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1 1 La MENOPAUSA OGGI Laura Tarantelli - Emilia Costa Dipartimento Scienze Neurologiche e Psichiatriche – Sapienza Università di Roma INTRODUZIONE Il termine menopausa deriva dal greco "μήν" e "πασις", (mese e cessazione): infatti, come da definizione della WHO ( World Health Organization) per menopausa si intende la definitiva scomparsa del flusso mestruale mensile nella donna, dovuta alla progressiva riduzione fino alla completa cessazione della funzione follicolare ovarica, che comporta la fine della fertilità nella donna. Per definizione la menopausa spontanea e naturale si può riconoscere solo in maniera retrospettiva dopo 12 mesi consecutivi di amenorrea, una volta escluse altre possibili cause patologiche o fisiologiche di amenorrea stessa (come ad esempio la menopausa chirurgica che insorge dopo l’asportazione chirurgica delle gonadi femminili e dell’utero, ecc.). Ciò in quanto solo raramente l’interruzione del flusso mestruale avviene in modo brusco; la maggior parte delle volte avviene gradualmente in un periodo di tempo piuttosto lungo, che caratteristicamente inizia con pronunciate irregolarità del ciclo mestruale, riguardanti sia l’intensità che la durata dello stesso. Il periodo compreso tra l’inizio delle irregolarità mest ruali ( di durata variabile, da 2 a più anni) ed i 12 mesi successivi all’ultima mestruazione viene definito perimenopausa. Attualmente l’età media di inizio della perimenopausa nei paesi industrializzati è calcolata sui 47,5 anni, mentre la menopausa si verifica intorno ai 50-52 anni; la menopausa spontanea è considerata normale tra i 45 e i 55 anni, normale precoce prima dei 45 anni, normale tardiva dopo i 55 anni. Rispetto al passato l’età media di insorgenza della menopausa si è innalzata parallelamente all’innalzamento dell’aspettativa di vita ed all’aumento percentuale della distribuzione della popolazione verso le fasce di età più avanzate. Come il menarca, anche la menopausa ha sempre rappresentato una tappa fondamentale nel percorso di vita della donna, un tempo vissuta come momento di forte “crisi”, oggi intesa soprattutto come “cambiamento”. Fino agli anni ‘60 quando l’identità femminile era basata su un modello fondamentalmente caratterizzato da bellezza e capacità di procreare, la menopausa assumeva spesso connotazione spiccatamente negativa, caratterizzata dalla valenza di “perdita”, simboleggiando l’inizio dell’ invecchiamento.

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La MENOPAUSA OGGI

Laura Tarantelli - Emilia Costa Dipartimento Scienze Neurologiche e Psichiatriche – Sapienza Università di Roma

INTRODUZIONE

Il termine menopausa deriva dal greco "μήν" e "παὒσις", (mese e cessazione): infatti,

come da definizione della WHO ( World Health Organization) per menopausa si

intende la definitiva scomparsa del flusso mestruale mensile nella donna, dovuta alla

progressiva riduzione fino alla completa cessazione della funzione follicolare ovarica,

che comporta la fine della fertilità nella donna.

Per definizione la menopausa spontanea e naturale si può riconoscere solo in

maniera retrospettiva dopo 12 mesi consecutivi di amenorrea, una volta escluse altre

possibili cause patologiche o fisiologiche di amenorrea stessa (come ad esempio la

menopausa chirurgica che insorge dopo l’asportazione chirurgica delle gonadi

femminili e dell’utero, ecc.). Ciò in quanto solo raramente l’interruzione del flusso

mestruale avviene in modo brusco; la maggior parte delle volte avviene gradualmente

in un periodo di tempo piuttosto lungo, che caratteristicamente inizia con pronunciate

irregolarità del ciclo mestruale, riguardanti sia l’intensità che la durata dello stesso. Il

periodo compreso tra l’inizio delle irregolarità mestruali ( di durata variabile, da 2 a

più anni) ed i 12 mesi successivi all’ultima mestruazione viene definito

perimenopausa.

Attualmente l’età media di inizio della perimenopausa nei paesi industrializzati è

calcolata sui 47,5 anni, mentre la menopausa si verifica intorno ai 50-52 anni; la

menopausa spontanea è considerata normale tra i 45 e i 55 anni, normale precoce

prima dei 45 anni, normale tardiva dopo i 55 anni.

Rispetto al passato l’età media di insorgenza della menopausa si è innalzata

parallelamente all’innalzamento dell’aspettativa di vita ed all’aumento percentuale

della distribuzione della popolazione verso le fasce di età più avanzate.

Come il menarca, anche la menopausa ha sempre rappresentato una tappa

fondamentale nel percorso di vita della donna, un tempo vissuta come momento di

forte “crisi”, oggi intesa soprattutto come “cambiamento”. Fino agli anni ‘60 quando

l’identità femminile era basata su un modello fondamentalmente caratterizzato da

bellezza e capacità di procreare, la menopausa assumeva spesso connotazione

spiccatamente negativa, caratterizzata dalla valenza di “perdita”, simboleggiando

l’inizio dell’ invecchiamento.

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Nel corso del tempo e soprattutto negli ultimi decenni, il significato socio-culturale

legato al climaterio è andato via via evolvendosi, parallelamente al cambiamento

della concezione sulla donna e del suo ruolo nella società, nonché all’aumento

dell’età media di vita con la possibilità di prolungare bellezza e benessere.

Tuttavia il climaterio rappresenta, comunque, un momento di importante

cambiamento e pertanto una tappa delicata della vita femminile, in cui gradualmente

deve venirsi a creare un nuovo equilibrio sia a livello fisico che psicologico. Infatti

pur rappresentando un evento fisiologico, la menopausa può in molti casi essere

caratterizzata da un insieme variabile di disturbi che a volte ne arrivano a costituire

una vera e propria sindrome.

I disturbi possono essere diversi e di diversa entità: possono comprendere sintomi

fisici, psicofisici e psichici , i quali possono connotarsi con modalità molto variabile

da donna a donna.

I sintomi fisici spesso possono comprendere: aumento ponderale, manifestazioni

edemigene, tensione mammaria, secchezza della cute e delle mucose in particolare di

quella vaginale, cistiti ricorrenti; i sintomi psicosomatici più frequenti, consistono

soprattutto in sintomi vasomotori, quali vampate di calore, sudorazione profusa

soprattutto notturna, e cefalee; i sintomi psichici possono essere diversi sia come

qualità che come gravità e comprendono: disturbi del sonno, quali insonnia o talvolta

ipersonnia, ansietà, astenia, difficoltà di concentrazione, irritabilità, disturbi

dell’umore, che possono andare da lieve tristezza fino a veri e propri quadri

depressivi.

Come già accennato questo corteo sintomatologico si può manifestare attraverso un

continuum di gravità estremamente variabile da soggetto a soggetto: in particolare i

sintomi psichici possono essere appena accennati e facilmente gestibili, fino ad

arrivare talvolta a veri e propri quadri psicopatologici.

A riguardo, soprattutto negli ultimi anni, sono stati effettuati diversi studi, in alcuni

dei quali talvolta sono stati ottenuti anche risultati in parte contrastanti tra di loro. In

particolare è stata posta attenzione alla possibilità di una diversa vulnerabilità allo

sviluppo di sintomi depressivi nel periodo della menopausa. Diversi autori, infatti,

identificano il periodo della perimenopausa come “finestra di vulnerabilità” per i

disturbi depressivi, che in tale periodo possono manifestarsi con un’ampia variabilità

clinica. Potendo assumere le caratteristiche di una forma lieve di depressione, ma

prolungata, in genere in donne con personalità nevrotica; oppure in forma grave di

tipo endogeno monopolare, in donne con personalità già disturbata, ma con tendenza

ad una remissione più rapida rispetto alle forme non legate alla menopausa ( Costa

E.). Pertanto le manifestazioni sintomatologiche presentano un’ìmportante variabilità

interindividuale e possono includere dai sentimenti di inutilità, inadeguatezza,

incapacità, infelicità, riduzione e/o perdita della libido e della progettualità, fino a

sintomi depressivi ancora più gravi, quali frequenti crisi di pianto, apatia ed abulia,

anoressia, insonnia, riduzione dell’efficienza con grave difficoltà a svolgere le

normali attività quotidiane.

Persistono, comunque ancora, diverse controversie rispetto a quali siano i fattori che

possono determinare una maggiore vulnerabilità allo sviluppo di sintomi depressivi

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durante il climaterio: infatti tale maggiore vulnerabilità viene attribuita da alcuni

autori soprattutto ai fattori biologici caratteristici di questo periodo ed in particolare

ai profondi cambiamenti nei livelli ormonali (in particolare alle caduta dei livelli di

estrogeni circolanti, accompagnata dal progressivo aumento dei livelli di FSH

(ormone follicolo stimolante). Mentre per altri Autori maggiore importanza ed

impatto avrebbero i fattori psicologici e socioculturali, quali la personalità di base, la

situazione relazionale e sessuale presente e passata, la storia personale ed in

particolare la presenza o meno di particolari traumi; nonché la presenza di una

precedente storia di disturbi depressivi o dell’umore, che comporta una maggiore

provabilità di sviluppare sintomi depressivi in menopausa. (Costa E. 1999)

In un lavoro del 2012 gli Autori (Hickey e altri) analizzando i più importanti studi

effettuati negli ultimi tre decenni sull’insorgenza di sintomi ansiosi e depressivi

durante la menopausa, giungono alla conclusione che l’aumento di incidenza di tali

disturbi durante tutto il periodo perimenopausale è effettivo soltanto nelle donne che

presentano determinati fattori di rischio di vario tipo quali: importante stress

psicosociale, precedente storia di disturbi affettivi, e sintomi vasomotori gravi e

prolungati.

FATTORI BIOLOGICI ED ORMONALI

Per quanto riguarda l’aspetto biologico ed ormonale, è ormai noto che gli ormoni

sessuali svolgono, oltre alla loro azione sui vari organi del sistema riproduttivo,

anche un’azione sul sistema nervoso centrale: è stata riscontrata una relazione tra

steroidi ovarici e l’attività serotoninergica dell’ipotalamo, sembra che gli estrogeni

aumentino il ritmo circadiano diurno della serotonina, mentre il progesterone ne

aumenta il turnover. Ed a questo potrebbe essere correlato il fatto che gli estrogeni e

il progesterone esercitano un’importante influenza sul tono dell’umore: i primi lo

migliorano esercitando anche un’azione “euforizzante” che, nella prima metà del

ciclo mestruale nella donna in età fertile si paleserebbe con maggiore parlantina,

capacità di concentrazione, benessere e aumento del desiderio sessuale. (E’

interessante il fatto che la radice di estrogeni è la stessa di "estroversione"). Tale

effetto euforizzante è mitigato dal progesterone, che al contrario induce un senso di

tranquillità e rilassatezza e svolge anche un’azione sedativa che può diventare anche

lievemente depressogena.

Inoltre è stata riscontrata la presenza di recettori per gli ormoni sessuali (estrogeni,

progesterone ed ormoni androgeni) in diverse regioni del sistema nervoso centrale,

alcune delle quali non coinvolte nella regolazione della funzione riproduttiva; in

particolare, recettori specifici per gli ormoni gonadici sono stati riscontrati oltre che

nel tronco encefalico, nel cervelletto e nelle cellule gliali della sostanza grigia

cerebrale, anche a livello dell’amigdala, dell’ippocampo del locus coeruleus, regioni

cerebrali fortemente implicate nella regolazione dell’umore e degli stati affettivi,

nonché del livello di performance cognitiva.

A riguardo esistono alcuni studi focalizzati proprio sulla maggiore vulnerabilità di

alcune donne alle fluttuazioni degli ormoni sessuali, e pertanto gli Autori sono andati

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a studiare se ci fosse o meno una maggiore provabilità nello sviluppo di alterazioni

dell’umore nel periodo della perimenopausa, nelle donne che hanno sofferto di

sindrome premestruale durante il periodo riproduttivo.

I risultati degli studi di Morse e coll. (1998) e Freeman e coll. (2004) e hanno

confermato questa ipotesi. Inoltre lo stesso argomento è stato affrontato in un altro

studio condotto nel 2006 da Richards M e coll. che hanno esaminato un campione di

105 donne nel periodo perimenopausale (70 affette da sintomi depressivi e 35 di

controllo) andando ad indagare nelle stesse la presenza di sindrome premestruale: la

stessa veniva riscontrata in percentuale maggiore nelle donne con sintomi depressivi

perimenopausali rispetto a quelle senza sintomi depressivi (rispettivamente 26% e

9%).

Sull’assetto ormonale sono stati condotti diversi altri lavori: in uno studio risalente al

2006 condotto da Cohen e altri Autori su un campione di 421 donne è risultato che

l’incidenza di depressione nelle donne in perimenopausa risultava circa doppia

rispetto alle donne nel periodo fertile e tale dato è stato confermato da altri studi

condotti su campioni di donne piuttosto ampi, come quello condotto da Freeman e

coll, i quali hanno ottenuto un risultato più o meno analogo a quello precedentemente

citato, studiando un campione di 251 donne. Dennerstein e altri autori in uno studio

del 2004 hanno riscontrato una maggiore incidenza di sintomi depressivi in donne

con durata del periodo perimanopausale più lunga rispetto alla media.

Sempre riguardo ai fattori biologici un altro aspetto abbastanza indagato è stata la

possibile correlazione tra sintomi vasomotori e sintomi depressivi durante il

climaterio, anche basandosi sull’impatto negativo che i sintomi vasomotori, in

particolare le vampate di calore, hanno sul sonno e sul tono dell’umore.

In uno studio risalente al 2002 Joffe e coll., confrontando due gruppi di donne in

menopausa, l’uno con sintomi vasomotori molto accentuati, l’altro con sintomi molto

blandi, hanno constatato una incidenza di disturbi depressivi quattro volte maggiore

nel gruppo con sintomi vasomotori gravi ed invalidanti. Tale dato è stato in parte

confermato da Cohen e altri nel 2006 ed anche in uno studio più recente condotto da

P. Lianeza ed altri Autori nel 2011. Tuttavia, altri dati presenti in letteratura

disconfermano questo dato, non trovando alcuna differenza nell’incidenza di sintomi

depressivi in menopausa tra donne con sintomi vasomotori e donne che non

presentavano tali sintomi.( Soares et all. 2006).

Alcuni autori hanno posto l’attenzione non solo sul ruolo degli estrogeni ma anche di

altri ormoni, dei quali si suppone l’influenza sulla regolazione dell’umore. A riguardo

si segnala uno studio recente di tipo longitudinale, condotto nel 2011 da Morrison e

coll., in un arco di tempo di 11 anni, su un ampio numero di donne (436), per

determinare se esisteva una correlazione tra i livelli di DHEA e l’insorgenza di

sintomi depressivi durante il periodo della menopausa. Il livello di DHEA è stato

rilevato nel campione di donne, quando erano ancora in età fertile, e poi è stato

rivalutato nel periodo del climaterio. Da tale studio è emerso che esisteva una

correlazione tra livelli di DHEA e depressione in menopausa mentre,

sorprendentemente, non esisteva nessuna correlazione tra livelli di DHEA prima della

menopausa e depressione maggiore

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Inoltre da diversi studi è risultato che numerosi fattori di tipo organico quali l’età del

menarca, la nulliparità, l’uso pregresso di estro progestinici. possono influenzare gli

effetti sull’umore correlati alla riduzione degli estrogeni durante la menopausa, oltre

che l’età di insorgenza della stessa. (Costa E. 1999)

Anche se esiste già una certa quantità di dati a disposizione, gli aspetti biologici ed

ormonali in particolare che possono correlarsi allo sviluppo di sintomi depressivi in

menopausa vanno ulteriormente approfonditi, ma soprattutto va tenuto presente come

già precedentemente anticipato che vanno considerati in sinergia ad altri numerosi

aspetti il cui ruolo nel possibile sviluppo di sintomi psichici gravi durante il

climaterio è forse ancor più importante, soprattutto per quel che riguarda la grande

variabilità individuale che si osserva nello sviluppo di questi sintomi. Si può

affermare che esiste una complessa vulnerabilità individuale che predispone ad una

risposta negativa alle variazioni ormonali. A proposito di ciò va tenuto presente che

sono stati condotti alcuni studi riguardanti anche l’impatto della menopausa sui

disturbi psicotici nella donna. Da tali studi è emerso che, almeno da un punto di vista

statistico, effettivamente l’insorgenza della menopausa aumenta il rischio che si

sviluppi un nuovo episodio psicotico in donne già affette da psicosi, con conseguente

necessità di aumento del dosaggio della terapia antipsicotica e ciò viene imputato

all’effetto “neuroprotettivo” esercitato dagli estrogeni.

Sicuramente la vulnerabilità individuale alle fluttuazioni ormonali è influenzata da

molteplici fattori non solo biologici ma anche sociali, culturali, familiari, psicologici.

FATTORI SOCIOCULTURALI

Per quanto riguarda i fattori socioculturali, come già precedentemente accennato il

significato che viene attribuito alle mestruazioni ed in seguito alla cessazione delle

stesse in menopausa, nella società in cui la donna vive è molto importante e lo stesso

differisce ampiamente nelle diverse culture. (Costa E. 1992)

Ad esempio, in alcune tribù dell’Africa e nelle donne della classe Rahjput dell’India,

come in certe popolazioni arabe, alle mestruazioni viene attribuito un significato

negativo di “impurità”; pertanto la menopausa, liberando la donna dall’“impurità” dei

flussi mestruali, le conferisce maggiore prestigio sociale. La donna in menopausa, a

differenza di quanto accade ne periodo fertile, può quindi socializzare liberamente

anche con gli uomini, partecipare o essere protagonista di riti propiziatori, è esentata

dai lavori pesanti e, in virtù dell’esperienza di vita acquisita, esercita ampi poteri sulla

famiglia e sulla comunità. In queste popolazioni il potere della donna intorno ai

cinquant'anni e' massimo; e con il raggiungimento della mezza età la donna diviene il

fulcro della famiglia e assume il ruolo di matriarca, diventando un riferimento

gerarchico per figlie, nuore, nipoti. A Formosa e in Giappone ancora oggi l’ingresso

della donna nell’ultimo gruppo anagrafico, all’età di 61 anni, è celebrato con un

festeggiamento e da quel momento le sue opinioni sono tenute in grande

considerazione.

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In Cina é leggendario il rispetto reverenziale nei confronti delle donne entrate nell' età

della saggezza. In queste culture così diverse rispetto alla nostra la sindrome

climaterica sembrerebbe essere praticamente assente. Invece nella popolazione

statunitense che risulta mista sembrerebbe che i sintomi psicofisici e psichici della

sindrome climaterica siano molto meno frequenti nelle donne che appartengono alla

etnia afro-americana rispetto alle donne bianche.

A riguardo va segnalato che sono stati condotti diversi studi soprattutto riguardanti

eventuali differenze nell’insorgenza di sintomi depressivi durante la perimenopusa in

donne di diverse razze, anche se non sono ancora sufficienti per giungere a

conclusioni chiare. Tuttavia, in popolazioni nelle quali al cambiamento che avviene

in menopausa è attribuita una valenza positiva, risulta più bassa l’incidenza di

sintomi fisici e soprattutto psicologici correlati alla stessa. A proposito è interessante

citare un recente studio condotto da Sayakhot P. et All. (2012) nel quale vengono

messi a confronto le credenze, gli atteggiamenti, la compresione ed i sintomi della

menopausa tra le donne Australiane e le donne del Laos, utilizzando un campione di

56 donne australiane e 52 donne lotiane di età compresa tra i 45 ed i 61 anni. Da tale

studio emerge un’incidenza significativamente più alta sia dei sintomi vasomotori che

dei sintomi depressivi nelle donne australiane; tale maggiore incidenza è associata ad

una concezione della menopausa come inizio dell’invecchiamento e di maggior

rischio di ammalare di gravi neoplasie mammarie.

Sicuramente nella nostra società occidentale, come già precedentemente accennato,

il significato sociale attribuito alla menopausa è andato modificandosi nel tempo ed

in particolare negli ultimi decenni, in cui la donna ha potuto acquisire la propria più

complessa identità, emancipandosi dagli aspetti tradizionali della funzione materna e

sessuale, potendo meglio utilizzare le proprie capacità logico/razionali. Per cui la

menopausa sta perdendo la connotazione di “ineluttabile invecchiamento

psicofisico”. Tuttavia, la valenza ed il significato attribuiti da ogni singola donna a

tale importante cambiamento sono fortemente dipendenti sia dalla cultura della

famiglia d’origine, sia dalla cultura individuale che ogni donna si è andata

costruendo nella sua storia di vita (Costa E. 1990). Numerose ricerche hanno

dimostrato che più é basso il livello socio-culturale, più é alta l'identificazione nel

modello femminile materno-riproduttivo, più aumenta la percezione dei sintomi del

climaterio. In diversi casi di crisi menopausale il momento in cui la donna realizza di

aver perso la capacità riproduttiva può diventare un momento di profonda riflessione,

che porta a rivedere il ruolo di moglie-madre su cui aveva impostato tutta la sua vita,e

può comportare la polarizzazione su elementi di perdita e di lutto che possono

determinare la diminuzione della fiducia di base in se stessa. Al contrario, se la

donna vive la propria femminilità in modo completo, come insieme di affetti,

relazioni sociali, interessi, relazioni, come tappa fisiologica dell’esistenza, non si

sentirà ridotta come donna con la fine dei cicli mestruali, ma più libera e più ricca di

esperienza e nuove possibilità.

A riguardo risulta molto importante il livello di integrazione sociale e il substrato

relazionale di ogni singola donna nel periodo della menopausa, nonché il supporto

emotivo che la stessa riceve durante tale importante momento di cambiamento.

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Bisogna anche tenere in considerazione ad esempio se la donna svolge o meno

un’attività lavorativa, che possa funzionare come fonte di soddisfazione ed autostima.

Inoltre risulta fondamentale la rete relazionale, la presenza di amicizie e soprattutto

l’esistenza o meno di una relazione di coppia e la qualità della stessa. Dennerstein ed

altri autori in uno studio di diversi anni fa (1999) hanno riscontrato una maggiore

incidenza di depressione durante tutto il periodo della perimenopausa in donne che

non ricevevano un adeguato supporto da parte del proprio compagno, rispetto a quelle

che invece avevano un supporto adeguato. Come a tale riguardo è anche molto

importante la situazione di coppia preesistente e la personalità di base sia della donna

che del compagno. Sui risvolti psicologici del climaterio ha inoltre influenza il modo

in cui ogni donna di concepisce e vive la propria sessualità.

A tal proposito è possibile individuare nella donna alcuni modelli d’identità che si

ripercuotono sul rapporto di coppia ed in particolare sul comportamento sessuale in

menopausa:

- un modello materno riproduttivo, che considera la sessualità prevalentemente

finalizzata alla riproduzione, per cui la menopausa può determinare la riduzione o

l’interruzione dell’attività sessuale;

- un modello narcisistico, che tenta di evitare la crisi della mezza età negando la

componente biologica del climaterio. La donna può avere un’attività sessuale più

intensa e può riuscire a negare alcuni problemi legati alla menopausa.

- un modello genitale maturo, in cui è presente la capacità di realizzare

armonicamente l’identità femminile non solo nelle tradizionali funzioni materne, ma

anche all’interno di una relazione affettiva e sessuale soddisfacente.

EVENTI DI VITA E FATTORI PSICOLOGICI RELATIVI ALLA PERSONALITA DI

BASE

Il modo di vivere la sessualità è inerente alla costituzione della personalità di base,

fondamentale nell’andamento della menopausa e nello sviluppo o meno di sintomi

depressivi. I tratti personologici di ogni singolo individuo sono frutto di diversi

fattori, che comprendono fattori genetici, fattori ambientali e relazionali. E’ noto

come gli eventi di vita, sia quelli macroscopici e più significativi, sia quelli

puntiformi ma con importante impatto emozionale sull’individuo, sono di

fondamentale importanza nella costituzione della personalità di base: risultano

fondamentali i rapporti reciproci tra i vari componenti della famiglia di origine, ed

eventuali modalità ricorrenti, che possono assumere la valenza di microtraumi

reiterati nel tempo. Nonostante ciò, in genere viene posta maggiore attenzione agli

eventi di natura macroscopica, ad esempio particolare attenzione viene posta

all’abuso sessuale nello sviluppo dei vari disturbi psichici: un pregresso abuso, in

particolare se accompagnato da scarsa comprensione e trascuratezza emotiva da parte

dei genitori, predispone ad una maggiore fragilità e vulnerabilità agli eventi stressanti

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e maggiore predisposizione per lo sviluppo di disturbi affettivi; pertanto può anche

avere un ruolo nello sviluppo di un disagio psicologico di rilevante entità in

menopausa. A tale proposito citiamo un recente studio condotto nel 2012 da Pimenta

F. et All. su un ampio campione di donne (992), nel quale gli autori vanno ad

indagare la correlazione esistente tra eventi di vita e i vari sintomi in menopausa; da

tale studio risulta che gli eventi di vita sono significativamente correlati solo con i

sintomi depressivi, mentre non esiste nessuna significativa correlazione tra eventi di

vita e sintomi fisici in menopausa. Fondamentale risulta anche il livello di autostima

di base, che si è andato costruendo nel corso della storia di vita della donna, e che è

influenzato da molteplici fattori quali la costituzione della famiglia d’origine e le

relazioni tra i vari membri all’interno della stessa, nonché dalle relazioni con altre

figure significative al di fuori della famiglia sviluppatesi nel corso del tempo. È

inotre fondamentale la capacità della donna di riconoscersi ed autodefinirsi,

soprattutto riuscendo a riconoscere ed utilizzare le proprie risorse anche in base alla

situazione contingente: nel caso in cui ci sia un buon livello di autostima e capacità di

attingere alle proprie risorse, la menopausa può essere vissuta come momento di

cambiamento e di sviluppo di nuove e diverse potenzialità e creatività. In tutto ciò

rientra anche la capacità del singolo individuo di fare fronte agli avvenimenti della

vita: vi sono donne che hanno difficoltà a collocarsi nei momenti di cambiamento,

quando sfumano o si modificano le certezza conquistate nel passato ed hanno scarsa

capacità di “risettarsi” su nuove disposizioni di vita. In questi casi i profondi

cambiamenti che avvengono nel periodo del climaterio possono comportare enormi

difficoltà fino ad arrivare, come si accennava prima a vere e proprie crisi di identità,

in particolare nei casi in cui questa è basata quasi esclusivamente sull’ avvenenza

fisica e sulla capacità di procreare. Una scarsa capacità di adattamento rende la

persona maggiormente vulnerabile nei periodi fortemente stressanti e più suscettibile

a relativi disturbi dell’umore; infatti una scarsa attitudine nell’adattarsi ai

cambiamenti è spia di una importante rigidità nella struttura personologica e spesso

può accompagnarsi a pessimismo, tendenza alla rimuginazione e difficoltà

nell’esprimere e gestire le proprie emozioni, in particolare la rabbia, associata alla

tendenza a reprimere la stessa. In diversi studi è stato indagato il legame esistente tra

tutte queste componenti personologiche e lo sviluppo di sintomatologia depressiva in

menopausa ed è stata trovata una correlazione positiva. In uno studio del 1991 Costa

et All. indagano in modo specifico l’importanza dell’ ”intelligenza emotiva” intesa

come capacità di comprendere e gestire in modo consapevole le proprie ed altrui

emozioni, come fattore della personalità implicato nello sviluppo di sintomi

depressivi in menopausa su un campione di centosedici donne di età compresa tra i

45 ed i 65 anni attraverso la somministrazione di un questionario che valutava il

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livello di stress, i sintomi ansiosi e depressivi esperiti durante la menopausa e

l’intelligenza emotiva. Da tale studio risulta che le donne con una maggiore

intelligenza emotiva hanno un atteggiamento più positivo verso la menopausa e

minor frequenza di sintomi ansioso-depressivi legati alla menopausa stessa.

OPZIONI TERAPEUTICHE NELLA SINDROME CLIMATERICA

Come è stato precedentemente esposto il corteo sintomatologico del climaterio si

manifesta nei vari soggetti attraverso un continuum di gravità che può andare da

sintomi molto lievi e facilmente gestibili a sintomi gravi che incidono in modo

significativo sulla qualità di vita. Sono stati effettuati numerosi studi sui possibili

approcci terapeutici, molti dei quali sono focalizzati sull’utilità o meno di una terapia

ormonale sostitutiva e sull’opportunità di utilizzo della stessa nei vari casi, che

rappresentano a tutt’ oggi argomento di dibattito. Negli anni passati si è assistito

dapprima ad una enfatizzazione della terapia ormonale sostitutiva per arrivare poi ad

una “demonizzazione” della stessa, creando allarmismi nelle donne che ne facevano

uso o che desideravano iniziarla. Tuttavia per quel che riguarda il suo utilizzo per il

trattamento dei sintomi fisici della menopausa sono emersi da una recente

pubblicazione della North American Menopause Society (NAMS) alcuni punti chiave

che possono essere così riassunti:

Il trattamento più efficace per i sintomi vasomotori della menopausa (vampate)

è rappresentato dalla terapia con estrogeni o con estro-progestinici e ciò

determina una migliore qualità di vita.

La durata della terapia è differente per le donne che hanno ancora l’utero e che

devono essere trattate con estro-progestinici, rispetto a quelle che hanno

subìto un’isterectomia (asportazione dell’utero) e che possono essere trattate

solo con estrogeni.

Il rischio di cancro al seno limita la terapia estro-progestinica a 3-5 anni.

Per la terapia con soli estrogeni, il rapporto rischio-beneficio per il cancro al

seno è più favorevole, in quanto non aumenta dopo 7 anni di terapia con

estrogeni.

La terapia ormonale sostitutiva è associata con una riduzione del rischio di

frattura, ma con un più alto rischio di ictus ischemico, tromboembolismo

venoso e cancro ovarico.

La terapia combinata estro-progestinica, comparata con quella solamente

estrogenica, è associata ad un maggior rischio di malattia coronarica.

La decisione di utilizzare una terapia ormonale sostitutiva deve essere valutata

da paziente a paziente in base alle sue priorità relative alla qualità di vita ed

al rischio di trombosi, ictus, malattia cardiovascolare e cancro mammario.

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La terapia combinata estro-progestinica può essere raccomandata nelle donne

che hanno l’utero, in quanto il progestinico ha un effetto protettivo

sull’endometrio, rispetto all’utilizzo di solo estrogeno.

Per le donne che lamentano solo disturbi vaginali (secchezza, dispareunia) è

consigliato l’utilizzo di estrogeni ad uso locale vaginale.

Nelle donne sane con un’età inferiore ai 60 anni o con meno di 10 anni di

menopausa, l’uso della terapia ormonale non determina un aumento di

rischio di malattia cardiovascolare.

Le donne che vanno in menopausa in età precoce e non hanno

controindicazioni all’utilizzo della terapia ormonale sostitutiva, possono

seguirla fino ai 51 anni (età media di menopausa fisiologica) o oltre, per

controllare i sintomi menopausali.

Non vi sono dati sufficienti per sostenere l’utilizzo di terapia ormonale

sostitutiva nelle donne sopravvissute al cancro al seno.

Rispetto all’utilizzo di estrogeni orali con dosi standard, l’impiego di estrogeni

transdermici (cerotto) o estrogeni orali a basso dosaggio, ha un minor

rischio di trombosi e ictus.

In conclusione, i recenti studi supportano l’utilizzo della terapia ormonale sostitutiva

nelle donne in menopausa solo quando il rapporto rischio-beneficio è favorevole.

Tale rapporto deve essere valutato singolarmente per consigliare l’utilizzo della

terapia ormonale sostitutiva per trattare i sintomi correlati alla menopausa, e per

prevenire l’osteoporosi nelle donne ad alto rischio di frattura.

L’efficacia della terapia sostitutiva estroprogestinica sui sintomi psichici, in

particolare depressivi è ancora in parte controversa, anche se a riguardo sono stati

effettuati diversi studi. Da molti di essi, condotti anche su numerosi campioni di

donne, l’efficacia delle terapia estro progestinica sostitutiva è risultata superiore al

placebo; in particolare l’efficacia antidepressiva viene attribuita agli estrogeni. In

alcuni studi questa efficacia risulta spiccatamente superiore: ad esempio in un trial

clinico randomizzato risalente al 2001 condotto da Soares C, et All, l’utilizzo del 17-

beta estradiolo per via trans dermica è risultata significativamente superiore rispetto

al placebo (68-80% di remissione dei sintomi depressivi comparata con il 20-22%

ottenuta con il placebo). Tuttavia in molti casi la terapia estro progestinica viene

iniziata e soprattutto proseguita con cautela, sia per gli effetti fisici precedentemente

esposti, sia perché persistono dubbi sulla sua efficacia sia nel breve che nel lungo

termine soprattutto sui sintomi psichici. In uno studio recente del 2011 condotto su un

campione di donne molto vasto (4069 donne anziane in postmenopausa) è risultato

che l’uso di terapia ormonale sostitutiva non è associato ad un effetto protettivo

contro la comparsa di sintomi depressivi. Tuttavia, la sospensione del trattamento

potrebbe aumentare il rischio di sintomi depressivi. Uno studio pilota risalente al

2006 condotto da Dias R.S. in cui gli autori studiano gli effetti della terapia

combinata con estro progestinici e con l’antidepressivo venlafaxina riporta una

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maggiore efficacia sui sintomi depressivi della terapia sostitutiva ormonale, rispetto

all’antidepressivo venlafaxina. Tuttavia diversi studiosi e clinici ritengono che la

terapia sostitutiva ormonale con estroprogestinici risuterebbe efficace su alcuni

sintomi fisici, in particolare la secchezza vaginale e le vampate di calore, ma non

risulterebbe altrettanto significativamente efficace sui sintomi affettivi che si

sviluppano durante la menopausa, e pertanto ritengono più indicato trattare questi

ultimi con farmaci antidepressivi, quando la gravità dei sintomi diventi tale da

richiedere un trattamento. Numerosi trial clinici hanno mostrato l’efficacia degli

antidepressivi sia SSRI, sia SNRI; in altri casi vengono ancora utilizzate entrambe le

terapie ( terapia ormonale sostitutiva ed antidepressivi) in diverse combinazioni.

Inoltre, esistono anche, diversi studi sull’uso di terapie alternative per i sintomi del

climaterio, che risultano più sicure per quel che riguarda gli effetti indesiderati; tra

queste terapie rientrano soprattutto i fitoestrogeni, ritenuti efficaci sui sintomi

psicofisici e vasomotori quali le vampate di calore e la secchezza vaginale. Per

quanto riguarda l’efficacia sui sintomi depressivi, alcuni studi sembrerebbero indicare

una certa efficacia degli isoflavoni, una particolare categoria di fitoestrogeni, anche

se le conoscenze rispetto a tale argomento dovranno essere ampliate con ulteriori

studi. Infine, in base a quanto precedentemente esposto, rispetto all’ampia variabilità

individuale con cui si presentano i vari sintomi della sindrome climaterica, sulla base

di fattori non solo biologici ed ormonali ma anche relativi alla condizione

socioculturale ed all’assetto personologico, va sottolineata l’importanza che può

avere la psicoterapia nelle sue varie forme per la gestione ed il miglioramento della

sintomatologia del climaterio. L’approccio più utilizzato è la terapia cognitivo-

comportamentale, sia individuale che di gruppo: esistono diversi studi dai quali

risulta l’efficacia di tale approccio psicoterapeutico su vari sintomi, in particolare su

quelli depressivi ed ansiosi, ma anche su quelli vasomotori soprattutto le vampate di

calore associate a sudorazione profusa; come riportato in un lavoro del 2010 di

Hunter M.S. e Mann E., che indica come la diversa gravità dei sintomi vasomotori

nei diversi soggetti può essere ampiamente dipendente da diversità interindividuali

nella percezione degli stessi sintomi e nella rappresentazione cognitiva degli stessi.

Tra i lavori più recenti ricordiamo uno studio di Larroy Garcia ed altri Autori, i quali

hanno osservato su un gruppo di 28 donne con sintomatologia climaterica, trattate

con terapia cognitivo comportamentale di gruppo, un miglioramento dei sintomi

accompagnato da significativo miglioramento della qualità di vita. Il dato viene

confermato in uno studio condotto da Ayers B et All. nel 2012, su un gruppo di 140

donne trattate con terapia cognitivo comportamentale nelle quali si è ottenuto un

significativo miglioramento dei sintomi vasomotori, nonché dell’umore e della

qualità della vita, già dopo 6 settimane di trattamento. Certamente essendo ampia la

variabilità individuale nel quadro sintomatologico che può presentarsi nel corso della

menopausa, dipendente dalle caratteristiche particolari di ogni singola donna, sia a

livello biologico che a livello psicosociale, occorre porre una particolare attenzione

nel proporre ed impostare la terapia più adatta ad ogni singola donna, tenendo conto

delle sue peculiarità, della sua storia di vita, della Diagnosi medica, nonché delle sue

specifiche attuali richieste ed esigenze.

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