra di quello che ci si presenta visibile, e Peltro quello cbe uoi vegg iamo. Di questi due cieli uno tieo luogo quasi di tetto, l'altro similmente serve come <li tetto alla terra; e a quello piò alio fa le veci di •uolo, e di foudamento. Una è la terras le cose celesti sono soggette a podestà maggiori, come alfu visibili superiori quelfu ohe sooo souo il cielo>

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$ 4 0 CLASSE QtTAftTA,Dice iooltre noo essere il cielo rotondo, ma bensì a foggia di padiglioue e di volta. Iu appoggio della quale opinione allega passi dalla Scrittura; e nou solo rispetto all’aonunziata fìgura, ma eziandio ri­spetto al tramonto, e al nascer del sole. Da aa* cbe ragione del calare dei giorni e delle notti; e va con molta diligenza investigando altre cose simili, le quali, secondo me, nou sono punto ne­cessarie, qu&otunque abbiano uoa certa connessione coi sacri oracoli « Per lo che delfu cose ch'egli ri­ferisce, giudicheremo questo scrittore uom pioj ma non dirai che con accurato raziocinio istessa- mente faccia uso de* passi delle sante Scritture.

Passando quindi al cap. 49 espone fu leggi, e fu ammonizioni delle sante Scritture, e il gran mi­stero di nostra redenzione, dai divini libri traeado argomenti in confutazione deil'astrologia.

£ venendo al cap. 5o con eguale diligenza im­pugna ancora quell’errore, tra fu altre cose tife- rendo quanto sieguet £ se per avventura, dic'egìi, si vede succedere ciò che da costoro fu predetto, ciò oon succede già perchè fu predetto ; giacché anche a ooi molte cose succcdooo le quali ave­vamo pensate; e sospesi nella aspettativa di alcun affare,o incominciato, o da incominciare, di poi reg­giamo avere esso avuto il principio, o il fine, quale avevamo sperato ; uè per questo pretendiamo di essere profeti, ma conosciamo l'evento dall’ acci­dente e dalla congettura. Vero è cbe se ci ve­nisse predetta uoa cosa aliena dalla vita umana , ed iosolita, avremmo ragione di ammirare predi­zione siffatto, ancorché nou più volto, ma uoa sola pur ciò avvenisse* Ma come costoro veggonsi p re­

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dire fu cose che per lo piò sogliono succedere, che maraviglia se le congetturano rettamente? Noo è facile cbe erri chi parla di tante cose. Beo sa­rebbe meraviglia se sempre errassero. E se costoro hanno l’ajuto dei demoni , come certamente lo hanno, e i demoni confermano la loro predizione^ non piò me ne maraviglìerò , se rettamente con­getturino) al contrario mi maraviglìerò somma­mente, se congettureranno male. I demoni, ben versati negli scrìtti dagli astrologi, fanoosi ad aju- tarli eoa ogni premura , oode infondendo negli animi de* troppo creduli quell’errare intorno al fato, vengono a persuader loro il disprezzo verso Dio. Predicono que* libri ricchezze , povertà, e quante altre cose sogliono occorrere nella vita , per le quali i demoni possono senza difficoltà pre­stare l’opera loro. Ed anche noi, volendo, possiamo contribuire in molle cose agli altri o persuadendo, o ingannando, o violentando. La turba poi dei de­moni tiene in sua podestà i peccatori;e come fannosì a quelli dipendenti,!! agita e li conduce ov’essa vuole. E sua volontà é questa, che noi la vita nostra con­formiamo secondo le falUcìe degli astrologi, onde osservando accordarsi gli erranti alle predizioni di costoro » e non badando ai veri autori degli eventi, e non solo rimaniamo ingannati dal corso degli astri, ma di piò precipitiamo nell’abisso della empietà, niun rispetto avendo alla pietà ed alla giustizia. E ciò appunto perchè gli uomini noa s'accorgano della macchinazione contro d’essi tra­mata, v’ è bisogno dell’ opera dei demoni, tolti a sussidio il peccato e l’empietà, per cui mezzo ì mìseri vengano distolti e dal conoscere le inique

MEDICI 1 FILOSOFI· 3 | t

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34* classe qua u ta,macchi nati ooi, e dall* intendere la profondità dei giudiz) divini. E come preteoderebbesi che Dio fu insidie dei demoni, ο i mister] della sua provvi­dente manifefttasse a chi metto il suo studio io disprezzarne i precetti ? Perciocché, facendo quelfu che sappiamo essere iuiquo , e non seguitaodo quaoto coooscouo esser lodevole, con che ragione possiamo sperare di conoscere ciò che è igooto? Se farai ciò che appreodesti, e se ti reoderai de­gno con la virtò di capire piò di quello che dianzi conoscessi, allora avrai a maravigliarti se noo po­trai apprendete le cose piò perfette. Ma fìoo a lauto cbe sei pieno di perturbazioni,e sprezzi Dio, come mai giungerai o ad apprendere i misteri della sua provvideoza, o l’ impeto dei demoni cou- tro di te? E come noo viuceraouo i demoni eoo somma facilità coloro che non hanoo per protettore e difensore Dio, traeudoli appunto alle cose ne* li­bri degli astrologi predette, oude, radicato nelle loro teste l’errore riguardante il fato, sempre più si allontanino da Dio? Ma se con quello stu d io , con che ci volgiamo al male, ci volgessimo alfu onestà, noo igooreremmo quaoto siamo cari a Dio, nè quante forze ci abbiamo contro il demooe. Im­perciocché quantunque Dio sia da per tutto, egli però si accosta piò da vicino a quelli che eoo le opere fu amano. E dove è Dio, quali iusidie pos­sono ivi starsi celate, o quale insidiatore può tro* varnesi ? — Le quali cose dall*autore esposte, e for­tificatosi di nuovo contro Tempia dottrina del iato con la parola di Dio, esorto gli uomini a liberarsi di quell’errore. E ciò cbe si dice essere stato fatto da Dio il-sole insieme Con la luna e le stelle, per

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MEDICI Z FILOSOFI. 343

segni, e tempi ed aoui« vuole che significhi quaoto accadde sotto Gesò, figlinolo di Nave, sotto il re Ezechia, e nella passione di Cristo.

Trattate queste cose uel cap. 5o passa al 5t, io c ui redarguisce gli eretici nati da Bardisane , in questo che professando di ammettere i profeti, coufessano bensì che fu anime sono libere dalla genesi, e io pienissima podestà di sè medesime $ ma però al governo d'essa genesi assoggettano il corpo; affermaodo per virtù del fato succedere la ìicchezza, la povertà, le malattie, la sanità, la vita, Sa morte e quaoto dal poter nostro è indipendente. Ma se, secoodo Isaia, gli astrologi, osservatori del cielo , igoorauo le cose future j s e , cooforme a quaoto dice Geremia, tutto questo studio altro non è xhe una vaoità pretta, come possooo dire di rice­vere i profeti uomioi che assoggettano il corpo alla servitò del fato? Dio a'Giudei nè minaocia, nè ioibgge che peue corporali, e similmente non of­fre, e nou dà loro che corporali beoeficjj e non* dimeoo Isaia ha pronunciato che gli astrologi noo hanno cognizione di queste cose. Come può essere adunque che si creda ai profeti, e uel lo stesso tempo si conceda al fato ogni podestà de* mali e de'beni corporal i e che coloro, i quali si atten­gono alla dottrina del fato, predicano le cose fu* ture, a meno che non fìniscauo col dire per somma insauia che il fato distribuisce i beni ai buooi, ai cattivi i mali, e che lo stesso supremo nume serve al fato. Ma poi come nou fieno soggette alla genesi le anime, quando lo stesso Dio, creatore* di tutte fu costf, iosieme con quest*opera, e serve-agli ef­fetti fatali? Se poi fu cose una volta operate dagli

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344 c l a s s e q u a r t a ,angel i e da* profeti, dalla genesi oon sorto fatte, eome nemmeno quelle ehe Gesù Cristo, Signor nostro apparso in carne operò mentre sanò iona- merabile moltitudine di corpi umani, come vor­ranno persistere in affermare che il corpo viene governato dalla genesi ? Imperciocché o renderanno falso ciò che Dio minaccia in castigo agli scostu­mati, e che benignamente promette agli ubbidienti, o per certo, se il primo é vero, il secondo nou può aversi che per una favola. Aggiungiamo, come può essere cbe essendo i corpi soggetti alta genesi, nou fu sieno anche le anime. Se dalla genesi procede l'invenzione di un tesoro, o l’ edificazione di uoa cosa , o l’acquistare , o il procedere alcuna delle tante cose corporali, anzi difemo la pena degli adul­teri , e de’ fornicari , per certo è necessario cbe l’anima sia spinta alla invenzione del tesoro, per l’oggetto di quel tesoro, e ad imparare l’architet­tura, per l’oggetto della casa, o l’arte del tessitore,o del sartore per l’oggetto delia veste. Diremo ancora che sarà necessario cbe l’aoima sia vinto dall’amore della donna, se il corpo che ha da sof­frire la pena del proprio delitto e cosicché sia incitata ad uccisione in grazia della genesi che de­cretò sentenza di morte: e dicasi così delle altre cose; essendo manifesto che steoterassi a trovare alcun fatto corporale , se l’anima non ubbidisce e non ajuti. È dunque necessario che i seguaci di Bardisane o sottomettano le anime alla genesi, o se non ardiscono tanto, che anche il corpo sottrag­gano all’ imperio della medesima. — Così fìoisce il cap. £2.

Nel susseguente combatte l’ultima empietà di

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M ED IC I e F ILO SO F I. 3 4 5coloro i quali ardiscono sottoporre alla genesi lo stesso S'gni** nostro Gesù Cristo, toltane occasione dalla stella mostrata ai magi. E questa pazza opi­nione combatte bene e sapientemente, con molti argomenti pungendoli, come altrove, spezialmente poi dove dimostra che la stella veduta non fu una delle molte del cielo , ma una certa piò divina virtù figurata in astro, la quale annunziò la nati­vità del Signore di tutte le cose. Riferisce poi chei Magi aveano appreso dai Caldei che sarebbcsi una volta veduta certa stella, annunziatrice del- l'esser nato in carne il comune Salvatore. Che questo vaticinio ad essi, studiosissimi di quell’arte, avea dichiarato quel Balaamo, il quale a suo mal­grado in luogo d* imprecazione pregando beue ad Israele, uuito avea alla sua benedizione la nascita del venturo r e , e la stella presngitrice di questo fatto. Mentre poi il Signore si rendè visibile, nato appena, si manifestò principalmente ai Persiani a preferenza delle altre nazioni affinchè a quanti la desiderassero, o inegi, o incantatori per mezzo suo fosse data e grazia e redenzione.

Trattate queste, e tali altre cose, finalmente nel­l'ultimo cap. fa un riassunto di tutto v e termiua col cap. 53 il suo ottavo libro.

L'autore è puro e chiaro nel suo discorso, con quegli entimemi, ed epicberemi che nelP estratto di quest'opera in parte già indicammo.

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3 4 6 c u a s t q u a i t a ,

D I O N I G I E G E G l

I DITT1ACI.

. i85 Questo libro dei Dittiaci comprende cento ca­pitoli. Eccoue gli argomenti i

i. Da ambedue i genitori si emette il seme e si genera l'aoinutle. 2. Non da ambedue ciò si fa.3. Da tutto il corpo si fa 1* escrezioue del seme.4. Non da tutto il corpo , ma dai testìcoli. 5. La concozione si fa per mezzo del calore. 6. La con- cozione nou si fa per mezzo del calore, y. La concozione si fa per messo dell* attrito degli ali- tneuii. 8. Non si fa. 9 La coocosioue si fa per proprio spirito (calore). 10. Si nega. i t . La eoo- cozìoue si fa eoo la putrefaziooe. 12. Si nega· s3. La concozione sussiste per proprietà del ca­lore. t4 Non farsi la coocozioue per proprietà dei sughi. i 5. Che il calore naturale appartieue ad una qualità. 16. Che quel calote nou appartiene ad uoa qualità 17. Farsi fu digestione de*cibi per mezzo del calore. 18. Si nega 19. Farsi fu dige­stione per questo che il calore trae a sè. 20. Il calore non allraere. 21. Farsi la digestione me­diante fu spirito. 22. Si oega. 23. Farsi la d ige­stione per opera delle arterie 24* Si nega. 25 . L a digestione si fa per un difetto che è nella vacuità. 26. Noo farai fu digestione per un difetto incerto, uè qualunque. 27. Nascere le macchie oegli occhi per essere privo d'alimento il meato visuale. 28. Si nega. 29. Farsi le dette macchie per cadere ch e fa il sangue nel meato visuale» 3o. Si nega»

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M IM C I ■ FILOSOFI. 3 4 73 f. Farsi le dette macchie per la deasita e per fu esalazione degli nmori. 3a . Si nega. 33. Farsi fu freuitide per la dUtensiooe della meo.inge e per fu corruzione del sangue. 34* Si nega farsi per tali cagioni fu freni ti de. 35. Accadere (a freni lide je r la soverchia abbondanza di calore. 36. Si nega. 3 · Accadere la freuitide per iutiera magione. 38 Si nega. 3*j II letargo si genera per infìanw inazione. 4°* Si ®cga* 41· H morbo letargico na­sce da distensione e corruzione. 42. 11 morbo le­targico accade noo per fu moltitudine, ma per fu qualità delle cose che si esalalo. 43 L'appetito di mangiare e di bere si diffonde per tutto il corpo. 44* Non io tutto il corpo é questo appe­tito, ma nello stomaco. 45* L'appetito di mangiare e bere sta nella immagi nazione. 46· La sete nasce dal bisogno di umori. 47* ^fu° e la sete per di­fetto di umori. 48. Due operazioni succedooo nello Stomaco. 49 Si nega. 5o. L'esteriore pellicola del cervello, che è nella cavità, è il principio de*nervi. 5 1. Si nega. 5n. I farmachi diffondendosi pel corpo purgano. 53. Noo quando si diffowloao , ma pel semplice loro entrarvi purgano. 54 Doversi far oso di farmachi purgativi. 55 Si nega. 56. Do­versi aprire la vena. 67. Non doversi 58 Noo utilmente darsi vino a chi ha la febbre. 59 Darsi loro vino assai acconciameoie. 60. Dovere i feb­bricitanti far uso del bagno. 61. Si nega. 63. Do­versi far oso del clistere negli accrescimenti delfu malattie 63 Si nega. 64. Doversi ne* principi far uso delle uosioni. 65. Si nega. 66. Non doversi la testa curare con cataplasmi , ma soltanto usare, di cose odorose. 67. Doversi usare cataplasmi.

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348 CLASSE QUASTA ,

68. Giovare le cose che provocano il vomito.69. Non doversi usare 70* Che il cuore noo emette sangue. 71. Lo emette. 72. Cbe il cuore non emette spirito , ma sono le arterie che lo attraggono. y3. Che il cuore emette lo spirito , nè esso attraersi dalle arterie. 74* Che il cnore si muove per sè medesimo. j 5- Si negai 76. Che le arterie per natura contengono il sangue, 77. Che fu arterie sooo il ricettacolo del sangue. 78. Che tutti i vasi, quando appariscono e si gonfiano , sono semplici. 79. Che i ricettacoli sono involucri intessuti. 80· Che il senso e il moto si fanno per mezzo dei nervi. 81. Si nega. 82. Che il cuore è principio delle vene. 83. Si nega. 84· Che il fegato è prin­cipio delle vene. 85. Si nega. 86. Che il priocipio delle vene è il ventricolo. 87. .Si nega. 88. Che di tutti i ricettacoli sono origine le meoiogi. 89» Si nega. 90: Che il polmone è l'origine' delle ar­terie. 91. Si nega. 92. Che quell* arteria la quale è presso la spina dorsale è l'origine delle arterfu. 9?. Si nega 94* Che il cuore è il priocipio delle arterie. 95. Si nega. 96. Che il cuore oon è il princìpio de4 nervi , ma bensì quella inembranella che avvolge il cervello. 97. Che quella membra- cella non è il principio de* oervi. 98. Che nou nel cuore, ma nella testa risiede la virtù della io- telligenza. 99. È al contrario. 100. Che la forza della intelligenza risiede nel veutricofu del cer­vello.

Tutte queste cose disputò nel suo libro dei Diltiaci Viotfigi. Nè tale suo lavoro è senza frutto per chi si esercita nella dialettica, o vuole inten­dere certe opinioni proprie della speculatione me-

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MEDICI E FILOSOFI. 34Q

dica. Mostra poi di giudicare di queste opinioni , ma però noo giudica egli in tutto e per tutto santamente ed incorrottamente.

D I O N I G I E G E O

I DITTI AGI ( l ) .

Questo libercolo era composto di cento C*pi»c. '2n cinquanta de* quali contenevano per ognuno una proposizione affermativa, ed altrettanti ne conte­nevano fu corrispondente impugnazioue. La elo­cuzione non è mollo ornata, ma però non manca di certa veuustò. Massimameute poi ehe il libro non é fatto per alcuna ostentazione, ma piuttosto dal suo autore è diretto ad istituire una disputa ; e si vede che perciò ebbe cura di contenersi in un genere di dire semplice , e ne* limiti di uua serie di cose tra loro affini. Esso é poi questo li­bro utile a quelli che si esercitano nella dialettica.Ecco gli argomenti compresi nel medesimo

(i) Bisogni dire che Fozio abbia scritto questo sp­ronilo Enratto , non ricordandosi <1* avere scritto il primo. Ma come è poi che, avendo messa in ordine la sua Biblioteca per mandarla a suo fratello, ti ha i ite- noti entrambi? Noi riproduciamo il secondo non tanto per rispetto all* autore , quanto perchè si vegga come in mezzo ad alcune variazioni il giudizio delP opera r i m a n e prr esso lui sempre il medesimo, e che in questo secondo articolo v* è qualche considerazione di più. Nel rimanente le variazioni nella estensione tra un articolo e V altro possono chiamare gli studiosi a qualche utile consideratione·

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35o c l a s s e q u a r t a ,

i . Da entrambi i genitori emettersi il seme e generarsi gli auimali. — * £d al contrario non da entrambi, 2, Da tutto il corpo separarsi il seme* _ Al contiarìo dai testicoli· 5. Farsi la conco* zione dal calore» — Al contrario noo farsi così. 4· Farsi fu concozione per I* attrito. — Per I* at­trito uon farti. 5. La coocoziooe si fa per la pu­trefazione. — No. 6. Farsi la concozione per pro­prietà delfu spirito. —· Non essere cosi. 7. La concozione si fu per fu proprietà de’ sughi. — Non è vero. 8. La concozioue si fa per proprietà del caloi e. — Nemmeno. 9. La digestione si fa per opera del calore. — Non è vero. 10. La di­stribuzione de* cibi si fa per attiazione del calore 0 sè. — E no. i l . La digestione si fa per Io spi­rito. — Nou è così. 12. La digestìoue si fa per 1* applicazione delle arterie. — Falso. i 3. La di­gestione si fa per 1* assetila eoo vacuità. — E fu digestione suole farsi per incerto e per qualunque siasi assenza s4 Le macchie degli occhi proveu· gouo dalla maucanza d' alimento nel meato vi­suale. — E nou è così. i£>. Le macchie degli oc­chi provengono dall* empiersi di saugue il meato visuale, r— E uon è così. 16 II glaucoma pro­viene dalla densità ed esalazione degli umori. — E oon è così. 17. Che la frenetide succede per fu distensione della meninge, e la coiruzione del sangue. — E è nou così. 18. La frenetide nasce dall* eccesso del calore. — E noo è cosi. 19. Che la frenetide nasce da iufìammazione. — E noo è così. 20. Che il letargo nasce da infiammazione. — £ non é così. 21. Che il letargo procede da di­stensione e conuzioue. — E noo è così. 22. Che

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MEDICI S FILOSOFI. 3 5 1

Tappetilo di mangiare e bere si diffonde per tutto il corpo. — E non istà che uello stomaco. 23. Che l'appetito di mangiare e bere sta nella immagina· z ione. — E non è così, 24. Che la sete nasce da scarsezza d'umori. — £ non é così. 25. Che uello stomaco veggoosi due foize efficaci. — E non é così. 26· La pellicola inferiore del cervello posta nella cavità è il principio de* nervi. « No, ma ò l ' esterna. 27 I farmachi diffusi per tutto il corpo purgano. — Non è vero, ma purgano pel solo loro ingiesso. 28. Non doversi far uso di medica­menti purgativi. — Anzi doversene far uso. 29. Doversi a* febbricitanti concedere il vino. — No , essendo pernicioso. 3o I bagni sono utili ai feb­bricitanti. — Anzi sono nocivi. 3 t . Negli accre­scimenti delle malattie si dee far uso de* clisteri,— Non se ne dee far uso. 32. Non debbonsi usare unzioni sui principio delle malattie. — Queste anzi sono utilissime. 33 La testa dee curarsi coi cataplasmi. — No , ma soltanto con cose odo­rose. 34 Nulla giova il provocare il vomito. — Anzi ciò é utile. 35. Che il cuore emette il san­gue. — È al rovescio. 36. Che il cuore no» emette il respiro, ma piuttosto sono le arterie che lo at- traggono. — £ si dimostra il contrario. 37. Il cuore si muove da sè. — Anzi nou si muove da sè. 38. Che il sangue per natura sta nelle arte.- rie. — Le arterie non sono ricettacolo del sau- gue. 39 Che tutti i vasi sono semplici. — Sono aozi complicati, e pieni d*involucri. 4°· H senso e il moto dell* animale procede dai nervi. — E nou è vero. 4*· H cuore è principio delle vene.— Non lo è. 42. Il fegato è principio-delfu vene.

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3 5 u CLISS* Q U IE T I ,

Neppur questo è vero. ^5* Le vene nascooo dal ventricolo» — Non ne nascouo. 44- Le nie- oiogi, o vogliam dire la tunica del cervello, sono il principio de* vasi* — E ciò non è vero. 45. Che il respiro è P origine delle arterie. — E non Pé. 46 Priocipio delle arterie è Parteria situata presso fu «pina dorsale. — Ciò nou è vero. 47· U cuore è il principio delle arterie. — Nemmeno questo é vero 48· Non il cuore è principio de’ nervi , ms la pellicola che circonda il cervello. — Nè anche questo è vero. 49* Nel cuore nou istà la forza di ioteodere , ma bensì nella testo. —- Si prova il contrario. 5o. La forza d' intendere sta uel ven­tricolo posto in mezzo al cervello. — No. — Ed ecco come questo libro di Dionigi Egeo procede.

GIUSEPPE, o CAJO PRETE

IPZLL* OPflVlRSO.

C.48 H libro di Cajo prete é intitolato anche; Delia causa dell'universo* e in altri codici; Della natura dell*untvkrso. Iu due parti è diviso questo libro, uelle quali P autore dimostra che Platone è io contraddizione seco medesimo. Riprende si in esso ancora Alcinoo , come quegli che con assurdiià e fallacia ha scritto delPanfuza, della maleria e della risurretione, opponendogli intanto le sue opinioni, meotre sostiene che fu naziooe de* Giudei é di gran luoga piò antica di quella de’ Greci.

Peosa egli adunque che Puomo sia composto di fuoco, di terra, d’acqua, e di piò di uno spirito, ebe chiama anima, Del quale spirito parla-inquc*

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MEDICI B FILOSOFI» 3 5 3eti termini: Preudendo la parte principale di esso ( l'uomo ), lo formò insieme col corpo, e gli aprì la via per tutte le membra. £ conformato questo spirito al corpo, e tutto invadendolo, fu insignito della forma medesima nella quale questo corpo si vede. Ha però la natura piò fredda per quelle tre cose con le quali il corpo è costrutto. Così l'autore non è troppo in vero consentaneo alla dot­trina degli Ebrei per ciò che riguarda la natura dell’uomo, nè troppo, neirannunziarsi, consentaneo alla dignitosa maniera usata dagli altri scrittori. Ragiona pur anche compendiosamente della gene­razione del mondo. £ di Cristo , vero Dio , parla esattamente* quando e gli attribuisce l'appellazione di Cristo « e descrive la inenarrabile generazione dal Padre; nel che non ha cosa che gli meriti ri­prensione. Il che forse ha dato motivo a taluno di dubitare se questo opuscolo sia veramente di Giuseppe « sebbene non si discosti nel modo di dire dagli altri scritti di lui.

Trovai però notato non essere di Giuseppe que­sto lih ro , ma di certo Cajo prete, vivente in Roma, che si dice autore dei Laberintof e di cui é anche un Dialogo contro certo Proclo , difen­sore della eresia de* Montaoisti. E come il lihro fu lasciato seuza titolo , quindi è venuto che al­cuni 1* hanno attribuito a Giuseppe, altri a Giù· stino martire, altri ad Ireneo , conforme è succe­duto del Laberinto , che alcuni attribuiscono ad Origene*

Vuoisi ebe questo Ce/o, prete della Chiesa ro­mana, vivesse sotto i pontefici Vittore e Zefirino,• che» ordinato vesco v o , scrivesse anche uo altro

Folio , Voi. I l * a 3

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3 5 4 c l a s s e q u a r t a ,

libro particolare cootra 1* eresia di Artemone , ed un’accurata disputatione cootra Proclo9 fautore di Montano, io cui annovera tredici sole Epistole del B. Paolo9 noo essendo allora tra fu canoniche ricevuta quella che é diretta agli Ebrei.

GIOVANNI F 1L 0 P 0 N0

CONTEO L’ OPEBA Di JAMBLICO DE* S IMULACRI.

■ 5 Lo scopo che Jamblico s’avea proposto nell’ o ­pera sua, era di dimostrare che gl'idoli, metteudo egli anche questi tra- i simulacri, sono divini e pieni della presenza del Nume* e ciò asserisce non tanto di quelli che, con certa occulta arte, fabbri­cati da mano d 'uomo , per essere appunto ioco­gnito 1’ artefice , dicevaosi caduti dal cielo \ chè questi , secondo lu i , e sooo di natura celeste* o dal cielo sooo caduti in terra, con che hanno me­ritato d’ essere detti celesti ; ma tali pure soste* neva essere anche quelli che fatti fossero da ar­tefici valenti nell’ arte di fondere , o di scolpire,o sim ili, tolta anche l'eccezione quando ue fosse stata pagata l'opera. Scrisse dunque Jamblico cbe tutte le opere di coloro eccedevano fu natura , e che erano superiori a quaoto gli uomini ne peo- sassero. Nel quale suo proposito procedeva , in parte oarraodo cose incredibili tolte dalle favofu , in parte riferendo i fatti ad oscure cagioni , e in parte andando contro a quanto gli occhi stessi testificano, non mostrando né esitanza , uè timoró in iscrivere cose siffatto. Avea egli poi divisa tutta

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MEDICI X FILOSOFI. 355l’ opera io due parti, chiamandola Qoa fu Mag- g/ore, e l’ altra la Minore.

L ’ una e l’ altra adunque il Filopono impugna, usando del consueto suo modo di dire, e la com­posizione adattando alla solita sua forma. Cosi non si distacca mai dallo stile puro e lucido, ma però non isplende per attica eleganza e frase. Egli frequentemente ci presenta, nel confutare le ra­gioni di Jamblico , generose riprensioni , e con esse argomenti penetranti. Però di (ratto in tratto le confutazioni sue sono superficiali e dirette ai soli nom i, e fuori della quistione anche quando questa pone alle stellé il redargui tore, Cou che costui fa palese la sua debolezza.

G IO V A N N IS T O B E O

LIBRI IV DELLE EGLOGHE , DEGLI AFOFTEGM1 ,

E DE* PB.ECETT1 DELLA VITA.

Questi quattro libri comprendonsi io due vo-C* lumi. L ’ autore li dedica a suo figliuolo Sestimio , in grazia del quale dice d* avere fatta raccolta di ciò che contengono. Sfiorò cosi, com’ egli mede­simo dice, fìlosofì, poeti, oratori, e quanti in ogni paese per belle opere si rendettero chiari, partito aVendo tutto io egloghe, io apoftegmi, e iu pre­cetti di ben vivere, volendo eoo la massa di que­ste cose allettare l’ iogeguo del figliuolo , su cut avea qualche dubbio, e condurlo &1Γ amore del meglio.

Il primo libro è tutto di cose fisiche * il se*

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356 CLASSS QUARTA ,condo in alcuna sua parto da priocipio riguardiil favellare, e nel rimanente è etico. Il terzo e il quarto , poche eccezioni falle , contengono cose etiche e politiche.

II primo libro pertanto comprende sessanta ca­pitoli , ne* quali 1* autore compilò fu sentenze e i celebri detti degli antichi. £ccone l'indicazione;

Dopo avere parlalo di D io, e dello essere esso Tartefìcé di tulle le cose , e con la sua provvi* denza governare I* universo , nel secondo capitolo tratta di quelli che la provvidenza levan di mezzo, e le divine disposizioni che nel reggimento gene­rale della medesima consieguono. 3. Indi vieoe a dire delta giustizia da Dio stabilita per estimare le opere degli uomini, e puuirne i peccali. 4· Delfu divioa necessitò, per la quale necessariamente succedono lutto le cose che Dio vuole. 5. Del fato, e dell’ordine fisso con coi succedono. 6. Delfu for­tuna, o sia del caso. 7. Ove aggiunge la forlunt inconsideratamente andare qua e là. 8. Della na<« tura e delle parli del tempo, e di quante cose sia cagione. 9. Della Venere celeste e delPAmor di­vino. 10. De’ principj, degli elementi, e dell’uni­verso. 11. Quiodì delfu materia. 13 Della idea· i 3. Delle cause. i 4· De’ corpi, della loro sezione, e del minimo. i 5, Delle figure. 16. De' colori· 17. Della mistura « e del temperamento. r8. Del vóto, del luogo , e dello spazio. 19. Del moto· 2o. Della nascila, e della morte. 21. Del mondo, e se sia «ninnalo , e reggersi eoa provvidenza, e dove abbia il principato , e d’ ónde si nudra. 22. Dell’ ordine del mondo, e se I* universo sia uno solo· 23. Della natura e divisione del cielo. 24· Delfu

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M SDÌ CI X FILOSOFI. 5 5 jnatura, figura, del moto e significato "delle stelle.25. Della natura , grandezza , fìgura , rivoluzioni , eclissi, segai e moto del sole. 26. Della natura , grandezza , fìgura e splendore, e dell* eclissi , in­tervallo e segni della luna. 27. Della via lattea.28. Delle comete, delle stelle yoUnti , e simili.29. De* tuoui , de*lampi, de* fulmini, de* turbini ignei , e dei vortici. 3o. Dell* iride, della corona , del parelio e delle verghe. 3 i . Delfu nubi , della nebbia, delfu pioggia , della rugiada, delfu neve, della brina e della grandine. 3a. De* venti. 33. Della terra» se sia una e finita. 34 Di quanta grandezza sia la terra , e della sua situazione. 35. Della fì­gura della terra. 36. Se la terra sia fìssa ed im* mota, oppure sia mobile. 37. Del tremuoto. 38. Del mare , e come succeda il suo flusso e riflusso.39. Delle acque. 4°· Dell* uuiverso. 41· Delfu na<» tu ra, e delle cause da essa nate. 4?· Della gene­razione degli animali , ed altre cose. 43· Quanti sieno i generi degli animali , e se tatti sieno dot­tati di ragione e di senso. 44* Del sonno e delfu morte. 45· Delle stirpi. 46· Del nudrimento degli animali, e dell’appetito di mangiare. 47· Della na­tura dell’uomo, 48. Dell* intelletto. 49· Dell*anima. 60. De* sensi , e degli oggetti de* sensi, e se le sensazioni siano vere. 5 i. Quanti sieuo i sep si,e di cbe natura sia ciascuno d*essi , e di che effi­cacia. 52. Della vista, e delle specie visibili. 53· Dell*udito. 54· DelPodorato. 55. Del gusto. 56. Del tatto. 57. Della voce , se sia priva di corpo , e cosa sia principale in essa. 58. Della immagina­zione , e della facoltà di giudicare. 59. Della opi­nione* 60. Della respirazione* e sue affezioni.

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558 CLASSE QUARTA,£ questi sono i capitoli del primo libro, e fu

accennate cose contengono, tutte appartenenti alla natura , eccettuate poche io principio , che più convenientemente alcuno potrebbe riferire alla metafìsica. In questi capitoli adunque l’ autore, come dicemmo , presentò da leggere le sentenze degli antichi, o consenzienti, o ripugnanti. In que­sto libro però, prima di procedere ai capitoli in­dicati, Stobeo disputa di due punti, il primo dei quali è 1*elogio della filosofìa, toltine gli argo­menti da diversi scrittori ; il secondo riguarda le sette filosòfiche , ove parimente allega le opinioni degli antichi intorno alla geometria, alla musica e all* aritmetica.

Il secondo libro contiene quarantasei capitoli·Nel i . parla degl* interpreti delle cose sacre ,

dicendo come la vera natura delle cose spirituali non può dai mortali comprendersi. 2. Quindi dell’ arte di ragiouare. 3. Della facoltà di ben dire. 4> Della orazione, e delle lettere. 5. Dell’arte poetica. 6. Del

carattere, o sia della forma delPorazione. 7 . Della filosofia morale· 8. Delle cose che sono in poter nostro, 9. Nessuno spontaneamente esser cattivo. 10. Qual debba essere il filosofo* 11. Doversi es­sere pio verso Dio. 12. Il Nume ajutare chi è pio e giusto. i 3 . Del vaticinio. i 4< Doversi fare gran conto del conversar coi sapienti, e fuggire gl’ iio- probi , e declinare dagl’ imperiti. i 5 . Di ciò che soltanto pare, e di ciò che è veramente. 16» L ’ uomo aversi a giudicare non dalle parole , ma dai suoi costumi. 17. Che quelli i quali insidiano gli altri imprudentemente fanno male a sè medesimi. 18· Della gloria del nome. 19. Della fama· 20. Ottima

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μ c u i et a f i l o s o f i . 3 5 9

Cosa essere fu modestia. 21. Coo difficolti acqui­starsi I» virtù, ed al contrario eoo facilita il vizio.22. Noo doversi far conto del giudizio degli stolti.23. Essere da sbandire dall’auimo fu finzione , od ipocrisìa, fu qua|e ooo nuoce solamente a quelli contro i quali si pratica, ma nuoce agli stessi finti ed ipocriti. 24* Doversi evitare la curiosità perché dà occasione d’ invidia e di calunnia* 25. £ssere ottima cosa pentirsi di che si è peccato.26. Non essere cosa buona il rimproverar gli al­tri. 27. Doversi considerare che possiamo com­mettere noi medesimi quegli errori stessi. 28. Delfu necessità della vita. 29. Doversi operare opportu- nameote. 3o. Della voloutà, e non doversi incon­sideratamente differire. 3 i. Spesso sommamente giovare Paffììggersi nelle avversità, e massime agli imprudenti. 32. Della educazione , e della istitu­zione. 33. Che I* amicizia è Γ ottimo fra tutti i beni. 34. Che fu somiglianza de* costumi concilia I* amicizia. 35. Non doversi trascurare gli amici nelle loro avversità e ue* loro perieoli. 36. ■ Nou doversi coadjuvare gli amici iu ciò che d'ingiusto intraprendono. 3j . Degli amici fedeli ed infedeli. 38. Doversi l’ nomo riconciliar presto cou gli amici, tollerare i loro difetti , e dimenticare i loro falli* 59. Nelle avversità sperimentarsi gli amici fedeli.4o. Precetti intorno all* amicizia. 4t* Delle inimi­cizie , e come I* uomo debba condursi co* nemici. 42. In che modo possa trarsi vantaggio dagl* ini­mici. 43. Della cura di ben meritare dagli altri. 44* 11 benefizio che si fa a proposito è il mag­giore di tutti. 45* Del rimunerare i benefkj. 46· Non doversi benignamente operare coi perversi,

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36o classe quìbta ,né da essi accettar beoefìzj. In fine della gratitu­dine. £ questi sono i capìtoli compresi nel se­condo libro.

II terzo libro contieoe quarantadue capitoli,i . Della virtù. 3. Del vizio. 3 Della prudenza.

4. Della imprudenza. 5. Della temperanza. 6. Della intemperanza. 7. Della fortezza. 8. Della timidità. 9· Della giustizia. 10. Della bramosia d 'a v e r e , e della ingiustizia· f i . Della verità. 13. Della bugia. l 3 . Della libertà di parlare. i 4· Dell* adulazione. iò . Della prodigalità. 16. Delfu parsimonia , o sia tenacità. 17. Della continenza. 18. Della inconti­nenza. 19 Della pazienza , o sia tolleranza dei mali. so. Della iracondia, s i . Del conoscere sè atesso. 33. Del fasto. 33. Del cieco amore di sè stesso. 34. Della coscienza. 35. Della memoria· a6. Della dimenticanza. 37. Del giuramento. 38· Dello spergiuro. 39 Dell'amore alla fatica· 3o. Delfu ignavia· 3 i. Del pudore. 3s . Della sfacciataggine. 33. Del silenzio. 34* Del parlare a proposito. 35· Del parlar breve. 36 Della garrulità. 37. Delfu benignità. 38. Dell* invidia. 39. Della patria. £o. Del paese forestiero. 4*- Dei secreti. 43· Delfu calunnia.

Del quarto libro ecco quali sono i capitoli ;X. De ila repubblica. 3. Delle leggi e consuetu­

dini. 3. Della plebe. 4* De* potenti nello stato·5. Del principato , e quale debba essere il prin­cipe e il magistrato· 6. Ottimo essere Γ imperio di un solo. 7. Precetti per governare un regno. 8. Biasimo della tirannia. 9. Della guerra. 10. Del* l'audacia. 11. Della gioventù, ia. De’ comandanti nella guerra , e di quanto può essere prescritto

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m e d i c i z f i l o s o f i . 36 inell* uso della milizia. i 3. Della pace* i ( . Dell* a- gricohura. j 5. Della tranquillità. x6. Della navi­gazione, e del naufragio* 17. Delie arti. 18. Dei padroni , e de’ servi. 19. Della Venere volgare, che dà origine alla umana generazione, so. Del­l'amore de* piaceri del corpo., a i . Della bellezza, aa. Delle nozze v ed altre cose di questo capitofu. a3. Precetti del matrimooio. a£. De* figliuoli, ed altre cose relative. a5. Che i figliuoli debbouo onorare > loro genitori, e se convenga che loro nbbidiscaoo in tutte le cose. a6. Come i genitori debbano coodursi verso i loro figliuoli, e come tra gli uni e gli altri sussiste uoa intimità natu­rale. ay. Onestissimo essere !* amor fraterno e fu cordialità verso i cognati , essendo essi dalla ua- tura strettissimamente congiunti. 28. Del modo di conservare e difendere la propria roba. 29. Della nobiltà (uobili essere quelli che vivono secondo le prescrizioni della virtò , benché sieno nati da genitori di cattivi costumi), ed altre cose di que­sto argomento. 3o. Della ignobilità. 3 i. Delle ric­chezze, e d’altre cose di questo geuere. 3a. Della inopia 33. Paragone delle ricchezze e della p o­vertà. 34· Che la vita é breve, e piena di cur.e. 35. Della tristezza, e della molestia die produce* 36 Delle malattie, e de* rimedj. 3?. Della sanità, e sua conservazione. 38. De* m edici, e della me­dicina. 39. Della felicità. 4°· Della infelicità. 4T· Che la prosperità de* mortali è instabile, fyi. Di quelli che sono felici senza meritarlo. 43· Di quelli che senza meritarlo sooo infelici. 44* Che debbonsi con costanza soffrire le vicende cbe ar- m an o agli uomini , fu cui vita deve essere rego-

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56α o l a s s s q u ì k t à ,lato dalla virtù. 45. Che debboosi lasciar palesi fu prospere cose, ed al contrario le avverse teoer celate ( e delle cose buone godere reitameoie ). 46· Della sperante, 47* De* casi non isperali. 48· Noo doversi rallegrare delle altrui disgrazie!49-Che gl* iofelici hanno bisogno di chi si coodolga dei furo mali. 5o. Della veccbiaja, ed altre cose alla «■edesima riguardanti. 5t. Delfu morte, ed essa non potersi evitare. 52. Della vita. 53. Si parago» naso insieme la vita e la morie. 54· Del lutto. 55. Della sepoltura. 56. Considerazioni consolato­rie. 57. Noo doversi usar coni omelia verso i morti. 58. Presto svanire dopo la morte la memoria di «noli issimi.

Questi sono i cinquantotto capitoli del quarto libro, e dugento otto sono io tutto quelli che com­pongono l'opera, ei quali, siccome dicemmo, Sto* beo unisce sentente, testificazioni e spiegazioni tolte da egfughe, ed apofìegmi e precetti iotorao alla vita (1).

Or vengo ad accennare i filosofi dai quali Sto- beo raccolse quaoto oell* opera sua espone. Essi sooo a un di presso i seguenti :

Albino Amelio, Anacarsi, Anassagora , Anas- aereo, Anassimandro, Anassimenei Antipatro istico, Aniistenet Apelle* Apollodoro , Apollonio, A pol·

(1) Nè i numeri vanno beoe, nè P«posizione delle materie, quale qui è fatta da Fozio , corrisponde al testo che abbiamo dell'opera di <5to£eo. Inutile è ri­cercar le ragioni di queste inesattezze ; e ciò che di importaote quest' opera eootieoe, possono gli studiosi trovarlo agevolmeoto consultando P opera stessa*

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m e d ic i s f il o s o f i. 363

lofane, Arcesilao* Archeneto , Àrchedemo ecateo, Archelao* Archimede , Archita, Ariano * Arista- gora * Aristandro , Aristarco , Aristippo , Aristo- frroto , Aristone, Aristonimo , Aristotile , Aristos· seno, Arpocrazione% Asclepiade fratello di Aristeo, Attico ,

/teron/ce, Bero$o1 Biante* Bione* Boeto\ Brotin o, Callicratide* Callimaco, Carneade, Cebete, Co­

ronea, Chilone, Chione* Crisippo , Cleante , Cleo- έβ/ο, Cli ne a, Clito muco, Corisco , Crantore , Cr<- zia « Critolao * Critone ,

Damarmene, Damippo * Demetrio, ( Democrito ), Demon ace, Didimo , Diocle » Diodoro , Diogene j ( Dione ) , ZKoi/mo» Dio »

Befania , Ecpolo » £gioteo, Empedocle , Epan* dride , E pie armo* Epi tetto , Epinoro gargezio t Z?picuro ateniese, Epidico , Epigene, Eraiistrato , Eratostene , Eriso , Eraclide » Z?rac/ito , Ermete , Erofilo, Eschine socratico , Eu elide , J£tt<fu**o , £νβη/ο, Eufrate, Eurifamo , Euristrato , Eusebio,

Favorino , Ferecide, Filolao* Filosseto, /*ϊ/ιϋ, Gfuatone ,iooe , lunco , ippalo , Ippia , Ippodamo , //?-

ponoy Ipseo ,Jerace , Jerocle , Jeronimo, Jamblico Lcofane* Leucippo, Longino* Lucio* Lieo , Lift*

cone* L is i, precettore di Epaminonda,Afassimo , Afeùsso, Melone, Menecino* Mene·

demot Meropo * MeirocXe% Metrodoro » Moderalo» Mnesarco » Musonio ,

Naucrato, Naumachio , Nicolao , Nicostrato , N itlo , Numerico *

Ocello , Oliato , Onerose ,

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3 6 4 CLASSE QttàBTA «

Panacea, Panetto , Parmenide « Pempelo , riandro* Pernione, Pittaco, Platone* Plotino* P iù - forco, Polemone, Polibio , Porfirio, Poro , P ossi- don io , Protogore , Pirrone , Pitagora , P i tea , Pitia de ,

/tegi no , 4fu/ò *•Sereno, Severo , Scitino , Socrate, fo to n e , «So-

ji<ufu , lozione , Speusippo , {/èro , Stilpone, Strabone, Senocrate* Senofane *

Talete , Tauro* Teletey Teagene, Teage, 7 * 6 ·

mùiio, Teobulo* Teocrito , Teodoro, Teofrasio , Timeo, Timagora , Timone, Trasiilo ,

Zaleuco , Zenone* Zoroastro.Aggiungonsi quelli della setta de9 Cinici * Antipene , Crai* , Diogene , Egefianasse , Afe»

nandro* Mommo* Onesicrito* Politelo , Santippo, Teomnesto.

Questi dunque sodo i fìlosofì cbe Stobeo segui Or veugooo i poeti, e sooo :

Acheo, Agatone, Alceo, Alcidamante , Alessan­dro* Alessit Amfide , Anacreonte , Anassandride , Anassille* Andronico* Antirnaco, Antifane , Apol­lodoro , Apollonide , Aralo co , Arata , Archiloco » Archippo , Aristeo , Aristarco , Aristocrate , ^ri- stofane, Aristofane , AsHdarnante , Atenodoro , A ssinico ,

Bacchiude, Baione , Bione , B<olo ,Callimaco, Callinico, Carcino* Cercida, Chere-

mone, Care te* Cherilo , Cleante , Clebineto , Cteo- òli/o, Clinia* Clizia« Clitomaco, Cran/ore, Cretino,

Demetrio* Diceogene« D itti, Diodoro, Dionigi* Diffilo ,

Eliodoro, Enioco* Epicarmo, Eratostene, Erodet

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MEDICI E filo so fi. 365Ermoloco , Eschilo , Esiodo , Ève no , Euforione , Eufrone , Eupoli , Euripide , Eutidomo ,

Fanocle , Ferecrate , Fileo , Fileta , Filemone , Fìltppide * Filippo , Filisco , Filonide, Filosseno , F i/ ili, Focilide, Fenieide , Frinico ,

Giulio ,ipponace , Ippotoone * Ippoioo , Ippobolimeo ,

//Meo , Zone , lofonte, Isidoro 9Laonte , Leonide , Licimnio , Lino , Licofrone, Melinone, Menandro, Menippo, Mene/ilo, Me-

trodoro, Mimnermo, Moscàio ne. Mosco, Mirone , Naumachio , Neofrone , Neottoiemo , Nicolao ,

Nicomaco , Nicostrato ,Olimpiade, Omero , Orfeo ,Parnasi, Parmenide, Patrocle , Pausania , Ριη-

A ir o , Pisandro , Poliide, Pompeo , Posidippo, /tiano ,«Sa/jfo, Serapione , Scìerio , Simonide, Similo ,

iSo/m/ro, Sofoclea Sosi crate, Solfane, 5o-fatfe, Stagino, Stesicoro , Stenide , Susarone, Ve­nereo , Senofane ,

Telessilla, Terelefo, Teocrito , Teognide , 7>- sp ì, Timocle, Tirnostrato , Tirteo ,

Zenone , Zenodoro , Zopiro·Questi sodo i poeti citati da Stobeo· Or veg-

gaosi i retori, gli storici, e i re e i capitani , da lui egualmeote alla opportunità citati. Essi sodo i seguenti :

Agatone, Antifonte, Archelao, Aristide, Aristo eie, Cajo, Callis tene , Cri Sa imo, Chtofonte, Come*

liano , Ctesia,Demade, Demarato , Demostene ,Stiano 9 Efforo » E&esiadc » 2?oeJÌ0 * Erodoto »

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366 g l is s i Qv&ari,Filostrato ,

, Gorgia ,Iperide , Jseo f Isocrate ,Lisia ,Nicia ,Ombrino, o sia Obrino ,Poiieno , ( Pradico ) Protagora,Sostrato, Senofonte ,Teodoro9 Teopompo, Teseo , Timagora, TVa-

si7/o , Trofimo , Tucidide $Zopiro.I s e g u e u t i s o d o re e capitan i, c i o è :

4 gaio eie, Agesilao , Agi de , Agrippìnoo , Λ/ej-* andrò p Anassilao, Antigono, Àrchidarno ,

Carete, Caria o Cabria7 Carillo, Clitarco, Coti, Dario , Dionigi ^Epaminonda , Eudamidante ,Poi aride, Filippo, /'octoee ,Jpparco , Ificrate »Larnaco , Leonida , Licurgo ,Mal fio ,Pericle, Pirro ?Scipione , Scibluro , Semiramide ,TVmiiior/e, Timoteo 9 Tolomeo.Sieguono i nomi de*medici, fìlosofì, ed altri

da £{oòeo citati ancora sAlcmeone medico, Antigenida, Antillo medico,

A pelle, A rimnestot Aristide il giusto, Aristofane,

jBraiJon*.,Catone, Cefisidoro% Cleostrato, Clitornaco , Dicearco 9 Dìo eie medico , Dione , Dionigi , Erasi strato medico , Eratostene, \Errnarcoy jSr-

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MEDICI £ FILOSOFI* 36 7

mippo « Esòpo , Eubolo , Eufranta , Eurifone me­dico , Eurissimaco , Eusiteo ,

Galeno medico , Glamone ,. Ippocrate medico ,

Licimnio τMetrocìe , Metrodoro , M ilion e ,Nicostrato ,Prausione ,Seriffio, Simonide, Sostrato, Sozione* Speusippo Teocrito f Teopompo , Tim aride , Tinone.È utile quest'opera di G/otO/im Stobeo tanto a

quelli che gli scrini lessero di tanti autori, poi­ché cosi se oe rinnova in essi la memoria, quanto principalmente a quelli che non li lessero, poiché alla medesima diligentemente applicandosi9 in breve tempo molto belle e varie cose compendiosamente possono con loro profìtto imparare. Agli uni poi e agli altri 1’ opera di Stobeo riuscirà utilissima in quanto con poca fatica, e poca spesa di tempo troveranno materia ne' diversi casi delta medesima da potere, volendo, piò ampiamente trattore a loro talento, certo esseodo cbe chiunque voglia o ra­gionare o scrivere troverà iv i quauto mai possa desidera re.

JEROCLE

DELLA PaoyVlDKJiZ*.

Lessi il libro di Jerocle intorno alla Provvi- C a5 i denta. Perchè, dice eg li, vengo io a metterti in­nanzi queste cose, quando alcuni Platonici oon teogooo giusta opinione di Dio creatore? Pensa-

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3 6 8 c l a s s e q u a a t a ,

rooo essi oon potere Dio, per propria virtù e sapienza fino dalla eternità operante, sostenere il mondo i e soltanto poter creare prevalendosi della cooperazione della materia ingenerata, e di natura da lui noo dipendente. Perciocché io essa mate­ria sooo tutte le prime poteuze , e quelle Dio in certo modo delioea, e solamente compone, traen- dole dalla materia medesima. Il che supponendosi, porrebbesi uo fatto da dirsi piuttosto di una su­perflua diligenza di Dio, anziché di sua bontà. £ perchè mai le cose ch’egli non creò tenterebbe di ordinare* quando nella fugeuita loro natura sta risolutamente la buona ordinazione ? £ se a cosa iugeoita e per sè sussistente s’aggiunge alcun chè, si opererà oltre la natura ; e ciò che oltre fu na­tura si fa, si vizia. Ond*è che oon può chiamarsi buona cosa che la detta materia si adorni, perché ciò farebbesi non solo nel tempo, ma eziandio senza ingenita cagione \ e noi riferiamo il senso di questa qualità dicendo ingenito Dio. Ma oltre ciò non sarebbe Dio medesimo buono, incomin* ciaodo la creazione da una specie di maleficio , tentando oltre la natura di operare sopra una so- stanza ingenita, eguale a lui , e non permettendo che Ona sorella di sua spontanea volontà a sè unita, rimanesse nell*ordioe suo ingenito, non po­tendosi una cosa egualmente ingeoita contenere da un*altra; il che si applica ottimamente al caso, o sia che dalla eternità , o sia che incominciasse Dio nel tempo a così potere; e piuttosto discoste- rebhesi dalla verità, se per mancanza di una ope­razione della materia , e di alcuu tempo avesse preso ad ornarla , nè permessole di rimanersi nel

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M s a ic i a f il o s o * ! . 3 6 q

s u o stato. Imperciocché se meglio fosse stato noo aver fatto, perché incominciò egli a fare? Se poi era meglio aver fatto , perchè fìno dalla eternità non fece ? E se a lui era indifferente il ciò fare sino dalia eternità (quando per avventura noiosi voglia dire che per sua natura può fare e distrug­gere ad una ad una le cose , ma non farne di eteroe) , perchè l'improbità della maleria , di cui si serve, costaatemeute rigetta l'ordine impostole, e superfluo, decimando, per dir cosi , verso l'in­genito suo disordine, a seguo che nelle s u e ^ r t i , in un tempo o nelTaltro , la bellezza ,o la. defor­mità prevaTgono t o , per meglio dire , prevale ia deformità , poiché la materia ornata oltre natura a chi ben ragiona apparisce deforme.

— Le dottrine di Platone e di Aristotile s’accor­d ano insieme.

Molti Platonici ed Aristotelici io addietro spin­sero i loro precettori a contendere insieme; ; pre­ferendo ciascuno i supi. peusamenti * e a tanto di audacia e di contrasto giunsero , che depravarono EVl scritti de* loro maestri, onde s'avesse maggiore materia a lottare. E durò quella briga in mezzo alle dispute filosofiche sino al tempo del divino Ammonio. Fu questi il primo cb e, preso da una specie di entusiasmi per fu verità delj filosofìa., e di disprezzo per le opinioni di molli che la fi* losofìa grandemente disonoravano, si fece a bea conoscere entrambe quelle Sette , e le trasse a concordia, offerendo la filosofìa libera da ogni contesa a tutti i suoi uditori, c maitiinameole ni dottissimi suoi eguali , Plotino ed Origene, e ai lorp successori.

Foùo9 Voi. l i .

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3?o c l a s s e q u a r t a ,Dice adunque il nostro autore e b e , secondo

Pimione , le sole anime degli uomini trasmigrano nel corpo , e non in ogni corpo { ma bensì dai soli uomini ne* soli uomini , nè mai s* immaginò passaggio dai bruti oegli uomini 9 o dagl i uomini ne* bruti.

Pensò Piatone che Dio sostiene tutto il mondo visibile ed invisibile, oon prodotto da materia cbe prima esistesse, e bastare a lu i , per soste­nere il mondo, la sua volontà. Formarsi poi dalla natura corporea, congiunta con fu incorporea, perfettissimo il moodo, doppio Insieme ed u n o ,io cui sono cose e somme e ftiezzane ed infime· Le prime egli chiama celesti e D ei; fu mezzaoe, dotate di ragiooe, chiama aeree, demoni buoni, interpreti e nunzj delle cose utili agli uomini; le infime, io fine, terresti, e di ragione dotate, e so no le anime degli uomini, o sia gli uomioì immor­tali. Le cose superiori domina do sempre sulle in­feriori , e sopra tutte quante domina «Dio, furo architetto e padre ; e il paterno sue imperio è la provvidenza, la quale ad ogni genere distribuisce quello che a ciascheduno conviene. Dice poi fu giustizia , che vien dietro alla provvidenza, chia­marsi fato; sotto il qual nome non intendersi fu temeraria necessità de* Genetliaci, uè la violenza degli Stoici , né quella da Alessandro Afrodiseo, creduta condizione comune alla natura de* corpi, né Γ astro, per incanti e sacrifìci sulla natività infiueute, come alcuni opinano; ma sivvero quef- P antica legge di provvidenza / operazione altis­sima de) giudizio divino , condotta con l’ ordine e serie di quaoto fu cagiooi libere si propen*

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MEDICI a FILOSOFI. 3? !g o n o , e direttiva delle «ose nostre e de* nostri consigli.

Cercando poi cbe sia proavi denta ed ordine » d ice: Comunemente la provvidenza e l’ ordine da D io creatore si esteode sopra tutti i geoeri delle eose immortali, massimamente alle prime e somme, e di poi o quelfu cbe da lui baouo fu nascita , indi a quelle che da lui sodo state fatte , e che godono della partecipasiooe de* beni intelligibili. E come tre sono i generi oel mondo dotati di ragione , il sommo e p rim o , comunicante , senza alcun cambiamento, con l'immagine divioa, ba un ordine ed una composizione affatto d iv io a , quale dicemmo propria de* celesti. U secondo genere , ammettendo consegueotemente 1*ordine d iv in o , si fu partecipe delfu similitudine al Creatore» non

S5* incommutabilmente , nè iodivisibilmeate , ma bensì senza errore e vizio reggesi con le, leggi paterne, come dicemmo convenire alle cose aeree·Il terzo g en ere , che è 1* ultimo , noo solamente dalla celeste dignità si discosta, ma viene anche di tratto in tratto viziato dagli aerei. Chè tafu è de* celesti la proprietà di sempre intendere a Dio, ed approssimandosi a l u i , conoscerlo | degli aerei quella di sempre sottostare ai medesimi \ e le anime degli uomini non sempre hanno quella in­telligenza , ma io certo modo fu dimezzano , non possedendo per furo calura la intelligenze pi eois­sima de* celesti , nè » per quello cbe P or dio furo ootnporta, tutta la cognizione degli a e r e i , giacché fu anime né prootamente , nè perpetuamente co­

noscono , ma quando toccano 1* eccellenza del co ­noscere, imitano l'ordine degli aerei $ e » aedtodo

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c l a s s * q u a u t A ,

dietro ai medesimo, fannosi partecipi della visioni delle cose intelligibili. Il terzo genere intellettuale poi* oro intelligente ed* ora no, mai noo sarebbe lotelligeote secondo la ragione della divisione per# fella accénnata, perchè ciò che per uatura è non intelligente, noo può essere partecipe della veriti e della v irtù; onde un tal gènere si rigetta. E eoioe di fa fio l'immagine di Dio intelligibile man· citerebbe di ragione e d* intelletto ? Ogoi di lai immagine intelligente e razionale suole coooscere tè medesima e il fattor suo.

È conveniente cosa, dice l'autore, che le nostre umane azioni sottostiano a chi ha per sua sorte fu regione di mezzo , come a oostri custodi ed ispettori. Ogni loro operazione sopra di noi chia« masi fato, dirigente le cose nostre con le leggi della giustizia. E se , prosiegue egli, i custodi delfu vita sooo fìssati in virtù della loro condi­zione , viene anche ad essere manifesto che ope­reranno per tutto il tempo della vita a ciasche­duno asSegnàta, non potendo darsi die chi ha vita fu conservi per un tempo indefinito. Oode è ne­cessario che si defìeisca il tempo , acciò si cou* servi fu vita fatale , e che insiememente si deter­mini còl tetano il modo della morte, come parte ultima delia vita, secondo il merito distribuita * perciocché, defìttila la nascita, necessità vuole cbe are definito anche il fine. 11 principio delfu nascita definisce il della partenza dalla vita * il qual fato è fu ditiftn volontà e la legge della giustizia di'Dio. Oode il fato dei passaggio di qui altcovo porterà anche le défìotzioue della morte, e dee darsi defluito ootoe e quali verremo atta vita M

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Mitptcf a f i lo s ofi. 3y3olla morte. Che se queste* cose nou fossero desti­nale, ne verrebbe cbe ogni vita fosse senza fìo e , nè partecipe di sorto migliore. Chè dove fìa chi abbia cura del giudizio divino e della distribu­zione secondo i meriti, né inconsideratamente, nè accidentalmente cosa alcuna accadrà a ooi nel corpo e nelle cose esterne*’ e noo terremo queste per inordinate , e non diremo che i consigli e i giudlzj, e gl’ impeti deiranima sieno opere di mi­gliore necessità; nè quella accuseremo , e non noi medesimi della virtù e della malizia, uon essendo g iusto attribuire alla necessità del fato quanto ab- l*anima , o al corpo, o alle esterne cose avviene· Ala non va bene pensare che tutte le; cose reg? gansi per temerarj e fortuiti casi , . quando una mente tieoe il priocipato sopra tutto , e quando v’ ba un Dio cagione di tutto. Necessariamente adunque è lasciato in noi il libero arbitrio , e ponsi cbe le giuste retribuzioni alle azioni Jibei$ sieno nelle mani degli aerei , ordinati da Dio é giudici e a curatori nostri. E ponendo in noi tre oasi, cioè che tutto facciasi per necessità, o nulla facciasi , o si faccia e oon si faccia alternativa- mente^ o facciasi come conviene, iu tutte le supr posizioni y'è assurdità, e in tutte togliesi la prov* videnza. Imperciocché i meliti preveduti portano seco di coosegueoza la provvidenza ; e perciò il fato e il giudizio previdente ed ordinante, secondo fu giustizia e la legge umana , ha hisogno di utt principio libero e volontario. Onde dee dirsi ch« di tutta fu provvidenza è parte il fato, con giudi­ziaria legge adattato -alle anime degli uomini. Dal canto suo 1* operazione delle anime degli uomini

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3 7 $ CLàssz Qiràt n ,

è azione libera, e quanto dicesi essere in podestà nostra, esso divfune pei divini giudizi un soggelto alfu ragione consentaoeo di una distribuzione ine­guale* Laddove ciò die è fortuito e comune alle generazioni de* mortali e de* broli, noo procedendo esso nelle singole cose ordì Datamente e secondo i meriti preveduti, poiché dal fuoco estinto si forma Γ aria , dall* aria condensata si fa 1* acqua ι nè da questi cibi si fu il corpo d* uo cavallo, o di uo caoe, e da altri aleuu*altra cosa. Ma tutto da tutto casualmente può prodursi, attesa fu comune ma­teria, atta a ricevere in sè tutte le forme , parte­cipando delPordine e della necessitò divina, sicché le singole cose nel loro speziai genere si conser- vino, e eoo certa successione procedano alfu eter­nità, sussistendone fu cagioui. Adunque ne* singoli animali e nelle pianto, e nelle altre cose urani- mate niente v*ha di definito e di ordinato, come mercede de* meriti, poiché ni una rimunerazione a tali cose è dovuta per Taotecedeute vita, nè haona ad aspettarsi pena per quello cbe ora fuono· Chè in esse nulla si aggiunse dai luoghi aerei che co­stituisca un fundamento a dire cbe per giudizio divino sreno tratte a ritornare , come ne* siogoli uomini succede, che partecipi di ragionò fu loro anime, e di là procedendo immortali, somma cura e sollecitudine, cosi essendo fatti, debbono avere, oode non darsi al male, a cui sono inclinati. Perciò soffrono, è vero, e soffrendo si rassegnano e di bel nuovo liberamente vogliono e soffrono per conseguire il merito del libero arbitrio. L aonde ai bruti conviene lo stato fortuito e privo del di­vino giudizio, ma nelle nostre azioni anche quello

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M t a i c f % f i l o s o f i * 3 j 5cbe* sembra fortuito non è tale , regolato esseodo dal fato preveduto. Di modo cbe pare io vero che in noi, come ne* bruti , la furlana domini ; ma il giudizio di uo preside definì quanto a noi accade ne* beni del corpo e negli esterni. Imperciocché col rimettersi, o rendersi , e eoo fu varie muta­zioni delle cose che ci accadono, fu vofuntà Ubera si conduce a moderato stalo , più presto se con fermezza costante soffra fu avversità che per le medesime cose ci toccano, e per piò lungo tempo, se fu tolleri sdegnosamente e pazzamente. Nel qual caso paga il fio della perfìdia j e noa per tanto é forza che sopporti quanto soffre.

Viene quindi Jerocle a dimostrare cbe l’aoimn ha liberi i suoi movimenti, ed a parlare delfu provvidenza.

Perciò, dic*eg!i, che l*anima in qualunque delfu libere sue azioni noa va esente da peccato, ed é degna di essere costantemente retta da più alla podestà, e a misura de* suoi meriti incontra pena, purgazione e suppluìo. La libera elezione dipende da essa v e le cose che succedono iu virtù di asioni libere, poiché il giudizio della provvidenza com­pensa gli affetti dell*auima secondo i mèriti, sono defioile. Di questa inauiera si dice cbe noi sce­gliamo, e che in conformità ci tocca fu condizione della vita. Ora il definito compenso secondo i no­stri meriti dimostra la provvidenza divina. Ab­biamo dunque dal principio sino al fine liberi i moti dell*auima, altri p iò , altri meno; e noi non conserviamo sempre eairo noi stessi egualmente quelfu libertà ; nè io conseguenza otteniamo poi tutti fu eguale mercede* £ quello cbe ci conduce

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5 7 6 classe quarti ,quat e di nuovo ne ritrae che è una sorta di nesso e il concorso della volontà dell*uomo, e dei giu­dizio divioo, quello è il fato. D*onde avvfutie che operando in forza della libertà del nostro arbitrio le cose che vogliamo, per un certo giudizio di Dio, f requentemente soffriamo ciò che non vo­gliamo. Perciò contenendoti sotto un generale de­creto le cose che fuDoo parte della vita umana* e »1 tempo, e il modo della morte unitamente al de­creto del fato , rimangono ordinati. Ed è a sa· pere» soggiunge Pautore, che Panima , nemmeno quando s'alza ad eminente pensiero si spoglia della debolezza delPintelltitto, né quando cade ia estrema malizia perde ancora la facoltà di ben pensare, e pentirsi. Tale si è la sua uatura che si acconciaio parte alla felicità divina , ed in parte ai casi umanr; ed alternativamente P una e l'altra facoltà esercita y ad entrambe, giusta la provvidenza di Dio, essendo essa atta. Di tale maniera vien essa dalla propria uatura coadotta. Effetto poi delfu libertà delParbitrio suo si é che piò a lungo si'stia nelle cose somme che nelle infime. Ed è per questo che dicesi altre terminare il foro corso nel periodo di dieci mila anni y ed altre in quello di tre mila, la virtò cancellando l'errore, e il gagliardo amore del · bene abbreviando la lunghezza deU Passedio terreno.

Dal libro II.

.z 5i Qui Jerocle cerca quali cose dicansi operare d* sè medesime.

Dicoasi operare da sè medesime fu co se , f u

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MEDICI S YTtOSOF!. $ η η

quali rimangonsi senza mutazione alcuna nella furo essenza, ed operazione, e che senza mutazione di sé muovonsi a sostenere ciò che vien generato, per questo solo che sono queHo che sono, e prò* ducono cose da sé diverse. D’oftd’é che né aer- vonsi di materia, né incominciano da alcuo tempo, nè in alcuu tempo finiscono, nè poi ciò che fuetto non sussiste fuori della operazione deH* agente. Perciocché tutte queste accompagnano, secondo l’ac­cidente, chi opera, come succede in chi edifica, o fa altra cosa simile-

Platone nel Fedro dice che nessuuo de* poeti fìo'ora né lodò, né avrebbe lodato degnameate il luogo celeste. Egli non paria del vero luogo che é capace de’corpi ; ma per luogo vuole che s’ iotenda, l’essenza o tale altra cosa, quale sì é la celeste, e quella che eoo Γ intelletto ei percepisce, siccome noi siamo soliti dire parlando degli scritti di al­cuni; nella maniera stessa in cui parliamo chia­mando luogo il capo e la forma delfu cose. -

Lo slesso Platone nel Yxhvo delle Leggi mostrando fu differenza rispetto a noi della provvidenza divina, dice Dio governare tutte fu cose, e la for­tuna, e l’occasione governare tutte le cose umane. D’onde apparisce eh* egli assegoò la provvidenza di Dio, pura, e a sé stesso simile, alle cose prive -di affezione, e sempre perfette, e perciò nou esposte mai ad errore; ed a quelle cbe alcuoa volta cadonoio istoltezza, dotate di ragione, e soggette ad em­piersi di malizia, assegnò uoa provvidenza congiunta alla occasione ed alla fortona* Della provvideeza pura é opera propria la precedente largizione dei beni, la cooservazione di quelli cbe per natura vi

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3 ^ 8 CLASSE QTUUTi ,

si aggiongooo. Della provvidenza composta, che si giova della occasione e della fortuna, è opera la corrosione delle cose che oltre fu natura sono com­poste, non meno che il gastigo degli errori. Im­perciocché* siccome dalle predette cose si racco­glie, il giudizio divino» non cosi io modo assoluto getta iu calamitò certi uomini, ed altri rende fe­lici, ma' ciò fa secondo l'antecedente merito di ciascheduno. Ed avvieoe oel proposito nostro ciò che veggiamo succedere io medicina, che è Parte che cura gl'infermi. Imperciocché siccome nel giù* disio cbe delPammalato, e della malattia si fu da chi vi presiede, tutti i convenienti rimedj si pre­scrivono; oosì essendo il merito di quelli che sono giudicati, diverso nè diversi, e per la libertà del­l'arbìtrio mutandosi, vieae a comporre fu fortuna alla provvidenza divina. L'ordine conveniente ai sìngoli, e quello della espiazione reca seco l'occa­sione; e la fortuna e l'occasione alla divina prov­videnza congiunte, costituiscono il fato generale, tfaendo la fortuna dalla volontà umaoa, e dal giu­dizio divino l'occasione. Siccome appunto è del­l'arte il defioire come la cura debba farsi; ma dell' uomo è proprio l'essere così disposto da avere bisogno o del taglio, o della ustione, o d'altro tor­mentoso geuere di cura. Di questo modo su e giù Platone va filosofando intorno alla natura umana, e intorno al fato, sotto uoa certa provvidensa che regge fu cose nostro.

Discende quindi Jerocle ad accennare fu diffe- r e s s a ira il filosofo e amatore della f i le sofia ; e dire *

Platone ponendo differeosa tra il filosofo e l*a-

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ms atei E FffcOSOfI* 5 7 9

malore delfu filosofìa, e spiegando come entrambi si dicano tra essi pari eell’oaore, dichiara quegli essere filosofo che, consecrato alla sola coatempfu» zione, df tutte le altre cose si astiene, o alle pure virtù si dedica , onde divenire perfetto, siccome espone nel Teeteto. Questo è, secondo Platone, il filosofo io senso assoluto. Amatore poi della fìló- sofìa, die* egli, colui, il quale amando con fu filo­sofìa i suoi figliuoli , nella considerazione della onesta, e della divinità esercitato, e fattosi abito de'beni spirituali, gli officj della sita civile adempie, e si applica alla educazioue de’figliuoli 1 cose ch’egli insegna ne' libri della Repubblica. Ove dice i filosofi essere 1 principali delle città, onde in fine liberarle dai mali, oé le repubbliche potere essere floride, a meno che neo sieoo costituite da quelli che fac­ciano uso dell*esemplare divino; ed ivi espooe qual sia 1* importare di tale costituzione, o descri­zione v cioè ch’essi la città presa ad oggetto dei loro peosieri, e i costumi degli uomioi primiera- meato riferiscano come in chiarissime pitture } iodi presentino la forma delfu repubblica. Il che fattoi spesso e per ogni rispetto riguardino a ciò che per natura è giusto ed onesto, e cose simili. Di piò che a quella badino, insita, come dice O/nero, negli uomini, similitudine e forma di Dio; et cbe certe cose rigettino , e certe altre afferrioo » fu quali a cagione de* costumi rendano sommamente cari a Dio i mortali. Tale adunque è il pittore delle repubbliche, amatore con filosofia f cioè que* gli che nella repubblica vive insieme con fu ape* dilazione che ba per figliuoli i sensi, e 10 cui ciò cbe d’ooesto ne* medesimi splende, e d’essi più

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3& o a t i s m . o s A m «antica e maggiore, coa»e pedagogo de* sensi, è fu meato. Perciò egli afferma colui perfettamente fì- Iosofure,'Vale a dire senta fatica, e senza presiigj superato dalla meteria, essere colui che con la sola mente vivendo» moderatamente coruiensi nella tra­scuratila dette cose umane. Perché il senso con­giunto alla mente affascina la ragione, e cerca pie­garla a modo da potere stimar bene suo proprio ciò che alla' materia è congiunto. Quegli poi cbe i sensi governa con la mente, Platone chiama amante de* figlinoli con la filosofìa, al quale la mente, dedita alla contemplazione, serve di custo­dia e di salda difesa , oode nelHoperare uon ri­manga deviato dai senti: dalla qual mente le im* magioi ama ritrarre e io pubblico e in privato, dirigendo i costumi degli uomìoi onde, per qoanto egli può ψ renderli amanti di Dio che é quanto dire pii. £ così ciò che come pittore vide nella immagine attenendosi alP esemplare divino, cercò Scolpire anche negli altri, per nulla, in quanto alla yneote, inferiore questi atPahro filosofo, mentre nel rispetto della umanità appare superiore; come al­tronde quegli a questo ne* comodi privali va in­nanzi. £ tale è la differenza che passa tra furo. I l filosofo nel suo perfetto, poco ò meno cura fu cose umaae. L ’amatore operando a prò de* cognati ed affini, rendeti a*medesimi benefico* Nou di meno, poiché entrambi hanno egualmente acqui­stata la filosofìa, reputanti nello stesso egual grado- di perfusione, nello stesso teiOpo salvati come con fu ali, e fatti degni dello stesso vofu*

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MEDICI Z FILOSOFI, 38*

Dal libro, IH cafp. X.

Qbi Jerocle dimoerà come le leggi* le ragioni le virtù, e cose simili inducano la provvidenza*

Non sono vane, dic’egli * le léggi che daooosi agli uomiui né'senza prò é loro conceduta la vo* Ionia; nè riesce supeifloo il far voti, se le umane cose reggo*nsi dalla provvidenza, poiché atte lìbere azioni degli uomini fa giustizia e la legge attri- bui scodo mercede. Nemmeno, se queste cose sono necessarie, oneste ed ut Hi, perciò togtiesi la fòrza del fato provvidente1, perciocché· il fato cou. gli esterni mali corregge quanto è fu podestà nostra. Cotoste cose per sé s lesse vicendevotmen'.e ti* raffer­mano, anziché scambievolmente distruggersi. Sussi­stendo la provvidenza, si rende necessario che assai ci giovino e te leggile le ragioni, e i Voti; ed al contrario tolta di mezzo non solamente non giove- tebbercij'tna non potrebbero salvare.la repubblica e rim ario L’esseie in podestà nostra coliate cose,' ciò fa che vi sìa provvideoza, e vicende voi Mente fu provvideuza fa che le dette cose sieno in nostra podestà. Perciocché la volontà nostra corrobora il fato, e il fato conferma il nostro libero arbitrio. Che se noi aggiungeremo a Dio quanto v* ha di poro e di mediato, si aodo alle leggi, praticando voti» e eseguendo la prudenza, e tenendo iu tutto buona t oura-delle cose, godremo di inastimi vaa* toggitt Airoppeste soffriremo dolo#i a , tali cose pteiisài, l· quali- però ci secheranno medicina, con. U* esperienza . istruiti del nostro , doverè* A f f ì^ h i ptH^ fceoe ° niale, eoe fu purgazione yeuisuto a

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3 8 a classe quarti ,liberarci della cattiva volontà, assaissimo conferi­scono la legge, il voto, il consiglio, e tali altre cose, le quali ci rendono pii, e consenzienti a Dio.

Ricerca poi Jerocle quale sia Iu libertà del no­stro arbitrio. Il libero uostro arbitrio, dic’ eg li, non è tale che possa trasferire con le sue libere azioni tutte le cose che sooo t e che faonosi. In questa maniera fabhricherebbesi ad ogni uomo particolare un nuovo mondo, e farebbe si altro ap­parato di vita, dappoiché non tutti desiderano fu stesse cose, avvenendo in tale supposto che a te­nore de* singoli affetti di ciascheduno (poiché po­trebbero cojtitaire ciò che è essenza) tutte fu cose sarebbero* per le subitanee rivoluzioni delle umaue volontà, cambiate. Laonde cou ragione la libera podestà dell*uomo* facilmente mobile tutto giorno, è impotente affatto a fare o a trasferire qualunque cosa, ove da altra parte non sia ajutata· L’umana volontà adunque, dice l’autore, non trasferirà le cose create, poiché fu legge diviaa fu conserva « nè delle cose ohe fauuosi alcuna essa conferirà per fabbricare il mondo,

Perchè le cose umane non derivino dal voto, o desiderio.

La libera volontà oon ha imperio se non sopra sè stessa, e per rendere con fu affezióni aè stessa migliore o peggiore, giudicando soltanto fu cose esterne, e tenendo conto de* fatti. Onde viene che a tenore delle virtù, o de*vizj acquistati nelle soe azioni si diriga bene o maU?, e questo soltanto la libertà dimostra essere in facoltà nostra, cioè di applicarci, come ei parrà, ad nu corpo vicinai e allo

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m e d i c i s r iL O S O n . 3 $ 5

cose esterne, fu quali noo souo punto libere. Im* perciocché,se l'arbitrio, di cui parliamo, trascendesse l'essenza iu cui è posto,e volesse trovarsi* diremo così, lo regione aliena, diversa dalla sua, come , per esempio, sarebbe un corpo, o uo possedimento, seicento cose avrebbe in opposto, noa ottenendo quauto desiderasse, ed avrebbe bisogno d’ iofìaiti ajuti per readere il suo voto-compiuto. Ma eoa dipeade da noi che uon ci «ccadano cose avverse,o cbe troviaaao cose cbe ci ajutinos ma ciò di* pende da alcun altro, e dipende da un ordine luogo tempo prima stabilito, e che dee avere il suo an­damento* compiere il quale dicesi opera del fato» È poi il fato un certo divino giudizio intorno alle cose cbe oon sooo in podestà nostra a giusta mer­cede delle cose che sono ia nostra podestà. Né si toglie fu liberta dellvarbitrio, se dipende da Dio il distribuire le cose esterne come egli vuole, è il dare ad ognuno i premj a misura de’ meriti» Sommamente poi della nostra libertà, io ordine alla virtù od al vuio, il fato provvidente ha bisogoo; altrimente oon sarebbe giusta quella ineguale di­stribuzione delle cose, se noo fu desse occasfune il nostro arbitrio.

Piatome in ultimo del Timeo· ragionando delle affliz ioni cful corpo, e del modo di curarle, proi­bisce di usare inconsideratamente di quelle pur­gazioni che Parte medica adopera * -perchè con· viene aspettare che i morbi maturino naturalmente, onde oon violènti tagli piuttosto noo s’accrescano. E cosi procedendo con uoa certa serie ai singoli morbi .dimostra essere dalla natara prescritto tur

.qualche tempo, argomentando dalla sfuaifu OOMspO-

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584 c l a s s e q u ì j it à ,sitiooe degli animali » i cui congiungimenti , e il corso del vivere, ordinatamente succedono, in ogni specie siagolare. Per esempfu il cavallo avrà lun- ghissimamente vissuto,giungeudo a trentanni, il bue tanti, e cosi parlaodo degli altri aoimali ; cosicché il bue oe avrò vissuti dieci, se fìera , o qualche altra esterna calamità sopraggiunta noo fu avrà fatto morire prima. La natura ha prefìnito il tempo a tutti, nè può quello oltrepassarsi. Però tutti noo possono arrivare a quel termioe » impediti al di fuori da qualche caso violento « il quale caso dU ceramo, rispetto a noi ordinare fu provvidenza di Dio, ne* bruti avvenire fortuitamente. Impercioc ­ché la ragione della morte attribuita secondo i meriti di ciascheduno non è da misurarsi nel modo di quella de* bruti e delfu piante, poiché né fu piante « né i bruti nascono come nascono gli uo­mini. Gli uomini vengono generati pei meriti dei furo autori sotto il giudizio di Dio, e ricevono fu vita, nel complesso della qoale conteogonsi nazione, d u i , genitori, dì natalizio, il corpo, Teducaziooe,i beni di fortuua per jnautenere fu vita, il geoere di morte, il tempo alfu medesima destinato , e il custode e ministro di tutte queste cose , che é il genio. Nulla di tutto questo appartiene ai brutis perciocché le cose cbe accadono a chi è dotato di ragfune (io quaoto appuuto é dotato di questa) sooo aliene aCfaito dai bruti. Non é giusto adunqoe cbe s'abbia la stessa considerazfune degli auimali psivi di ragione, e di 'quelli che ne sono dotati. Quelli tanto hanno d lla provvidenza , quaoto oc­corre a ,conservarne fu specie, la quale é eterna ad fusamfufu» K so noi non . isperimeatastimo fu

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V& tP lC ! S F ILO SO F I. 3 8 5provvidenza ciascheduno io particolare, a seguo c he nulla siavi che da essa non si regga, eoa ap­parirebbe verso di noi aversi la debita sollecitu­dine. Dobbiamo aduuque noi, che siamo stati fatti da Dio in certo e definito numero, secondo che siamo nati avere ciascheduno in particolare la no* stra provvidenza. Chè non formò Dio uu* anima sola da cui le singole traessero una porzione, o in eui vicendevolmente si risolvessero, ma circo­scrisse ne* suoi termini ciascheduna. £ perciò ogni siogola anima ha la sua provvidenza , e il giudi­zio, e la peua, e l’espiazioue, e la gita all'Orco* e fu vita conveniente ai termini stabiliti, e la morte non fortuita , e dopo morte la discesa ai luoghi inferi insieme col genio che la toccò Ma ne'brtiti, e nelle piaute. tanto perché dipeudono dalla vo­lontà umana, quanto perchè a vicenda sì divorano spinti da necessità, ed in fìne pe* varj e fortuiti casi, succede, che senz’ordiue e termine, prima del tempo prescritto dalla natura, si estinguano a modo che niuna pena sia per essi stabilita, nè ab­biano a reuder ragione delle cose che in vita fu* cero, o soffrirono. Negli uomini fu fuggi delia provvidenza, i giudizj degli Dei, le condizioni della vita, e le pene della mata vita antecedente, olite tutte le altre cose, d*fìuiscono il tempo, e il ge­nere detta mortej onde quanto fu liberamente ope­rato , o paja fortuitamente accaduto, cougiungasi col fato di ciascheduno, ed abbiasi luogo alla pena de* meriti, attesoché ail’antecedeute vita corrispon­dono le seguenti t e le cose che sono io podestà nostra, da quelle che io nostra podestà noo souo, traggono la necessità· Coo cbe avviene ebe fu

Fozio, FoL IL a5

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586 CLàSS* QUABTA ,

umane volontà siano rette dalle leggi del futo che Dio creatore prescrisse (i).

(i) Chi nen ha molta pratica della filosofìa epica* lati va de* Greci » giustamente si dorrà di non trovare fu Jerocle, che pur fu acutissimo ingegno, la precisione che sola rende comunicabili facilmente i concetti delli mente piò astratti e sottili. Dirà taluno che preci* ptia causa di questo fu il tuono, con cui incominciò Platone ad annunciare i riboboli de1 mal connessi suoi delirj, primieraraeute non avendo bene penetrato nei sistemi della fìlnsofii orientale , da cut trasse le idee generali del sao, seppure n'ebbe uno, e io ardirei ad* durre un'altra causa , specialmente considerando che non è Jerocle solo che manca della precisione, di cui si parla , ma cbe lo stesso difetto pur si vede mfle opere di Jamblico , di Ammonio , di Proclo > dì Por· firio e di cento altri che in qualunque maniera filo­sofarono > o teologizzarono dietro a Platone. Questo causa sta nella lingua greca medesima, la quale, eccel­lentissima per ogni genere di eloquenza, poco fu sem­pre atta ad annunziare i dettati di una severa analisi.

Forse Aristotile, cento volte più filosofo di Piatone Pavea tratta a questo metodo, poiché tanto ne sentiva egli il bisogno. Ma Aristotile fu presto abbandonato, non essendo stato compreso dagl’ immaginosi Greci il sublime principio di verità, che niente è ne lf intel­letto che prima non sia stato ne1 sensi. L ’ ignoranza, o ^abbandono di questa verità, produsse i delirj plato­nici ; e chi parla in delino nò manca di verbosità, nè può cercare sceltezza nelle parole, non avendone nella idee. Si rendettero adunque i Platonici poco, o nulla intelligibili; e quésto fu il maggior capitale che li atzb a gran nome presso la moltitudine ignorante. Essa dal principio del mondo fìn qui ha sempre fatto eco, ha

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MtDtci ε r i Lo s o r i . 387

S. MET0D10

D EL LlBfcBO ABB1TRIO.

Lessi alcun tratto del libro di questo scrittore C. sul libero arbitrio* ove cerca d’ onde provenga uo i mali, e chi ne fìa l'autore. Non n’ è autor Dio nè egli si diletta de’ mali; che anz i egli abbomina chi fa il male. Se nou che dice alcuno ; Per que* sto io pensai che insieme con Dio qualche cosa esi­sta che chiamasi la materia, da cui egli fece tutte fu cose, e dalla quale panni che i inali procediino. Ed essendo 1a materia informe , e seuza figura veruna, ed inoltre andando essa errando senza al­cuna direzione, nou permise che essa fosse a caso portata intorno, ina iucorniuciò a darle ordiue, e volle dalle pessime cose segregare le ottime. Con ciò mise Dio insieme quanto era atto ad essere creato; e tutto quello che, dirò cosi, era feccioso, come non acconcio alla creazione, lasciò uel primo suo stato. Da questo parmi che sieuo provenuti i mali. Così Γ autore disputa contro chi era di diversa opiuione.

applaudito, ed ha giurato di comprendere ciò che era meno comprensìbile.

Dall’ altra parte & maraviglia che Fozio, il dotto Fozio che non poteva certamente approvare i ragiona­menti di JerocU, riferendoli non abbia fatto sui me­desimi nessuna osservazione. Forse egli hft creduto che nel tempo suo la dialettica di quel filosofo, e i vaneg­giamenti de1 Platonici fossero luori di modo. Tra noi probabilmente oon potrebbero trovare ammiratori che presso i Kantiiti.

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388 CLASSE Q?AtTi ,Che se noo è possìbile che sussìstano insieme

due cose increato, credo che tu pure ciò non ignori; imperciocché coleste due cose od erano tra sé unito od erauo separate. Se si dice che eraoo unite, duoque una sola sarò fu increata, poiché <iascuna parte di t»»se sarò simile all'altra; e le parti tra sè eguali sono uua sola cosa increata, e non già piò cose increate, non dividendo ooi in molte cose create Puomo composto di molte parti. Se poi si dice cbe quelle due cose increate sono divise e separate, è necessario che fra eotrambe sia alcuna cosa di mezzo cbe dimostri la loro separazione. Ma se questa sia identica eoo uoa delle duey sarà unita a quella una ; e di ouovo sarà necessario cercare o la coogiunzioae, o la separazione di quel- Puna dall’altra, o dell* uba con Paltra È poi im­possibile vedere uttiooe se una cosa sia ideotica con Paltray e nell’altra confusa ; altrimenti si uni­rebbe aoche ciò che da principio si coovenne es­sere rispetto ad altro identico. Se poi la ragione addita cbe Puua cosa dall'altra fu separata, si cer­cherà ancora per mezzo di cbe cosa fu sepa­rata; e si farà così iofìao a tanto cbe ci si pre­senta una seria d* iòfìnite cose increate. Che se alcuno verrà con uua tersa opinione, dicendo cbe oé Dio fu separato dalla materia, ué come in parte, o sia cou Palira delle parti unito; ma Dio essere nella materia come io luogo , e la materia così pure iu Dio, deve osservare che se diremo fu ma­teria essere il luogo di Dìo, necessariamente sarà dalla materia circoscritto, perché incluso io luogo* ed insieme con la materia sarà portato sotorno senza direzione; poiché mosso senza direzione ciò,

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MEDICI t FILOSOFI. 3 89in che si trova necessariamente si muove iosieme quello cbe in esso sta. Poi,: Dio occupava tutta la materia, o oe occupava solamente una parte ? Se una parte solamente, dunque egli era minore di essa, poiché da una parte sola di essa egli era circoscritto. Se la occupava tutta quanta, come fu creò egli ? Imperciocché è necessario che diciamo che Dio in certa maniera fu ristretto in sé stesso, onde con tale ristringimento creare quelfu parte dalla quale si ritrasse, oppure che insieme con la materia creò il luogo in cui raccogliersi, non aven­done prima. Se poi alcuno asserisce che la ma­teria fu in D io , si dovrà cercare se Dio da sè stesso fu diviso dal luogo; e come succede degli animali cbe sono nell’aria , essendosi cosi diviso , si facesse luogo a quelle cose cbe in esso fannosi, o come avviene in terra all’acqua. Se come uel- l’aria , allora dovremmo dire Dio diviso. Se come l'acqua iu terra, essendo la materia informe e in­digesta, e contenendo in sè i mali, sarebbe neces­sario dire che Dio fosse l’autore delle cose in­formi e cattive. £ bada bene che per non essere obbligato, supponendo la materia, a non affermare Dio artefice de* mali, verresti a farlo de* mali ri­cettacolo. Auzi argomenteresti appunto così. Tu dici adunque che insieme con Dio fu la materia informe, con la quale egli creò il mondo. Così iofatti a me pare. Ora, se fu materia era informe, cioè senza qualità , il mondo noo fu da Dio for­mato. Ma uel mondo sono qualità : Dio fu dunque il fabbricatore del mondo. Così è. Come poi a te sembra impossibile che dal niente facciasi cosa, rispoodi alla domanda : Pare a te cbe le qualità

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3 9 ° c l a s s e q u a r t a ,del mondo sieoo fatte da qualitò non soggette a chi le ha fatte? Pare. £ credi che esse sieno qualche cosa diversa dalla sostanza? Si, diversa. Adunque se Dio fabbricò le qualità da qualità non soggette , e che non sono fatte dalle so­stanze, non essendo le sostanze qualità, sarà ne­cessario dire, quelle essere state da Dio c reate dai niente. Inutile poi Sarebbe 1' insegnare che niente é stato da Dio fatto dal niente. £ ciò si dimostra cosi. Aoch^ presso di noi veggiatno alcune cose dagli uomini farsi dal niente, come possiamo pren­dere l’ esempio dagli archilei ti, giacché questi non fabbricano le città dalle città, nè dai templi i tem­pli. Che se per essere a questi soggette le sostanze, iu pensi che da loro fannosi coleste città e cote­sti templi da cose esistenti, t’ inganni nel Ino ra­gionamento. Chè non è la sostanza che fabbrica la città, o i templi; bensì è l’arte che versa in­torno alla sostanza, o malerfa che vogliam dirla, la quale uon da alcuna soggetta arte che sia nella sostanza, viene prodotta * ma procede da quelfu cbe in quelle cose nou è. Ma parmi che tu venga contro alle cose dette cou questa considerazione che dall’ artefice si fa nella sostanza per mezzo dell*arte una qualche cosa. A ciò rispondo. Nem­meno nell’ uomo da alcuna soggetta arte si fu l'arte, perciocché uon può la sostanza da sè crear Parte; consistendo Parte in quegli accidenti, i quali hanno l’essere loro quando alcuna cosa si fa nella so­stanza. £ la ragione si è che l'uomo sarò uomo anche senza l’architettura; e non sarà mai archi­tetto, se prima non sarà l’uomo· Onde per neces­sità convien dire che negli uomini le arti si creano da cosa non esistente»

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M EDIC I Z F ILO SOFI. 3q 1E se poi dimostriamo cosi succedere negli uo­

m in i, come non sarà giusto dire che noo sola­mente si fanno da Dio le qualità da cose non esi­stenti, ma pur anche le sostanze? Perciocché men­tre si conosce possibile che qualche cosa si face ia dal niente, si dimostra che anche le sostanze pos­sono 'farsi dal niente.

È poi anche druopo discorrere de* mali. Credi tu che i mali sieno sostaoze, oppure qualità di so­stanze? Qualità. La materia era essa senza qualità ed informe? Era tale, perchè tutte queste cose sono composte con la sostanza di quelle cose che alla sostanza accadono; chè nè l'omicidio è sostanza 9 nè è sostanza alcuno degli altri mali ; ma preu- don nome dalla operazione. Ed in fatti la morto chc ad altri si dà é l’uomo, bensì dando la morte si nomina omicida· l’ uomo che noo é quella morto data; né, per dir tutto io breve, è sostauza degli altri mali; ma può dirsi male faceudo alcuna male. Fa un ragionamento simile , se concepisci nell*a- tiimo alcun’altra cosa che sia all’ uomo cagione di mali, com’ è quel male che consiste in sommini­strare, o iu suggerire agli uomiui che facciano il male; cbé cotesto somministratore, o suggeritore è cattivo egli medesimo per ciò che fa il male ; e dicesi cattivo perchè autore di cose: cattive. Vedi poi che ciò che uno fa, nou è la persona che lo fa, ma é la operazione di lei; e da questa ope­ratione essa si guadagna il nome di mala, o cat­tiva. Imperciocché se dicessimo che la persoOa è fu stessa cosa da lei fatta , poiché fa omicidio , adulterio, e cose simili, quella persona sarebbe adulterio, omicidio, e tale altra cosa* Se poi k

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Z g * c l a s s e q u a u t a ,

persona è queste cose medesime, essa avrò Tessere soo quando tali cose fsnnosi, e quando non fati­nosi aoch'essa cesserò d'essere. Ma queste cose fanoosi dagli uomioi ; gli uomini adunqne ne sa­ranno gli autori, e saranno fu cause per cui sieno, Ο non sieno. Intantov se per quelle cose che ognnno fa, é callivor e fu cose che fa hanno un princi­pio, anch’egli adunque incominciò ad esser cattivo, ed incominciarono ad essere anche gli stessi mali* Il che se è vero, dunque niuno fu cattivo sino abeterno; né i mali sono eterni od ingeniti. Oode, amico mio, parmi che piò opportunamente contro altra persona tu abbi intrapresa la presente di­sputa, poiché di lei, d'onde quella persona sembra avere tratti i fondamenti del discorso, tu mi sem­bri trarre assai bene le tue conclusioni. Giusto fa il tuo ragionamento. Se la materia fu informe,o sia senza qualità, e delfu qualità Dio è l’au­tore, essendo le qualità mali, Dìo sarà facitore de* mali. Ma pare a me falso che fu materia sia informe, o vogliam dire senza qualità , poiché di nessuna sostanza puoi dire cb'essa in questo senso sia informe: anzi da che si chiama informe, se ne dichiara la qualità; e si descrive quale fu ma* leria sia; il che è uua specie di qualità, oude, se ti aggrada , prendi la disputa da più alto punto. A me pare che materia abbia qualità fìno ab- etemo. Così è, o amico; ed asserisco che i mali provengono dsl medesimo fonie. — Ma se la ma* toria fìno abetowo fu ornata dalle sue qualità, di .che sarà stato creatore Dio? giacché se diremo create fu sostanze , affermiamo cbe queste esiste­vano già prima. Se diremo creato fu qualità» af-

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Mixnci 1 F 'L O tO tt . 393fermiamo pure che esistevano ancbVsse. Dunque parmi inutile dire Dio artefice della sostanza e delle qualità.

Ma rispondi: In che senso d*ci tu Dio crea­tore! perchè egli annientò le sostanze , che una volta esistettero? o perchè conservò bensì le so­stanze, ma ne cangiò le qualità? A me uon pare che siasi fatto alcun cangiamento delle sostanze , ma soltanto delle qualità, rispetto alle quali dU ciamo appuuto Dio essere creatore· E siccome* se alcuo dice che uoa casa è fatta di pietre, delfu quali non suole dirsi cbe le pietre rimangano in sostanza, ma le pietre dicottsi casa, perciocché dalla composizione delle qualità dico essere fatta fu casa; nella stessa maniera dico che Dio, ri­manendo la sostauza , fece certo cangiaméoto di qualità \ io coosiderazione di che affermo questo mondo essere stato fatto da Dio. Ora pare a te anche i mali sieno qualità delle sostanze? Parmi.

Ora queste qualità furono esse nella materia abeterno, oppure ebbero un principio d’esistere? Credo cbe queste qualità furono abeterno con fu materia· Noa pensi adunque che Dio abbia can­giato in alcun modo queste qualità? Penso che fu abbia cangiate. In meglio? Cosi parmi. Dunque se le qualità della materia si mettooo nel numero de*mal i , e Dio fu qualità della materia cangiò in qualche cosa di meglio, necessariameute dovremo cercare d’onde i mali provengano. Imperciocché a tolte quelle qualità, esseodo cattive, sono state cangiate Sn meglio; od alcune eraoo cattive, ed altre no. E le cattive uon furono caogiate in me­glio, e fu altre, com’erano comode, a cagione di

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Óg4 CLASS* QUARTA ,ornato furono cangiate da Dio. Così, per quelfu che ìo giudico , fu qualità furono abeterno costi­tuite. Ma come dunque dici tu che le cattive qua­lità furono da princ'ipio Usciate tali ? Poterono esse venir tolte da Dio? Volle Dio toglierle, e uon potè? Se dici che poièt e non volle, tu io fai autore di questi mali, perchè potendo fare che nou vi fos­sero mali, permise intanto che rimanessero quali erano. E poiché perfezionato avendo uoa parie della materia , un'altra parte trascurò * potendola cangiare iu meglio, a me ciò pare cagioue di mali, aveodo lasciato sussistere uua parte cattiva della materia. Duuque Dio operò in esizio di uua parte, sopra l'altra opetaudo. E panni anzi che questa parte sia stata iogiustameme trattata, a riguardo di quella che segrego dai malli imperciocché prima che veoisse segregata, non era io essa alcun seuso di mah; ed ora fu singole sue patti ue hanno il seuso. Prendine esempio dall* uomo. Prima d'es­sere animale, egli etioo seute i mali. Ma quando è Stato da Dio fatto uomo, immantinente ha ricevuto il senso dei male sovrastante. Così questo che dici come benefìcio dato da Dio alla materia , vedesi piuttosto fatto a suo dauno. Se poi diciche i mali non si poteroQó togliere da Dio, questa impossibilità conduce ad argomentale o ch'egli é di natura de* bole, o che per timore da più forte di lui fu vinto. Or vedi quale di queste due cose vagli tu attri­buire a Dio onnipotente e buono. Ma intorno alla materia rispondi ancora. La materia è essa cosa semplice, o composta ? Se semplice ed uniforme , come il mondo è utia cosa composta , ed é fatto di sostanze diverse? Nè può dirsi questo com-

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plesso di cose essere fatto di materia, poiché cose C o m p o s t e non possooo uscire, nè sussistere da cosa Univoca ed ìdforme *. ogni coinposiziooe compren­dendo la mistura di cost* semplici. Se poi dici che la materia è. uo composto, certo è d i e dovette fu marsi di cose semplici, e queste cose semplici erano prima separate , e per la mescolanza delle medesime ebbe a nascere il composto cbe fu fa materia. Ed erano q u e l l e cose semplici , e sussi­stevano prima che sussistesse la materia ; cioè prima che le semplici si combinassero* e si com- pooessero iosieme. Se poi fuvvi un tempo, io cui fu materia non era ; e oon vi fu mai tempo, in cui noo fosse coita ingenita, non diresti aduuque ingenita la materia abeterno. E da ciò verrà che molte cose saranoo ingeoite; perchè se Dio è io- genito , se ingeoite erano le cose semplici, delle quali la materia è composta, non sarauno piò due e sole le cose iugeoite. Lascio qui di domaodare c >sa fossero quelle cose semplici , se materia, oforma. Dal che verranno molto ed assurde cose.t

Pare a te che delle cose che etistooo oon v'abbia alcun che di cootra rio a sè medesimo. Pare. Ma a l fuoco è contraria l'acqua; alla luce s o d o con­trarie le tenebre; il freddo è coutrario al calilo; l’arido è contrario all" umido? Cosi pure a me» Dunque se oiuua delle cose che esistono, è con­traria a sè stessa; e queste si ripugoano a vicenda; non sarauno duoque uoa materia sola composta. Altra domanda. Pare a te che le parti di queste materie nuocansi reciprocamente? Parmi. È parte della materia il fuoco; un'altra parte n*é l'acqua, e così del resto? L*accordo. Ebbeue ! noo ti

MZDlCl % F I LOSOFI. Ó Q b

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3 g 6 cl a s s e q u ì z t a *che l*acqua nuoca al fuoco e che fu luce sia l oti* Irsria alle tenebre, e cose simili ? Pare. £ dunque se fu parti della materia oon sì nuocono recipro­camente , e queste intanto scambievolmente di- strnggoosi* non saranno tra esse veramente parti di una medesima cosa. £ se non saranno tali, noa saranno nemmeno parti di un* unica materia ; anzi non saraono nemmeno materia , perchè nessuna cosa è contraria e nociva a sè medesima. Ma sus­sistendo queste opposte cose, si fa chiaro che non sono materia- E intorno alla materia basti fin qui.

Ora deesi venire alla ricerca de* mali , e ad esaminare i inali degli uomini. I mali degli uomini sooo essi specie di mali, o parti? Se specie, fuori di queste specie, non saravvi altro male, conside­rato in sè stesso, poiché i generi delle cose si cer­cano , e sussistono nelle specie. Se poi sussìsto questo genere* esso sarò un male generato, poiché geoerate souo le specie, come Poraicidio, l ’adulte­rio, e simili. Se poi vuoi che queste specie sieoo parti di alcun male, e queste sono generate, sarà d’ uopo che anche tutto il genere sia generato, perciocché quando le parti di una cosa sono ge­nerate , necessariamente é generata anche tutta quella cosa* il tutto essendo composto delle parti. Ma non sarà il tutto, se non vi sono parti; e vi saranno alcune parti ancorché non vi sia il tutto* £ non v* ha poi di cosa esistente una parte che sia generata, ed uua parte che sia ingenita. Se questo discorro é giusto, una volta vi fu il male, qu&ndo il tutto nou era intero , cioè prima che Dio creasse la materia; e il tutto intero fu, quando da Dio fu creato 1* uomo, perché l*uomo é Fautore

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MEDICI B FILOSOFI· 3 9 7

delle parti del male. Quindi perchè il tutto intero del male si desse, ne sarà autore chi creò ruonto, cioè Dios questa é una empietà.

Se poi noo dirsi essere male nè l’ uno, nè l'altro, ma affermerai essere il male opera di alcuno, al­lora verrai a porre che il male è generato, perchè l'opera dì alcuno ha un principio dall'esistere. Fuori di questi termini, tu oon puoi assegnare alcun altro male. £d in fatti quale altr'opera cat­tiva poi tu iodicare oltre quella degli uomini ? Imperciocché cbe quegli che opera nou sia secondo fu ragione della sostanza, vale a dite cou malizia, ma secondo fu stessa operazione del male, questa è cosa già dimostrata. E qui Λ.fetodio dice» niente per natura essere male, ma per Γ uso essere, e procedere il male. Ed aggiuoge: Dico l'uomo es­sere stato fatto col libero arbitrio, e non eoo al­cun male già preesistente, pel qual libero arbitrio avesse il potere di scegltere se volesse ; e la sola cagione era di ubbidire e non ubbidire a Dio. E questo era allora in arbitrio suo ; e creato ebbe precetto da Dio t e da ciò prende principio il male, perchè non ubbidisce al divino precetto; e questo era il solo male, cioè fu disubbidienza cbe ivi incominciò ad esistere.

NICOMÀCO GERASENO

u s a i I I . DZOLI ASITMZTICI TaOLOOICl.

Lessi due libri di Ricomaco Geraseno deir A rii- C. mitica applicata alte cose divine; titolo ohe può ia ?ero eccitare grande ammirazione, ed amor

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3 y 8 CLASSE QUARTA,

veementei intanto che Popera assai da quel titolo è lontaua , per non dire eh* essa non presenta se non se vani ragionamenti, e fu prova di tempo peiduto. E non parla già egli qui de* nu­meri discorrendo dulia unità sino alla decina, cosa che fece uella sua Aritmetica, a cui premise una Isagoge delle cose che contengonsi di loro natura nei numeri, e lo studio delle quali riesce utile; ma viene mettendo inori i vaneggiamenti di un tristo ingegno, e di tale ingegno che tenta di acconciare conteoziosameute le cose ai proprj pensamenti, anzi­ché dirigerli alla uatura delle medesime. E mentre delle cose che sussistono, preode egli a riferire fu oatura alla essenza de* numeri, e ad includerla in essa, or detraendo, aggiungendo, mutando, e divi* deodo le deite cose, ora quelle medesime, e i pre­diletti numeri, fatti suoi Dei, aggirando, sia in una sola parte, sia per tuiti i versi; dovendo natur^U meute rendere piò ragioui di tale proposto , noa fa nulla di tutto ciò. Parlo soltanto di questo, che volendo riguardare i numeri come tónti Dei, e Dee , e ad essi attribuendo tal carattere, se ondo la propria natura, e la positiva quantità de* mede­simi, questa poi non lascia intera metiendo i numeri nella serie degli Dei, ma, come si accennò di sopra, dividendoli, accrescendoli, od anche dissipandoli affatto, pure per lo più li adora come Dei, di­struggendo iutauto quella quantità che da prima sussisteva , onde cou essa sorga alcua Dio, e di quella nuovamente spogliandolo. Nè poi questa sua. è uoa teologia ineffabile e coperta^ ma pare es­sere una piò sapiente parte, e più degua d’essere seguita ed avuta io pregio, perciocché è d’ uopo

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M E D IC I t F ILO SO FI* 3 g gche chi vuol entrare in ti mirabile scienza , e profoodameute penetrarne gli arcani, sia prima di tutto beoe inizialo netta geometria » e sapere ec- celleolemeote l'arte del calcolo, e non avere uua semplice tintura solamente dell* astronomia, ed inoltre conoscere egregiamente la musica, ed es­sere ne' muticeli strumenti peritissimo. Impercioc­ché per formare da' numeri gli Dei, e porli per autori e cagioni di ogoi essenza delle cose sus­sistenti, da tutte le singole facoltà nominate trae alquanti teoremi pei* tale fattura di Dei. L'igno­rare i quali teoremi tanto apporrebbe»! a siffatta mistagogia, che invano mostreiebbe sommo desi­derio d'apprendere chiunque antecedentemente non possedesse le sopraddette discipline. Onde appari­sce la necessità di consumare intorno alle mede­sime tutta la vita prima di poter venire a questi teologici e prodigiosi trovati riguardanti i numeri: con che io fìne ti si possa concedere di delirare. Tate adunque é in sostanza, o piuttosto parlando del solo titolo, la teologia di Nicomaco Geraseno«

Della unità adunque, lasciando da pat te noo po* che altre illusioni ch'egli mesce a quauto di vero, e alte naturali proprietà della medesima appar­tiene, dice questo* che essa è la mente ; indi che é come la dono» per l'uomo, e Dio , e io certo modo la materia. Ch'essa rimescola tutte le cose, e poi che é ricettacolo di tutte, e di tutte capace; il caos, la confusione, la contemperazione, l'oscu­rità, le tenebre, Piatole inoltre ha dietro il Tar­taro, aozi la stige medesima, e Torrore , e la tm- permistione: piò il baratro sotterraneo, Lete, uh* rigida Tergine $ e Atlante. Aggiunge ch'essa é

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l’ Asse, e il Sole, i Piralj, Morfooe, e fu rocca di Giovei e la ragioue seminale $ ed anche Apollo , profeto e fatidico. La ragiooe poi di questi nomi in pane è tratto de meste instabile e supersti­ziosa, in parte da una iasmagfuazioae infantile. Del rimanente l'unità di quests maniera da Nicommco, e da9suoi precettori vieue riferita agli Dei, e di­venta contumelioea.

l a diade, o sia il numero binarfu per essi è Paudacia, e la materia, e causa delfu cose dissi­mili , ed interstizio tra Puntone e fu moltitudine. Con la composizinne e permistiooe questo numero solo forma l ’eguaglianza. Ma esso è eguale, ed ine­guale, è difetto, ed è abhoudaoza * ed es*o solo è informe, e indefinito, e privo di termine. Solo è priocipio di parità; e noo però ò pari, nò è con parità pari, né è pari con disparità, né eoo parità ò dispari. Bensì assai stime di queste cose sooo affi ai alla .naturale proprietà del binario. Quello poi che coocerue ai prodigiosi trovati di questa scuola , è a uo di presso come siegue* Il binario è funte d'ogtii concento ed é Erato tra le muse, e parimente é l'armonia. É tolleranza, ed è radice, quautnoque diremo coti non in atto ì è io oli re po­destà; e piede delPIda abbeodaufe di fonti, e vetta del medesimo) ed è Fano. Di p iò , questa razza fuvoleggiatrice leofugicamente afferma che in virtù del numero biuario Giove è giusto. Cbe la giù* iti zia é diada, ed istde, e la natura, e /tea, e Is madre di Giove » e la footana delle distribuzioni. Per costoro é come Rea tanto la frigia, quaoto la li · dia. ed é Di fidimene* e Demeira ed Eleusina* P iatta , l'Appetenza, DiiU*n*t Aeria, Asteria 9 Disamo e

ioo CLASSE QUARTA ,

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M z a ic i x f i l o s o f i . 4 ° *Vesta. Io oltre essa é anche Venerea Dione, Michea e Citerea. Di più é P ignoranza, é l’ imprudenza, il falso, il mescolamento, la contesa, la discordia, ialine il fato e la morte. Cosi teologicamente d i ­sputando parlauo del numero binario.

Il ternario è il primo tra tutti i numeri ad es*> sere iu atto dispari , e il primo ancora che sia perfetto, e mezzaoità, e proporzione, e quello che fa procedere ad atto la forla e lo stendimento della unità. Cosi è la prima e propria congiun­zione di tutte le unità. Quindi applicano questo numero alla fisiologia. Poiché essa è ca usa di cosa in tte maniere separsbile, e definisce la iti fi iu I à de*numeri; ed é ionoltre simile, medesimo, e di esattissima proporzione, e determinato» Ma queste cose non sono ancora cosi stolide , alle quali per niuo conto si rassomigliauo le seguenti.

Il ternario é una specie di ménte, ed é la causa della sapienza e della intelligenza; ed é la cogni- zfune, parte sommamente propria del oumero. Esso è ancora podestà e composizione di tutta la mu­sica; e massimamente poi della geometria. Di più questo numero ha e coutiene tutta quaoto Is forza delle cose apparteoenti all’astronomia, o vogtiain dire alla natura ed alla scienza delle cose celesti, e la spinge alla produzione della sostanza. A nche tutte fu virtù dipendono de questo numero. Quindi ri­ferisce ciò cbe appsrtiene alle favole. Triade per questi è Saturnia, e Latona, e il corno di A malica. Dicono pure clTessa è Ofionia e Teli e Armoni*. Così anche Ecate ed Srrnna e Cariba; e del coro delfu muse Poùnniat poi Plutone, e i'Orsa Losia, ed Slteef e quella cbe non s’ immerge nel mare#

Fozic, V oi IL a i

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4 o * cla s s i Q e A m »Damatamene, Oioscoria* Meti* Trigemina, Tri· foaa preside del mare, T riio genia, Achelo a, Abita- tore* Truncipeda, Cttrtiida, Crateida* Armonia* Sim* benia * Gamo* Gor+onia, Forcia, Trifamo e Li­dio. Così parlano del numero ternario; e lo eoo* vertooo in tanto furo Deita.

Miracoloso egualmente è per essi il numero qnaternario, e un Dio nuovo, e moltipliee, o, per dir meglio, nn OgniWfù'o» Imperciocché lo ri* guardano pel fonte de* naturali effetti, e il chia­vaio della natura. Esso è quello che da alfu di­sciplina la costituzione e consistenza sua prò* pria; ed anzi è la stessa natura e varieté. Egli è pu»e YBrcole* e Pimpeto, e la robustezza somma, e la virile, polenta; nè ha alcuna cosa femminile. Egli è Mercurio e Vulcano % Bacco*-Sor ita* Maja- deoi o Majade* poiché è figlinolo di Maja* cioè del numero binario. Egli è anche Eriunio^ Soco* Dio scoro. Bassareo e Bimatre (profu del binario) metteudo in tripudio con forma femminile e vi­rile Operando virilmente. È Armonita od Armonia* e tra le muse è Urania. Di questa maniera cian­ciando filosofano costoro del numero quaterna* rio ove da Nicomaco si dà fìtte al primo libro» teologicamente espouendo ciò cbe agli accennati numeri appartiene.

Nel seconda libro fin dai principio si tratta del numero quinario. Questo è il primo cbe presentì un*ottima metà, e sommamente natumfu, disgiuo- gendu dall’ una e dall'altra estremità il numero naturale, aveudo Γ unità per principio, e col de­nario» come fine, congi ungendosi, polente insieme a «ompreitdere tutte le cose cbe oeiW natura del

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U4 D1CT Z FI LO SOI 1. ^<>3

mondo appajono. Imperciocché il moodo è stabi­lito per mezzo delfu unità, come con salde ra­dici, e per mezzo del numero deoario è perfetto, e messo alla luce. Ma questo non succede se nou se alla estrema parte del numero densrio ; e gli elementi del mondo si costituiscono, e si mettono in luce per mezzo del numero quinario. Perchè a quei quattro agginuge l'etere, quantunque mai, non ammetterebbe esso quest'addizione, se si stesse fermo ne*pregi del quaternario, p di molti simili. Ma non è ancor tempo di prendere in consideratione le eleganze, o tesi che ne conseguono. II quinario,o penta, è quiete dalle risse, è alterazione, ed anche splendore , e giustizia, r la estremità mi* sima della facoltà di vivere. È pure Nemesi, Bubastia; é Giurisdizione; è Venere e Camelia, è Androginia, C/tereo, Zonea* preside de* circoli ; Semidea, rocca di Giove ; Di di me a , asse stabile. Questa predicano eziandio, eoo subbiimi parole, per divina, e fu dicono Pallade, Credente, condut­trice; A creo te, equilibre, ss Iva da giogo; Oriate* e tra le muse Melpomene, rispondente con bella voce. Mezzo de' mezzi, e colmo de* fecondi. Così egli del numero quinario.

11 senario é detto da fui forma della forma, ren­dendo di ciò ragione , e il solo tra numeri adat­tato all’anima, e articolazione deiruoiverso, donante il coraggio, e solito ad ispirare il desiderio della vita. Per questo dall’autore teologicamente vien detto anche Armonia e Natura universa, e piò prò- priamente Venere stessa, tanto coojugata, quanto «Miziale, e Androginia , poscia jugale, e lusinga; e paca ed amicizia, sanità, amore e verità. Vogliono

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4o 4 c l a s s · q u a b t a ,

inoltre cbe sta tra fu Parche Lachesi, e principio e mezxo di tutto, e saettatrice da lontano, e Trivia, Dicron*ai Persea, Triforme, Amfitrite, Anchidica» e tra fu muse Talia, e Panacea. Così uoo é per essi che il numero senario non sia futto con molto studio e Dio, e Dea.

Siamo al oumero settenario , la cui materiale costruzione dimostra mirabilmente essere degno di culto. Anch*esso contiene metà della unità, e e del denario. Ed è Fortuna, Occasione, Minerva, Marte, Aereo te, A getta, Atritone e Catta, nata da forte padre» Trìtogenia. avente occhi cesj ; Alai- comenea, Pantemchia, Ergano, otteouta eoo molte preci, integrità della natura, stirpe dì Amaltea, Egide, Osiri, sonno, voce, tuono, e tra fu muse Cfto. E se vuoisi è anche Giudizio e Adrastea, e molto aitile inezie simili. Così deesi adorare qnel settenario, con grande e lungo travaglio, celebrato eon laudi da essi qual Dio grande e moltiplica. »

L ’otta vàrio, sebbene tanta laude non abbfu ot­tenuta che non arriva nemmeno all'ottava parte, però essendo da essi tenuto anch’egli per D io, non è decaduto dalla sua sede· Infatti jo adorano come somma Armonia, come madre Caduceo, come Rea facitrice di donne, e Ci bete, e C bebene , o Di ridimene, e custode della città , e come amore, amiciria, prudenza, intelligenza; ed Ore a, Temi e Legge, come nato prima de*mesi scorsi; e tra fu muse Euterpe.

11 novenario numero è da meno tanto nella divinità, quanto nella lunga descrizfune, del settenario, assai posto in alto. Però ha iu fatto della divinità uo grado almeno prossimo insieme colToltonario, poiché da

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M CO ICI S F I L OSO F I. £θ5essi viene circondato come l’oceano; e sì celebra fcome cìrcolo che termina fu vista, detto dai Greci Of ozzoole. Lo fanno anche Prometeo , Concordia, Persea e Sole ; e riposo delle risse, e similitudine ; e Vulcano e Giunone, sorella e moglie dì Giove ;o Poperante da lontano, e Peana, Nisseida, Agiea, Enialio, A geli a, Trito genia. Concordia, Persuadi- trice, Curetide9 Proserpina ed Ipperione: finalmente Tersicore tra le muse.

Finalmente il numero deoario per essi ò l’ uni­verso , e ÌI Dio sommo, il Dìo degli Dei per fu ragione che dieci sono le dita delle mani e de* piedi, cbe dieci souo Ì cosi detti dai logici, predÌcameotÌ« e dieci le parti della orazione. Ed a fìae cbe pe> furo la decade importi tutte le cose* aggiungono la locuzione alle altre parti della orazione, e il supplemento. Nè occorre dire ch’essi qui abbrac­ciano le cose solide, piane, pari, dispari , e pari­mente le dispari, le perfette, le prime, fu semplici, le eguali, le disuguali , le stesse dieci abitudini , le sferiche, fu circolari, le spettanti alle geniture, e alle imitazioni, e quelle che a queste consentono· Traggono il discorso a tanto che per essi fu de* cade equivale a mondo , a cielo, a fato, ad evo, a potente, a fede, a necessità, ad Atlante t a Dio indefesso, a Fane, a Sole, ad Urama, a Ricordanza; a Memnosine. E penso che tutti i già predetti nomi dì Dei avrebbero attribuito alla decade; so non li avessero agli altri numeri innaozi appro­priati, e noo avessero avuta peoa a dire le stesse cose di ciaseheduno d’essi. Imperciocché il numero denario è tanto Sopraddio cbe gli si accorda tutta la forza della divinità cbe sta nei numeri ; e per-

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4θ6 CLASSi QUAtTA ,ciò Nicomaco volle diiTondersi nella descrizione del medesimo, quantunque molto più in vero siasi diffuso trattando della Monade e del Settenario. Intanto però , riguardo alla Monade » accade cbe rispetto sgli altri numeri tioa poche cose ivi di. sputa, e si estende io prefazione. Dove osservo pure die piò volentieri si attacca al discorso in­torno alla decade , mentre dell' uno e dell’ altro numero ragiooa. Il che fa egnalineute rispetto al numero quinario, di cui quasi egualmeote a lungo tratta, come del settenario.

£d eccoti, fratello carissimo, esposta per sommi capi quella celebre , e sì diffìcile da trovarsi nei numeri , Teologia di Nicomaeo, la quale vera­mente , pe’ suoi sensi inaccessibili e duri da ca­pirsi , il tuo perspicace ingegno, e la diligenza tua non possono rimuovere fuori· della condicione umana. Sai tu pure che pareccbj a noi non ignoti niente ineoo diligentemente del fìgliuolo di Brmia« per quello cbe io credo, trattano le materie geo* metriche · aritmetiche, e le altre discipline mate* maliche. Né ignori la somma destrezza di Jmmo· niù io queste arti; sicché ad esti non può essere ascoso alcuno di que* teoremi che Hicomaco unL alfu studio de* numeri* Ma onde venne che essi eclissarousi? Dal tempo, per quamo penso, e dal­l'evidente latto die, nemmeno fu utili cose rispar* miaosi, mentre tutte le inutili fucilmenle si rove- sciaìio , tal uso valido ed iuvitta forza nacque , per cui anche. lo studio di Nicomaco ebbe fu buona sorte d' essere creduto perito iusieme eoa molte cose utili. Quantunque oggi pure, rifilato e mozzo com*é, uoo poca gloria, procaccia, siccome ed ora vedi, e so che di poi più chiaramente vedrai·

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M S DICl K FILOSOFI. < • 7

SOZIONE

d i ' f iu m i, d z’ fo w ti , d i ' l a c b i ;

NICOLAO DAMASCENO

s t c c o i T * a i c o s t u m i t i r c a c o i b i l i ;

ACESTORIDA

U S S I IV a i MITOLOGIA POLITICA*

Less i quanto Sozione scrisse sparsam eote . rife- €. r ire i d i strano in i orno a* fluirti, funti e lag h i. Q u e ­sto suo lib ro corrisponde a l sesto d i Protagora ,0 alla Raccolta d i Alessandro, se oon cbe Sotione ram m em ora soltanto in torno a i funti e lagh i cose in c re d ib ili, e g li a ltr i due scrivono d i a ssai ss im e a ltre cose. N e l modo po i d i annunciarsi non s i d iscosta m olto dalfu furo d ic itu ra .

In questo stosso volum e s i lesse il lib ro ' d i Afe- colao , in tito lato ad Brode* re de* G iu d e i, nel quale con t teosi una Raccolta d i costumi imcrodl·* bili. E g li d i tratto fu tratto cade nelle stesse ino ­p inate cose cbe furono racco lte da A lessandro , tolto esiand io m olto dalfu Narrazioni d i Conone. P e rò io alcune sto rie , d iversa narrazione ordendo* ne dissente. E g li guida i l suo d iscorso quasi som- «nanam ente, nò m ai m anca d i p ersp icu ità , ed asa nello stosso tempo , p iò cbe i p red etti, in versione0 gravitò . Parim en te rife risce alcune c o s e , 1« q u a li con la fu ro , novità tu rb ino , sooo però

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4oS classi qvinrk ,

assentile da molti; e molle cose incognite adduce, fu quali però manifestamente non ripugnano all* verità. In sostanza , per fu piò rammemora i co­stumi delle nazioni proprj a ciascheduna di esse; quantunque è furia pur dire che in mezzo*a tali cose ne troverai di quelle cbe mostrano di oon essere degne di fede. Questo Damasceno é , comeio credo, quel Nieolao che fiorì ai tempi di A h· gusto , e che ne fu familiare ; e dal nome suo , quell* imperadore chiamava Nicolai certe focacce ebe a lui era solilo mandare per onorificenza , avendolo fallo suo eguale con fu familiarità. Il medesimo lasciò , in un grosso volume, la Storia Assiri* , scritta con quanto potè, leggendo, rac­cogliere e sapere.

Nel volume medesimo leggemmo ancora i quat­tro libri delfu Favole politiche di Acesiorida. Pére cbe questo scrittore uel titolo del suo libio abbia usato maggiore avvedutola* che molti altri ; im­perciocché dove gli altri negli scritti furo parte, essendo piò moderali, nou indicarono nulla mento quauto' esponevauo, parte vollero far passare per vere cose cbe non potevano essere tali, egli quelle cose medesime, per amore di verità, chiamò aper­tamente favole, e ne compose la storia, o mito­logia , come a lui é piaciuto di chiamarla. Tro­verai adunque in esso lui molle cose cbe Conone raccolse , che Apollodoro compilò nella sua Bi­blioteca, che Alessandro adunò , Nicolao dedicò, e Protagora espose. Ma Acestorida ne trasmise m noi assaissime altre , cbe essi preterirono ; quan­tunque poi nella piò psrle cbe questi' e gli altri raccontano avrai a vederne differente fu storia»

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Mietei s vitosori. $ 09Q uesto scrittore adunque riferì ne* suoi libri mol­lissime cose confermate ds storie sicure, ed al- cuoe fu quali evidentomeute per fu più si possono dimostrare ; di modo cbe il vocabolo di favole sembra aggiunto non tanto per calunoiare i suoi scritti, quanto per iudtcarne la grazia e piacevo* fusza. Secondo il mio giudizio, egli merita di es­sere riguardato per uo giusto estimatore delfu cose, in quanto, stando per aggiungere molte cose false ad altre giustameute Vere, cou uo titofu ambiguo volle evitare il rimprovero. Per ciò poi che riguarda fu stile , questo in lui è simile alfu alile degli scrittori precedentemente nomiuali.

T E O F R A S T O

r a s M M z K Y o i h t o m t o a g l i a k i m a l i c a s c a n g i a* c o l o b i ·

Lessi nel libro di Teofrasto quanto concerne c . agli animali cbe cangiano colore. Quelli che can« giano colore, e fannosi simili alte piaote* ai luo­ghi , alte pietre su coi slannosi , sono il polipo , il camaleonte, e la fiera detta tarandro , la quale dicesi nascere nel paese degli Sciti, o de* SarmatK Il camaleonte si caugia in tutti i colori , eccello cbe uel bianco e nel rosso, ed ha questo di prò* prio, che noo solameote preode i colori delle cose sulle quali egli sta, ma da sò medesimo ancora caagia cofure se avviene che taluno fu tocchi, lì tarandro è della graodezza del bue, simile al cervo nella figura, se oan che è piò largo, e, composto quasi come di due cervi, ha Γ unghia divisa o il corno rsmoso, come sooo le ooroa de* cervi» ed è

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( i s Olissi QU4HTÀ,tutto peloso· Uoa cute distesa gli copre le ossa , e dalla cute sorgooo i peli. Grossa come un dito é quella sua cute, e durissima, della quale i mi­litari si coprono il torace. Di rado questo animale ai vede t il cangiameuto suo è meraviglioso , e quasi incredibile.

Altri auimslt soffrono cangiamento nella* pelle, mutandosi l'umore interno , o sanguigno , sicché manifesta é la simpatia , o voglia m dire il con­senso della natura. Il cangiamento poi de* peli , quando sieno atidi e pendeuti, né solendo mutarsi frequentemente, è affatto maraviglioso ed incredU bile , massime che succede in varie maniere. In quaoto al polipo , pare cbe cangi colore con 1* a- nelito, essendo per uatura flatuoso; il che avviene per la grandezza del polmone , eoo cui respira, poiché quel polmone si estende per quasi tatto il corpo £ si osserva di fatto cbe s’ alzs manifesta· mente e si gonfia.

Della lassezza de'nervi.

Dice che la lassesza de* nervi oasce da frigi­dità , come tutti credono: Altri però la derivano dal fiato» essendo essa uoa malattia polmonare; ed altri dalla mancanza e privazione del fiato, poiché questo è quello cbe produce il calore e il moto, Ché dove oon é moto, v'ba frigidità del sangue,o , per dir breve , d* umore. Perciò pasce la tor­pedine ne* piedi , o nelle parti superiori , quando calore e moto ue siano tolti ; succedendo alfura noa compressione del fiato ed una privazione di noto , il sangue .si arresta o*si raffredda.

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Msatct a rtLosori.

Dello svenimento.

Lo svenimento è una privazione di calore, o di frigidità al polmone; e questo nasce aucora dalfu Messo calore. Impei ciocché un fuoco maggiore to* glie il tninote, conforme prova l'esperienza; men­tre pel caldo soffocante , qualunque sia , e massi­mamente condensato, quando ci opprima, sveniamo, e patiamo deliquio. Si estìngue poi non ricevendo in noi frigidità* Forse la soffocazione impedisce il respiro, onde si soffoca, od è simile al soffocato colui che nou può respirare. Di che é prova il deliquio che viene ue* bagni e nelle fomentazioni Essendo manifesto che que*deliquj procedono dal calore, ed a cagione del calore , mentre il calore esterno estingue Γ interno; perciocché lo sveni· metito succede per tnaucamento delle cose nelle quali il ealor nasce , coro* é il sangue , o sempli­cemente P umor naturale , oella maniera che nel flusso del sangue veggiamo occorrere svenimenti alle docne incinte. Ma vengono deliquj anche a cagione di futiche.

E grande é fu svanimento, perchè meno li · qoefà, ed impedisce la respirazione, e chiude Pa· dito al rinfreseamento.

Perciò per Io più quelli ebe si lavano non no patiscono, e ne patiscono più frequentemente S quiescenti avviene che sia calido 1* umore pro­dotto dalla liquefazione di chi si lava, e frigido quello di cbi lavossi. E cadendo P umor frigido ue* luoghi principali, genera il deliquia, se prima la remissione del respiro s ol disciolga· Perciò si

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CtSSSB QOitTS,

prescrive che neVdeliqnj il respiro si contenga, perchè così s* impedisce al calore di uscire , e , rimesso, fu tieu dentro.

Ajuta gli sveouti chi li asperge d* acqua , cbé essa chiude i pori e condensa i meati , forzando dentro il calore che vorrebbe uscire.

L ’ allegrezza e la tristezza generano a neh* esse #1 deliquio, contribuendo entrambe a far nascere copia di umori, P allegrezza liquefacendo e dila­tando, fu tristezza respingendo. £ quando Tumore giunge alla sede del polmone, noi patiamo sve­ni mento*

Della vertigine»

. Veogono le vertigini quando sale alla testa un alito estraneo, od uu umor ridondante, procedenti Γ uno e I* altro o da qualche cibo preso , o dal vino, o da qualche altro sugo. Veogono aocora quando si .gira in tondo la tosto. E questo è per­chè , essendo il luogo intorno al cervello umido , se v*entra qualche cosa estranea, che nel suo passag­gio fa forza maggiore di quella che convieue , ed agita in giro per fu vene il primo umore* E come Pagitozione procede a modo di turbine, e l’ umore non è molto denso, ina in un moto continuo, or *u , or g i ò , reca fu vertigioe » o sovente abbaile la persona.

Perchè le uova crude non t i possano fa r girare.

Le uova crude non si possono far girare, parte perchè veogooo abbattute da uo umore ineguale

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Minici z riLOSori. 4>3e non delfu stesso peso , parte perché non hanno una base che faccia centro , tutta la materia es­sendo nell* interno uoa e continua* Per questa considerazione si rende ragione perchè que9 che giransi in cerchio soffrano vertigine ; e piò se il cerchio in cui si agitano sia piccolo , e così poro quanto più celeremente giransi , e piò se girano con altri, che soli. Egualmente si rende fu ragiono perché soffrasi vertigine piò quando si corre a sinistra, che quando si corre a destra. Di tutto queste , e di simili cose si è detta la causa. Im­perciocché se viene veitigine quando uno gira fu testa in un dato senso, si fa chiaro che ove un altro la giri nella stessa maniera , prestissimo, e assai prima degli altri soffrirò quell* incomodo· Perciò ue soffrono piò quelli che corrono cbe quelli che camminano , e più quelli che cammi­nano velocemente cbe quelli che vanno con len­tezza , perchè bisogna notare che chi corre s* in­clina al centro. Quelli poi che corrono alla sinistra soffrono più di quelli che corrono alla destra, perché i primi vengono a formare un angolo più acuto verso il cerchio. E come le più gravi coso stanno alfu destra, piò spingonsi con la forza all* parte interiore, a cagione della debolezza delfu sinistre; e se si soffre piò correndo insieme con molti cbe soli, ciò nasce per questo che l'aspetto verso la circonferenza del cerchio accedente t citi corre , non essendo continuo , produce alcun mo­vimento-e perturbazione nel cervello. E perciò soffrono vertigine maggiormente perchè il cerveUo viene mosso in doppia maniera, cioè in parte per l 'agitazione in giro, e in parto per l'aspetto riferito

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{ t ( et A ss C QffAKTA ,verso il cervello. Come poi pel movtmeofo degli occhi molti sovente soffraoo vertigine, si spiega eoo molte ragioni. I naviganti ne soffrono piò presto, e più fortemente quando gnardano ai flutti; e veggendo le agitazioni e i cavalloni dell* onde » tosto trovansi in tenebre. Ne soffrono pure quelli ohe guardano a luoghi profondi assai, e scoscesi , perché allota gli occhi muovonti e si agitano nello stendersi troppo fungi , e gli occhi mossi ed agi­tati turbano e muovouo le interne parti ; ciò non succede poi a cbi gearda in alto, perchè oon guardano lontano , essendone dalla luce impediti. Viene vertigine quando intensamente si contiuoa a guardare una cosa. Nasce dubbio perché alcuoe volte succeda lo stesso tanto ad occhio girato in cerchio, quanto ad occhio quiescente. La causa di quel moto in eerebio si è detta. E perchè cotesto incomodo sopravvenga nel caso di guardare una cosa eoo intensione e continuamente, contieosi in questo, che la stazione e la quiete agitano le cose cbe nel moto erano salde. Mentre adunque gli occhi stannosi fermi, stanno ferme altresì le altre cose nel cervello. Ma le cose che stannovi si di­vidono, e se ne separano le più gravi, appesantl- scotto, e fanno la vertigine. Il corso in giro se­para le gravi dalle leggiere. Aoche la Iassetza tfugli occlit fa vertigine, perchè con tale lassezza sì separano dalle cose leggieri fu gravi , e quelle apingonsi «li1 insù , queste airittgiò ; quando ehet come si disse, le une e fu altre debbono farsi unire insieme. Anche 1* abbondanza e l* indigenza producono le vertigini t l1 indigenza crea conson­atone, e ^abbondanza produce superfluità; sicché

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MftlPlC! B FILOS OFI. < ϊ 5i pori rimangono pieni. Questa sale % t poi di­scende , e divìde i giri: quindi nasce vertigine#

L’ ubbriachezza e il venefìcio, e cose simili pro­ducono vertigini, perché 1* umore, cadendo d'ai* tionde , crea turbamenti.

Patiscono vertigine piò quelli che stanno in piedi, cbe quelli cbe seggonot e questo é perchè Tumore de* quiescenti stassi più fermo nella testa, laddove quando si muovouo quell* umore si dis­sipa, e cadendo in una parie, produce la vertigine.

Della Lassezza·

A cbi discende da luogo declive fu cosce si stancano grandemente, e si stancano fu gambe a chi ascende. Nella salita la fatica sta in alzare il peso del corpo , perché si dee portare il peso ed alzarlo. La fatica occorrente nel discendere sta in sostenere il corpo che cade , e in portarlo cootra natura. È dunque anche grande la pena cbe dò il peso che cade. Come poi le gambe s'affaticano più d* altro membro ne) discendere , così fanno nel* !*ascendere le cosce 4 e perchè le cose gravi ten­dono all* ingiù , si rende più diffìcile il salire £be il discendere.

Riesce piò molesto al braccio fu scagliare pél vóto una pietra , od alcuna altra cosa grave, perché maggiormente si convelle, non rimanendo appoggiato a cosa veruoa, come è di chi avvento cosa che maneggia.

Le strade piatte defatigano più delfu ineguali , perchè il troppe moto crea lassezza * ed è troppoil moto cbe è contiene ed uniforme. Laddove f u

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j t 6 c l a s s i Q o a n ,strade ineguali, per fu mutazioni, recano riposo· Nelle piane la simiglianza della figura rende eoo* tiouo il moto.

Gli stanchi con più peoa contengono il seme , perchè per la consunzione i corpi si fanno caltdi ed umidi. E la forza seminalo sto a uu di pressoio no che di simile.

Quelli c h e giaciono supini hanno in ciò fu ca· gìone della rilassatezza d e l f u forze , e quelfu si­tuazione cou f e r i s c e a l l a notturna perdita del seme»I C o r p i umidi sono piò f a t i c b e v o l i d e i corpi duri, p e r c h é piò d e b o l i , quantunque p e r altro rispettoi corpi duri sieno più svelti.

Degli animali che veggonsi in grande abbondanza.

Non è, rispetto a tutti gli animali che veggonaiio grande abbondanza, la cagione istessa. Alcuni di essi Tengono generati io uo momeoto, come è delle mosch e, fu quali veggonsi negli eserciti od ovunque è grande concorrente d’ uomini , e ero· scono anche sciolto quella concorrenza , o partito 1* esercito , perchè il letarpe ed altre putredini n · Canno nascere; altri esistono per lo innanzi, ma appajono dopo fu piogge , come succede delle lu- machelle e delle piccole ranocchie, chè non è vero , come opinaoo alcuni , che tali animali ca* dodo con la pioggia, ma si rendono allora cospi­cui, perché Piacque penetra ne' forami o nascon­digli, in cui prima giacevano. V*é altra specfu di rane oltre quelle che stanoo ne* laghi e nelle pa­ludi , e la furo moltitudine , come quella di altri animali, procede dal furo stato prospero.

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Menici e ri toso ri. £17Piottosto, dopo fìuiti i glandi adunaineiiti d’uo-

miui e di eserciti* chè fìocbè durano , nascono fu mosche. Meotie quegli aduuameoti e quegli eser­citi sussistono a cagioue degli usi e de* movimenti cotidiani, le generazioni di q u e g l i animali cor· rompousi pel c o n t in u o fatti e disfarsi detto cose.t come iu altre lazze d*fuseli' coti succede *p que­sti insieme con le «poiché cose che rigettanti. Quando poi gli accanipaineuti militali si levano e gli adunameuti si sciolgono « futtasi quiete nei luoghi , tosto veggonsi quelle tonte mosche geue~ rarsi, niuuo essendo che vi ponga ostacelo; e così durano a propagarsi, e presto e copiotissitnameuto, fìnchè negli £terquilinj l’ umore manchi. I biucbi e fu cavallette fauno fu stesso ovunque sooo, ed ab­bondano perché occupano luoghi alla loro uatura appropriati , e le loro uova eoo si corrompono. £ questo succede perchè il paese non è coltivato; e quando le campagoe si lavorauo, essi estin­guenti. Da luoghi deserti ed iucolti trasportatisi ad abitati e colti % e durano ivi lungo tempo , sia pei chè il luogo ove stauno è cinto d'alte monta­gne, che non possono superare, sia perchè trovano loro propitio il paese, vale a dire qpaudo questo sia molle , umido e rugiadoso. Le cavallette sono moleste , e più molesti i .bruchi » e tra questi quelli massimameute che chiamausi ha rutti. Na­scono questi vicendevofuiente da sé. V' ha però chi peusa, ma senza averne certezza, che nascano da furo stessi alcutii. i quali sono di colore simili a quelli d<?l paese. È intanto maoifesto cbe quel colore proeede dal nutrimento , uon dalla genera­zione. La corruzione di questi insetti è diversa?

F o lio , rol. IL *7

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4 l 8 c l a s s Z QnSKTS fNegli ooi è naturale e pestilente , poiché sotto fu cauicola dal .calore agitato nasce, nella loro testa un vermicello, che li fa morire; la mina degli al­tri viene dal moto e dal volo , perchè i bruchi , alzati io aria dal vento , vengono trasportati nel mare , ove periscono. Periscono ancora per l* in­verno e pel^freddo, iusieme con le loro uova; e periscono per la diligenza degli uomini , i quali , scavando fosse » ne cacciano ivi quanti possono ammassare, e coprendoli con la terra ti fanno morire.

I serpenti nascono per due maniere ; o per cielo piovoso , o dallo spargimento di sangue cbe succede nelle battaglie , dal quale nascono ancora altri animali velenosi. Per questo dicesi che. una volta in Tessaglia sortì grande abbondanza di serpenti.

I sorci crescono in assai numero ne* campi , e più negli asciutti che negli umidi , essendo loro l'acqua nemica. Questa é una razza d’ animali as­sai feconda, e dall'acqua h$nno certa m ina, es­sendo ad essi dannosa tanto al di fuori , quanto nell* interno delle loro caverne. Anche le donnofu silvestri li uccidono, e li uccide inoltre un occulto morbo pestileuziale, da cui spesso sono attaccate; e questo morbo cousiste in nascere loro in tosta on verme , ch e, veduto dagli osservatori, li fa presagire la morte di questi animali.

Si dice che i sorci l'odano il ferro e 1* oro ; e perciò gli artefici in oro, aprendoli, traggono l*oro dalle viscere de* medesimi.

Si narra che io Egitto i sorci nascono con due piedi, e grandi. Hanno i piedi davanti, ma con essi non camminano , e se ne servono solamente come di mani* Quando poi fuggono saltano*

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M t o i c i a f i l o s o f i .

Degli animali che si dicono invidiosi.

Ls tarantola, come dicesi , invidiando la militò degli uomini , inghiotte la propria pelle, che si trae di dosso , essendo questo un rimedio per 1* epilessia.

Il cervo seppellisce il s d o corno destro, c h e è

utilissimo contro il veleno del rospo, e molti altri*La cavalla divora una caruncula, che i polle·

drotti hanno sulla fronte, il cui umore è utile ad alcune cose.

La foca, al momento d'essere presa, vomito un certo coagulo, che è buono anche pér 1* epi­lessia .

Il riccio terrestre sporca e corrompe fu pelfu con 1* orina.

La lince seppellisce la sua orina , cbe è uo ri· medio -per i foruncoli , ed altre cose.

Per altro è chiaro che gli animali non faono tali cose per invidia, ma cbe gli uomini, di furo, opinione, hanno attribuito loro un tale vixio. £ d’ onde i bruti hanno essi tratta cotanto scieosa, quando appena con molta fatica gli nomini pos­sono procacciarsela? Forse noo è che la paura che guida la foca , in quel v turbamento oode è presa, a vomitare quel coagulo. La tarantola in­ghiottisce, a suggerimento della natura , la pelfu , come fanno i cani , i majali, e quasi tutti i qua** drupedi. Essi mangiano anche fu membrane cbe avvolgooo i loro feti. Il riccfu sparge 1* orina o per paura , o per alcun altro nainrale afletto, « tien per corromper la peUe< Molte sltre cose firn*

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4?o classe quanta*itosi dai bruti , delfu quali noi non possiamo dar fu ragione t com* è , per esempio, della gallina, la quale, fatto l'uovo, gli mette intorno delle paglie. Perché i cani % quando orinano ♦ alzao la gamba ? Perchè la capra, quando mangia l'eringe, sta ritta, e fa che site no ritto anche le altre? Si giudichi poi nella maniera medesima quanto è detto della lineo e del tiervo*

De* Sudori.

11 sudore é salso, perchè trapela estraneo dalla carne aderente, e spoglia dì leggerezza e di dol­cetta. Un lai? esemplante, se è intorno alla ve­scica , è orina , nella carne si chiama sudore. Il •udore.esc# per m^ssp del moto o della futica , o per virtù del calore e dell* aria. Essendo esso salso* per molte e y*rie ragiopi preode acrimonia o acerbità, o buono o eaitjvo odore.

I giovani più diffìcilmente sudano cbe gli uo­mini maturi, e iqa$simameato i ragazzi, quantun­que questi sieoo di natura caldi ed uotid* s cosa da cui nasce il sudore. Sedano dunque diffìcil­mente » ragazzi, perché le loro cute è densissima, e come èhiusa. Quindi il calore eccedente con- euoee i loro umoH mtiilre ci escono , e quauto è in essi d* e«cre*iento si smaltisce per Γ altro i d'onde vi^ue che per fu più Γ alito ue* ragazai ò fucile. 1 vecchi. ham>o la cute raia » n*a secca*. Uopo è poi ebr al sudore sou osi fu matotia uin<d·* apec ialmetne perché ciò pew cut facUtoeitte Γ alita pa$s* i e che è «oMiie ppudMce- uu* seciesiotu* snfticfuoto , o perché questo si opeta cotuuiua-

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MEDICI Z FILOSOFI- { 2 1

mente, né interviene molto umore* Per questo appunto quelli il cui ventre è umido , e il cui escremento si porta alla vescica, ooo sudaoo.graa fatto , mettendo fuori ogni umore per quella via*

Quelli che oon digeriscono i cibi e non dor* Atono , sudano essai 9 perchè la digestione distri­buisce .1* umore , e il soano fu digerire.

Quelli cbe fanno esercizio, ed hatino buona salute , sudano piò che quelli i quali ■ nou &uno fatica.

Quelli che mangiano cibo cotto, e quelli cbe fu mangiano crudo, sttdaoo mollo* il che pare essere assurdo , e noa però è tale* Quelli che si eserci­tano, avendo i loro corpi svolti, e i pori eserci­tati, ed essendo assuefatti a sudare, molto sudano eoch’essi. Gli altri poi bsnno chiusi i pori perchè poo si eset citano. Quelli che mangiaoo cibi crudi, per la moltitudine degli umori, sudano assaissimo. Quelli che li maogiauo cotti, per la concozione di altro sugo , sudano facilmente.

Quelli che noo lavorano sudano maggiormeote quando s o d o in riposo; e fanno ciò non emettendo, né contenendo il respiro, ma rimettendolo, e ciò perché fu vene di que* che lavorano , gonfie dal*· l’aria, fuuno chiudere i pori. Laonde Tumore esce maggiormeote pei pori piò dilatati. Ritenendosi all* opposto il respiro, le vene si empiono , e si impedisce 1* uscita al sudore.

Dopo avere affaticato, od essere corso, quelli Ohe seggono all’ombra sudano piò che quelli ohe stanno fermi al sole. E ciò nasce perché il sofu disecca e condensa i meati.

Chi metto i piedi nell*acqua non Suda,.perché

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class z QUA ITA,1* sequa impedisce la liquefaziooe ; e il sudore ò naa liquefazione delfu cose, fu quali maggiormente aderiscono alla carne quando viene espresso per mezzo del calore.

*

Perché 1’ eserctzfu continuo diseccs al pari del •ole } perciò chi è in quel caso soda meno.

Si suda prima e massimamente alla fronte, per- cbè sotto il cervello v’é ciò che é umido. La te* sta anch’ essa suda grandemente , perchè essa é sottile, come i capelli dimostrano , e perchè nella teste ridonda la ritenzione dell* aria.

Quelli che hanno ansietà d’ animo sudano nei piedi, e oon nella faccia, perchè la tristezza oon importa diminuzione di calore, ma beosì incre­mento, come fa 1! ira ; e perciò si fanno rossi in faccis quelli cbe da questa passione sono presi , perché assai si riscaldano ; e un calore sopraemi** nenie dissecca. L ’altro per contrario si liquefa nei piedi , perchè in lui il calore non è tanto da di­seccare. Ma però è maggiore di quello che fosse prima, ed è internato.

Si eccitano i sudori più nel sonno che oella veglia , perchè gli umori e i calori per la futto de* contrari s00° maggiori $ e da entrambi essi il sodore si geuera*

Del Mele·

Il mele nasce in tre modi, o dai fiori, e da al­tre cose in cui è dolcezza \ o dall’ aria , quando l’ umore , liquefatto dal sole e coocotto , cade , il che specialmente succede al tempo della messe} o dalle canoe* Il mele cade dall’aria io terra e sulle

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MEDTCl a f i lo so fi . {2 }piante cbe incontra, e trovasi particolarmente sulle fugito di quercia e di tiglio, perché queste hanno densità e sono umide. Per questo bisogna cbe non sieno aride affatto , perché assorbirebbero il mele , né che sieno affatto umide , perché lo la­scerebbero scorrere. Le foglie della quercia sono umide e dense , e il tiglio ha dolcezza sua prò* pria. L ’ ape poi ha una specie di familiarità con fu quercia.

VJNDANIO À N À T O L IO D I B E R IT O

Li BAI XII ni COLLfiTTANZl

COKCGRKZKTl LA DISCIPLINA AGRAMA.

Quest* opera fu da lui tratta dagli Scritti d iC .63 Democrito . delVAfricano , e del Tarentino , non meno'cbe da quelli di Apuìeo, e Ftorenzio , e di Valentem e di Leone Pamjila ,* ina tingolarmente poi dai Paradossi di Dio/ante. L ’ opera é com­presa in dodici libri* ed é utile , come la stessa nostra esperienza in molte cose ci dimostrò, ri­spetto al coltivare la terra e ai lavori rurali , ed è stata forse piò utile ad altri che dell’agricoltura si occuparono. Tutta volia essa contiene alcune cose simili ai prodigj, ed eccedenti fumana fede, piena essendo di greche favole, che un pio agri­coltore deve preterire , facendo intanto buon uso delle altre. Tutti gli altri cbe scrissero di mate­rie agrarie, per quanto io ho potuto vedere, dis* sero airiocirca le medesime cose, né molto diffe­riscono gli uni dagli altri; e rispetto a quelfu nelle quali non sono d'accordo,^ gli esperimenti di Leone debbonsi preferire a tutto.

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c l a s s i q u a «τ α ,

LUCIANO

f t P S S B V A R I E .

38 Leggonsi di Luciano due Ragionamenti per Fa- laride , e varj Dialoghi di morti e di amanti « e cosi pure altri opuscoli di diverse materie ; in quasi tutti i quali scritti comicamente deride le cose de*Geotili. Sicché in tuono pedestre, e usaudo prosa , viene pungeudo P errore e la stoltezza di essi nel figurerei gli D e i, e le intemperanze libi­dinose in questi supposte; le stravagauti opioiooi e le finzioni dv'poeti loro* fu cattiva iuflueuza di queste cose nel reggimeuto civile; Pincostante corso, e i casi della vita ; e de* fìlosofì i costumi pieni di vanità, perchè non fondati che sopra fa­vole e sopra fahe opinioui. In una parola, egli fu commedia di tutto. Si vede che costui fu uoo di quelli i quali non asseriscono alcuua cosa di certo, perciocché mentre ribatte le altrui opinioni ¥ e fu mette io ridicolo, tace poi il proprio scotimento; se per avventura 000 voglia dirsi avere egli te* nuto per massims 000 potersi sopra alcuoa cosa proounziar nulla di certo.

In quanto alfu siile suo, esso è per ogni verso ottimo. Usa una dicitura sigoifìcante e propria, e quel geoere· di anouoziarsi che si ricerca- onde riesca efficacissimo. Oltre ciò é, quanto possa mai desiderarsi , studioso di precisione, di purilò, di perspicuità, e di adattata grandezza. Così bene poi compone fu cose » che il fuggitore crede non di avere sottocchio de’ ragionamenti, ma piuttosto

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MFD'C» ΐ f : l o s o f t . 4 ^ 5

un qualche diletievol carme , che , senza canto , dolcemente vcllic^ le orecchie. Iti una parola , dico che l’ orazione sua è leggiadrissima a lanlo , elie quasi pare superiore all'oggetto dello scherzo che si avea proposto Del rimanente, che Luciano fosse uno di coloro che mai nulla affermano di cerio » fu dimostrano alcuni versi premessi al li* bro ; e sono questi :

io Luciano, molto pratico Dell·1 cose antiche e sciocche,Così scrissi. Sono sciocche ,Ma pur fur credute vere.C 6 vuol dir che presso gli uomini Non v’ è cosa da tenore Che eirura e certa eia,Se sì aperto ad ognuno 6a Che quel eh' uno tanto ammira Muove gli altri a riso o ad ira.

f i n e d e l Vo l u m e s s c o k d o e d u l t i m o .

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I N D I C E

D i C IÒ CH E S I C O N T I E N E

N BL VOLUM E SECONDO.

SE G U ITO DELLA C LA SSE PRIM A

SToaici z b i o g r a f i Fiorisi.

O l i m p i o d o r o , Libri X X II di storie , p a g . v

PAMriLS, Storie miste, libri P i l i . . . » 33 Fi l o s t r a t o TiRiOt^ito di Apollonio Ttaneot

libri f^UI · . · . · · · * · » « n s 3 — Vita di Apollonio Tianeo · · · . . 9 3 5 F l i c o n t e T r a l l i a n o , Raccolta di cose olim­

piche e croniche . · · . « . . « m 48 P l u t a r c o , Estratto de* Paralleli . < » » 5o P r a s s a g o r a A t e n i e s e , Z?e< fatti dt Costantino

il grande , libri 1 1 ....................................... ..... 7 1P a o c o p i o R e t o r i , Ltbri F U I delle storie » 74 T e o f i l a t t o S i m o c a t t a , Ltbri F U I di storie » 8 8

TzorAtrs ni Buakzio , Storie, ltbri X · . » 106 T e o p o m p o , Storie , libri L U I . . « . » * > 109 T o l o m e o E f e s t i o n e , Libri VII di storta nuovo

in argomenti di varia erudizione . « « » 1 f 4 Z o s i m o C o x rs , Libri F i di storie · ♦ · » 1S7

Page 835: Fozio - Biblioteca

ivoiez.

C L A S S E S E C O N D A

aoM i i r z i i i i .

A c h i l l i Tazio, Libri F U I delle avventure di Leucippe e di CUtifonte « . . . . pag. i 3p

Antonio Diogene, Delle cose incredibili del· Pisola Tuie, libri X X I F i 4o

Eliodozo, Delle cose etiopiche, libri X · *» s5o Jamblico, Libri X FJ delle avventure di ito*

dune e di Sinonide · * * . » . » » ι 5β Lucio Patzznsz « Metamorfosi · . · . » 171

C L A SSE T E R ZA

stozic» a »106*Ari zcCl zIu stici.

Anonimo , Polizia de' SS. Padri Metrefane ed Alessandro , in cui trattasi della vita di Costantino imperadore < « » . · 1^3

Anonimo, Martirio di sette ra g a tti. . . » I Ì 5 Anonimo, Estratti dalla vita di Gregorio ro·

mano pontefice . « - · . . * < . · · » 188 Anonimo , Martirio di 8 . Timoteo . · * » 191 Anonimo, Martirio del gran martire Demetrio n 19» Anonimo, Fila di Paolo, vescovo costantino­

politano e confessore » 1 94 Anonimo, Estratti dalla vita di Atanasio . * 204 Anonimo , Fite de santi che fiorirono al

tempo del grande A n ton io ....................... » 337

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4?8 indici.G iovanni Mosco , Prato , o sia N u o v o or-

ticeìlo . . · ■ ................................pag. 338F ilone G iudeo . Del modo di vivere degli

Qssenj e dei T era p eu ti.............................*> 23ο— Gajo imperatore e Fiacco ripresi . · » ivi E usebio di P anfilo, Libri X di storia eccle­

siastica ............................................................ n aSi«— Libri IV della vita di Costantino il grande n aJa Filostobgio , Libri X U di storia ecclesia-

etica · » » * » * » · · * . » w G i o v a n n i P rete , Libri V di storia ecclesia­

stica · » · · . · * . . « w Basilio di C ilic ia , Libri I II della storia ec­

clesiastica ............................ · . · . · »L ucio C asino , Periodi degli A postoli. · *> 339 C bisippo prete di G erusalemme , Storie di

Gamalieìe e di N ic o d e m o .......................»»340S o c r a t e , Libri V i i di storia ecclesiastica *> 341 E v a g r i o S c o l a s t i c o , Ltbri V ii di storia

ecclesiastica · ....................................... ..... » *4*E rnia Sozomeno , Libri I X di storia eccle­

siastica . . . . . . r * . . . » IVIT*odoreτο , Libri V di storia ecclesiastica » 143 G iu lio Affricano , Storie ed altre opere . n ivi Filippo Si iu ta , IJbri X X IV di storia cri-

stiano * . . % · · · . * . · · * · fi44 Sergio Confessore , Storia . ♦ . * . » 3 4 5

Gelasio, vescovo di Cesarea di Pa lestina ,Libri III di storia ecclesiastica . · . » 346

— Libro contro gli Anornei . « . · * » s5o Giorgio , vescovo Alessandrino , Della vita

del B . Grisostoma.....................................» ivi

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INDICI 4^9

MEDICI E FILOSOFI.

A s z i o A m i d E l i o , Libri X V I di un'operam edica ..........................................................................p a g . 2 6 7

G a l e r o , Delle Sette de*medici . . . . » 2 8 0

O r b a s i o , m e d i c o , O p e re ..................................... » a8vi

TfcONE AECHIATRO , L 'u O m O ..............................» K

A l e s s a n d r o , Raccolta di cose mirabili^ e li* bri VI della geometria dell'universo mondodi P r o t a g o r a ........................................................... ........ 2 9 2

A n o n i m o » L b r i VI delia repubblica n a g 3

D » m a s c i o , Libri IV delle cose incredibili n ivi E n l s i d a m o , Libri V i l i intorno ai Pirro-

n i s t i .................................................................. » a g 4

D i o d o r o , v t s c o v o d i T a r s o , Contro il fato ** 2 9 9

D i o n i g i E g e o , I D iU ia c i .....................................» 3 4 6

— / D i t t i a c i ................................................... * n 349G i u s e p p e , o C a j o p r e t e , Dell* universo . » 35?

G i o v a n n i F i l o p p n o , Contro Vopera di Jam­blico de' sim ulacri .................................................... ....... 354

G i o v a n n i S t ob e o , Libri IP delle egloghe,degli apoftegmi * e de' precetti della pita » 355

J e r o c l e ; , Della P r o v v id e n z a ...................... .......3 6 7

S . M e t o d i o , Del libero arbitrio . . . . « 3 8 7

fli 1 c o m a c o G e r a s e n o , Libri HI degli Aritrne-

£ì Cì teologici ......................................................n 3 9 7

S o z i o n e , De'fiumi « de'fonti , de' laghi . n 4 *>7

f i icnLAO D a m a s c e n o » fiacco Ua di costumima edibili » , . . . . . . . . . » ivi

C L A S S E Q O A R T A

Page 838: Fozio - Biblioteca

y $ e l a n i o s .^ÀcssToatoA , Libri IV di mitologia poli­

tica . » # ..................................... « pag. 4<>7TzorzASTO, Frammento intorno agli animali

che cangia» c o lo r e ................................ n 4 0 9T ik d a h io A k a t o l i o di Β ζ η ιτ ο , Libri X ll di

collcttane!, concernenti la disciplina agra­ria · · · * · » · · * · « . . » ( 1 Ϊ

Lo ci Ano 1 Opere v a r ie ...............................« » 4^4

Page 839: Fozio - Biblioteca

B IB L IO T E C A scèlta di Opere Greche t Latine tradotte in lingua italiana.

i ΤΛιπίο: Opere tradotte da B. Dar a m a ti eolie e! giunte e supplimenti d e l Sro tier , t r adott i4 da R a f Pastore. Quattro voi. h a i. lir. ia oe5 Virgilio. L1 Eneide tradotta da Annibai Caro,

colla Vita e Ritratto . « ..................... n * So6 Celso. Della Medicina, Libri otto , volgarizza·

mento di G. A. Del Chiappa . . » 47 Sallustio. Congiura Catilinaria e Guerra Gin.

gurtina, Libri due volgarizzati da Fr. Bar­tolomeo d& S. Concordia. . . , » 2 61

81 Lantpredi. Diritto Pubblico Universale o sia . 1 Diritto di Natura e delle Genti, volgarizzato1 dal dottor Defendente Sacch i , I I . elisione

11 f riveduta e corretta ani testo; 4 u°ì· · » 9 30 ia Cornelio Nipote. Le Vite degli Eccellenti Co­

mandanti, recate in lingua ital. da Pier Dont.Sore si t col testo a fronte; e fìitr. . . . n a 3o

La sola traduzione italiana . » * ?4 l3 Demo sten e. Le Aringhe por eccitare gli Ateniesi

contra Filippo Re di Macedonia, volgar. ed ili. dal P. t. y . Barcovich; col/fr'ir. . . » a 3o

Ciceron e ΛΓ T . Orazioni scelte , recate in lingua italiana a riscontro del testo, e cor­redate di note da G. A. Cantora . . » 3 09

15 Ce sare. Com m entar], recati in italiano da'Cami7/o {/goni, colPaggiunta di un indice generale delle materie; e Ritratto . n 4 6©

16 Floro L. Anneo. Delle Gesta de1 Romani. Trad.da Celestino Ma stacco, 11. edizione . . » a 61

17 (Cicerone M . T. I tre Libri dell1 Oratore r«- e < cali in lingua italiana a riscontro del testo18 { da G. A. Cantova t due volumi . » 6 5 · iy Ì Ovidio. Le Metamorfosi recate in altrettantie ] versi italiani da Giuseppe Solari col testo 3 0 ( a fronte, due volumi, I I . td iz. ,. . n 5 65

La sola traduzione italiana » 3 a5 a i Kempis* Della Imitazione di Cristo) Libriquat-

irò tradotti dalPAh. Ant. Cesari . . . n 1

39 Sallustio tradotto da Vittorio Alfieri . . n 1 5 · a3 Cicerone- I Frammenti de’sei libri della Re­

pubblica volg. dal princ. Odescalchi . · » 1 a{ Cicerone· Le Tusculane tradotte in lingua ita­

liana , con alcuni Oposcoli del traduttore <av« G. F. G. Napio ne ^ 3

Page 840: Fozio - Biblioteca

a5 Lonzirtn. Di i Sublime — Demetrio Palereo.Della Locuzione . ...................... / ir .

Lp .sudditi*’ Operp separatamente. *» i 3o »6 Aristotile. La ftettorica fatta in lingna toscana

ila! co inni. Annibai C a r o ...................... »a·^ ------- * 'o it i* a v o l g . d a l Ca<lelvetro . . n^8 Omero. Iliade. tradotta in prosa da -tleitandm

V erriy con annotazioni e fèt*. . . . . 9» 29 ί Omero. Odisela tradotta da ippoliio /'in·

1 demonte. Prima ediz. m it. a f*ui si aggiunge J la tavola delle ro»p notabili e dpi nomi prò·

3of prj in essa contenuti, %vol. col HUr. . . » Si Saffo, Avventure; ed prostralo, Vita — di

Alpasasdro V e r r i ...................................... n3 a Ch at io. Opere tradotte da Stefano Pallavi-

' cini e d ti P. Litoti An* t'agnini . « . n 33 Petrarca. Opere filosofiche, prima tradu­

zione dal latino; col fìitrutto . . . . » $4 Cicerone, 3 / T. I tre Libri degli OfB } o

Doveri della Vita, volgarizzati dal cav.ilier 7 ommaso Gai gallo , m a r c h e di Castellen-11 ni » μ· inai edizione milanese . . . . n

35 ί Ovidio. Le Lettere scritt** d ii Ponto a4 suoi e ί amici t tradotte ed illustrate con note da 56 f Giuseppe Ant. Gallerone. Due voi. . . n37 La Chioma di Berenice, poema di Callimaco

tradotto da Catullo, volgarizzato ed illustrato da Foscolo, con l’aggiunta delle Vite di Bere­nice e di Tolomeo Evergete di Visconti, e delle Lettere filologiche sul Cavallo alato d’Ar­sinoe di\\lontiT col lìitr. J t l Foscolo . . »

38 ) Terenzio. Le sei Commedie volgarizzate daAntonio Cesari. Due volumi . . . . »

4o \ OviUiQ, Fasti con la costruzione del testo;

Ì x ) volgari/.gati dalGaljrrone. Dv*vol. . . n % Rie or ili di Marco Aurelio Antonino impera­

tore, tradotti VJal co:*te Michele Milano, con la Vita del medesimo Imperatore . . a»

43 Cicerone. Della Natura drgit Uvl- Ltbri trevoIgAiw.zali da Tene* G uaiuli iÌaWe*zi. — Della VerrhieKza, delPAm iciv.ia, ed il Sogno di Scipiune dello steseo, volgari/zeli nel buou «colo ilt'Ilt· liugu 1 il ilia«ia ; a* *oo,ul,óc la Milonuna tradotta 'dal P. Cesari . . »

44 Pttrarca. E p s to jf t r e c a t e fu i t a l i a n o d a Fer-dùuinjdo Banalii

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