Realizzazione di un prototipo di sensore stellare per ... · stellare per esperimenti di astronomia...

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Universit ` a degli Studi di Pisa Facolt` a di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso di Laurea Specialistica in Fisica Applicata Anno Accademico 2002-2003 Tesi di Laurea Specialistica Realizzazione di un prototipo di sensore stellare per esperimenti di astronomia X/γ su piattaforme galleggianti a quota stratosferica Relatore: Candidato: Dott. Leonida A. Gizzi Gabriele Palladino

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Universita degli Studi di Pisa

Facolta di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

Corso di Laurea Specialistica in Fisica Applicata

Anno Accademico 2002-2003

Tesi di Laurea Specialistica

Realizzazione di un prototipo di sensorestellare per esperimenti di astronomia X/γ su

piattaforme galleggianti a quotastratosferica

Relatore: Candidato:

Dott. Leonida A. Gizzi Gabriele Palladino

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Indice

Ringraziamenti 3

Premessa 5

1 L’astronomia X/γ a quota stratosferica ed il sistema HiPeG 7

1.1 La nuova generazione di telescopi spaziali per radiazione X e γ . . 7

1.2 L’astrofisica in alta atmosfera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

1.3 Le caratteristiche del volo stratosferico . . . . . . . . . . . . . . . 13

1.4 Il progetto HiPeG (High Performance Gondola) . . . . . . . . . . 15

1.5 HiPeG - Il sistema di bordo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18

1.6 I sensori stellari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

1.7 Il sensore stellare di HiPeG . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

1.7.1 La parte elettronica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24

1.7.2 La parte ottica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24

2 L’algoritmo di riconoscimento stellare 25

2.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

2.1.1 I livelli sequenziali del software . . . . . . . . . . . . . . . 25

2.1.2 Il calcolo dell’assetto I - Caso di due stelle . . . . . . . . . 26

2.2 Lo schema di funzionamento del sensore e la procedura di inizia-

lizzazione del catalogo stellare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29

2.3 Analisi dell’immagine e defocalizzazione . . . . . . . . . . . . . . . 33

2.3.1 La localizzazione di stelle reali sul segnale di fondo . . . . 33

2.3.2 Il centroide . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34

2.3.3 La defocalizzazione dell’immagine . . . . . . . . . . . . . . 37

2.4 Il riconoscimento stellare I - Clipping, configurazioni e focali . . . 38

2.4.1 Lo schema del riconoscimento stellare . . . . . . . . . . . . 38

2.4.2 Il clipping sul catalogo di riferimento . . . . . . . . . . . . 39

2.4.3 Le configurazioni candidate . . . . . . . . . . . . . . . . . 40

2.4.4 La precisione sulla distanza focale . . . . . . . . . . . . . . 44

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2.5 Il riconoscimento stellare II - Il ciclo tree-path . . . . . . . . . . . 46

2.6 Il riconoscimento stellare III - Verifica, espansione e calcolo del-

l’assetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50

2.6.1 Il ciclo di verifica dell’immagine e la sua espansione . . . . 50

2.6.2 Il calcolo dell’assetto II - Caso generale . . . . . . . . . . . 52

2.7 L’algoritmo di inseguimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53

2.7.1 Il tracking delle sorgenti astronomiche . . . . . . . . . . . 53

2.7.2 Lo schema dell’algoritmo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53

3 I test dell’algoritmo - Modelli e simulazioni 55

3.1 Introduzione - La precisione di puntamento . . . . . . . . . . . . . 55

3.2 La precisione sulla posizione del centroide . . . . . . . . . . . . . 55

3.2.1 La propagazione dell’errore sul calcolo del centroide . . . . 56

3.2.2 Un modello di stima per la discretizzazione: la stella quadrata 59

3.2.3 Le previsioni del modello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64

3.2.4 Il test Montecarlo sulla precisione del centroide . . . . . . 66

3.3 Il test sulla precisione di puntamento . . . . . . . . . . . . . . . . 72

3.3.1 L’indipendenza della precisione dalla distanza focale . . . . 75

3.4 Il riconoscimento stellare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76

3.4.1 Il test su immagini reali - Intensita e diametri delle stelle . 76

3.4.2 I test su immagini simulate . . . . . . . . . . . . . . . . . 79

4 Le prove sperimentali di precisione 91

4.1 Introduzione - I test ottici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91

4.2 Il rumore della CCD . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91

4.3 Le prove di messa a fuoco e di risoluzione . . . . . . . . . . . . . . 93

4.3.1 L’apparato sperimentale: il “cielo in una stanza” . . . . . 93

4.3.2 I risultati delle prove di messa a fuoco . . . . . . . . . . . 94

4.3.3 Intensita, diametri e tempi di esposizione . . . . . . . . . . 100

4.4 Le prove sulla precisione di puntamento . . . . . . . . . . . . . . . 102

4.4.1 Il metodo sperimentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102

4.4.2 I risultati delle misure . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105

Conclusioni 107

Bibliografia 109

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Ringraziamenti

Un’esperienza di lavoro o di studio, anche se breve e temporanea, comporta sem-

pre l’agitazione di quell’impalpabile e mai semplice preparato alchemico che sono

le relazioni tra persone.

Nel mio caso personale, pur essendo io persona schietta ma tendenzialmente

un po riservata e gelosa della propria “incolumita” sociale (gli individui, talvol-

ta, mi affascinano oltremisura, distraendomi dai miei doveri ed assorbendomi in

silenziose attenzioni...), posso dire di essermi trovato, nei quasi 18 mesi che han-

no visto il compiersi di questa mia esperienza di tesi presso i laboratori ILIL

dell’Istituto per i Processi Chimico-Fisici del CNR di Pisa, in uno dei migliori

ambienti di lavoro possibili. Oltre al prezioso atteggiamento verso la semplicita

delle cose che la faticosa disciplina di chi dedica la propria vita al progresso della

ricerca scientifica dovrebbe sempre dispensare, quello che ho potuto ampiamente

e quotidianamente apprezzare va ben al di la delle indicazioni, dei suggerimenti e

dei chiarimenti che ho necessariamente ricevuto per portare a termine un compito

altrimenti difficile.

La bravura dei “ragazzi” che mi hanno “incalzato” in questa esperienza e

indubbia: il prof. Danilo Giulietti, che con la sua affabilita mi ha portato a cono-

scenza dell’esistenza di una tematica di ricerca relativa ai sensori stellari, l’atten-

zione critica e sempre costruttiva del mio relatore, il dott. “Leo” Gizzi, la con-

sulenza informatica e “filosofica” del dott. Luca Labate, la costante e perspicua

disponibilita ad aiutarmi nel risolvere problemi di qualsiasi tipo ed a scambiare

opinioni sugli argomenti tecnici piu disparati del dott. Marco Galimberti....

Quello che invece vorrei qui ricordare, e sara per me difficile dimenticare in

futuro, e l’assoluta umanita che devo a tutte le persone che ho incontrato qui

all’ILIL, personale di ricerca e studenti; umanita (e generosita) che oggi sempre

piu spesso, anche tra persone cosiddette “colte”, va scomparendo a favore di un

modo di interpretare la “comunita” di coloro che si trovano a condividere un

luogo ed il fine del loro lavoro come una parentesi, un angolo di vita subıta che

non ha diritto, talvolta, di rimanere tra le nostre piu vere ed importanti basi di

significato individuale.

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Un sentitissimo e non risparmiabile grazie lo devo dunque, anche a costo di

ripetermi, al dott. Leonida Gizzi, al prof. Danilo Giulietti, ed al dott. Antonio

“Tonino” Giulietti, responsabile del laboratorio ILIL, al dott. Marco Galimberti,

al dott. Luca Labate, al dott. Paolo Tomassini, a tutti i ricercatori ed i tecnici

del nostro affollato corridoio.

Last but not least, voglio ricordare tutti gli studenti che si sono succeduti nel

preparare con me il loro lavoro di tesi nello stesso laboratorio: Alessio Misuri,

Flavio Zamponi, Carlo Alberto Cecchetti, Ersilio Castorina, Paola Squillacioti,

Monica Sanna, Evelina Breschi e, per scopi diversi da quelli della laurea, gli

ultimi arrivati Stephan Laville (Francia) e Thomas Dooher (Irlanda); un grazie

particolare va a Petra Koster (Germania), che ha condiviso com me il tempo

necessario a redigere la tesi al computer e le medesime sessioni degli appelli di

laurea (tesi e tesi specialistica).

Un ultimissimo ringraziamento lo esprimo ancora verso chi si e piu spesso fatto

carico dei miei pressanti dubbi e della mia necessita di ricevere sempre rinnovati

incoraggiamenti: i risultati di questo lavoro sono dedicati a Marco Galimberti,

che, con la sua infinita pazienza e cortesia, si e rivelato ancora una volta di piu

quell’uomo attento e curioso della Natura (soprattutto della montagna!) che

realmente lui e.

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Premessa

La realizzazione di un prototipo

di sensore stellare

Questo lavoro di tesi specialistica descrive l’attivita di sviluppo e di realizzazione

di un prototipo di sensore stellare ad alta precisione di puntamento compiuta pres-

so l’istituto IPCF del CNR di Pisa. Tale dispositivo, studiato nell’ambito di un

piu ampio progetto denominato HiPeG (High Performance Gondola), proposto in

collaborazione con l’istituto IASF del CNR di Bologna e finanziato dall’Agenzia

Spaziale Italiana, costituisce la base di un innovativo sistema di misura dell’as-

setto di una piattaforma scientifica di nuova concezione, in grado di supportare

esperimenti di astronomia X/γ effettuati in alta atmosfera con l’ausilio di palloni

areostatici.

Nella tesi verranno illustrati i principi, gli algoritmi e le soluzioni hardware

che sono alla base della realizzazione di un sistema capace di una totale au-

tonomia nella determinazione di una traiettoria di puntamento ottico tramite

l’identificazione di campi stellari.

Per raggiungere questo obiettivo e stato realizzato un software suddiviso in

piu livelli, ciascuno dei quali destinati ad assolvere ai seguenti compiti:

1. elaborazione di immagini digitalizzate per la rivelazione ottica e la localiz-

zazione di campi stellari;

2. estrazione dalle immagini di informazioni utili ad identificare le stelle tra-

mite confronto con i dati disponibili su appositi cataloghi stellari redatti in

formato elettronico;

3. determinazione dell’assetto del sistema ed utilizzo di questo parametro per

l’inseguimento della direzione di puntamento su immagini in movimento.

Nell’elaborato saranno quindi presentati i risultati di una serie di test e di si-

mulazioni numeriche, nonche saranno illustrati i risultati delle misure eseguite

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sull’hardware realizzato presso il laboratorio ILIL; gli elementi complessivamente

raccolti hanno mostrato la possibilita di determinare la misura dell’assetto entro

il limite di precisione di pochi secondi d’arco, soddisfacendo in tal modo i requisiti

del progetto HiPeG.

Nel merito della cultura scientifica acquisita durante lo svolgimento di questo

lavoro di tesi, oltre ad aver maturato nuove conoscenze nell’ambito delle tecniche

sperimentali dell’astrofisica X/γ, ottenute con la partecipazione all’International

Advanced School “Leonardo Da Vinci” 2002, organizzata sull’argomento dall’i-

stituto IASF del CNR di Bologna, ho personalmente avuto modo di conoscere un

ambito di ricerca molto specialistico e stimolante.

Durante questo lavoro ho avuto la possibilita di familiarizzare con le caratte-

ristiche e l’uso della strumentazione ottica ed elettronica (CCD) disponibile per

la realizzazione del sensore; ho inoltre acquisito esperienza nell’uso dell’ambiente

di programmazione (C++) che e servito per la realizzazione del software, oltreche

approfondito l’uso delle tecniche di calcolo numerico necessarie all’esecuzione dei

test di verifica.

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Capitolo 1

L’astronomia X/γ a quota

stratosferica ed il sistema HiPeG

1.1 La nuova generazione di telescopi spaziali

per radiazione X e γ

L’astrofisica delle alte energie e oggi una delle piu fertili e promettenti bran-

che del sapere scientifico. Il notevole progresso tecnologico e l’affinamento delle

capacita di analisi nell’elaborazione dei dati raccolti durante le recenti missioni

spaziali internazionali offrono nuovi e numerosi elementi per la verifica dei modelli

cosmologici attualmente allo studio.

Nell’ambito dell’astronomia X e γ condotta fuori atmosfera, unico ambiente

ove gli strumenti di misura possono accedere all’intero spettro della radiazione

elettromagnetica, la nuova generazione di rivelatori e telescopi operera con li-

velli di sensibilita e dinamica sempre maggiori al fine di raggiungere precisioni

sempre piu alte nella risoluzione angolare, temporale e spettrale delle sorgen-

ti di segnale. In particolare, le tecniche di risoluzione angolare basate sull’uso

di maschere ad ombreggiatura codificata (coded masks), che sfruttano il princi-

pio dell’oscuramento controllato della sorgente, o le metodologie di tracciamento

delle cinematiche quantistiche (per es. Compton scattering), hanno sinora con-

sentito la ricostruzione angolare della radiazione proveniente dallo spazio con

una precisione non inferiore a qualche minuto d’arco. Con queste tecniche di

imaging cosiddette passive, l’affinamento della risoluzione e limitata dall’aumen-

to del rumore termico-elettronico conseguente all’accrescimento delle dimensioni

dei telescopi e del volume di raccolta del segnale nei rivelatori ad essi associati.

Una possibile alternativa per aggirare questa impasse consiste nell’impiegare

dispositivi in grado di agire come un’ottica convergente, focalizzando in tal modo

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la radiazione X/γ in uno spot di dimensioni molto ridotte ove collocare il rive-

latore adeguatamente dimensionato. La figura (1.1) mostra, in particolare, un

confronto diretto delle caratteristiche del segnale d’uscita (rapporto segnale/ ru-

more) dei rivelatori impiegati comunemente nei telescopi per le alte energie, con

un prototipo basato su un’ottica diffrattiva per radiazione γ (progetto CLAIRE,

bibliografia [1] e [2]).

Figura 1.1: La figura illustra i principi di raccolta della radiazione alla base dei telescopi γ

tradizionali (coded mask e Compton) a confronto con un sistema di nuova concezione basato su

diffrazione Laue. Si puo osservare il miglioramento del rapporto S/N consentito dalle proprieta

focalizzanti dei nuovi telescopi. Acol e Vdet rappresentano rispettivamente l’area della superficie

di raccolta della radiazione ed il volume occupato dai detector.

Le ottiche per radiazione X/γ si basano su principi fisici diversi a seconda della

regione spettrale in esame. Nel caso di basse energie (componente “molle” della

radiazione X, con energie dei fotoni inferiori a qualche keV), lo scopo puo essere

facilmente raggiunto sfruttando il principio di riflessione per incidenza radente,

ovvero mendiante l’incidenza della radiazione su strati superficiali di materiali ad

alto numero Z (per es. Au o Ni) ad angoli molto piccoli. A tal proposito la figura

(1.2) illustra, come esempio, l’andamento della riflettivita dell’oro in funzione

dell’energia della radiazione incidente, mostrando come per angoli inferiori al

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Figura 1.2: Andamento del coefficiente di riflettivita dell’oro in funzione dell’energia della

radiazione incidente per angoli compresi tra 0.5 e 20 gradi.

grado e fino ad energie dell’ordine di qualche keV questa si discosti poco dall’unita

(bibliografia [3]).

Al fine di aumentare la superficie efficace di raccolta della radiazione, conte-

nere la lunghezza focale e ridurre le distorsioni sulle immagini fuori asse ottico, il

telescopio e costituito da blocchi formati da piu set di specchi concentrici profila-

ti con particolare sagomature, per esempio parabolica od iperbolica. Il grado di

perfezionamento di queste tecniche realizzative ha gia permesso il raggiungimento

di altissime risoluzioni angolari equivalenti a pochi secondi d’arco. Un esempio e

costituito dal telescopio CHANDRA, di cui la figura (1.3) illustra lo schema di

disposizione degli specchi.

Figura 1.3: Schema di disposizione delle ottiche ad incidenza radente del telescopio CHANDRA.

La disposizione concentrica delle sezioni paraboliche ed iperboliche degli specchi consente di

incrementare la sezione d’urto efficace del telescopio.

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Figura 1.4: Geometria della diffrazione tra i piani reticolari di un cristallo di germanio in un

telescopio Laue (progetto CLAIRE) e successiva focalizzazione sul rivelatore.

Per energie crescenti, e dunque per la componente X “dura” e γ, le tecniche

attualmente allo studio sono diverse e riguardano, ad esempio, le interazioni coe-

renti dei flussi di radiazione diffratti da un reticolo cristallino (tipicamente Ge o

Si) o le riflessioni multiple all’interno di un multilayer di un opportuno materiale

composito (bibliografia [4]). Nel caso di utilizzo di un reticolo cristallino si ot-

terra un fuoco nel primo massimo di diffrazione in geometria di Bragg (riflessione

sui reticoli del cristallo) o equivalentemente in geometria di Laue (trasmissione

nell’intero volume del cristallo) in funzione dell’energia della radiazione incidente.

Esempi di telescopi impieganti queste tecniche costruttive sono CLAIRE ed

HEXIT (bibliografia [5]), le cui caratteristiche di risoluzione angolare e di preci-

sione sono alla base della realizzazione del progetto HiPeG; la figura (1.4) illustra

schematicamente il funzionamento del telescopio diffrattivo a geometria di Laue

CLAIRE, dove d e θ sono, rispettivamente, la distanza tra i piani reticolari del

cristallo e l’angolo di incidenza della radiazione su di essi.

Come nel caso precedente e possibile notare la presenza di piu settori cir-

colari concentrici di materiale cristallino al fine di aumentare la sezione d’urto

complessiva del telescopio sulla radiazione raccolta.

Ovviamente la relazione di Bragg coinvolta nel fenomeno diffrattivo

2d sinϑ = nλ (1.1)

essendo n l’ordine di diffrazione, garantisce esclusivamente la focalizzazione di

un flusso di radiazione monocromatico, la cui lunghezza d’onda λ e funzione del

materiale adoperato.

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1.2 L’astrofisica in alta atmosfera

Lo sviluppo e la messa a punto di queste nuove ottiche X/γ richiede test e campa-

gne di misura da effettuare al di fuori dell’atmosfera terrestre. Considerati i costi

elevati ed i lunghi tempi di pianificazione che la messa in orbita di un satellite

dedicato comporterebbe, il consolidamento di queste tecniche osservative viene

realizzato su piattaforme galleggianti a quota stratosferica.

Da molti anni infatti numerose missioni specialistiche sono state realizzate

con l’impiego di strutture metalliche compatte e resistenti denominate gondole,

equipaggiate con pesanti apparecchiature scientifiche e mantenute ad alta quota

da palloni areostatici. Tali piattaforme, tipicamente assemblate utilizzando allu-

minio o leghe leggere a base di fibre di carbonio, possono avere un peso contenuto

entro le poche centinaia di chilogrammi.

Il compito del trasporto e del mantenimento in quota e affidato a grossi palloni

(ballons) di materiale plastico, riempiti con gas inerte (tipicamente elio) in quan-

tita tale da poter galleggiare ai margini superiori della stratosfera terrestre (circa

40 km di altezza) per intervalli di tempo considerevoli che vanno da alcune ore

fino ad alcune settimane o mesi, come nel caso di alcuni voli circumpolari. Com-

patibilmente con le condizioni metereologiche e con il movimento delle masse

d’aria nell’atmosfera, questa modalita di trasporto consente, oltre alla possibi-

lita di ottenere i risultati osservativi richiesti, anche il recupero dell’attrezzatura

utilizzata.

Figura 1.5: Due momenti del lancio di una missione su pallone: a sinistra e possibile vedere la

fase di riempimento del pallone tramite un apposito condotto di alimentazione del gas; a destra

lo stesso pallone, raggiunta la sufficiente quantita di elio, viene sganciato dall’ancoraggio per

consentirne il sollevamento verso il cielo; in basso e visibile la gondola ancora al suolo.

Le quote raggiungibili con questi mezzi consentono tipicamente misure nel

range di energie superiori ai 30 keV (componente “dura” dei raggi X e raggi

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γ): per queste energie i gas residui che si trovano negli alti strati dell’atmosfe-

ra, sopra il pallone, contribuiscono a circa il 0.3 % dell’assorbimento radiativo

dell’atmosfera totale (bibliografia [6]). Come si puo infatti osservare dalla figu-

ra (1.6), l’atmosfera terrestre ammette una finestra di trasparenza molto stretta

per le radiazioni elettromagnatiche provenienti dallo spazio: solo le frequenze che

cadono nel visibile sono rilevabili al livello del mare. Per effettuare osservazioni

in una piu ampia regione di spettro, occorre quindi raggiungere con mezzi ade-

guati l’altitudine necessaria ad evitare il completo assorbimento delle frequenze

di interesse.

Figura 1.6: La figura illustra l’andamento delle quote che le componenti dello spettro elettro-

magnetico riescono a raggiungere attraversando l’atmosfera terrestre: per rivelare radiazione al

di fuori delle frequenze visibili, e necessario l’impiego di opportuni mezzi di trasporto.

Il parametro caratteristico dell’opacita atmosferica, la lunghezza di assorbi-

mento, e tipicamente descritto da un andamento che e possibile valutare in figura

(1.7) come funzione dell’energia della radiazione incidente e della quota. Da tale

andamento emerge come entro 40 km di altitudine, corrispondente alla quota nor-

malmente raggiungibile dai palloni stratosferici, sia realizzabile un ampio margine

di visibilita in energie di radiazione.

I risultati scientifici delle missioni supportate da piattaforme trasportate da

palloni stratosferici hanno contribuito, in un recente passato, ad ottenere le prime

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20

40

60

80

100

120

140

160

0.1 1 10 100 1000

Altit

udin

e (k

m)

Energia (keV)

Figura 1.7: Andamento medio della penetrazione della radiazione X e γ attraverso l’atmosfera

terrestre. Fissato in ascissa un valore di energia, il corrispondente punto sulla scala delle

altitudini indica la quota alla quale l’intensita della radiazione incidente risulta ridotta di un

fattore 1/e. I valori sono stati ricavati elaborando un modello disponibile in bibliografia [7] e

[8].

mappe del cielo con sorgenti di radiazione tra i 30 e 1000 keV (tra le quali

nuovi oggetti emittenti interpretabili come possibili buchi neri al centro della

galassia), nonche ulteriori evidenze delle tracce di una radiazione “fossile” diffusa

nell’universo (per es. missione BOOMERanG). Con l’impiego di questa tecnica

sono stati anche evidenziati i casi di decadimento γ del Cobalto in residui di

supernova ed approfondimenti spettroscopici su altre sorgenti piu deboli gia note.

1.3 Le caratteristiche del volo stratosferico

La realizzazione di sistemi di guida per telescopi in uso su palloni stratosferici deve

tener conto delle caratteristiche ambientali presenti nelle condizioni operative.

Queste caratteristiche tipiche sono riassumibili nella figura (1.8), dove vengono

mostrati, come esempio, i dati forniti dalla telemetria eseguita in tempo reale

durante lo svolgimento della missione LAPEX (bibliografia [9], si veda anche il

paragrafo successivo) e comprendenti, oltre al monitoraggio della posizione della

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Figura 1.8: Andamento della traiettoria, dell’altitudine, della pressione e della temperatura

tipiche di un volo eseguito con l’impiego di un pallone stratosferico. In questo caso i dati si

riferiscono all’esperimento LAPEX (1995). E possibile notare, in particolare, come la quota di

galleggiamento sia stata raggiunta dopo circa 3 ore dal momento del lancio.

piattaforma rispetto alla Terra come ottenuta da un sensore GPS (Global Position

System), la pressione dell’aria e la temperatura esterna. Tutte le grandezze sono

state valutate esprimendo nell’ora universale del meridiano di Greenwich (U.T.)

il tempo trascorso dal momento del lancio al successivo recupero.

Durante lo svolgimento di una missione scientifica su pallone stratosferico, la

determinazione dell’assetto della piattaforma riveste un’importanza fondamen-

tale, in quanto questo consente il corretto puntamento del telescopio imbarcato

e fornisce un criterio per la convalida dei dati raccolti. Nel caso della missione

LAPEX, la determinazione dell’assetto e stata ottenuta con l’impiego di un ma-

gnetometro; questo dispositivo offre pero un livello di precisione limitato, oltre

allo svantaggio di richiedere una calibrazione “in situ” a causa delle non omo-

geneita spaziali del campo magnetico terrestre. Per poter garantire precisioni di

puntamento compatibili con le risoluzioni angolari dei nuovi telescopi X/γ, occor-

re dunque la realizzazione di una piattaforma di nuova concezione: in particolare

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OTTICHE X/γ :

Caratteristiche

Inc. radente

(HEXIT )

Diff. Bragg

(HAXTEL)

Diff. Laue

(CLAIRE)

Range energia (keV ) 30-70 60-150 170 (511)

Lung. focale (m) v6 v5 2.76 (8.29)

V isuale (arcmin) 10 80 1 (15 arcsec)

Area efficace (cm2) 18 @40keV 100 @80keV 94 @170keV

Ris. angolare (arcsec) 30 60 60 (15)

Tabella 1.1: Le pricipali grandezze caratteristiche dei nuovi telescopi X/γ; in particolare l’ottica

ad incidenza radente HEXIT, candidata ad essere in futuro supportata dal sistema HiPeG,

garantisce una risoluzione angolare sino a 30 arcosecondi. Il telescopio CLAIRE, gia operativo,

e attualmente in fase di up-grading (valori tra parentesi).

si sono dimostrati adatti a questo scopo specifici sistemi GPS e sensori stellari

ad alta frequenza di up-date.

1.4 Il progetto HiPeG (High Performance Gon-

dola)

Le grosse dimensioni dei futuri telescopi X/γ, dotati tipicamente di lunghezze

focali comprese tra i 5 e 10 metri e di risoluzioni angolari contenute entro qualche

decina di arcosecondi di precisione (si veda, per alcuni esempi, la tabella (1.1)),

richiedono l’uso di piattaforme capaci di un’alta stabilita di assetto e di una

grande accuratezza di puntamento.

Attualmente, grazie ad una collaborazione tra l’istituto IASF del CNR di

Bologna e l’istituto IPCF del CNR di Pisa, e in avanzata fase di realizzazione

il prototipo di un sistema dotato di queste caratteristiche, denominato HiPeG

(High Performance Gondola) (bibliografia [10] e [11]). Il progetto, finanziato dal-

l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), parte dall’esperienza acquisita con precedenti

missioni (per es. esperimento LAPEX, figura (1.9), e GAMTEL (bibliografia

[12])) ed ha come obiettivo la realizzazione di un sistema di puntamento dotato

di caratteristiche di grande affidabilita e flessibilita di utilizzo, adatte alle fu-

ture missioni di prova dei nuovi telescopi X/γ. E gia previsto infatti l’impiego

della piattaforma HiPeG per il supporto dell’esperimento HEXIT, recentemente

anch’esso approvato e finanziato dall’ASI, e dell’esperimento CLAIRE.

La tabella (1.2) riassume i margini di precisione che il sistema HiPeG dovra

essere in grado di assicurare in maniera completamente autonoma.

Le tre grandezze riportate in tabella sono rispettivamente la stabilita di punta-

15

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Figura 1.9: Due immagini della gondola utilizzata nella missione LAPEX: a sinistra e possibile

vedere il trasporto della piattaforma (completa di telescopio) sull’area di lancio della base NASA

di Fort Sumner, New Mexico (USA), nell’ottobre 1995; a destra, invece, il disegno raffigura la

struttura base della stessa gondola, che costituira anche la base di HiPeG. Le dimensioni sono

approssimativamente 3 m× 2 m× 2.3 m. Il peso e di circa 350 Kg.

GONDOLA

REQUIREMENTS

Pointing

accuracy

(arcsec)

Pointing

stability

(arcsec)

Pointing

knowledge

(arcsec)

Goal 20 60 10

Tabella 1.2: Requisiti di puntamento del progetto HiPeG. Il significato dei termini impiegati e

illustrato nel testo.

mento statico (pointing accuracy), la stabilita di puntamento dinamico (pointing

stability) e la precisione con cui e nota l’acquisizione di puntamento della gon-

dola (pointing knowledge). La prima grandezza esprime la precisione ottenibile

dal sistema di controllo dell’assetto nel caso di direzione di puntamento stabile

nel tempo, in condizione cioe di azimut della piattaforma mantenuto costante;

la seconda grandezza esprime la precisione ottenibile nella fase di inseguimento

del puntamento: il sistema dovra infatti essere in grado di raggiungere e stabi-

lizzare l’assetto della gondola eseguendo spostamenti azimutali e zenitali al fine

di mantenere il piu possibile costante nel tempo la direzione di puntamento del

telescopio sulla sorgente astronomica in esame. Come si puo dedurre osservando

i valori riportati in tabella, i margini di precisione che l’elettronica e la meccanica

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Page 19: Realizzazione di un prototipo di sensore stellare per ... · stellare per esperimenti di astronomia X/° su piattaforme galleggianti a quota stratosferica Relatore: Candidato: Dott.

del sistema sono in grado di fornire nel caso della stabilizzazione di una direzione

costante sono diversi da quelli ottenibili nell’inseguimento di una sorgente in moto

apparente: quest’ultima e inferiore a causa delle frequenti correzioni da appor-

tare ad una direzione che si sposta nel tempo a causa del moto apparente della

sfera celeste. La precisione nell’acquisizione di puntamento (pointing knowledge)

e invece il fattore decisivo per la ricostruzione “post-factum” della traiettoria di

puntamento e, di conseguenza, per l’analisi dei dati provenienti dal telescopio:

tale precisione, infatti, consentira di conoscere l’effettiva direzione di puntamen-

to con una precisione assoluta almeno dell’ordine di grandezza della risoluzione

stessa del telescopio, consentendo cosı di attribuire il segnale misurato alla reale

direzione di provenienza.

La determinazione dell’assetto della piattaforma sara assolto, come prevede il

progetto, da due sistemi distinti:

1. il primo costituito da un sensore GPS a quattro antenne, ciascuna dispo-

sta ai vertici di un quadrato di diagonale lunga 2 metri (si veda la figura

successiva) e complanari alla superficie di base della gondola: questa sara

in grado di elaborare l’informazione proveniente da almeno 12 satelliti GPS

in rotazione attorno alla Terra per determinare l’assetto del sistema stesso

con una accuratezza di circa 0.5 milliradianti (circa 1.8 arcmin);

Figura 1.10: Disposizione nel piano dell’array di quattro antenne costituenti il sistema di rileva-

mento GPS. Tale configurazione permette il monitoraggio nel tempo degli spostamenti attorno

ai tre assi della struttura raffigurata con la precisione di circa 0.5 milliradianti.

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2. il secondo sara costituito da un sensore stellare, dispositivo in grado di

elaborare l’informazione contenuta nell’immagine elettronica di un campo

stellare, al fine di ricavare le coordinate di puntamento del sistema con

una precisione molto maggiore di quella ottenibile dal sistema GPS (alcuni

arcosecondi, equivalenti al pointing knowledge specificato in tabella (1.2)).

Figura 1.11: La foto mostra la parte sensibile del sensore stellare di HiPeG: come un comune

apparecchio fotografico digitale, esso e formato da un obiettivo integrato ad un dispositivo per

la formazione delle immagini; in questo caso un dispositivo ad accoppiamento di carica (CCD).

I due dispositivi forniranno l’assetto del sistema con livelli di precisione dif-

ferenti ed utili in funzione della diversa precisione raggiungibile dalla meccanica

del sistema, dipendente dall’inerzia della piattaforma e dalle particolari condizio-

ni che si possono manifestare durante il volo. Il sensore stellare, in particolare,

costituira l’unico strumento in grado di affinare la misura necessaria a garantire

le migliori prestazioni del sistema di controllo dell’assetto. Inoltre l’informazio-

ne sull’assetto potra essere disponibile con continuita, anche qualora uno dei

due dispositivi risultasse momentaneamente non operativo (segnale proveniente

dai satelliti non disponibile o fallimento dell’algoritmo di riconoscimento stellare,

quest’ultimo illustrato nel prossimo capitolo).

1.5 HiPeG - Il sistema di bordo

Le operazioni fondamentali necessarie al controllo del volo durante la missione

saranno eseguite da un insieme di elementi software ed hardware installati a bordo

della piattaforma. Lo schema a blocchi di figura (1.12) riassume il funzionamento

del sistema.

18

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Figura 1.12: Schema a bolcchi del funzionamento del sistema di bordo della gondola HiPeG. I

componenti principali che costituiscono l’insieme sono descritti nel testo.

Il processore del computer di bordo (processor control) confronta il valore

disponibile in memoria, relativo al puntamento previsto dal piano di volo, con

quello fornito dal dispositivo GPS e dal sensore stellare: in tal modo si disporra di

informazoni per un raggiungimento rapido dell’assetto desiderato (spostamento

della direzione di puntamento per angoli grandi) o per una sua correzione piu

graduale e precisa (spostamenti per angoli piu piccoli). Un segnale di reazione,

proporzionale alla differenza dei valori ricevuti dal processore, verra quindi in-

viato ad un motore elettrico in grado di correggere l’orientazione azimutale della

gondola, ruotandola grazie ad un giunto di disaccoppiamento (pivot) situato tra

il cavo di trazione del pallone ed il carico sospeso; successivamente uno o piu

ulteriori motori saranno in grado di avviare la rotazione di altrettante ruote di

reazione (reaction wheels), agenti come compensatori del momento angolare allo

scopo di permettere la regolazione fine dell’assetto azimutale. Infine, un ultimo

giunto motorizzato guidera il raggiungimento del corretto allineamento zenitale

del telescopio rispetto al piano della gondola. Un collegamento radio, inoltre,

garantira la trasmissione a terra in tempo reale delle informazioni necessarie al

monitoraggio del sistema (decoder-encoder).

Le correzioni d’assetto sin qui illustrate, a causa dell’inerzia delle masse coin-

volte e dal loop del segnale fornito in modo continuo dal dispositivo GPS o dal

sensore stellare, possono innescare oscillazioni. La logica del sistema di bordo tie-

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ne conto di questi effetti impostando in maniera automatica i parametri di guida

di motori in grado di smorzare in breve tempo le oscillazioni; le figure (1.13) e

(1.14) illustrano i risultati di test effettuati sul sistema attualmente in fase di

sviluppo. In particolare la figura (1.13) mostra l’andamento tipico oscillatorio

smorzato del sistema nel caso di spostamento della struttura di un ampio ango-

lo (90◦), tale da permettere il raggiungimento di una direzione di puntamento

indicata (direzione di puntamento nominale 0). Questa situazione, che in condi-

zioni operative si presenta nella fase di primo puntamento di una nuova sorgente

astronomica, e detta di off-set.

Figura 1.13: Andamento nel tempo della correzione di un angolo di off-set di 90 gradi. Il sistema

raggiunge un equilibrio stabile attorno alla posizione di puntamento 0 in circa 4 minuti.

I successivi grafici in figura (1.14) mostrano rispettivamente l’andamento della

stabilizzazione nel caso di mantenimento del puntamento nominale (puntamen-

to statico) e nel caso dell’inseguimento di una direzione di un possibile target

astronomico in lento spostamento uniforme (puntamento dinamico): si noti, in

quest’ultimo caso, la diversa entita delle deviazioni dalla direzione di puntamento

ideale.

Ovviamente, affinche sia garantito un effettivo aggancio della corretta tra-

iettoria di puntamento verso la sorgente astronomica in esame, e necessario che

l’acquisizione di informazione da parte dei dispositivi (GPS e sensore stellare)

venga effettuata ad intervalli di tempo minori del tempo caratterisico del siste-

ma, ovvero del tempo necessario al sistema stesso per completare la sequenza

delle operazioni di acquisizione e reazione sin qui descritte; in tal modo si potra

contenere al minimo la deviazione dalla posizione di puntamento desiderata.

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Figura 1.14: A sinistra e visibile l’andamento nel tempo della stabilita di puntamento attorno

alla posizione 0; l’oscillazione, centrata su questa posizione, non supera 1.5 arcominuti di de-

viazione massima. A destra e invece visibile l’andamento delle oscillazioni del sistema attorno

ad una direzione di puntamento nominale in lento spostamento uniforme; questa operazione e

quella che nel testo viene descritta come fase di inseguimento o tracking.

Considerati i parametri di funzionamento del dispositivo GPS, gia disponibile

presso i laboratori dello IASF e valutabili con una frequenza di campionamento di

circa 1 Hz, e conformemente al tempo caratteristico espresso dalla meccanica ivi

realizzata, si e ritenuto di uniformare a tale valore anche la frequenza di up-date

fra due successive immagini analizzate dal sensore stellare.

1.6 I sensori stellari

Prima di descrivere, nel prossimo capitolo, le strategie impiegate nell’elaborazione

di un programma di riconoscimento di un campo stellare, come richiesto dall’im-

piego di uno star sensor alla base del progetto HiPeG, si accenna brevemente

all’evoluzione ed alle caratteristiche generali di tale dispositivo (bibliografia [13]).

Fino alla meta degli anni ’70 la determinazione dell’assetto di apparecchiature

in volo era affidata a fototubi Vidicon ed a fotomoltiplicatori racchiusi in montaggi

in vetro, esposti a facili rotture durante gli stress meccanici subiti in seguito alle

procedure di lancio o di atterraggio. In piu tali dispositivi possedevano scarse

risoluzioni spaziali (imprevedibilita del comportamento del pennello elettronico in

presenza di campi magnetici, in presenza di variazioni di temperatura etc., unita

alla non esatta ripetibilita dell’individuazione dei pixel costituenti lo schermo tra

una scansione e la successiva) e nessuna risoluzione in energia.

Durante gli ultimi vent’anni le tecniche astronautiche ed astronomiche han-

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no conosciuto un rapido progresso grazie all’avvento dei dispositivi elettronici

ad accoppiamento di carica (CCD) e alla sempre piu spinta miniaturizzazione

dei circuiti integrati. Questi rivelatori ottici a stato solido hanno notevoli van-

taggi: dimensioni ridottissime, insensibilita ai campi magnetici, basse tensioni

d’esercizio, risoluzione geometrica assicurata dalla struttura intrinseca del chip

(discretizzazione dei pixel) e, soprattutto, alta linearita fotometrica, alto rappor-

to segnale/rumore, capacita di integrare il segnale, alta efficienza quantica ed alta

dinamica (rapporto tra minimo e massimo segnale rivelabile).

Queste caratteristiche hanno permesso di estendere le possibilita di impiego

degli attuali sensori stellari. In passato, infatti, l’impiego di una tale apparec-

chiatura era limitato al solo monitoraggio dell’assetto rispetto alla sfera celeste

praticando esclusivamente il tracking (inseguimento del puntamento) di un’unica

stella prescelta nel campo di vista d’interesse e particolarmente luminosa (stelle

di magnitudine elevata), la cui posizione veniva segnalata da Terra.

Tuttavia, per realizzare un sistema di puntamento autonomo e preciso, que-

sta sola operazione non e di per se sufficiente ed occorre quindi dotare il sistema

della capacita di identificare piu stelle presenti nel campo di vista, riconoscen-

do ed utilizzando un certo numero di caratteristiche efficaci a questo scopo. La

magnitudine non e infatti un discriminante sufficiente ad identificare univoca-

mente insiemi di stelle: solo l’analisi di un ampio campo di vista contenente un

adeguato numero di parametri misurabili e non ripetuti identicamente, come ad

esempio una mappa di distanze angolari reciproche, puo fornire informazioni di

puntamento precise ed in completa autonomia. In aggiunta, il monitoraggio della

posizione di un gran numero di stelle e intrinsecamente molto accurato: il calcolo

di una media ottenuta su piu stelle disponibili di un ampio campo di vista, riduce

l’errore di puntamento rispetto a quello ottenuto con una singola stella con un

andamento del tipo:

Errore sull′asse ottico dell′assetto ≈ Errore singola stella√Numero stelle

(1.2)

Le potenze di calcolo e le capacita di memoria oggi disponibili, consentono di

acquisire e processare immagini di campi stellari sufficientemente ampi da conte-

nere un numero di stelle molto elevato e valutabile nell’ordine di alcune decine.

Il raggiungimento di queste prestazioni impone quindi lo sviluppo di algoritmi in

grado di elaborare le immagini fornite dal rivelatore ottico per poi ricavarne le

reali coordinate di puntamento rispetto ad un rifermento assoluto. Lo sviluppo

e la verifica di un algoritmo di questo tipo costituisce il principale obiettivo di

questo lavoro di tesi.

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Figura 1.15: Il sensore stellare di HiPeG prima dell’assemblaggio finale: a sinistra e visibile la

camera digitale fornita di obiettivo fotografico montata su di un supporto in alluminio ospitante

il computer e la scheda video per la lettura delle immagini; a destra e visibile l’alloggiamento

in acciaio inox dotato di finestra ottica.

1.7 Il sensore stellare di HiPeG

Il prototipo di sensore stellare del sistema HiPeG e concepito per fornire una

precisione di puntamento di pochi arcosecondi ed e dotato di caratteristiche che

lo differenziano dai sensori stellari comunemente impiegati, destinati cioe a un

uso a bordo di satelliti; questi ultimi, infatti, sono dotati anche di sistemi inerziali

per il rilevamento dell’assetto (giroscopi meccanici od ottici) e necessitano quindi

di sensori stellari dotati di minori sensibilita e di frequenze di up-date non elevate.

Nel caso di piattaforme trasportate da palloni stratosferici, il controllo dell’as-

setto e operato in condizioni di maggiore instabilita meccanica e quindi l’infor-

mazione del sensore stellare assume un valore critico. L’alta dinamica della CCD

e la notevole capacita di calcolo necessaria per ottenere dati di alta precisione

in un riferimento non inerziale come quello di una gondola, richiedono pertanto

l’impiego di una componentistica hardware che non trova riscontro nei sensori

stellari normalmente commercializzati per usi satellitari (bibliografia [14]). Que-

ste considerazioni hanno imposto che l’intera fase di sviluppo ed assemblaggio

venisse condotta autonomamente presso l’istituto IPCF del CNR di Pisa sulla

base dei requisiti di HiPeG.

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1.7.1 La parte elettronica

La parte elettronica del sensore stellare si compone di una camera digitale e

di un computer di fabbricazione industriale. La camera digitale, una SenSys

0400 prodotta dalla Photometrics e disegnata appositamente per usi scientifici,

e equipaggiata con una CCD Kodak KAF 400 e con un convertitore analogico-

digitale tale da permettere una dinamica del segnale equivalente a 12 bit. La

CCD e costituita da una matrice di 768×512 pixel quadrati, ciascuno dei quali

di lato 9 µm. La CCD possiede infine un sistema di raffreddamento autonomo

basato su di una cella di Peltier.

Il computer utilizzato si basa su di un processore Celeron Pentium III con

frequenza 900 MHz e memoria RAM pari a 128 MB. In condizioni operative a

quota stratosferica, e previsto che le componenti del sensore, racchiuse nell’in-

volucro pressurizzato di acciaio inox visibile in figura (1.15), si trovino immerse

in un’atmosfera di gas inerte (azoto), in grado di assicurare un adeguato scam-

bio termico e di evitare fenomeni di condensazione dovuti alle basse temperature

presenti all’esterno.

1.7.2 La parte ottica

L’ottica abbinata alla camera e costituita da un teleobiettivo Tamron dotato di

una focale fissa di 105 mm, messa a fuoco manuale e rapporto focale pari a 2.5.

Nelle condizioni operative in quota, la focalizzazione delle immagini sara ottenuta

con l’impiego di un motore elettrico a controllo numerico, in grado di azionare

una vite senza fine calettata su di un supporto stretto alla ghiera di messa a fuoco

dell’ottica.

Nella previsione di un impiego diurno del sensore si disporra altresı per l’inse-

rimento meccanico di un filtro per il taglio della componente di scattering della

radiazione luminosa e di un baffle.

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Capitolo 2

L’algoritmo di riconoscimento

stellare

2.1 Introduzione

In questo capitolo vengono descritti i principi alla base del software impiegato per

la misura di puntamento del sensore stellare. E utile premettere che esistono pro-

grammi di identificazione di campi stellari di tipo commerciale (bibliografia [15])

ed in un primo momento si sono quindi valutate le performance di alcuni prodot-

ti disponibili; tuttavia questi programmi si sono rivelati insufficienti a soddisfare

le prestazioni di velocita ed efficienza richieste dal progetto HiPeG. Si e ricorso

quindi alla compilazione di un programma originale, le cui linee guida, pur traen-

do spunto dalla letteratura scientifica esistente sull’argomento (bibliografia [16] e

[17]), utilizzano soluzioni originali in grado di assicurare una maggiore velocita di

esecuzione. Per ottenere una piu ampia versatilita di impiego, la strategia adot-

tata per il riconoscimento stellare e in larga misura indipendente dall’hardware

utilizzato (bibliografia [18]).

2.1.1 I livelli sequenziali del software

Il software sviluppato durante lo studio del progetto prevede cinque livelli di

esecuzione, ognuno dei quali trovera una dettagliata descrizione nei paragrafi che

costituiscono il presente capitolo. I livelli sequenziali del programma possono

essere schematicamente cosı riassunti:

1. compilazione di un catalogo stellare da utilizzare come riferimento per l’i-

dentificazione delle stelle rivelate nell’immagine digitale della CCD - para-

grafo (2.2);

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2. elaborazione delle immagini acquisite dalla CCD per la localizzazione delle

probabili stelle - paragrafo (2.3);

3. riconoscimento tramite il confronto di gruppi di stelle tra loro vicine presenti

nell’immagine della CCD con i corrispondenti gruppi di stelle provenienti

dal catalogo ricavato al punto 1 - paragrafi (2.4) e (2.5);

4. calcolo dell’assetto ed affinamento della sua misura - paragrafo (2.6);

5. algoritmo di “inseguimento” (o tracking) dell’assetto determinato al punto

4 - paragrafo (2.7).

Il principio alla base del riconoscimento stellare prevede, tramite l’elaborazio-

ne dell’immagine fotografica digitale, l’ottenimento di opportune caratteristiche

stellari che possano essere confrontate con quelle contenute nel catalogo pre-

compilato (punto 1). Poiche l’apparecchiatura digitale impiegata (CCD) “discre-

tizza” nei pixel suoi costituenti l’energia luminosa raccolta, occorre individuare il

numero di questi realmente interessati dalla radiazione stellare per evitare, e dun-

que scartare, tutti gli eventuali pixel “illuminati” dalle varie sorgenti di rumore

esistenti, siano queste di natura elettronica o di provenienza ambientale (punto

2).

A questo punto l’algoritmo di riconoscimento vero e proprio esegue i confronti

e registra gli accordi tra le stelle dell’immagine e quelle del catalogo (punto 3)

per determinare quale settore della sfera celeste individui il campo di vista in-

quadrato dalla telecamera (f.o.v., field of view), lasciando poi al passo successivo

(punto 4) il calcolo della direzione di puntamento dell’ottica e dell’assetto del

sistema. L’ultimo algoritmo implementato (punto 5), utile nel caso di sposta-

mento della gondola, utilizza le stelle riconosciute in un’immagine come elementi

di un catalogo di dimensioni ridotte da utilizzare per semplificare la procedura

di riconoscimento dell’immagine successiva: se il numero delle stelle presenti nel

catalogo “ridotto” non e sufficiente ad identificare il nuovo campo stellare, la

procedura considera tutte le possibili stelle del catalogo presenti nel campo di

vista.

2.1.2 Il calcolo dell’assetto I - Caso di due stelle

Per illustrare i principi base dell’algoritmo, e ora utile indicare i parametri neces-

sari ad ottenere lo scopo finale del riconoscimento stellare: il calcolo dell’assetto

del sensore. Quest’ultimo, in particolare, si basa sulla proprieta di invarianza del

prodotto scalare di due vettori eseguito in due differenti sistemi di coordinate.

Per illustrare questo metodo si esaminera dapprima il modo di ricavare la misura

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dell’assetto con semplici considerazioni geometriche nel caso di 2 stelle identifica-

te; questo risultato verra successivamente generalizzato al caso di un’immagine

contenente un numero arbitrario di stelle.

Come gia specificato in precedenza, il sensore stellare impiega un dispositivo

di accoppiamento di carica per la rilevazione delle immagini stellari: il calcolo

dell’assetto si riduce quindi alla conoscenza dell’orientamento dell’area sensibile

della CCD in quanto superficie nello spazio tridimensionale. I parametri, o gradi

di liberta, necessari alla determinazione dell’orientamento di una superficie con

centro nell’origine di un sistema di coordinate sono 3: come e mostrato in figura

(2.1), una coppia di parametri (α e β) individua il punto di intersezione della nor-

male alla superficie con una sfera di raggio unitario centrata nell’origine, mentre

il parametro rimanente (γ) indica il punto di intersezione del prolungamento di

uno spigolo con il cerchio massimo.

ccd

xz

α

β

γ

Figura 2.1: La CCD e una superficie nello spazio: se la sua origine coincide con il centro di un

sistema di coordinate, i suoi gradi di liberta sono 3, corrispondenti agli angoli α, β e γ visibili

in figura. x e z sono rispettivamente i versori di uno spigolo e della normale alla superficie.

Se si considerano le stelle come punti noti sulla superficie di una sfera unita-

ria che chiameremo riferimento “assoluto”, l’identificazione di almeno due stelle

fornisce il minimo contributo di informazione alla determinazione dell’assetto in

questo riferimento: la loro posizione sulla sfera determina infatti 4 parametri.

Poiche le stelle inquadrate dalla CCD sono localizzate sulla sfera con vettori

unitari le cui componenti sono note in un riferimento solidale alla CCD stessa,

l’identificazione di due stelle consente anche di effettuare la trasformazione delle

componenti di un vettore nei due riferimenti. Se si indica come direzione di pun-

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tamento incognita il versore z normale alla superficie della CCD nella terna del

riferimento assoluto, e si dispone di due stelle note contemporaneamente nella

due terne, e possibile creare una supplementare terna di “passaggio” esprimibi-

le in entrambi i riferimenti, dove utilizzare le proprieta invarianti del prodotto

scalare per risolvere il problema.

VW

Origine terna assoluta

Origine terna CCD

Z Y

X

Figura 2.2: La figura illustra la disposizione della terna di passaggio rispetto al piano della

CCD. I vettori V e W individuano la posizione delle stelle nella terna del riferimento assoluto.

Dati infatti V e W i vettori unitari che identificano la posizione di due stelle

nel riferimento della CCD, si ottiene una nuova terna normale semplicemente

facendo uso dei vettori ortonormalizzati:

X = 〈W − V 〉, Y = 〈W + V 〉, Z = 〈 X × Y 〉 (2.1)

Se si esprime questa stessa terna nel riferimento assoluto con i versori:

X, Y, Z (2.2)

grazie alla conoscenza dei vettori unitari V e W delle due stelle nel catalogo

stellare (e quindi nel riferimento assoluto), la relazione esistente tra i versori

della terna ed i vettori posizione del catalogo e la medesima (figura (2.2)):

X = 〈W −V 〉, Y = 〈W +V 〉, Z = 〈 X×Y 〉 (2.3)

Il versore incognita z, corrispondente al versore z di componenti (0,0,1) nella

terna solidale alla CCD, e ora esprimibile in componenti nella terna di passaggio

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come (A,B,C) se si effettua il prodotto scalare di z con i versori di quest’ultima:

A = z · XB = z · Y (2.4)

C = z · Z

Tali valori saranno identici anche per il versore z rispetto alla terna espressa nel

riferimento assoluto, in accordo alle note proprieta di invarianza del prodotto

scalare. Percio il versore z calcolato nella terna assoluta sara

z = A X+B Y + C Z (2.5)

risolvendo in tal modo il problema posto in partenza.

La determinazione completa della terna puo essere raggiunta eseguendo lo

stesso calcolo su di un altro versore della terna CCD. La conoscenza delle coor-

dinate di due sole stelle non e pero utile a determinare l’assetto senza ambiguita.

Infatti in questo caso rimane un’incertezza esistente sulla loro posizione reciproca,

dovuta al fatto che il riconoscimento stellare avviene valutando le distanze ango-

lari reciproche fra le stelle. Poiche inoltre, in questa fase di sviluppo l’algoritmo

trascura la magnitudine stellare come ulteriore parametro identificativo, la solu-

zione del problema richiede l’identificazione di almeno un’altra stella che formi

con le restanti un triangolo scaleno. Un pattern triangolare, dunque, costituisce

la minima figura geometrica che puo essere considerata attendibile nell’anali-

si delle distanze reciproche tra le stelle contenute in un’immagine: ovviamente

un maggior numero di stelle visualizzate ridurra ulteriormente la possibilita di

incontrare triangoli tra loro eguali e dunque ancora di identificazione incerta.

Nei paragrafi successivi si illustrera quindi come l’algoritmo effettui il rico-

noscimento basandosi sul confronto di semplici pattern triangolari formati dalle

distanze stellari. Il caso piu generale di calcolo dell’assetto (N stelle presenti

nell’immagine) sara illustrato nel paragrafo (2.6.2).

2.2 Lo schema di funzionamento del sensore e

la procedura di inizializzazione del catalogo

stellare

Il software del sensore gestisce, oltre ai parametri necessari al riconoscimento

stellare, anche la procedura di discriminazione tra i segnali dovuti alle stelle

e quelli causati dalle fonti di rumore della CCD. Inoltre, durante l’esecuzione

29

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Figura 2.3: Lo schema del funzionamento del sensore stellare. La routine Init() esegue la com-

pilazione del catalogo stellare; la routine Riconosci(), oltre al riconoscimento stellare, fornisce la

misura del diametro stellare medio utile utile a pilotare il motore della messa a fuoco (paragrafo

(2.3.3)).

del primo riconoscimento, il programma controlla il movimento del motore che

regola la messa a fuoco dell’ottica: questa operazione, come si vedra in seguito, e

fondamentale al fine di raggiungere la precisione di puntamento richiesta (capitolo

3).

La figura (2.3) illustra la struttura a blocchi delle operazioni: un comando,

contenente i parametri esterni disponibili al riconoscimento (per es. stima della

misura dell’assetto fornita dal GPS) ed il codice della modalita di funzionamento

richiesta (solo riconoscimento, tracking, messa a fuoco od altro), attiva tutte le

procedure implementate nella routine Riconosci(), preposta all’analisi completa

dell’immagine e a ricavarne le informazioni necessarie al controllo della messa

a fuoco; la routine Parametri() fornisce tutti i dati ricavati dal programma e li

invia al centro di controllo (posto a terra) tramite la stessa connessione seriale

dell’impulso di partenza. La restante routine Init(), che viene eseguita unicamen-

te nella fase di inizializzazione del programma, presiede invece alla compilazione

del catalogo stellare di riferimento, cioe di un elenco ordinato di stelle contenente

tutti i parametri utili al riconoscimento.

Tali cataloghi, facilmente reperibili in formato digitale sul Web, riassumono

tutte le informazioni note sulle stelle conosciute (come per es. coordinate astrono-

miche, magnitudine visuale, caratteristiche fotometriche etc.), raccolte nel corso

di varie campagne scientifiche di misurazione astronomica. Il catalogo di riferi-

mento ideale, comprendente i nomi delle stelle ed il loro posizionamento, si ottiene

selezionando un numero di stelle fino ad una magnitudine adeguata al livello di

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sensibilita dello strumento ed alle capacita di calcolo del computer.

Per la realizzazione del sensore stellare e stato impiegato il catalogo Hippar-

cos, redatto dall’European Space Agency (ESA) e composto da circa 120.000

stelle suddivise in un range di magnitudini visuali compreso tra il valore 0 e circa

12. In questo catalogo la posizione delle stelle e espressa in coordinate astrono-

miche equatoriali (ascensione retta α e declinazione δ della stella) note con una

precisione che puo giungere fino all’ordine di qualche milliarcosecondo.

Allo stato attuale l’algoritmo di riconoscimento non utilizza il valore della ma-

gnitudine stellare come parametro utile; tuttavia i dati che saranno raccolti in pro-

posito durante la prima missione di prova consentiranno di ottenere una calibra-

zione delle magnitudini strumentali della CCD impiegata, utile per una successiva

introduzione di questa grandezza nelle selezioni effettuate dal programma.

La procedura di inizializzazione del catalogo ridotto Init(), effettuata al mo-

mento dell’inserimento del catalogo stellare nella memoria del sensore, puo essere

riassunta nel seguente schema:

1. apertura del catalogo Hipparcos;

2. selezione delle stelle per magnitudine visuale (max. magnitudine prestabi-

lita);

3. caricamento del codice identificativo utilizzato dal programma (codice iden-

tificativo Hipparcos - coordinate astronomiche);

4. formazione, per ogni stella selezionata, di un pattern di stelle vicine com-

prese in un’area equivalente al campo di vista dell’ottica e contenente nomi,

distanze angolari dalla stella di partenza, coordinate;

5. riduzione delle N stelle complessivamente selezionate in altrettanti raggrup-

pamenti (uno per ogni stella, che ne diviene in tal modo la stella rappre-

sentativa o base B) corrispondenti ai pattern ottenuti al punto 4 e formati,

cioe, da un numero di volta in volta variabile di stelle vicine.

In particolare, dopo aver disposto idealmente le N stelle selezionate dal ca-

talogo sulla superficie di una sfera unitaria e dopo averle contrassegnate con il

loro versore identificativo nel sistema di coordinate equatoriale, ogni stella Vi, di

componenti

Xi = cos δ cosα

Yi = cos δ sinα (2.6)

Zi = sin δ

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viene considerata la base di un raggruppamento di ni stelle vicine Vj tali da

soddisfare la condizione:

‖Vi −Vj‖ < max. range ∀ j 6= i (2.7)

dove, come parametro di scelta max. range, viene utilizzata l’apertura angolare

del sistema ottico

max. range ' diametro f.o.v. =l√

(n2x + n2

y)

focale(2.8)

essendo nx e ny il numero di pixel presenti per lato della CCD e l/focale l’a-

pertura angolare di un singolo pixel, cioe il rapporto fra le dimensioni lineari di

quest’ultimo e la lunghezza focale dell’ottica impiegata (figura (2.4)).

Vi

Vj

o

max. range

Figura 2.4: I vettori posizione delle stelle disposti all’interno della sfera unitaria: i raggrup-

pamenti di stelle vicine alla base Vi sono creati all’interno dell’area di raggio max. range,

quantita corrispondente all’apertura angolare del sistema ottico del sensore.

Ovviamente, in tale costruzione, ogni stella selezionata dal catalogo si trovera

ad essere contemporaneamente base di un raggruppamento i e membro di altri

raggruppamenti.

Con questo metodo di selezione e valutando la distanza tra le stelle come

modulo della differenza tra i vettori unitari di posizione, si possono creare insiemi

di piu stelle ordinate per distanze crescenti, a partire da una stella di riferimento,

ed in grado di poter entrare nel campo di vista del sensore.

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Con un criterio analogo vengono elaborati i dati ricavati dall’immagine della

CCD per identificare insiemi di stelle tra loro vicine e raggruppabili attorno ad

una base. A questo punto si delinea la strategia impiegata per il riconoscimento

stellare: la verifica del grado di “sovrapponibilita” dei raggruppamenti ottenuti

dalla CCD con quelli ottenuti dal catalogo Hipparcos, indichera quali insiemi di

stelle presenti nel catalogo saranno le piu adatte a costituire una configurazione

in grado di poter riprodurre la disposizione delle stelle trovate nell’immagine della

CCD e dunque di identificarle.

2.3 Analisi dell’immagine e defocalizzazione

2.3.1 La localizzazione di stelle reali sul segnale di fondo

Acquisita l’immagine, e necessario distinguere i segnali delle stelle dai segnali

spurii dovuti alle sorgenti di rumore esistenti, siano queste dovute alla presenza

di un fondo luminoso diffuso, oppure all’elettronica di lettura (che, come si vedra

in seguito, e dominante in caso di brevi tempi di esposizione della camera), alla

corrente di buio (dark current) ed alle fluttuazioni della stessa che per effetto

termico si generano nei pixel della CCD e si sommano al segnale fotogenerato.

Nel caso della CCD utilizzata, la corrente di buio viene attenuata dal sistema

di raffreddamento a cella di Peltier; a causa pero di disomogeneita locali nella

struttura dei pixel, e possibile riscontrare variazioni spaziali del valore medio

di questo segnale secondo una configurazione fissa (detta fixed pattern noise).

Questo pattern puo essere rimosso semplicemente sottraendo ad ogni immagine

acquisita un’immagine di buio, ovvero un’immagine ottenuta con l’otturatore

dell’obiettivo chiuso e con un tempo di esposizione identico. A questo punto il

rumore residuo e costituito dalle fluttuazioni della corrente di buio in ciscun pixel

e delle altre sorgenti di rumore esistenti.

Il diagramma di flusso mostrato in figura (2.5) illustra la serie di operazioni

compiute in sequenza dall’algoritmo per localizzare le probabili stelle.

Sull’immagine viene effettuato uno scan iniziale dei pixel al fine di ottenerne

un istogramma in funzione del numero di elettroni ivi contenuti (espressi in li-

velli di ADC). L’istogramma fornisce un’indicazione delle fluttuazioni di rumore

esistenti e dunque consente la determinazione di un opportuno livello di soglia.

Questa soglia e definita come il livello di ADC corrispondente al massimo dell’i-

stogramma (Max) sommato ad un certo numero di volte (ν) la semi-larghezza a

meta altezza della distribuzione (σHWHM ) :

Soglia = Max+ νσHWHM (2.9)

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Figura 2.5: Diagramma di flusso dell’algoritmo di localizzazione delle stelle reali contenute

nell’immagine.

La figura (2.6) mostra un istogramma ottenuto da un’immagine notturna acqui-

sita dalla CCD in una visuale di cielo intorno a Vega: poiche un’immagine di buio

e gia stata sottratta, e visibile un picco di segnale corrispondente alla presenza

di un fondo luminoso diffuso (le luci di Pisa!), mentre il segnale dovuto alla luce

stellare costituisce la coda degli eventi ad intensita piu alta.

Durante l’esecuzione di uno scan successivo, tutti i pixel risultanti avere un

livello di segnale sopra il valore della soglia ed adiacenti tra loro vengono rag-

gruppati a formare un nucleo isolato interamente contenuto all’interno del piu

piccolo rettangolo capace di delimitarlo dal resto della superficie illuminata della

CCD.

La figura (2.7) illustra un esempio di come si presenta tale rettangolo. L’al-

goritmo delimita l’interno del rettangolo selezionato lasciando lungo i bordi della

possibile stella una serie di pixel sotto soglia: questi serviranno, in caso di presen-

za di fondo luminoso non uniforme sull’immagine, a sottrarre un ulteriore valore

medio di rumore a ciascun pixel del nucleo evidenziato.

2.3.2 Il centroide

Il rettangolo ottenuto al passo precedente diviene il frame a cui viene ora riferito

il baricentro dell’intensita luminosa del nucleo di pixel selezionati, detto anche

centroide della probabile stella: considerando infatti come assi di un riferimento i

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1

10

100

1000

104

105

0 100 200 300 400 500

Con

tegg

i

Livelli ADC

Figura 2.6: Istogramma di un’immagine di stelle: l’aquisizione e stata ottenuta con le stesse

modalita che hanno portato alle immagini discusse nel paragrafo (3.4.1); il segnale dovuto alla

luce stellare costituisce la coda dei conteggi.

Figura 2.7: Immagine ingrandita di una porzione di pixel della CCD: i pixel illuminati dalla

probabile stella e selezionati dall’algoritmo sono racchiusi nel rettangolo tratteggiato visibile in

figura. Il punto bianco all’interno dello stesso indica la posizione calcolata del centroide.

lati del rettangolo, e possibile determinare il punto di coordinate xc e yc tali che:

xc =

∑ni−1i=0

∑nj−1j=0 xi Eij

∑ni−1i=0

∑nj−1j=0 Eij

(2.10)

yc =

∑ni−1i=0

∑nj−1j=0 yi Eij

∑ni−1i=0

∑nj−1j=0 Eij

(2.11)

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essendo i e j gli indici discreti dei pixel posti lungo i lati del rettangolo di com-

plessivi ni × nj elementi (ciascuno con centro geometrico di coordinate xi e yi)

ed Eij il livello di segnale equivalente al numero totale di elettroni contenuti nel

pixel di corrispondenti coordinate. Confrontando la posizione del centroide ap-

pena ottenuto con la posizione del pixel piu luminoso presente nel rettangolo, si

puo procedere, nel caso di una mancata simmetria dell’immagine (distanza tra

i suddetti punti maggiore di 2 pixel), ad una nuova serie di scan sui soli pixel

contenuti nel rettangolo selezionato, con una soglia di volta in volta piu alta:

in tal modo si cerchera di distinguere la presenza di eventuali cluster di stelle

dovuti alla non sufficiente risoluzione angolare del sistema ottico o di eliminare le

immagini di sorgenti spurie con intensita sopra soglia (per es. dovute a riflessioni

della luce all’interno dell’ottica).

Il calcolo del parametro σc definito come:

σc =√σ2

x + σ2y (2.12)

dove

σx =

√√√√∑ni−1

i=0

∑nj−1j=0 (xi − xc)2 Eij

∑ni−1i=0

∑nj−1j=0 Eij

(2.13)

σy =

√√√√∑ni−1

i=0

∑nj−1j=0 (yi − yc)2 Eij

∑ni−1i=0

∑nj−1j=0 Eij

(2.14)

sono gli scarti quadratici medi della posizione del centroide rispetto all’orienta-

zione degli spigoli della CCD, fornisce un’informazione sulla dimensione dell’im-

magine stellare utile a valutare la precisione di puntamento finale del sensore.

Il valore di σc servira all’algoritmo come parametro guida nella ricerca di una

corretta messa a fuoco dell’immagine. Come infatti si accennera gia nel prossimo

paragrafo, solo un’opportuna defocalizzazione dell’immagine stellare soddisfa le

condizioni in grado di minimizzare l’errore di misura introdotto sul centroide (pa-

ragrafi (3.2) e (3.3)) e che, propagandosi fino alla determinazione della direzione

di puntamento, influisce direttamente sul livello di precisione complessivamente

raggiungibile.

A questo punto, come accennato, prima di avviare la vera e propria procedura

di riconoscimento, deve essere ricavato, dalle posizioni di tutti i centroidi trovati

ed ora riferiti alle coordinate dei pixel della CCD, un catalogo immagine che abbia

caratteristiche analoghe a quello compilato con le posizione delle stelle ottenute

dal catalogo di riferimento. Ciascuno degli N centroidi appartenenti all’immagine

diviene infatti ora la base di un raggruppamento comprendente i rimanenti (N−1)

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Page 39: Realizzazione di un prototipo di sensore stellare per ... · stellare per esperimenti di astronomia X/° su piattaforme galleggianti a quota stratosferica Relatore: Candidato: Dott.

centroidi, i quali vengono riordinati per distanza memorizzando le loro posizioni

rispetto al centroide di riferimento. Ottenendo cosı per ciascun centroide k un

vettore unitario identificativo V k, tale che

V k =(xk, yk, focale)√

[x2k + y2

k + (focale)2](2.15)

e trasformando con i moduli delle loro differenze le distanze fra centroidi da

quantita espresse in numero di pixel a distanze angolari sulla superficie di una

sfera unitaria, si ottiene il nuovo catalogo riferito al frame locale della CCD.

CCD Obiettivo

Centroide (xk,yk)

Distanza focale

Figura 2.8: Le coordinate del centroide e la distanza focale definiscono i vettori unitari del

catalogo immagine.

L’uso del termine focale, riferito alla distanza focale dell’ottica, e in realta

improprio, in quanto la grandezza realmente rilevante ai fini della normalizzazione

e la distanza tra la CCD ed il piano equivalente del sistema ottico (figura (2.8)).

2.3.3 La defocalizzazione dell’immagine

Uno dei fattori critici per una accurata misura della direzione di puntamento e

legato alla precisione con cui e nota la posizione del centroide sul piano della

CCD. Come sara illustrato in dettaglio nel capitolo successivo, questa grandezza

e direttamente legata all’ampiezza dell’area dei pixel che ogni singola stella illu-

mina sulla superficie sensibile della CCD. Ritenendo in buona approssimazione lo

shape del segnale di una stella simile ad una gaussiana bidimensionale G, occorreriferirsi all’ampiezza dell’immagine di questa come ad un’area contenuta entro un

certo numero di deviazioni standard σG dalla posizione del centroide. Come si

dimostrera piu avanti a proposito della precisione di puntamento raggiungibile,

σG, la cui misura corrisponde al valore σc (2.12), dovra essere resa confrontabile

alla dimensione lineare l di un pixel; pertanto, dopo una iniziale messa a fuoco

dell’immagine, occorrera trovare la posizione dell’ottica in grado di fornire, per

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tutte le stelle comprese nel campo di vista, il valore medio richiesto di σG. En-

trambe le procedure, messa a fuoco iniziale e successiva defocalizzazione, possono

essere realizzate con l’ausilio di metodi di calcolo numerico: se infatti si appros-

sima il calcolo della dimensione media delle N stelle presenti nell’immagine con

una funzione f(x) della posizione della ghiera di messa a fuoco dell’ottica

f(x) =1

N

N∑

i=1

σGi(x) (2.16)

e si suppone che detta funzione segua un andamento crescente attorno ad una

posizione di minimo (posizione dedotta dalla condizione di minimo diffrattivo

dell’ottica), si possono impiegare allo scopo semplici algoritmi iterativi (biblio-

grafia [19]). Trovata dapprima la posizione di miglior fuoco con un algoritmo di

interpolazione parabolica che individua il minimo della funzione f(x) (bracketing

iniziale e successiva applicazione del metodo di Brent), per raggiungere l’adeguato

livello di defocalizzazione dell’immagine e sufficiente iterare il metodo di Newton

per la ricerca dello “zero” della funzione g(x) definita come:

g(x) = f(x)− l (2.17)

In esecuzione ciclica con il programma, un motore passo-passo a controllo nume-

rico effettuera gli opportuni spostamenti della ghiera di messa a fuoco dell’ottica

ogni qual volta l’algoritmo richieda l’assunzione di una nuova immagine allo scopo

di valutare il valore della funzione f(x).

2.4 Il riconoscimento stellare I - Clipping, con-

figurazioni e focali

2.4.1 Lo schema del riconoscimento stellare

Nel suo complesso, il vero e proprio algoritmo di riconoscimento e composto

da una serie di procedure che verranno singolarmente discusse nel seguito. Per

agevolarne la descrizione si riporta uno schema delle quattro fasi fondamentali in

cui il processo e suddiviso:

1. confronto delle distanze angolari memorizzate nei due cataloghi (catalogo di

riferimento Hipparcos - catalogo immagine CCD) allo scopo di selezionare,

per ogni base di un raggruppamento di centroidi, le possibili stelle che siano

basi di raggruppamenti noti “sovrapponibili” ai precedenti;

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2. ulteriore selezione ottenuta confrontando anche le distanze angolari relative

tra i centroidi e le stelle appartenenti ad ogni raggruppamento; ogni con-

figurazione cosı creata e dotata di un livello di confidenza, si candida ad

identificare i raggruppamenti dei centroidi;

3. misura della focale per ogni configurazione ottenuta ed inserimento di tale

valore come parametro caratteristico di ciascuna di esse;

4. costruzione della configurazione finale con il migliore accordo fra le confi-

gurazioni candidate.

L’intera successione di operazioni e ripetuta sequenzialmente per ogni ciclo-

immagine.

2.4.2 Il clipping sul catalogo di riferimento

Estratti i raggruppamenti delle stelle presenti nell’immagine, il primo passo verso

il riconoscimento prevede la selezione, nel catalogo di riferimento, di tutte le

possibili stelle che si trovano ad essere le basi di un raggruppamento confrontabile.

Se e gia disponibile un’informazione sulla direzione di puntamento, tramite input

esterno (GPS) o per l’esecuzione di precedenti cicli del programma (come nel

caso del tracking effettuato su una sequenza di immagini successive), e possibile

selezionare, nel catalogo di riferimento, tutte quelle stelle che si trovino in un’area

di diametro equivalente al campo di vista della CCD, centrata lungo la direzione

di puntamento calcolata z. Se infatti si ha che

∣∣ ‖ Vi − z ‖ − ‖ V k − z ‖∣∣ < max. range (2.18)

dove z e il versore normale al piano del sensore, allora le stelle Vi e V k (pro-

venienti rispettivamente dal catalogo di riferimento e dal catalogo dell’immagine

della CCD) sono riscontrabili nella stessa visuale della telecamera e dunque basi

di raggruppamenti da avviare al confronto.

In assenza dell’informazione inizialmente fornita dal sistema GPS non e pos-

sibile eseguire la procedura di clipping ora descritta e percio, in questo caso, i

raggruppamenti di stelle vengono selezionati prendendo in considerazione la parte

di volta celeste visibile dal punto di osservazione.

Il successivo passo della procedura deve stabilire se, prescelti due raggruppa-

menti (il primo appartenente all’immagine, il secondo proveniente dal catalogo

stellare di riferimento), le stelle vicine facenti parte del raggruppamento prove-

niente dal catalogo stellare si trovino a distanze confrontabili con le corrispondenti

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Page 42: Realizzazione di un prototipo di sensore stellare per ... · stellare per esperimenti di astronomia X/° su piattaforme galleggianti a quota stratosferica Relatore: Candidato: Dott.

distanze dei centroidi dalle loro basi di riferimento, entro un margine di tolleran-

za esprimibile con un parametro d’errore err = l/focale, cioe, come e realistico

supporre, pari all’apertura angolare del singolo pixel: questa grandezza, infatti,

rappresenta una stima della precisione del sistema ottico utilizzato. In questo

modo se la distanza D tra una stella del raggruppamento e la sua base, e la

distanza d tra un centroide ed il suo centroide base sono tali che

∣∣ D − d∣∣ < err (2.19)

le stelle entrano nel conto di un numero di probabili accordi del raggruppamento

in esame. Se la corrispondenza trovata risulta almeno di 2 stelle (e dunque si

dispone di almeno un totale di 3 stelle in ciascuno dei due rispettivi riferimen-

ti) sara possibile avviare una serie di ulteriori confronti considerando anche le

distanze reciproche fra tutte le stelle (ed i centroidi) adiacenti.

2.4.3 Le configurazioni candidate

Per illustrare il principio usato nell’individuare una possibile configurazione di

stelle, si considera dapprima il caso del minimo numero di centroidi selezionati

nell’immagine (N = 3). Con riferimento alla figura (2.9), se si e dunque riscon-

trata nel catalogo assoluto la presenza di una stella base e di un raggruppamento

di stelle vicine con distanze confrontabili a quelle dei centroidi rispetto alla lo-

ro base nell’immagine, si puo ora confrontare la distanza angolare relativa tra

queste stelle ed i corrispondenti centroidi. Trovate coincidenti entro i margini di

tolleranza le distanze

dk = DK (2.20)

dh = DH (2.21)

si confronta ora con lo stesso criterio la rimanente coppia di valori

dkh?= DKH (2.22)

Per poter contemporaneamente eliminare l’ambiguita sulla posizione della

possibile stella H (o H′

, posta cioe, come visibile in figura, nella posizione specu-

lare rispetto ad H), il confronto viene realizzato eseguendo, in ciascuno dei due

riferimenti, i prodotti vettore

U I ×W I (2.23)

UC ×WC oppure UC ×W′C (2.24)

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Origine terna CCD

Centroide base

h

k

dk

dkh

dh

UI WI

Origine terna catalogo

Stella base

H

K

DH

DK

DKH

H'

WCUC

U'C

W'C

Figura 2.9: Rappresentazione grafica del confronto tra i due pattern triangolari: in alto sono

visibili i centroidi, i loro vettori unitari e le distanze relative; in basso i 2 possibili pattern di

stelle corrispondenti: in tratteggio e indicato il pattern la cui orientazione puo avere riscontro

nel catalogo stellare ma che, in questo caso, non si sovrappone a quello ricavato dall’immagine.

dove

U I = V k − V B (2.25)

UC = VK −VB (2.26)

W I = V h − V k (2.27)

WC = VH −VK o W′C = VH

′ −VK (2.28)

sono i vettori differenza dei vettori unitari identificativi dei centroidi nell’imma-

gine I e delle stelle nel catalogo di riferimento C; in tal modo il valore del segno

dell’angolo compreso tra la coppia di vettori consente di risolvere l’ambiguita su

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quale delle due configurazioni che e possibile riscontrare nel catalogo stellare si

avvicini ad identificare quella ricavata dall’immagine.

Nel caso piu generale di N stelle presenti sull’immagine, si puo ricalcare lo

stesso procedimento considerando tutti i possibili pattern triangolari nei quali

e possibile ridurre l’immagine stessa: ogni stella base si trovera a formare un

numero di triangoli Nt

Nt =N−2∑

i=1

i =(N − 1)(N − 2)

2(2.29)

che sara possibile confrontare separatamente. Per enumerare gli accordi fra cia-

scun triangolo presente nei due raggruppamenti, ogni corrispondenza trovata ser-

vira a riempire N×Ni matrici simmetricheMBi (nBi×nBi), cioe tante quanti gliN centroidi dell’immagine ed il numero Ni degli eventuali raggruppamenti tro-

vati compatibili nel catalogo per ogni i− esimo centroide base; gli elementi riga

e colonna saranno invece nBi , cioe tanti quanti i centroidi trovati a corrispondere

le distanze dall’i− esima base di ogni raggruppamento di stelle.

A titolo di esempio, la successiva figura (2.10) illustra il processo di formazio-

ne di una di tali matrici nel caso semplice di 1+4 centroidi presenti nel i− esimoraggruppamento dell’immagine: partendo dalla stella base Bi e dal primo dei

centroidi piu vicini k1, si considerano tutti i triangoli ottenuti congiungendo suc-

cessivamente questa coppia con i centroidi h2, ..h4, ordinati per distanza; la prima

riga della matrice allora, indicata come il suo centroide di riferimento con k1, sara

composta, per ogni colonna corrispondente ai rimanenti 3 centroidi h2...h4, da ci-

fre quali 1 e 0 a seconda che i triangoli (Bi k1 h2,..4) risultino sovrapponibili o

meno ai corrispondenti triangoli tracciati nel catalogo di riferimento. Passando

cosı successivamente ai centroidi k2, ..k4, si riempiranno gli elementi riga posti

a destra della diagonale della matrice: tali sono infatti i punti corrispondenti ai

pattern triangolari visibili in figura.

Per come viene costruita, la matriceMBi e dunque simmetrica e con gli ele-

menti della diagonale uguali a 0; essa riporta con tale cifra anche tutte le corri-

spondenze fallite e cio viene impiegato per eliminare dalle corrispondenze trovate

tutte le stelle del catalogo che non si accordano ai centroidi: se infatti l’elemento

di matrice di coordinate (kl, hm) e uguale a 0, il triangolo (Bi kl hm) ha fallito

la corrispondenza e questo puo essere dovuto alla presenza nel raggruppamento

di una stella che identifichi erroneamente kl o hm. Valutando in questo caso la

somma delle corrispondenze riscontrate con successo di entrambi i centroidi, e

possibile scartare quello della coppia con il numero di insuccessi maggiore. In

caso di parita nel numero di corrispondenze con successo, viene per convenzione

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Base

k1 h2

h3

h4

MB =

0 1 1 0

1 · · ·1 · · ·0 · · ·

MB =

0 1 1 0

1 0 1 1

1 1 · ·0 1 · ·

Base

h1

k2

h4

h3

Base

k3

h1h2

h4

MB =

0 1 1 0

1 0 1 1

1 1 0 0

0 1 0 ·

MB =

0 1 1 0

1 0 1 1

1 1 0 0

0 1 0 0

Base

k4

h2

h3

h1

Figura 2.10: I quattro disegni illustrano i passaggi necessari alla formazione della matrice di

una configurazione: le distanze tratteggiate indicano le corrispondenze poste a sinistra della

diagonale, determinando cosı gli elementi di una matrice simmetrica. Gli elementi della matrice

hanno coordinate (ki, hj). Il livello di confidenza della configurazione creata in figura e 3.

43

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scartato il centroide di indice k. Dunque, poiche tale operazione equivale a som-

mare separatamente la riga e la colonna che si incrociano nel punto (kl, hm), si

puo riassumere dicendo che se, per esempio, si ha che

nBi∑

i=1

(kl, hi) 6

nBi∑

j=1

(kj, hm) (2.30)

allora tutti gli elementi della riga e della colonna di indici (kl, hl) vengono iden-

ticamente posti uguali a 0 e dunque “soppressi” ai fini del seguito (lasciando in

tal modo “in bianco” la possibile identificazione del centroide kl). Ottenendo

infine tante matriciMBi quanti sono gli Ni raggruppamenti compatibili, ognuna

di queste designera una possibile configurazione di stelle identificate, ciascuna

delle quali confortate da un indice di confidenza pari alla somma di tutti i valori

1 rimasti nella semi-matrice triangolare superiore ed uguale al numero

λwi=n∗wi

(n∗wi− 1)

2wi = 1, 2...Ni (2.31)

essendo n∗wiil numero di stelle effettivamente identificate all’interno dell’i−esima

configurazione (esclusa la stella che ne e la base). Ripetendo identicamente i sud-

detti passaggi per ogni centroide (e quindi per ogni base del raggruppamento

nell’immagine), si arrivera al punto in cui a ciascun centroide dell’immagine cor-

risponderanno una o piu configurazioni plausibili con diverso indice di confidenza.

Prima di giungere al decisivo e piu importante passo del riconoscimento, che pre-

vede la “costruzione” di una configurazione finale che raccolga il maggior numero

di stelle identificate fra loro compatibili, occorre introdurre un nuovo parametro

che concorre a caratterizzare ciascuna delle configurazioni appena costruite.

2.4.4 La precisione sulla distanza focale

La distanza focale dell’ottica impiegata (o meglio, la distanza tra il piano della

CCD ed il piano coniugato del sistema ottico) ed in special modo la precisione

con cui questa e nota, riveste un ruolo importante. Questa grandezza e infatti

coinvolta direttamente nel calcolo della distanza d tra i centroidi e dunque nella

costruzione dell’intero catalogo immagine. Preso l’i − esimo centroide di un

raggruppamento ed utilizzando un’approssimazione al primo ordine per d, tale

per cui si abbia

d =

√(xB − xi)2 + (yB − yi)2

focale(2.32)

dove xB e yB sono le coordinate del centroide base, si puo giungere a valutare,

compatibilmente col valore del parametro err utilizzato nella (2.19) ed equiva-

lente all’apertura angolare di un pixel, la minima precisione richiesta su questa

44

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grandezza come

δ(focale) ≈ (focale)2√(xB − xi)2 + (yB − yi)2

err (2.33)

tolleranza che, con i parametri del sistema impiegato (diametro CCD ≈ 10 mm,

focale ≈ 100 mm, ed err ≈ 10−4 rad), assume il valore di circa un decimo di

millimetro. Pertanto, nonostante il parametro focale entri in gioco all’interno

dell’algoritmo come valore inizialmente noto, l’operazione di messa a fuoco del-

l’immagine e, soprattutto, la presenza di aberrazioni cromatiche dell’ottica che

si possono manifestare al variare della classe spettrale delle stelle esaminate (o a

causa dell’utilizzazione di un filtro infrarosso durante l’eventuale funzionamento

diurno), possono influenzarlo di una quantita tale da invalidare l’intera procedura

di riconoscimento.

Con un limite superiore dato dalla (2.33), occorre dunque determinare il reale

valore di questo parametro, affinche, dopo ogni operazione di messa a fuoco,

l’algoritmo non perda la capacita di inseguire il puntamento. Questa operazione

puo essere eseguita durante il confronto dei raggruppamenti descritto nella sezione

precedente: data infatti per ogni stella i appartenente ad una configurazione la

distanza dalla sua stella base

D = ‖ VB −Vi ‖ (2.34)

come nota dal catalogo di riferimento, e l’equivalente distanza

d = ‖ V B − V i ‖ (2.35)

tra i corrispondenti centroidi nel catalogo dell’immagine, risolvendo in funzione

della focale l’equazione

D = ‖ V B − V i ‖ (2.36)

essendo V B e V i rispettivamente i vettori unitari

V B =(xB, yB, focale)√

[x2B + y2

B + (focale)2], V i =

(xi, yi, focale)√[x2

i + y2i + (focale)2]

(2.37)

si puo ricavare una misura di questa grandezza in funzione degli accordi ottenuti

tra le distanze D e d, note grazie all’uso del suo valore iniziale. Poiche l’equazione

(2.36) non e direttamente risolvibile, l’algoritmo puo giungere ad una soluzione

approssimata con un livello di precisione maggiore di quello stimato con la (2.33),

semplicemente utilizzando ricorsivamente il metodo di Newton. Considerando

infatti la funzione

D = F(focale) (2.38)

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e la sua soluzione al prim’ordine

D = F(f0) +dFdf

∣∣∣∣f0

df (2.39)

dove si puo liberamente porre

f0 =

√(xB − xi)2 + (yB − yi)2

D(2.40)

e ricavando in questo modo

df =D −F(f0)

dFdf

(2.41)

si puo sostituire in (2.39), al posto di f0, la nuova quantita

f1 = f0 + df (2.42)

ed il corrispondente valore df1; iterando successivamente il metodo, si ottengono

le coppie di valori (f2, df2...fi, dfi..) che approssimano la misura effettuata fino

all’ordine di precisione richiesto. Poiche si richiede che il df finale sia trascurabile

rispetto alle dimensioni di un pixel della CCD (≈ 10 µm), questo avviene tipica-

mente in un numero di iterazioni molto minore di 10. A questo punto, ripetendo

tale operazione per ogni stella della configurazione in esame (per es. la numero

1), questa produrra una misura della focale

focale1 = f + σf (2.43)

dove evidentemente, essendo n∗1 il numero di stelle ivi presenti, si avra che

f =1

n∗1

n∗1∑

i=1

fi , σf =1

n∗1

√√√√n∗1∑

i=1

(fi − f)2 (2.44)

La quantita (2.43) viene quindi considerata come parametro caratteristico di

ciascuna configurazione e fornira, congiuntamente a come saranno prescelte le

configurazioni candidate al riconoscimento finale, la misura aggiornata da utiliz-

zare in (2.15) per ricavare nuovamente e con maggiore precisione i vettori unitari

indicativi della posizione dei centroidi.

2.5 Il riconoscimento stellare II - Il ciclo tree-

path

Disponendo ora di una o piu configurazioni di nomi per ogni raggruppamento

di stelle vicine, e per almeno 3 dei centroidi presenti nell’immagine (si ricordi

46

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Livello 0

Livello 1

Livello 2

i = 1

i = 2

Figura 2.11: Formazione dei livelli dell’albero: assegnato il nome al centroide i = 1, il primo

livello comprende le stelle appartenenti alla sua prima configurazione disponibile; il secondo

livello viene creato con la prima configurazione della seconda stella nominata (i = 2). In

tratteggio sono visibili i rami che definiscono le configurazioni. Le stelle identificate che vengono

aggiunte alla stella posta all’inizio dell’albero (in nero) sono indicate in grigio chiaro.

il numero minimo di stelle per avere una possibilita di calcolo dell’assetto senza

ambiguita), occorre ora scegliere tra queste, valutandone il grado di compatibilita

e sovrapponibilita reciproca, le stelle identificate in grado di realizzare un’unica

configurazione finale che copra il piu possibile il campo di vista rappresentato

nell’immagine. Tale scopo puo essere raggiunto con l’ausilio di un ciclo iterativo

ad “albero” che consideri tutte le combinazioni possibili di sequenze di parametri

[posizione, codice identificativo, focale], conservando ad ogni passo le corrispon-

denze trovate e valutando per esse un opportuno livello di confidenza, passaggio

fondamentale per la successiva conferma o reiezione della configurazione che si e

andata creando fino a quel momento.

Il primo passo del ciclo consiste nel creare un certo numero di rami e livelli

visibili nelle successive figure (2.11) e (2.12): prescelto il centroide i = 1 tra

gli N presenti nell’immagine, questo possiede N1 possibili configurazioni di n∗w1

stelle vicine, aventi ciascuna una propria stella base ed un parametro focale medio

f(N1). Partendo dalla prima configurazione disponibile in ordine del livello di

confidenza espresso dalla (2.31), si viene a creare il primo livello riportando per

distanza i nomi delle stelle appartenenti a quella configurazione; passando ora, su

questo stesso livello costituito, al piu vicino dei centroidi appena nominati (per

es. i = 2) , si cerca tra le sue configurazioni esistenti l’eventuale che la contenga

come base avente il medesimo nome e con il parametro focale compatibile a quello

della configurazione di partenza, cioe con intervalli di tolleranza sulle due misure

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Livello 0

Livello 1

Livello 2

i = 3

Figura 2.12: La seconda stella nominata del primo livello (i = 3) genera anch’essa un secondo

livello: per ottenere una configurazione finale plausibile, ogni stella che occupa la stessa posi-

zione su livelli adiacenti deve ricevere un livello di confidenza sul nome. I casi di corrispondenza

che e possibile riscontrare sono illustrati nel testo.

di f 1 e f 2 tali che

| f 1 − f 2 | < 2√

σ2f1+ σ2

f2(2.45)

Se la ricerca non ha successo si passa al centroide successivo, altrimenti si sara in

grado di costruire il secondo livello, completando cioe, con i rami visibili in figura,

l’assegnazione dei nomi a tutti i centroidi che ne costituiscono le terminazioni.

Con la creazione del secondo livello (e, come si vedra in seguito, anche per

i successivi), per i centroidi occupanti le medesime posizioni su livelli adiacenti

possono venirsi a verificare 3 diversi situazioni: la loro distinzione servira ad at-

tribuire i valori di confidenza alla configurazione finale che si andra costruendo

nelle varie fasi del processo. I casi possibili ed i conseguenti interventi dell’algorit-

mo sono i seguenti, ripetuti identicamente nell’esame di ciascun livello successivo:

caso 1) i nomi delle stelle che si corrispondono tra due livelli consecutivi

(procedendo in ogni caso dal piu alto al piu basso) sono identici ⇒ il nome vie-

ne confermato e acquista un proprio livello di confidenza pari alla somma delle

confidenze (si veda eq.(2.31)) delle due configurazioni da cui proviene, altrimenti

procede alla stessa istruzione del caso 2;

caso 2) i nomi delle stelle in corrispondenza sono diversi ⇒ e sovrascritto

il nome della stella proveniente dalla configurazione con confidenza piu alta, a

meno che la stella eventualmente perdente nel confronto non si trovi ad essere

corrispondente al centroide di partenza (i = 1), il vertice cioe da cui si propagano

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i rami che hanno costituito i livelli esistenti: in tal caso il nome della stella al ver-

tice viene conservato con una confidenza posta pari alla differenza algebrica delle

confidenze di partenza. Questa importante precauzione evita che, intervenendo

retroattivamente sui nodi da cui si propaga l’albero nel corso stesso della sua co-

stituzione, cio possa causare la ricorsione in loop dell’algoritmo senza che questo

abbia effettivamente termine. Se invece le configurazioni possiedono il medesimo

livello di confidenza, l’algoritmo conserva comunque l’identificazione riscontrata

nel livello precedente e pone a uguale a 0 la confidenza sul nome;

caso 3) la stella presente nel livello non ha nome (perche, ad esempio, non e

compresa nella configurazione esaminata in corrispondenza di quel livello o non

e appartenente a nessuna delle configurazioni che hanno creato i livelli preceden-

ti) ⇒ e sovrascritto, se disponibile, il nome della stella corrispondente al livello

adiacente quello in esame. In caso contrario il nome della stella resta vacante, in

attesa che lo stesso livello venga ricostituito dai rami di un ciclo successivo. In

caso di attribuzione del nome, la confidenza assegnata e pari alla confidenza della

configurazione a cui la stella appena identificata appartiene.

I livelli successivi si creano con procedimento analogo a partire dal centroide

immediatamente successivo a quello che genera il livello corrente, trascurando mo-

mentaneamente quelli rimasti esclusi dall’identificazione e considerando sempre

la prima delle configurazioni disponibili per ogni centroide con nome. La costru-

zione dell’albero si interrompe quando tutti i centroidi identificati non hanno piu

subito modificazioni del nome o non ne sono stati aggiunti di nuovi alla configu-

razione formata. Dopo aver rimosso dai livelli identificati tutte le stelle risultanti

con livello di confidenza sul nome negativo, la somma delle confidenze di tutte le

stelle presenti sull’ultimo livello

confidenza totale =∑

livello

confidenza stelle ( ∀ conf. > 0 ) (2.46)

costituira la confidenza complessiva attribuita a questo ciclo di riconoscimenti

e quindi all’ i − esima possibile configurazione finale. Per quanto riguarda la

misura della focale, questa e ottenuta fittando con un valore costante i valori

(compatibili fra loro) forniti dalle configurazioni partecipanti all’albero: in tal

modo, adoperando il metodo del minimo χ2, si ottengono per la focale media

misurata e la sua deviazione standard i seguenti rispettivi valori:

focale =

∑livello f i/σ

2fi∑

livello 1/σ2fi

(2.47)

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σfocale =1√∑

livello 1/σ2fi

(2.48)

dove le grandezze coinvolte nel calcolo sono le stesse illustrate nel paragrafo

precedente.

Realizzata in questo modo una possibile identificazione del campo di vista,

grazie cioe ai livelli generati dai rami di tutte le prime configurazioni che sono

state via via esaminate a partire dalla prima configurazione del primo centroide,

la stessa struttura ad albero viene “risalita” e ricreata, con le stesse modalita, per

ogni centroide presente in tutti i livelli esistenti e per ogni sua propria configura-

zione successiva. Ottenute quindi, in ogni successivo ciclo di esecuzione, tutte le

rimanenti configurazioni finali possibili, l’algoritmo di riconoscimento memorizza

ad ogni passo solo quella dotata del maggiore indice di confidenza totale: al ter-

mine dei cicli di confronto il software fornira la configurazione di stelle identificate

con l’indice di confidenza piu elevato; qualora pero una configurazione i e la sua

precedente (i−1) risultassero avere lo stesso indice di confidenza, passera al con-

fronto successivo quella costituita dagli elementi appartenenti all’“intersezione”

delle due:

Nuova config. (i) = configurazione (i) ∩ configurazione (i− 1) (2.49)

Al termine dell’intera procedura esistera dunque un’unica configurazione con indi-

ce di confidenza massimo: tale configurazione finale fornira anche la miglior stima

della misura della focale adoperata, grazie alla tecnica di fit illustrata. Questa

misura finale sostituira il dato di partenza esistente sulla focale ed evitera che,

procedendo il programma nelle successive acquisizioni di immagine, una eccessiva

imprecisione presente su questo parametro possa vanificare l’intera procedura di

riconoscimento.

2.6 Il riconoscimento stellare III - Verifica, espan-

sione e calcolo dell’assetto

2.6.1 Il ciclo di verifica dell’immagine e la sua espansione

Una volta eseguito il riconoscimento del campo di vista, e finalmente possibile

ottenere la direzione di puntamento richiesta con un procedimento simile a quello

mostrato nel paragrafo (2.1.2) e che sara tra breve generalizzato. La conoscenza

della direzione di puntamento e, quindi, dell’assetto nello spazio di una terna

di riferimento solidale alla CCD, puo pero permettere un’ulteriore elaborazione

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dell’immagine riconosciuta allo scopo di un perfezionamento della misura appe-

na ricavata con un procedimento a “ritroso”. Una procedura di verifica, infatti,

trasforma i vettori unitari del catalogo di riferimento nella terna solidale appena

definita, cosı da verificare in quest’ultima l’esatta posizione delle stelle relativa-

mente ai centroidi a cui il nome e stato attribuito: una stella del catalogo che

fosse stata riconosciuta per errore, e quindi non coincidente con la reale posizione

del suo centroide sull’immagine, a causa di eventuali riflessi ottici o a causa della

presenza di rumore, deve essere scartata, in quanto contribuisce con un’informa-

zione errata al calcolo della direzione di puntamento. Presa dunque la i− esimastella presente nella configurazione finale ed il suo vettore in catalogo Vi, questo

viene trasformato nella terna solidale alla CCD

Viterna CCD−→ V ′

i

e confrontato con il vettore unitario V i ivi gia presente (risultante cioe dal pro-

cesso di analisi dell’immagine illustrato nel paragrafo (2.3.2)); se la distanza tra

le due posizioni dovesse risultare maggiore del parametro di errore err, se cioe

Di = ‖ V ′i − V i ‖ > err (2.50)

allora la i − esima stella viene opportunamente contrassegnata: al termine del

ciclo di verifica sara disconosciuto il centroide per cui

Dmax = max {..,Di, ...}La terna dell’assetto verra nuovamente calcolata e l’operazione di verifica conti-

nuera ciclicamente sino all’esclusione dall’immagine riconosciuta di tutte le stelle

ritenute erronee secondo questo criterio.

Una seconda possibilita di raffinamento, detta di espansione, prevede l’ese-

cuzione di una trasformazione opposta a quella precedente: se infatti il vettore

unitario dell’i − esimo centroide rimasto non identificato viene trasformato nel

riferimento del catalogo stellare

V iterna cat.−→ V′

i

si potra cercare in quest’ultimo l’eventuale stella per il cui vettore identificativo

valga una relazione analoga e contraria alla precedente (2.50)

D′i = ‖ V′

i −Vi ‖ < err (2.51)

e grazie alla quale una nuova stella potra essere aggiunta alla configurazione

finale. Terminato l’inserimento delle stelle aggiuntive (procedura, come si vedra,

particolarmente utile nella fase di inseguimento descritta nel paragrafo (2.7)) e

verificato che si sia raggiunto il sufficiente numero di stelle identificate, l’assetto

del sensore stellare viene definitivamente ricalcolato.

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2.6.2 Il calcolo dell’assetto II - Caso generale

Il calcolo finale dell’assetto e una generalizzazione di quello presentato nel para-

grafo (2.1.2) al caso di un numero N di stelle riconosciute nell’immagine. Poiche,

come si e in precedenza mostrato, ogni coppia di stelle puo contribuire alla deter-

minazione di una terna ortonormalizzata, il calcolo generale consiste nel ricavare

una terna media, pesata cioe sugli indici di confidenza delle stelle partecipanti

a ciascuna coppia a cui e riducibile la configurazione di stelle finale. Definito il

numero di possibili terne (e coppie di stelle) come

nterne =N (N− 1)

2(2.52)

essendo N il numero di stelle nella configurazione finale, ed identificando come

xi, yi, zi

i versori delle corrispondenti terne ottenute col metodo applicato in (2.5), a cui

corrisponderanno gli indici di confidenza

λi = λi1 + λi2 (2.53)

determinati come somma degli indici di confidenza delle configurazioni prove-

nienti dalle rispettive stelle della coppia i − esima, i versori della terna finale

media

x, y, z

saranno quindi definiti dalle seguenti relazioni di ortonormalizzazione:

z =⟨ nterne∑

i=1

λizi

⟩(2.54)

x =⟨ nterne∑

i=1

λixi −[( nterne∑

i=1

λixi

)· z]z⟩

(2.55)

y = z× x (2.56)

essendo ripettivamente la (2.54) e (2.55) le relazioni che definiscono il versore

normale alla telecamera (la direzione di puntamento) ed uno degli spigoli.

52

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2.7 L’algoritmo di inseguimento

2.7.1 Il tracking delle sorgenti astronomiche

Uno degli obiettivi fondamentali negli esperimenti dell’astrofisica X/γ prevede la

raccolta per tempi di esposizione lunghi (qualche ora) della radiazione provenien-

te dalle sorgenti di interesse. Un esperimento condotto su pallone stratosferico

necessita quindi di un sistema in grado di “inseguire” la sorgente astronomica

in esame, di modo che questa possa essere presente nel campo di vista del tele-

scopio per il tempo necessario alla raccolta dei dati. Come si e gia discusso nel

paragrafo (1.4), le particolari condizioni operative della gondola HiPeG preve-

dono una precisione di puntamento dinamica molto elevata (60 arcosecondi). A

tal fine, la verifica degli spostamenti della sorgente rispetto al valore nominale

inserito nel piano di volo deve avere una accuratezza maggiore e pari ad almeno

10 arcosecondi (tabella (1.2)).

2.7.2 Lo schema dell’algoritmo

Per poter valutare nel corso del tempo gli spostamenti del sensore stellare, e

quindi “tracciare” l’andamento della sua traiettoria di puntamento nello spazio,

e necessario procedere all’acquisizione ed all’elaborazione di immagini successive.

Per poter effettuare l’analisi dell’immagine in un tempo ridotto rispetto a quello

della completa procedura di riconoscimento appena descritta, e stato implementa-

to un algoritmo con il compito di “aggiornare”, quando possibile, l’identificazione

del campo stellare e la misura dell’assetto con una procedura notevolmente piu

rapida e semplificata: lo schema dell’algoritmo e rappresentato nello schema a

blocchi di figura (2.13).

Il principale vantaggio di questa procedura consiste nel considerare come “nuo-

vo” catalogo di riferimento, un catalogo “ridotto” formato dalle sole stelle rico-

nosciute nell’ultima immagine elaborata con successo; in questo modo, acquisita

dalla CCD una nuova immagine, l’algoritmo ricorre alla complessa selezione del-

le possibili configurazioni di riscontro utilizzando solo quelle stelle che hanno la

maggiore probabilita di essere ancora nella visuale del sensore. Se il campo stel-

lare del catalogo “ridotto” e stato sufficiente a completare il riconoscimento della

nuova immagine, l’algoritmo di espansione descritto al paragrafo (2.6.1) verifi-

ca se l’immagine contiene ulteriori stelle identificabili per migliorare la misura

della direzione di puntamento; in ogni caso la nuova immagine riconosciuta con

successo costituisce ora il nuovo catalogo “ridotto” da utilizzare nella successiva

acquisizione ed il processo prosegue in loop con questa procedura snellita fino al

53

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Figura 2.13: Il diagramma di flusso dell’algoritmo di inseguimento.

primo caso di riconoscimento fallito. In questa situazione, se il numero di stelle

presenti nel catalogo “ridotto” non e quindi sufficiente a consentire il riconosci-

mento della nuova immagine, l’algoritmo riprende l’uso del catalogo di riferimento

di partenza ed esegue la completa procedura di riconoscimento sin qui descritta.

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Capitolo 3

I test dell’algoritmo - Modelli e

simulazioni

3.1 Introduzione - La precisione di puntamento

In questo capitolo verranno presentati i risultati dei test eseguiti per valutare il

funzionamento dell’algoritmo di riconoscimento descritto nel capitolo precedente;

in particolare sara valutata la precisione ottenibile sulla misura della direzione di

puntamento.

Dopo aver formulato una semplice modellizzazione del segnale rivelato dalla

CCD, utile per una interpretazione qualitativa dei test eseguiti sulla precisione

del calcolo dei centroidi stellari, si valutera l’entita del grado di defocalizzazione

da introdurre sulle stelle contenute nell’immagine. Si mostrera, inoltre, quanto

il numero di stelle complessivamente identificate dall’algoritmo contribuisca a

modificare la precisione di puntamento in funzione degli errori sulla localizzazione

di un singolo centroide. Poiche la procedura di riconoscimento stellare impiega

la trasformazione delle stelle rivelate in vettori unitari, il primo passo nell’analisi

del livello di precisione realizzabile riguarda la determinazione del centroide della

stella.

3.2 La precisione sulla posizione del centroide

La precisione con cui e nota la posizione del centroide stellare sulla superficie della

CCD influenza direttamente il calcolo dei vettori unitari descritti nel paragrafo

(2.3.2) e, quindi, il calcolo della direzione di puntamento. I fenomeni che danno

origine all’incertezza sulla posizione di un centroide sono fondamentalmente tre

e l’effetto di ognuno di questi sara studiato e valutato nei paragrafi successivi:

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1. il segnale di rumore proveniente da ciascun pixel della CCD

2. la discretizzazione dei livelli di uscita del convertitore analogico/digitale

posto nell’amplificatore della CCD;

3. la discretizzazione geometrica dei pixel.

Queste fonti di errore si “propagano” nella determinazione del centroide attraver-

so il calcolo matematico che l’algoritmo esegue per “pesare” la posizione geome-

trica di ogni pixel della CCD con il livello di segnale luminoso rivelato da ciascuno

di essi (equazioni (2.10-11)).

L’entita di queste imprecisioni dipende prinicipalmente dalle dimensioni del-

l’immagine di una stella: se infatti, come esempio, si considera l’imprecisione

introdotta nel calcolo del centroide di una stella dalla discretizzazione geometri-

ca, i pixel di forma quadrata disposti attorno al bordo dell’immagine forniranno

un diverso segnale in funzione del loro grado di sovrapposizione col contorno (per

es. circolare) dell’immagine stessa; poiche cio avviene in relazione alla posizione

reale del centro della sagoma stellare, il livello di uscita dei pixel corrispondenti al

profilo del bordo sara inoltre variabile in funzione di questa posizione; la dimen-

sione dell’immagine, infine, rendera questi effetti di bordo piu o meno trascurabili

in relazione alla loro estensione superficiale relativa.

3.2.1 La propagazione dell’errore sul calcolo del centroide

Ciascuna stella presente nel campo di vista del sensore stellare illumina la super-

ficie della CCD con una distibuzione di intensita che e possibile riassumere in una

funzione continua delle coordinate geometriche del piano I0(x, y); trascurando la

fluttuazione poissoniana del numero di fotoni che compongono il segnale lumi-

noso di una stella, ciascun pixel si trovera ad integrare il segnale che perviene

alla sua superficie assieme al rumore generato dalle fluttuazioni della corrente di

buio (funzione principalmente del tempo di esposizione) e dal rumore di lettura

dell’elettronica, quest’ultimo da ritenersi di valore uniforme per ciascun pixel (si

ricordi che il fixed pattern noise e gia stato sottratto dall’immagine in esame).

Per ciascun pixel di coordinate (i, j) e di area superficiale Spixel, si avra dunque

che l’intensita di segnale contenuto E ′ij sara

E ′ij = E0ij + ENij

(3.1)

essendo rispettivamente

E0ij =

Spixel

I0(x, y) dx dy (3.2)

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l’integrale dell’intensita luminosa calcolata su di un pixel ed ENijl’entita di tutti

i contributi di rumore alla corrente di buio di un singolo pixel. Poiche e pero pre-

sente una discretizzazione dei livelli di segnale nel convertitore analogico/digitale

della CCD, il reale segnale rivelato assumera il valore Eij pari alla parte intera

del rapporto tra l’intensita complessiva misurata e l’ampiezza L di un livello in

unita ADC:

Eij =

[E0ij + ENij

L

](3.3)

Se pero si considera l’ampia dinamica di una CCD ad uso scientifico (12 bit),

capace di un livello fine di discretizzazione tale da apprezzare le fluttuazioni di

rumore e dunque tale da essere nella condizione per cui

E0ij , ENijÀ L (3.4)

l’effetto della discretizzazione puo essere trattato congiuntamente alla propaga-

zione dell’errore nel calcolo delle coordinate del centroide ponendo

Eij '[E0ij

L

]+

[ENij

L

](3.5)

Eij = E0ij + ENij(3.6)

Con riferimento alle notazioni impiegate nel paragrafo (2.3.2), essendo l’ascissa

del centroide

xc =

∑ni−1i=0

∑nj−1j=0 xi Eij

∑ni−1i=0

∑nj−1j=0 Eij

(3.7)

si studia dapprima l’incertezza presente su questo punto, potendo poi estendere

le medesime considerazioni anche alla coordinata yc. Essendo la coordinata geo-

metrica del centro di un pixel quadrato di lato l esprimibile in funzione dell’indice

i− esimo di questo come

xi =(i+

1

2

)l (3.8)

e semplificando la notazione delle sommatorie sugli ni e nj pixel presenti per lato

sul rettangolo selezionato, si ha che

xc =

∑ij (i+ 1

2)l ENij

+ x0E0∑

ij ENij+ E0

(3.9)

dove

x0 =

∑ij (i+ 1

2)l E0ij∑

ij E0ij

(3.10)

57

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e l’ascissa del centroide in assenza di rumore ed E0 l’intensita, sommata sui pixel,

della sola radiazione luminosa. Riscrivendo la posizione dell’ascissa del centroide

come una funzione Φ del rumore ENije della coordinata x0

xc = Φ (ENij, x0) (3.11)

si puo calcolare l’imprecisione esistente sul suo valore propagando l’errore sulle

variabili indipendenti della funzione Φ: indicando infatti con σNije σx0 rispetti-

vamente le fluttuazioni del rumore misurato per pixel e la larghezza della distri-

buzione dei valori dell’ascissa ricavata dal segnale della sola stella, si puo porre

σ2xc

pari a

σ2xc

=∑

ij

(∂Φ

∂ENij

)2

ENij,x0

σ2Nij

+

(∂Φ

∂x0

)2

ENij,x0

σ2x0

(3.12)

Essendo il valor medio delle fluttuazioni del livello di rumore ENijnullo per

ciascun pixel, le derivate parziali che compongono il primo membro della somma

(3.12) sono quindi(

∂Φ

∂ENij

)

ENij,x0

=(i+ 1

2)l E0 − x0E0

E20

(3.13)

Calcolando con gli stessi valori la rimanente derivata, si trova(∂Φ

∂x0

)

ENij,x0

= 1 (3.14)

Poiche la fluttuazione del segnale di rumore e misurabile e si puo ritenere reali-

sticamente uguale ad un valore σN costante per ogni pixel, si puo porre

σ2xc

=∑

ij

[(i+ 1

2)l − x0

E0

]2

σ2N + σ2

x0(3.15)

Ponendo il valor medio dell’ascissa x0, come e lecito supporre, uguale alla posi-

zione mediana lungo il lato del rettangolo formato dagli nx× ny pixel selezionati

dall’algoritmo di localizzazione della stella e ricordando che

n−1∑

0

i =n(n− 1)

2,

n−1∑

0

i2 =n(n− 1)(2n− 1)

6(3.16)

si ottiene infine, calcolando le somme e ponendo l = 1

σ2xc

=nxny

E20

(n2x − 1)

12σ2

N + σ2x0

(3.17)

58

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In particolare si puo notare come la componente di rumore che costituisce il primo

membro della somma (3.17), cioe quella dipendente unicamente dalla componente

di rumore del segnale, sia, in opportune condizioni, inversamente proporzionale al

rapporto segnale su rumore SNR presente sul singolo pixel: se infatti si pongono

nx ' ny = n , nÀ 1 (3.18)

ovverosia le condizioni di un’immagine stellare distribuita su piu pixel, si ha che

n2

E0

σN =σN

(E0/n2)' σN

E0pixel

=1

SNRpixel

(3.19)

essendo E0pixel il segnale medio della stella su ciascun pixel. La successiva figura

(3.1) illustra l’andamento del contributo di rumore

σN (n, E0, σN ) =n

E0

√(n2 − 1)

2√3

σN (3.20)

nel caso nx = ny. Considerando la modalita con la quale l’algoritmo seleziona il

numero n×n di pixel per ogni stella (si veda il paragrafo (2.3.1)), i valori riportati

in ascissa della stessa figura si riferiscono alla lunghezza del lato di un quadrato

in grado di contenere integralmente l’immagine di una stella di diametro D; in

particolare, riferendosi al caso di stelle con valore del diametro superiore ad un

singolo pixel e ponendosi nelle condizioni meno favorevoli di un numero massimo

di pixel selezionati, si ha che

n = [D] + 2 (3.21)

dove con [D] si e indicata la parte intera del diametro dell’immagine. I valori

rappresentati sono stati calcolati valutando una fluttuazione σN pari a 5 livelli

di ADC; inoltre, oltre al variare delle dimensioni della stella, sono stati conside-

rati 5 diversi valori del rapporto segnale su rumore E0/σN . E possibile notare

un comportamento tendente a n2 per stelle di grosse dimensioni (n >10 pixel):

questo rivela, come era prevedibile, una maggiore influenza del rumore nella de-

terminazione algebrica del centroide quando il numero di pixel coinvolti cresce.

Allo stesso modo questa imprecisione aumenta al diminuire del segnale stellare.

Per stelle con dimensioni pari od inferiori ad un singolo pixel, invece, l’effetto del

rumore risulta ovviamente nullo.

3.2.2 Un modello di stima per la discretizzazione: la stella

quadrata

Il parametro restante nella valutazione dell’errore complessivo sulla localizzazione

del centroide, ovverosia σx0 , trova origine fisica nel gia citato effetto della discretiz-

zazione geometrica della CCD e, quindi, nella possibilita di disporre unicamente

59

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0.0001

0.001

0.01

0.1

1

10

100

1000

104

1 10 100

S/N 1S/N 10S/N 102 S/N 103 S/N 104

(pixe

l)

Diametro stella (pixel)

σN

Figura 3.1: Andamento del contributo di rumore σN per diversi valori di S/N. Il valore di n

impiegato in (3.20) e ricavato dal diametro della stella come n = [D] + 2 (eq.(3.21)).

di un segnale luminoso integrato. Prima di presentare i valori ottenuti dai risul-

tati di una simulazione numerica eseguita con “stelle” dotate di caratteristiche

piu realistiche, si descrivono ora brevemente le conseguenze della discretizzazione

nel calcolo del centroide di una “stella” di profilo quadrato: come si vedra questa

semplice modellizzazione e utile all’interpretazione qualitativa dei risultati che

saranno mostrati nel paragrafo (3.2.4).

Con riferimento alla figura (3.2), che illustra la geometria del modello, si

considera il profilo del segnale della stella come un parallelepipedo P(x, y) di

lato L ed altezza a, tale che il segnale equivalente all’intensita totale di energia

incidente sia pari a ∑

ij

E0ij = E0 = a L2 (3.22)

Poiche in generale l’area occupata dalla “stella” non copre un numero esatto di

pixel, l’applicazione della (3.10) per il calcolo del centroide e soggetta ad un’in-

certezza esprimibile come lo scarto quadratico σx0 dalla posizione media x0. Per

il calcolo di quest’ultima, la (3.10) si puo riscrivere come

x0 =1

a L

nx−1∑

i=0

(i+

1

2

)l E0ij (3.23)

60

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11

Figura 3.2: Rappresentazione unidimensionale della “stella” quadrata disposta in sezione sui

pixel della CCD: i pixel che ne contengono gli spigoli influenzano il calcolo del centroide con un

errore di discretizzazione. Le quantita espresse in figura sono discusse nel testo.

dove sono state gia eseguite le somme nella direzione delle ordinate. L’effetto della

discretizzazione e riscontrabile nel calcolo dell’integrale del segnale luminoso di

un pixel di coordinate (i, j)

E0ij =

∫ (i+1)l

il

P(x) dx (3.24)

presente sui bordi della sagoma stellare: essendo infatti il profilo P(x) tale che

P(x) ={a xr 6 x 6 (xr + L)

0 x < xr , x > (xr + L)(3.25)

il valore che l’integrale (3.24) assume e dipendente dall’intervallo di integrazione.

Con riferimento alla figura (3.2), i 4 valori di (3.24) ed i rispettivi intervalli di

integrazione sono:

E0ij = 0 i <

[xr

l

], i >

[xr + L

l

]+ 1 (3.26)

E0ij = a l

[xr

l

]+ 1 6 i <

[xr + L

l

](3.27)

E0ij = a

([xr

l

]+ 1− xr

l

)i =

[xr

l

](3.28)

E0ij = a

(xr + L

l−[xr + L

l

])i =

[xr + L

l

](3.29)

dove le parentesi quadre indicano l’uso della funzione parte intera. Sostituendo i

valori appena ricavati nella (3.23) ed indicando con G(x) l’abbreviazione per

G(x) = [x](2x− [x]− 1

)(3.30)

61

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dopo alcuni passaggi si ottiene che

x0 =l

2L

[G

(xr + L

l

)−G

(xr

l

)]+l

2(3.31)

La (3.31) e una funzione dispari della posizione xr, oltre che periodica e di passo

equivalente a l, come prevedibile per la scelta casuale di xr e la supposta unifor-

mita della risposta dei pixel al segnale. Se si effettua ora una traslazione tale da

arretrare tutti i punti di P di una quantita eguale a L/2 e si pone la dimensione

di un pixel come unita di misura della lunghezza (l = 1), si puo riscrivere la

(3.31) come

x0 =l

2L

[G

(xr +

L

2

)−G

(xr −

L

2

)]+

1

2(3.32)

e considerare cosı il punto xr come la reale ascissa del centroide della “stella”

quadrata. Indicando ora con S lo scarto tra la posizione reale e l’ascissa x0

influenzata dalla digitalizzazione

S = xr − x0 (3.33)

l’errore dovuto alla non coincidenza dei punti puo essere rappresentato dalla

deviazione standard effettuata sulla distibuzione di tali scarti, e cioe:

σx0 =

√∫S2ρ(S) dS (3.34)

dove si e indicato con ρ(S) la funzione di distribuzione ancora incognita. Per

effettuare il calcolo dell’integrale, si puo considerare lo scarto come funzione dei

parametri xr e L:

S = S(xr − x0) (3.35)

Si puo quindi studiare il comportamento della (3.35) in funzione di L in un

intervallo di variabilita di xr pari alla dimensione di un pixel, poiche questa

ascissa puo liberamente occupare ogni posizione di questo intervallo.

Come illustrato dalla figura (3.3), la funzione S(xr, L) puo assumere tre diversi

andamenti, riconducibili alla presenza in (3.32) di quantita espresse come parti

intere, riscontrabili nella definizione di G(x) (3.30); questi andamenti, riassunti

dalle seguenti condizioni, sono stati studiati per comodita nell’intervallo [0, 12]:

1. il valore di L e un numero intero⇒ la funzione di scarto S(xr, L) e nulla in

tutto l’intervallo di integrazione. Questo e dovuto alla precisa determina-

zione del centroide dovuta alla corrispondenza di L con un esatto numero

di pixel (si ricorda la scelta l = 1);

62

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-0.03

-0.02

-0.01

0

0.01

0.02

0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5

L=6L=6.3L=5.6

S(x,

L)

x

Figura 3.3: I tre casi di comportamento possibile della funzione S(x, L). I valori di L scelti

come esempio sono visibili nel riquadro in figura.

2. il valore della parte intera [L] e pari ⇒ la funzione di scarto S(xr, L) e

lineare con pendenza discontinua nel punto di coordinate x∗1:

x∗1 =L

2−[L

2

](3.36)

ed assume i valori:

S(xr, L) =

2xrL

([L2

]− L

2+ 1

2

)0 6 xr < x∗1

2xrL

([L2

]− L

2

)− 1

L

[L2

]+ 1

2x∗1 6 xr <

12

(3.37)

3. il valore della parte intera [L] e dispari ⇒ la funzione di scarto S(xr, L) e

lineare con pendenza discontinua nel punto di coordinate x∗2:

x∗2 =

[L

2

]− L

2+ 1 (3.38)

ed assume i valori:

S(xr, L) =

2xrL

([L2

]− L

2+ 1

2

)0 6 xr < x∗2

2xrL

([L2

]− L

2+ 1)− 1

L

([L2

]+ 1)+ 1

2x∗2 6 xr <

12

(3.39)

63

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A causa dell’andamento lineare della funzione S, e possibile notare come i valori

degli scarti nel caso 2 e nel caso 3 siano rispettivamente distribuiti uniforme-

mente negli intervalli [S1min,S1max

] e [S2min,S2max

], in corrispondenza di tutte le

posizioni che xr puo assumere nell’intervallo della lunghezza di un pixel; per que-

sto motivo la funzione di distribuzione ρ(S) sara dunque anch’essa uniforme in

questi intervalli. Con i coefficienti angolari espressi nelle (3.37) e (3.39) e con i

valori dei punti di discontinuita della pendenza (3.36) e (3.38), si ricava dunque

rispettivamente:

|S1min| = S1max

=2

L

([L

2

]− L

2+

1

2

)(L

2−[L

2

])(3.40)

|S2min| = S2max

=2

L

([L

2

]− L

2+

1

2

)([L

2

]− L

2+ 1

)(3.41)

Dopo aver normalizzato le distribuzioni, si ottengono infine i valori delle devia-

zioni standard cercate:

σx01=

√∫ S1max

S1min

S2ρ(S) dS ⇒ σx01=|S1max

|√3

(3.42)

σx02=

√∫ S2max

S2min

S2ρ(S) dS ⇒ σx02=|S2max

|√3

(3.43)

La figura (3.4) illustra l’andamento della deviazione standard complessiva: i va-

lori per cui essa si annulla corrispondono ad un numero intero di pixel nel lato

L, mentre il visibile comportamento a “rimbalzi” e dovuto alla successione degli

intervalli dove la parte intera [L] e pari o dispari; ugualmente si puo notare come

l’andamento per grandi valori di L rispecchi un comportamento inversamente pro-

porzionale alle dimensioni della “stella”: una “stella” di grosse dimensioni subira

una minore influenza degli effetti di discretizzazione a causa del relativo minor

peso nel calcolo del centroide dei pixel disposti sul bordo. Si puo infine notare

come l’errore introdotto dalla discretizzazione sia indipendente dall’intensita del

segnale incidente sui pixel.

3.2.3 Le previsioni del modello

E possibile esprimere ora alcune considerazioni sul modello appena descritto.

Le figure di questo paragrafo illustrano l’andamento complessivo dell’incertezza

presente sulla localizzazione del centroide della “stella” quadrata, riassunte dalla

quantita σxc e pari alla somma in quadratura delle incertezze appena studiate:

σxc =√σ2N + σ2

x0(3.44)

64

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0.001

0.01

0.1

1 10 100

Erro

re d

i dis

cret

izza

zion

e (p

ixel

)

Diametro stella (pixel)

Figura 3.4: Andamento dell’errore σx0introdotto dalla discretizzazione dei pixel nel modello

di “stella” quadrata. L’andamento e indipendente dall’intensita della “stella”.

Le variabili utilizzate nelle illustrazioni sono la larghezza della “stella” L e la

sua intensita di segnale espressa come rapporto SNR; per rendere compatibili le

ascisse dei grafici delle due componenti di (3.44), si e posto il numero di pixel

n della (3.20) pari a [L] + 2. La figura (3.5) mostra come, fissato un rapporto

segnale su rumore di valore ragionevole (SNR = 1000, σN = 5), l’effetto della

discretizzazione dei pixel sia dominante per “stelle” di piccolo diametro, mentre

per diametri piu grossi la ragione maggiore di imprecisione vada ricercata nelle

fluttuazioni di rumore.

Da questo comportamento del modello, segue, in questo caso, l’esistenza di

una posizione di minimo per la (3.44): come si puo vedere nell’esempio illustrato

dalla stessa figura, la curva di inviluppo che racchiude l’andamento di σxc possiede

un minimo per un diametro stellare equivalente a circa 4 pixel.

Poiche l’andamento di σxc per una stella reale non avra, in condizioni normali,

il comportamento a rimbalzi caratteristici di questa modellizzazione a “stella”

quadrata, si puo prevedere l’esistenza di una posizione del minimo in un possibile

analogo comportamento dei valori della precisione σx0 calcolata per una stella

reale.

Questo risultato indica quindi che, fissato un valore SNR, esiste un numero

65

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0.0001

0.001

0.01

0.1

1

10

1 10 100

Errore totaleRumoreDiscretizzazioneInviluppo errore totale

Erro

re to

tale

(pix

el)

Diametro stella (pixel)

Figura 3.5: Andamento previsto dal modello per l’errore totale sulla localizzazione del centroide

nel caso di una “stella” con S/N pari a 1000. Sono visibili i singoli contributi di errore e, in

tratteggio fine, la curva di inviluppo.

ottimale di pixel su cui focalizzare l’immagine di una stella in modo da minimiz-

zare l’errore commesso nella localizzazione del centroide. La figura (3.6) illustra

gli andamenti della precisione σx0 per diversi valori di intensita SNR: e possibile

notare come per intensita decrescenti (S/N < 100) l’effetto del rumore preval-

ga rispetto alla discretizzazione quando le dimensioni della “stella” quadrata si

riducono.

3.2.4 Il test Montecarlo sulla precisione del centroide

Le simulazioni Montecarlo compiute prevedono l’esecuzione dell’algoritmo di lo-

calizzazione delle stelle su immagini test create appositamente per ottenere una

statistica di eventi sufficiente a valutare il livello di precisione nella computazione

delle coordinate del centroide.

La CCD simulata nel test ha le stesse caratteristiche geometriche di quella

realmente utilizzata: in particolare, oltre alle dimensioni del pixel e della matrice,

gia illustrati nel paragrafo (1.7.1), e stato utilizzato il valore di 4096 (la dinamica

della CCD equivale a 12 bit) come il livello massimo ADC per la saturazione

66

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0.0001

0.001

0.01

0.1

1

10

100

1000

104

1 10 100

S/N 1S/N 10S/N 102 S/N 103 S/N 104

Erro

re to

tale

(pix

el)

Diametro stella (pixel)

Figura 3.6: Andamento dell’errore totale per tutti i valori di S/N utilizzati. L’effetto della

discretizzazione e visibile solo sulle “stelle” piu intense.

del singolo pixel. E stata inoltre simulata la presenza di un segnale di rumore

fluttuante con σN = 5, ed e stato fissato a 4 il valore del parametro ν che in (2.9)

stabilisce la soglia iniziale dell’algoritmo di localizzazione descritto nel paragrafo

(2.3.1).

Le stelle delle immagini test vengono rappresentate come gaussiane con centro

di coordinate note (xr, yr) distribuite sulla superficie della CCD simulata. Le

stelle cosı create sono quindi descritte dalla curva di intensta I tale che

I(x, y) = I02πσ2

star

e− 1

2(x−xr)

2+(y−yr)2

σ2star (3.45)

dove la deviazione standard σstar esprime le dimensioni della stella di intensita

totale I0; le code della gaussiana sono tagliate a 4σstar, dove il valore del suo

integrale raggiunge oltre il 99% del totale. Posto uguale a 1 il valore l della

dimensione di un pixel, il calcolo del segnale rivelato da un pixel di coordinate

(i, j) sara

E0ij =

[E0ij

L

](3.46)

67

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dove

E0ij =I0

2πσstar

∫ i+1

i

e− 1

2(x−xr)

2

σ2star dx

∫ j+1

j

e− 1

2(y−yr)

2

σ2star dy (3.47)

Introducendo la funzione erf

erf(x) =2√π

∫ x

0

e−t2 dt (3.48)

la (3.47) puo essere riscritta come

E0ij =I0π

[erf

(i+

1√2σstar

)− erf (i)

] [erf

(j +

1√2σstar

)− erf (j)

]

(3.49)

I run dei test Montecarlo sono costituiti da un numero di 1000 stelle gaussiane

per ogni valore di σstar misurato in unita di pixel e variabile da 0.2 a 20; ogni test

e stato ripetuto per valori di intensita SNR compresi tra 10 e 105.

Le figure successive mostrano i risultati del test effettuato per il valore 103; la

figura (3.7) illustra i valori ottenuti sulla precisione del centroide paragonati al-

l’andamento degli stessi come sono stati ricavati dal modello di “stella” quadrata

per il medesimo valore di SNR: occorre notare che per rendere i valori illustrati

in figura (3.5) confrontabili con quelli ottenuti dal test in funzione della σstar di

una stella gaussiana, i valori dell’ascissa relativi al modello di “stella” quadrata

visibili in figura (3.7), sono stati ottenuti calcolando la media dei lati del ret-

tangolo selezionato dall’algoritmo e contenente la regione sopra soglia della stella

gaussiana. E possibile notare come gli andamenti dell’errore totale simulato si

sovrappongano entro un certo intervallo con quelli del modello.

Mentre si puo attribuire l’effetto della discretizzazione alla crescita dell’errore

σxc per piccoli valori di σstar (non e presente in questo caso nessun genere di

“rimbalzo”), lo scostamento dal modello per valori maggiori a circa σstar = 4

puo essere messo in relazione con il brusco calo dell’intensita totale misurata in

corrispondenza degli stessi valori di σstar. La figura (3.8) mostra infatti come

l’intensita totale della stella I0 (espressa in livelli di ADC) rimane costante sino

ad un valore σ∗star del diametro stellare per poi scendere bruscamente ad un nuovo

valore costante ed approssimativamente eguale a 20 livelli di ADC. Quest’ultimo

comportamento si puo interpretare con la coincidenza del massimo dell’intensita

stellare con il livello di soglia del rumore, coincidenza che avviene quando σstar si

trova ad essere sufficientemente grande (si ricordi che, pur variando le dimensioni

della stella, il valore dell’intensita totale I0 e fissato): se infatti si ha che

Imax =I0

2πσ2star

= Soglia (3.50)

68

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0.001

0.01

0.1

1

10

0.1 1 10 100

Risultati del MontecarloRisultati del modello

Erro

re c

entro

ide

(pix

el)

star (pixel)σ

Figura 3.7: Confronto tra i risultati della simulazione del caso S/N = 1000 ed il modello

impiegato. Per rendere possibile il confronto, il valore di σstar per il modello e stato ricavato

dalle dimensioni del rettangolo selezionato dall’algoritmo di localizzazione delle stelle.

dove il valore della soglia e determinato dall’algoritmo secondo la (2.9), il valore di

quest’ultima grandezza puo essere stimato come la semi-larghezza a meta altezza

della distribuzione normale del rumore simulato con deviazione standard pari a

σN (=5) e cioe:

Soglia = 4σN

√2 ln2 = 23.5 (3.51)

Ricavando ora il valore di σ∗star con i valori del caso, si ottiene

σ∗star '√

I08πσN

√2 ln2

=

√1000× 5

8π × 5×√2 ln2

= 5.81 (3.52)

valore che, col precedente, e compatibile con quello rappresentato in figura (3.8).

In queste condizioni, come visibile in figura (3.9) in corrispondenza dello stesso

valore di σ∗star, il lato del rettangolo che seleziona la stella decresce anch’esso

fino al minimo di 3, equivalente al caso del segnale della stella contenuto in un

unico pixel e confrontabile con il livello di rumore: e percio comprensibile che

in questa situazione la precisione sulla localizzazione del centroide diminuisca

rapidamente e raggiunga valori superiori alle dimensioni stesse del pixel. Poiche

infine il numero di stelle che l’algoritmo puo isolare decresce quando l’intensita

69

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10

100

1000

104

0.1 1 10 100

Inte

nsità

tota

le (l

ivelli

ADC)

star (pixel)σ

Figura 3.8: Andamento dell’intensita totale rivelata nella simulazione del caso S/N=1000 in

funzione di σstar. Il comportamento presentato per σstar ' 6 e discusso nel testo.

massima di queste raggiunge il livello della soglia, la figura (3.10) illustra come

questo avvenga anche in corrispondenza del caso in esame: in vicinanza del valore

di σ∗star la percentuale di stelle “staccate” dall’immagine simulata si discosta dal

valore massimo per poi decrescere rapidamente; la presenza di una breve risalita

puo essere dovuta alla presenza dominante del rumore: nel caso di uno scan

dell’immagine effettuato con valori di soglia piu alti, alcuni pixel vicini a centroidi

noti possono trovarsi a contenere fluttuazioni di rumore superiori a quel valore,

costituendo in questo modo “stelle” di debole intensita e con le dimensioni di un

singolo pixel.

Estendendo i risultati del test anche ai restanti valori di intensita SNR, si

possono aggiungere altre interessanti osservazioni. La figura (3.11a) illustra la

precisione sul centroide in tutti i casi di rapporto segnale su rumore trattati;

oltre allo scostamento dal modello di “stella” quadrata (figura (3.6)) per grandi

valori di σstar a causa delle motivazioni appena discusse, si puo ora maggiormente

ritenere l’effetto della discretizzazione la causa della risalita visibile a piccoli valori

di σstar: infatti essa si presenta indipendente dai valori dell’intensita delle stelle

simulate; inoltre sono questa volta visibili i caratteristici “rimbalzi” nel caso delle

stelle di intensita SNR = 104 e SNR = 105, in corrispondenza di valori di σstar

70

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1

10

100

0.1 1 10 100

Lato

del

retta

ngol

o (p

ixel)

star (pixel)σ

Figura 3.9: Andamento della dimensione dei rettangoli selezionati dall’algoritmo in funzione di

σstar. Il comportamento descritto nel testo e visibile in figura si manifesta in corrispondenza

dello stesso valore σ∗star descritto in precedenza.

prossimi a 1.

Per comprendere il fenomeno, la figura (3.11b) completa gli andamenti delle

intensita totali calcolate: si puo notare come, nei casi in esame, l’integrale dell’in-

tensita misurata decresca in corrispondenza di tale comportamento, osservazione

che aiuta a mettere in relazione questa caratteristica con la saturazione del se-

gnale. Se infatti a parita di intensita totale si riducono le dimensioni della stella,

l’intensita massima Imax puo trovarsi a raggiungere e superare il massimo livello

di segnale che e accumulabile in un singolo pixel: in questa situazione l’intensita

totale della stella viene “tagliata” oltre il massimo ed il profilo della distibuzione

che ne risulta assomiglia sempre di piu alla condizione verificata nel modello a

“stella” quadrata.

Nel caso invece della stella di intensita SNR = 10, il livello di segnale si trova

poco al di sopra della soglia, causando in questo modo una condizione simile a

quella gia discussa in precedenza (eq.(3.51)); il fatto che per piccoli valori di σstar

il segnale occupi interamente un singolo pixel (figura (3.11b) e (3.11c)), giustifica

che il livello di precisione si trovi comunque nell’ordine di qualche frazione della

sua dimensione. Come si puo infine notare dalla figura (3.11d), il numero di stelle

71

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0

20

40

60

80

100

120

0.1 1 10 100

Perc

entu

ale

stel

le tr

ovat

e

star (pixel)σ

Figura 3.10: Andamento delle percentuali delle stelle di intensita S/N=1000 localizzate

dall’algoritmo. Il comportamento visibile intorno al valore σstar ' 6 e descritto nel testo.

isolato in questo caso non raggiunge il valore massimo.

Come ultimo risultato del test, si puo identificare ancora dalla figura (3.11a),

l’esistenza di un errore minimo di localizzazione del centroide compatibile con

l’andamento suggerito dal modello di stima: se σstar e contenuta nel’ampiezza di

un singolo pixel, la precisione ottenibile nella determinazione del centroide delle

stelle simulate nel range di intensita compreso tra SNR = 102 e SNR = 105,

non supera un decimo del valore di questa stessa quantita.

Da quest’ultima considerazione segue l’accorgimento, anticipato nel paragra-

fo (2.3.3), di defocalizzare l’immagine delle stelle reali entro questo intervallo

ottimale.

3.3 Il test sulla precisione di puntamento

Dopo aver determinato il limite di precisione esistente sul posizionamento del

centroide di ogni stella, il passo successivo consiste nel valutare come esso si

“propaghi” alla precisione di puntamento finale in funzione del numero di stelle

presenti nell’immagine riconosciuta. Questa stima e stata effettuata con l’impie-

72

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0.001

0.01

0.1

1

10

0.1 1 10 100

S/N 10S/N 102

S/N 103

S/N 104

S/N 105

Erro

re c

entro

ide

(pix

el)

star (pixel)σ

10

100

1000

104

105

106

0.1 1 10 100

S/N 10S/N 102

S/N 103

S/N 104

S/N 105

Inte

nsità

tota

le (l

ivelli

ADC)

star (pixel)σ

1

10

100

0.1 1 10 100

S/N 10S/N 102

S/N 103

S/N 104

S/N 105

Lato

del

retta

ngol

o (p

ixel)

star (pixel)σ

0

20

40

60

80

100

120

0.1 1 10 100

S/N 10S/N 102

S/N 103

S/N 104

S/N 105

Perc

entu

ale

stel

le tr

ovat

e

star (pixel)σ

Figura 3.11: Estensione a tutti i casi di valori S/N considerati nel test Montecarlo degli anda-

menti di errore illustrati in precedenza: (a) errori sulla localizzazione dei centroidi, (b) intensita

totali rivelate, (c) dimensioni dei rettangoli selezionati, (d) percentuali di stelle localizzate.

go di un test Montecarlo sulla sola procedura di calcolo dell’assetto, discussa nel

paragrafo (2.6.2). Il test ha considerato un numero di stelle Nstar visualizzate

nell’immagine variabile da 3 (il numero minimo di stelle necessarie all’identifica-

zione) a 100; queste sono state simulate con una scelta casuale delle coordinate

(x, y) di ciascun centroide sulla superficie della CCD, per poi introdurre su ognu-

no di essi una “delocalizzazione” casuale di entita pari alla dimensione di un

pixel (σxc = 1); data la linearita delle operazioni di media coinvolte nel calco-

lo della direzione di puntamento, questa scelta permette di ottenere una serie

di valori di precisione utilizzabili come riferimento: l’andamento delle precisio-

ni di puntamento ottenibili introducendo sui centroidi una maggiore o minore

delocalizzazione, puo essere ricavata semplicemente moltiplicando l’entita di que-

st’ultima con i valori espressi in figura (3.12), dove sono visibili i risultati del test.

73

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0.1

1

10

1 10 100

xy

Prec

ision

e pu

ntam

ento

( Xc

)

Numero stelle

y = m1*m0^(-m2)+m3*m0^(-.5)ErrorValue

0.027697832.828994m1 0.0074618281.316004m2 0.002907931.037721m3

NA2032.483ChisqNA0.9996356R

y = m1*m0^(-m2)+m3*m0^(-.5)ErrorValue

0.039984874.402336m1 0.0065173871.384337m2 0.0030073711.181026m3

NA304.0629ChisqNA0.9999542R

σ

Figura 3.12: Andamento dei risultati del test Montecarlo sulla precisione di puntamento otte-

nibile in funzione del numero di stelle identificate; l’unita di misura utilizzata e la precisione

σxccon cui e noto il singolo centroide. I parametri delle curve del fit sono visibili in figura.

Per ogni numero di stelle presenti nell’immagine il test possiede una statistica di

105 eventi.

Dopo che l’algoritmo ha calcolato la direzione di puntamento z′ per ogni

immagine simulata, vengono calcolate le deviazioni standard σx e σy sulle com-

ponenti del puntamento lungo i versori x e y della terna solidale alla CCD,

deviazioni ottenute rispetto al valore iniziale del puntamento z, noto dall’elabo-

razione dell’immagine contenente i centroidi di partenza posizionati senza errore;

in questo caso l’unita di misura delle precisioni di puntamento σx e σy e espressa

in funzione della precisione σxc ottenuta sul calcolo di un singolo centroide. Nella

stessa figura (3.12) e altresı visibile l’andamento del fit che e stato eseguito sui

dati del test.

In particolare si puo notare il diverso livello di precisione esistente sulle due

componenti di z′ e l’andamento comune ad entrambe le curve al crescere del

numero di stelle presenti nell’immagine; una possibile spiegazione della differenza

di precisione sulle due componenti e dovuta alla superficie rettangolare della

CCD: in queste condizioni, infatti, l’errore presente sulla posizione del centroide

ha maggiore influenza sul calcolo del puntamento nella direzione dove la distanza

74

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massima tra le stelle visualizzate e necessariamente minore; poiche il versore

y individua il lato piu corto della CCD, indicando con ∆y la distanza massima

riscontrata tra le stelle lungo questa direzione, l’errore relativo σxc/∆y contribuira

ad una imprecisione maggiore rispetto a quella riscontrabile nella direzione del

lato piu lungo.

Infine, come anticipato dalla (1.2) al termine del primo capitolo, l’andamento

della precisione di puntamento risulta essere compatibile con quello dell’inverso

della radice quadrata del numero di stelle visualizzate:

σx −→1√Nstar

(3.53)

σy −→1√Nstar

(3.54)

I parametri delle curve rappresentate in figura (3.12) sono riassunti dalle seguenti

tabelle.

Curva x a± δa b± δb c± δc χ2

ax−b

+ c√x

2.83±0.28 1.32±0.01 1.038±0.002 2032

Curva y a′ ± δa′ b′ ± δb′ c′ ± δc′ χ2

a′

x−b′ + c′√

x4.40±0.04 1.38±0.01 1.181±0.003 304

3.3.1 L’indipendenza della precisione dalla distanza focale

I risultati appena ottenuti dal test sulla precisione di puntamento consentono di

esprimere una considerazione sul ruolo svolto dal valore del parametro focale che

compare nell’algoritmo. Se si immagina uniforme la densita di stelle reali nello

spazio, il numero di queste visualizzabili sulla CCD sara conseguentemente pro-

porzionale alle dimensioni del campo di vista; poiche l’ampiezza di quest’ultimo

e inversamente proporzionale alla distanza focale, si avra:

Nstar ∝1

(focale)2(3.55)

In base alle conclusioni del paragrafo (3.2.4), per ottenere il miglior grado di pre-

cisione di puntamento e necessario introdurre un livello di defocalizzazione tale

da ottenere un valore di σstar (espresso in numero di pixel) costante in ogni condi-

zione di visualizzazione. Poiche, d’altra parte, la risoluzione ottica dell’obiettivo

e dunque l’ampiezza angolare α della visuale del singolo pixel sono legate alla

focale utilizzata, si avra:

α ∝ 1

focale(3.56)

75

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Immaginando di impiegare obiettivi dotati di uguale diametro di raccolta efficace

per raggiungere lo stesso livello di sensibilita, si possono utilizzare i risultati del

test per affermare che la precisione di puntamento e in larga misura indipendente

dall’entita della lunghezza focale: considerando infatti gli andamenti della preci-

sione col numero di stelle (3.53) e (3.54), si puo infatti affermare che l’ampiezza

angolare σassetto dell’errore “propagato” sulla direzione di puntamento sara:

σassetto ' σx(y) σxc α ≈α√Nstar

∝ 1 (3.57)

quantita che risulta quindi indipendente dal parametro focale. Questa conside-

razione statistica, come si mostrera con i risultati della simulazione completa del

riconoscimento stellare presentata nel prossimo paragrafo, resta sostanzialmente

valida anche in presenza di un numero discreto di stelle.

3.4 Il riconoscimento stellare

3.4.1 Il test su immagini reali - Intensita e diametri delle

stelle

La verifica dell’algoritmo di riconoscimento stellare e stata eseguita su immagini

acquisite a Pisa, utilizzando l’apparecchiatura completa descritta alla fine del ca-

pitolo 1. Le figure (3.13) e (3.14) illustrano rispettivamente una visuale ottenuta

dalla CCD di un campo stellare situato nei dintorni della stella Vega ed il risul-

tato dell’elaborazione dell’algoritmo di riconoscimento: in quest’ultima figura le

stelle identificate sono contrassegnate col proprio numero di codice Hipparcos e

dal valore della loro magnitudine visuale riscontrato nel catalogo; i restanti punti

senza cifre individuano le stelle non identificate o ritenute false.

Questi test hanno dimostrato l’efficacia dell’algoritmo di riconoscimento, il

quale ha individuato la quasi totalita delle stelle contenute nell’immagine e com-

prese nel range di magnitudini visuali considerate nel catalogo di riferimento. Le

stesse immagini sono state successivamente elaborate per ottenere informazioni

sul rapporto esistente tra la magnitudine visuale e la magnitudine strumenta-

le captata dalla camera, cosı come tra quest’ultima e le dimensioni delle stelle

sull’immagine.

Le figure (3.15a) e (3.15b) mostrano l’andamento dei dati raccolti ed i fit

eseguiti su di essi; in particolare la figura (3.15a) illustra la relazione esistente tra

il segnale complessivo generato da una stella per un tempo di esposizione di 10

secondi ed espresso in livelli di ADC, con i corrispondenti indici di magnitudine

visuale, compresi tra i valori 6 e 8 delle stelle visualizzate nell’immagine. Poiche

76

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Figura 3.13: Immagine ricavata dalla CCD di una visuale notturna di stelle attorno a Vega.

Focale impiegata: 105 mm, rapporto focale: 2.8, tempo di esposizione: 10 s.

6.02

7.50

6.45

8.37

7.97

8.41

6.456.54

4.674.59

7.97

4.345.73

7.60

8.65

8.668.10

8.717.32

7.81

8.60

7.90

8.797.15

7.33

7.99

8.7592532

92590

92387 92093

92276

9191991926921229211492256 91951

9165892007 9182091898

91971 91814

9137391774 91552

91507

Figura 3.14: La stessa immagine della figura precedente elaborata dall’algoritmo di riconosci-

mento stellare: le stelle identificate sono contrassegnate dal numero di codice Hipparcos e (in

basso) dall’indice di magnitudine visuale.

la magnitudine di una stella e definita come (bibliografia [20])

M = −2.5 log10 I + cost. (3.58)

indipendentemente dallo strumento con il quale viene misurata l’intensita I, si e

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ottenuto il fit dei dati utilizzando una funzione che ne conservasse l’andamento

logaritmico, cioe

log10 IS = log10 8 + (10−MV ) (3.59)

essendo rispettivamente IS e MV l’intensita di segnale misurata e l’indice di

magnitudine visuale riportata per ogni stella nel catalogo Hipparcos. La figura

(3.15b) riporta invece il legame trovato tra le misure di σstar e dell’intensita per

ciascuna stella; il fit adoperato e:

σstar = 0.015 + 0.02 (log10 IS) + 0.137 (log10 IS)2 (3.60)

Gli scostamenti dal fit presenti per stelle molto intense possono essere dovuti ad

effetti di saturazione dell’immagine.

Le relazioni (3.59) e (3.60) consentono di simulare le condizioni esistenti nella

visualizzazione da terra di un cielo notturno: le stelle del catalogo Hipparcos,

possono quindi essere riprodotte al fine di ottenere immagini simulate analoghe

a quella figura (3.13). Questo procedimento consente di estendere la verifica

all’algoritmo di inseguimento attraverso la generazione di sequenze di immagini

di campi stellari che descrivono una particolare traiettoria di puntamento del

sensore stellare sulla volta celeste.

100

1000

104

105

106

5 5.5 6 6.5 7 7.5 8 8.5 9

Inte

nsità

tot.

stel

la (l

ivelli

ADC)

Magnitudine visuale

y = 8*10^(10-m0)ErrorValue

NA166.7127ChisqNA0.9697777R

0

0.5

1

1.5

2

2.5

3

3.5

4

4.5

5

10 100 1000 104 105 106

sta

r (pixe

l)

Intensità tot. stella (livelli ADC)

y = .015+.02*(log(M0))+.137*...ErrorValue

NA0.0001040451ChisqNA0.9934777R

σ

Figura 3.15: Stime ricavate da immagini di visuali stellari notturne: (a) andamento delle

intensita luminose misurate in funzione della magnitudine visuale ed ottenute impiegando lo

stesso tempo di esposizione (10s), (b) andamento di σstar in funzione dell’intensita luminosa

misurata su piu tempi di esposizione. I parametri del fit sono visibili in figura.

78

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3.4.2 I test su immagini simulate

Il test realistico - Le caratteristiche della simulazione

La prima serie di test prevede la simulazione del riconoscimento stellare e del

successivo inseguimento della direzione di puntamento in condizioni simili a quel-

le che si manifestano durante un volo operativo. A questo scopo l’algoritmo di

riconoscimento e stato eseguito su una serie di immagini di campi stellari noti ri-

costruiti al computer. Ai fini di questa prova si e scelto di inseguire il puntamento

della sorgente Cygnus X-1 (ascensione retta: 19h 58m 21.68s, declinazione: 35◦

12′

5.8′′

), nota per essere contemporaneamente un emittore nel range X e nel

visibile. In queste condizioni l’asse ottico del sensore stellare e quello dell’ipo-

tetico telescopio risultano collineari. Fissato nella data del 1◦ Luglio 2004 il

possibile giorno del lancio di prova della piattaforma HiPeG dalla base ASI di

Trapani (longitudine: -12.35◦, latitudine: 38.01◦), sono state ricreate al computer

le immagini costituenti le visuali di un campo di stelle attorno a Cygnus X-1 in

moto apparente nel tempo a causa della rotazione terrestre; queste immagini sono

state ottenute selezionando dal catalogo Hipparcos le posizioni delle stelle reali

fino a magnitudine 9 e considerando le caratterisiche di visualizzabilita (diame-

tro ed intensita totale misurata) come estrapolate dai fit illustrati nel paragrafo

precedente ed eseguiti sulle immagini di stelle reali raccolte da terra. A questo

proposito e utile precisare che i valori relativi all’intensita totale misurata sono

stati riscalati per tenere conto della presenza dell’atmosfera terrestre: valutando

in circa il 50% l’attenuazione della radiazione visibile da parte dell’atmosfera (bi-

bliografia [21]), i valori espressi in figura (3.15a) sono stati riscalati con il valore

di 1 secondo per il tempo di esposizione e raddoppiati; i nuovi valori relativi ai

diametri sono stati ottenuti di conseguenza facendo riferimento all’andamento del

fit mostrato nella stessa figura (3.15b).

Poiche le dimensioni delle stelle introdotte nel test non possono essere modifi-

cate da un programma di simulazione che comprenda anche la procedura di mes-

sa a fuoco seguita dall’opportuna defocalizzazione descritta nel paragrafo (2.3.3),

l’algoritmo testato in questa occasione ha ignorato tale possibilita. Inoltre, come

nel caso del test del paragrafo (3.2.4), e stato introdotto un rumore gaussiano

con fluttuazione σN pari a 5 livelli di ADC.

Infine, il moto apparente della visuale astronomica e stato calcolato tra le ore

23.00 U.T. e 00.00 U.T. a 40 km di quota sulle coordinate di Trapani, utilizzando

un’ampiezza del campo di vista corrispondente all’utilizzo di una lunghezza focale

di 100 mm (circa 4◦× 2.9◦ di ampiezza visiva), paragonabile al valore di quella

ottenibile con l’uso dell’ottica del sensore effettivamente realizzato. Successiva-

mente la simulazione e stata ripetuta facendo uso di altri valori di lunghezza

79

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focale.

La figura (3.16) illustra l’andamento delle coordinate alt-azimutali, rispetto al

piano della gondola, del versore z del sistema collineato telescopio/sensore stel-

lare durante l’ora di osservazione: e possibile notare come all’inizio delle misure

Cygnus X-1 sia molto basso sull’orizzonte della gondola (∼ 4◦).

0

20

40

60

80

100

0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000

Azimut puntamentoZenit puntamento

Gra

di

Tempo (s)

Figura 3.16: Traiettoria del puntamento simulato nel test: sono visibili gli spostamenti nel

tempo dell’azimut e dello zenit della piattaforma necessari ad inseguire il puntamento del target

astronomico Cignus X-1. La posizione di azimut 0 corrisponde alla direzione di puntamento

allineata all’asse terrestre in direzione sud.

I risultati

I risultati del test effettuato con valore della focale pari a 100 hanno mostrato il

successo dell’algoritmo di riconoscimento stellare per tutte le immagini simulate;

d’altra parte la lenta rotazione apparente della visuale inquadrata dal sensore

attorno alla direzione di puntamento inseguita non comporta variazioni signifi-

cative del numero delle stelle visualizzate, consentendo cosı una totale riuscita

anche dell’algoritmo di inseguimento. La successiva tabella (3.1) riassume alcuni

dati raccolti nell’analisi delle 3600 immagini.

I risultati dello stesso test sulla precisione di puntamento sono visibili in

80

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focale Numero stelle Perc. stelle riconosciute Tempo di calcolo (s)

100 mm 47-51 95.9 % t = 0.15± 0.01

Tabella 3.1: La tabella indica, per il valore impostato di focale 100, il numero minimo e

massimo di stelle presenti nelle immagini simulate, la percentuale media di stelle riconosciute

dal programma ed il tempo medio impiegato per il calcolo della direzione di puntamento.

figura (3.17), dove e raffigurata la distribuzione degli scarti della direzione di

puntamento dalla reale posizione di Cygnus X-1 misurati in arcosecondi.

-3

-2

-1

0

1

2

3

-3 -2 -1 0 1 2 3

Scar

to in

dec

linaz

ione

(arc

sec)

Scarto in ascensione (arcsec)

Figura 3.17: Simulazione con focale=100. Distribuzione dei valori degli scarti della direzione

di puntamento misurata rispetto alle reali coordinate di Cygnus X-1. I valori degli scarti sono

misurati in arcosecondi.

Le informazioni sul livello di precisione raggiunto sono riassunte nelle figure

(3.18a) e (3.18b) dove sono rappresentati i fit eseguiti sugli istogrammi degli stessi

dati raccolti per ciascuna delle componenti della direzione di puntamento. Il fit

ha fornito per le deviazioni standard della misura i valori:

σasc = 0.5462± 0.0067 arcsec (3.61)

σdec = 0.5214± 0.0060 arcsec (3.62)

81

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-100

0

100

200

300

400

500

600

-4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4

Con

tegg

i

Arcosecondi

y = m1*exp(-.5*((m0-m2)/m3)^...ErrorValue

10.78476522.6639m1 0.0091809140.03917097m2 0.0066676050.5462542m3

NA24.74656ChisqNA0.9999336R

-100

0

100

200

300

400

500

600

-4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4

Con

tegg

iArcosecondi

y = m1*exp(-.5*((m0-m2)/m3)^...ErrorValue

11.10446547.3951m1 0.008773344-0.07928503m2 0.0060521070.521459m3

NA26.39297ChisqNA0.9999354R

Figura 3.18: Risultati del fit gaussiano sulla precione di puntamento eseguito sui dati di figura

(3.17): (a) ascensione retta, (b) declinazione. I valori delle deviazioni standard sono riportati

anche nel testo.

che rientrano ampiamente nel limite richiesto dal progetto HiPeG presentato nel

capitolo 1 in tabella (1.2). La differenza esistente sulla seconda cifra decimale

delle misure puo essere messa in relazione con la forma rettangolare della CCD

impiegata (paragrafo (3.3)).

In previsione di confrontare tra loro le precisioni di puntamento ottenute in-

troducendo nella simulazione l’uso di focali di diversa lunghezza, un parametro

di precisione complessivo puo essere calcolato eseguendo un fit della distribuzio-

ne del modulo degli scarti visibili in figura (3.17). Se infatti si indica con ρG la

distribuzione bi-dimensionale degli scarti dal puntamento reale

ρG = A e− 1

2

(x2+y2

σ2p

)

(3.63)

dove A e σp sono rispettivamente la costante di normalizzazione e la deviazione

standard, la stima della precisione di puntamento complessivamente raggiunta si

ottiene calcolando quest’ultimo parametro. Se si effettua una trasformazione in

coordinate polari della (3.63) e si integra sull’angolo giro la distribuzione lungo

la direzione radiale fino al valore R, si ottiene

I = 2πA

∫ R

0

r e− 1

2r2

σ2p dr (3.64)

Effettuando quindi un cambio di variabile e completando il calcolo dell’integrale,

si ha che

I = 2πAσ2p

(1− e−

R2

2σ2p

)(3.65)

82

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quantita che rappresenta il numero totale degli scarti che abbiano il valore del

loro modulo compreso entro il valore R. Se ora si deriva rispetto a r la relazione

(3.65), si ottiene l’andamento della distribuzione di questi valori in funzione della

loro consistenza numerica, cioe il profilo dell’istogramma ρp:

ρp =∂I

∂r= A

r e− 1

2r2

σ2p (3.66)

Effettuando quindi la normalizzazione, segue che:

A′

=1

σ2p

(3.67)

Sostituendo infine tale valore nella (3.66), e possibile ora utilizzare la distribuzione

ρp appena ricavata per fittare l’istogramma dei conteggi del modulo degli scarti.

-100

0

100

200

300

400

500

0 0.5 1 1.5 2 2.5 3

Con

tegg

i

Arcosecondi

y = m1*m0/m3*exp(-.5*((m0-0)...ErrorValue

13.70548731.4426m1 0.0046293160.5429811m3

NA19.94084ChisqNA0.9999448R

Figura 3.19: Risultati del fit eseguito con la funzione (3.66) sulla distribuzione del modulo

degli scarti in funzione della distanza angolare; il valore del parametro σp della funzione (3.66)

determina la precisione di puntamento.

La figura (3.19) illustra il risultato del fit ed il valore del parametro σp ricavato;

il valore stimato risulta essere:

σp = 0.5430± 0.0046 arcsec (3.68)

83

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La simulazione dell’osservazione di un campo stellare attorno a Cignus X-1

per un’ora di tempo, e stata quindi ripetuta nelle medesime condizioni scegliendo

lunghezze focali diverse. La seguente tabella (3.2) estende a tutti i casi esaminati

i risultati presentati in tabella (3.1) per il caso di focale 100. In ogni simulazione

effettuata l’inseguimento della direzione di puntamento ha avuto un successo

costante.

focale Numero stelle Perc. stelle riconosciute Tempo di calcolo (s)

50 mm 162-172 93.6 % t = 66.9± 5.5

150 mm 18-20 99.5 % t = 0.011± 0.001

200 mm 11-13 99.8 % t = 0.006± 0.0002

300 mm 6-8 99.7 % t = 0.004± 0.0003

400 mm 6 100 % t = 0.00470± 0.00005

Tabella 3.2: La tabella indica, per ogni valore di focale impostato, il numero minimo e mas-

simo di stelle presenti nelle immagini simulate, la percentuale media di stelle riconosciute dal

programma ed il tempo medio impiegato per il calcolo della direzione di puntamento.

La tabella (3.2) e la seguente figura (3.20) permettono di svolgere alcune con-

siderazioni sulla scelta delle focali impiegate nella simulazione effettuata su stelle

fino a magnitudine 9. La figura (3.20), in particolare, mostra l’andamento del

livello di precisione complessivamente misurato con ogni focale utilizzata; si puo

notare come ad un incremento di un fattore 8 della lunghezza focale corrisponda

la tendenza ad un miglioramento della precisione di puntamento di circa solo

il 23% del valore di precisione piu basso; le considerazioni svolte nel paragrafo

(3.3.1) sulla scarsa rilevanza di questo parametro sul livello di precisione rea-

lizzabile sono sostanzialmente verificate anche per un numero discreto di stelle

visualizzate nell’immagine. La tabella (3.2), che illustra l’entita del numero di

stelle visualizzate in tutti i casi ed il tempo medio di calcolo del puntamento,

suggerisce quindi, nel caso di un campo stellare attorno a Cygnus X-1, l’uso di

una focale lunga. Considerando pero che altri campi stellari di interesse per l’a-

stronomia X/γ si presentano meno popolati anche per stelle fino a magnitudine

9, il valore 100 della focale da adottare si rivela una scelta piu che ragionevole

(tabella (3.1)), garantendo al contempo un alto livello di precisione ed un campo

di vista sufficientemente ampio ad inquadrare un adeguato numero di stelle. In

queste condizioni la direzione di puntamento viene calcolata in un tempo inferiore

alle specifiche richieste.

I valori ottenuti sul tempo di esposizione dipendono comunque dall’hardware

utilizzato per la simulazione: in questo caso un computer dotato di processore

84

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Pentium IV con frequenza 1.8 GHz e memoria RAM uguale a 512 MB; il limite di

circa un decimo di secondo trovato in queste condizioni ha consentito di valutare

adeguatamente le caratteristiche del computer di bordo da destinare al sensore

stellare per contenere il tempo di elaborazione di una singola immagine entro il

limite di 0.5 secondi. Questa richiesta segue dal valore della frequenza di up-date

della misura richiesta al sistema (1 Hz) e dal tempo necessario al trasferimen-

to dell’immagine analogica della CCD al circuito di digitalizzazione (circa 0.5

secondi).

0.46

0.48

0.5

0.52

0.54

0.56

0.58

0.6

0.62

0 100 200 300 400 500

Prec

isio

ne (a

rcse

c)

Focale

Figura 3.20: Andamento della precisione di puntamento in funzione del valore della focale

impostato nella simulazione: ad un incremento di un fattore 8 della lunghezza focale corrisponde

un miglioramento della precisione di circa solo il 23% del valore piu basso.

Il test in condizioni “estreme” - Le caratteristiche

Una ulteriore simulazione ha previsto l’uso del sensore stellare in condizioni

“estreme”, ovvero durante un rapido spostamento della piattaforma che sostiene

il telescopio ed il sensore stellare. Questa analisi puo fornire indicazioni sulle

capacita di analisi del sistema hardware e software anche in particolari condizioni

limite. Le condizioni simulate in questo caso si riferiscono infatti all’esecuzione

del programma di riconoscimento stellare e di inseguimento della direzione di

puntamento su una visuale di cielo come si puo presentare, per esempio, durante

85

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la rotazione impressa alla gondola per il raggiungimento di una posizione adatta

alla localizzazione di un target astronomico (fase di off-set).

A questo scopo e stata creata una successione di 1000 diverse visuali ricavate

dal catalogo Hipparcos, create nello stesso modo di quelle illustrate in preceden-

za e tra loro parzialmente sovrapponibili, tali da costituire l’equivalente di una

inquadratura in spostamento lungo una direzione di puntamento nota con la pre-

cisione di qualche milliarcosecondo. Scelta una direzione di partenza, nei dintorni

di Vega, l’andamento delle deviazioni intorno a quest’ultima e illustrato nelle fi-

gure (3.21a) e (3.21b): in esse sono visibili i valori dell’ascensione retta e della

declinazione del puntamento reale di ciascuna immagine espresso in gradi; la velo-

cita di rotazione del “cielo” simulato e compatibile con le capacita stabilizzatrici

previste dal sistema HiPeG.

Come illustrato infatti nella figura (1.13) del paragrafo (1.5), la piattaforma e

in grado di effettuare, nelle condizioni di off-set, un’escursione di 90◦ in circa un

minuto, equivalente ad una differenza di circa poco piu di un grado tra le decli-

nazioni di due immagini successive. La velocita del moto zenitale e stata invece

impostata su un valore minore: circa 6·10−2◦ di ascensione retta per immagine.

-200

-150

-100

-50

0

50

100

150

200

0 200 400 600 800 1000

Asce

nsio

ne p

unta

men

to s

imul

. (g

radi

)

Numero immagine

30

40

50

60

70

80

90

0 200 400 600 800 1000

Decli

nazio

ne p

unta

men

to s

imul

. (g

radi

)

Numero immagine

Figura 3.21: Traiettoria del puntamento simulato nel test: (a) ascensione retta, (b) declinazione.

Le considerazioni gia espresse precedentemente a proposito delle caratteri-

stiche della simulazione restano del tutto valide anche in questo caso, tranne,

ovviamente, i movimenti apparenti delle stelle dovuti al moto terrestre, che sono

stati trascurati.

86

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I risultati

La prima serie di risultati della simulazione e stata ottenuta fissando a 100 il valore

del parametro focale. La figura (3.22a) illustra l’andamento del numero di stelle

contenuto in ciascuna immagine della simulazione: a causa dello spostamento

della direzione di puntamento, il numero di stelle sino a magnitudine 9 contenuto

nelle successive visuali, e variabile tra un minimo di 7 ed un massimo di 66,

oscillando in media attorno al numero di 21 stelle.

0

10

20

30

40

50

60

70

0 200 400 600 800 1000

Num

ero

stel

le s

imul

ate

Numero immagine

0

20

40

60

80

100

120

0 200 400 600 800 1000

Perc

entu

ale

stel

le ri

cono

sciu

te

Numero immagine

Figura 3.22: Simulazione con focale=100. (a) Andamento del numero di stelle interessate

dalle successive visuali attorno alla direzione di puntamento simulata. (b) Andamento della

percentuale di stelle identificate nelle singole immagini.

La figura (3.22b) mostra invece il rapporto percentuale tra il numero di stelle

identificate ed il numero di stelle simulate; in questo caso il valore riportato si

discosta dal 100% in un numero di 179 casi su mille: l’algoritmo di riconoscimento

comunque non fallisce l’identificazione delle stelle in nessuna delle 1000 immagini

simulate, cosı come l’inseguimento del puntamento e ottenuto con successo su

ogni posizione.

La seguente tabella (3.3) illustra invece i risultati complessivi delle simulazioni

eseguite anche con la scelta dei valori delle focali 50 e 200. Come e possible osser-

vare dalla tabella, le focali 50 e 100 hanno fornito identici risultati nell’esecuzione

del programma: in entrambi i casi la procedura di inseguimento del puntamento

ha raggiunto la totalita dei successi; l’uso del valore 200 ha invece comportato

una eccessiva riduzione del campo di vista per garantire un pieno successo su

ogni visuale di cielo inquadrata: in 253 casi infatti il sensore ha fallito il ricono-

scimento stellare ed in soli 349 casi ha mantenuto l’inseguimento della direzione

di puntamento senza rieffettuare il riconoscimento utilizzando il catalogo stellare

di riferimento.

87

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focale N. inseguimenti N. riconoscimenti “da zero” Prec. (arcsec)

50 mm 999 1 0.7116± 0.0121

100 mm 999 1 0.7851± 0.0140

200 mm 349 398 -

Tabella 3.3: La tabella indica, per ogni valore di focale impostato, il numero dei casi di successo

della procedura di inseguimento della direzione di puntamento, il numero di riconoscimenti

eseguiti utilizzando il catalogo di riferimento (riconoscimento “da zero”) e, nel caso di focale

50 e 100, la precisione sulla direzione di puntamento.

Per quanto riguarda la precisione di puntamento, la stessa tabella (3.3) illu-

stra i valori ottenuti sul fit dei valori del modulo degli scarti sulla direzione di

puntamento misurata con focale 50 e 100 (metodo gia illustrato a proposito dei

risultati delle precedenti simulazioni); i risultati del fit dei dati relativi alla foca-

le 200 non offrono invece una stima di precisione che possa essere direttamente

confrontata con i due casi precedenti: i risultati infatti sono stati ottenuti su una

popolazione statistica diversa. Poiche si e appena mostrato che l’uso della focale

200 comporta uno scarso numero di riconoscimenti, il confronto tra le precisioni

ottenibili con le tre diverse focali e possibile solo sullo stesso campione di eventi

e quindi, eventualmente, solo negli stessi casi di riconoscimento riuscito. Il livello

di precisione misurato, sempre contenuto entro i limiti delle specifiche del sensore,

si attesta comunque su valori non dissimili da quelli precedentemente calcolati

(figura (3.20)).

L’ultima osservazione su questo ciclo di simulazioni in condizioni “estreme”

concerne i tempi di calcolo espressi dall’algoritmo in corrispondenza di ciascun

valore della focale utilizzata. In figura (3.23) sono visualizzati i tempi occorsi per

il calcolo della direzione di puntamento per ciascuna immagine in caso di successo

della procedura. Dalla stessa figura e ancora possibile notare come, diversamente

dalla precisione di puntamento, la lunghezza focale ha ripercussioni immediate

sul tempo di calcolo dell’algoritmo: la sua scelta determina infatti l’ampiezza

del campo di vista del sensore e, quindi, il numero di stelle visualizzabili. In

particolare l’impostazione di una focale corta, per esempio 50 mm, incrementa

all’incirca di un fattore 4 il numero di stelle visualizzate con l’uso del valore

100 mm (eq. (3.55)).

La scelta di un valore da attribuire a questo parametro ottico dipende in lar-

ga misura, come gia sottolineato in precedenza, anche dalle capacita elaborative

dell’hardware disponibile: l’analisi di un maggior numero di stelle comporta una

dilatazione dei tempi di calcolo che puo superare i limiti imposti dal tempo carat-

teristico del sistema (paragrafo (1.5)). In figura (3.23) sono chiaramente visibili

88

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0.001

0.01

0.1

1

10

100

1000

1 10 100

Focale 50Focale 100Focale 200

Tem

po d

i cal

colo

(s)

Numero stelle

Figura 3.23: Andamento dei tempi di calcolo in funzione del numero di stelle identificate: e

possibile notare come, in funzione dell’esito dell’algoritmo di inseguimento del puntamento, i

dati si raggruppino in due distinte popolazioni statistiche. L’andamento confermerebbe, anche

in queste condizioni, il valore di focale 100 come scelta ottimale per i limiti imposti al sistema.

due distinte popolazioni di eventi. La prima popolazione, corrispondente alla

curva piu alta visibile in figura, include i casi nei quali e fallita la procedura di

inseguimento della direzione di puntamento, casi che si sono manifestati solo con

l’impiego del valore di focale 200 (tabella (3.3)) ed in corrispondenza dei qua-

li, quindi, l’algoritmo ha provveduto ad un nuovo riconoscimento dell’immagine

utilizzando il catalogo stellare di riferimento (riconoscimento “da zero”): questa

condizione comporta valori di tempo di circa un fattore 10 piu alti rispetto ai

casi di inseguimento riuscito con l’uso dello stesso valore di focale. La seconda

popolazione, rappresentata nella curva piu bassa, include tutti i casi nei quali

l’algoritmo di inseguimento del puntamento ha avuto pieno successo: si puo os-

servare come, a causa della variazione di ampiezza del campo di vista dovuto alle

diverse focali impiegate ed alla grande variabilita del numero di stelle presenti

nelle visuali inquadrate in questa simulazione, i tempi di calcolo si dispongano in

un range di valori molto esteso.

Da questi valori si deduce comunque come, nelle condizioni “estreme” di que-

sta simulazione, la scelta migliore sia quella di una focale di valore 100: in conco-

89

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mitanza con un pieno successo dell’algoritmo di inseguimento, i tempi di calcolo

non superano il limite richiesto di 0.5 secondi (l’unico caso di valore intorno ad 1s

presente in figura (3.23) e relativo al primo riconoscimento “da zero” effettuato

all’avvio del programma sulla prima immagine disponibile).

Risulta altresı evidente che, per migliorare ulteriormente il numero dei successi

in queste condizioni di utilizzo del sensore stellare, occorrebbe ottimizzare le

routine piu “dispendiose” dell’algoritmo: una focale corta comporta, al presente

stato di sviluppo del programma di riconoscimento, tempi di calcolo superiori al

limite imposto fino ad un fattore superiore a 10. La scelta di una focale lunga,

invece, non si rivela adatta ad ottenere un numero di successi sufficiente: essendo

in questo caso la visuale del sensore piu stretta di un fattore 4 rispetto alla

condizione ottimale, il numero di stelle visualizzato si e rivelato troppo basso per

garantire un efficace inseguimento della direzione di puntamento.

90

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Capitolo 4

Le prove sperimentali di

precisione

4.1 Introduzione - I test ottici

In questo capitolo conclusivo saranno descritti i risultati delle prove sperimen-

tali eseguite in laboratorio sul sensore stellare assemblato per la verifica delle

previsioni fornite dai test numerici descritti nel capitolo precedente.

Il set-up sperimentale si basa sull’uso di diodi LED che hanno simulato un

“cielo” di stelle localizzate su posizioni note. L’impiego di LED con emissione

luminosa scelta in un range di lunghezze d’onda esteso dal visibile all’infrarosso,

ha inoltre permesso di valutare l’entita delle aberrazioni cromatiche dell’ottica

impiegata. Le prove di laboratorio hanno riguardato anche il rumore generato

dalla CCD in condizioni di assenza di illuminazione; quest’ultimo argomento

costituisce il punto di partenza della descrizione delle misure effettuate.

4.2 Il rumore della CCD

Per valutare l’intensita del rumore prodotto dalla CCD e mostrare quale sia

l’entita del suo fpn (fixed pattern noise), sono state acquisite alcune immagini

con l’otturatore dell’ottica in posizione di chiusura; i risultati ottenuti impostando

tre diversi tempi di esposizione sono mostrati negli istogrammi visibili in figura

(4.1a), dove sono indicati in ascissa i livelli di ADC corrispondenti ai segnali

della corrente di buio registrata. In particolare si puo notare come a 0.5 secondi i

conteggi siano raccolti in un intervallo molto stretto compreso tra 80 e 90 livelli.

Aumentando il tempo di esposizione fino a raggiungere 120 secondi si osserva

come invece, pur rimanendo la posizione del picco iniziale invariata, si formi

91

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1

10

100

1000

104

105

106

50 100 150 200 250

0.5 sec30 sec120 sec

Con

tegg

i

Livelli ADC

1

10

100

1000

104

105

106

78 80 82 84 86 88 90

Con

tegg

i

Livelli ADC

y = m1*exp(-.5*((m0-m2)/m3)^...ErrorValue

344.8124178565.2m1 0.00140019183.06647m2

0.00095055460.8758282m3 NA1198.216ChisqNA0.9999997R

Figura 4.1: Istogrammi del rumore rivelato nell’immagine di buio. (a) Andamento a diversi

tempi di esposizione; per esposizioni superiori a 0.5 s e visibile la presenza del fpn della CCD.

(b) Fit gaussiano eseguito sul rumore rilevato a 0.5 secondi.

un’ampia coda di segnale marcata da un’andamento contenente al suo interno

altri picchi; questi ultimi rappresentano il pattern caratteristico del non omogeneo

contributo dei pixel della CCD al rumore: come si deduce dai risultati delle prove,

esso diviene significativo solo a tempi di esposizione molto lunghi.

Ai fini dell’impiego del sensore stellare non saranno adottati tempi di esposi-

zione superiori a 0.5 s: in questo caso la curva di rumore puo essere ben rappre-

sentata da una distribuzione gaussiana. La figura (4.1b) mostra la stessa curva

a 0.5 secondi di figura (4.1a) con il corrispondente fit gaussiano.

Una interessante osservazione puo inoltre essere ricavata analizzando gli isto-

grammi ottenuti dalla sottrazione dei conteggi di due immagini di buio per ciascun

tempo di esposizione impostato: come si vede dalla figura (4.2a), le curve appa-

iono simmetriche attorno al livello 0 e mostrano un allargamento al crescere del

tempo di esposizione. Questo allargamento e dovuto agli effetti delle fluttuazioni

del fpn per tempi di esposizione lunghi; se pero si effettua anche in questo caso

un fit gaussiano sull’andamento ricavato per il valore 0.5 s (figura (4.2b)), si puo

notare come il valore della deviazione standard di quest’ultimo sia maggiore di

circa un fattore√2 rispetto a quello calcolato precedentemente. Questo risultato,

dovuto alla propagazione dell’errore nell’operazione di sottrazione delle immagini

(somma in quadratura delle deviazioni standard di ciascuno dei due istogrammi),

porta a ritenere che, risultando il fpn del tutto trascurabile per bassi tempi di

esposizione, l’operazione di sottrazione di un’immagine di buio da una acquisita

dalla CCD in condizioni normali aumenta il livello di rumore esistente anziche

ridurlo. L’operazione di sottrazione delle immagini compiuta dall’algoritmo e

92

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1

10

100

1000

104

105

106

-20 -15 -10 -5 0 5 10 15 20

0.5 sec30 sec120 sec

Con

tegg

i

Livelli ADC

1

10

100

1000

104

105

106

-6 -4 -2 0 2 4 6 8

Con

tegg

i

Livelli ADC

y = m1*exp(-.5*((m0-m2)/m3)^...ErrorValue

247.6201127611.7m1 0.0019601170.01011335m2 0.0013581541.228909m3

NA119.5677ChisqNA0.9999999R

Figura 4.2: Istogrammi relativi alla sottrazione di due immagini di buio con lo stesso tempo

di esposizione. (a) Andamento a diversi tempi di esposizione. (b) Fit gaussiano eseguito sulla

sottrazione di due immagini ottenute con 0.5s di esposizione: la larghezza del fit, a causa della

propagazione dell’errore nell’operazione di sottrazione, e maggiore di un fattore√2 rispetto a

quella ottenuta nel caso precedente.

descritta nel paragrafo (2.3.1) non va quindi in questo caso effettuata.

4.3 Le prove di messa a fuoco e di risoluzione

4.3.1 L’apparato sperimentale: il “cielo in una stanza”

Tutte le prove ottiche descritte nei prossimi paragrafi sono state effettuate con

l’impiego di un “cielo stellato” artificiale, costituito da uno schermo di 47 cm×23

cm dove sono stati ricavati degli alloggiamenti in grado di ospitare 12 diodi LED.

Sono stati impiegati 5 set di LED che coprono un ampio range di lunghezze

d’onda luminose per poter valutare la presenza di aberrazione cromatica sull’ot-

tica utilizzata. Il numero e la lunghezza d’onda di picco di emissione dei diodi

utilizzati sono riassunti dalla tabella seguente.

LED λpeak (nm) num.

Blu 430 2

V erde 565 2

Giallo 586 2

Rosso 635 3

Infrarosso 880 3

La radiazione luminosa dei LED, disposti sul retro dello schermo, viene emessa

attraverso fori di 0.3 mm di diametro, realizzati con l’impiego di una fresatrice

93

Page 96: Realizzazione di un prototipo di sensore stellare per ... · stellare per esperimenti di astronomia X/° su piattaforme galleggianti a quota stratosferica Relatore: Candidato: Dott.

a controllo numerico. Questa scelta del diametro dei fori, assieme ad una scelta

opportuna della distanza tra lo schermo e l’ottica del sensore stellare, ha permesso

di realizzare per i diodi la condizione di sorgenti luminose puntiformi paragonabile

alla condizione osservativa delle stelle reali, cosı da permettere di verificare le

capacita di risoluzione ottica dell’obiettivo.

Al fine di poter valutare sperimentalmente la precisione di puntamento del

sensore stellare, il “cielo stellato” e stato opportunatamente catalogato, sono state

cioe accuratamente registrate le posizioni sul piano di ciascun diodo impiegato,

in modo che l’algoritmo disponesse di un catalogo di confronto come nel caso di

immagini provenienti da una visuale di cielo reale. La figura (4.3) rappresenta la

posizione di ciascun LED nel catalogo del cielo artificiale cosı realizzato.

0

50

100

150

200

0 50 100 150 200 250 300 350 400

Y (m

m)

X (mm)

R

R

RIR

IR

B

B

V

V

G G

IR

Figura 4.3: Disposizione geometrica dei diodi LED che compongono il “cielo” artificiale; le

lettere visibili in figura sono le iniziali dei colori corrispondenti alle lunghezze d’onda di picco

emesse dai diodi.

4.3.2 I risultati delle prove di messa a fuoco

Disponendo degli elementi descritti nel paragrafo precedente, sono state dappri-

ma individuate le condizioni necessarie a rendere i diodi equivalenti a sorgenti

luminose puntiformi. Indicando con d la distanza di una sorgente puntiforme dal

piano dell’ottica, e servendosi della relazione che definisce l’ingrandimento I co-

me il rapporto tra le dimensioni reali dell’oggetto e le corrispondenti dimensioni

sull’immagine, si ottiene che, nel caso di un foro luminoso di diametro D, la sua

immagine D′

soddisfa la relazione

I =D

D' f

d(4.1)

94

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dove f e la lunghezza focale dell’ottica. Poiche il diametro dei fori che permettono

il passaggio della radiazione luminosa dei diodi LED e di 0.3mm, per ottenere una

risoluzione ottica tale da considerare questi ultimi come sorgenti verosimilmente

puntiformi, il piano “stellato” dovra essere posto ad una distanza tale per cui le

immagini a fuoco abbiano dimensioni minori delle dimensioni di un singolo pixel

della CCD. Poiche il limite diffrattivo ideale di una lente di focale f e apertura S

attraversata da una radiazione luminosa di lunghezza d’onda λ e definito come

D = 2.44 λf

s(4.2)

sostituendo i parametri dell’ottica disponibile e considerando la lungezza d’onda

di picco del LED verde, si ha

2.44× 565 nm× 2.5 = 3.4 µm (4.3)

pari a poco piu di un terzo delle dimensioni del pixel della CCD utilizzata.

Per assicurarsi di essere nella condizione di sorgente puntiforme occorrera

quindi che il diametro D′

sia minore di l=9 µm: fissando ad esempio una distanza

di 5 m tra lo schermo e l’obiettivo del sensore, ne segue un ingrandimento I =

0.021 tale per cui

D′

= 0.7 · l = 6.3 µm (4.4)

che soddisfa la condizione di sorgente puntiforme.

Prima delle prove e stata applicata alla ghiera del teleobiettivo una scala

millimetrica per valutare l’escursione meccanica nel range di messa a fuoco testa-

to: oltre ad individuare le diverse posizioni di messa a fuoco trovate, la scala ha

fornito indicazioni utili in previsione dell’utilizzo della messa a fuoco motorizzata.

Le prove sono state effettuate inquadrando una visuale che contenesse almeno

un LED per ogni lunghezza d’onda luminosa disponibile e sono stati impostati due

tempi di esposizione: un tempo di esposizione breve ha permesso di individuare

con chiarezza l’andamento dei diametri delle immagini luminose in funzione della

posizione di messa a fuoco, mentre un tempo di esposizione lungo ha evidenziato

i comportamenti che si manifestano in presenza di segnale saturo.

Il segnale particolarmente intenso dei LED infrarossi e la loro posizione di

messa a fuoco sensibilmente diversa rispetto a quella dei LED visibili, impone

che essi siano trattati separatamente. Le figure (4.4) e (4.5) mostrano i risultati

delle prove con i dati raccolti sui LED “riconosciuti” dall’algoritmo: le curve si

interrompono quando, a causa di una posizione troppo fuori fuoco, l’identificazio-

ne non e piu possibile. La figura (4.4) mostra l’andamento del diametro misurato

per ciascuno dei LED impostando il tempo di esposizione a 10 ms; il diametro

95

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0

1

2

3

4

5

6

7

0 2 4 6 8 10 12 14 16

BluRossoGialloVerde

Diam

etro

(pixe

l)

Posizione fuoco (U. A.)

Figura 4.4: Andamento con la messa a fuoco dei diametri misurati nelle immagini dei LED

identificati dal sensore: a causa di una debole aberrazione cromatica la posizione di migliore

focalizzazione e compresa tra 6 e 9. Il tempo di esposizione e 10 ms.

σ, definito come deviazione standard della distribuzione del segnale misurato, e

espresso in frazioni di pixel:

σ =√σ2

x + σ2y (4.5)

essendo σ2x e σ2

y le quantita

σ2x =

∑ni−1i=0

∑nj−1j=0 (xi − xc)

2 Eij∑ni−1

i=0

∑nj−1j=0 Eij

(4.6)

σ2y =

∑ni−1i=0

∑nj−1j=0 (xi − xc)

2 Eij∑ni−1

i=0

∑nj−1j=0 Eij

(4.7)

dove sono state utilizzate le stesse notazioni utilizzate nel paragrafo (2.3.2). E

possibile notare per ogni lunghezza d’onda un andamento a “V” entro le posizioni

5 e 13, mentre per i LED giallo e blu e inoltre riscontrabile un rapido decremento

dell’entita di σ rispettivamente nelle posizioni 3 e 15.

Nell’ipotesi di un comportamento simmetrico degli andamenti in corrispon-

denza delle posizioni vicine alla migliore messa a fuoco, si possono ritenere le

96

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posizioni di minimo visibili in figura come stime del miglior grado di focalizzazio-

ne raggiunta; in particolare si puo stimare l’aberrazione cromatica sulle lunghezze

d’onda in esame come distribuita lungo almeno un’estensione di 3 posizioni della

ghiera: avendo quest’ultima un diametro di 63 mm, l’escursione meccanica della

ghiera copre circa 5◦, corrispondente ad 1/8 dell’escursione totale.

In corrispondenza delle posizioni di migliore messa a fuoco si puo osservare co-

me i valori minimi di σ varino da 1 a circa 1.5 volte la dimensione di un pixel; que-

sto risultato porta a ritenere che, almeno per le lunghezze d’onda corrispondenti

al verde ed al blu, l’ottica possa considerarsi al limite diffrattivo.

L’andamento di brusca riduzione del diametro misurato per i LED giallo e blu

lontano dalla posizione di messa a fuoco, e dovuto proprio alla loro eccessiva de-

focalizzazione: poiche in entrambi i casi l’intensita luminosa totale e distribuita

su un gran numero di pixel, le code della distribuzione gaussiana di quest’ul-

tima scendono sotto la soglia impostata dall’algoritmo, contribuendo cosı alla

“sparizione” di una sempre maggiore percentuale di segnale.

10

100

1000

104

105

0 2 4 6 8 10 12 14 16

BluRossoGialloVerde

Live

lli AD

C

Posizione fuoco (U. A.)

Figura 4.5: Andamento con la messa a fuoco delle intensita luminose misurate con 10 ms di

esposizione: quando la focalizzazione ottimale viene raggiunta, il segnale totale raccolto resta

praticamente costante.

A questo proposito la figura (4.5) illustra l’andamento dell’intensita totale del

segnale luminoso misurato in corrispondenza delle medesime posizioni: e evidente

97

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come, per i LED citati, il comportamento sia analogo al precedente ed egualmente

interpretabile. In corrispondenza delle posizioni di corretta messa a fuoco, invece,

il segnale misurato si mantiene all’incirca costante, poiche in questo caso tutta

l’energia luminosa viene raccolta nell’immagine focalizzata. Dalla stessa figura si

puo infine constatare che, con il tempo di esposizione prescelto, nessuna immagine

risulta satura. Le figure (4.6) e (4.7) illustrano invece i risultati della prova

eseguita con un tempo di esposizione impostato a 100 ms.

1

2

3

4

5

6

7

8

9

0 2 4 6 8 10 12 14 16

BluRossoGialloVerde

Diam

etro

(pixe

l)

Posizione fuoco (U. A.)

Figura 4.6: Andamento equivalente a quello di figura (4.4), ottenuto con un tempo di esposizione

di 100 ms: gli effetti della saturazione rendono i risultati meno significativi.

La figura (4.6) illustra l’andamento dei diametri σ misurati in questo caso; e

possibile constatare ancora un andamento a “V” ottenuto sulle immagini di ogni

LED, mentre le posizioni di minimo appaiono ora piu ravvicinati tra loro e coin-

cidenti nella posizione 9; osservando pero i valori delle corrispondenti intensita

totali raccolte in figura (4.7), si comprende come questo risultato sulla posizione

di miglior fuoco sia in realta meno significativo di quello descritto in precedenza:

risulta infatti che i segnali misurati dei LED rosso e giallo sono saturi ed in cor-

rispondenza della posizione 9 l’intensita totale rivelata nelle immagini decresce.

Nel caso di una focalizzazione di segnali molto intensi, infatti, l’energia lumino-

sa emessa dai diodi viene integrata su un numero sempre piu ristretto di pixel,

determinando cosı la possibilita di una loro rapida saturazione in concomitanza

98

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con l’adozione di tempi di esposizione al segnale lunghi; il raggiungimento delle

condizioni di saturazione determina l’inizio del fenomeno di blooming dei pixel,

ovverosia il trasferimento nei pixel adiacenti dei fotoelettroni eccedenti il numero

massimo di quelli contenibili nel singolo pixel saturo; questa espansione dell’im-

magine determina l’abbassamento dell’intensita totale misurata per i diodi piu

intensi, poiche parte della carica generata defluisce nei pixel esterni al rettangolo

selezionato dall’algoritmo. Cio puo dar luogo ad un fenomeno di “satellizzazione”

dell’immagine di partenza causato dalle ripetute esecuzioni dell’algoritmo stesso,

sottraendo in questo modo un contributo all’energia luminosa complessivamente

rivelata.

Per quanto riguarda l’andamento dei diametri dell’immagine, invece, l’“ap-

piattimento” dei valori massimi dello shape gaussiano del segnale determina

una misura falsata della deviazione standard σ, pur mantenendo l’andamento

qualitativo dovuto alla presenza di un minimo.

In conclusione, dai dati raccolti risulta comunque che la posizione 7 puo essere

presa come stima sufficientemente accurata per una corretta messa a fuoco dei

LED visibili.

100

1000

104

105

106

0 2 4 6 8 10 12 14 16

BluRossoGialloVerde

Live

lli AD

C

Posizione fuoco (U. A.)

Figura 4.7: Andamento equivalente a quello di figura (4.5), ottenuta impiegando un tempo di

esposizione di 100 ms: la presenza della saturazione e riscontrabile dall’andamento del segnale

sui LED piu luminosi.

99

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Le prove effettuate con i LED infrarossi, caratterizzati da una intensita del

segnale luminoso molto elevata, sono state condotte con l’impiego di un’unico

tempo di esposizione (5 ms), sufficientemente breve da evitare la saturazione dei

pixel. Le figure (4.8a) e (4.8b) illustrano i risultati delle prove eseguite per deter-

minare diametri ed intensita dei LED infrarossi; pur in presenza di pochi punti

sperimentali, e possibile notare da figura (4.8a) come la messa a fuoco dell’im-

magine dei LED infrarossi sia localizzata all’interno di un intervallo di posizioni

(13-17) sensibilmente diverse dai casi trattati in precedenza. La figura (4.8b)

invece, come gia riscontrato in figura (4.5) per i LED nel visibile, mostra l’anda-

mento pressoche costante dell’intensita totale del segnale misurato: analogamente

a quanto gia discusso in precedenza, tutta l’energia luminosa focalizzata viene in

questo caso correttamente rivelata.

1.5

2

2.5

3

3.5

4

12 13 14 15 16 17 18

Infrarosso 1Infrarosso 2

Diam

etro

(pixe

l)

Posizione fuoco (U. A.)

6000

8000

1 104

1.2 104

1.4 104

1.6 104

12 13 14 15 16 17 18

Infrarosso 1infrarosso 2

Live

lli AD

C

Posizione fuoco (U. A.)

Figura 4.8: Risultati delle prove effettuate sui soli pixel infrarossi, identificati dall’algoritmo

impostando un tempo di esposizione di 5 ms: (a) andamento dei diametri con la messa a fuoco,

(b) andamento delle intensita totali rivelate.

4.3.3 Intensita, diametri e tempi di esposizione

Fissata la posizione di messa a fuoco per i LED visibili individuata nelle prove

illustrate nel paragrafo precedente, sono stati raccolti ulteriori dati in funzione

di diversi tempi di esposizione; le figure (4.9a) e (4.9b) illustrano i risultati di

una serie di prove effettuate sul solo LED giallo utilizzando un filtro neutro per

ridurne l’emissione luminosa di circa un fattore 100. L’intensita luminosa com-

plessivamente rivelata mantiene, come e logico aspettarsi, un andamento lineare

crescente col tempo fino all’isorgere dei fenomeni legati alla saturazione dei pixel;

questo andamento e riscontrabile con maggiore evidenza in figura (4.9a), dove

100

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10

100

1000

104

0.001 0.01 0.1 1 10

Live

lli di

ADC

Tempo di esposizione (s)

0

0.5

1

1.5

2

2.5

3

10 100 1000 104 105

Diam

etro

(pixe

l)

Livelli di ADC

Figura 4.9: Prove effettuate sul LED giallo con messa a fuoco fissa. (a) Andamento dell’intensita

massima rivelata su di un singolo pixel a diversi tempi di esposizione; e visibile l’effetto del

blooming intorno a 1s di esposizione. (b) Andamento del diametro dell’immagine del LED in

funzione dell’intensita complessivamente misurata: esiste un plateau in corrispondenza della

misura della larghezza dello shape della radiazione incidente.

sono riportati i valori dell’intensita massima misurata da un singolo pixel del-

l’immagine in funzione del tempo di esposizione in un range di valori compreso

tra 5 millisecondi e 10 secondi: e possibile notare come intorno al valore di 3 · 103

livelli di ADC la pendenza della curva si appiattisca a causa del fenomeno di bloo-

ming che anticipa la saturazione vera e propria del pixel. La figura (4.9b) illustra

invece l’andamento del diametro dell’immagine negli stessi intervalli di tempo: i

valori riportati in figura sono espressi in funzione dei livelli di ADC del segnale

complessivamente rivelato per ciascun punto allo scopo di evitare un’eccessiva

dispersione delle misure dovuta alla deriva termica del diodo col tempo. L’an-

damento ottenuto appare diviso in tre regioni di comportamento: la deviazione

σ cresce col valore dell’intensita luminosa sino a raggiungere un valore di ADC

prossimo a 100 in corrispondenza del quale si ha un andamento a plateau fino a

valori di ADC (∼ 103) oltre i quali σ torna nuovamente ad aumentare. L’anda-

mento iniziale di σ e un effetto dell’intensificazione del segnale luminoso: mentre

la larghezza della distribuzione dell’intensita luminosa proveniente dai LED e un

parametro fisso, la sua misura varia invece col tempo a causa del progressivo au-

mento del segnale raccolto e, in particolare, dell’emergere oltre il livello di soglia

delle code gaussiane del segnale luminoso. La regione intermedia, dove il valore di

σ si “stabilizza”, coincide con la misura che meglio approssima la reale larghezza

dello shape gaussiano della radiazione incidente. Con l’aumentare del tempo di

esposizione, infine, l’andamento della misura di σ comincia a mostrare l’effetto

101

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dei fenomeni di blooming legati all’insorgere della saturazione e che tendono a

distribuire su di un numero crescente di pixel il segnale raccolto nell’immagine.

4.4 Le prove sulla precisione di puntamento

4.4.1 Il metodo sperimentale

Il metodo impiegato per ottenere la misura sperimentale della precisione di pun-

tamento consentita dal sensore stellare necessita di alcune considerazioni preli-

minari. Per poter valutare la precisione di puntamento del sensore e preferibile

effettuare le misure eseguendo il “riconoscimento” dei LED su posizioni differenti

dello schermo: cio si avvicina maggiormente alle condizioni dinamiche di uso del

sensore e riduce l’introduzione di eventuali sistematicita duvute all’illuminazione

di una stessa porzione di superficie della CCD. I risultati delle elaborazioni di

immagini cosı concepite forniscono le componenti del versore di puntamento del

sensore rispetto alla terna assoluta del catalogo dei LED. Per apprezzare il livello

di precisione occorrebbe misurare gli scarti esistenti nella differenza vettoriale

tra la direzione di puntamento misurata z ed il versore z della terna assoluta,

ma questo e possibile solo se il reale posizionamento di quest’ultima e noto con

precisione assoluta, condizione difficilmente realizzabile. Il problema puo essere

risolto se si procede eseguendo le misure di puntamento sullo schermo “stellato”

che viene successivamente traslato di una quantita nota con elevata precisione

lungo una direzione arbitraria d trasversale alla direzione z: i risultati raccolti

sull’andamento delle componenti vx e vy del versore z lungo la direzione z della

terna assoluta consentono di determinare l’entita dello spostamento compiuto dal

piano e quindi, dopo un opportuno fit delle misure, la precisa posizione assunta

nello spazio dalla terna assoluta del catalogo.

Con riferimento alla figura (4.10), dove e indicato con α0 il valore iniziale del-

l’angolo formato tra la componente vx del versore z e la proiezione di quest’ultimo

sul piano (x, z), uno spostamento lungo la direzione d di entita ∆ determina un

nuovo valore α1 dell’angolo considerato; poiche la traslazione avviene lungo una

direzione arbitraria, lo stesso spostamento ∆ determinera anche un passaggio

al valore β1 dell’angolo β0 formato dalla componente vy con la proiezione dello

stesso versore sul piano (y, z) (la componente vz puo essere trascurata in quanto

determinata dalla condizione di normalizzazione del versore z); se gli spostamen-

ti effettuati sono piccoli rispetto alla distanza L tra il piano e l’obiettivo e se si

indica con δ l’angolo formato tra la direzione dello spostamento arbitrario d e

l’asse x della terna assoluta, la differenza tra i suddetti angoli si potra esprimere

102

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Terna assoluta

x

y z

z dα

β

δ

L

^

^

^

^

^

0

0

Figura 4.10: Disposizione geometrica delle grandezze citate nel testo: la terna assoluta si trova

ad una distanza L dal piano “stellato”; quest’ultimo si sposta lungo la direzione d, formante

l’angolo δ con il versore x della terna.

al prim’ordine come:

α1 − α0 = cos δ∆

L(4.8)

β1 − β0 = sin δ∆

L(4.9)

Disponendo il “cielo” stellato in modo che la normale al suo piano si discosti

poco dalla direzione di puntamento del sensore (α0 e β0 piccoli), si puo riassumere

dicendo che i risultati di una serie di misure di questo tipo porta ad un andamento

delle componenti vx e vy del versore z esprimibile come

vx = cos δ∆

L+ v0

x (4.10)

vy = sin δ∆

L+ v0

y (4.11)

essendo v0x e v0

y i valori iniziali delle componenti misurate.

I piccoli spostamenti appena descritti sono stati realizzati montando lo scher-

mo “stellato” su di un supporto che e stato traslato grazie all’azione di una vite

micrometrica; le traslazioni sono state effettuate con un’escursione massima di 5

mm, compiendo 5 misure per ogni millimetro di questo intervallo.

L’escursione e stata infine ripetuta tre volte in entrambe le direzioni di ro-

tazione della vite micrometrica, al fine di evidenziare l’eventuale presenza di un

effetto di “gioco” nella meccanica della vite stessa.

Scegliendo per la distanza L del piano dall’ottica un valore pari, ad esempio, a

10 metri, la precisione fornita dalla vite micrometrica utilizzata per compiere gli

spostamenti (±10 µm) comporta uno spostamento angolare pari a 0.2 arcosecondi

103

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e dunque sufficiente a valutare una precisione di puntamento di un arcosecondo.

Una distanza di 10 metri consente anche la completa osservazione dello schermo

e del “cielo stellato”: piu precisamente, affinche questo sia possibile, e necessario

che sia soddisfatta la relazione

L =lf

lccd(4.12)

dove con l,f e lccd si e indicato rispettivamente il lato maggiore del piano “stel-

lato”, la lunghezza focale dell’ottica ed il lato minore della CCD. Sostituendo i

parametri in (4.12) con i valori disponibili si ha:

L =0.47 m× 0.105 m

512× 9 · 10−6 m' 10.6 m (4.13)

Disponendo di tale valore e ora possibile terminare l’operazione di catalogazione

dei diodi presenti nel “cielo” artificiale a cui si e fatto riferimento: ponendo infatti

a 10.6 m dalla terna solidale col piano “stellato” l’origine di un sistema di assi

cartesiani, si otterra il riferimento assoluto rispetto al quale ricavare i vettori

unitari che identificano la posizione delle stelle-diodi.

Il posizionamento del piano “stellato” trasversalmente alla direzione dell’asse

di vista z del sensore, necessita il rispetto di un valore di tolleranza angolare tale

da permettere il buon esito del riconoscimento; se infatti si ruota il piano attorno

ad un suo asse di simmetria di un angolo γ, la distanza angolare misurata nella

terna assoluta di due LED posti tra loro ad una distanza d sul piano, risulta

cambiata di una quantita δφ definita da

d− d cos γL

= δφ (4.14)

che puo essere ricavata da semplici considerazioni geometriche. Poiche nel riferi-

mento della CCD la tolleranza coincide con l’angolo di visuale α di un pixel di

lato lpixel

α =lpixel

f= 0.085 · 10−5 rad ' 5 · 10−3 ◦ (4.15)

ne segue che per ottenere il riconoscimento dei LED dovra sempre essere:

δφ < α (4.16)

Sostituendo in (4.14) i valori disponibili ed impiegando per d la lunghezza del

lato maggiore del piano, si ottiene come stima della minima tolleranza γ il valore

di circa 3.5◦.

Le misure sono state effettuate impiegando un tempo di esposizione di 20

ms ed utilizzando un filtro KG1 per attenuare l’intensita dei LED infrarossi; il

diametro medio dell’immagine dei LED misurato nella nuova posizione di messa

a fuoco a 10.6 m e risultato essere di 1.4141±0.2186 pixel.

104

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4.4.2 I risultati delle misure

I risultati delle misure eseguite sperimentalmente hanno fornito per le componenti

vx e vy del versore z i valori visibili nelle figure (4.11a) e (4.11b). I fit lineari

condotti sui dati hanno permesso di stimare i parametri delle rette definite nelle

stesse figure, i valori dei quali sono riassunti nella tabella seguente; in particolare,

i parametri α0 e β0 relativi alla direzione di puntamento mostrano una precisione

fino alla settima cifra decimale, superiore quindi di quasi un fattore 10 sulle

dimensioni di un arcosecondo; con questo livello di precisione, maggiore del valore

di stima disponibile sulla precisione di puntamento del sensore stellare (3.68)

soggetto a verifica sperimentale, la localizzazione degli spostamenti del piano

“stellato” consente ora il calcolo degli scarti sulla direzione di puntamento.

cos δ α0 (rad)

1.0036± 0.0027 6.8922 · 10−3 ± 6.8 · 10−7

sin δ β0 (rad)

0.0348± 0.0015 1.6687 · 10−4 ± 4.0 · 10−7

0.0066

0.0067

0.0068

0.0069

0.007

0.0071

0.0072

0.0073

0.0074

-6 -4 -2 0 2 4

V x

Vx (r

ad)

Millimetri

y = m0*m1+m2ErrorValue

2.562707e-07-9.657991e-05m1 6.814791e-070.006892242m2

NA1.634831e-09ChisqNA0.9997607R

0.000155

0.00016

0.000165

0.00017

0.000175

0.00018

0.000185

0.00019

-6 -4 -2 0 2 4

V y

Vy (r

ad)

Millimetri

y = m0*m1+m2ErrorValue

1.495271e-07-3.352585e-06m1 3.976248e-070.0001668786m2

NA5.565632e-10ChisqNA0.9385365R

Figura 4.11: Risultati dei fit eseguiti sulle componenti degli scarti della direzione di puntamento,

calcolata sugli spostamenti del “cielo” artificiale: (a) componente vx, (b) componente vy. I

valori che individuano la reale posizione del piano sono riportati nella tabella presente nel testo.

La figura (4.12a) illustra la dispersione dei risultati ottenuti sulla precisione di

puntamento misurata in arcosecondi. La trattazione del un modello utilizzato nel

paragrafo (3.4.2) per ottenere il valore complessivo della precisione di puntamento

(3.68) e che prevede, in questo caso, l’impiego di una distribuzione gaussiana

semplificata per il valore del modulo delle componenti dzx e dzy degli scarti

dz = z− z (4.17)

105

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-3

-2

-1

0

1

2

3

-3 -2 -1 0 1 2 3

Y (a

rcse

c)

X (arcsec)

-5

0

5

10

15

20

0 1 2 3 4 5 6C

onte

ggi

Arcosecondi

y = m1*m0/m3*exp(-.5*((m0-0)...ErrorValue

2.87308122.6624m1 0.052124720.8573128m3

NA11.07808ChisqNA0.974292R

Figura 4.12: Risultati delle prove sulla precisione di puntamento. (a) Distribuzione spaziale

degli scarti misurati dalla reale direzione di puntamento. (b) Risultati del fit eseguito con la

funzione (4.18) sulla distribuzione del modulo degli scarti in funzione della distanza angolare;

il valore dell parametro σp determina la precisione di puntamento finale.

ha fornito la stima del valore di precisione cercato; se infatti si indica con ρp la

funzione di fit dell’istogramma del modulo dei suddetti valori (eq. 3.66)

ρp =1

σ2p

r e− 1

2r2

σ2p (4.18)

si ottiene per il parametro cercato, σp, il valore:

σp = 0.86± 0.05 arcsec (4.19)

La figura (4.12b) illustra il risultato del fit con la funzione (4.18).

Il confronto del risultato sperimentale (4.19) con quello ricavato dai test nu-

merici (3.68) per il caso di focale 100, permette alcune considerazioni conclusive.

In primo luogo si puo osservare come anche le verifiche sperimentali abbiano

stabilito entro l’intervallo di circa un arcosecondo il livello di precisione di punta-

mento consentita dal sensore stellare. I diversi livelli di precisione raggiunti nella

simulazione e nella prova sperimentale, inoltre, possono essere spiegati facendo

riferimento alla stima di andamento della precisione di puntamento in funzio-

ne del numero di stelle riconosciute dall’algoritmo illustrata nel paragrafo (3.3):

essendo infatti pari a circa 4 il rapporto tra il numero di stelle rispettivamente

utilizzate per la determinazione della direzione di puntamento nei due differenti

casi (tabella (3.1) e paragrafo (4.3.1)), la precisione di puntamento sperimentale

dovrebbe essere inferiore di quella ottenuta nelle simulazioni di almeno un fattore

2. Essendo circa 1.6 il fattore effettivamente riscontrato, l’andamento previsto

resta sostanzialmente confermato.

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Conclusioni

L’attivita di studio condotta presso l’istituto IPCF del CNR di Pisa ha consen-

tito la realizzazione di un prototipo di sensore stellare dotato di caratteristiche

originali e adatto ad integrare il sistema di controllo di assetto della piattafor-

ma denominata HiPeG, progetto finanziato dall’ASI ed in fase di completamento

presso l’istituto IASF del CNR di Bologna.

Questo progetto necessita di caratteristiche tali da consentire un’accurata va-

lidazione dei dati che saranno raccolti in un prossimo futuro da una nuova genera-

zione di telescopi in grado di effettuare misure spettrali di sorgenti astronomiche

X e γ con una elevata risoluzione angolare.

Il sensore stellare sviluppato presso l’istituto IPCF si basa sull’elaborazione

di immagini di campi stellari grazie ad un software di riconoscimento stellare in

grado di determinare, con una frequenza di up-date della misura pari ad 1 Hz, una

direzione di puntamento ottico con un livello di precisone di pochi arcosecondi.

L’algoritmo sviluppato possiede inoltre la capacita di effettuare l’inseguimento

della direzione di puntamento determinata.

Questa versatilita di impiego, unita alla capacita di calcolo dell’hardware ed

all’alta dinamica dell’elettronica di acquisizione delle immagini impiegata, con-

sentira di raggiungere la completa autonomia di funzionamento di questa nuova

piattaforma scientifica.

I test numerici e di laboratorio sinora effettuati sul prototipo realizzato, hanno

consentito di poter verificare il funzionamento di tutte le procedure che compon-

gono l’algoritmo di identificazione dei campi stellari; inoltre il livello di precisione

espresso in queste prove si e rivelato maggiore rispetto al valore previsto dal-

le specifiche del progetto ASI. I test condotti all’IPCF hanno inoltre suggerito

spunti utili per nuovi e futuri sviluppi, quali l’ottenimento di tempi di calcolo

ulteriormente ridotti per l’adozione di ottiche che consentano la visualizzazione

di un alto numero di stelle.

Con le informazioni che saranno raccolte durante il primo volo di prova, pre-

visto per l’estate 2004, si renderanno disponibili gli elementi necessari per le

modifiche che consentiranno anche un uso diurno del sensore.

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