Aristotele e il Peripato - La Scuola€™altro grande metodo della logistica è l’induzione, che...

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EARISTOTELE E IL PERIPATO Aristotele e il Peripato Dopo aver posto le basi per la legittimità della retorica, Aristotele passa su- bito a presentare dell’induzione, primo fondamentale metodo della logistica, l’ἐνθύμημα, ossia il sillogismo retorico fondato su premesse probabili. Ἐπεὶ δὲ φανερόν ἐστιν ὅτι ἡ μὲν ἔντεχνος μέθοδος περὶ τὰς πίστεις ἐστίν, ἡ δὲ πίστις ἀπόδειξίς τις (τότε γὰρ πιστεύομεν μάλιστα ὅταν ἀποδεδεῖχθαι ὑπολάβωμεν), ἔστι δ᾽ ἀπόδειξις ῥητορικὴ ἐνθύμημα, καὶ ἔστι τοῦτο ὡς εἰπεῖν ἁπλῶς κυριώτατον τῶν πίστεων, τὸ δ᾽ ἐνθύμημα συλλογισμός τις, περὶ δὲ συλλογισμοῦ ὁμοίως ἅπαντος τῆς διαλεκτικῆς ἐστιν ἰδεῖν, ἢ αὐτῆς ὅλης ἢ μέρους τινός, δῆλον ὅτι ὁ μάλιστα τοῦτο δυνάμενος θεωρεῖν, ἐκ τίνων καὶ πῶς γίνεται συλλογισμός, οὗτος καὶ I 1 1355 a 3-18 mentali: la definizione solo probabile della praemissa maior (cosa che con- divide col sillogismo dialettico) e un procedimento ragionativo accorciato, che non esplicita tutti i passaggi logici perché focalizzato sempre sul desti- natario (il pubblico non va annoiato). Per una definizione accurata di sillo- gismo ed entimema, esaustiva di tutte le loro possibilità di realizzazione cfr. Lausberg, 1969, 198-202. - ὡς εἰπεῖν ἁπλῶς: infinito assoluto. Con l’avver- bio si ribadisce che dialettica e retorica si assomigliano ma non sono uguali. - τὸ δ᾽ ἐνθύμημα συλλογισμός τις: si noti il valore fortemente limitante dell’aggettivo indefinito; l’entimema non si fonda su una deduzione astrat- ta. - περὶ δὲ συλλογισμοῦ ... ἰδεῖν: analizzare il sillogismo è compito del- la dialettica, analizzare l’entimema lo è della retorica. - ἢ αὐτῆς ὅλης ἢ μέρους τινός: predicativi di τῆς διαλεκτικῆς. - ἐκ τίνων καὶ πῶς γίνεται συλλογισμός: le interroga- sancisce che le prove, le argomentazio- ni (πίστεις) obbediscono a delle rego- le precise. - ἀπόδειξίς τις: una prova è una dimostrazione: la πίστις, cioè, è il risultato di un processo mentale (e della parola naturalmente). È quanto spiega (γάρ) il periodo parentetico, in cui comunque si ribadisce il grado di approssimazione, per quanto alto (μάλιστα), cui può arrivare la retorica, contrariamente alla dialettica. - ὅταν ... ὑπολάβωμεν: temporale eventuale con valore generalizzante; la scelta del verbo ὑπολαμβάνω, che rimette tutto nel pensiero di chi fruisce del proces- so linguistico, marca una caratteristica fondamentale della retorica rispetto al- la dialettica: la focalizzazione sul desti- natario. - ἐνθύμημα ... κυριώτατον τῶν πίστεων: l’entimema è il prin- cipe dei procedimenti argomentativi di tipo deduttivo propri della retori- ca. Fratello minore del sillogismo sia analitico che dialettico, l’entimema se ne differenzia per due aspetti fonda- Ἐπεὶ δὲ φανερόν ἐστιν κτλ.: lungo periodo che si svi- luppa nel modo seguente: proposizio- ne causale reale (ἐπεὶ δὲ φανερόν ἐστιν) che regge una dichiarativa dop- pia (ὅτι ἡ μέν ... ἐστίν, ἡ δέ ...), cui è connesso un periodo parentetico (co- stituito dalla principale πιστεύομεν e dalla subordinata temporale ὅταν ... ὑπολάβωμεν); quindi abbiamo una se- rie di coordinate alla causale: ἔστι δ᾽ ..., καὶ ἔστι ... (che regge un infinito assoluto ὡς εἰπεῖν ἁπλῶς), τὸ δ᾽ ... ἐστιν ἰδεῖν`); quindi la principale con verbo sottinteso (δῆλον: ma lo si può naturalmente intendere come nesso av- verbiale in unione con ὅτι), che regge la dichiarativa (ὅτι ... ἂν εἴη, che a sua volta ingloba due interrogative in- dirette); quest’ultima poi, attraverso il participio congiunto προσλαβών, con- tinua con due interrogative indirette (ποῖά τέ ἐστι ... καὶ τίνας ἔχει). - μὲν ἔντεχνος ... πίστεις ἐστίν: è il punto di partenza del periodo con cui si 1355 a 3-18 Retorica Vi proponiamo una antologia dei brani più significativi della Retorica introdotti e com- mentati da Ortensio Celeste.

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    Aristotele e il Peripato

    Dopo aver posto le basi per la legittimità della retorica, Aristotele passa su-bito a presentare dell’induzione, primo fondamentale metodo della logistica, l’ἐνθύμημα, ossia il sillogismo retorico fondato su premesse probabili.

    Ἐπεὶ δὲ φανερόν ἐστιν ὅτι ἡ μὲν ἔντεχνος μέθοδος περὶ τὰς πίστεις ἐστίν, ἡ δὲ πίστις ἀπόδειξίς τις (τότε γὰρ πιστεύομεν μάλιστα ὅταν ἀποδεδεῖχθαι ὑπολάβωμεν), ἔστι δ᾽ ἀπόδειξις ῥητορικὴ ἐνθύμημα, καὶ ἔστι τοῦτο ὡς εἰπεῖν ἁπλῶς κυριώτατον τῶν πίστεων, τὸ δ᾽ ἐνθύμημα συλλογισμός τις, περὶ δὲ συλλογισμοῦ ὁμοίως ἅπαντος τῆς διαλεκτικῆς ἐστιν ἰδεῖν, ἢ αὐτῆς ὅλης ἢ μέρους τινός, δῆλον ὅτι ὁ μάλιστα τοῦτο δυνάμενος θεωρεῖν, ἐκ τίνων καὶ πῶς γίνεται συλλογισμός, οὗτος καὶ

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    mentali: la definizione solo probabile della praemissa maior (cosa che con-divide col sillogismo dialettico) e un procedimento ragionativo accorciato, che non esplicita tutti i passaggi logici perché focalizzato sempre sul desti-natario (il pubblico non va annoiato). Per una definizione accurata di sillo-gismo ed entimema, esaustiva di tutte le loro possibilità di realizzazione cfr. Lausberg, 1969, 198-202. - ὡς εἰπεῖν ἁπλῶς: infinito assoluto. Con l’avver-bio si ribadisce che dialettica e retorica si assomigliano ma non sono uguali. - τὸ δ᾽ ἐνθύμημα συλλογισμός τις: si noti il valore fortemente limitante dell’aggettivo indefinito; l’entimema non si fonda su una deduzione astrat-ta. - περὶ δὲ συλλογισμοῦ ... ἰδεῖν: analizzare il sillogismo è compito del-la dialettica, analizzare l’entimema lo è della retorica. - ἢ αὐτῆς ὅλης ἢ μέρους τινός: predicativi di τῆς διαλεκτικῆς. - ἐκ τίνων καὶ πῶς γίνεται συλλογισμός: le interroga-

    sancisce che le prove, le argomentazio-ni (πίστεις) obbediscono a delle rego-le precise. - ἀπόδειξίς τις: una prova è una dimostrazione: la πίστις, cioè, è il risultato di un processo mentale (e della parola naturalmente). È quanto spiega (γάρ) il periodo parentetico, in cui comunque si ribadisce il grado di approssimazione, per quanto alto (μάλιστα), cui può arrivare la retorica, contrariamente alla dialettica. - ὅταν ... ὑπολάβωμεν: temporale eventuale con valore generalizzante; la scelta del verbo ὑπολαμβάνω, che rimette tutto nel pensiero di chi fruisce del proces-so linguistico, marca una caratteristica fondamentale della retorica rispetto al-la dialettica: la focalizzazione sul desti-natario. - ἐνθύμημα ... κυριώτατον τῶν πίστεων: l’entimema è il prin-cipe dei procedimenti argomentativi di tipo deduttivo propri della retori-ca. Fratello minore del sillogismo sia analitico che dialettico, l’entimema se ne differenzia per due aspetti fonda-

    Ἐπεὶ δὲ φανερόν ἐστιν κτλ.: lungo periodo che si svi-luppa nel modo seguente: proposizio-ne causale reale (ἐπεὶ δὲ φανερόν ἐστιν) che regge una dichiarativa dop-pia (ὅτι ἡ μέν ... ἐστίν, ἡ δέ ...), cui è connesso un periodo parentetico (co-stituito dalla principale πιστεύομεν e dalla subordinata temporale ὅταν ... ὑπολάβωμεν); quindi abbiamo una se-rie di coordinate alla causale: ἔστι δ᾽ ..., καὶ ἔστι ... (che regge un infinito assoluto ὡς εἰπεῖν ἁπλῶς), τὸ δ᾽ ... ἐστιν ἰδεῖν`); quindi la principale con verbo sottinteso (δῆλον: ma lo si può naturalmente intendere come nesso av-verbiale in unione con ὅτι), che regge la dichiarativa (ὅτι ... ἂν εἴη, che a sua volta ingloba due interrogative in-dirette); quest’ultima poi, attraverso il participio congiunto προσλαβών, con-tinua con due interrogative indirette (ποῖά τέ ἐστι ... καὶ τίνας ἔχει). - ἡ μὲν ἔντεχνος ... πίστεις ἐστίν: è il punto di partenza del periodo con cui si

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    RetoricaVi proponiamo una antologia dei brani più significativi della Retorica introdotti e com-mentati da Ortensio Celeste.

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    ἔχοντος è genitivo di pertinenza) in relazione alla verità». Gli ἔνδοξα co-stituiscono il materiale su cui lavorano gli entimemi, soprattutto nelle premes-se maggiori; quanto più sono condivisi dal destinatario tanto più efficace sarà l’entimema. Va da sé che l’oratore cor-re un grosso rischio quando li usa, per-sino di ottenere un risultato opposto a quello desiderato, in quanto l’uditorio si può rivelare non in linea nell’accet-tare le sue premesse.

    ... ὁμοίως ἔχει: la somiglianza di metodo tra la disciplina logica e quel-la quasi-logica naturalmente (μέντοι

    a cosa l’altro: come si dice subito do-po, il vero (τὸ ἀληθές) e il verosimile (τὸ ὅμοιον τῷ ἀληθεῖ). - πεφύκασιν ἱκανῶς: l’uomo ha una sufficien-te disposizione naturale alla verità. - διὸ πρὸς τὰ ἔνδοξα ... πρὸς τὴν ἀλήθειάν ἐστιν: «e perciò essere abile a fare congetture (στοχαστικῶς ἔχειν: locuzione sostanzialmente equivalente al verbo στοχάζομαι) re-lativamente a quelle che sono opinioni comuni (τὰ ἔνδοξα) è caratteristica di chi è altrettanto capace (τοῦ ὁμοίως

    do per sillogismi (συλλογίζεται) è metodo soltanto della dialettica e della retorica. - Τὰ μέντοι ὑποκείμενα

    tive indirette sono dipendenti dall’in-finito θεωρεῖν. - ἐνθυμηματικὸς ἂν εἴη μάλιστα: «potrebbe essere un grandissimo artefice di entimemi». - προσλαβών: participio congiunto con valore ipotetico che regge le due interrogative seguenti: esprime la con-dizione con cui si realizza la costruzio-ne di un entimema. - ποῖά τέ ἐστι ... καὶ τίνας ἔχει ... συλλογισμούς: sillogismo ed entimema hanno delle differenze (διαφοράς) ed è determi-nante sapere a cosa si applica l’uno e

    Τῶν μὲν οὖν ἄλλων ... μόναι τοῦτο ποιοῦσι: operare deduzioni opposte tra loro proceden-

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    ἐνθυμηματικὸς ἂν εἴη μάλιστα, προσλαβὼν περὶ ποῖά τέ ἐστι τὸ ἐνθύ-μημα καὶ τίνας ἔχει διαφορὰς πρὸς τοὺς λογικοὺς συλλογισμούς. Τό τε γὰρ ἀληθὲς καὶ τὸ ὅμοιον τῷ ἀληθεῖ τῆς αὐτῆς ἐστι δυνάμεως ἰδεῖν, ἅμα δὲ καὶ οἱ ἄνθρωποι πρὸς τὸ ἀληθὲς πεφύκασιν ἱκανῶς καὶ τὰ πλείω τυγχάνουσι τῆς ἀληθείας· διὸ πρὸς τὰ ἔνδοξα στοχαστικῶς ἔχειν τοῦ ὁμοίως ἔχοντος καὶ πρὸς τὴν ἀλήθειάν ἐστιν.

    È chiaro, dunque, che gli altri autori riducono a tecnica aspetti estranei al soggetto, e che si volgono soprattutto verso l’oratoria giudiziaria. La retorica è utile perché la verità e la giustizia sono per natura più forti dei loro contrari, sicché se i giudizi non sono formulati nel modo corretto, se ne deve concludere necessariamente che è per propria colpa che si viene sconfitti: e ciò è degno di biasimo. Inoltre, anche se possedessimo la preparazione scientifica più accurata, non potremmo grazie a essa parlare e convincere facilmente alcune persone. Il discorso scientifico, infatti, rientra nei compiti dell’insegnamento, ma questo non può aver luogo, e le argomentazioni e i discorsi devono essere costituiti attraverso le nozioni comuni, come abbiamo detto anche nei Topici a proposito della discussione con la moltitudine. Dovremmo inoltre essere in grado di sostenere in modo convincente tesi opposte, proprio come accade anche nell’uso dei sillogismi, non per poter fare effettivamente entrambe le cose (non si devono infatti convincere gli uomini di tesi riprovevoli), ma perché non sfugga l’es-senza della questione, e per essere noi stessi in grado di confutare un altro, qualora parli ingiustamente.

    [Tr. di M. Dorati]

    Τῶν μὲν οὖν ἄλλων τεχνῶν οὐδεμία τἀναντία συλλογίζεται, ἡ δὲ δια-λεκτικὴ καὶ ἡ ῥητορικὴ μόναι τοῦτο ποιοῦσιν· ὁμοίως γάρ εἰσιν ἀμότε-ραι τῶν ἐναντίων. Τὰ μέντοι ὑποκείμενα πράγματα οὐχ ὁμοίως ἔχει,

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    βλάψειεν ἄν). Questa è la possibilità, moralmente riprovevole, cui l’oratore va incontro: come viene poco oltre chiarito, non è l’utilizzare un discorso fondato sul verosimile che è sofistico, bensì l’intenzionalità di chi antepone il proprio utile alla validità della di-mostrazione. - τοῦτό γε κοινόν ... πλὴν ἀρετῆς: tutto ciò non vale sol-tanto per la “virtù”. - καὶ μάλιστα κατά ... στρατηγίας: il discorso fatto sinora vale soprattutto nel campo dell’utile (κατά ha valore distributi-vo, anticipa i quattro esempi, οἷον, di “utile” menzionati). - τούτοις γὰρ ἄν ... βλάψειεν ἀδίκως: il perio-do chiude il ragionamento: un utiliz-zo corretto reca utilità, uno scorretto danno, entrambi di forte entità (τὰ μέγιστα).

    «Inoltre». - ἄτοπον εἰ τῷ σώματι ... οὐκ αἰσχρόν: periodo ipotetico dell’irrealtà con verbo εἰμί sottinteso e struttura sintattica ellittica; il senso è: sarebbe assurdo che l’uomo potesse dare a se stesso forme di aiuto a livello fisico e non con la parola. Τῷ σώματι e λόγῳ sono dativi strumentali rispetto a βοηθεῖν ἑαυτῷ. - ὃ μᾶλλον ἴδιόν ... χρείας: nesso relativo; è il λόγος come tratto distintivo dell’uomo. - Εἰ δ᾽ ὅτι μεγάλα ... τῶν λόγων: il ver-bo della protasi, che non viene espli-citato, regge la dichiarativa potenziale con cui si esprime una possibile obie-zione al discorso sinora svolto: il fat-to che un uso scorretto (ὁ χρώμενος ἀδίκως) del grande potere (δυνάμει, il dativo è retto da χράομαι) della pa-rola può causare gravi danni (μαγάλα

    è particella fortemente asseverativa) non investe il contenuto, l’oggetto della discussione (τὰ ὑποκείμενα πράγματα), in cui anzi risiede una differenza sostanziale tra dialettica e retorica. - τἀληθῆ καὶ τὰ βελτίω: sono i contenuti della dialettica che perviene a verità assolute relativa-mente ad ambiti disciplinari in cui lo scambio dialogico con l’altro è nullo e lo scopo è di pervenire a dimostrazio-ni necessarie. - εὐσυλλογιστότερα καὶ πιθανώτερα: la pura logisti-ca analitica e formalizzabile trova il proprio strumento nel sillogismo che investe verità assolute. Non inganni l’uso del comparativo: la persuasione (πιθανώτερα) della dialettica è ne-cessitante. - ὡς ἁπλῶς εἰπεῖν: in-finito assoluto. - Πρὸς δὲ τούτοις:

    ἀλλ᾽ ἀεὶ τἀληθῆ καὶ τὰ βελτίω τῇ φύσει εὐσυλλογιστότερα καὶ πι-θανώτερα ὡς ἁπλῶς εἰπεῖν. Πρὸς δὲ τούτοις ἄτοπον εἰ τῷ σώματι μὲν αἰσχρὸν μὴ δύνασθαι βοηθεῖν ἑαυτῷ, λόγῳ δ᾽ οὐκ αἰσχρόν· ὃ μᾶλλον ἴδιόν ἐστιν ἀνθρώπου τῆς τοῦ σώματος χρείας. Εἰ δ᾽ ὅτι μεγάλα βλάψειεν ἂν ὁ χρώμενος ἀδίκως τῇ τοιαύτῃ δυνάμει τῶν λόγων, τοῦτό γε κοινόν ἐστι κατὰ πάντων τῶν ἀγαθῶν πλὴν ἀρετῆς, καὶ μάλιστα κατὰ τῶν χρησιμωτάτων, οἷον ἰσχύος ὑγιείας πλούτου στρατηγίας· τούτοις γὰρ ἄν τις ὠφελήσειεν τὰ μέγιστα χρώμενος δικαίως καὶ βλάψειεν ἀδίκως.

    Che la retorica, pertanto, non tratti di un unico genere specifico di soggetti, ma sia come la dialettica, e che sia utile, è evidente – è inoltre evidente che la sua funzione non è persuadere, ma individuare in ogni caso i mezzi appropriati di persuasione, proprio come avviene per tutte le altre tecniche: non è infatti compito della medicina rendere sani, ma procedere con la guarigione fin dove sia possibile, poiché si possono curare convenientemente anche coloro che non sono in grado di recuperare la salute. Inoltre, è chiaro che rientra nella medesima tecnica scorgere ciò che è persuasivo e ciò che è apparentemente persuasivo, proprio come rientra nella dialettica ricono-scere il sillogismo vero e il sillogismo apparente. La sofistica dipende infatti non dalla facoltà, ma dall’intenzione; ma con la differenza che nella retorica un uomo sarà chiamato retore per la sua conoscenza o per il proposito, nella dialettica invece il sofista sarà tale per il proposito, mentre il dialettico sarà tale non per il proposito ma per la sua facoltà.

    [Tr. di M. Dorati]

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    L’altro grande metodo della logistica è l’induzione, che poggia sullo strumento retorico dell’esempio, παράδειγμα, come caso concreto da addurre a prova di una affermazione più ampia; esso comunque è meno stringente dell’entimema. La forza di questo strumento poggia anche sull’ampio numero di esempi concreti che si possano portare alla definizione di vaste generalità.

    Riguardo alle facoltà di queste tecniche e alle loro reciproche relazioni si è parlato in modo abbastanza esauriente. Quanto alla persuasione che si realizza attraverso la dimostrazione reale o apparente, proprio come nella dialettica vi sono da un lato l’induzione, dall’altro il sillogismo e il sillogismo apparente, così accade anche nella retorica: l’esempio infatti è un’induzione, l’entimema un sillogismo, l’entimema ap-parente un sillogismo apparente. Definisco entimema un sillogismo retorico, esempio un’induzione retorica. Tutti gli oratori costruiscono le loro argomentazioni dimo-strando o attraverso gli esempi o attraverso gli entimemi, e in nessun altro modo oltre a questi; di conseguenza, dal momento che, in senso generale, è necessario dimostra-re qualsiasi cosa per mezzo o del sillogismo o dell’induzione (questo per noi risulta evidente dagli Analitici), necessariamente ciascuno dei primi due deve corrispondere a ciascuno degli altri due.Quale sia la differenza tra esempio ed entimema, risulta evidente dai Topici (dove si è già parlato del sillogismo e dell’induzione): dimostrare sulla base di numerosi casi simili che una cosa è in un certo modo è induzione nella dialettica, esempio nella retorica; dimostrare invece che, se certe premesse sono vere, qualcosa di diverso ol-tre a loro ne risulta in virtù del loro essere vere – interamente o nella maggior parte dei casi – viene detto sillogismo nella dialettica, entimema nella retorica. È evidente anche che l’una e l’altra specie di retorica presentano un vantaggio. Quello che si è detto nei Metodici vale anche in questo caso. Dei discorsi oratori, infatti, alcuni sono basati sugli esempi, altri sugli entimemi, e analogamente gli oratori sono portati gli uni per gli esempi gli altri per gli entimemi. Non sono certo meno persuasivi i di-scorsi fondati sugli esempi, ma sono applauditi in maggior misura quelli basati sugli entimemi. Diremo più oltre la causa, e come ci si deve servire di entrambi; per il momento definiamo con maggiore chiarezza la loro natura.Dal momento che ciò che è persuasivo è persuasivo in rapporto a qualcuno, ed è persuasivo e credibile immediatamente e di per sé, oppure grazie al fatto di sembrare dimostrato per mezzo di elementi che sono tali, e dal momento che nessuna tecnica considera il particolare – la medicina, ad esempio, considera cosa sia salutare non per Socrate o per Callia, ma per un uomo o per uomini di questo o di quel genere (ciò infatti rientra in una tecnica, mentre il particolare è indeterminato e non costi-tuisce oggetto di scienza) – neppure la retorica analizzerà ciò che sembra probabile a livello particolare, a Socrate o a Ippia, ad esempio, ma ciò che sembra tale a uomini di un dato genere, come succede anche per la dialettica. Anche quest’ultima infatti non forma sillogismi partendo da premesse casuali (ve ne sono alcune che appaiono vere anche ai folli), bensì da argomenti che richiedono un ragionamento; la retorica, invece, forma entimemi a partire da cose che sembrano vere agli uomini abituati a deliberare.

    [Tr. di M. Dorati]

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    come termine della logica il verbo συνάγω indica il portare a conclu-sione un processo ragionativo come risultato di concatenazione (συν-) di pensieri; nel caso dell’entimema, tan-to di quello dimostrativo, quanto di quello confutativo, di pensieri che sia-no accettati e riconosciuti da tutti (ἐξ ὁμολογουμένων). La differenza quindi non coinvolge il procedere del ragiona-mento ma solo le finalità dello stesso.

    bilità del contrario. - τῶν δὲ σημείων τὸ μέν ... πρὸς τὸ κατὰ μέρος: ci sono due forme di segno: quello (τι) che fa parte dei particolari (τῶν καθ᾽ ἕκαστον è partitivo), che si rapporta (πρός) all’universale, e quello che fa parte degli universali che si rapporta col particolare. - Τούτων δὲ τὸ μέν ... κατὰ τὴν διαφοράν: il primo, in quanto relaziona il particolare all’uni-

    invece carattere confutativo (tale è il si-gnificato del verbo ἐλέγχω – e più an-cora del composto ἐξελέγχω – da cui l’aggettivo deriva). - καὶ διαφέρει ... συλλογισμός: servendosi sempre del confronto imperfetto retorica-dialetti-ca, Aristotele pone la differenza tra i due tipi di entimema sullo stesso pia-no della differenza tra confutazione e sillogismo. - τὸ ἐξ ὁμολογουμένων ... τὰ ἀνομολογούμενα συνάγειν:

    del probabile. - ἀλλὰ τὸ περὶ τά ... πρὸς τὸ κατὰ μέρος: lett.: «bensì è ciò che, rispetto a quanto si ammet-te (περὶ τὰ ἐνδεχόμενα) stia diver-samente (ἄλλως ἔχειν), sta relati-vamente a ciò in rapporto al quale è probabile, così come l’universale (τὸ καθόλου) sta nei confronti del parti-colare (πρὸς τὸ κατὰ μέρος)». Se-condo aspetto del probabile: la possi-

    Πρῶτον δὲ εἴπωμεν: congiuntivo esortativo. - περὶ ὧν: as-sorbimento del dimostrativo: ταῦτα περὶ ὧν. - δεικτικά: predicativo di τὰ μέν, è aggettivo dalla radice del verbo δείκνυμι e regge la dichiarativa ὅτι. - ὅτι ἔστιν ἢ οὐκ ἔστιν: esiste dunque un primo tipo di entimema a carattere dimostrativo, che fonda l’esi-stenza o la non esistenza di una cosa. - τὰ δ᾽ ἐλεγκτικά: un secondo tipo ha

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    τὸ ὡς ἐπὶ τὸ πολὺ γινόμενον: è la definizione prima dell’εἰκός, nel suo aspetto di genera-lizzazione per cui, nella sua essenza di idea statisticamente accettata dal maggior numero di persone (ὡς ἐπὶ τὸ πολύ), manca di aspetto necessi-tante. - καθάπερ ὁρίζονταί τινες: proposizione comparativa, funziona-le a introdurre il successivo aspetto

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    Sull’entimema Aristotele ritorna più volte nel corso dell’opera: ad esempio in questo passo in cui, prima di presentare gli elementi (τὰ στοιχεῖα), o “luoghi” (οἱ τόποι), che costituiscono gli entimemi, fa un’importante precisazione gene-rale: la distinzione fra entimemi dimostrativi ed entimemi confutativi.

    Πρῶτον δὲ εἴπωμεν περὶ ὧν ἀναγκαῖον εἰπεῖν πρῶτον. Ἔστιν γὰρ τῶν ἐνθυμημάτων εἴδη δύο· τὰ μὲν γὰρ δεικτικά ἐστιν ὅτι ἔστιν ἢ οὐκ ἔστιν, τὰ δ᾽ ἐλεγκτικά, καὶ διαφέρει ὥσπερ ἐν τοῖς διαλεκτικοῖς ἔλεγχος καὶ συλλογισμός. Ἔστι δὲ τὸ μὲν δεικτικὸν ἐνθύμημα τὸ ἐξ ὁμολογουμένων συνάγειν, τὸ δὲ ἐλεγκτικὸν τὸ τὰ ἀνομολογούμενα συνάγειν.

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    Posto che gli entimemi partono a volte da premesse necessarie ma generalmente da premesse possibili, Aristotele affronta la definizione di εἰκός, τεκμήριον e σημεῖον, quindi offre un esempio di παράδειγμα (cfr. scheda La distinzione aristotelica di τεκμήριον e σημεῖον).

    Τὸ μὲν γὰρ εἰκός ἐστι τὸ ὡς ἐπὶ τὸ πολὺ γινόμενον, οὐχ ἁπλῶς δὲ καθάπερ ὁρίζονταί τινες, ἀλλὰ τὸ περὶ τὰ ἐνδεχόμενα ἄλλως ἔχειν, οὕτως ἔχον πρὸς ἐκεῖνο πρὸς ὃ εἰκὸς ὡς τὸ καθόλου πρὸς τὸ κατὰ μέρος· τῶν δὲ σημείων τὸ μὲν οὕτως ἔχει ὡς τῶν καθ᾽ ἕκαστόν τι πρὸς τὸ καθόλου, τὸ δὲ ὡς τῶν καθόλου τι πρὸς τὸ κατὰ μέρος. Τούτων δὲ τὸ μὲν ἀναγκαῖον τεκμήριον, τὸ δὲ μὴ ἀναγκαῖον ἀνώνυμόν ἐστι κατὰ τὴν διαφοράν.

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    Ἀναγκαῖα μὲν οὖν λέγω ἐξ ὧν γίνεται συλλογισμός· διὸ καὶ τεκμήριον τὸ τοιοῦτον τῶν σημείων ἐστίν· ὅταν γὰρ μὴ ἐνδέχεσθαι οἴωνται λῦσαι τὸ λεχθέν, τότε φέρειν οἴονται τεκμήριον ὡς δεδειγμένον καὶ πεπε-ρασμένον.

    a λῦσαι τὸ λεχθέν), cui segue una principale (οἴονται) seguita, a sua volta da un’infinitiva (φέρειν). Quan-do non è possibile (μὴ ἐνδέχεσθαι) la confutazione di un’affermazione (λῦσαι τὸ λεχθέν), si è in presenza di un indizio: cioè di una dimostra-zione compiuta (ὡς δεδειγμένον καὶ πεπερασμένον: ὡς ha valore causale; i due participi perfetti derivano rispet-tivamente da δείκνυμι e περαίνω).

    οὖν ... συλλογισμός: gli indizi sono necessari e quindi, per il loro essere incontrovertibili, possono dar luogo a sillogismo inconfutabile (ἐξ ὧν: as-sorbimento del dimostrativo, ταῦτα ἐξ ὧν). - ὅταν γὰρ μὴ ἐνδέχεσθαι ... πεπερασμένον: il periodo è in-trodotto da una temporale eventua-le con valore generalizzante (ὅταν οἴωνται) che regge un’infinitiva (μὴ ἐνδέχεσθαι, impersonale rispetto

    versale, ha carattere necessitante (τὸ μὲν ἀναγκαῖον) e viene chiamato in-dizio (τεκμήριον), il secondo, in quan-to relaziona l’universale al particolare, non ha carattere necessitante (τὸ δὲ μὴ ἀναγκαῖον) e non ha una definizione precisa (ἀνώνυμόν ἐστι). Quest’ulti-mo non è univoco ma polisemico ed ha bisogno del concorso di altri segni perché possa portare ad un’afferma-zione legittimata. - Ἀναγκαῖα μὲν

    Τὸ γὰρ τέκμαρ καὶ πέρας ταὐτόν ἐστι κατὰ τὴν ἀρχαίαν γλῶτταν. Ἔστιν δὲ τῶν σημείων τὸ μὲν ὡς τὸ καθ᾽ ἕκαστον πρὸς τὸ καθόλου ὧδε, οἷον εἴ τις εἴπειεν σημεῖον εἶναι ὅτι οἱ σοφοὶ δίκαιοι, Σωκράτης γὰρ σοφὸς ἦν καὶ δίκαιος. Τοῦτο μὲν οὖν σημεῖον, λυτὸν δέ, κἂν ἀληθὲς ᾖ τὸ εἰρημένον (ἀσυλλόγιστον γάρ), τὸ δέ, οἷον εἴ τις εἴπειεν σημεῖον ὅτι νοσεῖ, πυρέττει γάρ, ἢ τέτοκεν, ὅτι γάλα ἔχει, ἀναγκαῖον. Ὅπερ τῶν σημείων τεκμήριον μόνον ἐστίν· μόνον γάρ, ἂν ἀληθὲς ᾖ, ἄλυτόν ἐστιν. Τὸ δὲ ὡς τὸ καθόλου πρὸς τὸ κατὰ μέρος ἔχον, οἷον εἴ τις εἴπειεν ὅτι πυρέττει σημεῖον εἶναι, πυκνὸν γὰρ ἀναπνεῖ. Λυτὸν δὲ καὶ τοῦτο, κἂν ἀληθὲς ᾖ· ἐνδέχεται γὰρ καὶ μὴ πυρέττοντα πνευστιᾶν. Τί μὲν οὖν εἰκός ἐστι καὶ τί σημεῖον καὶ τεκμήριον, καὶ τί διαφέρου-σιν, εἴρηται μὲν καὶ νῦν, μᾶλλον δὲ φανερῶς καὶ περὶ τούτων, καὶ διὰ τίν᾽ αἰτίαν τὰ μὲν ἀσυλλόγιστά ἐστι τὰ δὲ συλλελογισμένα, ἐν τοῖς Ἀναλυτικοῖς διώρισται περὶ αὐτῶν.

    Nella lingua antica, infatti, τέκμαρ e πέρας hanno lo stesso significato.Tra i segni, alcuni sono nella stessa relazione del particolare rispetto all’universale: come, ad esempio, se uno dicesse che del fatto che i sapienti sono giusti è segno il fatto che Socrate era sapiente e giusto. Questo è in effetti un segno, ma è confutabile, per quanto l’affermazione possa essere vera: infatti, non può essere ricondotta alla forma del sillogismo. Se invece si dicesse che segno che uno è malato è il fatto che ha la febbre, o segno che una donna ha partorito è il fatto che ha il latte, si avrebbe un segno necessario. Dei segni questo è il solo che costituisca una prova, poiché è l’uni-co, qualora sia vero, a essere inconfutabile. Un altro tipo di segno presenta invece la relazione dell’universale di fronte al particolare: come, ad esempio, se uno dicesse

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    timema), anche Dioniso, che ha chiesto una scorta, aspira alla tirannide. - καὶ ἄλλοι ὅσους ... διὰ τοῦτο αἰτεῖ: «e anche gli altri (esempi) che (gli ascolta-tori) conoscono (ἴσασι è terza persona plurale del perfetto οἶδα), diventano tutti esempi per il caso di Dioniso, di cui non si sa ancora se chiede (la scorta) per questo motivo». Ad accumulare esempi ci pensa anche il destinatario. - Πάντα δὲ ταῦτα ... φυλακὴν αἰτεῖ: è il collegamento generale non esplicitato tra le due cose dello stesso genere: chi aspira alla tirannide chiede una scorta; ὅτι...αἰτεῖ è la dichiarativa esplicativa di ὑπὸ τὸ αὐτὸ καθόλου.

    l’esempio si ha quando si raffrontano due cose dello stesso genere, di cui la più nota sostiene l’altra. - οἷον ὅτι ἐπεβούλευε ... τὴν φυλακήν: οἷον è avverbio con cui viene introdotto l’esempio della dichiarativa: l’aspira-zione (ἐπεβούλευε) alla tirannide di Dioniso perché chiese (αἰτῶν è parti-cipio congiunto da αἰτέω) una scor-ta. - καὶ γὰρ Πεισίστρατος ... ἐν Μεγάροις: questo il funzionamento dell’esempio: visto che in passato Pisi-strato ha chiesto una scorta ed è diven-tato tiranno (come d’altronde Teagene: accumulare esempi sopperisce all’infe-riorità del παράδειγμα rispetto all’en-

    Παράδειγμα δὲ ὅτι ... εἴρηται: «Si è detto che l’esempio è una forma del ragionamento indutti-vo e (si è anche detto) quali contenuti questa induzione (contempli)». Le due proposizioni subordinate, dichiarati-va la prima, interrogativa la seconda, hanno funzione di soggetto rispetto alla reggente. - ἀλλ᾽ ὡς μέρος πρὸς μέρος, ὅμοιον πρὸς ὅμοιον: l’esem-pio vive del confronto del particolare col particolare, del simile col simile, e non ha alcun rapporto con l’univer-sale se non attraverso un collegamen-to con un generale non esplicitato. - ὅταν ἄμφω μὲν ᾖ ... θἀτέρου:

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    che la respirazione rapida è segno del fatto che uno ha la febbre. Anche questo può essere confutato, per quanto possa essere vero: infatti, è possibile che anche chi non ha la febbre abbia difficoltà respiratorie.Abbiamo detto ora che cosa siano il probabile, il segno e la prova, e in che cosa diffe-riscano; ma sono stati definiti con maggior chiarezza negli Analitici, ed è stato anche spiegato per quale motivo alcuni di essi non possono assumere la forma del sillogismo mentre altri possono.

    [Tr. di M. Dorati]

    Παράδειγμα δὲ ὅτι μέν ἐστιν ἐπαγωγὴ καὶ περὶ ποῖα ἐπαγωγή, εἴρη-ται· ἔστι δὲ οὔτε ὡς μέρος πρὸς ὅλον οὔθ᾽ ὡς ὅλον πρὸς μέρος οὔθ᾽ ὡς ὅλον πρὸς ὅλον, ἀλλ᾽ ὡς μέρος πρὸς μέρος, ὅμοιον πρὸς ὅμοιον – ὅταν ἄμφω μὲν ᾖ ὑπὸ τὸ αὐτὸ γένος, γνωριμώτερον δὲ θάτερον ᾖ θατέρου, παράδειγμά ἐστιν· οἷον ὅτι ἐπεβούλευε τυραννίδι Διονύσιος αἰτῶν τὴν φυλακήν· καὶ γὰρ Πεισίστρατος πρότερον ἐπιβουλεύων ᾔτει φυλακὴν καὶ λαβὼν ἐτυράννησε, καὶ Θεαγένης ἐν Μεγάροις· καὶ ἄλλοι ὅσους ἴσασι, παράδειγμα πάντες γίγνονται τοῦ Διονυσίου, ὃν οὐκ ἴσασίν πω εἰ διὰ τοῦτο αἰτεῖ. Πάντα δὲ ταῦτα ὑπὸ τὸ αὐτὸ καθόλου, ὅτι ὁ ἐπιβου-λεύων τυραννίδι φυλακὴν αἰτεῖ.

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    Se i primi due libri dell’opera sono quasi completamente occupati dall’inventio, la prima e, per Aristotele, la più importante delle parti della retorica, il terzo libro affronta altri aspetti, in particolare la dispositio e l’elocutio, che con l’inventio sono strettamente interdipendenti, e – in maniera molto più sintetica – l’actio. Da quella che diventerà la partizione canonica in cinque parti della retorica, resta esclusa la memoria. La parte centrale è occupata dall’analisi dello stile, in particolare della composizione del periodo: qui vengono presentati un brano concernente la corret-tezza sintattica, semantica e di concordanza (5, 1407 a 19-b 25) ed uno riguardante la diversità di stile del discorso orale e di quello scritto (12, 1413 b 3-1414 a 31).

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    no necessariamente puritas, perspicu-itas e aptum. - δεύτερον δὲ τὸ τοῖς ... περιέχουσιν: secondo elemento della purezza è l’uso di un lessico pertinente e appropriato (τοῖς ἰδίοις ὀνόμασι, cfr. lat. verba propria) e non termini generali (τοῖς περιέχουσιν). Non sono verba propria i barbarismi, i dialettalismi, i neologismi. - Τρίτον μὴ ἀμφιβό-λοις: terzo elemento del-la purezza (il dativo è, come i prece-denti, strumentale rispetto a λέγειν) è non usare espressioni polisemiche (cfr. lat. ambiguitas): anch’esse ge-nerano obscuritas. - Τοῦτο δ᾽ ἂν μὴ τἀναντία ... προσποιῶνται δέ τι λέγειν: «Questo discorso (vale) a me-no che non (ἂν μή) si desideri l’effetto opposto [alla perspicuitas natural-mente], cosa che si fa quando non si ha nulla da dire (ἔχω + infinito) ma ci si dà l’aria (προσποιῶνται) di dire qual-cosa». - οἷον Ἐμπεδοκλῆς: il filoso-fo Empedocle è portato ad esempio di voluta oscurità. Naturalmente Aristo-tele sa bene che la purezza può cedere di fronte alla licentia. - φενακίζει: «inganna». Verbo forte con cui vie-ne bollato chi parla in maniera non chiara; è lo stesso verbo che utilizza il personaggio di Dioniso nelle Rane di Aristofane, quando (921) parla del-

    τὸν ὁ δέ: è l’esempio della prima re-gola: l’uso di μέν e ἐγὼ μέν rispetto a δέ e ὁ δέ. - Δεῖ δὲ ἕως μέμνηται ... ἀποδιδόναι τοῦ ἀναγκαίου: altre due regole: che la correlazione (ἀνταποδιδόναι) si realizzi quando il primo membro è ancora nella mente (ἕως μέμνηται) del destinatario del messaggio e non c’è quindi distanza eccessiva tra le due particelle (μήτε μακρὰν ἀπαρτᾶν, quest’ultimo è in-finito presente di ἀπαρτάω); che la correlazione non sia interrotta dalla frapposizione di un elemento inatteso. - Ἐγὼ μέν, ἐπεί μοι ... παραλαβὼν αὐτούς: è l’esempio concreto di cat-tivo ordo verborum. Come viene spiegato immediatamente dopo, tra ἐγὼ μέν ed ἐπορευόμην vengono inseriti (προεμβέβληνται è perfetto di προεμβάλλω, “metto qualcosa nel mezzo prima di”) troppi elementi tra loro connessi (πολλοὶ σύνδεσμοι) che lasciano troppo a lungo in sospeso la correlazione primaria. - ἀσαφές: in un caso del genere la conseguenza è la non chiarezza del messaggio. È l’obscuritas latina opposta alla per-spicuitas, alla comprensibilità del di-scorso, condizione necessaria per la sua credibilità. Secondo la teoria reto-rica per ottenere persuasione occorro-

    Ὁ μὲν οὖν λόγος ... τὸ ἑλληνί-ζειν: con l’espressione Aristotele chiude la prima parte del libro dedicata al lessico, per passare a quella dedicata alla composizione del periodo, la cui prima qualità è la correttezza sintattica e di concor-danza. Egli la definisce fondamento (ἀρχή) dello stile (τῆς λέξεως) e la identifica con la purezza linguistica (τὸ ἑλληνίζειν). - πρῶτον μὲν ἐν τοῖς συνδέσμοις: è il primo ele-mento della purezza linguistica, le congiunzioni (σύνδεσμος è formato da συν- e dalla radice del verbo δέω, “legare”), cioè la struttura base, la trama necessaria a qualsiasi discorso che pretenda un’articolazione. - ἂν ἀποδιδῷ τις ὡς ... ἀλλήλων: prota-si di periodo ipotetico dell’eventualità (come richiede un’espressione gene-rale e valida sempre), nella sostanza esplicativa di πρῶτον e che regge una modale. Il verbo ἀποδίδωμι qui indica il distribuire in maniera corre-lata qualcosa, così come il successivo e più tecnico ἀνταποδιδόναι. - οἷον ἔνιοι ἀπαιτοῦσιν: proposizione comparativa; le particelle correlative richiedono (ἀπαιτοῦσιν) che si ri-spetti, nell’usarle, la giusta posizione nel periodo. - ὥσπερ ὁ μὲν καὶ ὁ ...

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    Ὁ μὲν οὖν λόγος συντίθεται ἐκ τούτων, ἔστι δ᾽ ἀρχὴ τῆς λέξεως τὸ ἑλληνίζειν· τοῦτο δ᾽ ἐστὶν ἐν πέντε, πρῶτον μὲν ἐν τοῖς συνδέσμοις, ἂν ἀποδιδῷ τις ὡς πεφύκασι πρότεροι καὶ ὕστεροι γίγνεσθαι ἀλλήλων, οἷον ἔνιοι ἀπαιτοῦσιν, ὥσπερ ὁ μέν καὶ ὁ ἐγὼ μέν ἀπαιτεῖ τὸν δέ καὶ τὸν ὁ δέ. Δεῖ δὲ ἕως μέμνηται ἀνταποδιδόναι ἀλήλλοις, καὶ μήτε μακρὰν ἀπαρτᾶν μήτε σύνδεσμον πρὸ συνδέσμου ἀποδιδόναι τοῦ ἀνα-γκαίου· ὀλιγαχοῦ γὰρ ἁρμόττει. «Ἐγὼ μέν, ἐπεί μοι εἶπεν (ἦλθε γὰρ Κλέων δεόμενός τε καὶ ἀξιῶν), ἐπορευόμην παραλαβὼν αὐτούς». Ἐν τούτοις γὰρ πολλοὶ πρὸ τοῦ ἀποδοθησομένου συνδέσμου προεμβέβλη-νται σύνδεσμοι· ἐὰν δὲ πολὺ τὸ μεταξὺ γένηται τοῦ ἐπορευόμην, ἀσαφές. Ἓν μὲν δὴ τὸ εὖ ἐν τοῖς συνδέσμοις, δεύτερον δὲ τὸ τοῖς ἰδίοις ὀνόμασι λέγειν καὶ μὴ τοῖς περιέχουσιν. Τρίτον μὴ ἀμφιβόλοις. Τοῦτο δ᾽ ἂν μὴ τἀναντία προαιρῆται, ὅπερ ποιοῦσιν ὅταν μηδὲν μὲν ἔχωσι λέγειν, προσποιῶνται δέ τι λέγειν· οἱ γὰρ τοιοῦτοι ἐν ποιήσει λέγουσιν ταῦτα, οἷον Ἐμπεδοκλῆς· φενακίζει γὰρ τὸ κύκλῳ πολὺ

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    verbale di φεύγω) chiude il terzo ele-mento della puritas. - Τέταρτον, ὡς Πρωταγόρας ... σκεύη: quarto ele-mento è la distinzione (ὡς introduce una proposizione modale; διῄρει è imper-fetto di διαιρέω), operata da Protagora, dei tre generi: maschile, femminile e neutro (σκεῦος al plurale propriamente sono le suppellettili, gli attrezzi, le co-se, quindi per Protagora i nomi neutri). - ἡ δ᾽ ἐλθοῦσα καὶ διαλεχθεῖσα ᾤχετο: è l’esempio di corretta concor-danza di genere. - Πέμπτον ἐν τῷ τὰ ... ὀνομάζειν: quinto ed ultimo ele-mento, la corretta concordanza di nu-mero. Segue l’esempio.

    l’infinito sostantivato e di una princi-pale. Gli indovini parlano in termini generali (διὰ τῶν γενῶν) perché così rischiano meno (ἔλαττον) di sbaglia-re (ἁμάρτημα). - τύχοι γὰρ ἄν τις μᾶλλον ... προσορίζονται τὸ πότε: «uno ci può prendere di più (τύχοι ἄν τις, potenziale), quando gioca a pari o dispari (ἐν τοῖς ἀρτιασμοῖς), se di-ce pari o dispari che se dice una cifra esatta (πόσα ἔχει, lett.: “quanto è”), e così se dice cosa (ὅτι) accadrà che se dice quando; per ciò gli indovini non definiscono (οὐ προσορίζονται) il quando». - φευκτέον: scil. ἐστίν. L’espressione di dovere (è aggettivo

    lo stile di Eschilo. - καὶ πάσχουσιν ... τοῖς μάντεσιν: Aristotele para-gona chi parla in maniera ambigua agli indovini. - συμπαρανεύουσιν: l’ascoltatore (οἱ ἀκροαταί) di fronte a chi, come gli indovini, parla in ma-niera ambigua (ὅταν γὰρ λέγωσιν ἀμφίβολα, temporale eventuale) si mostra sempre d’accordo. È il caso di Creso. - Κροῖσος ... καταλύσει: cfr. Erodoto I 91,4. Creso interpreta male l’oracolo di Apollo e causa la rovina del proprio impero anziché quello di Ciro contro il quale aveva portato guerra. - διὰ τὸ ὅλως ... οἱ μάντεις: periodo composto di una causale implicita con

    ὄν, καὶ πάσχουσιν οἱ ἀκροαταὶ ὅπερ οἱ πολλοὶ παρὰ τοῖς μάντεσιν· ὅταν γὰρ λέγωσιν ἀμφίβολα, συμπαρανεύουσιν – Κροῖσος Ἅλυν διαβὰς μεγάλην ἀρχὴν καταλύσει – καὶ διὰ τὸ ὅλως ἔλαττον εἶναι ἁμάρτη-μα διὰ τῶν γενῶν τοῦ πράγματος λέγουσιν οἱ μάντεις· τύχοι γὰρ ἄν τις μᾶλλον ἐν τοῖς ἀρτιασμοῖς ἄρτια ἢ περισσὰ εἰπὼν μᾶλλον ἢ πόσα ἔχει, καὶ τὸ ὅτι ἔσται ἢ τὸ πότε, διὸ οἱ χρησμολόγοι οὐ προσορίζονται τὸ πότε. Ἅπαντα δὴ ταῦτα ὅμοια, ὥστ᾽ ἂν μὴ τοιούτου τινὸς ἕνεκα, φευκτέον. Τέταρτον, ὡς Πρωταγόρας τὰ γένη τῶν ὀνομάτων διῄρει, ἄρρενα καὶ θήλεα καὶ σκεύη· δεῖ γὰρ ἀποδιδόναι καὶ ταῦτα ὀρθῶς· «ἡ δ᾽ ἐλθοῦσα καὶ διαλεχθεῖσα ᾤχετο». Πέμπτον ἐν τῷ τὰ πολλὰ καὶ ὀλίγα καὶ ἓν ὀρθῶς ὀνομάζειν· «οἱ δ᾽ ἐλθόντες ἔτυπτόν με».

    Per saperne di più

    Nondimeno, in altre opere Aristotele tenta una classi-ficazione rigorosa dei segni e delle indicazioni. All’ini-zio della Retorica egli distingue l’inferenza retorica da quella scientifica sulla base del fatto che la maggior parte delle premesse retoriche sono contingenti:

    È chiaro che le premesse degli entimemi saranno alcune necessarie, ma la maggior parte soltanto fre-quenti, e gli entimemi si traggono dai verosimili e dai segni, cosicché è necessario che questi due tipi di premesse si identifichino con quei due tipi. Il verosi-mile è ciò che avviene per lo più […] Dei segni l’uno si comporta come un particolare in rapporto all’uni-versale, l’altro come un universale in rapporto al

    La distinzione aristotelica di τεκμήριον e σημεῑονparticolare. Di essi quello necessario è il τεκμήριον, quello non necessario non ha un nome corrispon-dente a questa differenza. Intendo per necessarie le proposizioni da cui derivano sillogismi. Perciò anche dei segni quello che è tale è il τεκμήριον: quando infatti si ritiene che non è possibile confutare la pro-posizione enunciata, allora si pensa di apportare un τεκμήριον che si ritiene dimostrato e compiuto; nella lingua antica infatti τέκμαρ e πέρας [limite, conclusione] significano la stessa cosa.

    Alle cose vere solo nella maggior parte dei casi cor-risponde il genere dei verosimili, o probabili, mentre il genere dei segni include la specie costituita dalle

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    indicazioni; queste ultime sono abbastanza solide da poter fondare delle deduzioni (dato che ciò che se-gue da un τεκμήριον non può non essere vero). Si tratta di una tassonomia di non facile decifrazione: i segni contengono anche i verisimili? E in che modo alcuni si comportano “come un particolare in rap-porto all’universale” e altri “come un universale in rapporto al particolare”? C’è un collegamento con la distinzione tra σημεῖα e τεκμήρια, la quale pre-suppone che i tekmhvria fondino inferenze certe e irrefutabili? Inoltre gli entimemi si traggono da quattro luoghi... il ve-rosimile, l’esempio, la prova (τεκμήριον) e il segno (σημεῖον) […] quelli che si basano sul necessario e sul costante, si svolgono attraverso la prova; quelli che si basano sulla realtà universale o particolare a seconda che vi sia o non vi sia, si svolgono attraverso segni... Si confutano i segni e gli entimemi basati sui segni, anche se sono reali, nel modo come si disse nel primo libro: che infatti ogni segno sia asillogistico ci è risultato evidente dagli Analitici [....] Quanto alle prove e agli entimemi fondati su prove, non sarà pos-sibile confutarli perché asillogistici (ciò ci è risultato evidente dagli Analitici); non resta che mostrare che il fatto portato in causa non esiste. Se invece è evi-dente che esiste e che è una prova, allora quell’enti-mema diventa inconfutabile.

    Ancora una volta viene asserita l’inattaccabilità logica della prova basata sull’indizio, in contrasto con la fra-gilità dei semplici segni.Il passo appena citato fa riferimento agli Analitici pri-mi, il cui ultimo capitolo è dedicato da Aristotele alle forme non dimostrative di inferenza:

    ciò che è probabile e il segno non sono la stessa cosa. Piuttosto, la premessa che esprime ciò che è proba-bile dovrà fondarsi sull’opinione: in realtà, probabile è appunto ciò che notoriamente per lo più si verifica o non si verifica in un certo modo, è oppure non è. Ad esempio, è probabile che gli invidiosi detestino, o che gli amati amino. La premessa che esprime un segno, invece, vuol essere dimostrativa, e può essere necessaria o fondata sull’opinione generale.

    È ora possibile dare risposta alle domande sollevate dalla Retorica. Ciò che è probabile, o verosimile, ri-guarda proposizioni che sono vere nella maggior par-

    te dei casi; i segni riguardano proposizioni, universali oppure particolari, che possono servire da premes-se in ragionamenti propriamente deduttivi. Ma solo quando possono essere effettivamente disposte in uno schema deduttivo valido, con il segno a fungere da termine medio nell’inferenza, tali premesse vanno classificate come τεκμήρια. Dunque

    la deduzione che tende a persuadere è appunto un sillogismo fondato su premesse probabili o su segni. D’altra parte, la premessa che esprime un segno può venir utilizzata in tre modi, in tanti cioè quante sono le posizioni del medio nelle varie figure. In realtà, si potrà avere una deduzione come nella prima figu-ra, o come nella seconda, o infine come nella terza. Ad esempio, a) il provare che una donna è gravida, in quanto essa ha latte, si fonda sulla prima figura: il medio è infatti l’aver latte […] b) D’altro canto, la prova che i sapienti sono eccellenti - poiché Pittaco è eccellente - si costituisce attraverso l’ultima figura. Poniamo che A indichi «la nozione di eccellente», che B indichi «i sapienti», che C indichi «Pittaco». Risponde in tal caso a verità il predicare di C tanto A quanto B […] c) Infine, la presunta prova che una donna risulta gravida, in quanto è pallida, si sviluppa attraverso la seconda figura. In realtà, dato che il pal-lore è una determinazione conseguente delle donne gravide, e che tale determinazione appartiene altresì ad una certa donna, si crede allora provato che que-sta donna sia gravida […] A questo modo, si svilup-pano dunque i sillogismi, con la differenza, per altro, che quello costituito mediante la prima figura risulta inconfutabile, nel caso in cui sia vero (esso è infatti universale), e quello costituito mediante l’ultima figu-ra risulta invece confutabile - e ciò anche nel caso in cui la conclusione sia vera - per il fatto di non essere universale e di non applicarsi all’oggetto in questio-ne. In effetti, se Pittaco è eccellente, non per questo sarà necessario che anche gli altri sapienti lo siano. D’altra parte, il sillogismo che si sviluppa attraverso la figura intermedia risulterà sempre confutabile, senza eccezioni. In realtà, quando i termini si comportano come si è detto sopra, non si costituirà mai un sillogi-smo: se infatti la donna gravida è pallida, e se inoltre una determinata donna è pallida, non per questo sarà necessario che questa determinata donna sia gravida.

    Aristotele dispiega qui l’apparato tecnico della sua

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    sillogistica, e conclude che i segni sono propriamente τεκμήρια quando risultano essere i termini medi di inferenze valide della prima figura, come si verifica per

    a) I. ogni donna che ha latte è gravida; II. questa donna ha latte; dunque III. questa donna è gravida.

    (III) segue in modo valido da (I) e da (II) nel modo canonico «barbara». Al contrario, i casi b e c produco-no soltanto schemi argomentativi non validi, rispetti-vamente nel terzo e nel secondo modo:

    b) I. Pittaco è eccellente; II. Pittaco è sapiente; non genera III. i sapienti sono eccellenti

    (sebbene generi validamente, nel modo «darapti», «qualche sapiente è eccellente»). Cosf b.I e b.II costi-tuiscono (nel migliore dei casi) deboli testimonianze induttive a favore della verità di b.III, anche se mag-giore è il numero dei casi individuali che si incontra-no di premesse vere quali (I) e (II), maggiori sono le testimonianze induttive a favore di (III). Parimenti, lo schema della seconda figura

    c) I. ogni donna gravida è pallida; II. questa donna è pallida; per cui III. questa donna è gravida

    non è valido (di necessità, osserva Aristotele, dal mo-mento che entrambe le sue premesse sono affermati-ve, mentre nessun modo valido della seconda figura ha due premesse affermative). Aristotele lascia inten-dere che in figure diverse dalla prima non sia possi-bile costruire inferenze fondate su segni che risultino valide, il che è falso nel caso in cui si ammettano se-gni negativi (da c.I e dalla negazione di c.II consegue validamente la negazione di c.III nella seconda figu-ra: ma qui il segno è «non essere pallida»); si tratta tuttavia di una pecca marginale.Pertanto i segni non necessari sono confutabili: es-si danno origine a strutture sillogistiche, ma non in modo tale da implicare validamente la conclusione richiesta. Inoltre, gli esempi del passo precedente gettano luce sull’affermazione della Retorica secondo cui i segni possono comportarsi come particolari in rapporto a un universale (come nel caso della induzio-ne debole di b), oppure come universali in rapporto al

    particolare (caso c). Ma in che modo i τεκμήρια dif-feriscono dagli argomenti che negli Analitici secondi Aristotele considera canonici della scienza? E Aristo-tele stesso a dare la risposta:Le determinazioni accidentali non sono infatti neces-sarie, e di conseguenza, quando si parte da queste ultime, il perché dell’appartenenza espressa nella conclusione non verrà conosciuto necessariamente, neppure nel caso in cui le suddette determinazioni appartengano sempre ai loro oggetti, senza risultare tuttavia per sé. Ciò si verifica, ad esempio, per i sillo-gismi fondati su segni.

    Si prenda un esempio discusso da Aristotele negli Analitici secondi. Poniamo che sia vero che tutti e soli gli oggetti celesti vicini alla terra non sfavillano. Al-lora, data la premessa che i pianeti sono vicini alla terra, si ottiene:

    d) I. ogni cosa vicina alla Terra non sfavilla; II. tutti i pianeti sono vicini alla Terra; quindi III. tutti i pianeti non sfavillano.

    Ma poiché anche l’inverso di d. I è vero, si avrà pure

    e) I. ogni cosa che non sfavilla è vicina alla Terra; II. tutti i pianeti non sfavillano; quindi III. tutti i pianeti sono vicini alla Terra.

    Sia d che e sono sillogismi validi, ma, secondo Ari-stotele, fra di essi vi è una differenza decisiva, consi-stente nel fatto che solo in d la conclusione è effet-tivamente spiegata dal termine medio. I pianeti non sfavillano perché sono vicini; e non: sono vicini per-ché non sfavillano. Solo d esibisce correttamente la struttura esplicativa della realtà che è compito della scienza aristotelica rendere evidente. Nondimeno, e a sua volta è vero; e fornisce una ragione epistemica per la propria conclusione: vale a dire, mostra in che mo-do possiamo sapere che i pianeti sono effettivamente vicini. Ed è precisamente questa, per Aristotele, la funzione del τεκμήρον.

    [J. Hankinson, ‘Semeion’ e ‘tekmerion’. L’evoluzione del vocabolario dei segni e indicazioni nella Grecia classica,

    in AA.VV., I Greci (a cura di Salvatore Settis), 2 Una sto-ria greca, II Definizione, Torino, Einaudi 1997,

    pp. 1169-1187 (1182-1186)]

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    In generale, quel che è scritto dovrebbe essere facile da leggere e facile da pronun-ciare – che è poi la stessa cosa. E questa è una qualità che manca dove si ha un uso frequente delle particelle correlative, e nelle frasi in cui è difficile la punteggiatura, come negli scritti di Eraclito. Mettere la punteggiatura a uno scritto di Eraclito è un’impresa difficile perché non è chiaro se un termine debba essere collegato con il termine precedente o con quello seguente, come accade all’inizio stesso del trattato. Dice infatti: «Di questa ragione che esiste sempre ignoranti sono gli uomini». Non è chiaro con quale dei due termini debba andare il «sempre». La mancata correlazione crea un solecismo, se non si congiungono le parole con ciò che si adatta a entrambe: ad esempio, parlando di suono e colore “vedendo” non è comune a entrambi, mentre «percependo» è comune. Si rende oscuro il discorso se non si dice quel che si vuole fin dall’inizio, quando si intendano inserire molti elementi in mezzo: ad esempio, «Io volevo dopo aver discusso con lui di questo, di quello e in questo modo, andare», invece di «Io volevo, dopo aver discusso con lui, andare», e dopo «Accadde questo e quello e in questo modo».

    [Tr. di M. Dorati]

    Non dobbiamo dimenticare che a ogni genere di oratoria si adatta una diversa forma di stile. Quello di un discorso scritto non è uguale a quello di un discorso pronunciato, né quello politico a quello giudiziario. » necessario conoscerli entrambi: líuno consiste nel saper parlare un greco corretto, líaltro evita di essere costretti al silenzio quando si desidera comunicare qualcosa ad altri, che è quel che capita a coloro che non sanno scrivere. Lo stile della composizione scritta è più preciso, quello del discorso pronun-ciato più basato sulla recitazione (di questíultimo esistono due specie: la prima esprime caratteri, la seconda emozioni), e per questa ragione gli attori sono sempre alla ricerca di opere di questo genere, e i poeti di attori adatti. Anche i poeti le cui opere sono con-cepite per la lettura possono essere popolari, ad esempio Cheremone (poiché è preciso come uno scrittore di discorsi) e Licimnio tra i poeti ditirambici. Se posti a confronto, i discorsi degli scrittori appaiono esili nella recitazione, mentre quelli degli oratori, per quanto ben recitati, appaiono dilettanteschi nelle mani di un lettore. La ragione è che essi sono adatti al dibattito: quel che è adatto alla recitazione, infatti, se la recitazione è assente sembra banale poiché non adempie alla propria funzione. Ad esempio, gli asindeti e le frequenti ripetizioni sono giustamente disapprovati negli scritti, mentre nei dibattiti anche gli oratori se ne servono, poiché sono adatti alla recitazione. E necessa-rio inoltre dire le stesse cose variando i termini: ciò apre la strada alla recitazione. Ad esempio: “Questi è colui che vi ha derubato, questi è colui che vi ha ingannato, questi è colui che alla fine ha tentato di tradirvi”; è quel che l’attore Filemone faceva nella Pazzia del vecchio di Anassandride, quando diceva: “Radamanto e Palamede”, e quando nel prologo dei Pii dice: “Io...!” Se espressioni di questo genere non vengono recitate così, è come nel caso dell’“uomo che porta il bastone”. Lo stesso vale per gli asindeti: “Venni, incontrai, domandai”.» necessario recitare, e non pronunciare come colui che dice una cosa unica sempre con lo stesso carattere e lo stesso tono. Inoltre, gli asindeti hanno una

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    particolarità: fanno infatti sembrare che vengano dette molte cose nello stesso tempo. Le particelle connettive fanno di molte cose una cosa sola, e di conseguenza, se esse vengono eliminate, è evidente che si avrà l’effetto contrario: una cosa unica diventerà molte cose. L’asindeto crea dunque amplificazione. “Venni, parlai, supplicai”, (sembra-no molte cose) “ma egli non fece conto di quel che io dissi”. Questo è l’effetto che anche Omero vuole ottenere nei versi:“Nireo da Sime...”, “Nireo figlio di Aglaia...”, “Nireo che, più bello...”poiché è inevitabile che un uomo a proposito del quale si dicono molte cose sia no-minato spesso. Se dunque viene nominato spesso, sembra che di lui si dicano molte cose, e di conseguenza Omero ha amplificato l’importanza di Nireo per mezzo di questo inganno, pur ricordandolo solo una volta, e ha lasciato memoria di lui, sebbe-ne non abbia più parlato di lui in seguito.

    [Tr. di M. Dorati]

    Ἡ μὲν οὖν δημηγορικὴ λέξις καὶ παντελῶς ἔοικεν τῇ σκιαγραφίᾳ· ὅσῳ γὰρ ἂν πλείων ᾖ ὁ ὄχλος, πορρώτερον ἡ θέα, διὸ τὰ ἀκριβῆ περίεργα καὶ χείρω φαίνεται ἐν ἀμφοτέροις· ἡ δὲ δικανικὴ ἀκριβεστέρα. Ἔτι δὲ μᾶλλον ἡ ἐν ἑνὶ κριτῇ· ἐλάχιστον γὰρ ἔνεστι ῥητορικῆς· εὐσύνοπτον γὰρ μᾶλλον τὸ οἰκεῖον τοῦ πράγματος καὶ τὸ ἀλλότριον, καὶ ὁ ἀγὼν ἄπεστιν, ὥστε καθαρὰ ἡ κρίσις. Διὸ οὐχ οἱ αὐτοὶ ἐν πᾶσιν τούτοις εὐδοκιμοῦσιν ῥήτορες· ἀλλ᾽ ὅπου μάλιστα ὑπόκρισις, ἐνταῦθα ἥκιστα ἀκρίβεια ἔνι. Τοῦτο δὲ ὅπου φωνῆς, καὶ μάλιστα ὅπου μεγάλης. Ἡ μὲν οὖν ἐπιδεικτικὴ λέξις γραφικωτάτη· τὸ γὰρ ἔργον αὐτῆς ἀνάγνωσις.

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    μάλιστα ... ἀκρίβεια ἔνι: ὅπου è congiunzione relativa con cui è corre-lato ἐνταῦθα; ἔνι è forma alternativa di ἔνεστι. La conclusione generale è che quanto più è richiesta la capaci-tà istrionica nella performance, tanto minore deve essere l’uso della pre-cisione. - Ἡ μὲν οὖν ἐπιδεικτικὴ λέξις γραφικωτάτη: terminato il discorso sullo stile dell’oratoria ora-le, che unisce discorso politico e di-scorso giudiziario, Aristotele fa cen-no a quello epidittico, strettamente legato alla scrittura (γραφικωτάτη). Pur non menzionato in questo punto, il grande modello è naturalmente Iso-crate: cfr. scheda Il rapporto oratoria scritta e oratoria orale nel IV secolo. - τὸ γὰρ ἔργον αὐτῆς ἀνάγνωσις: la lettura (ἀνάγνωσις), in quanto pratica di attento esame del discorso, richiede una λέξις altrettanto sorve-gliata.

    perla dell’oralità, dovendo offrire una visione d’insieme, richiede stile sem-plice e concisione, e deve mirare alla chiarezza perché il messaggio sia ac-cettato da quante più persone possibi-le. - ἡ δὲ δικανικὴ ἀκριβεστέρα ... κριτῇ: lo stile giudiziario invece richiede in generale più attenzione, in misura inversamente proporzionale al numero dei destinatari, fino ad arrivare al grado maggiore di cura coinciden-te al caso di un giudice unico (ἐν ἑνὶ κριτῇ). - εὐσύνοπτον γὰρ μᾶλλον ... καθαρὰ ἡ κρίσις: e questo perché un pubblico ristretto è più attento e più pronto a percepire (l’aggettivo di sen-so passivo εὐσύνοπτον è composto da εὖ + συν con valore perfettivizzan-te e la ridice ὁπ- che indica “vedere”), all’interno del discorso, quanto è in stretta relazione (τὸ οἰκεῖον) con l’ar-gomento trattato e quanto gli è estra-neo (τὸ ἀλλότριον). - ἀλλ᾽ ὅπου

    Ἡ μὲν οὖν δημηγο-ρική ... τῇ σκιαγραφίᾳ: Aristotele paragona (ἔοικεν è il perfetto ἔοικα e regge il dativo) lo stile delle deme-gorie (ἡ μὲν δημηγορική), i discorsi deliberativi tenuti in assemblea, a pit-ture basate sulla tecnica del chiaro-scuro, che conferisce loro profondità prospettica. - ὅσῳ γὰρ ἂν πλείων ᾖ ... φαίνεται ἐν ἀμφοτέροις: il periodo inizia con una proposizione comparativa; ἐν ἀμφοτέροις è rife-rito al discorso politico e alla pittura. La similitudine gioca sul fatto che il discorso deliberativo, come il di-pinto in chiaroscuro, presuppone un destinatario ampio (πλείων ὁ ὄχλος) e un punto di osservazione abbastan-za distante (πορρώτερον ἡ θέα), e quindi (διό) l’attenzione al particolare (τὰ ἀκριβῆ) è uno spreco di energie (περίεργα), addirittura nociva (χείρω φαίνεται). Il discorso deliberativo,

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    Al secondo posto viene quello giudiziario.» superfluo fare un’ulteriore distinzione nello stile, dicendo che deve essere piacevole e magnifico. Perché infatti dovrebbe essere in questo modo piuttosto che temperante, liberale o qualsiasi altra virtù del carattere? Se la virtù dello stile è stata correttamente definita, quello che abbiamo

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    Per saperne di più

    I due modelli di λόγος, parlato e scritto, sono dun-que destinati a coesistere per un certo tempo paci-ficamente, come dimostra Aristotele nel Περὶλέξ, il terzo libro della Retorica, registrando nella produzio-ne ateniese contemporanea la presenza di una λέξις γραφική accanto a una λέξις άγωνιστική che com-penetra la parola al gesto, nello spazio della perfor-mance. Significativamente, le categorie che presiedo-no a questa classificazione coincidono con quelle già presenti in Alcidamante: il punto di vista tradizionale della città si impone, selezionando il paradigma del discorso politico, con le sue doti di immediatezza ed efficacia, dalla produzione scritta che, più elaborata e accurata, trova necessariamente altri canali di cir-colazione. La scrittura infatti rimane estranea all’asse della politicità, caratterizzato dallo scambio orale di-retto, configurandosi essenzialmente come mezzo di divulgazione di opinioni e di idee entro una rete pri-vata. La trasposizione del λόγος γραφιός all’agone pubblico produce per Aristotele, come per Alcidaman-te, quell’effetto di inadeguatezza, quella mancanza di incisività che deriva proprio dalla sua strutturazione troppo attenta, ricca di artifici stilistici e linguistici destinati ad andare perduti davanti alla folla nume-rosa e non selezionata – il pubblico del tribunale e dell’Assemblea. In questi ambiti, la pregnanza del di-scorso scaturisce dalla sua concisione, dalla presenza di un saldo filo conduttore che impedisce all’orato-re di perdersi nei particolari. La demegoria, discorso orale per eccellenza, è come un quadro che, sottopo-sto agli sguardi di molti, deve saper offrire una buona visione d’insieme (1414 a 8-10).L’irriconducibilità tra le due modalità espositive, scritta e parlate, produce necessariamente una spe-cializzazione di funzioni nell’ambito della professio-ne retorica: nessun retore puÚ al contempo eccellere in entrambi, unire all’abilità nello scrivere le doti di efficacia pratica, e anche di capacità interpretative

    Il rapporto oratoria scritta e oratoria orale nel IV secoloe drammatiche, connesse alla performance pubblica. La figura del retore-scrittore si ritaglia dunque, in Aristotele, uno spazio autonomo ben individuato, esterno alla politicità ma non per questo incompa-tibile con essa, come pretende Alcidamante. Anche Isocrate ottiene a tutti gli effetti un suo status, un ruolo specifico. L’emergere di nuove forme culturali, o di intellettuali di nuovo tipo, non sembra susci-tare nel filosofo né preoccupazione né sconcerto. I suoi schemi di classificazione si limitano a incasel-lare, depurandoli e neutralizzandoli col filtro della έπιστήμη, i dati che la realtà gli offre, ma proprio questo lucido distacco denuncia il suo peculiare por-si rispetto alla città e alla vita politica. Aristotele classifica demegorie e arringhe per il tribunale così come delinea tutte le tappe concettuali della forma-zione del retore, eppure la retorica, la più politica tra tutte le τέχναι non è che uno degli oggetti di studio nella sconfinata enciclopedia del sapere che ambisce a compiere.Per il filosofo, come già si è verificato per Isocrate, la città è lo sfondo, presente ma non coinvolgente, di un’attività che ha per confine prossimo l’istituzione, la scuola: due attività diversissime, e da sempre an-tinomiche – scienza e retorica – si accomunano d’un tratto in questa scelta, nella rinuncia a ogni nesso diretto con la vita politica nel suo farsi. La città vi-ve caparbiamente i suoi ultimi spazi di autonomia, ma ai suoi margini già si è costituita, solidamente, la struttura destinata a subentrarle, a divenire il po-lo di riferimento e di aggregazione per i pochi pri-vilegiati che sopravviveranno indenni al crollo della dimensione politica: è la scuola, che nel rapporto maestro-discepolo sostituisce e surroga per gli intel-lettuali e le persone colte l’antico legame tra la città e il πολίτης.

    [S. Gastaldi, introduzione a Isocrate, Orazioni, Milano, Rizzoli 1993, pp. 30-32]

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    esposto la renderà piacevole. Per quale motivo, altrimenti, è necessario che sia chia-ro e non misero ma conveniente? Se è sovrabbondante non è chiaro, e neppure se è troppo conciso. E evidente che una via di mezzo è appropriata. Le qualità di cui abbiamo discusso, se ben mescolate, renderanno piacevole lo stile: il convenzionale e l’esotico, il ritmo, e la persuasività che nasce dalla proprietà. Abbiamo parlato dello stile, sia complessivamente a proposito di tutti i generi, sia in particolare riguardo a ogni genere. Resta da trattare della disposizione.

    [Tr. di M. Dorati]