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- 1 - ò ς ANNO IX N.RO 06 del 01/06/2013 Pag. psicologica Papa Francesco Kermesse Mater Dei Hardley Richardson Miti della creazione Plauto I grandi misteri Poesia e Religione Idoli infranti Gennaro mio fratello Aisopos et Faedrus Proverbi Momento tenero Pagina medica Antropologia Storia della musica Andraous Eros nei secoli Critica letteraria Politica e Nazione Piatti tipici Dalla Red. di Bergamo I grandi Pensatori Dentro la storia Da altri giornali Immagini daltro tempo De cognomine disput. langolo della riflessione I Fenici abili marinai Leviora La satira Langolo del cuore Gionale sul portale http://www.andropos.eu/antroposint heworld.html Giornale su Facebook https://www.facebook.com/#!/group s/341962645843435/?fref=ts Canale Youtube http://www.youtube.com/user/MrFranc opastore I COMPORTAMENTI A RISCHIO LE PSICOSI ( I parte) L'adolescenza è, dunque, una periodo di conflitti, ma anche di nuovi equilibri ed adattamenti, perché emergono, sulla scena psicologica, scoperte, accettazioni, conflitti, capacità e nuove condotte. I bruschi cambiamenti somatici hanno profonde ripercussioni psicologiche, più o meno immaginarie e simboliche. La cresci- scita fisica attua una modifica dello schema corporeo, delle re- lative agnosie o interiorizzazioni percettive, della rappresenta- zione intrapsichica del corpo e dello spazio e di tutte le equazioni di distanza, con l'insorgere, a volte, di goffaggine, mal destrezza, disattenzione spaziale, difficoltà ad organizzare movimenti fini ed altro. L'adolescenza è una crisi di passaggio e di trasformazione fra la sessualità infantile a quell'adulta. Pur postulando, il concetto di crisi, uno scontro, uno scompenso, una rottura d'equilibrio, ciò non è costante, né deve essere accomunato agli scompensi della patologia. Per questo, invece di crisi negli adolescenti, si è parlato di processo evolutivo, in altre parole, di secondo processo di "individuazione-separazione". Come il bambino piccolo si distacca dalla madre, per interiorizzare la prima esperienza familiare, l'adolescente si distacca dagli oggetti intra- familiari, per una conquista più matura della sua identità. Esaminando il passaggio fra pre-pubertà e adolescenza, risulta più chiaro l'individuazione-separazione dell'adolescente. La prima è caratterizzata da debolezza istintuale o periodo di latenza e da intenso sviluppo dell'io, testimoniata dall'attività conoscitiva e del buon adattamento, fino all'idillio familiare; la seconda da esplosione istintuale o rivolta genitale. Il distacco dai genitori internalizzati, gli interessi extra-familiari, l'innamoramento, la crisi d'identità, la nuova strutturazione e rappresentazione del sé, sono finalizzati alla conquista di una nuova identità, attraverso una nuova separazione. Quando questo non avviene, l'io resta immaturo e si verificano disturbi legati alle fissazioni pulsionali pre-genitali. In altre parole, nell'adolescente affiora un equilibrio mentale diverso dalla fanciullezza, un equilibrio da cui dipenderà la salute e il progresso o la malat- tia. In questa fase, le relazioni sociali dei ragazzi sono caratterizzate dalla ricerca d'amicizie intime dello stesso sesso, l'amico o amica del cuore, che so- no idealizzati, perché costituiscono, in effetti, la ricerca della propria identità sessuale, attraverso un modello d'identificazione esterno. E' una tendenziale omosessualità fisiologica, non patologica, che accompagna la svolta succes- siva del distacco dalla figura materna, dopo che sono ricomparsi l'attac- camento e la paura della seconda infanzia, che sono proprio del complesso edipico. Il rapporto triangolare edipico con i genitori è superato in modo definitivo, quando lo sviluppo è normale. 1 Con questo superamento, l'adolescente accetta il proprio ruolo sociale, maschile o femminile, e compie una definitiva scelta eterosessuale. Negli adolescenti le dinamiche difensive assumono particolari connotati. (Continua) 1) POTITO D., BERNARDI V., BUZI F., LORINI R.; “ADOLESCENTE FRA PSICHE E SOMA”; UTET. European Journalism Legitimation - membership in the GNS Press Association - The ECJ promotes publishing, publication and communication work of all types - P. Inter.nal

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òς

ANNO IX N.RO 06

del 01/06/2013

PPaagg.. ppssiiccoollooggiiccaa

PPaappaa FFrraanncceessccoo

KKeerrmmeessssee MMaatteerr DDeeii

HHaarrddlleeyy RRiicchhaarrddssoonn

MMiittii ddeellllaa ccrreeaazziioonnee

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IIddoollii iinnffrraannttii

GGeennnnaarroo mmiioo ffrraatteelllloo

AAiissooppooss eett FFaaeeddrruuss

PPrroovveerrbbii

MMoommeennttoo tteenneerroo

PPaaggiinnaa mmeeddiiccaa

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SSttoorriiaa ddeellllaa mmuussiiccaa

AAnnddrraaoouuss

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CCrriittiiccaa lleetttteerraarriiaa

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PPiiaattttii ttiippiiccii

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DDaa aallttrrii ggiioorrnnaallii

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II FFeenniiccii aabbiillii mmaarriinnaaii

LLeevviioorraa

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Canale Youtube http://www.youtube.com/user/MrFranc

opastore

I COMPORTAMENTI A RISCHIO LE PSICOSI ( I parte)

L'adolescenza è, dunque, una periodo di conflitti, ma anche di nuovi

equilibri ed adattamenti, perché emergono, sulla scena psicologica, scoperte,

accettazioni, conflitti, capacità e nuove condotte.

I bruschi cambiamenti somatici hanno profonde ripercussioni

psicologiche, più o meno immaginarie e simboliche. La cresci-

scita fisica attua una modifica dello schema corporeo, delle re-

lative agnosie o interiorizzazioni percettive, della rappresenta-

zione intrapsichica del corpo e dello spazio e di tutte le equazioni

di distanza, con l'insorgere, a volte, di goffaggine, mal destrezza, disattenzione

spaziale, difficoltà ad organizzare movimenti fini ed altro.

L'adolescenza è una crisi di passaggio e di trasformazione fra la sessualità

infantile a quell'adulta. Pur postulando, il concetto di crisi, uno scontro, uno

scompenso, una rottura d'equilibrio, ciò non è costante, né deve essere

accomunato agli scompensi della patologia. Per questo, invece di crisi negli

adolescenti, si è parlato di processo evolutivo, in altre parole, di secondo

processo di "individuazione-separazione".

Come il bambino piccolo si distacca dalla madre, per interiorizzare la

prima esperienza familiare, l'adolescente si distacca dagli oggetti intra-

familiari, per una conquista più matura della sua identità.

Esaminando il passaggio fra pre-pubertà e adolescenza, risulta più chiaro

l'individuazione-separazione dell'adolescente. La prima è caratterizzata da

debolezza istintuale o periodo di latenza e da intenso sviluppo dell'io,

testimoniata dall'attività conoscitiva e del buon adattamento, fino all'idillio

familiare; la seconda da esplosione istintuale o rivolta genitale. Il distacco dai

genitori internalizzati, gli interessi extra-familiari, l'innamoramento, la crisi

d'identità, la nuova strutturazione e rappresentazione del sé, sono finalizzati

alla conquista di una nuova identità, attraverso una nuova separazione.

Quando questo non avviene, l'io resta immaturo e si verificano disturbi legati

alle fissazioni pulsionali pre-genitali.

In altre parole, nell'adolescente affiora un equilibrio mentale diverso dalla

fanciullezza, un equilibrio da cui dipenderà la salute e il progresso o la malat-

tia. In questa fase, le relazioni sociali dei ragazzi sono caratterizzate dalla

ricerca d'amicizie intime dello stesso sesso, l'amico o amica del cuore, che so-

no idealizzati, perché costituiscono, in effetti, la ricerca della propria identità

sessuale, attraverso un modello d'identificazione esterno. E' una tendenziale

omosessualità fisiologica, non patologica, che accompagna la svolta succes-

siva del distacco dalla figura materna, dopo che sono ricomparsi l'attac-

camento e la paura della seconda infanzia, che sono proprio del complesso

edipico. Il rapporto triangolare edipico con i genitori è superato in modo

definitivo, quando lo sviluppo è normale.1

Con questo superamento, l'adolescente accetta il proprio ruolo sociale,

maschile o femminile, e compie una definitiva scelta eterosessuale.

Negli adolescenti le dinamiche difensive assumono particolari connotati.

(Continua) 1) POTITO D., BERNARDI V., BUZI F., LORINI R.; “ADOLESCENTE FRA PSICHE E SOMA”; UTET.

European Journalism Legitimation - membership in the GNS Press Association - The ECJ promotes publishing, publication and communication work of all types - P. Inter.nal

Antropos in the world

PAPA FRANCESCO E’ LA CHIESA

Qualche momento è corso via da quella fumata

bianca, da quel “buonasera” pronunciato da un

amico incontrato dopo tanto tempo.

Pochi attimi e l’Uomo è venuto avanti parlando

del bene da fare senza ulteriore indugio per vincere

il male, sfuggendo le parole comprate al banco della

pietà per ottenere una cittadinanza del mondo per lo

più da ricostruire con onestà e amore.

Ricordo che me ne stavo lì senza pensare al toto

papa, alle scommesse, alle probabilità per questo o

quell’altro conduttore-testimone delle scelte profe-

ticamente umane, come delle erranze esistenziali.

In quel nome c’è stato più di quanto il cuore

desiderava, un passo indietro per farne cento in

avanti, Francesco è il nuovo Papa, come colui che

tanto tempo fa scosse la Chiesa dalle sue fonda-

menta, quel giovane con le mani strette a pugno, e

adulto con la spada, con il sangue, con le parole

scagliate senza amore né onore.

Quel Francesco che osa dare le spalle alla sorte,

alle eredità consolidate, alle verità nascoste nei

colpi di maglio, quel Francesco poverello, ma che

poverello non è stato mai, ricco assai più ricco delle

tasche perennemente vuote.

Quel Francesco rivolto alla luna e al sole,

all’uomo e alla natura, è nuovamente su quello

spalto, su quella terrazza, sopra ogni testa, rinnova

la storia che fa propria, dentro una preghiera

sottovoce, in punta di piedi.

Abbiamo il Papa, stavo per dire il Papa buono,

come lo fu un altro, come lo furono chi più, chi

meno, tutti gli altri, ma su quel più e quel meno c’è

a fare da ponte la resistenza e la capacità dell’uma-

nità, che non sarà mai imbrogliata dagli eventi

costruiti a misura, dagli accidenti scivolati giù da

qualche palcoscenico.

Francesco è fratello lupo, non viene meno alla

vita neppure da addormentato, due lupi che non si

sbranano, invece s’incontrano ogni volta e si

annusano, si mettono in cammino, compagni di

viaggio. Quanto lasciano dietro non sono segni

incomprensibili di una grammatica sgangherata, ma

punteggiatura visibile, contabile, sommabile, orme

digitali due passi alla volta, si muovono prima,

durante e dopo, senza prestare i fianchi alla

disattenzione, eretti a mezzo e di traverso alle tante

diaspore, alle troppe ritirate, alle opere di bene

raccontate comodamente dai comodi rifugi, dove di

accettabile non c’è nulla, neanche le ribellioni, le ri-

volte, le fughe da una giustizia, ridotta a professarsi

senza fissa dimora, perennemente ubriaca di promes-

se mai mantenute.

Papa Francesco è la Chiesa, forse non

basta più la sola coerenza, occorre la

generosità che fu di quel “Lupo Fran-

cesco”, come ti sei voluto chiamare, il

quale ci manda a dire ancor oggi quanto l’umiltà non

possa sposarsi con l’imposizione, soprattutto quando

quest’ultima giunge da quella Istituzione che a sua

volta dovrebbe farne buon uso, come a noi stessi è

stato chiesto, e continua a essere richiesto. Vincenzo Andraous

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Antropos in the world

PAGANI ACCOGLIE ENTUSIASTA IL PRIMO CONCORSO

DI POESIA RELIGIOSA “ MATER DEI “

in toni, altamente lirici, ciò che rappresenta il

messaggio mariano: la purezza della vera cristia-

nità, intrisa di luce, di difesa dei deboli e dei bi-

sognosi. La visione del mattino che vince sulle

tenebre della notte è la luce divina della Vergine

“il cui silenzio è musica che chiede d’essere

ascoltata”.

Il terzo premio alla Professoressa Spagnuolo

Loredana, con la lirica “Maria l’Accogliente”,

per la genuinità del dialogo poetico, che fa

pensare ad un ricorso quotidiano alla Madre di

Cristo, intesa come “forza senza fine, pura grazia

e madre premurosa”. Intanto, il terzo premio, ex aequo, al poeta Criscenti Alberto, per la lirica

“Maria del Carmine”, purtroppo non è stato

ritirato per l’assenza dell’autore.

Il quarto premio all’ottimo poeta caserta-

no Nicolò Antonio, con la lirica “A Maria SS.

Addolorata”, che ha inteso, con i suoi versi, ce-

lebrare la Vergine, come Madre del dolore e del

perdono.

La Rivista letteraria di Salerno

in collaborazione

con L’Ente Parrocchia SS. Corpo di Cristo, Chiesa

Madre in Pagani e la Fondazione del Carminello ad

Arco, il 27 maggio, alle ore 19,30 ha realizzato la

cerimonia di premiazione del primo concorso di poesia

religiosa Mater Dei. Dopo il saluto di benvenuto agli

astanti, del Direttore responsabile di Antropos in the

world, Franco Pastore, ha preso la parola il dott. Renato

Nicodemo (mariologo), per una breve dissertazione sul

rapporto tra poesia e religione cristiana.

Di poi, la proclamazione e la premiazione dei

vincitori del Concorso, così come segue: il primo

premio al Prof. Galli Giovanni di Savigliano, per il

tono lirico, la competenza linguistico-espressiva e

l’ispirazione poetica della lirica “Virgo Fidelis”;

il secondo premio al poeta Giuffrida Farina, con la

lirica “Il primo sole della notte”. per aver tradotto

Antropos in the world

Il quinto premio al poeta romano Bruno Guidotti,

con la lirica “Dolce Maria” sull’Annunciazione e la

Maternità della Vergine.

Dopo un breve intermezzo musicale del noto bari-

tono Ermanno Pastore, sono stati assegnati i premi

alla cultura ed all’impegno sociale.

A Don Flaviano calenda, per aver ideato e concre-

tizzato LA MENSA DI TOMMASO, un’oasi di bene

e di speranza, in un momento di crisi economica ed

istituzionale. Per aver dato a Pagani un nuovo volto,

improntato alla generosità cristiana ed infrangendo

così l’odiosa etichetta di città malavitosa.

Ai premiati opere del maestro Gaetano Rispoli.

Al dott. Renato Nicodemo, per i suoi studi in

mariologia, in pubblicazioni di ampio respiro e per

il suo impegno costante sullo stesso tema, su riviste

e portali di mariologia.

A Suor Claudia di Notte, infaticabile nel provve-

dere energicamente ed tenacemente alle esigenze

della mensa di Tommaso, per un’azione di carità

cristiana più efficace, nelle necessità quotidiane.

Alla redazione di Angri, per la collaborazione

efficace e fattiva, grazie all’ottimo Redattore gior-

nalista Carlo D’Acunzo, sensibile alla cultura ed

alle sue dinamiche di diffusione.

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Antropos in the world

La giovane poetessa Liguori Daniela, riceve il

quinto premio ex aequo, per una preghiera schietta,

essenziale alla Vergine, intesa come madre di mise-

ricordia e di bene. Applauditissima Suor Tecla, Ma-

dre Generale delle Francescane, nel suo breve saluto

Il lupo ed il pastore

Un lupo andava al seguito di un gregge di pecore, senza far loro alcun male. Il pastore, sulle prime, lo teneva a bada come un nemico, e lo sorvegliava con estrema diffidenza. Ma quello ostinatamente lo seguiva, senza arrischiare il minimo tentativo di rapina. Così gradatamente il pastore si convinse di avere in lui un custode, piuttosto che un nemico intenzionato a danneggiarlo. Un giorno ebbe bisogno di recarsi in città, gli lasciò le pecore in custodia e partì tranquillo. Ma il lupo seppe cogliere l'occasione: si lanciò sul gregge e ne fece strage sbranandone una gran parte. Il pas tore, quando fu di ritorno e vide la rovina del suo gregge, esclamò: - Mi sta bene! Quale stupidità mi ha spinto ad affidare le pecore ad un lupo? Allo stesso modo, coloro che affidano i propri beni a persone avide naturalmente li perdono. (Aἲsopo– μύθοCCXXIX)

____________________

Lexicon necessarium:

Appriésse: avv. e prep.; da ad-pressu(m), appresso. Scannàje: Scannò le pecore. Jettà: lanciarsi giù; dal lat jectāre, int. di jacěre.

agli astanti. Alle ventidue, sulle note della Ave

Maria di Gounod.si è conclusa la cerimonia.

Sotto il link del video della Kermesse:

http://youtu.be/uSw1pwQYbwY

‘O LUPO E ‘O PASTORE (‘O lupe perde ‘o pìle ma non ‘o vizio)

‘O lupo ‘jéve appriésse ‘e pecurèlle, ma non faceva loro nesciùnu male. ‘E guardava, tanto ch’èrane belle , e ‘a pazienza è ‘na virtù ca vale. ‘O pastore s’abituàje a vederlo cumme ‘n’amico fedele, ‘nu protettore, e ci affidàje ‘e pecore a chìllu signòre. Ma cùmme ’na mattina jètte in città, ‘o lupo se mettètte ‘a faticà: ce scannàje ‘e pecore una ad una, p’accìre e po’ sfizie ‘e magnà, e ne lasciàje viva sulo qualcuna. Quànne turnàje ’o pastore, gridàje, parlànne a se stesso: No, nu’ so’ ‘nu pastore, ie so’ fess , che s’àdda jettà ndà ‘nu dirupo, ‘agge affidato ‘e pèchere ‘a ‘nu lupo!- _______________

Fabula docet (‘ύò: Coloro che affidano a persone avide i loro beni, naturalmente li perdono. Nulla può cambiare la persona avda e cattiva.

AISOPOS ET PHAEDRUS IN NAPOLETANO

ύὶή

(Da AISOPOS, favole greche in napoletano, di Franco Pastore)

Antropos in the world

IL TEATRO COMICO ROMANO – a cura di Andropos

La parola commedia è tutta greca: κωμῳδία, "comodìa", infatti, è composta da κῶμος, "Kòmos", corteo festivo e ᾠδή,"odè", canto. Di qui il suo intimo legame con indica le antiche feste propiziatorie in onore delle divinità elleniche, con probabile riferimento ai culti dionisiaci . Peraltro, anche i primi ludi scenici romani furono istituiti, secondo Tito Livio, per scongiurare una pestilenza invocando il favore degli dèi. I padri della lingua italiana, per commedia intesero un componimento poetico che comportasse un lieto fine, ed in uno stile che fosse a metà strada fra la tragedia e l'elegia. Dante, infatti, intitolò comedìa il suo poema e considerò tragedia l’Eneide di Virgilio. La commedia assunse una sua struttura ed una sua autonomia durante le fallofòrie dionisiache e la prima gara teatrale fra autori comici si svolse ad Atene nel 486 a.C. In altre città si erano sviluppate forme di spettacolo burlesche, come le farse di Megara, composte di danze e scherzi. Spettacoli simili si svolgevano alla corte del tiranno Gerone, in Sicilia, di cui purtroppo, non ci sono pervenuti i testi. A Roma, prima che nascesse un teatro regolare, strutturato cioè intorno a un nucleo narrativo e organizzato secondo i canoni del teatro greco, esisteva già una produzione comica locale recitata da attori non professionisti, di cui non resta tuttavia documentazione scritta. Analogamente a quanto era accaduto nel VI secolo a.C. in Attica, anche le prime manifestazioni teatrali romane nacquero in occasione di festività che coincidevano con momenti rilevanti dell’attività agricola, come l’aratura, la mietitura, la vendemmia.

PLAUTO: PERSA (II sec. a.C.)

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Come la satura, anche la recitazione dell’atellana pre-

letteraria fu prerogativa dei giovani romani. Essi, nel

tentativo di soddisfare il loro desiderio di recitazione

senza incorrere nelle pene previste dalla legge per un

cittadino che si dedicasse in forma professionale alla

carriera dell’attore, diedero vita ad una forma teatrale

per dilettanti, caratterizzata da un’accesa oscenità e da

una forte aggressività verbale, oltre che dalla ricorrenza

di maschere fisse (per esempio, Marcus, "lo sciocco",

Pappus, "il vecchio avaro"). L’atellana trovò collocazione

in coda alla rappresentazione degli spettacoli teatrali

regolari di tipo tragico, con il nome di exodium

Atellanicum. Il teatro comico regolare si sviluppò a Roma,

insieme a quello tragico, a partire dalla seconda metà del

III secolo a.C.: l'aspetto rilevante è che di questa

produzione comica non sono sopravvissuti solo frammenti,

come nel caso della tragedia latina arcaica, ma un

cospicuo numero di opere che costituisce un'eccezionale

documentazione: ventuno commedie di Plauto e sei di

Terenzio. Titus Maccus Plautus, nacque a Sarsina, tra il 255 e il

250 a.C.; i tria nomina si usano per chi è dotato di

cittadinanza romana, e non sappiamo se Plauto l’abbia mai

avuta. Un antichissimo codice di Plauto, il Palinsesto

Ambrosiano, rinvenuto ai primi dell’800 dal cardinale

Angelo Mai, portò migliore luce sulla questione. Il nome

completo del poeta tramandato nel Palinsesto si presenta

nella più attendibile versione Titus Maccius Plautus; da

Maccius, per errore di divisione delle lettere, era uscito

fuori il tradizionale M. Accius . Plauto fu un autore di

enorme successo, immediato e postumo, e di grande

prolificità. Inoltre il mondo della scena, per sua natura,

conosce rifacimenti, interpolazioni, opere spurie. Sembra

che nel corso del II secolo circolassero qualcosa come

centotrenta commedie legate al nome di Plauto: non

sappiamo quante fossero autentiche, ma la cosa era ogget-

to di viva discussione. Nello stesso periodo, verso la metà

del II secolo, cominciò una sorta di attività editoriale, che

fu determinante per il destino del testo di Plauto.

Trama: Approfittando dell'assenza del padrone, Tos-

silo si reca dal lenone Dordalo per comprare la

sua amata cortigiana di nome Lemniselene.

Per questo, chiede il denaro necessario a Sagari-

stione, un suo amico, che, dopo qualche giorno,

glielo fornisce generosamente. In questo modo Tos-

silo libera velocemente Lemniselene. Per recuperare

il denaro speso, Tossilo convince Dordalo ad acqui-

stare una fanciulla persiana, avvisandolo che, se il

padre della fanciulla l'avesse reclamata, lui sarebbe

stato costretto a restituirla. La fanciulla era in realtà

la figlia di Saturione travestita. Tossilo intanto esco-

gita con il parassita Saturione, padre della ragazza,

di far travestire quest'ultimo da persiano, per ripren-

dersi la figlia. Così Saturione, arrivato sulla scena

per riprendersi la figlia, minaccia Dordalo di por-

tarlo in tribunale per commercio illegale di ragazze.

Tossilo infine festeggia con tutti i suoi amici davanti

a casa e Dordalo, intrufolatosi nella festa, finisce

deriso, beffato e bastonato.

Sinossi: IL PERSIANO si svolge attorno a una delle

piazze principali di Atene, tra le case di due dei

protagonisti: quella di Dordalo, nella quale avviene

la compravendita delle cortigiane, e quella dove di-

mora Tossilo,lasciatagli in cura dal padrone per lun-

lungo tempo. Anche se non descritta né nominata

esplicitamente, un'esigua parte della commedia è

ambientata nella casa del parassita Saturione, dove,

nella scena in questione, discute con la figlia.

E’ una forma di recitazione attraverso la quale i

personaggi interagiscono con il pubblico rompendo

l'illu-sione scenica. Un altro tipo di metateatro è l'e-

splicitare che l'azione che si sta compiendo in quel

momento fa parte di una rappresentazione teatrale.

Nel testo sono presenti numerosi riferimenti sto-

rici: il collegio triumvirale degli Epulones, istituito

nel 196 a.C., il rif. ai re Filippo e Attalo, che si sono

scontrati nel 197 a.C., e quello che sembrano allu-

dere ai ludi Romani del 197.

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Antropos in the world

I GRANDI MISTERI

ORIGINI ARCAICHE DI VENEZIA Ora è più facile capire la cronaca là ove è scritto

che attorno al 1.000 Venezia era tutta un cantiere:

così il Galliciolli! Infatti i cristiani solo a tempi

lunghi poterono avere a disposizione un alloggio

decente. Essi, venuti dalla terraferma, fuggiaschi,

privi di tutto, avevano dovuto sistemarsi in case di

tavola e paglia (i famosi casoni); poi, attorno al 1000

- appunto - riusciranno a costruire le loro casette

familiari o a schiera, o in calle oppure a campiello.

Nei grandi palazzi dei clan si erano forse sistemate le

grandi famiglie patrizie come i Ca' Giustinian, i Ca'

Roman, i Ca' Vendramin, ecc. Gli incendi, di cui tutte

le cronache di Venezia riferiscono anche le date

(1105, 1114), altro non sarebbero che roghi festosi

con i quali si celebrava l'entrata ormai nei palazzi e

ancor di più nelle chiese: sarebbero i fuochi

celebrativi della Venezia rinata alla fede cristiana. Si

può quindi accettare il 25 Marzo del V secolo, come

primo esercizio liturgico nella prima chiesa di San

Giacometo, da pagana diventata cristiana.

La vita civile va assumendo una fisionomia sem-

pre più consona alla Fede, cui concorre l'opera degli

stessi dogi. Si continua l'attività commerciale con

l'Oriente e Venezia si muoverà tra le isole dell'Egeo

come sorella tra sorelle di palazzo. In questo contesto

mi pare che difficilmente si potrà dare ragionevole

credito ad una storia dell'arte che per Venezia è fatta

con una scadenza di stili poco più che centenaria.

Lo stile è frutto di esigenze di vita: ora ogni cam-

biamento di stile suppone una trasformazione o un

trauma o una metamorfosi collettiva di un popolo,

che solo a distanza di millenni si può riscontrare.

Detto tutto questo come impostazione generale,

veniamo ora a vedere se questa chiesa e altri monu-

menti cittadini offrono prove dell'argomento.

La Chiesa di S. Nicolò, nella fase primitiva - ossia

antica - appare tutta scolpita dentro e fuori. La

costruzione ha riferimenti precisi alla 'barca dei

morti', ossia alla 'barca del Sole', che va da Oriente a

Occidente. Infatti, se vediamo la chiesa rovesciata,

osserviamo che il tetto fa da chiglia, che le arcate con

colonne sovrapposte sarebbero rappresentazioni del

seno materno della Terra con tanto di monumento fu-

nebre sui morti rappresentati nella scultura delle

pareti: si sa che attorno al 3000 a.C. veniva data ai

morti sepoltura con collocazione fetale.

La chiesa presenta uno sghembo (inclinazione)

ben visibile anche nella gondola; al tetto vi è una

ruota piena in funzione di puleggia d'armamento;

una delle arcate è sostituita da una soglia (archi-

trave), probabile porta di entrata dei morti. Dalle

zone riservate alle donne e alle donne era possibile

vedere - dipinta sopra una grande tavola - la barca

del defunto, sostenuta da quattro colonne all'altezza

o al posto dell'attuale iconostasi. Oltre queste

colonne il mègaron o sala di accoglienza, chiusa da

sedili di legno istoriati con la tecnica dell'incisione, a

due metri dal mègaron vi è la zona sacra (attuale

presbiterio) indicata da corna di consacrazione che

affiancano l'altare. Dietro l'altare, nel fondo dell'absi-

de, la finestra di presentazione dalla quale il Principe

assisteva ai sacrifici: la principessa vi assisteva dal

matroneo nel fondo della chiesa (attuale cantoria).

Che gli uomini partecipassero da zona separata da

quella delle donne, fa fede il fatto che la transenna di

separazione era ancora in piedi nel 1580. Tutta la

chiesa aveva livelli diversi degli attuali: dai 50 cm

nelle navi, si arrivava a 90 in crociera e a 1 metro e

20 all'abside sotto l'attuale pavimento.

La zona delle cappelle era

segnata da stanze alternate a

cortili-luce interni. Vi era un

altare per ogni settore di per-

sone,ove si potevano porre re-

sine ed incensi sino a coprire

le immagini scolpite o incise

sopra l'attuale mensa.

A Pellestrina, l'altare è anche affiancato da due

rappresentazioni di faraone spiritualizzato.

All'esterno vi erano due vestiboli: uno per gli uo-

mini e uno per le donne. In facciata, le sale mensa e i

servizi di cucina.L'alluvione preistorica è qui presen-

te con il fango sino a quota superiore i cinque metri

in presbiterio.

Nella seconda epoca, o epoca media, i Greco-

Minoici vengono a Mendìgola. Notiamo che questa

isola è la più a Ponente tra quelle del centro storico.

A quanto pare si svuota la chiesa dal fango che si

depositava appena fuori, in campo, così da formare

quella montagnola che sarà lamentata dai Gastaldi

del 1500 in Pregàdi. Le pareti vengono ornate di

affreschi con la ripetizione delle rappresentazioni

funebri o di vita in relazione all'uso di zona; per

esempio, nel giro dell'abside è presente la scena dei

sacrifici e della sepoltura.

Ci si accorge però ben presto della fragilità degli

affreschi. (Continua)

Daniela Bertolucci

( III parte )

Antropos in the world

POESIA E RELIGIONE CRISTIANA Relazione di Renato Nicodemo tenuta alla cerimonia di premiazione del Concorso nazionale

di poesia religiosa “MATER DEI”, al Carminello ad Arco, in Pagani, lunedì 27 maggio 2013.

Dio e il poeta

Ci sono cose che persino Dio

Ignorava

Fino a quando il poeta

non le ha dette

- voleva che fosse lui a scoprirlo

perché libertà e bellezza

si fidanzassero felici

sotto i suoi occhi prima che la Verità

le sposasse entro la luce che le eterna –

Ci sono cose che il poeta

preferisce tacere

perché il silenzio le custodisca meglio

fino a quando la sete imperiosa

dell’uomo

le rapisca alla roccia riarsa

del deserto

Marcello Camillucci

Il rapporto tra poesia e religione cristiana è - come

direbbero i matematici – un sottoinsieme del rapporto tra

poesia e poesia religiosa in genere, dove si coniuga il sen-

timento del divino intrinseco in ogni uomo con la espre-

sione poetica.

Giambattista Vico sottolinea questo legame tra poesia e

religione quando parla di “poeti teologi” (1)

L’uomo, infatti, è capax Dei, nel senso che, fin dal-

l’inizio, la sua ricerca di Dio si è espressa in molteplici

modi, attraverso credenze e comportamenti religiosi:

preghiere, sacrifici, culti, meditazioni, e arte nella sue varie

manifestazioni. Il prof. Concetto Marchesi scriveva a suo

tempo che “Le origini della poesia si fondono spesso con i

canti e i rituali religiosi”.

Se poi la categoria del sacro non viene individuata in

una precisa dimensione confessionale, si può considerare

poesia religiosa, ad esempio, anche quella di Montale, (che

non aderì mai espressamente a nessun credo religioso) e

quella che non parla nemmeno di Dio ma è capace di an-

dare oltre. David Maria Turoldo diceva che la poesia più

religiosa che esista è L’infinito di G. Leopardi, perché la

creatura è desiderio d’Infinito, nostalgia di un Altrove:

agostinianamente potremmo ripetere “Ci hai fatti per Te,

Signore”.

Dunque tutto ciò che è un fatto di anima o si svolge

nell’ambito della coscienza, se manda fremiti o armonie, è

pura poesia e poesia religiosa, perché l’anima, immagine

di Dio, rende sacro il canto. Petrarca scrisse che “la poesia,

in quanto vera poesia, è sempre sacra scrittura”.

Nello stesso mondo pagano la poesia fu sempre una

cosa sacra, un’attività divina.

Già Omero domanda ispirazione alla Musa

Cantami, o Diva, del Pelide Achille (Iliade);

Musa, quell’uom di multiforme ingegno dimmi (Odis-

sea);

Virgilio dichiara: Et me fecere poetam,

Pierides (Bucoliche);

Orazio si definisce musarum sacerdos

(Odi ); e Cicerone afferma :Ennius san-

ctos appellat poetas e poi: accepimus poe-

tam quasi divino quodam spiritu inflari (Pro Archia.)

“Una religione è vera quanto l’altra” sosteneva Robert

Burton, scrittore inglese del Seicento.

Mai come oggi, nell’epoca della multiculturalità e del-

la tolleranza, questa frase risulta veritiera.

Ciascuna religione, dalle più primitive alle più mo-

derne, assolve il ruolo di ricerca di contatto dell’umano

con il divino, con i propri principi, le forme di devozione,

i riti, le festività, le preghiere. Vi sono, pertanto poesie,

che spesso sono preghiere e inni, relative a civiltà di-

verse nel tempo e nello spazio. Ricordo, per indicarne

qualcuno, l’Inno Ashanti dell’Africa occidentale, quello

sumerico alla Dea Ishtar, al Dio Sole, egiziano ,a Shi-

King cinese, i canti degli Indiani d’America (2)ed, infi-

ne, i Salmi di Davide, che sono un monumento di poesia

e di fede che rispecchiano l’anima religiosa di Israele ed

il Canto dei cantici di Salomone, che è un vero poema

d’amore appassionato ed esplicito tra due giovani, assun-

to dai profeti come parte integrante della Rivelazione a

significare i rapporti tra Dio e Israele.

Enzo Bianchi, nel suo “Poesie di Dio” individua alme-

no quattro campi ai quali fare riferimento per parlare di

“poesia della fede”.(3)

Un primo campo comprende le poesie che fanno rife-

rimento diretto alla divinità, che possiamo definire della

devozione.

Un ulteriore aspetto riguarda l’immagine che il poeta

riferisce alla divinità: può essere la divinità che consola,

che punisce, che partecipa alle pene umane o che esprime

la sua grandezza nel distacco delle cose terrene. E’ il

campo dell’immagine.

Non vanno tralasciati i poeti che esprimono la propria

religiosità sviluppando i temi dell’incompiutezza della

propria natura, della condizione umana, dell’aspirazione

alla elevazione, della pace, della morte. E’ il settore del-

l’introspezione.

Altri poeti, ancora, ritrovano la propria religiosità

nell’osservazione della natura, nell’intimo contatto con i

suoi elementi, vissuti come tranquilla manifestazione

della grandezza divina. Ci riferiamo alla ricerca di Dio

nella natura. In questo caso più che di “poesia religiosa”

che esprime per immagini le certezze della fede, si può

- 8 -

- 9 -

Antropos in the world

parlare di “religiosità della poesia” che attraverso im-

magini sensibili si innalza al divino rintracciando nella

natura le orme e le tracce del Creatore (coeli narrant glo-

riam Dei -Sl 18,2-) (4)

Prima di accennare alla poesia cristiana mi soffermerò

brevemente su due questioni:

- E’ poesia quella religiosa?

- Vi è rapporto tra poesia e preghiera ?

Per quanto riguarda il primo interrogativo ricordo che

la concezione crociana ritiene che vi sia un sostanziale

contrasto fra poesia e religione, non superabile che nello

“sperdimento” o risoluzione “umanante” della prima

nella seconda. (5)

Secondo questa critica un credente non può essere un

poeta. Il cattolico, si sostiene, è legato al dogma e quindi

non può fare letteratura. A voler essere consequenziali

un credente non potrebbe fare nemmeno pittura, scultura,

musica. Lo stesso Croce, infatti, nel saggio relativo al

Quattrocento, un secolo che giudicò senza poesia, ebbe

ad affermare che la mancanza di poesia fu dovuta alla

mancanza di personalità poetiche e non di “materia

poetica”, che questa – disse – “ non è altra che quella che

la personalità poetica rende poetica e crea; sicché nel

mondo di tale materia ce n’è sempre quanta se ne

richiede o non ce n’è nessuna, secondo che intervenga o

no l’azione creatrice”. (6) Dal che, se uno è poeta, può

scrivere vera poesia sia religiosa che profana!

“I’ mi son un, che quando/ Amor mi spira, noto, e a quel

modo/ ch’e’ ditta dentro vo significando” risponde Dante

a Bonagiunta da Lucca (Pg 24, 52-54).

Il Carducci, “Scudiero dei classici”, chiude la lunga

ode “La chiesa di Polenta” con la stupenda celebrazione

dell’incanto dell’Ave Maria” , dove il sommovimento e il

sospiro sono troppo veri per essere considerati solo lette-

ratura.

La verità è, dunque, che, come sostiene il padre

gesuita Ferdinando Castelli, quando la fede non è ritua-

lismo, bensì esperienza profonda, ecco che può far na-

scere grandi opere.

C’è una poesia religiosa pronta al concreto richiamo

di una committenza – un popolo, una Chiesa – e una che

di solito non ha altro committente se non la nuda ispi-

razione del suo stesso autore.

Vi sono, poi, moltissimi poeti non credenti che, per

un attimo, di fronte al Natale, ad esempio, hanno sentito

la presenza del mistero del Figlio di Dio che si fa uomo,

nella storia dell’uomo, per salvare l’uomo.

Il sentimento religioso, inoltre, “è tutt’altro che ridut-

tivo, se è vero che indica un’apertura dell’umano sul suo

continuo trascendersi, fino alle soglie del divino. Dio non

è morto, anche se il suo silenzio, nel grande frastuono del

mondo, sembra farsi più fitto e impenetrabile. Anche la

poesia non è morta, e per questo non cessa di interro-

garLo, con la voce della preghiera o della disperazione.

Nel tempo della notte del mondo – ha scritto Heidegger –

i poeti,cantando, inseguono il sacro”. (Cristini) (7)

Osserva il teologo Rahner (8)” La parola poetica è più

originaria, più completa, più viva di quella di alcuni

teologi, che vanno fieri proprio del fatto che non sono

poeti. Ahimè! Dove sono mai i bei tempi nei quali i grandi

teologi erano anche poeti e componevano inni?” I poeti,

non solo i sacerdoti, sono “ministri della parola”. “Quan-

do la Parola di Dio tocca la sua massima altezza aspre-

siva, e quando si immerge nell’abisso del cuore umano,

essa è una parola poetica”.

I grandi poeti religiosi, d’altra parte, sono tali perché

giudicati sul piano estetico-letterario e non su quello della

testimonianza storica o morale. Non è, infatti, una garan-

zia sul piano letterario essere preti-poeti. “E’ una gran

signora la poesia/ e capita di rado in sacrestia”, scrive il

poeta polacco Janusz Pasierb. Grandi eccezioni comunque

ci sono: Jacopone da Todi, S. Giovanni della Croce,

Wojtyla, Turoldo Rebora, Hopkins, per citarne alcuni.

Nel sentimento religioso e nell’ispirazione poetica è

possibile riconoscere, sottolinea padre Spadaro, critico let-

terario de “La Civiltà Cattolica”, alcuni gesti profondi

comuni: il raccoglimento, il ritmo di attività e passività, di

iniziativa e di accoglienza della gratuità di una “visita”.

Esiste un’analogia e una continuità fra le due esperienze a

tal punto che un grande studioso di mistica e di poesia,

l’abbé Henri Bremond, si rivolse proprio all’esperienza

mistica per chiarire la natura dell’esperienza poetica, per

cui – e siamo al secondo interrogativo - ogni poesia è pre-

ghiera (9) , intendendo per preghiera una compo-sizione

animata da un senso di vissuta religiosità, da un desiderio

di una comunicazione col divino. (10)

Pur essendoci molti esempi di preghiere poetiche e di

poesie oranti, non tutti però concordano con questo as-

sunto, in primo luogo perché il carattere proprio della

esperienza poetica è quello di essere comunicabile ed in

questo senso il poeta si avvicina più al profeta che al

mistico, perché il profeta ha il compito fondamentale di

comunicare ciò che ascolta o ciò di cui fa esperienza, e

poi perché i poeti, quando scrivono, non sempre sentono

di pregare. La poesia così intesa resterebbe in una sola

direzione, come termine unico e finale, e il concetto di re-

ligione acquisterebbe confini certamente abusivi. Al con-

trario, nonostante certa qualificata critica, la poesia, come

qualunque altra manifestazione artistica, può elevarsi fi-

no ad essere colloquio aperto o anche appena accennato

con Dio.

Il sentimento religioso, inoltre, non si manifesta sol-

tanto con la preghiera umile, […] ma anche con un grido

improvviso e incontrollato che erompa dal cuore del poeta

e si elevi a Dio.

Sarà esso una meraviglia sognante fra le bellezze del

creato o ansia di solitudine fra i rumori umani o ribellione

improvvisa che si placa, o sorpresa ingenua, o conquista,

o relazione anche strana e inconclusiva che si stabilisce

tra l’effimero e l’eterno. (11)

Antropos in the world

- 10 -

Ricordo in proposito che il beato G.P. II ha pubbli-

cato, fra gli altri, due libri, uno intitolato “Poesie”, l’altro

“Le mie preghiere”.

Venendo alla poesia cristiana essa parte, ovviamente,

da Cristo che con la sua venuta ha messo nel suo pro-

gramma la ricomposizione dell’universo sbandato, il rin-

novamento di ogni cosa in Lui (Ef 1,10) ed in modo emi-

nente la poesia, perché il Verbo inserendosi nella uma-

nità, non ha solo portato o rafforzato l’ispirazione ma pro-

pone se stesso come parola o musica eterna che risuona

nel tempo.

Il cristianesimo è una religione universale, presente in

misura diversa in ogni regione della Terra dove abbiamo

da sempre esempi di poesia cristiana.

Nella mia silloge mariana “Umile e alta – La Vergine

nella poesia di tutti i tempi” vi sono poesie che vanno dai

primi secoli del cristianesimo fino ai nostri giorni di

poeti, anche “maledetti”, di ogni nazione e continente.

Questo perché, come osservava il beato Newman, la

“Religione Rivelata ha da essere singolarmente poetica e

tale è in effetto. Presso i Cristiani la visione poetica delle

cose è un dovere, e noi siamo tenuti a stendere sopra ogni

cosa i colori della fede” E ancora: “Che cosa è la Chiesa

cattolica contemplata nel suo aspetto umano se non la

disciplina degli affetti e delle passioni, che cosa sono le

sue ordinanze e pratiche se non la regolata espressione

d’intensi e profondi e torbidi sentimenti e così una purifi-

cazione, come direbbe Aristotele, dell’anima inferma?”;

egli vedendo così nel Cristianesimo non soltanto la fonte

perenne e unica della verità, ma anche una sorgente di

ispirazione poetica, ravvisava in esso tutti i caratteri della

“poeticità”. Così come la poesia pagana fu essenzialmen-

te mitologica, quella cristiana di tutti i secoli è tipica-

mente simbolica, ed ha il primo e suo grande modello

nelle parabole evangeliche.(12)

Ed ecco una veloce carrellata della sola poesia cri-

stiana (cattolica) italiana. Roma e l’Italia, non dimenti-

chiamolo, hanno avuto da Dio il privilegio di essere il

baricentro della cristianità dove Pietro, Paolo e uno stuolo

di Martiri hanno versato il sangue per il Vangelo e qui il

sentimento religioso cristiano è all’origine della nostra

letteratura. La stessa casa di Nazareth è stata trasportata

dalla terra di Cristo a quella del suo Vicario. L’identità

vera e profonda dell’Italia è, infatti, inequivocabilmente

cattolica e le prove le abbiamo non solo negli itinerari di

fede, nelle attività sociali ma anche nella cultura e nel-

l’arte. Qui – affermò Mario Luzi “ La poesia porta acqua

al mulino della religione, fornisce rivelazioni, intuizioni,

testimonianze, rinnova le fonti della meditazione .”

Certo, la storia della poesia religiosa ha molti capitoli.

Intesa laicamente è una poetica di buoni sentimenti. Tutti

si possono imbarcare facilmente. Ma se intendiamo la

poesia religiosa nel significato cattolico e sacramentale

pochi sono i testimoni. ( Grisi )(13)

Della poesia cristiana latina che inizia con l’Anonymi

carmen de laudibus Domini (un’opera in esametri di 148

versi del I secolo) ricordo solo le liriche dell’Arcive sco-

voscovo di Salerno, Alfano I, universalmente ritenuto il

miglior poeta lirico del secolo XI, “di cui si leggono

ancora, per la virgiliana finezza, gli inni alla Vergine, ai

martiri e l’ode a Montecassino”. (14) Ed ecco il Libro

delle tre scritture (la negra, la rossa e la dorata) di Bon-

vesin da la Riva e il De Jerusalem coelesti e il De Babi-

lonia civitate infernali di Giacomino da Verona che scris-

sero in versi l’oltretomba prima di Dante.

Segue Francesco d’Assisi che col Cantico di Frate

Sole “ci dona per primo la voce della preghiera alla poe-

sia italiana”.

Tra le molti Laudi che si diffusero nel XIII secolo fa-

mose sono quelle di Jacopone da Todi tra cui il notissi-

mo Pianto della Madonna. “Per vedere a quali estremi di

dolcezza e di forza giunga la sua poesia ,si legga la “Con-

tenzione in fra l’anima e il corpo” o “De la contempla-

zione de la morte et incinerazione contra la superbia”.

Dante Alighieri, si sa, con la sua Commedia, chiamata

divina dai posteri, descrive la storia allegorica di un viag-

gio oltremondano che lo porta dal peccato alla visione di

Dio per intercessione della Vergine Maria.

E alla Vergine Maria si rivolge il Petrarca alla fine del

suo Canzoniere. Si noti che il numero d’ordine 366, che

ci ricorda il massimo dei giorni di cui può essere com-

posto un anno solare, in questo caso è assunto a sim-bolo

dell’intero arco della vita umana. Petrarca, quindi, con-

clude il suo viaggio come Dante nel nome di Maria.

Il grande novelliere Boccaccio rivolse pochi versi alla

Vergine (tre sonetti, un poemetto di 154 versi) ma che in

uno a tutta la sua produzione letteraria ci rivelano

pensieri e sentimenti di spiritualità cristiana.

Di grande ardore mistico sono pervase invece le Laudi

di Bianco da Siena, la cui lirica “ resta al di sopra di certe

coeve rimerie toscane […] e per riudirne la voce bisogna

arrivare al Quattrocento a Feo Belcari e a Leonardo Giu-

stiniani”.

Poemi cristiani sono il De partu Virginis e il De morte

Christi domini lamentatio di Jacopo Sannazaro.

Saltando a piè pari al clima spirituale della Riforma

troviamo Torquato Tasso che celebrò il motivo religioso

delle Crociate. Di questo poeta ricordiamo oltre la Geru-

salemme liberata, le Lacrime di Maria Vergine e Mondo

creato.

Del periodo barocco ricordo Giambattista Marino, che

con la sua vasta produzione poetica fu “considerato dai

coetanei la voce più ferma e melodiosa del secolo”, il fio-

rentino Vincenzo da Filicaia a cui la vittoria cristiana sui

Turchi del 1683 ispirò sei Canzoni in occasione dell’as-

sedio e la liberazione di Vienna, che lo resero famoso.

“Colui che espresse a meraviglia le invenzioni e i con-

trasti del Settecento fu Pietro Metastasio, il più grande

poeta melodrammatico d’Italia”. Tra le tante azioni sacre

ricordo la Passione di Gesù Cristo, Sant’Elena al calva-

rio, La morte di Abele, Giuseppe riconosciuto, Betulia

liberata .

In una panoramica seppur breve non può essere trala-

sciato il nome di s. Alfonso Maria de’ Liguori, non tanto

- 11 -

Antropos in the world

perché riposa a due passi da noi, quanto perché le sue

poesie religiose sono dei piccoli capolavori (15)

“Facile agli entusiasmi e pieghevole al fluttuare delle

vicende politiche, il neoclassicismo di V. Monti, che elo-

giò e servì […] tutti i governi non poteva non cantare il

Cristianesimo”. La sua poesia religiosa registra moltis-

simi componimenti, tra cui Visione di Ezechiello, Sopra i

dolori di Maria Vergine, De Christo nato.

”I migliori caratteri del Romanticismo italiano si pon-

gono e quasi s’identificano con l’opera di Alessandro

Manzoni […] Ritrovata la fede, l’apologetica francese

del Seicento gli divenne familiare. La sua coerenza si ri-

velò negli Inni sacri: con la fede trovò contemporanea-

mente il linguaggio delle lettere, il bisogno di entrare nel

mistero religioso, secondo la linea della vita cristiana, nel

significato di mistero e di letizia, di cui la liturgia è di-

spensatrice durante le festività dell’anno […] La critica

ottocentesca […] colse l’armoniosa fusione dell’elemen-

to dogmatico con quello lirico che, nella Pentecoste, il

più ispirato e commosso, s’innalza nel potente corale di

tutti i credenti”.

Il Novecento sul piano poetico è segnato da due fatto-

ri predominanti: la straordinaria abbondanza di poeti ed

il tentativo di cercare nuove forme letterarie. C’è da con-

siderare inoltre che soprattutto in questo secolo e soprat-

tutto in Italia, nazione cattolica per eccellenza, la scrit-

NOTE

(1) F. NICOLINI (a cura di), La Scienza Nuova, Bari 1928);

M. BALLARINI, Teologia e letteratura: alla ricerca di un

rapporto perduto, in Atti del Convegno Nazionale Uni-

versità Cattolica di Brescia, Landolfi ed. 2012;

C. DI LEGGE, Il signore delle due vie – Poetica del-

l’esperienza originaria, Salerno-Roma 1999;

U. COLOMBO, (a cura di), Letteratura e teologia, Fi 1963;

P. PIFANO, Tra teologia e letteratura, Paoline 1990;

(2) Cf A. BOUQUET, Breve storia delle religioni, Mondadori;

(3) E. BIANCHI ( a cura di), Poesie di Dio, Einaudi Tascabili;

(4) G. DRAGONI, La poesia religiosa, in L’educatore, n.

19/2003;

J. DUCHENSE, Histoire chrétienne de la littérature, Ed.

Flammorion;

G. GETTO, Letteratura religiosa, Firenze 1967, 2 voll.;

M. SAVINI, Poesia religiosa italiana. Dalle origini al

‘900, Piemme;

G. LANDOLFI, La poesia e il sacro alla fine del secondo

millennio, S. Paolo 1996;

(5) Cf B. CROCE, La poesia, Bari 1943 e V. COLOMBO (a

cura di), Letteratura e teologia, Azzate 1983;

(6) La Critica n. 30-1932;

(7) Cf.G. CRISTINI, Appunti sulla poesia religi0sa …;

C. CAVALLERI, Letteratura cristiana e cattolica: defi-

nizione e prospettive, in Atti del Convegno Naz.le Univer-

sità Cattolica di Brescia, Landolfi ed. 2012;

tura di argomento cristiano è stata, tenuta ai margini della

cultura e della critica, quasi che scrivere del sentimento

religioso fosse considerato sterile abbandono sentimentale

e rifiuto aprioristico del pensiero riflessivo; in proposito in

una intervista del 1959 il noto drammaturgo di area catto-

lica Diego Fabbri così si espresse:” Non è affatto comodo

fare lo scrittore cattolico. Si rischia per lo meno di non

essere considerato scrittore dai laici, e di non essere consi-

derato cattolico dai cattolici”.

E Dino Buzzati rincarò la dose affermando che la sua

“quotazione sarebbe stata assai maggiore se fosse in fama

di filocomunista”. (16) Comunque in ambito religioso, tra i

tanti che in modo più o meno sentito e più o meno esteso

hanno composto versi a carattere religioso, ricordo Cle-

mente Rebora, Camerana, Ada Negri, Papini, Ungaretti,

Testori, Padre Turoldo, Mario Luzi, il beato Giovanni Pao-

lo II, Manacorda e Alda Merini. (17)

Concludo segnalando un fenomeno di particolare rilie-

vo che riguarda il rapporto tra poesia e liturgia. La liturgia

cristiana è stata spesso accompagnata o seguita dalla poe-

sia che ad essa si ispira, fino, in qualche caso, a costruire

una vera e propria “liturgia poetica”. E’ sufficiente ricor-

dare che nella Liturgia delle Ore sono stati introdotti inni e

poesie di autori non ecclesiastici come Dante e Manzoni,

in Italia; Claudel, in Francia; Rilke, in Austria; Dumbar e

Belloc, in Inghilterra.

F. GRISI, Scrittori cristiani (volenti o nolenti), Piemme 95; P. PIFANO, Anche i miscredenti ne sentono la presenza, in Il

Rosario e la nuova Pompei, n. 5/6 1992;

(8) K. RAHNER, Sacerdote e poeta, in La fede in mezzo al

mondo, Paoline 1963;

(9) Cf A. SAVIANO, Preghiera e poesia, Messaggero 2000);

G. LANDOLFI, Così pregano i poeti, S. Paolo;

(10) V. VOLPINI, La preghiera nella poesia italiana, Calta-

nissetta-Roma-Sciascia 1969;

(11) Cf N. RUGGIERO, Papini, Giuliotti, Rebora. Ansia di dio

e religiosità in tre grandi poeti del Novecento, in Presenza;

(12) Cf A. GUIDI, Poeti cattolici dell’Inghilterra moderna, Ro-

ma 1947;

(13) G. GRISI, Fede e Bellezza in Secolo d’Italia 3/6/1997;

(14) Ogni virgolettato che seguirà è tratto da G. FALLANI,

Letteratura religiosa italiana, Le Monnier 1963;

C. MOSCHINI, E. NOVELLI, Storia della letteratura cri-

stiana greca e latina, Morcelliana Brescia;

(15) Cf R. NICODEMO (a cura di), Canzoncine spirituali,

Materdomini (AV) 1996;

(16) L. BIONDI, La letteratura al servizio di Maria, in L’Inco-

ronata Aprile-Giugno 2004;

(17) Per il Novecento Cf Scrivere, nel nome del Padre, colloquio

con C. Bo di G.ò Piccioni, in Fondazione Liberal 8-2001;

P. MAFFEO, Poeti cristiani del Novecento, Ed Ares 2006;

M. CAMILLUCCI, Correnti spirituali e religiose nella li-

rica del Novecento, in “I problemi di Ulisse”, Firenze

1960, VI (sett.).

Antropos in the world

- 12 -

(Da SOCIAL del 10 maggio 2013)

Di Michele Rallo

DA TRAPANI

- 13 -

Antropos in the world

IL RACCONTO DEL MESE: di Umberto Vitiello – Da Gente del Sud

GENNARO, MIO FRATELLO (quarta puntata)

Interessante la soluzione di trasferire al retroterra

vesuviano, in dialetto napoletano e in costumi ispirati alla

ceramica contadina, l’ambientazione e la recitazione di

entrambi i testi di Brecht messi in scena dalla Libera

Scena Ensemble, il primo nel ’75 e il secondo nel ’78. In

tal modo i testi di Brecht diventano più adatti

all’improvvisazione degli attori, che non hanno altro

vincolo che il ritmo e la coordinazione. Un omaggio di

Gennaro al teatro popolare di Napoli, ma anche una più

concreta comprensione del pubblico e degli stessi attori,

non solo dell’ideologia ma anche e soprattutto della

poesia, della cultura che si sprigiona dall’opera teatrale

brechtiana.

Forse ancora più interessante è la scelta de Il Cacatoa

Verde di Arthur Schnitzler, tradotto ed adattato da

Gennaro e presentato paradossalmente anche al Festival

Nazionale dell’Unità, allora ancora organo ufficiale del

Partito Comunista Italiano. La vicenda è ambientata in un

locale notturno di Parigi, il Cacatoa, nella notte che

precede la Rivoluzione Francese del 14 luglio del 1789,

della quale i vari personaggi nemmeno sembrano

accorgersi. Esattamente come hanno fatto, ignorandola

come vera rivoluzione, gli stessi comunisti (almeno fino

alla caduta del muro di Berlino del 9 novembre del 1989,

che trascinò con sé il crollo del mito della Rivoluzione

d’Ottobre).

L’8 agosto 1985 Gennaro morì per un ictus cerebrale nel

centro di riabilitazione dell’Ospedale Cardarelli di Napoli,

dopo un ricovero durato pochi giorni. Il 15 ottobre

avrebbe compiuto 56 anni.

Qualche mese dopo Antonio Filomarino, cultore di

filologia classica e professore universitario di letteratura

moderna e contemporanea, dopo una sua conferenza si

intrattenne con me per porgermi le condoglianze e

parlarmi di mio fratello.

La sua ricca dimora napoletana su una delle piccole

incantevoli baie di Posillipo non era molto lontana da

quella di Anna Caputi, che conosceva da quando era una

ragazzina. E la incontrava tutte le volte che andava a

Napoli per trascorrervi un po’ di giorni col solo intento di

immergersi e ritemprarsi nei suoi antichi ricordi – come

mi confidava. E da Anna Caputi aveva saputo dell’ultima

tribolazione di Gennaro.

Una lettera anonima piena di calunnie infamanti inviata al

suo preside perché provvedesse con urgenza a liberare la

scuola dall’ignobile G. V. – mi disse - lettera che il

preside gli fece leggere rassicurandolo che l’avrebbe

cestinata, avendo grande stima di lui. E Gennaro, dopo

averla letta, capì chi era stato a scriverla: qualcuno che da

un po’ di tempo manifestava apertamente l’odio che

nutriva nei suoi confronti. Ma non ne fece mai il nome,

almeno ad Anna. Lei tuttavia è convinta che si trattasse

non di un attore né di un amico o un semplice conoscente,

ma di un suo parente.

Di questa lettera non m’aveva parlato. D’altronde non mi

ha mai parlato delle sue altre non poche tribolazioni, se

non con brevi accenni, le ormai rare volte che avevamo

occasione di incontrarci. Probabilmente per non

rattristarmi, ma anche perché il suo carattere lo portava ad

accettare e ad affrontare con encomiabile serenità le

avversità anche le più crudeli. Meno quella scaturita da un

odio che non credeva di meritare – come confidò ad Anna

Caputi.

Quando Uta, sua moglie, s‘ammalò, lui si prodigò come

meglio non avrebbe potuto fare. Vendette i locali adibiti a

negozio ereditati alla morte di papà e si accollò quasi tutte

le spese che la cura della sua malattia comportava. E

quando, per il prolungarsi delle assenze oltre i limiti

consentiti dalla legge, Uta perse il posto di assistente

incaricata di lingua tedesca all’Istituto Universitario

Orientale, dove era stata assunta alcuni anni prima, fu

Gennaro col suo solo stipendio a mantenere la propria

famiglia. Ciò che capitò ancora quando, guarita e assunta

come insegnante di lingua tedesca al Goethe Institut di

Napoli, dopo una decina di anni si ammalò di nuovo e

furono le figlie a prendersi cura di lei.

Dei suoi tanti sacrifici non mi parlò mai con afflizione.

Cosa che fece in una sola occasione, quando mi confidò

del grande dispiacere provocatogli dall’atteggiamento di

alcuni suoi intimi amici che, non comprendendo il

comportamento di sua moglie dovuto al male che

l’affliggeva, non mettevano più piede in casa sua e gli

consentivano di incontrarli solo per strada, in un bar o a

scuola, durante la sua ora libera.

Ha avuto in compenso l’affetto e la stima di tantissime

persone, i successi di tutti i suoi spettacoli teatrali, i tanti

riconoscimenti in vita e dopo la morte, le tesi di laurea su

di lui al Dams di Bologna, all’Università di Salerno,

all’Accademia di Belle Arti di Napoli, presso cui il 24

gennaio 2012 s’è inaugurata la mostra dedicata a lui:

“Due teatri, un regista – Napoli Teatro 1963-1985”,

allestita da Giovanni Girosi e Paola Visone.

Antropos in the world

vista a ricordarci il suo lavoro, l’entusiasmo con cui vi si

dedicava, i molteplici interessi che hanno coinvolto una

folta schiera di appassionati di teatro impegnato e

d’avanguardia, in cui le parole si incarnano in personaggi

vivi che ci parlano di eventi e situazioni che non si

spengono al calare del sipario, ma continuano a gridare forte

alla nostra coscienza.

Le registrazioni ci riportano la sua voce, calda e ben

impostata, sempre chiara, spesso robustamente sonora, rare

volte sfumata o velata di qualche fuggevole cupa tristezza.

Gennaro, mio fratello, è stato un grande amico e uno dei

miei primi Maestri.

Umberto Vitiello Vadim

________________ 1 Molti dei suoi scritti sono raccolti in “Taccuino”, voluto dalle

figlie Cordelia ed Elisabetta e pubblicato a cura di Luigi e

Raffaele Capano nel 2003.

della Costituzione. Rieletta nel 1948

alla Camera dei deputati, siede tra i

banchi di Montecitorio ininterrotta-

mente sino al 1999 e per lungo tempo

ne presiede l'Assemblea: viene infatti eletta

Presidente della Camera dei deputati per tre volte

consecutive, ricoprendo così quella carica per 13 anni,

dal 1979 al 1992. Nessuno nella storia d'Italia ha

ancora raggiunto il suo primato.

Nel 1987 ottiene un incarico di governo con man-

dato esplorativo da parte del Presidente della Repub-

blica Cossiga che si conclude senza esiti; è la prima

donna e la prima esponente comunista ad arrivare così

vicino alla Presidenza del Consiglio. Nel 1992 è

inoltre la candidata di sinistra alla Presidenza della

Repubblica.

Durante la sua vita ricevette inoltre numerose

mansioni di prestigio quali: la presidenza della Com-

missione bicamerale per le riforme istituzionali costi-

tuita il 9 settembre 1992 (dal marzo 1993, suben-

trando al dimissionario Ciriaco De Mita, sino al 7

aprile 1994); la presidenza della delegazione italiana

presso l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Eu-

ropa (1996 - 1999), di cui fu anche vicepresidente

nello stesso periodo.

Rinunciò a tutti gli incarichi il 18 novembre del

1999 a causa di gravi problemi di salute. La Camera

dei deputati accolse le sue dimissioni con un lunghis-

simo applauso. Morì pochi giorni dopo le sue dimis-

sioni, il 4 dicembre 1999, per arresto cardiaco.

Ricordo i suoi funerali in Santa Croce di Torre del Greco,

le parole del sacerdote con cui esaltava il suo impegno

culturale e sociale, gli articoli di tanti giornali, i manifesti

affissi anche a Camerino, le corone di fiori.

Il lungo mesto corteo si sciolse in Piazza Palomba.

Dovetti tornare indietro per riprendere la macchina e,

percorrendo la strada che va verso il centro di Torre del

Greco, notai alcuni capannelli. Erano gli attori dei tanti

drammi che aveva diretto e gli allievi del Seminario

Teatrale/Musicale che stava tenendo presso il Comune di

Bacoli.

Liberatisi della celebrazione ufficiale, attori ed allievi si

abbandonavano al pianto e, abbracciandosi o prendendosi

strettamente per mano, commentavano sconsolati la

perdita del loro Regista e Maestro.

Di lui ci restano gli scritti (1), le locandine, le fo-

to, alcuni interventi commemorativi, qualche inter-

LA DONNA NELLA STORIA Orfana del padre Egidio (ferroviere e sindacalista

socialista) nel 1934, si laureò in lettere all'Univer-

sità Cattolica di Milano. Ebbe tra i suoi professori

Amintore Fanfani e fu per qualche tempo inse-

gnante ma decise di abbandonare la professione

quando maturò un profondo spirito antifascista che

la convinse ad occuparsi di politica.

Dopo l'8 settembre 1943 si iscrive al PCI e

partecipa alla resistenza, svolgendo inizialmente la

funzione di porta-ordini, poi aderendo ai Gruppi di

Difesa della Donna, formazione antifascista del PCI,

diventando organizzatrice e responsabile. Fu presi-

dente dell'Unione Donne Italiane di Reggio Emilia.

Nel 1946 viene candidata dal Partito Comu-nista

Italiano e viene eletta all'assemblea costi-tuente.

Nello stesso anno inizia a Roma una relazione con il

Segretario Nazionale del PCI, Palmiro Togliatti, di

27 anni più anziano (già marito di Rita Montagnana

e padre di Aldo), che terminerà soltanto con la

morte del leader comunista, nel 1964. Il loro legame

diviene pubblico nella contingenza dell'attentato del

1948. Togliatti lascia per lei moglie e figlio,

decisione che fu dura da accettare per i militanti del

PCI. Insieme chiesero e ottennero l'affiliazione di

una bambina orfana, Marisa Malagoli, sorella

minore di una dei sei operai uccisi in uno scon-tro

con le forze dell'ordine il 9 gennaio 1950, a

Modena, nel corso di una manifestazione ope-

raiaNell'Assemblea Costituente, Nilde Iotti fa parte

della Commissione dei 75 incarica della stesura

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NILDE IOTTI

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Antropos in the world

IMMAGINI D’UN ALTRO TEMPO – a cura di Andropos

JULA DE PALMA

Scoperta dal maestro Lelio Luttazzi (che le fa

firmare un contratto discografico con la CGD, l'eti-

chetta fondata da Teddy Reno), debutta in radio nel

1949 con un repertorio e uno stile assolutamente

innovativi rispetto agli standard italiani dell'epoca:

alla melodia e alle cesellature dei cantanti tradizio-

nali, Jula contrappone la sua vocalità moderna e il

suo senso dello swing, interpretando con gusto ed

eleganza gli standard americani.

Jula De Palma è la prima voce a intonare le note

di una canzone in diretta dalla giovane televisione

italiana, entra nella scuderia dei cantanti RAI a soli

diciotto anni. Nella prima parte della sua carriera

incide numerose canzoni in francese, lingua che

padroneggia alla perfezione come l'inglese, riscuo-

tendo un discreto successo anche al di là delle Alpi.

Oltre a cantare con la famosa "orchestra d'archi rit-

mica" di Luttazzi, Jula De Palma è la voce solista del

gruppo di Carlo Loffredo e dell'orchestra di Gorni

Kramer, protagonisti di svariate trasmissioni.

Partecipa a molte edizioni del Festival di Sanremo

tra il 1955 e il 1961 e incide numerosissimi brani mu-

sicali, tra cui ricordiamo alcune composizioni degli

stessi Luttazzi e Kramer (Quando una ragazza a New

Orleans, Souvenir d'Italie, Mia vecchia Broadway,

Simpatica, Non so dir ti voglio bene), canzoni tratte

da film (Que sera sera, A woman in love, Estate

violenta), pezzi francesi (Domino, Majorlaine, Paris

canaille), americani (Mister Paganini, All the way,

That old black magic), napoletani (Anema e core,

Vieneme 'nzuonno).

Alla fine degli anni cinquanta incide due EP di

jazz in inglese, Jula in Jazz e Jula in Jazz 2, accom-

pagnata e diretta dai migliori musicisti italiani del

periodo. È allora che comincia a essere definita nel-

l'ambiente musicale: "la cantante dei musicisti".

La canzone che tuttavia rimane indissolubilmente

legata al suo nome è Tua, eseguita in coppia con

Tonina Torrielli al Festival di Sanremo 1959, scritta

da Bruno Pallesi per il testo e dal maestro Walter

Malgoni. Grazie alla sua interpretazione memorabile,

Tua verrà premiata dalle giurie ma verrà sommersa

dalle polemiche. L'interpretazione di Jula de Palma

viene giudicata troppo sensuale dai funzionari RAI e

da certa stampa bigotta. Secondo le critiche, l'inter-

pretazione di Jula lasciava sottintendere un rapporto

fisico tra un uomo e una donna: uno scandalo per

l'epoca che, sebbene assolutamente ingiustificato,

determina una piccola battuta d'arresto nella carriera

della cantante. Lo scandaletto sanremese innescato

dal bigottismo dei funzionari Rai, con la conse-

guente difesa dell'Osservatore Romano e della Ra-

dio Vaticana (come succederà più tardi per De

André), rendono tuttavia Jula de Palma ancor più

popolare come star della canzone melodica. In realtà

la popolarità è frutto del suo lavoro di dieci anni, di

molto studio, di molta esperienza maturata lavo-

rando con i migliori talenti in circolazione, spinta

dall'amore per il jazz e da uno spirito innovativo e

cosmopolita piuttosto raro all'epoca, in un'Italia an-

cora succube del bel canto.

Senza tradire il suo stile, Jula parteciperà ad altre

manifestazioni canore. Tra queste ricordiamo diver-

se edizioni di Canzonissima, due Festival di Napoli

(nel 1959 e 1960) , il Festival delle Rose del 1964.

A partire dalla seconda metà degli anni sessanta, un

po' per il sopraggiungere di altre tendenze musicali,

un po' per i suoi impegni familiari, Jula dirada le sue

apparizioni, fino ritirarsi dalle scene nel 1972.

Jula De Palma nel 1970 è la prima artista donna a

ottenere un recital tutto suo al teatro Sistina di

Roma, a dirigerla è il maestro Gianni Ferrio, da lei

definito "il genio". I musicisti sono tutti affermati

solisti personalmente scelti e indicati dalla cantante.

Il teatro è stracolmo di pubblico, personaggi del

cinema, musicisti. Il filmato del concerto verrà tras-

messo a più riprese dalla Rai. Dopo un'ultima appa-

rizione televisiva nella trasmissione Milleluci

(1974), Jula De Palma si trasferisce con la famiglia

in Canada, dove vive tuttora. Nel 2010 le viene

assegnato l'Honorary Award, premio alla carriera,

per la 4ª edizione degli Italian Jazz Awards.

Jula de

Palma con il

marito,

il

compositore

Carlo Lanzi,

nel 1957

Antropos in the worldc

PROVERBI, DETTI E MODI DI DIRE - OVVERO ELEMENTI DI PAREMIOLOGIA

Sirica Dora

‘O Signore ‘i sapi i cosi da’ Marònna.

Cu `un fa nenti `un sbaglia nenti.

U cani muzzica sempre ‘u spardatu. Lu bonu no vali cchiù di lu tintu sì.

Esplicatio: Solo sa le cose della Ma donna e solo chi

non fa niente non sbaglia niente. Il cane, purtroppo,

morde sempre chi è già nel bisogn. Il no, detto con grazia,

vale più del si, detto sgarbatamente.

Implicanze semantiche: I detti riportati hanno il

loro riscontro in altri dialetti. A riprova, citiamo:

1) I cazzi da’ cucchiara li sa ‘a pignata;

2)

2) Sule chi nu’ ffa niente nu’ sbaglia

mai;

3) ‘O cane mozzeca ‘o stracciato;

4) Nu’ rifiuto garbato vale sette si

sgarrate.

Sapi: sa, dal latino sapio, sapere;

Muzzica: morde, dal latino morsi-

care;

Bonu: buono, dal latino bonus/a/um

IL LINGUAGGIO ANALOGICO DEI PROVERBI 2 a cura di Andropos

La fotografia ha in impatto emotivo, fà appello al

mondo delle emozioni e dei sentimenti, non é una

risposta diretta come quelle che abbiamo visto

nell'esempio della coppia che sta litigando.

Eppure l'altro é come se, in una brevissima frazione

di secondo, vedesse la foto, rimanesse emozional-

mente colpito dal contenuto della foto, poi ci

ragionasse sopra e traesse una conclusione dall'im-

magine che ha visto, paragonasse la situazione del

proverbio con la situazione che sta vivendo in quel

momento, e infine applicasse la conclusione tratta

dal proverbio alla situazione presente.

In altre parole si potrebbe dire che usare proverbi

significa utilizzare il linguaggio "analogico".

Linguaggio "analogico" e linguaggio "digitale" sono

termini entrati in uso in seguito agli studi compiuti

negli anni '60/'70, da parte di un gruppo di ricerca-

tori che lavoravano presso il Mental Research Insti-

tute di Palo Alto, California.

Analogico, cioè "non logico", é qualcosa che,

come il proverbio, non é rivolto alla parte razionale

della nostra mente, ma a quello che potremmo

chiamare il nostro cuore, e cioè le emozioni e i sen-

timenti.

Digitale, dall'inglese "digit" che significa nume-

ro, é tutto quello che si indirizza al nostro cervello

visto nelle sue capacità di ragionamento, logica, ana-

lisi, matematica.

L'uso delle parole é quasi sempre digitale, razio-

nale: se io ti parlo e non metto le parole nella giusta

posizione, se non utilizzo i verbi ed i nomi appro-

priati, tu non mi puoi capire.

Volendo essere più precisi si potrebbe ancora

notare che il linguaggio delle parole si presta al

linguaggio digitale

Volendo essere più precisi si potrebbe ancora notare

che il linguaggio delle parole si presta al linguaggio

digitale ma anche ad usi analogici come l'uso dei

proverbi; viaggiando tra il digitale e l'analogico, con

le parole si può decidere come modulare le emo-

zioni: c'é una grossa differenza tra il dire "quello che

hai fatto mi dispiace molto" e il dire "mi hai spez-

zato il cuore"; ed ancora, parliamo di "mente" per

indicare la razionalità o l'intelligenza e di "cuore"

per indicare i sentimenti, quando tutti sappiamo che

il cuore é un muscolo che serve a pompare il sangue

e non é certo la sede delle nostre emozioni d'amore;

ed ancora, se dico "Carlo é un leone", tutti capiscono

che sto dicendo che é un uomo coraggioso e non un

animale con la criniera.

L'uso dei gesti fà parte del linguaggio analogico;

attraverso il gesto, senza parlare, comunico una certa

risposta o un mio atteggiamento; in Italia abbiamo

anche tutta una serie di gesti e gestacci già codificati

e conosciuti da tutti.

Ma posso comunicare in maniera analogica anche

con la posizione che assumo col corpo: se ti ascolto

stravaccato sul divano, mostro meno attenzione che

non seduto e leggermente reclinato verso di te, come

per sentire meglio le tue parole; con le espressioni

del viso, o solo con uno sguardo, posso farti capire

se sono d'accordo con te. L'arte visiva, figure, dise-

gni, fotografie, quadri, immagini pubblicitarie e non,

quasi sempre appartengono al mondo analogico, ci

fanno provare delle emozioni.

IL PROFUMO D’ERMIONE (liriche)

si può richiedere tramite e-mail:

[email protected]

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Antropos in the world

APPROFONDIMENTO LINGUISTICO

MOMENTO TENERO

FANTASMI di

Franco Pastore ________________

Dalla raccolta “OLTRE LE STELLE”

Di questo miracolo

continuo, d’intime

sequenze d’esistenza,

l’unicità comprendo.

Quali fantasmi,

sullo schermo del tempo,

all’infinito, fluendo,

viviam di chiasmi,

nel tremulo chiaror

della penombra.

E pur capaci d’atti

dirompenti,

subiamo il fascino

d’armonie potenti.

Caste purezze

ci affrancano

da trame disadorne,

che contornandoci

connotano la genesi.

Nella bellezza d'insieme

annego il mio frale;

nell’arte e nel bello

si spegne …

la scintilla del male.

L'enjambement consiste nell'alterazione tra

l'unità del verso e l'unità sintattica ed è quindi

una frattura a fine verso della sintassi o di un

sintagma o anche di una parola causata dall'an-

dare a capo.

L'enjambement è un elemento che contribuisce

a determinare il ritmo di una poesia, il termine

deriva da una parola francese che significa

accavallamento, spezzatura. Si verifica quando

due parole della stessa frase che dovrebbero

stare saldamente unite, vengono spezzate tra la

fine di un verso e l'inizio di quello successivo.

L'enjambement divide solitamente gruppi sin-

tattici come sostantivo e attributo, soggetto e

predicato, predicato e complemento oggetto,

sostantivo e complemento di specificazione,

articolo e nome e così via.

« Sol con un legno e con quella compagna

picciola da la qual non fui diserto. »

(Dante - Inferno, canto XXVI)

« Lui folgorante in solio

vide il mio genio e tacque;

quando, con vece assidua,

cadde, risorse e giacque,

di mille voci al sònito

mista la sua non ha: [...] »

(Alessandro Manzoni, Il cinque maggio, vv. 13-18)

LE FIGURE RETORICHE A cura di Andropos

ENJAMBEMENT

FM GROUP ITALIA Per un futuro di

SUCCESSI – CONOSCENZE –

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GUADAGNI.

Per informazi e contatti:

Presidente FM GROUP

CONTURSI

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geom.Carlo D’Acunzo - Angri

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Antropos in the world

LA PAGINA MEDICA

ALLARME ANTIDOLORIFICI L'uso prolungato di antinfiammatori della famiglia dei FANS

aumenta di un terzo la morte per eventi cardiovascolari

L'uso prolungato di certi anti

dolorifici della famiglia dei FANS,

farmaci antinfiammatori non ste-

roidei, è associato a un aumento

di circa un terzo del rischio di in-

farto, ictus e morte per eventi car-

diovascolari. Alcuni dei principi

attivi legati a tale rischio sono il

diclofenac e l'ibuprofene, mentre il naprossene non

aumenta tale rischio, probabilmente perchè ha ef-

fetti protettivi che contrastano la potenziale cardio-

tossicità. Sono i risultati allarmanti di una impor-

tante meta-analisi realizzata da ricercatori del MRC

Clinical Trial Service Unit & Epidemiological Stu-

dies Unit (CTSU) presso la University of Oxford

diretti dal professor Colin Baigent, in collaborazio-

ne con il professor Carlo Patrono, Ordinario di far-

macologia all'Università Cattolica di Roma e finan-

ziata dal Medical Research Council e dalla British

Heart Foundation.

Così i ricercatori hanno considerato i risultati di

639 trial clinici, per un totale di oltre 300.000 per-

sone coinvolte, ed analizzato i dati dei singoli pa-

zienti al fine di predire l'entità degli effetti avversi,

dei diversi FANS, in particolari tipi di pazienti, in

cura con alte dosi e per un tempo prolungato. Per

questi, è emerso un rischio più elevato di compli-

canze vascolari, soprattutto a livello cardiaco, e un

rischio da 2 a 4 volte superiore di emorragia gastro-

intestinale, che tuttavia raramente risulta fatale.

Si calcola che, per ogni 1000 soggetti trattati in

questo modo, si verificano tre infarti in più (che

non si verificherebbero se i soggetti non fossero in

cura con FANS) di cui uno con esito fatale.

Il professor Baigent sottolinea che «questi rischi

riguardano le persone con artrosi o artrite, che

hanno bisogno di alte dosi di FANS e di una

terapia prolungata. È verosimile che un breve

trattamento con dosi più basse degli stessi farmaci

sia relativamente sicuro».

Non per tutti, comunque, il rischio è lo stesso,

infatti, coloro che corrono i maggiori rischi e che

hanno maggiori probabilità di subire gli effetti ne-

fasti dei Fans, sono, come già abbiamo detto, quei

pazienti in cura con alte dosi e per tempi prolun-

gati. Per loro è più alto il rischio di complicanze

cardiache e da 2 a 4 volte maggiore la probabilità

di andare incontro a emorragie gastrointestinali.

Va da sé che un trattamento occasionale e con

dosi più basse degli stessi farmaci non è da

considerarsi pericoloso. Perciò se domattina vi

svegliate con un terribile mal di testa non è

necessario soffrire, un moment non potrà certo

uccidervi. Intelligenti pauca! Redazione Salute Online

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Antropos in the world

NOTE ANTROPOLOGICHE

LA RAGIONE E’IL FARO DELLA GIUSTIZIA

Cos’è la libertà, esistono davvero gli uomini liberi?

Osservo l’intorno, le strade dove i ragazzi stazionano

perché non sanno cosa fare, dove il tempo è una

comoda convenzione, una tabella di marcia da

espletare, dove ogni surplus di tempo è da riempire in

qualche modo.

Il vicolo cieco diventa il prosieguo per dare un

contenuto al proprio essere, dove c’è la scoperta del

contesto di forza, dove il legame cresce e si rafforza

nella trasgressione.

Osservo meglio e vedo gli adulti tutti in corsa, tutti

presi e affannati dalle mete da afferrare, dai rimpianti

che premono alle porte, dai rimorsi che sono zittiti

dal benessere da agguantare a tutti i costi, restano i

segni della sconfitta di un ruolo, di una professione,

di un lavoro che non ci sono più, la dignità subisce la

resa definitiva.

Osservando ancora a questi giorni, ai giovani ed ai

meno giovani nelle piazze, agli slogans, agli ordini

impartiti, alle grida di gioia, alle urla di dolore, ai

morti inconsapevoli ed ai feriti innocenti, ai giusti ed

agli ingiusti, mi chiedo dove sta la libertà degli uomi-

ni liberi di non condividere né accettare deleghe in

bianco; dove sta la libertà di dissentire, di sottrarsi

dall’effetto di mille politiche confutate o che potran-

no esserlo in futuro.

Osservo e rifletto sulle libertà che non hanno

colore né facili entusiasmi, le libertà che sono di tutti,

e conoscono la paura, perché non rimane resto nelle

tasche, solamente somme da pagare.

Libertà di manifestare, libertà di protestare, libertà

di parola, libertà di prenderle e di darle, è la trama di

un film già visto altre volte, ma ora sta dentro l’era

digitale, e sebbene nulla del passato potrà mai ritor-

nare, qui non c’è la possibilità di gridare: «Ehi,

regista: fammi uscire dal copione di questo film, mi

sono stancato, voglio ritornarmene a casa.

No, non è il gioco della playstation, non è pos-

sibile resettare, tornare indietro. Oggi lo scenario in-

veste una libertà che non è quella invocata ieri, per-

ché coinvolge confini, terre, mondi, uomini e politi-

che diverse, divengono vere e proprie sottrazioni

globali e più di qualche volta individuali, in questo

presente ciò che più colpisce è il suono che fuoriesce

da parole come solidarietà, giustizia, diritto, prendo-

no parvenze del tutto sconosciute, a fatica stanno

supine nelle parole valigia, dove facciamo stare tutto

e il contrario tutto, cioè nulla.

Parole sgangherate, parole di un Vangelo lontano,

stili di vita che dovrebbero essere diga insormon-

tabile per qualunque spinta all’uso della violenza.

Non è con il bastone, con le botte, con la vita

dispersa, che le richieste di giustizia, di solidarietà,

di democrazia possono transitare da una istanza poli-

tica a una assunzione di responsabilità, a una scelta

che è già azione morale, bensì con la fede della ra-

gione, della mia passione e della tua, questa è l’unica

consapevolezza che può avvicinare a un’idea di

imparzialità, equità e giustizia.

Vincenzo Andraous

LA MOGLIE DELL’OSTE

di Franco Pastore

Tratta dalla XII novella de il Novellino

di Masuccio Salernitano

Richiedere a [email protected]

VESUVIOWEB.COM Di Aniello Langella

1

Cultura, arte, ricerche di sapore antro-

pologico, sulla vasta area tra il vulcano ed

il mare:

Grammatica del dialetto di Pietraroja di

P. Bello

Villa De Curtis, un Patrimonio a rischio,

di G.Maddaloni.

Napoli, le bombe e l’ultima guerra

mondiale, di Caffarelli.

Quanno carètte Musullino di Salvatore

Argenziano.

’A miezaparrocchia a ncapatorre, di

Salvatore Argenziano

Mosconi sul terrazzo di un Gran Caffè, di

R. De Maio

Antropos in the world

STORIA DELLA MUSICA - A cura di Ermanno Pastore

La musica del Novecento: Alban Berg Dopo il secolo d’oro della musica classica occi-

dentale, ci si avvia una frenetica ricerca di nuovi

codici linguistici su cui basare la composizione musi-

cale. Le soluzioni proposte sono diverse: dal ritorno

alla modalità, all'adozione di nuove scale, di deriva-

zione extraeuropea, come quella per toni interi (pro-

posta per primo da Claude Debussy), al cromatismo

atonale e poi dodecafonico che tende a scardinare la

tradizionale dualità di consonanza/dissonanza.

In particolare, nel secondo decennio Arnold

Schönberg, assieme ai suoi allievi, tra cui si ricor-

dano Alban Berg e Anton Webern, giunge a deli-

neare un nuovo sistema, noto come "dodecafonia",

basato su serie di 12 note. Alcuni ritennero questo

l'inizio della musica contemporanea, spesso identi-

ficata con la musica d'avanguardia: altri dissenti-

rono vivamente, cercando altre strade. Il concetto di

serie, inizialmente legato ai soli intervalli musicali,

si svilupperà nel corso del secondo Novecento sino a

coinvolgere tutti i parametri del suono. È questa la

fase del serialismo, il cui vertice fu raggiunto negli

anni cinquanta con musicisti come Pierre Boulez e

John Cage.

Altri musicisti - tra cui Igor Stravinsky, Bela

Bartok e Maurice Ravel - scelsero di cercare nuova

ispirazione nelle tradizioni folkloristiche e nella mu-

sica extraeuropea, mantenendo un legame con il si-

stema tonale, ma innovandone profondamente la or-

ganizzazione e sperimentando nuove scale, ritmi e

timbri.

Parallelamente al versante colto, che in realtà si

estende molto al di là dei confini tracciati dalla mu-

sica seriale, nel Novecento assunsero grande impor-

tanza i generi musicali popolari, cui i mezzi di comu-

nicazione di massa consentirono una diffusione

senza precedenti.

Alban Berg Discendeva da una famiglia ebrea di

origine tedesca (il padre Konrad Berg era nativo di

Norimberga) che si era stabilita a Vienna, dove il

padre di Alban era diventato un agiato commerciante

di libri usati e di articoli religiosi.

Non ebbe un'infanzia felice e fu tormentato per

molti anni della sua vita da una forma di depressione,

che lo spinse, dopo un bruciante insuccesso scola-

stico, a tentare il suicidio già all'età di diciotto anni.

Fino al 1904, il giovane Berg non aveva mai

condotto studi sistematici musicali, scriveva musica

semplicemente per diletto e viveva del suo lavoro di

contabile presso il comune. Nel-

lo stesso anno conobbe Arnold

Schönberg che, colpito dal suo

talento, lo accettò come allievo

senza esigere alcun compenso

Nel 1910 Berg lasciò l'impie-

go presso l'amministrazione mu-

nicipale, grazie anche ad una so-

stanziosa eredità, per dedicarsi esclusivamente alla

composizione e, in seguito, all'insegnamento. La sua

adesione ai manifesti artistici dell'espressionismo lo

avvicinarono a gruppi di letterati e pittori, quali Peter

Altenberg e Karl Kraus.

La sua produzione musicale giovanile risentì della

influenza di Schönberg, del tardo Romanticismo (in

particolare di Gustav Mahler e Richard Strauss) e

dell'impressionismo francese (Debussy).

Nel 1912 il suo percorso di ricerca di una aspre-

sione musicale svincolata dall'armonia tonale, si

concretizzò in un utilizzo sistematico della dissonan-

za, suscitando reazioni ambivalenti.

Nel 1921, Berg terminò la sua prima Opera,

Wozzeck, rappresentata a Berlino quattro anni dopo,

caratterizzato da una intelaiatura drammatica e da

alcuni richiami all'opera italiana (Giacomo Puccini).

L'ultimo Berg si indirizzò verso il romanticismo-

irrazionalista, come apparve nella seconda sua opera

per il teatro, Lulu, rimasta incompiuta (il terzo Atto è

stato completato dal compositore e direttore d'orche-

stra Friedrich Cerha negli anni settanta).

Berg amava trascorrere buona parte dell'anno tra i

monti della Carinzia. La sua musica si impose rapi-

damente in tutta l'Europa centrale, almeno fino

all'avvento di Hitler, quando le sue composizioni ver-

ranno censurate come musica degenerata, un mar-

chio d'infamia che privò l'Austria del tempo dei suoi

migliori talenti musicali. Morì nel 1935 a Vienna

per una setticemia causata da una puntura d'in-

setto mal curata. La musica di Berg ruppe con la

tradizione tonale a partire dagli ultimi Lieder

dell'op.2. Lo stile di Berg sarà sempre diviso tra

l'anelito al futuro atonale e reminiscenze legate

alla tradizione tonale, con la notevole eccezione

degli orchestrali Lieder op. 4, dallo stile prese-

riale e modernista.

- 20-

- 21 -

Antropos in the world

PERSONAGGI E LUOGHI SALERNITANI

_______________

Nella foto in alto a destra fra Generoso; in

basso, Alfonso Gatto, con l’amico L. Schiavone

Andropos in the world

UNA DONNA NELLA LETTERATURA – A cura di Andropos

Dulcinea del Toboso Il suo vero nome è Aldonza Lorenzo, ed è

una contadina molto "socievole" amata da don

Chisciotte, nonostante non l'abbia mai vista; don

Chisciotte, dopo essere "impazzito", la trasforma

nella sua immaginazione in una magnifica

principessa a cui promette di essere fedele e la

chiama Dulcinea del Toboso. Da quel momento

si fa nominare cavaliere errante e inizia a com-

battere contro nemici invisibili, continuando a

tenere fede alla promessa fatta alla "principes-

sa". Dulcinea come è stato già menzionato era in

realtà una contadina, ed il suo vero nome, Al-

donza Lorenzo, avrebbe fatto ridere la gente

dell'epoca poiché veniva utilizzato per raccon-

tare barzellette e detti osé.

Creazione fantastica, esemplata sulla bellis-

sima Oriana dell'Amadigi di Gaula, Dulcinea è

un “ente” spirituale nato dal puro ideale dell'im-

mortale cavaliere e simbolo sublime di esso. Fra

le ulteriori incarnazioni letterarie del personag-

gio, è notevole il dramma Dulcinée di G. Baty

(1936).

È l'innamorata platonica a cui il cavaliere

errante Don Chisciotte dedica le sue imprese e

la sua gloria, avendola trasfigurata in una

ammirabile quanto virginale principessa.

“Soggiornava in un paese, per quanto credesi,

vicino al suo, una giovanotta contadina di

bell'aspetto, della quale egli era stato già

amante senza ch'ella il sapesse, né se ne fosse

avvista giammai, e chiamavasi Aldolza Lorenzo;

e questa gli parve opportuno chiamar signora

de' suoi pensieri. Dappoi cercando un nome che

non discordasse gran fatto dal suo, e che potesse

in certo modo indicarla principessa e signora, la

chiamò Dulcinea del Toboso perché del Toboso

appunto era nativa. Questo nome gli sembrò

armonioso, peregrino ed espressivo, a somi-

glianza di quelli che allora aveva posti a sé

stesso ed alle cose sue.”

Sancio Pancia, parlando a Don Chisciotte di

Dulcinea: “La conosco pienamente [...] e so dire

ch'ella lavora così bene con un palo di ferro

come ogni più robusto bifolco del

nostro paese: oh! è una donna-

di merito grande e grossa, senza -

paura di chicchessia, e tale da

cavare i peli tutti della barba ad

ogni cavaliere errante o che sia

per errare, e che la tenga per sua

signora! Corpo di mia nonna! che bocca che ha,

che voce! Le so dire che si è posta un giorno in

cima al campanile del villaggio a chiamare certi

suoi famigli che se ne stavano in un maggese di

suo padre, e sebbene si trovassero più di una

mezza lega discosti la sentirono così bene come

se fossero stati a' piedi del campanile; e dopo

tutto questo ha la prero-gativa di non essere

schizzinosa, anzi scherza con tutti, è di affabilità

straordinaria, ed ogni cosa le serve di trastullo e

di passatempo.”

Regimen Sanitatis Salernitanum

- Caput XXI – XXII

DE NAUSEA MARINA DE GENERALI CONDIMENTO

Nausea non poterit quemquam vexare

marina. Antea cum vino mixtam si

sumpserit illam.

Salvia, sal, vinum, piper, allia,

petroselinum, ex his fit salsa,

nisi sit commixtio falsa.

Mai non fia che incomodare

colui debba il mal di mare,

che da prio flutto marino

preso avrà misto col vino.

Aglio,salvia e pepe fino

sal, prezzemolo e buon vino,

se il miscuglio non si falsa,

forman sempre

buona salsa.

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- 23 -

Antropos in the world

LA DONNA NELL’ARTE, a cura di Paolo Liguori

“ANTEA”

Di Francesco Mazzola detto il Parmigianino

di una giovane donna elegantemente vestita.

Chi sia questa donna non è dato sapere in quanto

il quadro non porta alcuna iscrizione. Da tradizioni

seicentesche, il nome attribuito a questa donna è

Antea, nome di una famosa cortigiana romana vissu-

ta nella prima metà del Cinquecento, ma nessuna

fonte a noi nota attesta che si tratti realmente di

questo personaggio storico. Secondo la maggior par-

te della critica, l’opera è databile alla metà del quarto

decennio del Cinquecento, un periodo dunque suc-

cessivo al periodo romano del Parmigianino che si

concluse con il sacco di Roma del 1527.

Ma, al di là dell’incerta identificazione del sog-

getto, il quadro ha un fascino notevole ed esprime

appieno non solo gli ideali estetici del Parmigianino,

ma anche della cultura manierista del tempo. Il ritrat-

to è a figura quasi intera, con ampio spazio intorno

lasciato volutamente di un indefinito colore verde

scuro. La donna è in posizione frontale, anche se si

intuisce, sotto l’ampio vestito, una rotazione del

corpo. Una fonte luminosa radente, proveniente da

sinistra, permette di dare risalto al volto, che è

sicuramente la parte più intrigante del quadro. La

donna ha uno sguardo fisso, con ampi occhi aperti,

ed una espressione serena ma indecifrabile.

La ricercata eleganza del vestito, i gioielli, la

petti-natura, la pelle di martora su una spalla, fanno

intuire una condizione nobile, che viene rinforzata

dal voluto distacco espressivo dello sguardo. In

questo quadro, quindi, l’artista ci vuole far cogliere

un ideale di bellezza femminile, fatto soprattutto di

grazia ed eleganza, senza concessioni eccessive alla

dimensione della sensualità e dell’eros.

Francesco Mazzola (Parma 1503 - Casalmaggiore,

Cremona, 1540), noto come Parmigianino, pittore con

l'arte nel sangue, figlio di un pittore e allevato nella

bottega degli zii pittori anch'essi, si formò a diretto

contatto con il Correggio, ma il suo spirito "libero" e

inquieto lo porta da subito ad affermare un indi-

vidualismo ed un raffinato distacco da tutti i maestri e

gli ambienti che frequenta. Il suo talento preco-

cissimo ci è svelato già intorno ai sedici anni, ma è

nel 1523, all'acme dei suoi esordi, che egli si rivela

come uno dei maggiori "manieristi" internazionali

dipingendo magistralmente il ciclo di affreschi della

Rocca Sanvitale a Fontanellato, nei pressi di Parma.

Esponente del Manierismo italiano che rallenta il

passaggio al Barocco, iniziato dal Correggio. Talento

giovanissimo formatosi presso gli zii, modesti pittori,

e che ha studiato in seguito l'arte di Michelangelo,

Raffaello e del Correggio.

Seppur apprezzato e stimato dal Vasari, non riuscì

ad ottenere la fama meritata ed è tutt'ora poco

conosciuto. Non dedica la sua vita interamente ed

esclusivamente alla pittura ma coltiva anche altre

passioni quali l'alchimia.

Possiede, infatti, una personalità sottile e sofisti-

cata, con tendenze ad un arcaismo che si vede però

associato ad un modernismo utopistico. La storia rac-

conta che durante il Sacco di Roma l'artista stesse

dipingendo un quadro e che i lanzichenecchi lo la-

sciarono lavorare senza disturbarlo anziché distrug-

gere l'opera e devastare tutto, come erano soliti fare,

poiché rimasero affascinati dal dipinto.

IL NAZARENO Rappresentazione clinica della

morte di Cristo sulla croce.

_____

Richiedere la pubblicazione di

Franco Pastore a [email protected]

Uno dei più singolari

artisti del manierismo,

fu Francesco Mazzola,

detto il Parmigianino.

Nella sua pittura si

ritrova una cifra stili-

stica molto originale

ma che incarna uno

degli aspetti propri del

manierismo : una sen-

sualità raffinata e un

po’ decadente. In que-

sto quadro, uno dei

più famosi della pro-

duzione del Parmigia-

no, vediamo il ritratto

Antropos in the world

CRITICA LETTERARIA

IL PROFUMO D’ERMIONE

Franco Pastore - A.I.T.W. edizioni - Salerno 2010

Nell’ultima raccolta di poesie del poeta Franco

Pastore, dal titolo “Il profumo d’Ermione”, fin dai

primi versi si evince la forte ed indomita vitalità

dell’autore, che dimostra di avere pienamente vissuto,

rincorrendo emozioni, sentimenti e passioni, dando,

fra tutte, la precedenza all’amore più congeniale tra

un uomo ed una donna, ossia “il fuoco dei sensi”,

anche se la sua sensibilità poetica lo induce a cogliere

di tale sublime sentimento, tutte le sfaccettature: la

tenerezza degli sguardi, gli ammiccamenti, il rossore

timido della compagna, per cui questi amori

cominciano piano, per diventare via via un’esplosione

incontenibile, che appaga entrambi gli amanti,

riuscendo persino a mettere in pace anima e pensiero.

Il poeta non può non ricordare, ora, che è passato il

tempo, lo splendore della giovinezza, dove tutto era

così facile, l’amore cominciava dagli occhi, dalle

labbra, dalle mani, per completarsi tra parole e

singulti nel sublime. Tali momenti, di irrecuperabile

ed indimenticabile bellezza, sono rimasti vivi nel suo

cuore e, spesso, prova a rievocarli con la forza della

poesia, cercando di riprodurli, quasi sempre, però, si

concludono in vuoti silenzi, nonostante la natura

abbia conservato tutta la sua grazia, la sua bellezza, la

sua complicità. Allora, nell’animo del poeta,

subentrano malinconia e tristezza, piange il tempo

perduto, la sua inesorabile caducità, e si domanda

pure se valga ancora la pena di illudersi e sognare.

Forse, per evitare amarezza e delusione, è possibile

ancora contemplare la bellezza di Ermione, per

ricavarne dolcezza e tenerezza., senza illudersi di

qualsiasi possibilità concreta. Ogni cosa ha la sua età.

Nonostante il poeta sia convinto di ciò che dice, alla

luce della ragione, non può fare a meno, tuttavia, di

contemplare e di sognare alla vista della bellezza

femminile, e non importa che quella vista possa

rievocare altri momenti, altri ricordi. La carne e lo

spirito si mantengono vivi. La prima ora finalmente

consolata dalla seconda, che apre altre vie: il richiamo

della luna, delle stelle, dei tramonti, dei boschi, la

poesia delle rondini, lo struggimento dei fiori, a cui

aggiungere l’affetto ben radicato nel suo cuore per la

terra d’origine, la Lucania, e per la città di Salerno,

dove vive da tanti anni ed in cui ha intessuto affetti,

amicizie, ed ha vissuto la maggior parte della sua vita,

dedicandosi alla cultura.

I versi di Franco Pastore rivelano una grande

suggestività, uno sperdersi e ritrovarsi in un mondo

tenacemente reale, ma, nello stesso tempo, pieno di

sogni, di impulsi, di esplosioni, che ce lo fanno

sentire poeta del mondo, dello spazio, ma anche

poeta del ricordo, del sogno, della malinconia, che

deriva dal non perdere mai di vista la mancata

eternità della vita umana.

L. Donatelli

ARECHI II di Franco Pastore. Richiedi il Dvd a:

[email protected][email protected]

Tel. Redazione Salerno: 089.223738

COMUNICATO STAMPA

Salerno, Associazione Lucana,

Sede Sociale – Venerdì 14, alle

ore 18,30, si terrà una serata

dedicata al Prof. Franco Pastore,

poeta, scrittore e commediogra-

fo.

Presentazione del libro di

poesie “Il profumo di Ermione”.

Relatore, prof. L. Crescimbeni.

La serata sarà allietata da inter-

mezzi musicali, con la parteci-

pazione straordinaria del barito-

no Ermanno Pastore. (Da Il Basilisco XVI ANNO -

MAGGIO - GIUGNO 2013)

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Antropos in the world

I GRANDI PENSATORI: a cura di Andropos

EDMUND HUSSERL (quinta parte)

Gli obiettivi della Fenomenologia

Il principale bersaglio della critica di Husserl è

l'impostazione empiristica/psicologistica della logica

e in generale della teoria della conoscenza. L'analisi

fenomenologica della coscienza parte dal presup-

posto che ogni apriorismo idealistico, così come

ogni forma riduttiva di empirismo, hanno fatto il

loro tempo, e che la coscienza non è una "realtà"

come le altre realtà (la realtà è solo uno dei modi in

cui l'oggetto può essere dato alla coscienza). La

coscienza, nei confronti del mondo, è uno spettatore

disinteressato, al quale gli oggetti sono presenti

come fenomeni (nel movimento dei quali essa non è

coinvolta).

La fenomenologia pretende d'essere un ritorno

alle cose, è il tentativo di lasciar parlare le cose,

cogliendo, nel loro dire, quegli aspetti che più

interessano la coscienza umana (come i valori, le

essenze, ecc.). Per poterli cogliere il ricercatore deve

liberarsi da tutte le opinioni preconcette (sospen-

sione del giudizio o epoché). Il fenomeno non è

visto in antitesi al noumeno ma, al contrario, come

una manifestazione immediata dell'essere alla

coscienza. I fenomeni che la fenomenologia deve

interpretare sono quelli essenziali, lasciando quelli

empirici alle altre scienze. Essa si serve appunto

dell'intuizione essenziale o eidetica. Per cogliere la

essenza del fenomeno (qui sta il lato idealistico della

fenomenologia) il ricercatore deve compiere la ridu-

zione eidetica, cioè deve prescindere dal fatto che

l'oggetto possegga un'esistenza reale (dotata di coor-

dinate spazio-temporali e di leggi causali), altrimenti

non ne potrà cogliere l'essenza.

Le essenze valgono "a priori" (non perché confe-

rite dal soggetto all'oggetto della conoscenza, come

in Kant, ma perché se sono vere per l'essenza di un

fenomeno generale lo sono anche per tutti i casi sin-

goli in cui il fenomeno si esprime).

La fenomenologia è scienza contemplativa, apo-

fantica (nella ragione si rivela l'essere), rigorosa

(perché fornita di fondamenti assoluti), intuitiva

(coglie le essenze delle cose anche attraverso la perce-

zione sensibile), non-oggettiva (prescinde da ogni fat-

to o realtà e si rivolge alle essenze), soggettiva (per-

ché l'analisi della coscienza mette capo all'io come

soggetto unificante di tutte le intenzionalità

costitutive), scienza delle origini e

dei primi principi ( perché la co-

scienza contiene il senso di tutti i

modi possibili in cui le cose pos-

sono essere date/costituite), im-

personale (perché al ricercatore si

richiedono solo doti teoretiche).

Concludendo, l'opera di Husserl

si riallaccia alla tradizione neokantiana, come

effetto dello sviluppo della tematica positivista in

Germania. In particolare essa ha in comune col neo-

criticismo di Natorp (scuola di Marburgo) la

tematica "coscienziale", secondo cui la coscienza

dev'essere libera da pre-giudiziali matematiche e

scientifico-naturali e deve essere in grado di uni-

ficare tutte le sfere culturali e tutte le forme di

coscienza (percepire, pensare, ricordare, simboliz-

zare, amare, volere...). Natorp sviluppò questa tema-

tica col metodo logicotrascendentale, Husserl

invece userà quello fenomenologico-trascendentale.

(La fenomenologia è l'analisi della coscienza nella

sua intenzionalità: essa esamina tutti i modi in cui

qualcosa può essere dato alla coscienza ed esamina

la validità riconoscibile agli oggetti di coscienza).

In comune i due neokantiani hanno anche l'inte-

resse per i rapporti tra la filosofia e le scienze.

Tuttavia, Husserl, ha origini culturali indipen-

denti (scuola di Brentano). Da notare che la discus-

sione tra fenomenologia e neo-kantismo sarà, dal

1900 in poi, uno dei dati più costanti e fecondi nel

dibattito filosofico tedesco di questo secolo.

Per "movimento fenomenologico" s'intende quel

gruppo di ricercatori che pubblicarono tra il 1913 e

il 1950 una serie di volumi nell'annuario di filosofia

e ricerca fenomenologica, diretto da Husserl.

Le figure più rappresentative: M. Scheler, A.

Pfänder, O. Becker, A. Reinach, M. Geiger. A que-

sti nomi di deve aggiungere N. Hartmann e soprat-

tutto B. Bolzano e F. Brentano (da Bolzano Husserl

trae l'esigenza di determinare delle proposizioni che

abbiano validità in sé, a prescidenre dal loro rico-

noscimento soggettivo; da Brentano trae l'idea d'in-

tenzionalità della coscienza, la quale non ha bisogno

di misurarsi con la realtà per sentirsi vera).

Antropos in the world

POLITICA E NAZIONE

IL SENSO DELLA VISIONE GLOBALE ovvero, il pensiero spicciolo del cittadino comune

In tema di autolesionismo la politica ce la mette

tutta.

In passato, quando era al potere la DC, tutti ne

criticavano le correnti. Oggi il posto della DC è

stato preso dal PD è di correnti in questo partito

c’è ne sono ben 14. Ma, a ad essere precisi, tra la

camera ed il senato si contano ben 23 correnti.

Ognuna fa storia a sé. Con la logica dei clan,

tutti sono uniti intorno al boss di turno pur di

battere il nemico comune, che oggi è individuato

in Silvio Berlusconi. I clan, però, sono ostili tra

loro, quando si tratta di occupare il potere.

L’occasione che ha evidenziato le innumere-

voli ostilità è stata l’elezione del capo dello Stato,

una ennesima figuraccia del partito di maggio-

ranza. tuttavia, alla fine, uno straccio di accordo

tra loro lo hanno trovano, anche se piuttosto tra-

ballante.

Le discordie e le differenze vengono così sopite

ma non dimenticate. Questa è la politica oggi:

cieca, demenziale e devastante.

Per colpa di questi squallidi comportamenti ci

ritroviamo così in un grande putiferio.

Lo stallo, l’intervento a gamba tesa del capo

dello Stato, per sopperire alla macchina dei partiti

ingolfata, in modo inconsueto, fa pensare alla poli-

tica come un qualcosa di perverso, malefico e tor-

bido

Eppure la politica dovrebbe essere l’arte di co-

struire, organizzare, amministrare lo Stato e di di-

rigere, in armonia, la vita pubblica, mentre la dina-

mica politica dovrebbe regalare emozioni, abbat-

tere gli ostacoli e concretizzare sogni e prgetti.

Questa politica, invece, fa ridere e fa piangere in-

sieme, generando solo disperazione, perché consi-

dera il potere come fine e non come mezzo.

In questo modo, i cittadini, massimamente i

giovani, sono portati a pensare che tutto quello che

succede nel nostro paese non li riguardi, anche

perché nulla potrebbero fare per cambiare le cose.

E’ questa impotenza che costringe vaste masse di

popolo a vivere lontani dall’olimpo politico. Di

qui, il desiderio di non esercitare più il diritto di

voto e la sfiducia nelle istituzioni.

Così viene meno in ogni cittadino la coscienza

civica, ovvero la consapevolezza di essere parte

integrante ed attiva del territorio in cui si vive.

Ora, se la politica ha smarrito il senso della

visione globale, venendo meno così al suo

compito, e fa fatica a focalizzare ciò di cui i

cittadini hanno bisogno, o almeno quello che essi

desiderano, noi non possiamo comunque dimen-

ticare la stada della civile convivenza e della de-

mocrazia.

Occorre continuare a fare la nostra parte, impe-

gnandoci nel lavoro, quando c’è, e non dimenti-

cando che “ quando più nera è la notte, più vicina è

l’alba”.

La storia insegna che ogni epoca ha il suo

moomento critico, quando basterebbe un nonnulla

per creare situazioni inaccettabili di disordine e di

inciviltà, è allora che c’è bisogno ri far ricorso alla

parte migliore che è in ognuno di noi: quell’equi-

librio razionale che ci rende persone umane.

Mario Bottiglieri

Manca il senso

della visione

globale!

Caro amico, il potere

rimane ancora un fine …

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Antropos in the world

PIATTI TIPICI DEL MEDITERRANEO - A cura di Rosa Maria Pastore

(I parte)

Originario dell’America centro-meridionale, il pe-

perone è entrato piuttosto tardi nella cucina europea,

per il gusto troppo piccante e acceso non

abbastanza chic per i nobili blasonati del

tempo. E pensare che nel Rinascimento

spezie e droghe ben più piccanti erano

pagate a peso d’oro dai principi italiani. Il nome scien-

tifico di questo ortaggio è Capsicum annuum ed appar-

tiene alla famiglia delle Solanacee, la stessa del pomo-

doro.

Il peperone si presenta come una bacca di grandezza

e forma alquanto varia, che richiama pressappoco un

prisma quando è dimensione e un cono quando di forma

ridotta; il frutto termina con un breve e grosso pedun-

colo. Fanno la loro comparsa sui mercati da giugno a

ottobre. Oggi tale frutto è coltivato un po’ dappertutto

nella penisola, anche se la produzione maggiore provie-

ne dalle zone meridionali; tuttavia bellissimi peperoni, di

notevole grandezza, veri esemplari da collezione, si

coltivano nell’oltrepò pavese e nelle campagne venete.

VALORE ALIMENTARE E DIETETICO

Fra i tanti indiscutibili pregi, il peperone presenta uno

svantaggio: quello di non essere facilmente digeribile,

per cui è sconsigliato consumarne dosi elevate. Questo

perché, contrariamente alla maggior parte degli ortaggi,

contiene una minore percentuale di acqua; ciò significa

una maggiore presenza di cellulosa che rende difficile la

digestione. Per quanto riguarda il contenuto vitaminico,

nel peperone si nota una buona quantità di vitamina C,

oltre a piccole dosi di vitamina A, B2, e P.

Le calorie sviluppate da questo ortaggio sono

alquanto scarse: solo 15 per ogni 100 grammi di alimen-

to; ma aumentano generalmente con la cottura, per

l’aggiunta di notevoli quantità di grassi. Sono poi da

rilevare alcune sostanze minerali, fra tutte spicca, per la

discreta quantità, il rame. Al peperoncino (la varietà

dalla quale ricaviamo la paprica) si attribuiscono pro-

prietà antireumatiche, antinevralgiche e coadiuvanti

nella cura dei geloni. Per la presenza di sostanze

carotenoidi, il peperoncino è anche utilizzato nella

cosmesi come colorante vegetale.

LE DIVERSE QUALITA’ Possiamo distinguere due gruppi principali di

peperoni: il dà frutti di forma allungata che ricordano

quella di un corno verde cangiante al rosso. Questa

varietà è quella che ci offre i peperoni dal sapore più

forte e piccante; ad essa infatti appartiene il peperoncino

rosso, vera “lingua di fuoco”,

usato in genere come cono rosso, vera “lingua di fuoco”,

usato in genere come condimento e che si usa essiccare e

conservare a strati, oppure infilati a formare coroncine

da appendere in luoghi ben aerati e poco esposti al sole.

Dai semi di tale varietà si estrae la paprica, una polvere

dal sapore bruciante di cui si fa abbondante uso nella

cucina orientale ed esotica.

Al secondo gruppo appartengono i cosiddetti pepe-

roni “dolci da tavola”, ottenuti attraverso opportune

selezioni orticole e che danno frutti che raggiungono un

volume maggiore alla media del gruppo sopracitato, e

sempre a forma cilindrica. Anche il loro sapore risulta

differente: sono infatti più dolci e delicati al palato, in

particolare dopo la cottura pur mantenendo intatto

l’inconfondibile gusto leggermente piccante.

CRITERI DI ACQUISTO

Un buon peperone deve presentare caratteristiche

essenziali: polpa soda, consistente al tatto, gradevol-

mente profumato e colore vivo, non deve avere macchie

scure o zone ingiallite intorno al peduncolo.

Acquistandolo si dovrà scegliere la qualità adatta per

ciascun piatto. Se si vuole ad esempio preparare una

peperonata “a regola d’arte” si dovrebbe scegliere la

varietà napoletana, certo la più costosa, ma senz’altro

quella che garantisce i migliori risultati. Il frutto è molto

grosso, giallo o rosso, a polpa spessa, carnosa, succosa e

particolarmente dolce e profumata. Queste caratteristiche

facilmente verificabili al mo-mento dell’acquisto,

devono di regola guidare nella scelta di questo ortaggio.

Se la buccia infatti non fosse abbastanza spessa e

compatta, la pellicina tanto esecrata per la nostra delicata

digestione non si staccherebbe con facilità e ciò

comprometterebbe la rapida esecuzione della ricetta

prescelta.

PREPARAZIONE E SISTEMI DI COTTURA

Prima di passare alla preparazione dei vari piatti è

consigliabile eliminare la sottile pellicina che riveste

l’intero frutto, colpevole di rallentare la cottura interna

della polpa e quindi di non renderla facilmente

digeribile. Un metodo molto efficace, che io abitual-

mente uso, per togliere facilmente la pellicina ai pepe-

roni è questo: lavo ed asciugo i peperoni, poi li poggio

sulla griglia o piastra a fuoco vivo e, quando sono

completamente abbrustoliti, li metto immediatamente in

una pentola con coperchio. Li lascio lì dentro a

raffreddare del tutto e poi li pulisco.

Dopo questa operazione preliminare i peperoni si

possono cucinare nei più svariati modi.

Antropos in the world

DALLA REDAZIONE DI BERGAMO

SCARPETTE ROSSE

“Zapatos Rojos es una memoria colectiva, una evocacion, un vacio. Es una marcha silenciosa,

un anhelo, el regreso a casa de nuestros seres

queridos”. (Elina Chauvet )

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Rosso. Come il sangue che ogni giorno le donne

versano per mano dei propri padri, mariti, ex

compagni. Rosso. Il simbolo dell’energia vitale, del-

la forza fisica e mentale, della volontà di opporsi ai

maltrattamenti. Rosso. Il colore scelto dell’artista

messicana Elina Chauvet per la sua installazione:

“Zapatos rojos” (Scarpette rosse).

Scarpe da donna di colore rosso, o dipinte di

rosso, sistemate nella splendida cornice architetto-

nica di Piazza Vecchia, a Bergamo Alta, da

domenica 12 a mercoledì 15 maggio, per gridare

insieme basta alla violenza contro le donne, basta

alla violenza di genere, basta ai femminicidi in

tutto il mondo..

Scarpe da donna di colore rosso o dipinte di

rosso, per vedere con gli occhi dell’altra. Di quel-

le donne che hanno subito violenza e che hanno

deciso di rompere il silenzio. Di quelle artiste che

sanno dar voce a chi non c’è più, a chi non ha la

forza di denunciare, a chi diviene succube di ste-

reotipi sessisti.

Decolletes, ballerine, zeppe, sandali, scarpe rosse,

oggetti inanimati ma urlanti, reperiti attraverso

l’attivazione di una rete di associazioni, ma anche

grazie al contributo delle persone che portano spon-

taneamente le loro scarpe in piazza, per l’installa-

zione. Ogni paio rappresenta una donna che non c’è

più e la traccia della violenza subita. L’effetto finale

è quello di un corteo di donne assenti, azzerate,

ammazzate, violentate, messe a tacere con la forza,

cancellate dalla violenza. Donne di cui rimangono

solo le scarpe, rosse e vive come il sangue.

L’installazione di arte pubblica, progettata da

Elina Chauvet, rimanda alla situazione di Ciudad

Juárez, città del Nord del Messico, al confine con

gli Stati Uniti, da cui l’artista messicana provie-

ne. Qui, a partire dal 1993, gli atti di violenza sulle

donne si sono tragicamente moltiplicati: 584 le

donne uccise solo nel 2010; 183 le donne sparite nei

primi sei mesi del 2012; 12 al giorno sono gli stupri

denunciati nel 2012. E’ a Juarez che, per la prima

volta, viene usato il termine “femminicidio“. Ed è

qui che, nel 2009, l’artista Elina Chauvet ha dato di

Milano,vita per la prima volta, a rischio della sua

stessa vita, a “Zapatos rojos”. Da allora l’installa-

zione ha fatto il giro del mondo, toccando in Italia le

città Genova. Lecce e Torino, per giungere final-

mente a Bergamo, nel mese di maggio.

Una splendida perfomance di danza contempo-

ranea di Serena Marossi ha aperto ufficialmente l’e-

vento a Bergamo, domenica 12 maggio, al mattino,

dinanzi ad una vasta platea, evento portato a Ber-

gamo da “Tata-o, La Casa degli Elementi” Centro

benessere per le famiglie a Palazzago, con il contri-

buto e la collaborazione del Consiglio delle Donne

del Comune di Bergamo, presieduto da Luisa Pecce.

L’artista messicana Elina Chauvet , che ha introdot-

to con grande suggestione il suo progetto venerdì 10

maggio, nella Sala Consiliare di Palazzo Frizzoni,

su invito del Consiglio delle Donne (il suo inter-

vento è stato tradotto, in contemporanea, dal dott.

Vittorio Rinaldi), ha voluto presentare anche il suo

nuovo lavoro.

Si chiama “Confianza” (Fiducia) ed è dedicato

all’artista italia-na Pippa Bacca, uccisa a Istanbul

nel 2008, durante la performance ”Spose in viag-

gio”. Ispirandosi a questo drammatico avvenimento,

Elina Chauvet, presente in Piazza Vecchia domeni-

ca 12 maggio, ha voluto interrogare le persone su

che cosa sia la fiducia. Le definizioni e i pensieri,

raccolti sui social network e su fogli di carta durante

l’allestimento d’arte, sono stati ricamati con un filo

rosso su un abito da sposa, ad evocare simbolica-

mente la morte di Pippa e i valori universali che

hanno caratterizzato la sua attività di donna e di

artista.

Maria Imparato

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antropos in the world

agire Anno XL – N.19 –MAGGIO 2013

DA ALTRI GIORNALI

“Un sogno ad occhi aperti accende la fantasia,

con la magia di una favola, la tua…la mia” Sono

alcuni versi tratti dalla poesia “Il Profumo di

Ermione” che dà il titolo all’ultimo libro di poesie

del professor Franco Pastore, nel quale ha evocato

il nome classico dato da D’Annunzio alla donna

amata. << Ermione è il Panta Rei che è in ognuno

di noi. La ricerca del nuovo, del domani, l’ansia del

futuro; è natura, passione, vita, amore dell’umanità,

della vita che si rinnova>>, ha spiegato Pastore che

nel suo libro di liriche racconta l’amore, ma non

solo quello: <<L’amore non ha bisogno di tante

parole, di tante costruzioni, è semplice, immediato.

La mia poesia non è monotematica, è dedicata sì

all’amore, ma a un amore universalizzato, unito ai

temi più importanti della vita di un uomo: lo spazio,

la natura, i sogni segreti, le emozioni>>.

Il professor Franco Pastore, poeta, scrittore,com-

mediografo molto noto a Salerno, soprattutto per

aver scritto commedie come “La moglie dell’Oste”

o drammi storici come “L’Arechi II” che saranno

riproposti quest’anno, durante la “Fiera del Croci-

fisso Ritrovato” al “Tempio di Pomona” e al Duo-

mo, ha scritto un libro che guarda al passato, ma

proiettato nel futuro:<< E’ un bilancio del-l’anima.

Pervaso da una malinconia soffusa, dalla nostalgia

del ricordo degli anni in cui pensavamo di non

avere nulla, non sapendo che invece avevamo

tutto. Lancia però, un segnale di speranza, di

fiducia nei giovani, che sono disincantati, puliti

dentro. Se sbagliano è perché prima abbiamo sba-

gliato noi. Io spero che diano un calcio a tutti,

anche a noi. A 68 anni ho scritto un libro giovane,

dove si può comprendere il senso della vita,

dedicato soprattutto ai giovani che de-vono

guardare alla vita con occhi diversi, con amore, con

coraggio>>. Le trentacinque poesie scritte da

Pastore, interagiscono con i disegni del Maestro

Gaetano Rispoli: << Sono donne stilizzate – ha

spiegato Pastore - alla ricerca di una propria

dimensione, di una collocazione, di un percorso, di

una guida>>. “Emozione”; “Come un sogno che

muore”; “La Mimosa”; “Ananes”, un antico canto

ellenico di straordinaria dolcezza; sono solo alcuni

dei titoli delle liriche di Pastore, un poeta

innamorato dell’amore :<<L’amore è ovunque, basta

saperlo vedere. Bisogna guardare con occhi diversi

ciò che ci circonda; riscoprire la tenerezza, il calore

umano, l’affetto, il rispetto per la persona umana>>.

Ci sono anche versi dedicati al suo rione, alla sua

città:<<Salerno. Una città nata bella, nata grande,

una splendida gemma sul mare che ha perso la sua

poesia, la sua originalità>>. La poesia che ama di

più, è “Come fanno le foglie”:<<C’è la similitudine

tra la vita dell’uomo e le foglie. Come le foglie,

l’uomo è sbattuto dal vento della vita e vorrebbe

afferrarsi a qualcosa che non trova>>. Una poesia è

dedicata alla terra lucana:<< La Lucania, mi piace.

E’ una terra che ha i sapori di un tempo, dove c’è

gente che supera le difficoltà della vita con tenacia,

dove le donne curano le ferire della vita con

l’amore>>.

La prefazione del libro di Pastore è stata affidata

al dottor Luigi Crescibene, che ha sottolineato la

fluidità poetica delle liriche del professore.

L’introduzione è stata curata, invece, dal pro-

essor Don Flaviano Calenda, che ha disvelato

l’interiorità poetica di Franco Pastore.

Aniello Palumbo

IL PROFUMO D’ERMIONE

Liriche di Franco Pastore

Antropos in the world

DENTRO LA STORIA – A cura di Andropos

L’ARRESTO DI GARIBALDI

Il tenente colonnello Deodato Camosso, comandante la

divisione dei CC RR nella capitale del regno, parte lo stesso

giorno alle 13 con un treno speciale insieme a 16 carabinieri

e due compagnie di bersaglieri, una precauzione tutt'altro

che inopportuna. Gli viene consegnato un plico sigillato da

aprire a La Spezia con istruzioni sul futuro luogo di

detenzione di Garibaldi.

Alle 16,25 a Figline Valdarno c'è già una folla di curiosi

che lo sta aspettando. Camosso, appena arrivato, fa scendere

dal suo treno i carabinieri e i bersaglieri ordinando di sgom-

brare la stazione e le sue adiacenze.

Ventidue minuti dopo entra sbuffando nella stazione il

treno di Garibaldi che non è solo: quattro vagoni sono zeppi

di volontari che ricevono l'ordine di scendere. I volontari,

comprensibilmente esasperati, si abbandonano a un coro di

insulti, fischi e grida. Nel frattempo Camosso sale sul vago-

ne del generale e lo invita a seguirlo. Garibaldi non è

soltanto stupito per l'ordine, è infuriato, e gli fa calorosa-

mente eco il deputato Francesco Crispi, che è sul treno con

lui.

Nonostante le vivaci proteste, Camosso prega l'eroe di

indicargli le persone che possono seguirlo. Alla fine Gari-

baldi chiede di scendere dal treno per esigenze fisiologiche:

ma poi dice al tenente colonnello: "Voi non mi riporterete

su quel vagone se non a pezzi". "La scongiuro, signor

generale, di ricordarsi che è sceso dal treno per mio

consenso e che lei mi ha tacitamente fatto capire che poi

sarebbe nuovamente a mia disposizione".

La situazione non è per nulla tranquilla. Superati gli

sbarramenti di bersaglieri e carabinieri non pochi volontari

fanno cerchio nella sala d'aspetto intorno a Garibaldi che,

stanchissimo, ha chiesto un brodino. Camosso glielo fa

portare, ma poco dopo con la massima cortesia gli ricorda

che deve seguirlo. "No, non vi seguirò, di qui non mi

muovo se voi non mi porterete con la forza sul treno", si

ostina Garibaldi. Camosso si rende conto che non può

forzare la mano: prega il generale, scongiura Crispi, tutto

pur di evitare il ricorso alla forza. Due buone ore trascor-

rono in questa incresciosa pantomima, e sono così lunghe

che nel rapporto vengono involontariamente trasformate dal

tenente colonnello in tre. Alla fine Camosso capisce che

occorre dimostrarsi determinati: '"Lei, signor deputato

Crispi, sa benissimo che abbiamo ordini di usare la massima

cortesia, altro che scandalo governativo. Noi non vogliamo

commettere una violenza, ma il generale ce lo impone e noi

useremo la forza per compiere un dovere indeclinabile.

Maresciallo Gilardoni prenda due uomini con sé e accom-

pagni Garibaldi". "Signor Generale, in nome del Re mi se-

gua". «No, mai». I due carabinieri lo afferrano e a questo

punto Garibaldi non oppone più resistenza.

Crispi ancora strepita: "Signor colonnello, l’informo che

protestiamo vibratamente contro questa violenza detestabi-

le e che sporgeremo querela nei tribunali contro i signori

ministri e contro di lei".

I volontari urlano come

ossessi, ma nessuno com-

pie gesti avventati e ven-

gono fatti sgombrare dal-

le lucerne nere e dai piu-

metti verdi. Il treno può

finalmente partire ed ar-

riva a La Spezia il mattino seguente. Il Plico sigillato

viene aperto e comunica al tenente colonnello Camosso

che il lazzaretto del Varignano è il luogo di detenzione al

quale è destinato Garibaldi. La stazione viene sgombe-

rata e si decide di continuare in carrozza con la scorta di

soli tre carabinieri a cavallo. E' ancora buio quando

gruppi di giovani arrivano nei pressi della stazione; il

tam-tam delle notizie ufficiose ha diffuso la notizia.

"Viva Garibaldi", "Viva l'Italia", "Viva Roma", "Morte a

Napoleone III", è il grido della folla: una dimostrazione

pacifica che non rischia mai di degenerare. Camosso

raccomanda ai carabinieri di mantenere i nervi saldi,

mentre la carrozza procede sempre più piano, finché non

si ferma del tutto. Alcuni giovani hanno tagliato briglie e

tirelle ai cavalli, trascinando nell'atrio dell'albergo Croce

di Malta la carrozza. Altro intoppo perché Garibaldi

vuole anche riposarsi un po' dopo tre notti insonni. Il

colonnello insiste ancora, ma senza troppa convinzione,

perché sa che l'alloggio del generale al Varignano non e

ancora pronto e perché vuole in ogni modo evitare

problemi seri. "Come lei desidera, ma mi dia la sua

parola d'onore che partiremo all'alba", Garibaldi man-

tiene.

Alle 8,20 del 5 novembre il gruppo giunge felice-

mente al Varignano. L'umore di Garibaldi è buono e

rapporti cordiali si instaurano tra lui e gli ufficiali della

scorta. Solo una persona che accompagnava Garibaldi, il

suo genero signor Canzio, aveva posto qualche problema

a La Spezia, ma era stato ridotto alla ragione con la

minaccia di allontanarlo dal generale.

Ma per Camosso le fatiche non sono terminate: deve

condurre faticosi negoziati con Garibaldi ed il suo

seguito per convincerlo a lasciare per almeno quattro

mesi l'Italia, in cambio della libertà. La risposta è

negativa. Con il passare dei giorni il governo è sempre

più imbarazzato sotto il tiro incrociato di parlamento,

stampa e opinione pubblica. Il governo viene persino

accusato di far peggiorare la salute del generale per

costringerlo a una decisione contro la sua volontà.

Camosso però convince il generale a chiedere di sua

spontanea volontà una visita da parte di medici di sua

fiducia. E' un'idea brillante che consente al governo di

accettare la raccomandazione dei medici di trasferire il

prigioniero a Caprera, salvando la faccia e l'ordine pub-

blico. (da www.carabinieri.it)

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Antropos in the world

MITOLOGIA GRECO-LATINA

LE GRAIE (Γραῖαι)

Secondo il poeta Esiodo, le Graie incarna-

vano e simboleggiavano i vari momenti della

vecchiaia: infatti, non avevano mai vissuto la

gioventù ed avevano un solo occhio ed un solo

dente in comune.

Esse custodivano l'accesso al luogo in cui

vivevano le loro sorelle, le Gorgoni.

Quando Perseo stava cacciando Medusa, rubò

loro l'unico occhio e le costrinse a confessare

dove si trovassero l'elmo, la bisaccia e i sandali,

oggetti indispensabili per uccidere Medusa. Il

fatto che le Graie avessero un solo occhio in

comune, consentì a Perseo di passare senza

essere visto, e subito dopo, egli incontrò la dea

Atena, che gli donò uno scudo lucente e

levigato, perché potesse vedere il riflesso di

Medusa, senza fissarla negli occhi.

Sorelle delle gorgoni, il loro nome in greco è

Γραῖαι, che significa grige, infatti, nate vec-

chie, sin dalla nascita avevano i capelli bianchi.

Sicuramente meno fastidiose ed invadenti delle

cugine Arpie, ma non per questo molto più

gradevoli. I loro nomi erano Enio o La-Guerre-

sca, Dino o La-Terribile e Pafredo o La-Vespa.

Il loro animale sacro era il cigno, che nella

mitologia europea, dal Nord al Sud, è sempre

stato considerato l’Uccello-della-Morte

Il colore del piumaggio di questo splendido

animale, infatti, è bianco e il bianco, nelle anti-

che culture, è sempre stato il colore del lutto

(anche presso gli Egizi).

Lo è anche per la forma a “V” che lo stormo

prende quando si alza in volo per la migrazione

della mezza estate, essendo il segno V, consi-

derato simbolo femminile.

I cigni emigravano a mezza stagione, epoca

in cui si compiva il sacrificio del Re-Sacro o

Paredro (oggi lo chiameremmo principe-

consorte) e si pensava che portassero via sulle

loro ali l’anima del Re defunto.

Il mito secondo il quale le tre Divinità avessero

un sol dente ed un sol occhio è nato molto più

tardi, in età classica avanzata.

L’unico riferimento a ciò, lo troviamo soltanto

riguardo le imprese di Perseo, come racconto di

tempi antichi.

Secondo questo mito, Perseo nella sua impresa

per uccidere la Medusa, le sorprese, mentre ripo-

savano sui loro troni sul monte Atlante e portò via

il loro unico dente e l’unico occhio, costringen-

dole a rivelargli il luogo dove vivevno le Ninfe

Stigie. Secondo il mito originale, le tre Graie non

si lasciarono affatto portar via il dente da Perseo,

ma ne donarono uno ad Ermete per le sue

proprietà divinatorie.

Ermete ricevette dalle Graie anche un Occhio

Magico e il mito ci dice che questo eclettico Dio

ne farà davvero buon uso: se ne servirà per dare

un suono ai segni delle vocali ed delle consonanti

inventate dalle Moire, cui i Greci attribuivano

l’invenzione della Scrittura.

Le Graie, per le loro capacità divinatorie erano

dette anche Forcipi o Profetiche: dal padre, Forci,

detto anche Genio-Profetico o Porcaro. Infatti,

Nei miti d’ epoca più arcaica i Porcari esercita-

vano anche la veggenza ed erano conosciuti

anche con il nome Dios , “simile a Dio”.

Fu, infatti, con questo appellativo che Ulisse si

rivolse ad Eumeo, il porcaro dell’isola di Itaca.

Questo avveniva in età di tardo matriarcato ed

inizio patriarcato; in età classica, invece, tale

attività profetica era del tutto cessata.

Antropos in the world

DA ERICE

I FENICI ABILI MARINAI

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I Fenici non furono un paese unitario ma una

serie di città-stato che vivevano in una stretta striscia di

terra sul Mediterraneo nella zona in cui oggi si trova il

Libano.

Acca, Arado, Derido, Biblo, Sidone, Smira, Tiro,

Ugarit erano le città più note dopo Cartagine. A partire

dagli anni ’70, grazie ad una serie di scoperte archeo-

logiche promosse e programmate dall’Università di

Roma e dal Consiglio Nazionale delle Ricerche inti-

tolato alla Civiltà fenicia e punica che hanno portato a

risultati davvero significativi soprattutto in Sicilia e

Sardegna, si è potuto avviare uno studio approfondito

di questa Civiltà e di Cartagine, la sua maggiore

colonia. I Fenici, infatti, non hanno lasciato alcuna

descrizione di essi e delle loro città e, pertanto, antica-

mente particolarmente preziosi si sono rivelati i rac-

conti dei viaggiatori e pellegrini dell’antichità classica.

Erodoto, padre della storia, si reca a Tiro nel V secolo

a.C. e dialoga con i sacerdoti locali.

I geografi Stradone e Pseudo Scilace descrivono le

città costiere. Luciano di Samosata i santuari.

I primi pellegrini del sepolcro di Cristo sono affascinati

soprattutto dalla città di Sarepta, l’odierna Sarabanda,

ove il profeta Elia compie un miracolo citato da Cristo.

Si racconta, infine, che Omero, per scrivere l’Odissea

si sia ispirato ad un manuale fenicio redatto ad uso dei

viaggiatori.

Virgilio nell’Eneide descrive la tragica storia di

Didone, regina di Cartagine, amata e abbandonata da

Enea. Fu lei a guidare la spedizione che fondò

Cartagine dove un giorno approdò Enea, profugo di

Troia.

Lo storico romano Polibio racconta le gesta di An-

nibale che portò un esercito di elefanti ad attraversare

le Alpi nella speranza di vincere Roma ma sarà

sconfitto, nel 203, a Zama da Scipione l’Africano.

Nel 146, dopo tre anni di assedio, Cartagine viene

rasa al suolo per ordine del senatore Marco Porcio

Catone detto il Censore al grido di “ Delenda Cartago

”. La città venne rasa al suolo da Scipione l’Emiliano,

esecutore dell’incendio, il quale vedendo le fiamme

non seppe trattenere le lacrime. Questa la testimonianza

di Diodoro Siculo. Sulle rovine dell’antica città punica

ne è stata ricostruita una nuova. Oggi Cartagine fa

parte del Patrimonio mondiale dell’Unesco.

Le città fenicie d’Oriente erano governate da un re

che era anche il Sommo Sacerdote. Alle dipendenze

del Sovrano un governatore, un comandante sul campo

e un supervisore che gestivano il potere militare, il

potere

civile e quello mercantile. Le città fenicie d’Occidente

ebbero governo repubblicano guidato da due sufeti eletti

dal popolo fra gli abitanti più ricchi essendo la carica

molto costosa. I Fenici furono un popolo di abili ed esper-

ti marinai. La marina era dotata di navi snel-

le con 50 rematori e un rostro di bronzo

per speronare il nemico. Le squadre era-

no composte di 12 navi alle quali veniva-

no aggiunte altre navi minori agili e velo-

ci. La flotta era formata da diverse squadre e

schierava di solito 120 navi, in casi estremi an-

che 200. Si cercava di attaccare vicino la costa dove il

mare tranquillo e permetteva una migliore governabilità

delle imbarcazioni. Come segnale d’attacco veniva

innalzato un drappo rosso.

I Fenici, avevano una sola moglie anche se non era vietato

averne più di una. Re e Principi di solito sceglievano la

moglie in famiglia: spesso era una sorella. La scelta era

legata alla convinzione di avere nelle vene sangue divino:

non volevano contaminarlo generando figli con una donna

che di stirpe divina non fosse.

Le famiglie avevano scuole proprie dove si imparava a

leggere e a scrivere e si studiavano le leggi, i poemi, i

rituali. Alle donne non erano preclusi gli studi. Le case

erano costruite in mattoni su fondamenta di pietra. Le

abitazioni comuni erano modeste con un locale o due. I

benestanti possedevano anche case di due piani con molti

locali rettangolari disposti attorno a un atrio centrale

dotato di un pozzo.

I Fenici curavano molto l’igiene personale e consumavano

gran quantità di profumi e di cosmetici che preparavano

con oli ed erbe aromatiche. Le donne indossavano quasi

sempre vestiti di seta o di pizzo ed i capelli lunghi

raccolti in alto. L’abito maschile variava a seconda del

ceto e delle circostanze: la gente comune portava un

gonnellino corto arrotolato attorno ai fianchi o una tunica

senza cintura. Sul capo un berretto alto a forma cilindrica.

I mercanti indossavano tuniche di lana con una fascia di

cuoio all’altezza del petto: i nobili invece tuniche con

sopra un caftano fermato da un gioiello. Anche gli uomini

portavano orecchini, amuleti, anelli e tatuaggi decorativi.

Alla morte, i defunti venivano cremati o imbalsamati

secondo l’usanza egiziana ed erano accompagnati da un

corredo funebre di gioielli e amuleti, fra questi era molto

diffuso lo scarabeo, simbolo di rinascita. (continua)

Anna Burdua ______________________________

Anna Burdua, ericina, ha conseguito la laurea in materie letterarie

presso l’Università di Palermo. Dirigente del settore cultura (Biblio-

teca, Museo e dell’Archivio Storico) dal 1978 al 2010 ha orientato i

suoi studi principalmente sulla storia di Erice per la diffusione e la

divulgazione del patrimonio storico- culturale.

- 33 -

Antropos in the world

DE COGNOMINE DISPUTĀMUS a cura di Gaetano Rispoli

“ Il soprannome è l’orma di una identità forte, che si è

imposta per una consuetudine emersa d’improvviso, il rico-

noscimento di una nobiltà popolare, conquistata in virtù di

un ruolo circoscritto alla persona, quasi una spinta naturale

a proseguire nella ricerca travagliata di un altro sé. Il

sistema antroponimico era dunque binominale, formato da

un nome seguito o da un’indicazione di luogo (per es.:

Jacopone da Todi), o da un patronimico (Jacopo di Ugolino)

o da un matronimico (Domenico di Benedetta) o da un

attributo relativo al mestiere (Andrea Pastore), et cetera. Il

patrimonio dei cognomi era pertanto così scarso, che

diventava necessario ricorrere ai soprannomi, la cui origine

non ha tempi e leggi tali, da permettere la conoscenza di

come si siano formati, e la maggior parte di essi resta

inspiegabile a studiosi e ricercatori.

Spesso, la nascita di un soprannome rimanda ad acco-

stamenti di immagini paradossali ed arbitrari. Inutilmente ci

si sforzerebbe di capire il significato e l’origine di sopran-

nomi come "centrellaro" o come "strifizzo" o "trusiano",

lavorando solo a livello di ricerca storica e filologica. E

così, moltissimi soprannomi restano inspiegabili, incompren-

sibili, perché si è perso ormai il contesto storico, sociale e

culturale o, addirittura, il ricordo dell’occasione in cui il

soprannome è nato. Verso il XVIII° secolo, il bisogno di far

un po’ d'ordine e la necessità di identificare popolazioni

diventate ormai troppo popolose porta all'im-posizione per

legge dell'obbligo del cognome.

Questo mese, ci occuperemo del cognomi:

Vasto -Vastola. Vastola è presente in 103 comuni italiani, co-

gnome tipicamente campano, soprattutto delle

zone tra napoletano e salernitano, potrebbe

derivare dal toponimo Vasto (CH) o dal latino

'vastus' = vuoto spopolato, incrociatosi poi con

l'a.a.t. 'wuosti' = vuoto, deserto. Per G. Rohlfs

deri-verebbe invece dall'ipocoristico e beta-

cismo del cognome spagnolo Bast.

Il comune di Vasto è delimitato a nord dal

fiume Sinello, a sud dal vallone di Buonanotte,

ad est dal mare Adriatico. Confina con i comuni

di Casalbordino, Pollutri, Monteodorisio, Cupel-

lo e San Salvo. La città sorge in una zona

collinare a 144 m s.l.m. Vasto ha una superficie

di 70,65 chilometri quadrati ed è il quarto

comune abruzzese per estensione territoriale. La

sua costa si estende per 7 km di arenile e 13 km

di scogliera. Il promontorio sul quale sorge la

città dà origine al Golfo di Vasto, l'unica inse-

natura tra il Golfo di Ancona a nord e quello di

Manfredonia a sud.

Giovanni Vastola (San Valentino Torio, 20

aprile 1938) è un allenatore di calcio ed ex

calciatore italiano, di ruolo ala. Dopo l'exploit

in maglia vicentina, nel 1965 passò al Bologna.

Pur in concorrenza con Marino Perani per il

ruolo di ala destra titolare, mise a segno 9 reti

in 18 partite nella sua prima stagione con i

rossoblu, mentre nell'annata successiva trovò

meno spazio, disputando 10 partite con 4 reti.

Adelasia del Vasto, nota anche come Adelaide,

fu la terza moglie di Ruggero I di Sicilia e la

madre di Ruggero II. Nel 1089 Adelasia sposò

a Mileto, in Calabria, il gran conte normanno,

suggellando così un'alleanza tra aleramici e

normanni. Adelasia giunse al porto di Messina

in pompa magna su navi da cui sbarcarono

dote, scorta e un nutrito seguito di suoi conter-

ranei piemontesi che l'avevano seguita per inse-

diarsi nella parte centro-orientale dell'isola.

Dopo la morte del marito, Adelasia divenne

reggente del regno fino alla maggiore età del

figlio (dal 1101 sino al 1112).

Eventi FONDATORE – DIR.

EDITORIALE

Livio Pastore DIRETTORE RESPONSABILE

Sergio Sbarra EDITORE

Ass. Culturale Eventi Via Pedagnali,65 - Sarno (Salerno)

Tel.: 081967292

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Antropos in the world

LEVIORA

La barzelletta illustrata da Paolo Liguori

Sui simpatici ed ottimi carabinieri – Siamo in Sicilia, un automobilista vede dei carabinieri ad

un posto di blocco che mettono il dito nei serbatoi delle auto e poi se lo leccano. Ma che cosa

state facendo dice l'automobilista ai carabinieri e i carabinieri, gli ordini sono chiari, dobbiamo

fermare tutte le macchine che vanno a Marsala.

Cose dell’altro mondo – - Anna, è da tanto tempo che ho in mente un brutto pensiero. Il nostro

ultimo figlio non assomiglia affatto agli altri nove. Ormai siamo vecchi, dimmi la verita’. Ha un

padre diverso dagli altri? -. Lei: Ebbene, sì!- . Lui: - Oh, mio Dio! E chi è il padre? -. La moglie:

- Ma sei tu, caro! -

Gira sul web – Due amiche escono dal parrucchiere:- Oddio, mio marito sta arrivando con il

mio amante!- E l’altra:- Che coincidenza, stavo per dire la stessa cosa!-

Cose dell’altro mondo – Intervista in un manicomio, ad un matto che crede di essere il Papa.

- Ma perché è vestito cosi’ tutto di bianco e con la tiara?-

- Ma, caro, non vede, io sono il Papa!-

- E quando è stato eletto? – E lui - Nessuno mi ha eletto; me lo ha detto Dio stesso!-

Un altro matto li’ vicino:- No, guarda che io non ti ho detto proprio niente!-

Vecchia ma sempre bella – Un tizio va a trovare un amico che aveva subito un piccolo interven-

to chirurgico. Entrato in camera rimane sorpreso dal via vai di infermiere che premurose lo accu-

discono, chi accomoda i cuscini, chi rifà il letto, chi porta un dolcetto.

- Ma come mai tutte queste attenzioni – domanda il tizio all’amico – mi sembra che tu non stia

poi cosi’ male?

- Sì e vero… ma si è sparsa la voce che per la mia circoncisione ci sono voluti 37 punti!

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Antropos in the world

L’ANGOLO DELLA SATIRA

REALTA’ ITALIANA di Andropos

Lu donu sacru ( una bella lirica di Santo Grasso)

Nello Stato ballerino

or si paga anche ai grillini.

Tutto crolla, tutto arranca

nel case il pane manca,

ma le tasse in verità

vengon sempre e stanno qua.

L’agenzia delle Entrate

ciecamente dà palate

paga adesso, poi si vede

la giustizia? Chi la vede!

Il pigiòn, la spazzatura,

poi del gas la fornitura,

vien la luce, o marameo!

L’ANGOLO DEL CUORE

Il salasso dell’Ateneo…

Ma bisogna pur mangiare

ed il corpo poi curare?

La vecchiaia, or che incombe,

con gli acciacchi,

anch’essa rompe:

la pressione, poi il diabete,

l’occhio destro che non vede

e la prostata che cede,

poi c’è il cuor che fa cilecca

e l’artrosi che ti becca;

senza soldi, catenazzo,

tu ti curi con il ...zo!

Veni, jèmu alleggiu, nun ti scantari,

tèniti bedda forti a lu me vrazzu,

nun avìri timuri a caminari

e nun pinzari ca nun ci la fazzu.

U sacciu ca sì sempri puntigghiusa

e quantu un filu d’erba vo’ pisari,

nun canci mai, armuzza ginirusa,

pi tia chiddu ca cunta è sulu ‘u dari.

Comu lu suli spanni ‘u so’ caluri,

tuttu lu tempu senza si stancari,

lu stissu ha fattu tu, sempri pi l’atri;

a mia mi dasti senza sgavitari,

‘na cosa di grannissimu valuri:

lu donu sacru di la vita…matri.

Tribàle – 11 / 05 / 2013

Vieni, camminiamo a cuor leggero,

non ti impressionare,

tieniti saldamente al mio braccio,

non aver timore a camminare

e non pensare che non ce la faccio.

Lo so che sei sempre accorta

e nulla ti sfugge, nemmeno un filo d’erba,

non cambi mai, anima generosa,

per te conta solo il dare, a iosa.

E come il sole diffonde il suo calore,

continuamente, senza stancarsi,

così hai fatto tu, per gli altri;

desti a me, senza risparmio,

una cosa di enorme valore:

il dono scaro della vita …madre.

La teleweb ANTROPOS IN THE WORLD e la sua rivista non hanno finalità lucrative, né sono esse legate ad ideologie politiche. Perciò, agiscono nella totale libertà di pensiero, in nome di una cultura, che ha a cuore i valori che rappresentano il cardine della società civile e della vita,nel pieno rispetto per la persona umana e contro ogni forma di idiosincrasia. Pro pace, sempre contra bellum.

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