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ANNO IX N.RO 06
del 01/06/2013
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I COMPORTAMENTI A RISCHIO LE PSICOSI ( I parte)
L'adolescenza è, dunque, una periodo di conflitti, ma anche di nuovi
equilibri ed adattamenti, perché emergono, sulla scena psicologica, scoperte,
accettazioni, conflitti, capacità e nuove condotte.
I bruschi cambiamenti somatici hanno profonde ripercussioni
psicologiche, più o meno immaginarie e simboliche. La cresci-
scita fisica attua una modifica dello schema corporeo, delle re-
lative agnosie o interiorizzazioni percettive, della rappresenta-
zione intrapsichica del corpo e dello spazio e di tutte le equazioni
di distanza, con l'insorgere, a volte, di goffaggine, mal destrezza, disattenzione
spaziale, difficoltà ad organizzare movimenti fini ed altro.
L'adolescenza è una crisi di passaggio e di trasformazione fra la sessualità
infantile a quell'adulta. Pur postulando, il concetto di crisi, uno scontro, uno
scompenso, una rottura d'equilibrio, ciò non è costante, né deve essere
accomunato agli scompensi della patologia. Per questo, invece di crisi negli
adolescenti, si è parlato di processo evolutivo, in altre parole, di secondo
processo di "individuazione-separazione".
Come il bambino piccolo si distacca dalla madre, per interiorizzare la
prima esperienza familiare, l'adolescente si distacca dagli oggetti intra-
familiari, per una conquista più matura della sua identità.
Esaminando il passaggio fra pre-pubertà e adolescenza, risulta più chiaro
l'individuazione-separazione dell'adolescente. La prima è caratterizzata da
debolezza istintuale o periodo di latenza e da intenso sviluppo dell'io,
testimoniata dall'attività conoscitiva e del buon adattamento, fino all'idillio
familiare; la seconda da esplosione istintuale o rivolta genitale. Il distacco dai
genitori internalizzati, gli interessi extra-familiari, l'innamoramento, la crisi
d'identità, la nuova strutturazione e rappresentazione del sé, sono finalizzati
alla conquista di una nuova identità, attraverso una nuova separazione.
Quando questo non avviene, l'io resta immaturo e si verificano disturbi legati
alle fissazioni pulsionali pre-genitali.
In altre parole, nell'adolescente affiora un equilibrio mentale diverso dalla
fanciullezza, un equilibrio da cui dipenderà la salute e il progresso o la malat-
tia. In questa fase, le relazioni sociali dei ragazzi sono caratterizzate dalla
ricerca d'amicizie intime dello stesso sesso, l'amico o amica del cuore, che so-
no idealizzati, perché costituiscono, in effetti, la ricerca della propria identità
sessuale, attraverso un modello d'identificazione esterno. E' una tendenziale
omosessualità fisiologica, non patologica, che accompagna la svolta succes-
siva del distacco dalla figura materna, dopo che sono ricomparsi l'attac-
camento e la paura della seconda infanzia, che sono proprio del complesso
edipico. Il rapporto triangolare edipico con i genitori è superato in modo
definitivo, quando lo sviluppo è normale.1
Con questo superamento, l'adolescente accetta il proprio ruolo sociale,
maschile o femminile, e compie una definitiva scelta eterosessuale.
Negli adolescenti le dinamiche difensive assumono particolari connotati.
(Continua) 1) POTITO D., BERNARDI V., BUZI F., LORINI R.; “ADOLESCENTE FRA PSICHE E SOMA”; UTET.
European Journalism Legitimation - membership in the GNS Press Association - The ECJ promotes publishing, publication and communication work of all types - P. Inter.nal
Antropos in the world
PAPA FRANCESCO E’ LA CHIESA
Qualche momento è corso via da quella fumata
bianca, da quel “buonasera” pronunciato da un
amico incontrato dopo tanto tempo.
Pochi attimi e l’Uomo è venuto avanti parlando
del bene da fare senza ulteriore indugio per vincere
il male, sfuggendo le parole comprate al banco della
pietà per ottenere una cittadinanza del mondo per lo
più da ricostruire con onestà e amore.
Ricordo che me ne stavo lì senza pensare al toto
papa, alle scommesse, alle probabilità per questo o
quell’altro conduttore-testimone delle scelte profe-
ticamente umane, come delle erranze esistenziali.
In quel nome c’è stato più di quanto il cuore
desiderava, un passo indietro per farne cento in
avanti, Francesco è il nuovo Papa, come colui che
tanto tempo fa scosse la Chiesa dalle sue fonda-
menta, quel giovane con le mani strette a pugno, e
adulto con la spada, con il sangue, con le parole
scagliate senza amore né onore.
Quel Francesco che osa dare le spalle alla sorte,
alle eredità consolidate, alle verità nascoste nei
colpi di maglio, quel Francesco poverello, ma che
poverello non è stato mai, ricco assai più ricco delle
tasche perennemente vuote.
Quel Francesco rivolto alla luna e al sole,
all’uomo e alla natura, è nuovamente su quello
spalto, su quella terrazza, sopra ogni testa, rinnova
la storia che fa propria, dentro una preghiera
sottovoce, in punta di piedi.
Abbiamo il Papa, stavo per dire il Papa buono,
come lo fu un altro, come lo furono chi più, chi
meno, tutti gli altri, ma su quel più e quel meno c’è
a fare da ponte la resistenza e la capacità dell’uma-
nità, che non sarà mai imbrogliata dagli eventi
costruiti a misura, dagli accidenti scivolati giù da
qualche palcoscenico.
Francesco è fratello lupo, non viene meno alla
vita neppure da addormentato, due lupi che non si
sbranano, invece s’incontrano ogni volta e si
annusano, si mettono in cammino, compagni di
viaggio. Quanto lasciano dietro non sono segni
incomprensibili di una grammatica sgangherata, ma
punteggiatura visibile, contabile, sommabile, orme
digitali due passi alla volta, si muovono prima,
durante e dopo, senza prestare i fianchi alla
disattenzione, eretti a mezzo e di traverso alle tante
diaspore, alle troppe ritirate, alle opere di bene
raccontate comodamente dai comodi rifugi, dove di
accettabile non c’è nulla, neanche le ribellioni, le ri-
volte, le fughe da una giustizia, ridotta a professarsi
senza fissa dimora, perennemente ubriaca di promes-
se mai mantenute.
Papa Francesco è la Chiesa, forse non
basta più la sola coerenza, occorre la
generosità che fu di quel “Lupo Fran-
cesco”, come ti sei voluto chiamare, il
quale ci manda a dire ancor oggi quanto l’umiltà non
possa sposarsi con l’imposizione, soprattutto quando
quest’ultima giunge da quella Istituzione che a sua
volta dovrebbe farne buon uso, come a noi stessi è
stato chiesto, e continua a essere richiesto. Vincenzo Andraous
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Antropos in the world
PAGANI ACCOGLIE ENTUSIASTA IL PRIMO CONCORSO
DI POESIA RELIGIOSA “ MATER DEI “
in toni, altamente lirici, ciò che rappresenta il
messaggio mariano: la purezza della vera cristia-
nità, intrisa di luce, di difesa dei deboli e dei bi-
sognosi. La visione del mattino che vince sulle
tenebre della notte è la luce divina della Vergine
“il cui silenzio è musica che chiede d’essere
ascoltata”.
Il terzo premio alla Professoressa Spagnuolo
Loredana, con la lirica “Maria l’Accogliente”,
per la genuinità del dialogo poetico, che fa
pensare ad un ricorso quotidiano alla Madre di
Cristo, intesa come “forza senza fine, pura grazia
e madre premurosa”. Intanto, il terzo premio, ex aequo, al poeta Criscenti Alberto, per la lirica
“Maria del Carmine”, purtroppo non è stato
ritirato per l’assenza dell’autore.
Il quarto premio all’ottimo poeta caserta-
no Nicolò Antonio, con la lirica “A Maria SS.
Addolorata”, che ha inteso, con i suoi versi, ce-
lebrare la Vergine, come Madre del dolore e del
perdono.
La Rivista letteraria di Salerno
in collaborazione
con L’Ente Parrocchia SS. Corpo di Cristo, Chiesa
Madre in Pagani e la Fondazione del Carminello ad
Arco, il 27 maggio, alle ore 19,30 ha realizzato la
cerimonia di premiazione del primo concorso di poesia
religiosa Mater Dei. Dopo il saluto di benvenuto agli
astanti, del Direttore responsabile di Antropos in the
world, Franco Pastore, ha preso la parola il dott. Renato
Nicodemo (mariologo), per una breve dissertazione sul
rapporto tra poesia e religione cristiana.
Di poi, la proclamazione e la premiazione dei
vincitori del Concorso, così come segue: il primo
premio al Prof. Galli Giovanni di Savigliano, per il
tono lirico, la competenza linguistico-espressiva e
l’ispirazione poetica della lirica “Virgo Fidelis”;
il secondo premio al poeta Giuffrida Farina, con la
lirica “Il primo sole della notte”. per aver tradotto
Antropos in the world
Il quinto premio al poeta romano Bruno Guidotti,
con la lirica “Dolce Maria” sull’Annunciazione e la
Maternità della Vergine.
Dopo un breve intermezzo musicale del noto bari-
tono Ermanno Pastore, sono stati assegnati i premi
alla cultura ed all’impegno sociale.
A Don Flaviano calenda, per aver ideato e concre-
tizzato LA MENSA DI TOMMASO, un’oasi di bene
e di speranza, in un momento di crisi economica ed
istituzionale. Per aver dato a Pagani un nuovo volto,
improntato alla generosità cristiana ed infrangendo
così l’odiosa etichetta di città malavitosa.
Ai premiati opere del maestro Gaetano Rispoli.
Al dott. Renato Nicodemo, per i suoi studi in
mariologia, in pubblicazioni di ampio respiro e per
il suo impegno costante sullo stesso tema, su riviste
e portali di mariologia.
A Suor Claudia di Notte, infaticabile nel provve-
dere energicamente ed tenacemente alle esigenze
della mensa di Tommaso, per un’azione di carità
cristiana più efficace, nelle necessità quotidiane.
Alla redazione di Angri, per la collaborazione
efficace e fattiva, grazie all’ottimo Redattore gior-
nalista Carlo D’Acunzo, sensibile alla cultura ed
alle sue dinamiche di diffusione.
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Antropos in the world
La giovane poetessa Liguori Daniela, riceve il
quinto premio ex aequo, per una preghiera schietta,
essenziale alla Vergine, intesa come madre di mise-
ricordia e di bene. Applauditissima Suor Tecla, Ma-
dre Generale delle Francescane, nel suo breve saluto
Il lupo ed il pastore
Un lupo andava al seguito di un gregge di pecore, senza far loro alcun male. Il pastore, sulle prime, lo teneva a bada come un nemico, e lo sorvegliava con estrema diffidenza. Ma quello ostinatamente lo seguiva, senza arrischiare il minimo tentativo di rapina. Così gradatamente il pastore si convinse di avere in lui un custode, piuttosto che un nemico intenzionato a danneggiarlo. Un giorno ebbe bisogno di recarsi in città, gli lasciò le pecore in custodia e partì tranquillo. Ma il lupo seppe cogliere l'occasione: si lanciò sul gregge e ne fece strage sbranandone una gran parte. Il pas tore, quando fu di ritorno e vide la rovina del suo gregge, esclamò: - Mi sta bene! Quale stupidità mi ha spinto ad affidare le pecore ad un lupo? Allo stesso modo, coloro che affidano i propri beni a persone avide naturalmente li perdono. (Aἲsopo– μύθοCCXXIX)
____________________
Lexicon necessarium:
Appriésse: avv. e prep.; da ad-pressu(m), appresso. Scannàje: Scannò le pecore. Jettà: lanciarsi giù; dal lat jectāre, int. di jacěre.
agli astanti. Alle ventidue, sulle note della Ave
Maria di Gounod.si è conclusa la cerimonia.
Sotto il link del video della Kermesse:
http://youtu.be/uSw1pwQYbwY
‘O LUPO E ‘O PASTORE (‘O lupe perde ‘o pìle ma non ‘o vizio)
‘O lupo ‘jéve appriésse ‘e pecurèlle, ma non faceva loro nesciùnu male. ‘E guardava, tanto ch’èrane belle , e ‘a pazienza è ‘na virtù ca vale. ‘O pastore s’abituàje a vederlo cumme ‘n’amico fedele, ‘nu protettore, e ci affidàje ‘e pecore a chìllu signòre. Ma cùmme ’na mattina jètte in città, ‘o lupo se mettètte ‘a faticà: ce scannàje ‘e pecore una ad una, p’accìre e po’ sfizie ‘e magnà, e ne lasciàje viva sulo qualcuna. Quànne turnàje ’o pastore, gridàje, parlànne a se stesso: No, nu’ so’ ‘nu pastore, ie so’ fess , che s’àdda jettà ndà ‘nu dirupo, ‘agge affidato ‘e pèchere ‘a ‘nu lupo!- _______________
Fabula docet (‘ύò: Coloro che affidano a persone avide i loro beni, naturalmente li perdono. Nulla può cambiare la persona avda e cattiva.
AISOPOS ET PHAEDRUS IN NAPOLETANO
ύὶή
(Da AISOPOS, favole greche in napoletano, di Franco Pastore)
Antropos in the world
IL TEATRO COMICO ROMANO – a cura di Andropos
La parola commedia è tutta greca: κωμῳδία, "comodìa", infatti, è composta da κῶμος, "Kòmos", corteo festivo e ᾠδή,"odè", canto. Di qui il suo intimo legame con indica le antiche feste propiziatorie in onore delle divinità elleniche, con probabile riferimento ai culti dionisiaci . Peraltro, anche i primi ludi scenici romani furono istituiti, secondo Tito Livio, per scongiurare una pestilenza invocando il favore degli dèi. I padri della lingua italiana, per commedia intesero un componimento poetico che comportasse un lieto fine, ed in uno stile che fosse a metà strada fra la tragedia e l'elegia. Dante, infatti, intitolò comedìa il suo poema e considerò tragedia l’Eneide di Virgilio. La commedia assunse una sua struttura ed una sua autonomia durante le fallofòrie dionisiache e la prima gara teatrale fra autori comici si svolse ad Atene nel 486 a.C. In altre città si erano sviluppate forme di spettacolo burlesche, come le farse di Megara, composte di danze e scherzi. Spettacoli simili si svolgevano alla corte del tiranno Gerone, in Sicilia, di cui purtroppo, non ci sono pervenuti i testi. A Roma, prima che nascesse un teatro regolare, strutturato cioè intorno a un nucleo narrativo e organizzato secondo i canoni del teatro greco, esisteva già una produzione comica locale recitata da attori non professionisti, di cui non resta tuttavia documentazione scritta. Analogamente a quanto era accaduto nel VI secolo a.C. in Attica, anche le prime manifestazioni teatrali romane nacquero in occasione di festività che coincidevano con momenti rilevanti dell’attività agricola, come l’aratura, la mietitura, la vendemmia.
PLAUTO: PERSA (II sec. a.C.)
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Come la satura, anche la recitazione dell’atellana pre-
letteraria fu prerogativa dei giovani romani. Essi, nel
tentativo di soddisfare il loro desiderio di recitazione
senza incorrere nelle pene previste dalla legge per un
cittadino che si dedicasse in forma professionale alla
carriera dell’attore, diedero vita ad una forma teatrale
per dilettanti, caratterizzata da un’accesa oscenità e da
una forte aggressività verbale, oltre che dalla ricorrenza
di maschere fisse (per esempio, Marcus, "lo sciocco",
Pappus, "il vecchio avaro"). L’atellana trovò collocazione
in coda alla rappresentazione degli spettacoli teatrali
regolari di tipo tragico, con il nome di exodium
Atellanicum. Il teatro comico regolare si sviluppò a Roma,
insieme a quello tragico, a partire dalla seconda metà del
III secolo a.C.: l'aspetto rilevante è che di questa
produzione comica non sono sopravvissuti solo frammenti,
come nel caso della tragedia latina arcaica, ma un
cospicuo numero di opere che costituisce un'eccezionale
documentazione: ventuno commedie di Plauto e sei di
Terenzio. Titus Maccus Plautus, nacque a Sarsina, tra il 255 e il
250 a.C.; i tria nomina si usano per chi è dotato di
cittadinanza romana, e non sappiamo se Plauto l’abbia mai
avuta. Un antichissimo codice di Plauto, il Palinsesto
Ambrosiano, rinvenuto ai primi dell’800 dal cardinale
Angelo Mai, portò migliore luce sulla questione. Il nome
completo del poeta tramandato nel Palinsesto si presenta
nella più attendibile versione Titus Maccius Plautus; da
Maccius, per errore di divisione delle lettere, era uscito
fuori il tradizionale M. Accius . Plauto fu un autore di
enorme successo, immediato e postumo, e di grande
prolificità. Inoltre il mondo della scena, per sua natura,
conosce rifacimenti, interpolazioni, opere spurie. Sembra
che nel corso del II secolo circolassero qualcosa come
centotrenta commedie legate al nome di Plauto: non
sappiamo quante fossero autentiche, ma la cosa era ogget-
to di viva discussione. Nello stesso periodo, verso la metà
del II secolo, cominciò una sorta di attività editoriale, che
fu determinante per il destino del testo di Plauto.
Trama: Approfittando dell'assenza del padrone, Tos-
silo si reca dal lenone Dordalo per comprare la
sua amata cortigiana di nome Lemniselene.
Per questo, chiede il denaro necessario a Sagari-
stione, un suo amico, che, dopo qualche giorno,
glielo fornisce generosamente. In questo modo Tos-
silo libera velocemente Lemniselene. Per recuperare
il denaro speso, Tossilo convince Dordalo ad acqui-
stare una fanciulla persiana, avvisandolo che, se il
padre della fanciulla l'avesse reclamata, lui sarebbe
stato costretto a restituirla. La fanciulla era in realtà
la figlia di Saturione travestita. Tossilo intanto esco-
gita con il parassita Saturione, padre della ragazza,
di far travestire quest'ultimo da persiano, per ripren-
dersi la figlia. Così Saturione, arrivato sulla scena
per riprendersi la figlia, minaccia Dordalo di por-
tarlo in tribunale per commercio illegale di ragazze.
Tossilo infine festeggia con tutti i suoi amici davanti
a casa e Dordalo, intrufolatosi nella festa, finisce
deriso, beffato e bastonato.
Sinossi: IL PERSIANO si svolge attorno a una delle
piazze principali di Atene, tra le case di due dei
protagonisti: quella di Dordalo, nella quale avviene
la compravendita delle cortigiane, e quella dove di-
mora Tossilo,lasciatagli in cura dal padrone per lun-
lungo tempo. Anche se non descritta né nominata
esplicitamente, un'esigua parte della commedia è
ambientata nella casa del parassita Saturione, dove,
nella scena in questione, discute con la figlia.
E’ una forma di recitazione attraverso la quale i
personaggi interagiscono con il pubblico rompendo
l'illu-sione scenica. Un altro tipo di metateatro è l'e-
splicitare che l'azione che si sta compiendo in quel
momento fa parte di una rappresentazione teatrale.
Nel testo sono presenti numerosi riferimenti sto-
rici: il collegio triumvirale degli Epulones, istituito
nel 196 a.C., il rif. ai re Filippo e Attalo, che si sono
scontrati nel 197 a.C., e quello che sembrano allu-
dere ai ludi Romani del 197.
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Antropos in the world
I GRANDI MISTERI
ORIGINI ARCAICHE DI VENEZIA Ora è più facile capire la cronaca là ove è scritto
che attorno al 1.000 Venezia era tutta un cantiere:
così il Galliciolli! Infatti i cristiani solo a tempi
lunghi poterono avere a disposizione un alloggio
decente. Essi, venuti dalla terraferma, fuggiaschi,
privi di tutto, avevano dovuto sistemarsi in case di
tavola e paglia (i famosi casoni); poi, attorno al 1000
- appunto - riusciranno a costruire le loro casette
familiari o a schiera, o in calle oppure a campiello.
Nei grandi palazzi dei clan si erano forse sistemate le
grandi famiglie patrizie come i Ca' Giustinian, i Ca'
Roman, i Ca' Vendramin, ecc. Gli incendi, di cui tutte
le cronache di Venezia riferiscono anche le date
(1105, 1114), altro non sarebbero che roghi festosi
con i quali si celebrava l'entrata ormai nei palazzi e
ancor di più nelle chiese: sarebbero i fuochi
celebrativi della Venezia rinata alla fede cristiana. Si
può quindi accettare il 25 Marzo del V secolo, come
primo esercizio liturgico nella prima chiesa di San
Giacometo, da pagana diventata cristiana.
La vita civile va assumendo una fisionomia sem-
pre più consona alla Fede, cui concorre l'opera degli
stessi dogi. Si continua l'attività commerciale con
l'Oriente e Venezia si muoverà tra le isole dell'Egeo
come sorella tra sorelle di palazzo. In questo contesto
mi pare che difficilmente si potrà dare ragionevole
credito ad una storia dell'arte che per Venezia è fatta
con una scadenza di stili poco più che centenaria.
Lo stile è frutto di esigenze di vita: ora ogni cam-
biamento di stile suppone una trasformazione o un
trauma o una metamorfosi collettiva di un popolo,
che solo a distanza di millenni si può riscontrare.
Detto tutto questo come impostazione generale,
veniamo ora a vedere se questa chiesa e altri monu-
menti cittadini offrono prove dell'argomento.
La Chiesa di S. Nicolò, nella fase primitiva - ossia
antica - appare tutta scolpita dentro e fuori. La
costruzione ha riferimenti precisi alla 'barca dei
morti', ossia alla 'barca del Sole', che va da Oriente a
Occidente. Infatti, se vediamo la chiesa rovesciata,
osserviamo che il tetto fa da chiglia, che le arcate con
colonne sovrapposte sarebbero rappresentazioni del
seno materno della Terra con tanto di monumento fu-
nebre sui morti rappresentati nella scultura delle
pareti: si sa che attorno al 3000 a.C. veniva data ai
morti sepoltura con collocazione fetale.
La chiesa presenta uno sghembo (inclinazione)
ben visibile anche nella gondola; al tetto vi è una
ruota piena in funzione di puleggia d'armamento;
una delle arcate è sostituita da una soglia (archi-
trave), probabile porta di entrata dei morti. Dalle
zone riservate alle donne e alle donne era possibile
vedere - dipinta sopra una grande tavola - la barca
del defunto, sostenuta da quattro colonne all'altezza
o al posto dell'attuale iconostasi. Oltre queste
colonne il mègaron o sala di accoglienza, chiusa da
sedili di legno istoriati con la tecnica dell'incisione, a
due metri dal mègaron vi è la zona sacra (attuale
presbiterio) indicata da corna di consacrazione che
affiancano l'altare. Dietro l'altare, nel fondo dell'absi-
de, la finestra di presentazione dalla quale il Principe
assisteva ai sacrifici: la principessa vi assisteva dal
matroneo nel fondo della chiesa (attuale cantoria).
Che gli uomini partecipassero da zona separata da
quella delle donne, fa fede il fatto che la transenna di
separazione era ancora in piedi nel 1580. Tutta la
chiesa aveva livelli diversi degli attuali: dai 50 cm
nelle navi, si arrivava a 90 in crociera e a 1 metro e
20 all'abside sotto l'attuale pavimento.
La zona delle cappelle era
segnata da stanze alternate a
cortili-luce interni. Vi era un
altare per ogni settore di per-
sone,ove si potevano porre re-
sine ed incensi sino a coprire
le immagini scolpite o incise
sopra l'attuale mensa.
A Pellestrina, l'altare è anche affiancato da due
rappresentazioni di faraone spiritualizzato.
All'esterno vi erano due vestiboli: uno per gli uo-
mini e uno per le donne. In facciata, le sale mensa e i
servizi di cucina.L'alluvione preistorica è qui presen-
te con il fango sino a quota superiore i cinque metri
in presbiterio.
Nella seconda epoca, o epoca media, i Greco-
Minoici vengono a Mendìgola. Notiamo che questa
isola è la più a Ponente tra quelle del centro storico.
A quanto pare si svuota la chiesa dal fango che si
depositava appena fuori, in campo, così da formare
quella montagnola che sarà lamentata dai Gastaldi
del 1500 in Pregàdi. Le pareti vengono ornate di
affreschi con la ripetizione delle rappresentazioni
funebri o di vita in relazione all'uso di zona; per
esempio, nel giro dell'abside è presente la scena dei
sacrifici e della sepoltura.
Ci si accorge però ben presto della fragilità degli
affreschi. (Continua)
Daniela Bertolucci
( III parte )
Antropos in the world
POESIA E RELIGIONE CRISTIANA Relazione di Renato Nicodemo tenuta alla cerimonia di premiazione del Concorso nazionale
di poesia religiosa “MATER DEI”, al Carminello ad Arco, in Pagani, lunedì 27 maggio 2013.
Dio e il poeta
Ci sono cose che persino Dio
Ignorava
Fino a quando il poeta
non le ha dette
- voleva che fosse lui a scoprirlo
perché libertà e bellezza
si fidanzassero felici
sotto i suoi occhi prima che la Verità
le sposasse entro la luce che le eterna –
Ci sono cose che il poeta
preferisce tacere
perché il silenzio le custodisca meglio
fino a quando la sete imperiosa
dell’uomo
le rapisca alla roccia riarsa
del deserto
Marcello Camillucci
Il rapporto tra poesia e religione cristiana è - come
direbbero i matematici – un sottoinsieme del rapporto tra
poesia e poesia religiosa in genere, dove si coniuga il sen-
timento del divino intrinseco in ogni uomo con la espre-
sione poetica.
Giambattista Vico sottolinea questo legame tra poesia e
religione quando parla di “poeti teologi” (1)
L’uomo, infatti, è capax Dei, nel senso che, fin dal-
l’inizio, la sua ricerca di Dio si è espressa in molteplici
modi, attraverso credenze e comportamenti religiosi:
preghiere, sacrifici, culti, meditazioni, e arte nella sue varie
manifestazioni. Il prof. Concetto Marchesi scriveva a suo
tempo che “Le origini della poesia si fondono spesso con i
canti e i rituali religiosi”.
Se poi la categoria del sacro non viene individuata in
una precisa dimensione confessionale, si può considerare
poesia religiosa, ad esempio, anche quella di Montale, (che
non aderì mai espressamente a nessun credo religioso) e
quella che non parla nemmeno di Dio ma è capace di an-
dare oltre. David Maria Turoldo diceva che la poesia più
religiosa che esista è L’infinito di G. Leopardi, perché la
creatura è desiderio d’Infinito, nostalgia di un Altrove:
agostinianamente potremmo ripetere “Ci hai fatti per Te,
Signore”.
Dunque tutto ciò che è un fatto di anima o si svolge
nell’ambito della coscienza, se manda fremiti o armonie, è
pura poesia e poesia religiosa, perché l’anima, immagine
di Dio, rende sacro il canto. Petrarca scrisse che “la poesia,
in quanto vera poesia, è sempre sacra scrittura”.
Nello stesso mondo pagano la poesia fu sempre una
cosa sacra, un’attività divina.
Già Omero domanda ispirazione alla Musa
Cantami, o Diva, del Pelide Achille (Iliade);
Musa, quell’uom di multiforme ingegno dimmi (Odis-
sea);
Virgilio dichiara: Et me fecere poetam,
Pierides (Bucoliche);
Orazio si definisce musarum sacerdos
(Odi ); e Cicerone afferma :Ennius san-
ctos appellat poetas e poi: accepimus poe-
tam quasi divino quodam spiritu inflari (Pro Archia.)
“Una religione è vera quanto l’altra” sosteneva Robert
Burton, scrittore inglese del Seicento.
Mai come oggi, nell’epoca della multiculturalità e del-
la tolleranza, questa frase risulta veritiera.
Ciascuna religione, dalle più primitive alle più mo-
derne, assolve il ruolo di ricerca di contatto dell’umano
con il divino, con i propri principi, le forme di devozione,
i riti, le festività, le preghiere. Vi sono, pertanto poesie,
che spesso sono preghiere e inni, relative a civiltà di-
verse nel tempo e nello spazio. Ricordo, per indicarne
qualcuno, l’Inno Ashanti dell’Africa occidentale, quello
sumerico alla Dea Ishtar, al Dio Sole, egiziano ,a Shi-
King cinese, i canti degli Indiani d’America (2)ed, infi-
ne, i Salmi di Davide, che sono un monumento di poesia
e di fede che rispecchiano l’anima religiosa di Israele ed
il Canto dei cantici di Salomone, che è un vero poema
d’amore appassionato ed esplicito tra due giovani, assun-
to dai profeti come parte integrante della Rivelazione a
significare i rapporti tra Dio e Israele.
Enzo Bianchi, nel suo “Poesie di Dio” individua alme-
no quattro campi ai quali fare riferimento per parlare di
“poesia della fede”.(3)
Un primo campo comprende le poesie che fanno rife-
rimento diretto alla divinità, che possiamo definire della
devozione.
Un ulteriore aspetto riguarda l’immagine che il poeta
riferisce alla divinità: può essere la divinità che consola,
che punisce, che partecipa alle pene umane o che esprime
la sua grandezza nel distacco delle cose terrene. E’ il
campo dell’immagine.
Non vanno tralasciati i poeti che esprimono la propria
religiosità sviluppando i temi dell’incompiutezza della
propria natura, della condizione umana, dell’aspirazione
alla elevazione, della pace, della morte. E’ il settore del-
l’introspezione.
Altri poeti, ancora, ritrovano la propria religiosità
nell’osservazione della natura, nell’intimo contatto con i
suoi elementi, vissuti come tranquilla manifestazione
della grandezza divina. Ci riferiamo alla ricerca di Dio
nella natura. In questo caso più che di “poesia religiosa”
che esprime per immagini le certezze della fede, si può
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Antropos in the world
parlare di “religiosità della poesia” che attraverso im-
magini sensibili si innalza al divino rintracciando nella
natura le orme e le tracce del Creatore (coeli narrant glo-
riam Dei -Sl 18,2-) (4)
Prima di accennare alla poesia cristiana mi soffermerò
brevemente su due questioni:
- E’ poesia quella religiosa?
- Vi è rapporto tra poesia e preghiera ?
Per quanto riguarda il primo interrogativo ricordo che
la concezione crociana ritiene che vi sia un sostanziale
contrasto fra poesia e religione, non superabile che nello
“sperdimento” o risoluzione “umanante” della prima
nella seconda. (5)
Secondo questa critica un credente non può essere un
poeta. Il cattolico, si sostiene, è legato al dogma e quindi
non può fare letteratura. A voler essere consequenziali
un credente non potrebbe fare nemmeno pittura, scultura,
musica. Lo stesso Croce, infatti, nel saggio relativo al
Quattrocento, un secolo che giudicò senza poesia, ebbe
ad affermare che la mancanza di poesia fu dovuta alla
mancanza di personalità poetiche e non di “materia
poetica”, che questa – disse – “ non è altra che quella che
la personalità poetica rende poetica e crea; sicché nel
mondo di tale materia ce n’è sempre quanta se ne
richiede o non ce n’è nessuna, secondo che intervenga o
no l’azione creatrice”. (6) Dal che, se uno è poeta, può
scrivere vera poesia sia religiosa che profana!
“I’ mi son un, che quando/ Amor mi spira, noto, e a quel
modo/ ch’e’ ditta dentro vo significando” risponde Dante
a Bonagiunta da Lucca (Pg 24, 52-54).
Il Carducci, “Scudiero dei classici”, chiude la lunga
ode “La chiesa di Polenta” con la stupenda celebrazione
dell’incanto dell’Ave Maria” , dove il sommovimento e il
sospiro sono troppo veri per essere considerati solo lette-
ratura.
La verità è, dunque, che, come sostiene il padre
gesuita Ferdinando Castelli, quando la fede non è ritua-
lismo, bensì esperienza profonda, ecco che può far na-
scere grandi opere.
C’è una poesia religiosa pronta al concreto richiamo
di una committenza – un popolo, una Chiesa – e una che
di solito non ha altro committente se non la nuda ispi-
razione del suo stesso autore.
Vi sono, poi, moltissimi poeti non credenti che, per
un attimo, di fronte al Natale, ad esempio, hanno sentito
la presenza del mistero del Figlio di Dio che si fa uomo,
nella storia dell’uomo, per salvare l’uomo.
Il sentimento religioso, inoltre, “è tutt’altro che ridut-
tivo, se è vero che indica un’apertura dell’umano sul suo
continuo trascendersi, fino alle soglie del divino. Dio non
è morto, anche se il suo silenzio, nel grande frastuono del
mondo, sembra farsi più fitto e impenetrabile. Anche la
poesia non è morta, e per questo non cessa di interro-
garLo, con la voce della preghiera o della disperazione.
Nel tempo della notte del mondo – ha scritto Heidegger –
i poeti,cantando, inseguono il sacro”. (Cristini) (7)
Osserva il teologo Rahner (8)” La parola poetica è più
originaria, più completa, più viva di quella di alcuni
teologi, che vanno fieri proprio del fatto che non sono
poeti. Ahimè! Dove sono mai i bei tempi nei quali i grandi
teologi erano anche poeti e componevano inni?” I poeti,
non solo i sacerdoti, sono “ministri della parola”. “Quan-
do la Parola di Dio tocca la sua massima altezza aspre-
siva, e quando si immerge nell’abisso del cuore umano,
essa è una parola poetica”.
I grandi poeti religiosi, d’altra parte, sono tali perché
giudicati sul piano estetico-letterario e non su quello della
testimonianza storica o morale. Non è, infatti, una garan-
zia sul piano letterario essere preti-poeti. “E’ una gran
signora la poesia/ e capita di rado in sacrestia”, scrive il
poeta polacco Janusz Pasierb. Grandi eccezioni comunque
ci sono: Jacopone da Todi, S. Giovanni della Croce,
Wojtyla, Turoldo Rebora, Hopkins, per citarne alcuni.
Nel sentimento religioso e nell’ispirazione poetica è
possibile riconoscere, sottolinea padre Spadaro, critico let-
terario de “La Civiltà Cattolica”, alcuni gesti profondi
comuni: il raccoglimento, il ritmo di attività e passività, di
iniziativa e di accoglienza della gratuità di una “visita”.
Esiste un’analogia e una continuità fra le due esperienze a
tal punto che un grande studioso di mistica e di poesia,
l’abbé Henri Bremond, si rivolse proprio all’esperienza
mistica per chiarire la natura dell’esperienza poetica, per
cui – e siamo al secondo interrogativo - ogni poesia è pre-
ghiera (9) , intendendo per preghiera una compo-sizione
animata da un senso di vissuta religiosità, da un desiderio
di una comunicazione col divino. (10)
Pur essendoci molti esempi di preghiere poetiche e di
poesie oranti, non tutti però concordano con questo as-
sunto, in primo luogo perché il carattere proprio della
esperienza poetica è quello di essere comunicabile ed in
questo senso il poeta si avvicina più al profeta che al
mistico, perché il profeta ha il compito fondamentale di
comunicare ciò che ascolta o ciò di cui fa esperienza, e
poi perché i poeti, quando scrivono, non sempre sentono
di pregare. La poesia così intesa resterebbe in una sola
direzione, come termine unico e finale, e il concetto di re-
ligione acquisterebbe confini certamente abusivi. Al con-
trario, nonostante certa qualificata critica, la poesia, come
qualunque altra manifestazione artistica, può elevarsi fi-
no ad essere colloquio aperto o anche appena accennato
con Dio.
Il sentimento religioso, inoltre, non si manifesta sol-
tanto con la preghiera umile, […] ma anche con un grido
improvviso e incontrollato che erompa dal cuore del poeta
e si elevi a Dio.
Sarà esso una meraviglia sognante fra le bellezze del
creato o ansia di solitudine fra i rumori umani o ribellione
improvvisa che si placa, o sorpresa ingenua, o conquista,
o relazione anche strana e inconclusiva che si stabilisce
tra l’effimero e l’eterno. (11)
Antropos in the world
- 10 -
Ricordo in proposito che il beato G.P. II ha pubbli-
cato, fra gli altri, due libri, uno intitolato “Poesie”, l’altro
“Le mie preghiere”.
Venendo alla poesia cristiana essa parte, ovviamente,
da Cristo che con la sua venuta ha messo nel suo pro-
gramma la ricomposizione dell’universo sbandato, il rin-
novamento di ogni cosa in Lui (Ef 1,10) ed in modo emi-
nente la poesia, perché il Verbo inserendosi nella uma-
nità, non ha solo portato o rafforzato l’ispirazione ma pro-
pone se stesso come parola o musica eterna che risuona
nel tempo.
Il cristianesimo è una religione universale, presente in
misura diversa in ogni regione della Terra dove abbiamo
da sempre esempi di poesia cristiana.
Nella mia silloge mariana “Umile e alta – La Vergine
nella poesia di tutti i tempi” vi sono poesie che vanno dai
primi secoli del cristianesimo fino ai nostri giorni di
poeti, anche “maledetti”, di ogni nazione e continente.
Questo perché, come osservava il beato Newman, la
“Religione Rivelata ha da essere singolarmente poetica e
tale è in effetto. Presso i Cristiani la visione poetica delle
cose è un dovere, e noi siamo tenuti a stendere sopra ogni
cosa i colori della fede” E ancora: “Che cosa è la Chiesa
cattolica contemplata nel suo aspetto umano se non la
disciplina degli affetti e delle passioni, che cosa sono le
sue ordinanze e pratiche se non la regolata espressione
d’intensi e profondi e torbidi sentimenti e così una purifi-
cazione, come direbbe Aristotele, dell’anima inferma?”;
egli vedendo così nel Cristianesimo non soltanto la fonte
perenne e unica della verità, ma anche una sorgente di
ispirazione poetica, ravvisava in esso tutti i caratteri della
“poeticità”. Così come la poesia pagana fu essenzialmen-
te mitologica, quella cristiana di tutti i secoli è tipica-
mente simbolica, ed ha il primo e suo grande modello
nelle parabole evangeliche.(12)
Ed ecco una veloce carrellata della sola poesia cri-
stiana (cattolica) italiana. Roma e l’Italia, non dimenti-
chiamolo, hanno avuto da Dio il privilegio di essere il
baricentro della cristianità dove Pietro, Paolo e uno stuolo
di Martiri hanno versato il sangue per il Vangelo e qui il
sentimento religioso cristiano è all’origine della nostra
letteratura. La stessa casa di Nazareth è stata trasportata
dalla terra di Cristo a quella del suo Vicario. L’identità
vera e profonda dell’Italia è, infatti, inequivocabilmente
cattolica e le prove le abbiamo non solo negli itinerari di
fede, nelle attività sociali ma anche nella cultura e nel-
l’arte. Qui – affermò Mario Luzi “ La poesia porta acqua
al mulino della religione, fornisce rivelazioni, intuizioni,
testimonianze, rinnova le fonti della meditazione .”
Certo, la storia della poesia religiosa ha molti capitoli.
Intesa laicamente è una poetica di buoni sentimenti. Tutti
si possono imbarcare facilmente. Ma se intendiamo la
poesia religiosa nel significato cattolico e sacramentale
pochi sono i testimoni. ( Grisi )(13)
Della poesia cristiana latina che inizia con l’Anonymi
carmen de laudibus Domini (un’opera in esametri di 148
versi del I secolo) ricordo solo le liriche dell’Arcive sco-
voscovo di Salerno, Alfano I, universalmente ritenuto il
miglior poeta lirico del secolo XI, “di cui si leggono
ancora, per la virgiliana finezza, gli inni alla Vergine, ai
martiri e l’ode a Montecassino”. (14) Ed ecco il Libro
delle tre scritture (la negra, la rossa e la dorata) di Bon-
vesin da la Riva e il De Jerusalem coelesti e il De Babi-
lonia civitate infernali di Giacomino da Verona che scris-
sero in versi l’oltretomba prima di Dante.
Segue Francesco d’Assisi che col Cantico di Frate
Sole “ci dona per primo la voce della preghiera alla poe-
sia italiana”.
Tra le molti Laudi che si diffusero nel XIII secolo fa-
mose sono quelle di Jacopone da Todi tra cui il notissi-
mo Pianto della Madonna. “Per vedere a quali estremi di
dolcezza e di forza giunga la sua poesia ,si legga la “Con-
tenzione in fra l’anima e il corpo” o “De la contempla-
zione de la morte et incinerazione contra la superbia”.
Dante Alighieri, si sa, con la sua Commedia, chiamata
divina dai posteri, descrive la storia allegorica di un viag-
gio oltremondano che lo porta dal peccato alla visione di
Dio per intercessione della Vergine Maria.
E alla Vergine Maria si rivolge il Petrarca alla fine del
suo Canzoniere. Si noti che il numero d’ordine 366, che
ci ricorda il massimo dei giorni di cui può essere com-
posto un anno solare, in questo caso è assunto a sim-bolo
dell’intero arco della vita umana. Petrarca, quindi, con-
clude il suo viaggio come Dante nel nome di Maria.
Il grande novelliere Boccaccio rivolse pochi versi alla
Vergine (tre sonetti, un poemetto di 154 versi) ma che in
uno a tutta la sua produzione letteraria ci rivelano
pensieri e sentimenti di spiritualità cristiana.
Di grande ardore mistico sono pervase invece le Laudi
di Bianco da Siena, la cui lirica “ resta al di sopra di certe
coeve rimerie toscane […] e per riudirne la voce bisogna
arrivare al Quattrocento a Feo Belcari e a Leonardo Giu-
stiniani”.
Poemi cristiani sono il De partu Virginis e il De morte
Christi domini lamentatio di Jacopo Sannazaro.
Saltando a piè pari al clima spirituale della Riforma
troviamo Torquato Tasso che celebrò il motivo religioso
delle Crociate. Di questo poeta ricordiamo oltre la Geru-
salemme liberata, le Lacrime di Maria Vergine e Mondo
creato.
Del periodo barocco ricordo Giambattista Marino, che
con la sua vasta produzione poetica fu “considerato dai
coetanei la voce più ferma e melodiosa del secolo”, il fio-
rentino Vincenzo da Filicaia a cui la vittoria cristiana sui
Turchi del 1683 ispirò sei Canzoni in occasione dell’as-
sedio e la liberazione di Vienna, che lo resero famoso.
“Colui che espresse a meraviglia le invenzioni e i con-
trasti del Settecento fu Pietro Metastasio, il più grande
poeta melodrammatico d’Italia”. Tra le tante azioni sacre
ricordo la Passione di Gesù Cristo, Sant’Elena al calva-
rio, La morte di Abele, Giuseppe riconosciuto, Betulia
liberata .
In una panoramica seppur breve non può essere trala-
sciato il nome di s. Alfonso Maria de’ Liguori, non tanto
- 11 -
Antropos in the world
perché riposa a due passi da noi, quanto perché le sue
poesie religiose sono dei piccoli capolavori (15)
“Facile agli entusiasmi e pieghevole al fluttuare delle
vicende politiche, il neoclassicismo di V. Monti, che elo-
giò e servì […] tutti i governi non poteva non cantare il
Cristianesimo”. La sua poesia religiosa registra moltis-
simi componimenti, tra cui Visione di Ezechiello, Sopra i
dolori di Maria Vergine, De Christo nato.
”I migliori caratteri del Romanticismo italiano si pon-
gono e quasi s’identificano con l’opera di Alessandro
Manzoni […] Ritrovata la fede, l’apologetica francese
del Seicento gli divenne familiare. La sua coerenza si ri-
velò negli Inni sacri: con la fede trovò contemporanea-
mente il linguaggio delle lettere, il bisogno di entrare nel
mistero religioso, secondo la linea della vita cristiana, nel
significato di mistero e di letizia, di cui la liturgia è di-
spensatrice durante le festività dell’anno […] La critica
ottocentesca […] colse l’armoniosa fusione dell’elemen-
to dogmatico con quello lirico che, nella Pentecoste, il
più ispirato e commosso, s’innalza nel potente corale di
tutti i credenti”.
Il Novecento sul piano poetico è segnato da due fatto-
ri predominanti: la straordinaria abbondanza di poeti ed
il tentativo di cercare nuove forme letterarie. C’è da con-
siderare inoltre che soprattutto in questo secolo e soprat-
tutto in Italia, nazione cattolica per eccellenza, la scrit-
NOTE
(1) F. NICOLINI (a cura di), La Scienza Nuova, Bari 1928);
M. BALLARINI, Teologia e letteratura: alla ricerca di un
rapporto perduto, in Atti del Convegno Nazionale Uni-
versità Cattolica di Brescia, Landolfi ed. 2012;
C. DI LEGGE, Il signore delle due vie – Poetica del-
l’esperienza originaria, Salerno-Roma 1999;
U. COLOMBO, (a cura di), Letteratura e teologia, Fi 1963;
P. PIFANO, Tra teologia e letteratura, Paoline 1990;
(2) Cf A. BOUQUET, Breve storia delle religioni, Mondadori;
(3) E. BIANCHI ( a cura di), Poesie di Dio, Einaudi Tascabili;
(4) G. DRAGONI, La poesia religiosa, in L’educatore, n.
19/2003;
J. DUCHENSE, Histoire chrétienne de la littérature, Ed.
Flammorion;
G. GETTO, Letteratura religiosa, Firenze 1967, 2 voll.;
M. SAVINI, Poesia religiosa italiana. Dalle origini al
‘900, Piemme;
G. LANDOLFI, La poesia e il sacro alla fine del secondo
millennio, S. Paolo 1996;
(5) Cf B. CROCE, La poesia, Bari 1943 e V. COLOMBO (a
cura di), Letteratura e teologia, Azzate 1983;
(6) La Critica n. 30-1932;
(7) Cf.G. CRISTINI, Appunti sulla poesia religi0sa …;
C. CAVALLERI, Letteratura cristiana e cattolica: defi-
nizione e prospettive, in Atti del Convegno Naz.le Univer-
sità Cattolica di Brescia, Landolfi ed. 2012;
tura di argomento cristiano è stata, tenuta ai margini della
cultura e della critica, quasi che scrivere del sentimento
religioso fosse considerato sterile abbandono sentimentale
e rifiuto aprioristico del pensiero riflessivo; in proposito in
una intervista del 1959 il noto drammaturgo di area catto-
lica Diego Fabbri così si espresse:” Non è affatto comodo
fare lo scrittore cattolico. Si rischia per lo meno di non
essere considerato scrittore dai laici, e di non essere consi-
derato cattolico dai cattolici”.
E Dino Buzzati rincarò la dose affermando che la sua
“quotazione sarebbe stata assai maggiore se fosse in fama
di filocomunista”. (16) Comunque in ambito religioso, tra i
tanti che in modo più o meno sentito e più o meno esteso
hanno composto versi a carattere religioso, ricordo Cle-
mente Rebora, Camerana, Ada Negri, Papini, Ungaretti,
Testori, Padre Turoldo, Mario Luzi, il beato Giovanni Pao-
lo II, Manacorda e Alda Merini. (17)
Concludo segnalando un fenomeno di particolare rilie-
vo che riguarda il rapporto tra poesia e liturgia. La liturgia
cristiana è stata spesso accompagnata o seguita dalla poe-
sia che ad essa si ispira, fino, in qualche caso, a costruire
una vera e propria “liturgia poetica”. E’ sufficiente ricor-
dare che nella Liturgia delle Ore sono stati introdotti inni e
poesie di autori non ecclesiastici come Dante e Manzoni,
in Italia; Claudel, in Francia; Rilke, in Austria; Dumbar e
Belloc, in Inghilterra.
F. GRISI, Scrittori cristiani (volenti o nolenti), Piemme 95; P. PIFANO, Anche i miscredenti ne sentono la presenza, in Il
Rosario e la nuova Pompei, n. 5/6 1992;
(8) K. RAHNER, Sacerdote e poeta, in La fede in mezzo al
mondo, Paoline 1963;
(9) Cf A. SAVIANO, Preghiera e poesia, Messaggero 2000);
G. LANDOLFI, Così pregano i poeti, S. Paolo;
(10) V. VOLPINI, La preghiera nella poesia italiana, Calta-
nissetta-Roma-Sciascia 1969;
(11) Cf N. RUGGIERO, Papini, Giuliotti, Rebora. Ansia di dio
e religiosità in tre grandi poeti del Novecento, in Presenza;
(12) Cf A. GUIDI, Poeti cattolici dell’Inghilterra moderna, Ro-
ma 1947;
(13) G. GRISI, Fede e Bellezza in Secolo d’Italia 3/6/1997;
(14) Ogni virgolettato che seguirà è tratto da G. FALLANI,
Letteratura religiosa italiana, Le Monnier 1963;
C. MOSCHINI, E. NOVELLI, Storia della letteratura cri-
stiana greca e latina, Morcelliana Brescia;
(15) Cf R. NICODEMO (a cura di), Canzoncine spirituali,
Materdomini (AV) 1996;
(16) L. BIONDI, La letteratura al servizio di Maria, in L’Inco-
ronata Aprile-Giugno 2004;
(17) Per il Novecento Cf Scrivere, nel nome del Padre, colloquio
con C. Bo di G.ò Piccioni, in Fondazione Liberal 8-2001;
P. MAFFEO, Poeti cristiani del Novecento, Ed Ares 2006;
M. CAMILLUCCI, Correnti spirituali e religiose nella li-
rica del Novecento, in “I problemi di Ulisse”, Firenze
1960, VI (sett.).
- 13 -
Antropos in the world
IL RACCONTO DEL MESE: di Umberto Vitiello – Da Gente del Sud
GENNARO, MIO FRATELLO (quarta puntata)
Interessante la soluzione di trasferire al retroterra
vesuviano, in dialetto napoletano e in costumi ispirati alla
ceramica contadina, l’ambientazione e la recitazione di
entrambi i testi di Brecht messi in scena dalla Libera
Scena Ensemble, il primo nel ’75 e il secondo nel ’78. In
tal modo i testi di Brecht diventano più adatti
all’improvvisazione degli attori, che non hanno altro
vincolo che il ritmo e la coordinazione. Un omaggio di
Gennaro al teatro popolare di Napoli, ma anche una più
concreta comprensione del pubblico e degli stessi attori,
non solo dell’ideologia ma anche e soprattutto della
poesia, della cultura che si sprigiona dall’opera teatrale
brechtiana.
Forse ancora più interessante è la scelta de Il Cacatoa
Verde di Arthur Schnitzler, tradotto ed adattato da
Gennaro e presentato paradossalmente anche al Festival
Nazionale dell’Unità, allora ancora organo ufficiale del
Partito Comunista Italiano. La vicenda è ambientata in un
locale notturno di Parigi, il Cacatoa, nella notte che
precede la Rivoluzione Francese del 14 luglio del 1789,
della quale i vari personaggi nemmeno sembrano
accorgersi. Esattamente come hanno fatto, ignorandola
come vera rivoluzione, gli stessi comunisti (almeno fino
alla caduta del muro di Berlino del 9 novembre del 1989,
che trascinò con sé il crollo del mito della Rivoluzione
d’Ottobre).
L’8 agosto 1985 Gennaro morì per un ictus cerebrale nel
centro di riabilitazione dell’Ospedale Cardarelli di Napoli,
dopo un ricovero durato pochi giorni. Il 15 ottobre
avrebbe compiuto 56 anni.
Qualche mese dopo Antonio Filomarino, cultore di
filologia classica e professore universitario di letteratura
moderna e contemporanea, dopo una sua conferenza si
intrattenne con me per porgermi le condoglianze e
parlarmi di mio fratello.
La sua ricca dimora napoletana su una delle piccole
incantevoli baie di Posillipo non era molto lontana da
quella di Anna Caputi, che conosceva da quando era una
ragazzina. E la incontrava tutte le volte che andava a
Napoli per trascorrervi un po’ di giorni col solo intento di
immergersi e ritemprarsi nei suoi antichi ricordi – come
mi confidava. E da Anna Caputi aveva saputo dell’ultima
tribolazione di Gennaro.
Una lettera anonima piena di calunnie infamanti inviata al
suo preside perché provvedesse con urgenza a liberare la
scuola dall’ignobile G. V. – mi disse - lettera che il
preside gli fece leggere rassicurandolo che l’avrebbe
cestinata, avendo grande stima di lui. E Gennaro, dopo
averla letta, capì chi era stato a scriverla: qualcuno che da
un po’ di tempo manifestava apertamente l’odio che
nutriva nei suoi confronti. Ma non ne fece mai il nome,
almeno ad Anna. Lei tuttavia è convinta che si trattasse
non di un attore né di un amico o un semplice conoscente,
ma di un suo parente.
Di questa lettera non m’aveva parlato. D’altronde non mi
ha mai parlato delle sue altre non poche tribolazioni, se
non con brevi accenni, le ormai rare volte che avevamo
occasione di incontrarci. Probabilmente per non
rattristarmi, ma anche perché il suo carattere lo portava ad
accettare e ad affrontare con encomiabile serenità le
avversità anche le più crudeli. Meno quella scaturita da un
odio che non credeva di meritare – come confidò ad Anna
Caputi.
Quando Uta, sua moglie, s‘ammalò, lui si prodigò come
meglio non avrebbe potuto fare. Vendette i locali adibiti a
negozio ereditati alla morte di papà e si accollò quasi tutte
le spese che la cura della sua malattia comportava. E
quando, per il prolungarsi delle assenze oltre i limiti
consentiti dalla legge, Uta perse il posto di assistente
incaricata di lingua tedesca all’Istituto Universitario
Orientale, dove era stata assunta alcuni anni prima, fu
Gennaro col suo solo stipendio a mantenere la propria
famiglia. Ciò che capitò ancora quando, guarita e assunta
come insegnante di lingua tedesca al Goethe Institut di
Napoli, dopo una decina di anni si ammalò di nuovo e
furono le figlie a prendersi cura di lei.
Dei suoi tanti sacrifici non mi parlò mai con afflizione.
Cosa che fece in una sola occasione, quando mi confidò
del grande dispiacere provocatogli dall’atteggiamento di
alcuni suoi intimi amici che, non comprendendo il
comportamento di sua moglie dovuto al male che
l’affliggeva, non mettevano più piede in casa sua e gli
consentivano di incontrarli solo per strada, in un bar o a
scuola, durante la sua ora libera.
Ha avuto in compenso l’affetto e la stima di tantissime
persone, i successi di tutti i suoi spettacoli teatrali, i tanti
riconoscimenti in vita e dopo la morte, le tesi di laurea su
di lui al Dams di Bologna, all’Università di Salerno,
all’Accademia di Belle Arti di Napoli, presso cui il 24
gennaio 2012 s’è inaugurata la mostra dedicata a lui:
“Due teatri, un regista – Napoli Teatro 1963-1985”,
allestita da Giovanni Girosi e Paola Visone.
Antropos in the world
vista a ricordarci il suo lavoro, l’entusiasmo con cui vi si
dedicava, i molteplici interessi che hanno coinvolto una
folta schiera di appassionati di teatro impegnato e
d’avanguardia, in cui le parole si incarnano in personaggi
vivi che ci parlano di eventi e situazioni che non si
spengono al calare del sipario, ma continuano a gridare forte
alla nostra coscienza.
Le registrazioni ci riportano la sua voce, calda e ben
impostata, sempre chiara, spesso robustamente sonora, rare
volte sfumata o velata di qualche fuggevole cupa tristezza.
Gennaro, mio fratello, è stato un grande amico e uno dei
miei primi Maestri.
Umberto Vitiello Vadim
________________ 1 Molti dei suoi scritti sono raccolti in “Taccuino”, voluto dalle
figlie Cordelia ed Elisabetta e pubblicato a cura di Luigi e
Raffaele Capano nel 2003.
della Costituzione. Rieletta nel 1948
alla Camera dei deputati, siede tra i
banchi di Montecitorio ininterrotta-
mente sino al 1999 e per lungo tempo
ne presiede l'Assemblea: viene infatti eletta
Presidente della Camera dei deputati per tre volte
consecutive, ricoprendo così quella carica per 13 anni,
dal 1979 al 1992. Nessuno nella storia d'Italia ha
ancora raggiunto il suo primato.
Nel 1987 ottiene un incarico di governo con man-
dato esplorativo da parte del Presidente della Repub-
blica Cossiga che si conclude senza esiti; è la prima
donna e la prima esponente comunista ad arrivare così
vicino alla Presidenza del Consiglio. Nel 1992 è
inoltre la candidata di sinistra alla Presidenza della
Repubblica.
Durante la sua vita ricevette inoltre numerose
mansioni di prestigio quali: la presidenza della Com-
missione bicamerale per le riforme istituzionali costi-
tuita il 9 settembre 1992 (dal marzo 1993, suben-
trando al dimissionario Ciriaco De Mita, sino al 7
aprile 1994); la presidenza della delegazione italiana
presso l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Eu-
ropa (1996 - 1999), di cui fu anche vicepresidente
nello stesso periodo.
Rinunciò a tutti gli incarichi il 18 novembre del
1999 a causa di gravi problemi di salute. La Camera
dei deputati accolse le sue dimissioni con un lunghis-
simo applauso. Morì pochi giorni dopo le sue dimis-
sioni, il 4 dicembre 1999, per arresto cardiaco.
Ricordo i suoi funerali in Santa Croce di Torre del Greco,
le parole del sacerdote con cui esaltava il suo impegno
culturale e sociale, gli articoli di tanti giornali, i manifesti
affissi anche a Camerino, le corone di fiori.
Il lungo mesto corteo si sciolse in Piazza Palomba.
Dovetti tornare indietro per riprendere la macchina e,
percorrendo la strada che va verso il centro di Torre del
Greco, notai alcuni capannelli. Erano gli attori dei tanti
drammi che aveva diretto e gli allievi del Seminario
Teatrale/Musicale che stava tenendo presso il Comune di
Bacoli.
Liberatisi della celebrazione ufficiale, attori ed allievi si
abbandonavano al pianto e, abbracciandosi o prendendosi
strettamente per mano, commentavano sconsolati la
perdita del loro Regista e Maestro.
Di lui ci restano gli scritti (1), le locandine, le fo-
to, alcuni interventi commemorativi, qualche inter-
LA DONNA NELLA STORIA Orfana del padre Egidio (ferroviere e sindacalista
socialista) nel 1934, si laureò in lettere all'Univer-
sità Cattolica di Milano. Ebbe tra i suoi professori
Amintore Fanfani e fu per qualche tempo inse-
gnante ma decise di abbandonare la professione
quando maturò un profondo spirito antifascista che
la convinse ad occuparsi di politica.
Dopo l'8 settembre 1943 si iscrive al PCI e
partecipa alla resistenza, svolgendo inizialmente la
funzione di porta-ordini, poi aderendo ai Gruppi di
Difesa della Donna, formazione antifascista del PCI,
diventando organizzatrice e responsabile. Fu presi-
dente dell'Unione Donne Italiane di Reggio Emilia.
Nel 1946 viene candidata dal Partito Comu-nista
Italiano e viene eletta all'assemblea costi-tuente.
Nello stesso anno inizia a Roma una relazione con il
Segretario Nazionale del PCI, Palmiro Togliatti, di
27 anni più anziano (già marito di Rita Montagnana
e padre di Aldo), che terminerà soltanto con la
morte del leader comunista, nel 1964. Il loro legame
diviene pubblico nella contingenza dell'attentato del
1948. Togliatti lascia per lei moglie e figlio,
decisione che fu dura da accettare per i militanti del
PCI. Insieme chiesero e ottennero l'affiliazione di
una bambina orfana, Marisa Malagoli, sorella
minore di una dei sei operai uccisi in uno scon-tro
con le forze dell'ordine il 9 gennaio 1950, a
Modena, nel corso di una manifestazione ope-
raiaNell'Assemblea Costituente, Nilde Iotti fa parte
della Commissione dei 75 incarica della stesura
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NILDE IOTTI
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Antropos in the world
IMMAGINI D’UN ALTRO TEMPO – a cura di Andropos
JULA DE PALMA
Scoperta dal maestro Lelio Luttazzi (che le fa
firmare un contratto discografico con la CGD, l'eti-
chetta fondata da Teddy Reno), debutta in radio nel
1949 con un repertorio e uno stile assolutamente
innovativi rispetto agli standard italiani dell'epoca:
alla melodia e alle cesellature dei cantanti tradizio-
nali, Jula contrappone la sua vocalità moderna e il
suo senso dello swing, interpretando con gusto ed
eleganza gli standard americani.
Jula De Palma è la prima voce a intonare le note
di una canzone in diretta dalla giovane televisione
italiana, entra nella scuderia dei cantanti RAI a soli
diciotto anni. Nella prima parte della sua carriera
incide numerose canzoni in francese, lingua che
padroneggia alla perfezione come l'inglese, riscuo-
tendo un discreto successo anche al di là delle Alpi.
Oltre a cantare con la famosa "orchestra d'archi rit-
mica" di Luttazzi, Jula De Palma è la voce solista del
gruppo di Carlo Loffredo e dell'orchestra di Gorni
Kramer, protagonisti di svariate trasmissioni.
Partecipa a molte edizioni del Festival di Sanremo
tra il 1955 e il 1961 e incide numerosissimi brani mu-
sicali, tra cui ricordiamo alcune composizioni degli
stessi Luttazzi e Kramer (Quando una ragazza a New
Orleans, Souvenir d'Italie, Mia vecchia Broadway,
Simpatica, Non so dir ti voglio bene), canzoni tratte
da film (Que sera sera, A woman in love, Estate
violenta), pezzi francesi (Domino, Majorlaine, Paris
canaille), americani (Mister Paganini, All the way,
That old black magic), napoletani (Anema e core,
Vieneme 'nzuonno).
Alla fine degli anni cinquanta incide due EP di
jazz in inglese, Jula in Jazz e Jula in Jazz 2, accom-
pagnata e diretta dai migliori musicisti italiani del
periodo. È allora che comincia a essere definita nel-
l'ambiente musicale: "la cantante dei musicisti".
La canzone che tuttavia rimane indissolubilmente
legata al suo nome è Tua, eseguita in coppia con
Tonina Torrielli al Festival di Sanremo 1959, scritta
da Bruno Pallesi per il testo e dal maestro Walter
Malgoni. Grazie alla sua interpretazione memorabile,
Tua verrà premiata dalle giurie ma verrà sommersa
dalle polemiche. L'interpretazione di Jula de Palma
viene giudicata troppo sensuale dai funzionari RAI e
da certa stampa bigotta. Secondo le critiche, l'inter-
pretazione di Jula lasciava sottintendere un rapporto
fisico tra un uomo e una donna: uno scandalo per
l'epoca che, sebbene assolutamente ingiustificato,
determina una piccola battuta d'arresto nella carriera
della cantante. Lo scandaletto sanremese innescato
dal bigottismo dei funzionari Rai, con la conse-
guente difesa dell'Osservatore Romano e della Ra-
dio Vaticana (come succederà più tardi per De
André), rendono tuttavia Jula de Palma ancor più
popolare come star della canzone melodica. In realtà
la popolarità è frutto del suo lavoro di dieci anni, di
molto studio, di molta esperienza maturata lavo-
rando con i migliori talenti in circolazione, spinta
dall'amore per il jazz e da uno spirito innovativo e
cosmopolita piuttosto raro all'epoca, in un'Italia an-
cora succube del bel canto.
Senza tradire il suo stile, Jula parteciperà ad altre
manifestazioni canore. Tra queste ricordiamo diver-
se edizioni di Canzonissima, due Festival di Napoli
(nel 1959 e 1960) , il Festival delle Rose del 1964.
A partire dalla seconda metà degli anni sessanta, un
po' per il sopraggiungere di altre tendenze musicali,
un po' per i suoi impegni familiari, Jula dirada le sue
apparizioni, fino ritirarsi dalle scene nel 1972.
Jula De Palma nel 1970 è la prima artista donna a
ottenere un recital tutto suo al teatro Sistina di
Roma, a dirigerla è il maestro Gianni Ferrio, da lei
definito "il genio". I musicisti sono tutti affermati
solisti personalmente scelti e indicati dalla cantante.
Il teatro è stracolmo di pubblico, personaggi del
cinema, musicisti. Il filmato del concerto verrà tras-
messo a più riprese dalla Rai. Dopo un'ultima appa-
rizione televisiva nella trasmissione Milleluci
(1974), Jula De Palma si trasferisce con la famiglia
in Canada, dove vive tuttora. Nel 2010 le viene
assegnato l'Honorary Award, premio alla carriera,
per la 4ª edizione degli Italian Jazz Awards.
Jula de
Palma con il
marito,
il
compositore
Carlo Lanzi,
nel 1957
Antropos in the worldc
PROVERBI, DETTI E MODI DI DIRE - OVVERO ELEMENTI DI PAREMIOLOGIA
Sirica Dora
‘O Signore ‘i sapi i cosi da’ Marònna.
Cu `un fa nenti `un sbaglia nenti.
U cani muzzica sempre ‘u spardatu. Lu bonu no vali cchiù di lu tintu sì.
Esplicatio: Solo sa le cose della Ma donna e solo chi
non fa niente non sbaglia niente. Il cane, purtroppo,
morde sempre chi è già nel bisogn. Il no, detto con grazia,
vale più del si, detto sgarbatamente.
Implicanze semantiche: I detti riportati hanno il
loro riscontro in altri dialetti. A riprova, citiamo:
1) I cazzi da’ cucchiara li sa ‘a pignata;
2)
2) Sule chi nu’ ffa niente nu’ sbaglia
mai;
3) ‘O cane mozzeca ‘o stracciato;
4) Nu’ rifiuto garbato vale sette si
sgarrate.
Sapi: sa, dal latino sapio, sapere;
Muzzica: morde, dal latino morsi-
care;
Bonu: buono, dal latino bonus/a/um
IL LINGUAGGIO ANALOGICO DEI PROVERBI 2 a cura di Andropos
La fotografia ha in impatto emotivo, fà appello al
mondo delle emozioni e dei sentimenti, non é una
risposta diretta come quelle che abbiamo visto
nell'esempio della coppia che sta litigando.
Eppure l'altro é come se, in una brevissima frazione
di secondo, vedesse la foto, rimanesse emozional-
mente colpito dal contenuto della foto, poi ci
ragionasse sopra e traesse una conclusione dall'im-
magine che ha visto, paragonasse la situazione del
proverbio con la situazione che sta vivendo in quel
momento, e infine applicasse la conclusione tratta
dal proverbio alla situazione presente.
In altre parole si potrebbe dire che usare proverbi
significa utilizzare il linguaggio "analogico".
Linguaggio "analogico" e linguaggio "digitale" sono
termini entrati in uso in seguito agli studi compiuti
negli anni '60/'70, da parte di un gruppo di ricerca-
tori che lavoravano presso il Mental Research Insti-
tute di Palo Alto, California.
Analogico, cioè "non logico", é qualcosa che,
come il proverbio, non é rivolto alla parte razionale
della nostra mente, ma a quello che potremmo
chiamare il nostro cuore, e cioè le emozioni e i sen-
timenti.
Digitale, dall'inglese "digit" che significa nume-
ro, é tutto quello che si indirizza al nostro cervello
visto nelle sue capacità di ragionamento, logica, ana-
lisi, matematica.
L'uso delle parole é quasi sempre digitale, razio-
nale: se io ti parlo e non metto le parole nella giusta
posizione, se non utilizzo i verbi ed i nomi appro-
priati, tu non mi puoi capire.
Volendo essere più precisi si potrebbe ancora
notare che il linguaggio delle parole si presta al
linguaggio digitale
Volendo essere più precisi si potrebbe ancora notare
che il linguaggio delle parole si presta al linguaggio
digitale ma anche ad usi analogici come l'uso dei
proverbi; viaggiando tra il digitale e l'analogico, con
le parole si può decidere come modulare le emo-
zioni: c'é una grossa differenza tra il dire "quello che
hai fatto mi dispiace molto" e il dire "mi hai spez-
zato il cuore"; ed ancora, parliamo di "mente" per
indicare la razionalità o l'intelligenza e di "cuore"
per indicare i sentimenti, quando tutti sappiamo che
il cuore é un muscolo che serve a pompare il sangue
e non é certo la sede delle nostre emozioni d'amore;
ed ancora, se dico "Carlo é un leone", tutti capiscono
che sto dicendo che é un uomo coraggioso e non un
animale con la criniera.
L'uso dei gesti fà parte del linguaggio analogico;
attraverso il gesto, senza parlare, comunico una certa
risposta o un mio atteggiamento; in Italia abbiamo
anche tutta una serie di gesti e gestacci già codificati
e conosciuti da tutti.
Ma posso comunicare in maniera analogica anche
con la posizione che assumo col corpo: se ti ascolto
stravaccato sul divano, mostro meno attenzione che
non seduto e leggermente reclinato verso di te, come
per sentire meglio le tue parole; con le espressioni
del viso, o solo con uno sguardo, posso farti capire
se sono d'accordo con te. L'arte visiva, figure, dise-
gni, fotografie, quadri, immagini pubblicitarie e non,
quasi sempre appartengono al mondo analogico, ci
fanno provare delle emozioni.
IL PROFUMO D’ERMIONE (liriche)
si può richiedere tramite e-mail:
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Antropos in the world
APPROFONDIMENTO LINGUISTICO
MOMENTO TENERO
FANTASMI di
Franco Pastore ________________
Dalla raccolta “OLTRE LE STELLE”
Di questo miracolo
continuo, d’intime
sequenze d’esistenza,
l’unicità comprendo.
Quali fantasmi,
sullo schermo del tempo,
all’infinito, fluendo,
viviam di chiasmi,
nel tremulo chiaror
della penombra.
E pur capaci d’atti
dirompenti,
subiamo il fascino
d’armonie potenti.
Caste purezze
ci affrancano
da trame disadorne,
che contornandoci
connotano la genesi.
Nella bellezza d'insieme
annego il mio frale;
nell’arte e nel bello
si spegne …
la scintilla del male.
L'enjambement consiste nell'alterazione tra
l'unità del verso e l'unità sintattica ed è quindi
una frattura a fine verso della sintassi o di un
sintagma o anche di una parola causata dall'an-
dare a capo.
L'enjambement è un elemento che contribuisce
a determinare il ritmo di una poesia, il termine
deriva da una parola francese che significa
accavallamento, spezzatura. Si verifica quando
due parole della stessa frase che dovrebbero
stare saldamente unite, vengono spezzate tra la
fine di un verso e l'inizio di quello successivo.
L'enjambement divide solitamente gruppi sin-
tattici come sostantivo e attributo, soggetto e
predicato, predicato e complemento oggetto,
sostantivo e complemento di specificazione,
articolo e nome e così via.
« Sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto. »
(Dante - Inferno, canto XXVI)
« Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha: [...] »
(Alessandro Manzoni, Il cinque maggio, vv. 13-18)
LE FIGURE RETORICHE A cura di Andropos
ENJAMBEMENT
FM GROUP ITALIA Per un futuro di
SUCCESSI – CONOSCENZE –
MIGLIORAMENTI –
GUADAGNI.
Per informazi e contatti:
Presidente FM GROUP
CONTURSI
Accademico/giornalista
geom.Carlo D’Acunzo - Angri
(Salerno)
E-mail: [email protected]
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Cellulare: 3358065955
Antropos in the world
LA PAGINA MEDICA
ALLARME ANTIDOLORIFICI L'uso prolungato di antinfiammatori della famiglia dei FANS
aumenta di un terzo la morte per eventi cardiovascolari
L'uso prolungato di certi anti
dolorifici della famiglia dei FANS,
farmaci antinfiammatori non ste-
roidei, è associato a un aumento
di circa un terzo del rischio di in-
farto, ictus e morte per eventi car-
diovascolari. Alcuni dei principi
attivi legati a tale rischio sono il
diclofenac e l'ibuprofene, mentre il naprossene non
aumenta tale rischio, probabilmente perchè ha ef-
fetti protettivi che contrastano la potenziale cardio-
tossicità. Sono i risultati allarmanti di una impor-
tante meta-analisi realizzata da ricercatori del MRC
Clinical Trial Service Unit & Epidemiological Stu-
dies Unit (CTSU) presso la University of Oxford
diretti dal professor Colin Baigent, in collaborazio-
ne con il professor Carlo Patrono, Ordinario di far-
macologia all'Università Cattolica di Roma e finan-
ziata dal Medical Research Council e dalla British
Heart Foundation.
Così i ricercatori hanno considerato i risultati di
639 trial clinici, per un totale di oltre 300.000 per-
sone coinvolte, ed analizzato i dati dei singoli pa-
zienti al fine di predire l'entità degli effetti avversi,
dei diversi FANS, in particolari tipi di pazienti, in
cura con alte dosi e per un tempo prolungato. Per
questi, è emerso un rischio più elevato di compli-
canze vascolari, soprattutto a livello cardiaco, e un
rischio da 2 a 4 volte superiore di emorragia gastro-
intestinale, che tuttavia raramente risulta fatale.
Si calcola che, per ogni 1000 soggetti trattati in
questo modo, si verificano tre infarti in più (che
non si verificherebbero se i soggetti non fossero in
cura con FANS) di cui uno con esito fatale.
Il professor Baigent sottolinea che «questi rischi
riguardano le persone con artrosi o artrite, che
hanno bisogno di alte dosi di FANS e di una
terapia prolungata. È verosimile che un breve
trattamento con dosi più basse degli stessi farmaci
sia relativamente sicuro».
Non per tutti, comunque, il rischio è lo stesso,
infatti, coloro che corrono i maggiori rischi e che
hanno maggiori probabilità di subire gli effetti ne-
fasti dei Fans, sono, come già abbiamo detto, quei
pazienti in cura con alte dosi e per tempi prolun-
gati. Per loro è più alto il rischio di complicanze
cardiache e da 2 a 4 volte maggiore la probabilità
di andare incontro a emorragie gastrointestinali.
Va da sé che un trattamento occasionale e con
dosi più basse degli stessi farmaci non è da
considerarsi pericoloso. Perciò se domattina vi
svegliate con un terribile mal di testa non è
necessario soffrire, un moment non potrà certo
uccidervi. Intelligenti pauca! Redazione Salute Online
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SALERNO
IN FITNESS
PISTA DI PATTINAGGIO
SALERNO
DOMENICA 15 GIUGNO
Per informazioni
089.711278
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Antropos in the world
NOTE ANTROPOLOGICHE
LA RAGIONE E’IL FARO DELLA GIUSTIZIA
Cos’è la libertà, esistono davvero gli uomini liberi?
Osservo l’intorno, le strade dove i ragazzi stazionano
perché non sanno cosa fare, dove il tempo è una
comoda convenzione, una tabella di marcia da
espletare, dove ogni surplus di tempo è da riempire in
qualche modo.
Il vicolo cieco diventa il prosieguo per dare un
contenuto al proprio essere, dove c’è la scoperta del
contesto di forza, dove il legame cresce e si rafforza
nella trasgressione.
Osservo meglio e vedo gli adulti tutti in corsa, tutti
presi e affannati dalle mete da afferrare, dai rimpianti
che premono alle porte, dai rimorsi che sono zittiti
dal benessere da agguantare a tutti i costi, restano i
segni della sconfitta di un ruolo, di una professione,
di un lavoro che non ci sono più, la dignità subisce la
resa definitiva.
Osservando ancora a questi giorni, ai giovani ed ai
meno giovani nelle piazze, agli slogans, agli ordini
impartiti, alle grida di gioia, alle urla di dolore, ai
morti inconsapevoli ed ai feriti innocenti, ai giusti ed
agli ingiusti, mi chiedo dove sta la libertà degli uomi-
ni liberi di non condividere né accettare deleghe in
bianco; dove sta la libertà di dissentire, di sottrarsi
dall’effetto di mille politiche confutate o che potran-
no esserlo in futuro.
Osservo e rifletto sulle libertà che non hanno
colore né facili entusiasmi, le libertà che sono di tutti,
e conoscono la paura, perché non rimane resto nelle
tasche, solamente somme da pagare.
Libertà di manifestare, libertà di protestare, libertà
di parola, libertà di prenderle e di darle, è la trama di
un film già visto altre volte, ma ora sta dentro l’era
digitale, e sebbene nulla del passato potrà mai ritor-
nare, qui non c’è la possibilità di gridare: «Ehi,
regista: fammi uscire dal copione di questo film, mi
sono stancato, voglio ritornarmene a casa.
No, non è il gioco della playstation, non è pos-
sibile resettare, tornare indietro. Oggi lo scenario in-
veste una libertà che non è quella invocata ieri, per-
ché coinvolge confini, terre, mondi, uomini e politi-
che diverse, divengono vere e proprie sottrazioni
globali e più di qualche volta individuali, in questo
presente ciò che più colpisce è il suono che fuoriesce
da parole come solidarietà, giustizia, diritto, prendo-
no parvenze del tutto sconosciute, a fatica stanno
supine nelle parole valigia, dove facciamo stare tutto
e il contrario tutto, cioè nulla.
Parole sgangherate, parole di un Vangelo lontano,
stili di vita che dovrebbero essere diga insormon-
tabile per qualunque spinta all’uso della violenza.
Non è con il bastone, con le botte, con la vita
dispersa, che le richieste di giustizia, di solidarietà,
di democrazia possono transitare da una istanza poli-
tica a una assunzione di responsabilità, a una scelta
che è già azione morale, bensì con la fede della ra-
gione, della mia passione e della tua, questa è l’unica
consapevolezza che può avvicinare a un’idea di
imparzialità, equità e giustizia.
Vincenzo Andraous
LA MOGLIE DELL’OSTE
di Franco Pastore
Tratta dalla XII novella de il Novellino
di Masuccio Salernitano
Richiedere a [email protected]
VESUVIOWEB.COM Di Aniello Langella
1
Cultura, arte, ricerche di sapore antro-
pologico, sulla vasta area tra il vulcano ed
il mare:
Grammatica del dialetto di Pietraroja di
P. Bello
Villa De Curtis, un Patrimonio a rischio,
di G.Maddaloni.
Napoli, le bombe e l’ultima guerra
mondiale, di Caffarelli.
Quanno carètte Musullino di Salvatore
Argenziano.
’A miezaparrocchia a ncapatorre, di
Salvatore Argenziano
Mosconi sul terrazzo di un Gran Caffè, di
R. De Maio
Antropos in the world
STORIA DELLA MUSICA - A cura di Ermanno Pastore
La musica del Novecento: Alban Berg Dopo il secolo d’oro della musica classica occi-
dentale, ci si avvia una frenetica ricerca di nuovi
codici linguistici su cui basare la composizione musi-
cale. Le soluzioni proposte sono diverse: dal ritorno
alla modalità, all'adozione di nuove scale, di deriva-
zione extraeuropea, come quella per toni interi (pro-
posta per primo da Claude Debussy), al cromatismo
atonale e poi dodecafonico che tende a scardinare la
tradizionale dualità di consonanza/dissonanza.
In particolare, nel secondo decennio Arnold
Schönberg, assieme ai suoi allievi, tra cui si ricor-
dano Alban Berg e Anton Webern, giunge a deli-
neare un nuovo sistema, noto come "dodecafonia",
basato su serie di 12 note. Alcuni ritennero questo
l'inizio della musica contemporanea, spesso identi-
ficata con la musica d'avanguardia: altri dissenti-
rono vivamente, cercando altre strade. Il concetto di
serie, inizialmente legato ai soli intervalli musicali,
si svilupperà nel corso del secondo Novecento sino a
coinvolgere tutti i parametri del suono. È questa la
fase del serialismo, il cui vertice fu raggiunto negli
anni cinquanta con musicisti come Pierre Boulez e
John Cage.
Altri musicisti - tra cui Igor Stravinsky, Bela
Bartok e Maurice Ravel - scelsero di cercare nuova
ispirazione nelle tradizioni folkloristiche e nella mu-
sica extraeuropea, mantenendo un legame con il si-
stema tonale, ma innovandone profondamente la or-
ganizzazione e sperimentando nuove scale, ritmi e
timbri.
Parallelamente al versante colto, che in realtà si
estende molto al di là dei confini tracciati dalla mu-
sica seriale, nel Novecento assunsero grande impor-
tanza i generi musicali popolari, cui i mezzi di comu-
nicazione di massa consentirono una diffusione
senza precedenti.
Alban Berg Discendeva da una famiglia ebrea di
origine tedesca (il padre Konrad Berg era nativo di
Norimberga) che si era stabilita a Vienna, dove il
padre di Alban era diventato un agiato commerciante
di libri usati e di articoli religiosi.
Non ebbe un'infanzia felice e fu tormentato per
molti anni della sua vita da una forma di depressione,
che lo spinse, dopo un bruciante insuccesso scola-
stico, a tentare il suicidio già all'età di diciotto anni.
Fino al 1904, il giovane Berg non aveva mai
condotto studi sistematici musicali, scriveva musica
semplicemente per diletto e viveva del suo lavoro di
contabile presso il comune. Nel-
lo stesso anno conobbe Arnold
Schönberg che, colpito dal suo
talento, lo accettò come allievo
senza esigere alcun compenso
Nel 1910 Berg lasciò l'impie-
go presso l'amministrazione mu-
nicipale, grazie anche ad una so-
stanziosa eredità, per dedicarsi esclusivamente alla
composizione e, in seguito, all'insegnamento. La sua
adesione ai manifesti artistici dell'espressionismo lo
avvicinarono a gruppi di letterati e pittori, quali Peter
Altenberg e Karl Kraus.
La sua produzione musicale giovanile risentì della
influenza di Schönberg, del tardo Romanticismo (in
particolare di Gustav Mahler e Richard Strauss) e
dell'impressionismo francese (Debussy).
Nel 1912 il suo percorso di ricerca di una aspre-
sione musicale svincolata dall'armonia tonale, si
concretizzò in un utilizzo sistematico della dissonan-
za, suscitando reazioni ambivalenti.
Nel 1921, Berg terminò la sua prima Opera,
Wozzeck, rappresentata a Berlino quattro anni dopo,
caratterizzato da una intelaiatura drammatica e da
alcuni richiami all'opera italiana (Giacomo Puccini).
L'ultimo Berg si indirizzò verso il romanticismo-
irrazionalista, come apparve nella seconda sua opera
per il teatro, Lulu, rimasta incompiuta (il terzo Atto è
stato completato dal compositore e direttore d'orche-
stra Friedrich Cerha negli anni settanta).
Berg amava trascorrere buona parte dell'anno tra i
monti della Carinzia. La sua musica si impose rapi-
damente in tutta l'Europa centrale, almeno fino
all'avvento di Hitler, quando le sue composizioni ver-
ranno censurate come musica degenerata, un mar-
chio d'infamia che privò l'Austria del tempo dei suoi
migliori talenti musicali. Morì nel 1935 a Vienna
per una setticemia causata da una puntura d'in-
setto mal curata. La musica di Berg ruppe con la
tradizione tonale a partire dagli ultimi Lieder
dell'op.2. Lo stile di Berg sarà sempre diviso tra
l'anelito al futuro atonale e reminiscenze legate
alla tradizione tonale, con la notevole eccezione
degli orchestrali Lieder op. 4, dallo stile prese-
riale e modernista.
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Antropos in the world
PERSONAGGI E LUOGHI SALERNITANI
_______________
Nella foto in alto a destra fra Generoso; in
basso, Alfonso Gatto, con l’amico L. Schiavone
Andropos in the world
UNA DONNA NELLA LETTERATURA – A cura di Andropos
Dulcinea del Toboso Il suo vero nome è Aldonza Lorenzo, ed è
una contadina molto "socievole" amata da don
Chisciotte, nonostante non l'abbia mai vista; don
Chisciotte, dopo essere "impazzito", la trasforma
nella sua immaginazione in una magnifica
principessa a cui promette di essere fedele e la
chiama Dulcinea del Toboso. Da quel momento
si fa nominare cavaliere errante e inizia a com-
battere contro nemici invisibili, continuando a
tenere fede alla promessa fatta alla "principes-
sa". Dulcinea come è stato già menzionato era in
realtà una contadina, ed il suo vero nome, Al-
donza Lorenzo, avrebbe fatto ridere la gente
dell'epoca poiché veniva utilizzato per raccon-
tare barzellette e detti osé.
Creazione fantastica, esemplata sulla bellis-
sima Oriana dell'Amadigi di Gaula, Dulcinea è
un “ente” spirituale nato dal puro ideale dell'im-
mortale cavaliere e simbolo sublime di esso. Fra
le ulteriori incarnazioni letterarie del personag-
gio, è notevole il dramma Dulcinée di G. Baty
(1936).
È l'innamorata platonica a cui il cavaliere
errante Don Chisciotte dedica le sue imprese e
la sua gloria, avendola trasfigurata in una
ammirabile quanto virginale principessa.
“Soggiornava in un paese, per quanto credesi,
vicino al suo, una giovanotta contadina di
bell'aspetto, della quale egli era stato già
amante senza ch'ella il sapesse, né se ne fosse
avvista giammai, e chiamavasi Aldolza Lorenzo;
e questa gli parve opportuno chiamar signora
de' suoi pensieri. Dappoi cercando un nome che
non discordasse gran fatto dal suo, e che potesse
in certo modo indicarla principessa e signora, la
chiamò Dulcinea del Toboso perché del Toboso
appunto era nativa. Questo nome gli sembrò
armonioso, peregrino ed espressivo, a somi-
glianza di quelli che allora aveva posti a sé
stesso ed alle cose sue.”
Sancio Pancia, parlando a Don Chisciotte di
Dulcinea: “La conosco pienamente [...] e so dire
ch'ella lavora così bene con un palo di ferro
come ogni più robusto bifolco del
nostro paese: oh! è una donna-
di merito grande e grossa, senza -
paura di chicchessia, e tale da
cavare i peli tutti della barba ad
ogni cavaliere errante o che sia
per errare, e che la tenga per sua
signora! Corpo di mia nonna! che bocca che ha,
che voce! Le so dire che si è posta un giorno in
cima al campanile del villaggio a chiamare certi
suoi famigli che se ne stavano in un maggese di
suo padre, e sebbene si trovassero più di una
mezza lega discosti la sentirono così bene come
se fossero stati a' piedi del campanile; e dopo
tutto questo ha la prero-gativa di non essere
schizzinosa, anzi scherza con tutti, è di affabilità
straordinaria, ed ogni cosa le serve di trastullo e
di passatempo.”
Regimen Sanitatis Salernitanum
- Caput XXI – XXII
DE NAUSEA MARINA DE GENERALI CONDIMENTO
Nausea non poterit quemquam vexare
marina. Antea cum vino mixtam si
sumpserit illam.
Salvia, sal, vinum, piper, allia,
petroselinum, ex his fit salsa,
nisi sit commixtio falsa.
Mai non fia che incomodare
colui debba il mal di mare,
che da prio flutto marino
preso avrà misto col vino.
Aglio,salvia e pepe fino
sal, prezzemolo e buon vino,
se il miscuglio non si falsa,
forman sempre
buona salsa.
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Antropos in the world
LA DONNA NELL’ARTE, a cura di Paolo Liguori
“ANTEA”
Di Francesco Mazzola detto il Parmigianino
di una giovane donna elegantemente vestita.
Chi sia questa donna non è dato sapere in quanto
il quadro non porta alcuna iscrizione. Da tradizioni
seicentesche, il nome attribuito a questa donna è
Antea, nome di una famosa cortigiana romana vissu-
ta nella prima metà del Cinquecento, ma nessuna
fonte a noi nota attesta che si tratti realmente di
questo personaggio storico. Secondo la maggior par-
te della critica, l’opera è databile alla metà del quarto
decennio del Cinquecento, un periodo dunque suc-
cessivo al periodo romano del Parmigianino che si
concluse con il sacco di Roma del 1527.
Ma, al di là dell’incerta identificazione del sog-
getto, il quadro ha un fascino notevole ed esprime
appieno non solo gli ideali estetici del Parmigianino,
ma anche della cultura manierista del tempo. Il ritrat-
to è a figura quasi intera, con ampio spazio intorno
lasciato volutamente di un indefinito colore verde
scuro. La donna è in posizione frontale, anche se si
intuisce, sotto l’ampio vestito, una rotazione del
corpo. Una fonte luminosa radente, proveniente da
sinistra, permette di dare risalto al volto, che è
sicuramente la parte più intrigante del quadro. La
donna ha uno sguardo fisso, con ampi occhi aperti,
ed una espressione serena ma indecifrabile.
La ricercata eleganza del vestito, i gioielli, la
petti-natura, la pelle di martora su una spalla, fanno
intuire una condizione nobile, che viene rinforzata
dal voluto distacco espressivo dello sguardo. In
questo quadro, quindi, l’artista ci vuole far cogliere
un ideale di bellezza femminile, fatto soprattutto di
grazia ed eleganza, senza concessioni eccessive alla
dimensione della sensualità e dell’eros.
Francesco Mazzola (Parma 1503 - Casalmaggiore,
Cremona, 1540), noto come Parmigianino, pittore con
l'arte nel sangue, figlio di un pittore e allevato nella
bottega degli zii pittori anch'essi, si formò a diretto
contatto con il Correggio, ma il suo spirito "libero" e
inquieto lo porta da subito ad affermare un indi-
vidualismo ed un raffinato distacco da tutti i maestri e
gli ambienti che frequenta. Il suo talento preco-
cissimo ci è svelato già intorno ai sedici anni, ma è
nel 1523, all'acme dei suoi esordi, che egli si rivela
come uno dei maggiori "manieristi" internazionali
dipingendo magistralmente il ciclo di affreschi della
Rocca Sanvitale a Fontanellato, nei pressi di Parma.
Esponente del Manierismo italiano che rallenta il
passaggio al Barocco, iniziato dal Correggio. Talento
giovanissimo formatosi presso gli zii, modesti pittori,
e che ha studiato in seguito l'arte di Michelangelo,
Raffaello e del Correggio.
Seppur apprezzato e stimato dal Vasari, non riuscì
ad ottenere la fama meritata ed è tutt'ora poco
conosciuto. Non dedica la sua vita interamente ed
esclusivamente alla pittura ma coltiva anche altre
passioni quali l'alchimia.
Possiede, infatti, una personalità sottile e sofisti-
cata, con tendenze ad un arcaismo che si vede però
associato ad un modernismo utopistico. La storia rac-
conta che durante il Sacco di Roma l'artista stesse
dipingendo un quadro e che i lanzichenecchi lo la-
sciarono lavorare senza disturbarlo anziché distrug-
gere l'opera e devastare tutto, come erano soliti fare,
poiché rimasero affascinati dal dipinto.
IL NAZARENO Rappresentazione clinica della
morte di Cristo sulla croce.
_____
Richiedere la pubblicazione di
Franco Pastore a [email protected]
Uno dei più singolari
artisti del manierismo,
fu Francesco Mazzola,
detto il Parmigianino.
Nella sua pittura si
ritrova una cifra stili-
stica molto originale
ma che incarna uno
degli aspetti propri del
manierismo : una sen-
sualità raffinata e un
po’ decadente. In que-
sto quadro, uno dei
più famosi della pro-
duzione del Parmigia-
no, vediamo il ritratto
Antropos in the world
CRITICA LETTERARIA
IL PROFUMO D’ERMIONE
Franco Pastore - A.I.T.W. edizioni - Salerno 2010
Nell’ultima raccolta di poesie del poeta Franco
Pastore, dal titolo “Il profumo d’Ermione”, fin dai
primi versi si evince la forte ed indomita vitalità
dell’autore, che dimostra di avere pienamente vissuto,
rincorrendo emozioni, sentimenti e passioni, dando,
fra tutte, la precedenza all’amore più congeniale tra
un uomo ed una donna, ossia “il fuoco dei sensi”,
anche se la sua sensibilità poetica lo induce a cogliere
di tale sublime sentimento, tutte le sfaccettature: la
tenerezza degli sguardi, gli ammiccamenti, il rossore
timido della compagna, per cui questi amori
cominciano piano, per diventare via via un’esplosione
incontenibile, che appaga entrambi gli amanti,
riuscendo persino a mettere in pace anima e pensiero.
Il poeta non può non ricordare, ora, che è passato il
tempo, lo splendore della giovinezza, dove tutto era
così facile, l’amore cominciava dagli occhi, dalle
labbra, dalle mani, per completarsi tra parole e
singulti nel sublime. Tali momenti, di irrecuperabile
ed indimenticabile bellezza, sono rimasti vivi nel suo
cuore e, spesso, prova a rievocarli con la forza della
poesia, cercando di riprodurli, quasi sempre, però, si
concludono in vuoti silenzi, nonostante la natura
abbia conservato tutta la sua grazia, la sua bellezza, la
sua complicità. Allora, nell’animo del poeta,
subentrano malinconia e tristezza, piange il tempo
perduto, la sua inesorabile caducità, e si domanda
pure se valga ancora la pena di illudersi e sognare.
Forse, per evitare amarezza e delusione, è possibile
ancora contemplare la bellezza di Ermione, per
ricavarne dolcezza e tenerezza., senza illudersi di
qualsiasi possibilità concreta. Ogni cosa ha la sua età.
Nonostante il poeta sia convinto di ciò che dice, alla
luce della ragione, non può fare a meno, tuttavia, di
contemplare e di sognare alla vista della bellezza
femminile, e non importa che quella vista possa
rievocare altri momenti, altri ricordi. La carne e lo
spirito si mantengono vivi. La prima ora finalmente
consolata dalla seconda, che apre altre vie: il richiamo
della luna, delle stelle, dei tramonti, dei boschi, la
poesia delle rondini, lo struggimento dei fiori, a cui
aggiungere l’affetto ben radicato nel suo cuore per la
terra d’origine, la Lucania, e per la città di Salerno,
dove vive da tanti anni ed in cui ha intessuto affetti,
amicizie, ed ha vissuto la maggior parte della sua vita,
dedicandosi alla cultura.
I versi di Franco Pastore rivelano una grande
suggestività, uno sperdersi e ritrovarsi in un mondo
tenacemente reale, ma, nello stesso tempo, pieno di
sogni, di impulsi, di esplosioni, che ce lo fanno
sentire poeta del mondo, dello spazio, ma anche
poeta del ricordo, del sogno, della malinconia, che
deriva dal non perdere mai di vista la mancata
eternità della vita umana.
L. Donatelli
ARECHI II di Franco Pastore. Richiedi il Dvd a:
[email protected]– [email protected]
Tel. Redazione Salerno: 089.223738
COMUNICATO STAMPA
Salerno, Associazione Lucana,
Sede Sociale – Venerdì 14, alle
ore 18,30, si terrà una serata
dedicata al Prof. Franco Pastore,
poeta, scrittore e commediogra-
fo.
Presentazione del libro di
poesie “Il profumo di Ermione”.
Relatore, prof. L. Crescimbeni.
La serata sarà allietata da inter-
mezzi musicali, con la parteci-
pazione straordinaria del barito-
no Ermanno Pastore. (Da Il Basilisco XVI ANNO -
MAGGIO - GIUGNO 2013)
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Antropos in the world
I GRANDI PENSATORI: a cura di Andropos
EDMUND HUSSERL (quinta parte)
Gli obiettivi della Fenomenologia
Il principale bersaglio della critica di Husserl è
l'impostazione empiristica/psicologistica della logica
e in generale della teoria della conoscenza. L'analisi
fenomenologica della coscienza parte dal presup-
posto che ogni apriorismo idealistico, così come
ogni forma riduttiva di empirismo, hanno fatto il
loro tempo, e che la coscienza non è una "realtà"
come le altre realtà (la realtà è solo uno dei modi in
cui l'oggetto può essere dato alla coscienza). La
coscienza, nei confronti del mondo, è uno spettatore
disinteressato, al quale gli oggetti sono presenti
come fenomeni (nel movimento dei quali essa non è
coinvolta).
La fenomenologia pretende d'essere un ritorno
alle cose, è il tentativo di lasciar parlare le cose,
cogliendo, nel loro dire, quegli aspetti che più
interessano la coscienza umana (come i valori, le
essenze, ecc.). Per poterli cogliere il ricercatore deve
liberarsi da tutte le opinioni preconcette (sospen-
sione del giudizio o epoché). Il fenomeno non è
visto in antitesi al noumeno ma, al contrario, come
una manifestazione immediata dell'essere alla
coscienza. I fenomeni che la fenomenologia deve
interpretare sono quelli essenziali, lasciando quelli
empirici alle altre scienze. Essa si serve appunto
dell'intuizione essenziale o eidetica. Per cogliere la
essenza del fenomeno (qui sta il lato idealistico della
fenomenologia) il ricercatore deve compiere la ridu-
zione eidetica, cioè deve prescindere dal fatto che
l'oggetto possegga un'esistenza reale (dotata di coor-
dinate spazio-temporali e di leggi causali), altrimenti
non ne potrà cogliere l'essenza.
Le essenze valgono "a priori" (non perché confe-
rite dal soggetto all'oggetto della conoscenza, come
in Kant, ma perché se sono vere per l'essenza di un
fenomeno generale lo sono anche per tutti i casi sin-
goli in cui il fenomeno si esprime).
La fenomenologia è scienza contemplativa, apo-
fantica (nella ragione si rivela l'essere), rigorosa
(perché fornita di fondamenti assoluti), intuitiva
(coglie le essenze delle cose anche attraverso la perce-
zione sensibile), non-oggettiva (prescinde da ogni fat-
to o realtà e si rivolge alle essenze), soggettiva (per-
ché l'analisi della coscienza mette capo all'io come
soggetto unificante di tutte le intenzionalità
costitutive), scienza delle origini e
dei primi principi ( perché la co-
scienza contiene il senso di tutti i
modi possibili in cui le cose pos-
sono essere date/costituite), im-
personale (perché al ricercatore si
richiedono solo doti teoretiche).
Concludendo, l'opera di Husserl
si riallaccia alla tradizione neokantiana, come
effetto dello sviluppo della tematica positivista in
Germania. In particolare essa ha in comune col neo-
criticismo di Natorp (scuola di Marburgo) la
tematica "coscienziale", secondo cui la coscienza
dev'essere libera da pre-giudiziali matematiche e
scientifico-naturali e deve essere in grado di uni-
ficare tutte le sfere culturali e tutte le forme di
coscienza (percepire, pensare, ricordare, simboliz-
zare, amare, volere...). Natorp sviluppò questa tema-
tica col metodo logicotrascendentale, Husserl
invece userà quello fenomenologico-trascendentale.
(La fenomenologia è l'analisi della coscienza nella
sua intenzionalità: essa esamina tutti i modi in cui
qualcosa può essere dato alla coscienza ed esamina
la validità riconoscibile agli oggetti di coscienza).
In comune i due neokantiani hanno anche l'inte-
resse per i rapporti tra la filosofia e le scienze.
Tuttavia, Husserl, ha origini culturali indipen-
denti (scuola di Brentano). Da notare che la discus-
sione tra fenomenologia e neo-kantismo sarà, dal
1900 in poi, uno dei dati più costanti e fecondi nel
dibattito filosofico tedesco di questo secolo.
Per "movimento fenomenologico" s'intende quel
gruppo di ricercatori che pubblicarono tra il 1913 e
il 1950 una serie di volumi nell'annuario di filosofia
e ricerca fenomenologica, diretto da Husserl.
Le figure più rappresentative: M. Scheler, A.
Pfänder, O. Becker, A. Reinach, M. Geiger. A que-
sti nomi di deve aggiungere N. Hartmann e soprat-
tutto B. Bolzano e F. Brentano (da Bolzano Husserl
trae l'esigenza di determinare delle proposizioni che
abbiano validità in sé, a prescidenre dal loro rico-
noscimento soggettivo; da Brentano trae l'idea d'in-
tenzionalità della coscienza, la quale non ha bisogno
di misurarsi con la realtà per sentirsi vera).
Antropos in the world
POLITICA E NAZIONE
IL SENSO DELLA VISIONE GLOBALE ovvero, il pensiero spicciolo del cittadino comune
In tema di autolesionismo la politica ce la mette
tutta.
In passato, quando era al potere la DC, tutti ne
criticavano le correnti. Oggi il posto della DC è
stato preso dal PD è di correnti in questo partito
c’è ne sono ben 14. Ma, a ad essere precisi, tra la
camera ed il senato si contano ben 23 correnti.
Ognuna fa storia a sé. Con la logica dei clan,
tutti sono uniti intorno al boss di turno pur di
battere il nemico comune, che oggi è individuato
in Silvio Berlusconi. I clan, però, sono ostili tra
loro, quando si tratta di occupare il potere.
L’occasione che ha evidenziato le innumere-
voli ostilità è stata l’elezione del capo dello Stato,
una ennesima figuraccia del partito di maggio-
ranza. tuttavia, alla fine, uno straccio di accordo
tra loro lo hanno trovano, anche se piuttosto tra-
ballante.
Le discordie e le differenze vengono così sopite
ma non dimenticate. Questa è la politica oggi:
cieca, demenziale e devastante.
Per colpa di questi squallidi comportamenti ci
ritroviamo così in un grande putiferio.
Lo stallo, l’intervento a gamba tesa del capo
dello Stato, per sopperire alla macchina dei partiti
ingolfata, in modo inconsueto, fa pensare alla poli-
tica come un qualcosa di perverso, malefico e tor-
bido
Eppure la politica dovrebbe essere l’arte di co-
struire, organizzare, amministrare lo Stato e di di-
rigere, in armonia, la vita pubblica, mentre la dina-
mica politica dovrebbe regalare emozioni, abbat-
tere gli ostacoli e concretizzare sogni e prgetti.
Questa politica, invece, fa ridere e fa piangere in-
sieme, generando solo disperazione, perché consi-
dera il potere come fine e non come mezzo.
In questo modo, i cittadini, massimamente i
giovani, sono portati a pensare che tutto quello che
succede nel nostro paese non li riguardi, anche
perché nulla potrebbero fare per cambiare le cose.
E’ questa impotenza che costringe vaste masse di
popolo a vivere lontani dall’olimpo politico. Di
qui, il desiderio di non esercitare più il diritto di
voto e la sfiducia nelle istituzioni.
Così viene meno in ogni cittadino la coscienza
civica, ovvero la consapevolezza di essere parte
integrante ed attiva del territorio in cui si vive.
Ora, se la politica ha smarrito il senso della
visione globale, venendo meno così al suo
compito, e fa fatica a focalizzare ciò di cui i
cittadini hanno bisogno, o almeno quello che essi
desiderano, noi non possiamo comunque dimen-
ticare la stada della civile convivenza e della de-
mocrazia.
Occorre continuare a fare la nostra parte, impe-
gnandoci nel lavoro, quando c’è, e non dimenti-
cando che “ quando più nera è la notte, più vicina è
l’alba”.
La storia insegna che ogni epoca ha il suo
moomento critico, quando basterebbe un nonnulla
per creare situazioni inaccettabili di disordine e di
inciviltà, è allora che c’è bisogno ri far ricorso alla
parte migliore che è in ognuno di noi: quell’equi-
librio razionale che ci rende persone umane.
Mario Bottiglieri
Manca il senso
della visione
globale!
Caro amico, il potere
rimane ancora un fine …
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Antropos in the world
PIATTI TIPICI DEL MEDITERRANEO - A cura di Rosa Maria Pastore
(I parte)
Originario dell’America centro-meridionale, il pe-
perone è entrato piuttosto tardi nella cucina europea,
per il gusto troppo piccante e acceso non
abbastanza chic per i nobili blasonati del
tempo. E pensare che nel Rinascimento
spezie e droghe ben più piccanti erano
pagate a peso d’oro dai principi italiani. Il nome scien-
tifico di questo ortaggio è Capsicum annuum ed appar-
tiene alla famiglia delle Solanacee, la stessa del pomo-
doro.
Il peperone si presenta come una bacca di grandezza
e forma alquanto varia, che richiama pressappoco un
prisma quando è dimensione e un cono quando di forma
ridotta; il frutto termina con un breve e grosso pedun-
colo. Fanno la loro comparsa sui mercati da giugno a
ottobre. Oggi tale frutto è coltivato un po’ dappertutto
nella penisola, anche se la produzione maggiore provie-
ne dalle zone meridionali; tuttavia bellissimi peperoni, di
notevole grandezza, veri esemplari da collezione, si
coltivano nell’oltrepò pavese e nelle campagne venete.
VALORE ALIMENTARE E DIETETICO
Fra i tanti indiscutibili pregi, il peperone presenta uno
svantaggio: quello di non essere facilmente digeribile,
per cui è sconsigliato consumarne dosi elevate. Questo
perché, contrariamente alla maggior parte degli ortaggi,
contiene una minore percentuale di acqua; ciò significa
una maggiore presenza di cellulosa che rende difficile la
digestione. Per quanto riguarda il contenuto vitaminico,
nel peperone si nota una buona quantità di vitamina C,
oltre a piccole dosi di vitamina A, B2, e P.
Le calorie sviluppate da questo ortaggio sono
alquanto scarse: solo 15 per ogni 100 grammi di alimen-
to; ma aumentano generalmente con la cottura, per
l’aggiunta di notevoli quantità di grassi. Sono poi da
rilevare alcune sostanze minerali, fra tutte spicca, per la
discreta quantità, il rame. Al peperoncino (la varietà
dalla quale ricaviamo la paprica) si attribuiscono pro-
prietà antireumatiche, antinevralgiche e coadiuvanti
nella cura dei geloni. Per la presenza di sostanze
carotenoidi, il peperoncino è anche utilizzato nella
cosmesi come colorante vegetale.
LE DIVERSE QUALITA’ Possiamo distinguere due gruppi principali di
peperoni: il dà frutti di forma allungata che ricordano
quella di un corno verde cangiante al rosso. Questa
varietà è quella che ci offre i peperoni dal sapore più
forte e piccante; ad essa infatti appartiene il peperoncino
rosso, vera “lingua di fuoco”,
usato in genere come cono rosso, vera “lingua di fuoco”,
usato in genere come condimento e che si usa essiccare e
conservare a strati, oppure infilati a formare coroncine
da appendere in luoghi ben aerati e poco esposti al sole.
Dai semi di tale varietà si estrae la paprica, una polvere
dal sapore bruciante di cui si fa abbondante uso nella
cucina orientale ed esotica.
Al secondo gruppo appartengono i cosiddetti pepe-
roni “dolci da tavola”, ottenuti attraverso opportune
selezioni orticole e che danno frutti che raggiungono un
volume maggiore alla media del gruppo sopracitato, e
sempre a forma cilindrica. Anche il loro sapore risulta
differente: sono infatti più dolci e delicati al palato, in
particolare dopo la cottura pur mantenendo intatto
l’inconfondibile gusto leggermente piccante.
CRITERI DI ACQUISTO
Un buon peperone deve presentare caratteristiche
essenziali: polpa soda, consistente al tatto, gradevol-
mente profumato e colore vivo, non deve avere macchie
scure o zone ingiallite intorno al peduncolo.
Acquistandolo si dovrà scegliere la qualità adatta per
ciascun piatto. Se si vuole ad esempio preparare una
peperonata “a regola d’arte” si dovrebbe scegliere la
varietà napoletana, certo la più costosa, ma senz’altro
quella che garantisce i migliori risultati. Il frutto è molto
grosso, giallo o rosso, a polpa spessa, carnosa, succosa e
particolarmente dolce e profumata. Queste caratteristiche
facilmente verificabili al mo-mento dell’acquisto,
devono di regola guidare nella scelta di questo ortaggio.
Se la buccia infatti non fosse abbastanza spessa e
compatta, la pellicina tanto esecrata per la nostra delicata
digestione non si staccherebbe con facilità e ciò
comprometterebbe la rapida esecuzione della ricetta
prescelta.
PREPARAZIONE E SISTEMI DI COTTURA
Prima di passare alla preparazione dei vari piatti è
consigliabile eliminare la sottile pellicina che riveste
l’intero frutto, colpevole di rallentare la cottura interna
della polpa e quindi di non renderla facilmente
digeribile. Un metodo molto efficace, che io abitual-
mente uso, per togliere facilmente la pellicina ai pepe-
roni è questo: lavo ed asciugo i peperoni, poi li poggio
sulla griglia o piastra a fuoco vivo e, quando sono
completamente abbrustoliti, li metto immediatamente in
una pentola con coperchio. Li lascio lì dentro a
raffreddare del tutto e poi li pulisco.
Dopo questa operazione preliminare i peperoni si
possono cucinare nei più svariati modi.
Antropos in the world
DALLA REDAZIONE DI BERGAMO
SCARPETTE ROSSE
“Zapatos Rojos es una memoria colectiva, una evocacion, un vacio. Es una marcha silenciosa,
un anhelo, el regreso a casa de nuestros seres
queridos”. (Elina Chauvet )
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Rosso. Come il sangue che ogni giorno le donne
versano per mano dei propri padri, mariti, ex
compagni. Rosso. Il simbolo dell’energia vitale, del-
la forza fisica e mentale, della volontà di opporsi ai
maltrattamenti. Rosso. Il colore scelto dell’artista
messicana Elina Chauvet per la sua installazione:
“Zapatos rojos” (Scarpette rosse).
Scarpe da donna di colore rosso, o dipinte di
rosso, sistemate nella splendida cornice architetto-
nica di Piazza Vecchia, a Bergamo Alta, da
domenica 12 a mercoledì 15 maggio, per gridare
insieme basta alla violenza contro le donne, basta
alla violenza di genere, basta ai femminicidi in
tutto il mondo..
Scarpe da donna di colore rosso o dipinte di
rosso, per vedere con gli occhi dell’altra. Di quel-
le donne che hanno subito violenza e che hanno
deciso di rompere il silenzio. Di quelle artiste che
sanno dar voce a chi non c’è più, a chi non ha la
forza di denunciare, a chi diviene succube di ste-
reotipi sessisti.
Decolletes, ballerine, zeppe, sandali, scarpe rosse,
oggetti inanimati ma urlanti, reperiti attraverso
l’attivazione di una rete di associazioni, ma anche
grazie al contributo delle persone che portano spon-
taneamente le loro scarpe in piazza, per l’installa-
zione. Ogni paio rappresenta una donna che non c’è
più e la traccia della violenza subita. L’effetto finale
è quello di un corteo di donne assenti, azzerate,
ammazzate, violentate, messe a tacere con la forza,
cancellate dalla violenza. Donne di cui rimangono
solo le scarpe, rosse e vive come il sangue.
L’installazione di arte pubblica, progettata da
Elina Chauvet, rimanda alla situazione di Ciudad
Juárez, città del Nord del Messico, al confine con
gli Stati Uniti, da cui l’artista messicana provie-
ne. Qui, a partire dal 1993, gli atti di violenza sulle
donne si sono tragicamente moltiplicati: 584 le
donne uccise solo nel 2010; 183 le donne sparite nei
primi sei mesi del 2012; 12 al giorno sono gli stupri
denunciati nel 2012. E’ a Juarez che, per la prima
volta, viene usato il termine “femminicidio“. Ed è
qui che, nel 2009, l’artista Elina Chauvet ha dato di
Milano,vita per la prima volta, a rischio della sua
stessa vita, a “Zapatos rojos”. Da allora l’installa-
zione ha fatto il giro del mondo, toccando in Italia le
città Genova. Lecce e Torino, per giungere final-
mente a Bergamo, nel mese di maggio.
Una splendida perfomance di danza contempo-
ranea di Serena Marossi ha aperto ufficialmente l’e-
vento a Bergamo, domenica 12 maggio, al mattino,
dinanzi ad una vasta platea, evento portato a Ber-
gamo da “Tata-o, La Casa degli Elementi” Centro
benessere per le famiglie a Palazzago, con il contri-
buto e la collaborazione del Consiglio delle Donne
del Comune di Bergamo, presieduto da Luisa Pecce.
L’artista messicana Elina Chauvet , che ha introdot-
to con grande suggestione il suo progetto venerdì 10
maggio, nella Sala Consiliare di Palazzo Frizzoni,
su invito del Consiglio delle Donne (il suo inter-
vento è stato tradotto, in contemporanea, dal dott.
Vittorio Rinaldi), ha voluto presentare anche il suo
nuovo lavoro.
Si chiama “Confianza” (Fiducia) ed è dedicato
all’artista italia-na Pippa Bacca, uccisa a Istanbul
nel 2008, durante la performance ”Spose in viag-
gio”. Ispirandosi a questo drammatico avvenimento,
Elina Chauvet, presente in Piazza Vecchia domeni-
ca 12 maggio, ha voluto interrogare le persone su
che cosa sia la fiducia. Le definizioni e i pensieri,
raccolti sui social network e su fogli di carta durante
l’allestimento d’arte, sono stati ricamati con un filo
rosso su un abito da sposa, ad evocare simbolica-
mente la morte di Pippa e i valori universali che
hanno caratterizzato la sua attività di donna e di
artista.
Maria Imparato
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antropos in the world
agire Anno XL – N.19 –MAGGIO 2013
DA ALTRI GIORNALI
“Un sogno ad occhi aperti accende la fantasia,
con la magia di una favola, la tua…la mia” Sono
alcuni versi tratti dalla poesia “Il Profumo di
Ermione” che dà il titolo all’ultimo libro di poesie
del professor Franco Pastore, nel quale ha evocato
il nome classico dato da D’Annunzio alla donna
amata. << Ermione è il Panta Rei che è in ognuno
di noi. La ricerca del nuovo, del domani, l’ansia del
futuro; è natura, passione, vita, amore dell’umanità,
della vita che si rinnova>>, ha spiegato Pastore che
nel suo libro di liriche racconta l’amore, ma non
solo quello: <<L’amore non ha bisogno di tante
parole, di tante costruzioni, è semplice, immediato.
La mia poesia non è monotematica, è dedicata sì
all’amore, ma a un amore universalizzato, unito ai
temi più importanti della vita di un uomo: lo spazio,
la natura, i sogni segreti, le emozioni>>.
Il professor Franco Pastore, poeta, scrittore,com-
mediografo molto noto a Salerno, soprattutto per
aver scritto commedie come “La moglie dell’Oste”
o drammi storici come “L’Arechi II” che saranno
riproposti quest’anno, durante la “Fiera del Croci-
fisso Ritrovato” al “Tempio di Pomona” e al Duo-
mo, ha scritto un libro che guarda al passato, ma
proiettato nel futuro:<< E’ un bilancio del-l’anima.
Pervaso da una malinconia soffusa, dalla nostalgia
del ricordo degli anni in cui pensavamo di non
avere nulla, non sapendo che invece avevamo
tutto. Lancia però, un segnale di speranza, di
fiducia nei giovani, che sono disincantati, puliti
dentro. Se sbagliano è perché prima abbiamo sba-
gliato noi. Io spero che diano un calcio a tutti,
anche a noi. A 68 anni ho scritto un libro giovane,
dove si può comprendere il senso della vita,
dedicato soprattutto ai giovani che de-vono
guardare alla vita con occhi diversi, con amore, con
coraggio>>. Le trentacinque poesie scritte da
Pastore, interagiscono con i disegni del Maestro
Gaetano Rispoli: << Sono donne stilizzate – ha
spiegato Pastore - alla ricerca di una propria
dimensione, di una collocazione, di un percorso, di
una guida>>. “Emozione”; “Come un sogno che
muore”; “La Mimosa”; “Ananes”, un antico canto
ellenico di straordinaria dolcezza; sono solo alcuni
dei titoli delle liriche di Pastore, un poeta
innamorato dell’amore :<<L’amore è ovunque, basta
saperlo vedere. Bisogna guardare con occhi diversi
ciò che ci circonda; riscoprire la tenerezza, il calore
umano, l’affetto, il rispetto per la persona umana>>.
Ci sono anche versi dedicati al suo rione, alla sua
città:<<Salerno. Una città nata bella, nata grande,
una splendida gemma sul mare che ha perso la sua
poesia, la sua originalità>>. La poesia che ama di
più, è “Come fanno le foglie”:<<C’è la similitudine
tra la vita dell’uomo e le foglie. Come le foglie,
l’uomo è sbattuto dal vento della vita e vorrebbe
afferrarsi a qualcosa che non trova>>. Una poesia è
dedicata alla terra lucana:<< La Lucania, mi piace.
E’ una terra che ha i sapori di un tempo, dove c’è
gente che supera le difficoltà della vita con tenacia,
dove le donne curano le ferire della vita con
l’amore>>.
La prefazione del libro di Pastore è stata affidata
al dottor Luigi Crescibene, che ha sottolineato la
fluidità poetica delle liriche del professore.
L’introduzione è stata curata, invece, dal pro-
essor Don Flaviano Calenda, che ha disvelato
l’interiorità poetica di Franco Pastore.
Aniello Palumbo
IL PROFUMO D’ERMIONE
Liriche di Franco Pastore
Antropos in the world
DENTRO LA STORIA – A cura di Andropos
L’ARRESTO DI GARIBALDI
Il tenente colonnello Deodato Camosso, comandante la
divisione dei CC RR nella capitale del regno, parte lo stesso
giorno alle 13 con un treno speciale insieme a 16 carabinieri
e due compagnie di bersaglieri, una precauzione tutt'altro
che inopportuna. Gli viene consegnato un plico sigillato da
aprire a La Spezia con istruzioni sul futuro luogo di
detenzione di Garibaldi.
Alle 16,25 a Figline Valdarno c'è già una folla di curiosi
che lo sta aspettando. Camosso, appena arrivato, fa scendere
dal suo treno i carabinieri e i bersaglieri ordinando di sgom-
brare la stazione e le sue adiacenze.
Ventidue minuti dopo entra sbuffando nella stazione il
treno di Garibaldi che non è solo: quattro vagoni sono zeppi
di volontari che ricevono l'ordine di scendere. I volontari,
comprensibilmente esasperati, si abbandonano a un coro di
insulti, fischi e grida. Nel frattempo Camosso sale sul vago-
ne del generale e lo invita a seguirlo. Garibaldi non è
soltanto stupito per l'ordine, è infuriato, e gli fa calorosa-
mente eco il deputato Francesco Crispi, che è sul treno con
lui.
Nonostante le vivaci proteste, Camosso prega l'eroe di
indicargli le persone che possono seguirlo. Alla fine Gari-
baldi chiede di scendere dal treno per esigenze fisiologiche:
ma poi dice al tenente colonnello: "Voi non mi riporterete
su quel vagone se non a pezzi". "La scongiuro, signor
generale, di ricordarsi che è sceso dal treno per mio
consenso e che lei mi ha tacitamente fatto capire che poi
sarebbe nuovamente a mia disposizione".
La situazione non è per nulla tranquilla. Superati gli
sbarramenti di bersaglieri e carabinieri non pochi volontari
fanno cerchio nella sala d'aspetto intorno a Garibaldi che,
stanchissimo, ha chiesto un brodino. Camosso glielo fa
portare, ma poco dopo con la massima cortesia gli ricorda
che deve seguirlo. "No, non vi seguirò, di qui non mi
muovo se voi non mi porterete con la forza sul treno", si
ostina Garibaldi. Camosso si rende conto che non può
forzare la mano: prega il generale, scongiura Crispi, tutto
pur di evitare il ricorso alla forza. Due buone ore trascor-
rono in questa incresciosa pantomima, e sono così lunghe
che nel rapporto vengono involontariamente trasformate dal
tenente colonnello in tre. Alla fine Camosso capisce che
occorre dimostrarsi determinati: '"Lei, signor deputato
Crispi, sa benissimo che abbiamo ordini di usare la massima
cortesia, altro che scandalo governativo. Noi non vogliamo
commettere una violenza, ma il generale ce lo impone e noi
useremo la forza per compiere un dovere indeclinabile.
Maresciallo Gilardoni prenda due uomini con sé e accom-
pagni Garibaldi". "Signor Generale, in nome del Re mi se-
gua". «No, mai». I due carabinieri lo afferrano e a questo
punto Garibaldi non oppone più resistenza.
Crispi ancora strepita: "Signor colonnello, l’informo che
protestiamo vibratamente contro questa violenza detestabi-
le e che sporgeremo querela nei tribunali contro i signori
ministri e contro di lei".
I volontari urlano come
ossessi, ma nessuno com-
pie gesti avventati e ven-
gono fatti sgombrare dal-
le lucerne nere e dai piu-
metti verdi. Il treno può
finalmente partire ed ar-
riva a La Spezia il mattino seguente. Il Plico sigillato
viene aperto e comunica al tenente colonnello Camosso
che il lazzaretto del Varignano è il luogo di detenzione al
quale è destinato Garibaldi. La stazione viene sgombe-
rata e si decide di continuare in carrozza con la scorta di
soli tre carabinieri a cavallo. E' ancora buio quando
gruppi di giovani arrivano nei pressi della stazione; il
tam-tam delle notizie ufficiose ha diffuso la notizia.
"Viva Garibaldi", "Viva l'Italia", "Viva Roma", "Morte a
Napoleone III", è il grido della folla: una dimostrazione
pacifica che non rischia mai di degenerare. Camosso
raccomanda ai carabinieri di mantenere i nervi saldi,
mentre la carrozza procede sempre più piano, finché non
si ferma del tutto. Alcuni giovani hanno tagliato briglie e
tirelle ai cavalli, trascinando nell'atrio dell'albergo Croce
di Malta la carrozza. Altro intoppo perché Garibaldi
vuole anche riposarsi un po' dopo tre notti insonni. Il
colonnello insiste ancora, ma senza troppa convinzione,
perché sa che l'alloggio del generale al Varignano non e
ancora pronto e perché vuole in ogni modo evitare
problemi seri. "Come lei desidera, ma mi dia la sua
parola d'onore che partiremo all'alba", Garibaldi man-
tiene.
Alle 8,20 del 5 novembre il gruppo giunge felice-
mente al Varignano. L'umore di Garibaldi è buono e
rapporti cordiali si instaurano tra lui e gli ufficiali della
scorta. Solo una persona che accompagnava Garibaldi, il
suo genero signor Canzio, aveva posto qualche problema
a La Spezia, ma era stato ridotto alla ragione con la
minaccia di allontanarlo dal generale.
Ma per Camosso le fatiche non sono terminate: deve
condurre faticosi negoziati con Garibaldi ed il suo
seguito per convincerlo a lasciare per almeno quattro
mesi l'Italia, in cambio della libertà. La risposta è
negativa. Con il passare dei giorni il governo è sempre
più imbarazzato sotto il tiro incrociato di parlamento,
stampa e opinione pubblica. Il governo viene persino
accusato di far peggiorare la salute del generale per
costringerlo a una decisione contro la sua volontà.
Camosso però convince il generale a chiedere di sua
spontanea volontà una visita da parte di medici di sua
fiducia. E' un'idea brillante che consente al governo di
accettare la raccomandazione dei medici di trasferire il
prigioniero a Caprera, salvando la faccia e l'ordine pub-
blico. (da www.carabinieri.it)
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Antropos in the world
MITOLOGIA GRECO-LATINA
LE GRAIE (Γραῖαι)
Secondo il poeta Esiodo, le Graie incarna-
vano e simboleggiavano i vari momenti della
vecchiaia: infatti, non avevano mai vissuto la
gioventù ed avevano un solo occhio ed un solo
dente in comune.
Esse custodivano l'accesso al luogo in cui
vivevano le loro sorelle, le Gorgoni.
Quando Perseo stava cacciando Medusa, rubò
loro l'unico occhio e le costrinse a confessare
dove si trovassero l'elmo, la bisaccia e i sandali,
oggetti indispensabili per uccidere Medusa. Il
fatto che le Graie avessero un solo occhio in
comune, consentì a Perseo di passare senza
essere visto, e subito dopo, egli incontrò la dea
Atena, che gli donò uno scudo lucente e
levigato, perché potesse vedere il riflesso di
Medusa, senza fissarla negli occhi.
Sorelle delle gorgoni, il loro nome in greco è
Γραῖαι, che significa grige, infatti, nate vec-
chie, sin dalla nascita avevano i capelli bianchi.
Sicuramente meno fastidiose ed invadenti delle
cugine Arpie, ma non per questo molto più
gradevoli. I loro nomi erano Enio o La-Guerre-
sca, Dino o La-Terribile e Pafredo o La-Vespa.
Il loro animale sacro era il cigno, che nella
mitologia europea, dal Nord al Sud, è sempre
stato considerato l’Uccello-della-Morte
Il colore del piumaggio di questo splendido
animale, infatti, è bianco e il bianco, nelle anti-
che culture, è sempre stato il colore del lutto
(anche presso gli Egizi).
Lo è anche per la forma a “V” che lo stormo
prende quando si alza in volo per la migrazione
della mezza estate, essendo il segno V, consi-
derato simbolo femminile.
I cigni emigravano a mezza stagione, epoca
in cui si compiva il sacrificio del Re-Sacro o
Paredro (oggi lo chiameremmo principe-
consorte) e si pensava che portassero via sulle
loro ali l’anima del Re defunto.
Il mito secondo il quale le tre Divinità avessero
un sol dente ed un sol occhio è nato molto più
tardi, in età classica avanzata.
L’unico riferimento a ciò, lo troviamo soltanto
riguardo le imprese di Perseo, come racconto di
tempi antichi.
Secondo questo mito, Perseo nella sua impresa
per uccidere la Medusa, le sorprese, mentre ripo-
savano sui loro troni sul monte Atlante e portò via
il loro unico dente e l’unico occhio, costringen-
dole a rivelargli il luogo dove vivevno le Ninfe
Stigie. Secondo il mito originale, le tre Graie non
si lasciarono affatto portar via il dente da Perseo,
ma ne donarono uno ad Ermete per le sue
proprietà divinatorie.
Ermete ricevette dalle Graie anche un Occhio
Magico e il mito ci dice che questo eclettico Dio
ne farà davvero buon uso: se ne servirà per dare
un suono ai segni delle vocali ed delle consonanti
inventate dalle Moire, cui i Greci attribuivano
l’invenzione della Scrittura.
Le Graie, per le loro capacità divinatorie erano
dette anche Forcipi o Profetiche: dal padre, Forci,
detto anche Genio-Profetico o Porcaro. Infatti,
Nei miti d’ epoca più arcaica i Porcari esercita-
vano anche la veggenza ed erano conosciuti
anche con il nome Dios , “simile a Dio”.
Fu, infatti, con questo appellativo che Ulisse si
rivolse ad Eumeo, il porcaro dell’isola di Itaca.
Questo avveniva in età di tardo matriarcato ed
inizio patriarcato; in età classica, invece, tale
attività profetica era del tutto cessata.
Antropos in the world
DA ERICE
I FENICI ABILI MARINAI
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I Fenici non furono un paese unitario ma una
serie di città-stato che vivevano in una stretta striscia di
terra sul Mediterraneo nella zona in cui oggi si trova il
Libano.
Acca, Arado, Derido, Biblo, Sidone, Smira, Tiro,
Ugarit erano le città più note dopo Cartagine. A partire
dagli anni ’70, grazie ad una serie di scoperte archeo-
logiche promosse e programmate dall’Università di
Roma e dal Consiglio Nazionale delle Ricerche inti-
tolato alla Civiltà fenicia e punica che hanno portato a
risultati davvero significativi soprattutto in Sicilia e
Sardegna, si è potuto avviare uno studio approfondito
di questa Civiltà e di Cartagine, la sua maggiore
colonia. I Fenici, infatti, non hanno lasciato alcuna
descrizione di essi e delle loro città e, pertanto, antica-
mente particolarmente preziosi si sono rivelati i rac-
conti dei viaggiatori e pellegrini dell’antichità classica.
Erodoto, padre della storia, si reca a Tiro nel V secolo
a.C. e dialoga con i sacerdoti locali.
I geografi Stradone e Pseudo Scilace descrivono le
città costiere. Luciano di Samosata i santuari.
I primi pellegrini del sepolcro di Cristo sono affascinati
soprattutto dalla città di Sarepta, l’odierna Sarabanda,
ove il profeta Elia compie un miracolo citato da Cristo.
Si racconta, infine, che Omero, per scrivere l’Odissea
si sia ispirato ad un manuale fenicio redatto ad uso dei
viaggiatori.
Virgilio nell’Eneide descrive la tragica storia di
Didone, regina di Cartagine, amata e abbandonata da
Enea. Fu lei a guidare la spedizione che fondò
Cartagine dove un giorno approdò Enea, profugo di
Troia.
Lo storico romano Polibio racconta le gesta di An-
nibale che portò un esercito di elefanti ad attraversare
le Alpi nella speranza di vincere Roma ma sarà
sconfitto, nel 203, a Zama da Scipione l’Africano.
Nel 146, dopo tre anni di assedio, Cartagine viene
rasa al suolo per ordine del senatore Marco Porcio
Catone detto il Censore al grido di “ Delenda Cartago
”. La città venne rasa al suolo da Scipione l’Emiliano,
esecutore dell’incendio, il quale vedendo le fiamme
non seppe trattenere le lacrime. Questa la testimonianza
di Diodoro Siculo. Sulle rovine dell’antica città punica
ne è stata ricostruita una nuova. Oggi Cartagine fa
parte del Patrimonio mondiale dell’Unesco.
Le città fenicie d’Oriente erano governate da un re
che era anche il Sommo Sacerdote. Alle dipendenze
del Sovrano un governatore, un comandante sul campo
e un supervisore che gestivano il potere militare, il
potere
civile e quello mercantile. Le città fenicie d’Occidente
ebbero governo repubblicano guidato da due sufeti eletti
dal popolo fra gli abitanti più ricchi essendo la carica
molto costosa. I Fenici furono un popolo di abili ed esper-
ti marinai. La marina era dotata di navi snel-
le con 50 rematori e un rostro di bronzo
per speronare il nemico. Le squadre era-
no composte di 12 navi alle quali veniva-
no aggiunte altre navi minori agili e velo-
ci. La flotta era formata da diverse squadre e
schierava di solito 120 navi, in casi estremi an-
che 200. Si cercava di attaccare vicino la costa dove il
mare tranquillo e permetteva una migliore governabilità
delle imbarcazioni. Come segnale d’attacco veniva
innalzato un drappo rosso.
I Fenici, avevano una sola moglie anche se non era vietato
averne più di una. Re e Principi di solito sceglievano la
moglie in famiglia: spesso era una sorella. La scelta era
legata alla convinzione di avere nelle vene sangue divino:
non volevano contaminarlo generando figli con una donna
che di stirpe divina non fosse.
Le famiglie avevano scuole proprie dove si imparava a
leggere e a scrivere e si studiavano le leggi, i poemi, i
rituali. Alle donne non erano preclusi gli studi. Le case
erano costruite in mattoni su fondamenta di pietra. Le
abitazioni comuni erano modeste con un locale o due. I
benestanti possedevano anche case di due piani con molti
locali rettangolari disposti attorno a un atrio centrale
dotato di un pozzo.
I Fenici curavano molto l’igiene personale e consumavano
gran quantità di profumi e di cosmetici che preparavano
con oli ed erbe aromatiche. Le donne indossavano quasi
sempre vestiti di seta o di pizzo ed i capelli lunghi
raccolti in alto. L’abito maschile variava a seconda del
ceto e delle circostanze: la gente comune portava un
gonnellino corto arrotolato attorno ai fianchi o una tunica
senza cintura. Sul capo un berretto alto a forma cilindrica.
I mercanti indossavano tuniche di lana con una fascia di
cuoio all’altezza del petto: i nobili invece tuniche con
sopra un caftano fermato da un gioiello. Anche gli uomini
portavano orecchini, amuleti, anelli e tatuaggi decorativi.
Alla morte, i defunti venivano cremati o imbalsamati
secondo l’usanza egiziana ed erano accompagnati da un
corredo funebre di gioielli e amuleti, fra questi era molto
diffuso lo scarabeo, simbolo di rinascita. (continua)
Anna Burdua ______________________________
Anna Burdua, ericina, ha conseguito la laurea in materie letterarie
presso l’Università di Palermo. Dirigente del settore cultura (Biblio-
teca, Museo e dell’Archivio Storico) dal 1978 al 2010 ha orientato i
suoi studi principalmente sulla storia di Erice per la diffusione e la
divulgazione del patrimonio storico- culturale.
- 33 -
Antropos in the world
DE COGNOMINE DISPUTĀMUS a cura di Gaetano Rispoli
“ Il soprannome è l’orma di una identità forte, che si è
imposta per una consuetudine emersa d’improvviso, il rico-
noscimento di una nobiltà popolare, conquistata in virtù di
un ruolo circoscritto alla persona, quasi una spinta naturale
a proseguire nella ricerca travagliata di un altro sé. Il
sistema antroponimico era dunque binominale, formato da
un nome seguito o da un’indicazione di luogo (per es.:
Jacopone da Todi), o da un patronimico (Jacopo di Ugolino)
o da un matronimico (Domenico di Benedetta) o da un
attributo relativo al mestiere (Andrea Pastore), et cetera. Il
patrimonio dei cognomi era pertanto così scarso, che
diventava necessario ricorrere ai soprannomi, la cui origine
non ha tempi e leggi tali, da permettere la conoscenza di
come si siano formati, e la maggior parte di essi resta
inspiegabile a studiosi e ricercatori.
Spesso, la nascita di un soprannome rimanda ad acco-
stamenti di immagini paradossali ed arbitrari. Inutilmente ci
si sforzerebbe di capire il significato e l’origine di sopran-
nomi come "centrellaro" o come "strifizzo" o "trusiano",
lavorando solo a livello di ricerca storica e filologica. E
così, moltissimi soprannomi restano inspiegabili, incompren-
sibili, perché si è perso ormai il contesto storico, sociale e
culturale o, addirittura, il ricordo dell’occasione in cui il
soprannome è nato. Verso il XVIII° secolo, il bisogno di far
un po’ d'ordine e la necessità di identificare popolazioni
diventate ormai troppo popolose porta all'im-posizione per
legge dell'obbligo del cognome.
Questo mese, ci occuperemo del cognomi:
Vasto -Vastola. Vastola è presente in 103 comuni italiani, co-
gnome tipicamente campano, soprattutto delle
zone tra napoletano e salernitano, potrebbe
derivare dal toponimo Vasto (CH) o dal latino
'vastus' = vuoto spopolato, incrociatosi poi con
l'a.a.t. 'wuosti' = vuoto, deserto. Per G. Rohlfs
deri-verebbe invece dall'ipocoristico e beta-
cismo del cognome spagnolo Bast.
Il comune di Vasto è delimitato a nord dal
fiume Sinello, a sud dal vallone di Buonanotte,
ad est dal mare Adriatico. Confina con i comuni
di Casalbordino, Pollutri, Monteodorisio, Cupel-
lo e San Salvo. La città sorge in una zona
collinare a 144 m s.l.m. Vasto ha una superficie
di 70,65 chilometri quadrati ed è il quarto
comune abruzzese per estensione territoriale. La
sua costa si estende per 7 km di arenile e 13 km
di scogliera. Il promontorio sul quale sorge la
città dà origine al Golfo di Vasto, l'unica inse-
natura tra il Golfo di Ancona a nord e quello di
Manfredonia a sud.
Giovanni Vastola (San Valentino Torio, 20
aprile 1938) è un allenatore di calcio ed ex
calciatore italiano, di ruolo ala. Dopo l'exploit
in maglia vicentina, nel 1965 passò al Bologna.
Pur in concorrenza con Marino Perani per il
ruolo di ala destra titolare, mise a segno 9 reti
in 18 partite nella sua prima stagione con i
rossoblu, mentre nell'annata successiva trovò
meno spazio, disputando 10 partite con 4 reti.
Adelasia del Vasto, nota anche come Adelaide,
fu la terza moglie di Ruggero I di Sicilia e la
madre di Ruggero II. Nel 1089 Adelasia sposò
a Mileto, in Calabria, il gran conte normanno,
suggellando così un'alleanza tra aleramici e
normanni. Adelasia giunse al porto di Messina
in pompa magna su navi da cui sbarcarono
dote, scorta e un nutrito seguito di suoi conter-
ranei piemontesi che l'avevano seguita per inse-
diarsi nella parte centro-orientale dell'isola.
Dopo la morte del marito, Adelasia divenne
reggente del regno fino alla maggiore età del
figlio (dal 1101 sino al 1112).
Eventi FONDATORE – DIR.
EDITORIALE
Livio Pastore DIRETTORE RESPONSABILE
Sergio Sbarra EDITORE
Ass. Culturale Eventi Via Pedagnali,65 - Sarno (Salerno)
Tel.: 081967292
Antropos in the world
LEVIORA
La barzelletta illustrata da Paolo Liguori
Sui simpatici ed ottimi carabinieri – Siamo in Sicilia, un automobilista vede dei carabinieri ad
un posto di blocco che mettono il dito nei serbatoi delle auto e poi se lo leccano. Ma che cosa
state facendo dice l'automobilista ai carabinieri e i carabinieri, gli ordini sono chiari, dobbiamo
fermare tutte le macchine che vanno a Marsala.
Cose dell’altro mondo – - Anna, è da tanto tempo che ho in mente un brutto pensiero. Il nostro
ultimo figlio non assomiglia affatto agli altri nove. Ormai siamo vecchi, dimmi la verita’. Ha un
padre diverso dagli altri? -. Lei: Ebbene, sì!- . Lui: - Oh, mio Dio! E chi è il padre? -. La moglie:
- Ma sei tu, caro! -
Gira sul web – Due amiche escono dal parrucchiere:- Oddio, mio marito sta arrivando con il
mio amante!- E l’altra:- Che coincidenza, stavo per dire la stessa cosa!-
Cose dell’altro mondo – Intervista in un manicomio, ad un matto che crede di essere il Papa.
- Ma perché è vestito cosi’ tutto di bianco e con la tiara?-
- Ma, caro, non vede, io sono il Papa!-
- E quando è stato eletto? – E lui - Nessuno mi ha eletto; me lo ha detto Dio stesso!-
Un altro matto li’ vicino:- No, guarda che io non ti ho detto proprio niente!-
Vecchia ma sempre bella – Un tizio va a trovare un amico che aveva subito un piccolo interven-
to chirurgico. Entrato in camera rimane sorpreso dal via vai di infermiere che premurose lo accu-
discono, chi accomoda i cuscini, chi rifà il letto, chi porta un dolcetto.
- Ma come mai tutte queste attenzioni – domanda il tizio all’amico – mi sembra che tu non stia
poi cosi’ male?
- Sì e vero… ma si è sparsa la voce che per la mia circoncisione ci sono voluti 37 punti!
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Antropos in the world
L’ANGOLO DELLA SATIRA
REALTA’ ITALIANA di Andropos
Lu donu sacru ( una bella lirica di Santo Grasso)
Nello Stato ballerino
or si paga anche ai grillini.
Tutto crolla, tutto arranca
nel case il pane manca,
ma le tasse in verità
vengon sempre e stanno qua.
L’agenzia delle Entrate
ciecamente dà palate
paga adesso, poi si vede
la giustizia? Chi la vede!
Il pigiòn, la spazzatura,
poi del gas la fornitura,
vien la luce, o marameo!
L’ANGOLO DEL CUORE
Il salasso dell’Ateneo…
Ma bisogna pur mangiare
ed il corpo poi curare?
La vecchiaia, or che incombe,
con gli acciacchi,
anch’essa rompe:
la pressione, poi il diabete,
l’occhio destro che non vede
e la prostata che cede,
poi c’è il cuor che fa cilecca
e l’artrosi che ti becca;
senza soldi, catenazzo,
tu ti curi con il ...zo!
Veni, jèmu alleggiu, nun ti scantari,
tèniti bedda forti a lu me vrazzu,
nun avìri timuri a caminari
e nun pinzari ca nun ci la fazzu.
U sacciu ca sì sempri puntigghiusa
e quantu un filu d’erba vo’ pisari,
nun canci mai, armuzza ginirusa,
pi tia chiddu ca cunta è sulu ‘u dari.
Comu lu suli spanni ‘u so’ caluri,
tuttu lu tempu senza si stancari,
lu stissu ha fattu tu, sempri pi l’atri;
a mia mi dasti senza sgavitari,
‘na cosa di grannissimu valuri:
lu donu sacru di la vita…matri.
Tribàle – 11 / 05 / 2013
Vieni, camminiamo a cuor leggero,
non ti impressionare,
tieniti saldamente al mio braccio,
non aver timore a camminare
e non pensare che non ce la faccio.
Lo so che sei sempre accorta
e nulla ti sfugge, nemmeno un filo d’erba,
non cambi mai, anima generosa,
per te conta solo il dare, a iosa.
E come il sole diffonde il suo calore,
continuamente, senza stancarsi,
così hai fatto tu, per gli altri;
desti a me, senza risparmio,
una cosa di enorme valore:
il dono scaro della vita …madre.
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