il Pitagora · del giornale satirio harlie Hedo nel entro di Parigi e a ... una netta differenza...

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1 Anno XI n°3 il Pitagora

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1 Anno XI n°3

il Pitagora

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Il Pitagora

πρόλογος

Direttore responsabile: Prof.ssa Silvana Sabatino Caporedattore: Carlo Facente Vice caporedattori: Olga Simbari, Maria Giovanna Campagna, Gabriella Corigliano Espansione online: Prof. Emilio Pisani

Hanno collaborato: Maria Policastrese, Giuseppe Mendicino,

Roberta Serra, Daniela Santoro, Martina Rielli, Annalisa Catalano, Aldo Fasson, Giuseppe Battaglia, Marianna Poerio, Ada Fabiano

J. Il riso è un vento diabolico che deforma il viso degli uomini e li ren-de simili alle scimmie.

G. Ma le scimmie non ridono, il riso è proprio dell’uomo.

J. Come il peccato… Cristo non rideva mai!

G. Ne siete così sicuro?

J. Non c’è nulla nelle Scritture che induca a ritenerlo.

G. Ma non c’è nulla che induca a ritenere il contrario.

(Dal film, Il nome della Rosa, regia di Jean-Jacques Annaud)

Parigi, 7 Gennaio 2015: alle 11.30 un gruppo armato di kalashnikov assalta la sede del quotidiano satirico Charlie Hebdo. Per strada un grido sovrasta il ru-more degli spari: Allah Akbar, Dio è grande. Dodici anime pagano il prezzo della propria irriverenza mentre il paese si scopre fragile di fronte al fondamentali-smo più becero. Ancora una volta la Francia si trova a dover difendere il mani-festo di quella liberté, che oltre duecento anni fa diede inizio all’era moderna.

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Questa è la guerra per l’era moderna, in breve lo capiscono tutti. Una guerra culturale, che mostra le debolezze di un’Europa ancora incapace di fare fronte comune a difesa di quegli ideali su cui poggia il concetto di Europa stesso. E se nelle piazze, sui social, in televisione, sono a milioni a riunirsi sotto il vessillo di #jesuischarlie, in Inghilterra si discute sul censurare “Peppa Pig”, offensivo alla religione islamica per la discutibile presenza dei protagonisti suinomorfi; prov-vedimento con la miracolosa capacità di suscitare le critiche da parte del popolo che presumeva di aiutare.

Not in my name. In questa guerra santa, c’è però anche un Islam diverso, che vuole emanciparsi nel sacro nome della democrazia. C’è una democrazia diver-sa, la democrazia dei benpensanti, la democrazia del “Se la sono cercata”. Enig-matiche a tal punto le parole del papa, che se da un lato condanna le reazioni violente, dall’altro si trova ad affermare pubblicamente "non si può provocare, non si può insultare la fede degli altri, non si può deridere la religione.“

Insomma, Charlie Hebdo ha aperto gli occhi su una realtà ben più preoccupante e profonda del terrorismo islamico. Charlie Hebdo ha dimostrato che esiste an-cora chi vorrebbe porre dei limiti morali a qualcosa che nasce al di fuori della morale stessa.

Le risate del popolo possono fare giullari i tiranni, mansueti i potenti.

Il confine tra libertà e terrore occupa lo spazio di un sorriso.

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L’OCCIDENTE E L’ISLAM: DUE MONDI INCONCILIABILI?

di Marianna Poerio, Annalisa Catalano e

Olga Simbari

“Non tutti gli islamici sono terroristi, ma tutti i terroristi sono islamici”.

Mercoledì 7 gennaio 2015, ore 11.30: due uomini entrano nella redazione del giornale satirico Charlie Hebdo nel centro di Parigi e a colpi di arma da fuoco fanno una strage invocando Allah. Sparano e massacrano dodici per-sone, un’intera redazione di giornalisti satirici, che si erano permessi di deri-dere il loro Dio. È un attacco al cuore dell’Europa, alla civiltà e alla libertà di espressione, alla Francia e non solo ad essa, ma anche a tutti i Paesi occi-dentali che si riconoscono nei valori di libertà, eguaglianza e fraternità. Il mondo poi si commuove guardando in televisione i due milioni di persone che sfilano per le strade di Parigi cantando la Marsigliese, l’inno nazionale francese. La Marsigliese e la bandiera tricolore francese, in questo giorno, rappresentano i valori di tutto l’Occidente, non solo della Francia. Il grande corteo svoltosi a Parigi è una risposta delle autorità di tutto il mondo al ter-rorismo islamico, una risposta del mondo moderno che ora deve confron-tarsi con la società globale con le sue sfide, i suoi pericoli e tra questi, il con-fronto tra religioni e civiltà. Dobbiamo chiederci se è possibile conciliare questi mondi, se l’islam possa convivere nella nostra società e dialogare con la religione cattolica e le altre religioni. Come tutte queste, anche quella islamica, quella vera, quella buona, predica la non violenza, la non aggres-sione reciproca. Quindi non è l’Islam il vero problema bensì alcuni musul-mani che interpretano il Corano in modo falso e trasformano dei giovani in macchine per uccidere in nome di Allah. E’ importante la cultura del dialogo per vincere la diffidenza, per far capire ai giovani musulmani che sono citta-dini del paese a tutti gli effetti in cui sono accolti e vivono, per far sì che essi stessi abbiano una ben precisa identità nel lavoro, nella scuola, nella socie-tà. La cultura dell’integrazione può dare speranza a queste persone e tesse-re rapporti sociali solidi fra tutti i componenti della società. Solo così si po-trà vincere la violenza legata alla religione, rispettando la libertà di culto, le

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tradizioni, la storia di ogni popolo. La grande manifestazione che si è svolta a Parigi per difendere la libertà di espressione è stata un grande momento di civiltà: persone che non urlavano, che non si schiacciavano, che sorridevano consapevoli però di vivere un momento particolare, tragico della loro storia. La libertà di espressione va difesa, quindi, senza cadere nell’offesa, nella stu-pidità e nella cattiveria. Solo così potremo capire quanto sia facile dire “je suis Charlie” e quanto sia difficile esserlo davvero.

‘’È necessario restare uniti contro le barbarie e la violenza’’

Dopo l’attentato a Charlie, hanno preso vita diversi movimenti razziali islami-ci. Ma cosa c’entra l’islam con tutto questo? Nulla. Gli islamici non sono tutti dei terroristi. Esiste, infatti, una netta differenza tra il fondamentalismo reli-gioso e la religione in sé: il primo spaventa, minaccia e uccide con l’alibi di difenderei valori originari dell’Islam; mentre il secondo si può definire il suo contrario, in quanto rispetta i principi cardini del Corano, che non prevedono di certo un atteggiamento di terrore nei confronti di chi la pensa in modo di-verso. Sono tanti gli islamici che in questi giorni si sono mossi per dar testi-monianza della loro disapprovazione riguardo a quello che è successo a Pari-gi, ma anche di tutto quello che succede ogni giorno nel mondo. Primo fra tutti va ricordato Ahmed Merabet, poliziotto quarantaduenne islamico ucciso dai terroristi impegnati nella strage francese. Quel poliziotto, in quel momen-to, era lì per difendere la libertà di stampa e di satira e questo non lo ha di-scostato dalla sua religione, anzi, è questo comportamento che dovrebbe essere da esempio; era musulmano anche lui eppure non è stato risparmiato. Una donna di nome Igiaba Scego scrive: ‘’Mi hanno dichiarato guerra. Hanno usato il nome di Dio e quello del profeta per giustificare l’ingiustificabile. Da afroeuropea e musulmana io non ci sto.’’Nei principali paesi islamici, i più importanti vignettisti hanno fatto sentire la loro voce; si sono dimostrati in disaccordo con la strage francese, e hanno deciso di rappresentare un’Islam diversa, che lotta e difende la libertà di parola, a costo di andare in contrasto con i dogmi della loro religione. E ancora, il centro islamico culturale d’Italia condanna con forza l’attentato parigino e porge le proprie condoglianze ai familiari delle vittime. Il segretario Generale del centro islamico, Abdellah Redouane proclama: ‘’E’ necessario restare uniti contro le barberie e la vio-lenza e lavorare, non solo per difendere la libertà di stampa e di opinione, ma più in generale per proteggere la democrazia minacciata da forze oscuranti-ste di inusitata mostruosità. Ogni silenzio è divenuto ormai intollerabile e inaccettabile, un silenzio pieno di ignavia non può che trascendere nella con-vivenza e nella complicità. Va respinto. Siamo tutti chiamati a fare un esame di coscienza, ma anche a rispondere a voce alta a questa minaccia. Perché la minaccia si alimenta del silenzio. Ciò si può fare solo rafforzando il lavoro di chi è impegnato in prima linea in favore del dialogo tra le religioni e le culture e per la promozione dei principi di pluralismo e rispetto della libertà. È un dovere inderogabile di ognuno di noi, di ogni credente.’’ Importantissime queste parole, che spiegano qual è l’unico modo per combattere realmente il terrorismo: L’UNIONE. L’unione è coraggio, forza, energia, potenza, fermez-za. Ed è questo che serve. Bisogna distinguere ciò che è terrorismo da ciò che non lo è, ed iniziare ad allearsi.

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WWW: WORLD WAR WEB

Anonymous contro lo Stato Islamico

Gli hacktivisti dichiarano guerra ai jihadisti con

#OpCharlieHebdo di Daniela Santoro

Il collettivo hacker Anonymous dichiara guerra allo stato islamico con un'impo-nente chatroom che raccoglie hacktivisti (e non) da ogni parte del mondo. Se lo Stato Islamico faceva del web la propria piattaforma di reclutamento, Anony-mous mira a distruggerla: benvenuti nell'Operation Charlie Hebdo.

"Abbiamo sempre lottato per la libertà di espressione, non ci fermeremo ora. Attaccare la libertà di espressione è attaccare Anonymous. Noi non lo permettia-mo: tutte le aziende e tutte le organizzazioni connesse a questi attacchi terroristi-ci si aspettino una reazione massiccia di Anonymous. Vi rintracceremo, vi trove-remo e non ci fermeremo mai. Noi siamo Anonymous. Noi siamo la legione. Noi non perdoniamo. Noi non dimentichiamo. Aspettateci." dichiarano in un video-messaggio, rilasciato in più lingue, e in un vero e proprio comunicato stampa. Per una volta, non è solo retorica. Infatti alla base di un movimento come quello hacktivista vi è proprio la difesa della libertà di espressione e della circolazione di informazioni.

In ogni caso questa operazione non è né facile né scontata, ci sono infatti vari rischi e possibili errori in cui la campagna può incorrere. Anonymous, per la pri-ma volta, si troverà a fronteggiare, non più entità strutturate e centralizzate (come sedi governative o aziende), bensì una rete molto più liquida, dispersiva e sfuggente. Ma in cosa consiste realmente l'operazione? Ha il suo epicentro orga-nizzativo sulla chatroom del sito AnonOps, dove gruppi hacker (e non) cercano di collaborare gli uni con gli altri. Con più di 30000 seguaci su twitter e più di 1000 utenti nella chat, risulta essere l'operazione di Anonymous più partecipata di sempre.

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WWW: WORLD WAR WEB

Le priorità dell'operazione possono essere riassunte in quattro "semplici" punti:

Trovare una lista di siti jihadisti;

Scansionarli alla ricerca di vulnerabilità;

Creare un database con i dati ottenuti;

Hackerare i siti vulnerabili per poi defacciarli (cambiare la homepage con un messaggio di Anonymous) o scaricarne i dati, cercando informazioni sui loro proprietari/utenti. Nel caso in cui non fossero hackerabili, fare un attacco DDoS, mandandoli offline.

Ad aiutare il lavoro degli Anon vi sono numerosi traduttori madrelingua di arabo e urdu, proprio per effettuare una migliore scansione dei siti evitando di defacciare piattaforme che non hanno nessun legame con cellule integraliste. La meticolosità in una campagna di tale scala, infatti, non è mai troppa: gli errori non sono am-messi. Inoltre un secondo filone si occupa della sospensione di account Facebook e Twitter, segnalandoli in massa. Numerose sono le liste di siti e di account Twitter, raccolte su vari pad (documenti online). Ad esempio in uno di questi, sono indicati circa 560 account da sospendere; quelli segnalati come già sospesi sono 186; mentre tra i siti già oggetto di attacco ricordiamo il sito estremista francofo-no Ansar-alhaqq, che è stato mandato offline con un attacco DDoS, seppur tornato online poco dopo. Tuttavia, come ogni medaglia che ha due facce, sorgono molti dubbi riguardo l'utilità di tale iniziativa: account, forum e siti veicolano, sì, la pro-paganda e il reclutamento di nuovi miliziani ma possono anche essere fonti di in-telligence e informazioni per polizie e servizi segreti che stanno indagando sul ter-rorismo. Non tutti di fatti sono d'accordo sul chiuderli, ad esempio possiamo ricor-dare le tensioni fra l'intelligence e la polizia britannica, la quale voleva chiudere qualsiasi account pro-terrorismo dopo la morte del giornalista James Foley. La ri-sposta degli Anons a tali controversie è di due tipi: da un lato ritengono comun-que utile spegnere la macchina di propaganda online jihadista; dall’altro, nel caso ottengano informazioni preziose, sono disposti a passarle alle autorità.

Einstein diceva: "Non so con quali armi sarà combattuta la III Guerra Mondiale, ma so solo che la IV Guerra Mondiale sarà combattuta con pietre e bastoni." Avrebbe mai immaginato che la Terza si sarebbe combattuta dietro uno schermo?

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Michel Houellebecq, in realtà Michel Thomas, sceneggiatore e regista, è auto-re del libro Soumission, uscito paradossalmente mentre l'Europa sta affron-tando gravi conflitti religiosi. Autore anche di celebri saggi, poesie e libri come Le particelle elementari e Piattaforma, è sempre stato accusato di far traspari-re dalle sue opere troppe provocazioni politiche e sociali. Houellebecq mostra una personalità particolare, molto critica, è un tipo sui generis, disagiato, un pò perverso, probabilmente appare “fuori” così come è “dentro”: Incasinato. Con il suo nuovo romanzo conduce i lettori nella Francia del futuro, nel 2022, quando, in seguito alle votazioni presidenziali, al potere salirà un partito isla-mico. Mohammed Ben Abbes verrà eletto presidente della repubblica france-se e sceglierà François Bayrou come primo ministro. François Bayrou, profes-sore universitario quarantaquattrenne, non è altro che il narratore-protagonista del libro. La sua vita scorre decisamente triste e infelice in una casa condivisa con degli studenti. Insoddisfatto sessualmente e alla continua ricerca dell'eros, fa spiccare il suo lato perverso che ricorda quello dello scrittore stesso. La "Sottomissione", titolo tradotto del romanzo, si riferisce a quella che i credenti musulmani devono ad Allah e a quella delle donne agli uomini nella religione islamica. La cosa che più incuriosisce tutti, è proprio la data di uscita di questo romanzo provocatorio, con un tempismo quasi studia-to ed argomenti che identificano le ultime vicende francesi di Charlie Hebdo. Molte le critiche nei confronti dello scrittore che gli hanno fatto guadagnare l’appellativo di "islamofobico" mentre, in realtà, il messaggio che vuole inviar-ci Houellebecq è proprio quello dell' islamofilia. Ormai quasi nessuno fa caso

Il Pitagora

SOTTOMISSIONE

Fantasia ipotetica o concreta realtà futura?

Uscito il 7 gennaio il nuovo libro di Michel Houellebecq

di Martina Rielli

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ἔργα Μουσέων

al vero senso delle religioni, ai veri messaggi che comunicano; si infanga "in nome di Dio" la sua stessa Parola, mettendo in atto azioni ripugnanti come guerre, omi-cidi di massa, attacchi terroristici. E' importante evidenziare la stretta somiglianza caratteriale tra i redattore-capo del celebre giornale Charlie Hebdo e lo scrittore Houellebecq; entrambi dotati di una spiccata vena critica nei confronti della vita e della realtà, della politica e della religione. Personalità come queste, purtroppo, sono soggette alla condanna di chi la pensa in maniera diversa. Condanna "totalitaria", che non accetta la diversità e fa del proprio pensiero un regime as-soluto.

Per fortuna, la risposta mondiale a quanto è successo al famoso giornale, ha ac-cresciuto e fortificato la voglia di fare satira e di esprimere la propria ironia. Un esempio schiacciante di questo coraggioso modo di affrontare e “leggere” la real-tà è proprio la strana personalità dello scrittore Houellebecq.

E’ la sottomissione.

L’idea sconvolgente e

semplice, mai espressa

con tanta forza prima di

allora,

che il culmine della

felicità umana consista

nella sottomissione più

assoluta.

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Il Pitagora

HIPOPOTOMONSTROSESQUIPEDA-

LIOFOBIA RE-LIGARE aut RELEGARE?

Nessuno può capire l’umanità senza capire le sue

fedi e i suoi miti

Claude Lévi-Strauss

di Silvana Sabatino

Il concetto di RELIGIONE è proprio della cultura occidentale, né trova riscontro in altre culture: di fatto il termine stesso è intraducibile nelle lingue extraeuropee.

La funzione di questo concetto è di distinguere un campo d’azione opponibile a quello coperto dal concetto di “civico”.

E’ una distinzione impensabile in altre culture, dove sarebbe inconcepibile un ca-lendario festivo come il nostro, che distingue le feste religiose da quelle civili. Nella stessa storia della cultura occidentale, tale distinzione si rese necessaria so-lo quando il cristianesimo divenne la religione ufficiale dello Stato Romano. Da allora il termine “religione”, con cui si designò il Cristianesimo, servì a separare concettualmente il potere spirituale dal potere temporale e a distinguere tra au-torità religiose ed autorità civili, leggi religiose e leggi civili (diritto canonico e di-ritto civile), feste religiose e feste civili.

L’antropologia ha definito la religione come un bisogno individuale di liberazione dall’ansia e dalla paura e come la capacità di comunicare idee e sentimenti attra-

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verso esperienze collettive. Si potrebbe intendere quindi il termine religione co-me essere legati per mezzo di qualcosa (dal lat. Re+ligo), oppure come tentativo di allontanare un qualcosa (dal lat. Relegare). Le spiegazioni più accettate del termine però sono scegliere (dal lat. Relegere, rileggere quindi scegliere), e vin-colare (dal lat. Religare). Il fine di ogni espressione religiosa è la conoscenza delle realtà ultime, importanti per la formazione del modo di vita singolo e collettivo. Ci si crea una serie di regole morali, in coerenza ai dettami del proprio credo (in questo senso religare, vincolare), ma è anche vero che si sceglie di seguire tali regole (religere,scegliere). Il teologo tedesco Rudolf Otto, nella sua opera Il Sa-cro, afferma che il sentimento che sta alla base della religiosità è l’attrattiva, ma anche il terrore. Cita come prova di questo sentimento ambivalente l’apparizio-ne di Dio a Mosé sul monte Sinai. Dio si manifesta come mistero terrificante, sotto forma di nubi, tuoni, fulmini, fiamme, accompagnato da un terremoto che squassa la montagna. Anche le divinità induiste Siva e Kalì sono considerate fon-te di terrore, distruzione e, nel contempo, di vita. La doppia valenza dell’elemen-to divino è presente nel termine ebraico hic ‘dich, che significa sia santificare che terrificare, e nel termine latino sacer, che significa sacro ma anche, come atte-stano le Leggi delle XII Tavole, maledetto. Freud, nella sua opera Totem e Tabù, parla di un Dio personale, frutto della trasfigurazione del padre: l’uomo, senten-dosi abbandonato e debole di fronte alle grandi forze della natura, regredisce nell’infanzia e resuscita le potenze che lo proteggevano allora. Dio è il nuovo pa-dre che risponde al bisogno di sicurezza e protezione di ciascun uomo. Che sia Allah, Jahvé, Brahama, rimane l’immagine del padre e la risposta ad un bisogno spirituale e naturale di ogni uomo. Il desiderio di liberarsi dal mondo, che è illu-sorio, accomuna le diverse religioni e dovrebbe avvicinare tutti coloro i quali se-guono la via di Cristo (via crucis), la via di Budda (Butsudo< Butsu: di Budda; do: via), la via degli dei scintoisti (Scin: degli dei; to: via,) o il Taoismo (Tao: via). Una condivisione nella consapevolezza di un Essere ed un Sentire universale o un me-ro sincretismo religioso alla maniera di Jovanotti?

O Signore dell'universo ascolta questo figlio disperso che ha perso il filo e non sa dov'è e che non sa neanche più parlare con te. Ho un Cristo che pende sopra il mio cuscino e un Buddha sereno sopra il comodino conosco a memoria il Cantico delle Creature grandissimo rispetto per le mille sure del Corano; c'ho pure un talismano che me l'ha regalato un mio fratello africano e io lo so che tu da qualche parte ti riveli che non sei solamente chiuso dietro ai cieli e nelle rappresentazioni umane di te a volte io ti vedo in tutto quello che c'è. (Jovanotti, Questa è la mia casa).

S.V.V.B.E.E.V.!

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Il Pitagora Tropico dello scandalo

I martiri della censura Tra demoni che si salveranno, roghi d’inchiostro, mondi in-

finiti e redazioni partigiane: che sapore ha la libertà?

Di Maria Policastrese e Gabriella Corigliano

7 gennaio 2015: l’umanità intera scolpisce nella propria mente questa data. L’ennesima tragedia, l’ennesima negazione dei diritti inalienabili dell’uomo. La libertà d’espressione come vincolo sacro che garantisce la piena realizzazione della persona viene calpestata. Un’altra volta.

C’è una lunga lista nel corso della storia che riporta le migliaia di vittime della censura.

Perché esistono diverse forme di eroismo, lottare per i propri ideali ne è forse l’esempio più alto: nulla è più sacro della libertà d’espressione. È il 2 novembre 2011: la sede di Charlie Hebdo viene distrutta da un attentato incendiario di matrice islamica, senza spargimento di sangue, alla vigilia della pubblicazione di un numero del giornale intitolato Sha-ria Hebdo che scherniva Maometto. Direttore del settimanale: Stépha-ne Charbonnier, vittima dell’attentato del 7 gennaio 2015. Non era dunque la prima volta che Charb (questo il nome d’arte) riceveva mes-saggi minatori. Eppure non si è ritratto di fronte alla battaglia. Questo, il significato della parola “sacrificio”. Nella settimana dell'attentato, una sua vignetta caricaturale, alla sede di Charlie Hebdo, mostrava un terro-rista islamico che all'affermazione "Non ci sono ancora stati attacchi terroristici in Francia" rispondeva profeticamente: "Aspettate!... c'è tempo fino alla fine di gennaio per gli auguri!". Intuizione? Presagio? Forse, ma Charb perseverò nel suo esercizio di libertà del pensiero fino a morirne.

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σπουδαῖοι Je suis Charlie: questa la frase simbolo di cui ora tutto il mondo si è fatto pro-motore. Dodici le persone uccise nell’attacco al settimanale. Tra i vignettisti ricordiamo George Wolinski, uno dei maestri del fumetto erotico francese, che collaborò con la rivista fin dal 1970, al secolo chiamata Hara-Kiri. Amava definirsi un “simpatico fallocrate” e le sue vignette vennero pubblicate an-che in Italia sulla rivista Linus; Jean Cabut, in arte CABU, anch’egli vignettista e pilastro del Charlie Hebdo, divenne famoso con il personaggio di 'Beauf', rappresentante del francese medio, simbolo di banalità e conformismo. Elsa Cayat, psicoanalista e scrittice, è stata l’unica donna vittima dell’attentato. Il giorno seguente al massacro, lo scrittore libanese Dyab Abou Jahjah, così scriveva su Twitter: Io non sono Charlie. Io sono Ahmed, il poliziotto morto. Charlie ridicolizzava la mia fede e la mia cultura e io sono morto per difende-re il suo diritto di farlo. Oltre ai membri della redazione, infatti, anche il poli-ziotto Ahmed Merabet è stato brutalmente ucciso da quelli che dovevano essere suoi “fratelli”. Ahmed era infatti simbolo di una Francia libera e aper-ta a tutte le professioni religiose, che ospita la comunità islamica più grande di tutti i Paesi dell'Unione. Molti islamici e algerini sono Charlie, ma molti altri vivono nel Paese covando vendetta e attendendo pazientemente il mo-mento in cui attaccare. Fino a quando il momento arriva, inaspettato, e spaz-za via ogni speranza.

“La democrazia è necessaria per la pace e per minare le forze del terrori-smo.” Forti le parole pronunciate da Benazir Bhutto, Primo Ministro donna del Pakistan dal 1988 al 1996, assassinata il 27 dicembre del 2007 ad opera di terroristi islamici. Il padre, Zulfikar Ali Bhutto, aveva precedentemente ri-coperto la carica di Primo Ministro. Benazir studiò ad Harvard, laureandosi con ottimi voti in Scienze politiche. Dopo un breve soggiorno a Oxford, fece ritorno nella sua patria, il Pakistan. Furono anni dolorosi per Benazir, che as-sistette alla deposizione e all’assassinio del padre per volere del dittatore al potere, Muhammad Zia-ul-Haq. Alla morte di quest’ultimo, il Partito Popola-re Pakistano, guidato dalla giovane donna, ottenne la maggioranza. Benazir Bhutto divenne, a soli trentacinque anni, la persona più giovane ma anche la prima donna a ricoprire l'incarico di Primo Ministro in un paese musulmano contemporaneo. Le continue accuse di corruzione, nepotismo e abuso di po-tere, spinsero Benazir a ritirarsi in volontario esilio a Dubai. Nel 2007 ritornò in Pakistan, ma la festa si trasformò in tragedia: un attentato suicida di ma-trice talebana uccise 138 vittime e ne ferì oltre 600.

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Il Pitagora Benazir rimase illesa; ma la morte la troverà il 27 dicembre 2007, durante un comizio a Rawalpindi. Ed è il 27 Gennaio inve-ce che si celebra la Giornata della Memoria, in onore delle vitti-me dell’Olocausto. Non è forse ciò che fecero anche i fascisti ai tempi dell’olocausto, limitare la libertà di stampa? Ci chiediamo dunque perché i dittatori di ogni sorta temano così tanto la pro-paganda di idee che differiscano dalle loro: chi è tanto sicuro delle proprie convinzioni non dovrebbe temere il confronto, an-zi, dovrebbe percepirlo come un’opportunità. Viene dunque spontaneo pensare che in realtà i tiranni siano (forse anche in-consciamente) consapevoli dell’ambiguità delle proprie azioni. Ricorrere a mezzi quali indici o falò di libri proibiti (che di per sé potrebbero essere considerati dei veri e propri attacchi terrori-stici) vuol dire optare per un popolo ignorante più facile da go-vernare. Il dissenso nasce, infatti, dal confronto e dal dibattito politico. 31 Dicembre 1925: entra in vigore la legge n. 2307 sulla stampa la quale disponeva che ogni giornale dovesse avere un riconoscimento da parte del governo. Una delle prime vittime di questa legge, Luigi Albertini, in occasione degli articoli riguar-danti il delitto Matteotti, è costretto a dimettersi dalla direzione del Corriere della Sera. Risalgono, in realtà, già al Seicento le prime radicali prese di posizione in favore di una stampa libera da ogni censura, considerata essenziale sia alla libertà religiosa sia allo sviluppo del sapere. Le richieste già contenute nel più famoso di questi testi, infatti, l'Aeropagitica di John Milton, sono una conseguenza dell'Editto sulla stampa (Press Ordinance) del 14 giugno 1643, con il quale il Parlamento aveva stabilito che tutte le opere, prima della loro pubblicazione, dovessero essere esaminate da censori. Quasi tre secoli dopo le stesse problema-tiche sono affrontate da un uomo politico di forte impatto cultu-rale, Antonio Gramsci, simbolo della lotta al perbenismo politi-co. La forte passione per il giornalismo, maturata durante gli anni liceali, lo spinse a frequentare la facoltà di Lettere presso l’università di Torino, dove iniziò ad entrare in contatto con l’i-deologia socialista. Dopo gli anni universitari, il suo impegno politico lo portò ad allontanarsi dal socialismo, e a fondare, nel 1921, il Partito comunista d’Italia. L’anno seguente, Gramsci si recò in Russia, nel pieno svolgimento della guerra bolscevica. Fece ritorno in Italia nel 1924, dove fondò l’Unità, quotidiano che si opponeva strenuamente al regime fascista e proponeva un’alleanza tra gli operai e le masse contadine del meridione. Nel 1926 l’arresto, e nel 1928 la condanna: vent’anni di reclusio-ne per attività cospirativa e incitamento all'odio di classe. Il regi-me fascista processa tutti i comunisti al fine di preservare il po-tere. Negli anni della reclusione presso il carcere di Turi scrive 32 quaderni di studi filosofici e politici, noti come i “Quaderni del carcere” e le “Lettere dal carcere.” Morì nel 1937, senza mai rivedere i suoi figli. Negli anni della prigionia, così scrisse alla madre: Non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione [...] vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato: ma non po-tevo fare diversamente. La vita è così, molto dura, e i figli qual-

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che volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini. E tuttavia non solo il governo ha sempre attuato questa forma di controllo sulle masse; la Chiesa ha dimostrato in svariate occasioni una tendenza di-spotica degna di una tirannide. Cinquant’anni or sono viene abolito il famigerato Indice dei libri proibiti, l’Index librorum prohibitorum, lista di opere considerate pericolose per la moralità dell’uomo, istituito dal-la Chiesa nel 1558. Moltissimi classici della letteratura italiana, oggi ritenuti capolavori, comparivano nella lista dei libri proibiti: Decame-rone di Giovanni Boccaccio, L’amante di Lady Chatterley di David Her-bert Lawrence, La mascherata di Alberto Moravia, Il Dottor Zivago di Boris Pasternak, Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini, Tropico del Can-cro di Henry Miller, Mafarka il futurista di Filippo Tommaso Marinetti, l’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, il De Monarchia di Dante Ali-ghieri e ancora le opere di Alexandre Dumas (padre e figlio), Daniel Defoe, Ugo Foscolo, Simone de Beauvoir, Jean Paul Sartre, Alberto Moravia, Macchiavelli, Galileo Galilei, Keplero, Cartesio, Spinoza, Rousseau, Pascal, Erasmo da Rotterdam, Darwin, Marx, Nietzsche, Beccaria, D’Annunzio, Leopardi, Voltaire, Victor Hugo. Ma la Chiesa non si limitò solo a proibire la circolazione di libri, fece di più. Nel 1600 a Campo de’ Fiori Giordano Bruno, filosofo rinascimentale, viene mes-so al rogo. Tra le varie accuse (ventiquattro): dichiarare che la sacra scrittura non è che un sogno; ritenere che perfino i demoni si salveran-no; aver soggiornato in paese d’eretici, vivendo alla loro guisa; soste-nere l’esistenza di mondi innumerevoli ed eterni. Isteria, follia, totali-tarismo: nomi diversi a indicare un fenomeno che ancora oggi sussiste, sopravvissuto a secoli si storia trasmutando forma. La censura ha, in-fatti, salde radici già nelle epoche più antiche: come non ricordare Ca-tone il Censore, colui che Persefone neanche morto accolse nell’Ade, come ci dice Plutarco? Qual è il filo conduttore che lega invisibilmente queste forti personalità? Il coraggio? La determinazione? Il desiderio di godere pienamente dei propri diritti e di assaporare voracemente la libertà? La risposta è con tutta probabilità affermativa. L’unione di queste aspirazioni ha formato grandi donne e uomini, posti un gradino più in alto nella scala della vita perché assolutamente sicuri delle pro-prie scelte e azioni. Esseri umani più umani di altri, capaci di sacrificare corpo e anima per ottenere il rispetto e la libertà che gli spettano. Donne e uomini che non si nascosero mai dietro un dito di ipocrisia e moralismo, sempre in prima fila nella battaglia dell’esistenza, che pur-troppo, non sono riusciti ad evitare. Ma non è stata una sconfitta, no; la loro morte ha rappresentato una vittoria più grande della conquista di un territorio: ha segnato le generazioni presenti e segnerà quelle future, indirizzandole verso un sentiero irto e tortuoso, che seppur non facile da attraversare, mostrerà loro la via della verità, che coinci-de inevitabilmente con la conquista della libertà. Stèphane Charbon-nier, direttore del Charlie Hebdo, diceva:

“Potrà sembrare pomposo, ma preferisco morire in piedi piuttosto che vivere in ginocchio.”

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Il Pitagora

Satira: il riso che addolcisce la bocca e libera la mente

“Umorismo che uccide la paura e senza la paura non ci può essere la fede. Sen-za la paura del demonio non c’è più la necessità del timor di Dio”, “il riso libera il villano dalla paura del diavolo, perché nella festa degli stolti anche il diavolo appare povero e stolto, dunque controllabile”. Queste sono le parole del mo-naco Jorge da Burgos nel romanzo di Umberto Eco “Il nome della rosa”. Del resto, come non ricordare il romanzo che più di tutti insegna a riappropriarsi del sorriso come arma di libertà intellettuale in un periodo dove ci si chiede continuamente se è lecito limitare o meno la libertà della satira?

Sarebbe giusto iniziare chiarendo il significato della parola libertà. Vogliamo citare le parole della filosofa Hanna Arendt “la libertà è la prima facoltà che caratterizza la condizione umana e che determina la nostra dignità, la libertà è radicata nelle natalità, cioè nel fatto che ciascuno di noi con la sua nascita co-stituisce una novità vivente e una presenza originale nel mondo”. La tesi fon-damentale della Arendt è quanto mai attuale, la contrapposizione della vita attiva alla vita contemplativa e il rinvio al mondo greco e all’esperienza della polis assume un carattere di esemplarità per capire e spiegare cosa vi sia alle origini dell’Occidente. “Lo spazio pubblico dell’agire è quello della parola, del discorso e si fonda sull’uguaglianza”. Il concetto stesso nasce in contrapposi-zione a ogni sorta di violenza che l’essere umano subisce e dal quale cerca di scappare per migliorare la propria condizione. E se è vero che “historia magi-stra vitae”, guardandoci indietro possiamo capire che ogni libertà oggi garanti-ta è frutto di tante lotte. Come succede sempre nella storia, quando il popolo assaggia il pane della libertà non vuole che gli venga più sottratto dalla bocca. Essi rivendicano i propri bisogni come diritti inalienabili e la loro libertà come inviolabile (art. 2 della Costituzione Italiana). Quando ciò non era possibile, i più arguti inventano un metodo letterario per destare l’attenzione della gente su ciò che stava accadendo. Nasce così la satira, finalizzata a creare un’atten-zione critica alla politica e a ogni aspetto sociale. Il termine “satira” verrà co-niato solo dai Romani, ma prima nell’Antica Grecia non si può negare che le commedie come quelle di Aristofane fossero una forma di satira politica capaci di influenzare anche le elezioni cittadine, per finire in età ellenistica con Lucia-no, in cui confluisce e termina la satira greca. Ciò che fecero questi uomini fu di trovare stratagemmi che, nel caso di Aristofane, facessero ridere della situa-zione o, nel caso di Luciano, facessero riflettere prendendo in giro non come

di Ada Fabiano e Giuseppe Mendicino

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sfottò ma come profonda ironia e sensibile comicità. Il motivo principale in-fatti che spinge Aristofane a scrivere “Le donne al Parlamento” non è di cer-to casuale. Le donne non sono altro che il simbolo della caduta dell’aristo-crazia e dell’ascesa di un nuovo regime politico più libero che rende tutti feli-ci. Nel contempo, esse criticano i vecchi anziani ateniesi e gli uomini dell’as-semblea popolare. Per rendere il tutto più attuale, basti pensare alla rappre-sentazione al teatro di Siracusa nel 2013 in cui come oggetto di scena fu usa-to uno striscione con scritto “Atene ladrona” e molti personaggi avevano il nome di politici italiani a noi coevi. Di fronte a una situazione come questa ci verrebbe da ridere in primis, e nel frattempo scuotere la testa e pensare: avete proprio ragione, in che razza di mondo ci troviamo? La catarsi, infatti, non sta nella tragedia e nella paura indotta come arma che pietrifica, come afferma il venerabile Jorge, ma nella satira, dove ritroviamo il più alto senso di libertà e di democrazia. Essa mette tutti sullo stesso piano perché eviden-zia atteggiamenti discordanti dalla morale comune, veicolando in questo modo piccole verità che diventano imput per gli spiriti liberi. La vera satira nasce a Roma (Satura tota nostra est, diceva Quintiliano) con Lucilio e mira a criticare gli aspetti più deplorevoli del consiglio senatorio romano che, ricor-diamo, nella fase repubblicana subisce una profonda crisi di valori. La satira di Lucilio, tuttavia, non è solo politica, ma anche sociale e religiosa. Sociale perché egli porta avanti il concetto di virtù cittadina e del bonus civis, e reli-giosa perché inizia a far decadere quel mondo incentrato sulla pax deorum per spostare l’asse sull’uomo e sullo Stato. Nella famosa satira contro Lentu-lo Lupo assistiamo a un concilio divino che decide delle sorti di Roma. In se-guito, sono da ricordare Giovenale, Orazio, Persio e Petronio che nel suo ro-manzo, Satyricon delinea in modo pungente personaggi come Trimalcione e intere popolazioni come quella di Crotone stessa. Nel corso della storia sono stati tanti altri gli esempi di satira, ma attenendoci all’obiettivo della rubrica ci fermeremo a questi periodi storici. Alla luce dei fatti avvenuti occorre allo-ra chiedersi: possiamo ridere di Dio? A differenza di Luciano, noi non viviamo in un impero unito nella figura di Alessandro o di qualche altro re. Noi vivia-mo in uno Stato democratico che tutela la libertà del cittadino,compresa la libertà di espressione e la satira è una forma letteraria. Un tempo la religio-ne era un mezzo di espressione del popolo ed era il popolo ad esercitarla in totale libertà. In Grecia non esistevano, infatti, i sacerdoti e sappiamo che Alessandro stava con un indovino “celebrando certi riti misterici”, o che a Roma era sacro e misterico il culto della dea Bona che ha analogie con i mi-steri orfici. Esistevano quindi delle sette segrete che avevano un impatto so-ciale di grande rilievo ma che non miravano al controllo dello Stato. La re-gressione si ha quando la religione e la politica diventano un tutt’uno sfruttandosi a vicenda. Assistiamo allora alla teocrazia e alla formazione del fondamentalismo e del doppio standard politico, quell’ipocrisia sulla quale il mondo gira da secoli ormai. Sarà per questo che la Chiesa aveva occultato, nel periodo dell’Oscurantismo barbarico, i manoscritti antichi, affinché non si scoprisse quanto avanzati già fossero uomini vissuti prima di Cristo, per evi-tare di far cadere la religione nel ridicolo in quanto “il passo che separa la tensione mistica dalla violenza della follia è fin troppo breve”, “il riso si dise-gnerebbe come l’arte nuova, ignota persino a Prometeo, per annullare la paura. Al villano che ride, in quel momento, non importa di morire: ma poi, cessata la sua licenza, la liturgia gli impone di nuovo, secondo il disegno divi-no, la paura della morte. E da questo libro potrebbe nascere la nuova e di-struttiva aspirazione a distruggere la morte attraverso l’affrancamento dalla

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paura”. Di sicuro è giusto che la satira possa spingersi in ogni direzione senza insultare, anche se secondo molti le vignette di Charlie Hebdo non erano ri-volte verso Maometto ma proprio verso i fondamentalisti. Per dirla con le parole di Marco Marras: “Il problema non è la fede, né la nazionalità o la raz-za, non è la politica o la satira, il problema sono le persone” che non capisco-no realmente la loro stessa fede. La satira, e la verità in essa celata, poteva farci capire tutto questo. Evidentemente al mondo esistono ancora persone come il venerabile Jorge da Burgos per il quale “il riso uccide la paura e senza la paura non ci può essere la fede”. Il problema non è la fede cristiana o isla-mica, ma le persone che la praticano e ne distorcono il significato. La jihad, infatti, nasce per i musulmani come forma di autodifesa dai miscredenti di La Mecca nell’era di Maometto e i versetti sanguinari dell’Antico Testamento nella Bibbia, hanno valenza se presa in considerazione la società ebraica del tempo. La coesistenza di più regimi politici, modi di pensare e diverse confes-sioni religiose, rende senza dubbio tutto molto difficile. Ma il cosmopolitismo avrebbe dovuto portare avanti il concetto di tolleranza. Dove sarà mai stato l’errore storico compiuto da noi oggi? Semplice: nell’aver scelto di vivere se-condo Cesare e non secondo Alessandro. “[Alessandro] di qui portò l’eserci-to nella regione dei Parti, ove, fruendo di un periodo di riposo, indossò per la prima volta l’abito barbaro, o che volesse adattarsi ai costumi del paese, nel-la persuasione che fosse di grande aiuto per conciliarsi la gente accomunarsi ad esse negli usi e nei costumi” perché “avrebbe reso saldo il suo potere con la concordia e la fusione dei due popoli ottenuta mediante la benevolenza più che con la forza”. Così i barbari si affezionarono ad Alessandro. (Plutarco, Vite parallele. Alessandro e Cesare). L’incontro di culture fornisce motivo di crescita, la loro soppressione porta solo ad altre guerre; Hegel diceva che “Possiamo essere liberi solo se tutti lo sono”. Continua Plutarco “[Cesare] li chiamava bruscamente illetterati e barbari, e spesso, ridendo, minacciò di impiccarli”. Se Cesare avesse visto il lato cosmopolita di Alessandro Magno non si sarebbe di certo posto la domanda “Non vi pare che valga la pena di addolorarsi se Alessandro alla mia età già regnava su tante persone, mentre io ancora non ho fatto nulla di notevole?”. Da un punto di vista ontologico, noi, uomini del 2015, dovremmo ricominciare a guardare alle nostre origini: il pensiero europeo affonda le radici nel mondo greco, mediato da un punto di vista giuridico e politico da Roma e, da un punto di vista esistenziale, dal Cristianesimo che ha preso il civile Occidentale antropocentrico.

“Dove suona il nome di Socrate, Cesare, Paolo, lì c’è Europa” (P. Verlaine).

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L’ultimo scritto di Sofocle Di Giuseppe Mendicino

Questo che vi lascio, o fedeli Greci, è la mia ultima pergamena. So che vi arriverà secoli dopo la mia morte, ma è questa la mia volontà. Lo leggere-te solo quando capirete cosa è teatro. Venite al mio spettacolo, ammira-tevi. Guardate cosa offre la sorgente dell’uomo, che sta nelle arti: i coreu-ti, che si lasciano ispirare dai versi. Le mie parole non sono mai state così belle come con loro. Osservate il tornado scritto sul foglio, egli gira. Gira, gira, gira e rigira, rigira e gira. Perde i sensi. Cade. Udite il tonfo e la sab-bia che si solleva. Udite la terra. E poi ecco gli aedi. O Greci, ditemi, chi tra loro e più falso e attore di ciò che non gli appartiene? Io non saprei dire altro uomo. Preservati dall’oblio, Mnemosine li accoglie fra le sue braccia. O poveri uomini, che ancora credono nella stirpe barbara degli dei. Che in quell’oblio non vogliono cadere per paura di perdersi nella tracotanza. Essi non capiscono veramente ciò che scrivono. Gli unici che non potran-no mai capire a fondo il teatro. Teatro. Attore. Palco. Scenario. Paesaggio. Occhi. I vostri occhi; che si lasciano trasportare lì sopra, piccole civettuole, spie della vita altrui. O voi spettatori che non fate altro che ridere, per-ché , perché continuate a venire nella mia casa a insultarla con le vostre bocche? Entrino, invece, coloro che sono coreuti dello spirito umano, che per giungere hanno capito che c’è bisogno di una maschera. Il loro lascia-passare sarà quello e nient’altro. Essi non applaudono. Godono. Si rattri-stano. Ridono. Greci, nobile stirpe, perché non volete capire a fondo? Perché pensate solo che il mio teatro sia purificatorio in pianto e risa? Andate oltre, vi prego. Non servirà a nulla altrimenti il mio lavoro. Fatene parte integrante della vostra vita, per una volta. E tu, lettore, sii più egoi-sta di quanto tu non lo sia per natura. Attori: è questo che dovete essere. Attori. Maschere che non siete altro, presentatevi al mio cospetto! Tu, maschera della tristezza, non le andare avanti. Attenta a non cadere ma-schera della gelosia, maschera della felicità, dove sei andata mai? Vi chia-mo tutte e voi non rispondete. Sembra che io solo riesca a guardarvi una ad una. E mi chiedo il perché. Siate attori nella vostra vita, vi chiedo di fare solo questo, uomini. Chiamate anche voi le vostre maschere. Il teatro non è finto e non è finzione. È la vostra vita che è finzione. Le maschere la fanno diventare autentica. Il teatro è forse ciò che più di reale esista al mondo. Un fiume. Una casa abitata da umani divini. Un Olimpo perfetto.

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di Maria Giovanna Campagna

Sono Charlie. Sedicenne, bionda, occhi scuri, labbra inesistenti, dell’al-tezza di un metro e sessanta circa: poco meno di una delle mie stampel-le ascellari. Io sono Charlie all’americana, non alla francese. Per inten-derci, sono “Ciarli” e non “Sciarlì”. Da qualche giorno però sembro aver cambiato nazione:

“Sciarlì, vieni! La cena è in tavola!”

“Sciarlì, vai a studiare!”

“Sciarlì, leva quelle cuffie dalle orecchie!”

“Sciarlì, non respirare se non è strettamente necessario!”

Sciarlì?! E chi è ‘sta Sciarlì?

Mi chiamo Ciarli, molti dicono sia il nome di un cane ma è sicuramente meglio di Sciarlì. Sciarlì è odioso, da smorfiosa che merita di cadere dalle scale e rompersi una gamba inseguendo Ciarly (il cane) proprio com’è capitato a me.

“Sciarlì, sta per arrivare Cristina, ti terrà aggiornata sull’andamento sco-lastico” dice mamma entrando in camera senza neanche bussare.

“Mamma, sono Ciarli e non Sciarlì! Ciarli!” le grido.

“Dove ho la testa, scusami Ciarli” e bum, chiude la porta.

Come fa a sbagliare il mio nome? Ho sedici anni, non quattro settimane uterine! È sempre distratta, sempre con la tv sintonizzata sul tg e il cellu-lare onnipresente! Sempre a piangere per i drammi di tutto il mondo: il mondo non piange per i tuoi, sveglia!!

“Sciarlì, Cristina ha avuto un imprevisto. Verrà domani”.

Ok, ora basta. Scrivo il mio nome su Internet: Charlie.

“Charlie Hebdo: periodico settimanale satiresco francese”

“Attaccata sede giornalistica Charlie Hebdo, otto morti”

“L’esagerazione di Charlie Hebdo e la vendetta dell’Isis”

“Charlie Hebdo: solo uno dei futuri attacchi alla Francia”

Mi rimbombano in testa due parole: otto morti.

Mamma è una giornalista e a me piace scrivere: otto morti.

“Mamma!” grido. Entra in stanza, la abbraccio.

Sussurro: “Non andare a lavoro oggi, anzi non andarci mai più”, sorride: “Ciarli, niente e nessuno dovrà impedirti di fare ciò che ami. Promettilo”, “Promesso”, “A stasera”, mi bacia in fronte. Mi sento così stupida. Stupi-da e piena di pregiudizi. Pardon Sciarlì.

Il Pitagora

Sono Ciarli e non Sciarlì

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Vignette a matita

per una storia d’inchiostro di Roberta Serra

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Charlie è stato sulla bocca di tutti, lo è tuttora, e probabilmente lo sarà ancora per un bel po’ di tempo. Forse, azzarda qualcuno, Charlie lo si troverà anche nei libri di storia, nei film, nei romanzi o chissà anche nei puzzle e nei giochi per lo Smartphone. Charlie Hebdo. Suona be-ne, no? E’ un nome tremendamente musicale, uno di quei nomi che ci sembra di conoscere da un’eternità, quasi come fosse il nostro di nome. E siamo fortemente sicuri di sapere cosa ci sia dietro quel nome. Dietro le manifestazioni, dietro le commemorazioni, dietro gli hasthag, dietro le foto e dietro l’ “Assurdo” che ci scappa dalla bocca quando ne stiamo parlando con un nostro amico. Quell’ “Assurdo” che ci scappa come fosse uno starnuto, una necessità incontrollabile, l’esigenza di grattarci il braccio quando ci prude. Tuttavia, nonostante improbabili immedesimazioni e fastidiose commemorazioni infondate, la spinta che ha portato la redazione del Pitagora a fare questa scelta, quella di dedicare un intero numero all’accaduto (escludendo qualsiasi altro tipo di tematica) è un’altra. La redazione non ha ideato un numero per il giornale Charlie Hebdo, o perlomeno non essenzialmente per questo, bensì per il fenomeno “Charlie Hebdo”. Charlie non è accaduto solo una volta e non è accaduto solo in Francia. Quante volte ci viene detto cosa fare e cosa non fare? Quante volte la nostra opinione viene contrastata? Opinione deriva dal latino opinio e significa parere, che a sua volta deriva dal verbo parere, che significa apparire, mostrare. E la libertà, questa tanto nominata e sputtanata libertà, consiste proprio in questo. Nel capire che nessuna opinione è errata, poiché non è che una prolissità di quello che ognuno di noi vede. La comunicazione è il mezzo più pericoloso che l’uomo possiede. E per quanto ci si possa nascondere dietro a un “Sono solo vignette”, bisogna concepire che a fare di un negro uno sporco schiavo, di una donna un essere debole e di un omosessuale un malato mentale non è che la comunicazione. Questo razzismo, queste ingiurie continue che continuano nelle piazze, nelle televisioni, nei giornali ma ancora peggio nel dialogo, non sono che la materializzazione della parola. E la cosa che fa ribrezzo dopo giorni dall’attentato è che, come dice il giornalista Luca Pasquet, molti quotidiani ed esponenti politici europei (anche italiani) hanno gareggiato nel diffondere l’idea che equiparare l’Islam al terrorismo e all’assassinio, e descriverlo come l’espressione di una civiltà inferiore, fosse segno di libertà, civiltà e coraggio civico. Il problema e la conseguenza di Charlie Hebdo è proprio questa. La libertà d’espressione si è trasformata in libertà di razziare l’Islam. Questa non è libertà. Perché per quanto Charlie Hebdo abbia i suoi pregi e si sia fatto fronte della libertà, non si è accorto che per utilizzare la propria libertà d’espressione ha, viste con le conseguenze, annientato quella altrui. E non solo degli islamici, ma degli stessi francesi. Che sono psicologicamente coinvolti, ma allo stesso tempo influen-zati. Inoltre il regime politico francese per cercare di tener sicuro il più possibile il paese sta decimando la privacy, sono previste riunioni per eliminare Whatsapp (applicazione che conferisce completa segretezza dei messaggi) e per conferire all’entità poliziarie di censurare o meno un sito internet. Appare palese che la libertà non è accostabile né a Charlie Hebdo, né all’Islam. La libertà, per dirla platonicamente, è una cosa a sé. Ma ci tenevamo a chiudere questo numero dicendo a tutti coloro che si sono fatti mangiare dal sistema mediatico, a tutti i francesi, a tutti gli islamici, ma soprattutto a tutti voi, che tranquilli: Tout est pardonnè.

Conslusioni di Carlo Facente

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Indice Πρόλογος—————————-—-–——–——————->Pag.2

L’Islam e l’occidente: due mondi inconciliabili?————>Pag.4

WWW: War World Web—-—————-———————->Pag.6

SOTTOMISSIONE——————--——————————->Pag.8

HIPOPOTOMONSTROSESQUIPEDALIOFOBIA—–--——->Pag.10

I martiri della censura————-——————————>Pag.12

Greek vs Latin————————————————-—->Pag.16

L’ultimo scritto di Sofocle——--————–—————->Pag.19

Sono Ciarli e non Sciarlì—————————-————->Pag.20

Vignette a matita per una storia d’inchiostro————->Pag.21

Conslusioni—————————————–—————->Pag.22

Tout est Pardonnè————-————–———————>Pag.23

Il Pitagora

Se la rubrica Greek vs Latin è stata di vostro gra-dimento e vi piacerebbe approfondire tali argo-menti in maniera ricercata ma allo stesso tempo sintetica, vi invitiamo a prendere parte un pro-getto scolastico molto interessante: il caffè filo-sofico “Libertà da… Libertà di...”.

Siete tutti invitati all’open day che si terrà dome-nica 8 febbraio. La scuola sarà aperta a tutti di mattina dalle 10:30 alle 12:30, e di pomeriggio dalle 15:30 alle 18:30. Alunni e docenti faranno da Cicerone nei percorsi didattici e negli ambienti del sapere di questo storico ed illustre istituto. Per l’occasione vi saranno rappresentazioni musi-cali e conferenze. #GiùLeManiDalLiceoClassico

Piazza Umberto I, 15 - 88900 Crotone

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