1
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA
FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI
CORSO DI LAUREA IN FISICA
Nunzia Simona Martorana
Indagine non distruttiva e in situ di beni
d’interesse culturale:
metodi PIXE-α e XRD
Tesi di Laurea
Relatore: Prof.ssa Francesca Rizzo
Correlatore: Dr.ssa Lighea Pappalardo
ANNO ACCADEMICO 2011 – 2012
2
3
Indice
Introduzione ................................................................. 5
Capitolo 1
Le Tecniche di indagine ................................................ 7
1.1 Spettroscopia Raman ................................................................ 8
1.2 Spettroscopia X ...................................................................... 10
1.3 Le tecniche IBA ...................................................................... 13
1.3.1 La tecnica RBS ............................................................... 14
Capitolo 2
Metodi PIXE-α e XRD ............................................... 16
2.1 Produzione di raggi X............................................................. 16
2.1.1 Tubo a raggi X…… ……………………………………..…….18
2.2 Interazione raggi X e materia ................................................. 19
2.3 Metodo XRD ............................................................................ 23
2.3.1 Principi di diffrazione ....................................................... 23
2.3.2 Apparato sperimentale ...................................................... 28
2.3.3 Analisi dello spettro .......................................................... 33
2.4 Tecnica PIXE .......................................................................... 35
2.4.1 Principio fisico ................................................................. 36
2.4.2 Analisi dello spettro ........................................................... 39
2.5 PIXE-α .................................................................................... 45
4
Capitolo 3
Complementarità delle tecniche PIXE-α e XRD ............. 48
3.1 I minerali ................................................................. 50
3.2 Le ocre .................................................................... 51
3.2.1 Terra di Siena ....................................................... 51
3.2.2 Ocra rossa .......................................................... 52
3.2.3 Terra verde ......................................................... 54
3.3 Gli affreschi romani ..................................................... 55
Conclusioni ................................................................ 60
5
Introduzione
Il lavoro esposto nella seguente tesi riguarda lo studio di tecniche non distruttive e
in situ per l’analisi di beni d’interesse storico-artistico. Tipicamente, le analisi che
si effettuano su opere d’arte sono atte sia a risolvere problematiche relative
all’impiego di materiali di restauro, in modo da garantire la conservazione dei
beni, sia alla conoscenza della data di fabbricazione, del paese d’origine, della
struttura chimico-fisica e degli eventuali cambiamenti nel tempo.
L’importanza delle tecniche di cui si tratta risiede nella possibilità di effettuare
misure non distruttive. Fino ad un recente passato, infatti, la composizione dei
materiali veniva stabilita con criteri prettamente stilistici, mentre in epoche più
moderne, con l’avvento di nuove tecnologie analitiche, utilizzando metodi chimici
distruttivi. Attualmente, si sfruttano fenomeni tipici della fisica atomica e
nucleare, basati sull’interazione tra la radiazione incidente (elettromagnetica o di
particella cariche) e la materia. Anche la possibilità di effettuare analisi in situ è di
fondamentale interesse; in questo modo, infatti, si evita di rimuovere il bene dal
luogo in cui è conservato, il che assume un ruolo fondamentale se l’opera d’arte
da investigare non è trasferibile presso i laboratori, come accade nel caso di opere
di particolar pregio, o se essa rappresenta parte di un edificio storico (colonne,
affreschi parietali).
Queste tecniche, oggi, costituiscono un mezzo consolidato di indagine dei
materiali, infatti molti laboratori industriali e di ricerca applicata sono forniti di
acceleratori dedicati a scopi analitici. Tra i principali centri di ricerca operanti in
Italia, si ricordano il laboratorio LANDIS, operante attraverso una collaborazione
tra il LNS-INFN, l’IBAM-CNR e il Dipartimento di Fisica e Astronomia di
Catania, i Laboratori Nazionali di Legnaro (Pd) e il Dipartimento di Fisica
dell’Università di Firenze.
I motivi per i quali l’utilizzo della Fisica Nucleare per l’Archeologia è sempre più
in crescita, sono riconducibili alla flessibilità e alla ricchezza di informazioni che
6
si possono ottenere. Inoltre, negli ultimi anni, le tecniche basate sulla fisica
nucleare applicata allo studio dei Beni Culturali in genere hanno subito una
continua evoluzione volta a migliorarne il grado di accuratezza e ad ampliare la
gamma delle applicazioni, cercando di minimizzare il rischio di danneggiamento
del campione e i tempi di misura.
Nel primo capitolo del lavoro, si presentano le differenti tecniche di analisi
descrivendo i principi fisici su cui esse si basano, tra queste un’attenzione
particolare viene dedicata alle tecniche: PIXE, RBS, PIGE, spettroscopia
molecolare Raman e XRF.
Nel secondo capitolo sono trattate, in dettaglio, le tecniche di analisi PIXE-α e
XRD, sviluppate e/o utilizzate presso il laboratorio LANDIS dei LNS/INFN-CNR
di Catania. Verranno, altresì, descritti gli strumenti, le peculiarità di ogni metodo,
i processi fisici coinvolti e le informazioni qualitative e quantitative che si
possono ottenere. Nel terzo capitolo sono riportati degli esempi di spettri acquisiti
con le tecniche PIXE-α e XRD, al fine di evidenziare come l’utilizzo combinato
delle due tecniche permetta di ottenere informazioni particolareggiate sul
campione investigato. Infatti l’insieme dei dati ottenuti adoperando entrambe le
tecniche permette di risalire non solo agli elementi chimici presenti nei differenti
campioni, ma anche alla loro composizione mineralogica. Inoltre, verrà riportato il
risultato di una misura ottenuta analizzando uno standard, tramite il PIXE-α, e la
metodologia correntemente adoperata per la determinazione dell’analisi
quantitativa.
7
Capitolo 1
Le tecniche di indagine
L’archeometria è una disciplina che si occupa dello studio di materiali di interesse
storico-artistico, il bene costituisce l’oggetto primario dell’indagine e gli obiettivi
dell’analisi sono molteplici: caratterizzazione della composizione fisico-chimica,
datazione e determinazione dei cambiamenti del materiale nel tempo.
Le tecniche di indagine di cui si tratta permettono di analizzare “singoli” campioni
per poi collocare le informazioni in un quadro storico abbastanza vasto, infatti la
conoscenza dei parametri prima citati può permettere di individuare il grado di
sapere tecnologico di un popolo antico, scovare i falsi d’autore, fornire
informazioni sul degrado dell’opera e, quindi, sui metodi di restauro. Tra le
tecniche esistenti, sono di notevole interesse quelle che utilizzano strumenti di
misura portatili che consentano l’analisi dell’oggetto direttamente presso il luogo
in cui esso è custodito (analisi in situ) e, soprattutto, che non arrechino alcun
danno strutturale all’oggetto in esame (analisi non distruttive) [1].
Sono denominate non distruttive tutte le tecniche che preservano l’integrità del
campione analizzato, non richiedendo il prelievo di porzioni del bene oggetto di
studio.
Le tecniche utilizzate in archeometria si basano sull’interazione radiazione-
materia. Da tali tecniche si possono ottenere informazioni sia di tipo qualitativo
che di tipo quantitativo. Sono qualitative quelle informazioni che permettono di
identificare composti chimici o elementi, quantitative quelle che permettono di
determinarne la concentrazione.
8
Si possono distinguere differenti tecniche in base al tipo di informazione che si
vuole ottenere e alle caratteristiche del materiale che si vuole studiare:
spettroscopia atomica, spettroscopia molecolare, spettroscopia X, diffrazione.
In questo capitolo sono descritte alcune delle tecniche spettroscopiche
comunemente adoperate quali la spettroscopia Raman, il metodo XRF, le tecniche
IBA ( Pixe, Pige e RBS).
1.1 Spettroscopia Raman
La spettroscopia Raman [2] è una tecnica non invasiva che si basa sull’interazione
radiazione-materia, lo studio si effettua sullo spettro (Figura 1.1) che segue
dall’interazione.
Figura 1.1: Spettro Raman
Quando una radiazione elettromagnetica monocromatica incide su un materiale in
parte passa indisturbata attraverso il campione, in parte interagisce elasticamente
subendo una diffusione (scattering alla Rayleigh); un numero inferiore di fotoni
(circa 1 su 106) interagisce con le molecole attivando i loro moti roto-vibrazionali
(interazione anelastica). Le molecole assorbono energia passando ad uno stato
eccitato, dal quale diseccitandosi, emettono fotoni con frequenze maggiori o
9
minori rispetto alla frequenza della radiazione incidente. Lo spettro risultante
presenta tre righe di emissione, quella centrale è associata allo scattering
Rayleigh, le altre due sono denominate righe Stokes e anti-Stokes.
Le due righe sono disposte simmetricamente rispetto alla riga Rayleigh e la
differenza di energia rispetto a questa corrisponde all’energia ceduta o acquistata
dalla molecola. Lo spettro Raman a differenza degli spettri di emissione o di
assorbimento, dipende solo dalle caratteristiche del campione, cioè non si ottiene
esclusivamente a frequenze incidenti fissate, ed è quindi come un’impronta
digitale del materiale.
Essendo la misura unicamente basata sulla determinazione delle lunghezze d’onda
delle righe Stokes e anti-Stokes, la spettroscopia Raman rientra nelle tecniche di
spettroscopia molecolare; permette di ottenere informazioni sui gruppi funzionali
che costituiscono il campione e sfrutta tecniche sia portatili che non, in particolare
le prime consentono di lavorare con campioni ingombranti.
Gli strumenti portatili, però, possono inficiare la misura in modo significativo a
causa delle oscillazioni dello strumento stesso, infatti nello spettro Raman i picchi
delle molecole sono molto vicini, quindi è necessario effettuare misure molto
accurate.
Questa tecnica è prevalentemente utilizzata per condurre analisi di tipo
superficiale e per caratterizzare composti organici ed inorganici in materiali di
origine animale e vegetale. In Figura 1.2 sono riportati esempi di Raman, di
quattro differenti pigmenti.
10
Figura 1.2: Esempi di spettri Raman di quattro diversi pigmenti
1.2 Spettroscopia X
La spettroscopia X è una tecnica d’indagine che sfrutta la produzione di raggi X a
seguito dell’interazione della radiazione con il campione; permette di ottenere
informazioni relative agli strati più superficiali oppure può estendersi fino a
diverse centinaia di nel “corpo” del campione.
Tra le tecniche di spettroscopia X vi è la XRF (X-Ray Fluorescence) la quale è
una delle tecniche non distruttive più diffuse per la determinazione degli elementi
presenti in un campione e per la loro quantificazione.
In tale tecnica si sfrutta l’effetto fotoelettrico: raggi X incidono sul campione e, se
possiedono un’energia sufficiente, causano l’emissione di uno degli elettroni delle
shells più interne; la lacuna formatasi è riempita da un elettrone che si trova nella
shell successiva. L’atomo, diseccitandosi, emette un fotone con energia
11
caratteristica del salto quantico effettuato dall’elettrone; poiché le energie di
legame degli elettroni nell’atomo sono dell’ordine del KeV, la radiazione emessa
sarà un raggio X.
L’energia delle radiazioni emesse permette di riconoscere gli elementi presenti nel
campione, la loro l’intensità permette di determinarne la concentrazione.
La tecnica XRF comprende due ulteriori metodi di analisi:
Tecnica Wave Dispersive-XRF, in cui la radiazione emessa è rivelata in
funzione della sua lunghezza d’onda. E’ una tecnica molto accurata ma
non permette di effettuare delle analisi in situ, infatti, per separare e
studiare le varie lunghezze d’onda è necessario un prisma accoppiato ad un
rivelatore che si deve posizionare ad angoli ben precisi, inoltre per avere
una buona risoluzione la distanza tra il rivelatore e il prisma deve essere
abbastanza grande.
Tecnica Energy Dispersive-XRF è una tecnica meno accurata ma che
permette, attraverso un rivelatore a stato solido, di identificare tutti gli
elementi presenti nel campione. Inoltre i tempi di misura si riducono molto
rispetto alla WDXRF.
Gli strumenti che permettono di eseguire le analisi XRF possono essere da banco,
in cui si riesce ad analizzare un campione di quantità minore di un grammo. Gli
strumenti da banco con microscopio permettono, invece, di analizzare aree molto
piccole fino a poche decine di μm. Infine si possono utilizzare strumenti portatili
che analizzano la superficie del campione, fino ad una profondità variabile.
In Figura 1.3 è presentato uno schema di analisi XRF.
12
Figura 1.3: schema di analisi XRF
La tecnica XRF non permette di svelare elementi con basso numero atomico, a
partire dal magnesio fino all’idrogeno, quindi non è adatta per l’identificazione di
materiali organici; è più idonea per l’analisi di materiali inorganici, come
ceramica, vetro, metalli e materiali lapidei.
In Figura 1.4 è riportato un esempio di analisi condotta con il metodo XRF.
Figura 1.4: Esempio di spettro XRF, realizzato su un campione di cinabro.
13
1.3 Tecniche IBA (Ion Beam Analysis)
Le tecniche IBA sfruttano l’interazione, atomica e nucleare, tra un fascio di
particelle cariche e il campione da investigare.
E’ noto che quando una particella carica interagisce con un materiale perde
energia, la perdita di energia avviene per collisioni con gli elettroni atomici
oppure per collisioni di tipo elastico o anelastico con i nuclei degli elementi del
campione e dipende sia dal tipo di particella incidente che dal tipo di materiale.
A seguito di questa interazione si ha l’emissione di raggi X, o di particelle
leggere; dallo studio della radiazione emessa si può risalire alla composizione
elementale del campione ma non ai legami chimici presenti.
Figura 1.5: Reazione IBA
Tra le tecniche IBA si distinguono:
PIXE (Particle-Induced X-Ray Emission), che sfrutta l’emissione
caratteristica di raggi X da un campione irradiato con fasci di particelle
cariche. In particolare se le particelle incidenti sono α, la tecnica è detta
PIXE-α, di cui si discuterà nel prossimo capitolo.
14
PIGE ( Particle-Induced -ray Emission) che si basa su reazioni nucleari,
infatti rivela raggi gamma emessi dal nucleo degli atomi irradiati.
RBS ( Rutherford Backscattering Spectrometry), che sfrutta la diffusione
all’indietro di protoni o particelle α incidenti su un bersaglio.
Queste tecniche rappresentano un mezzo d’indagine consolidato, sia perché
sono molto versatili e non distruttive ma anche per la semplicità dei processi
fisici coinvolti.
A vantaggio delle tecniche IBA vi sono sezioni d’urto elevate e questo
garantisce che anche flussi di particelle limitati possono produrre segnali
intensi.
1.3.1 La tecnica RBS
La tecnica RBS sfrutta la diffusione all’indietro delle particelle incidenti su un
bersaglio. L’energia delle particelle diffuse dipende sia dalla massa del nucleo
bersaglio sia dalla profondità a cui avviene l’interazione, dall’analisi dello spettro
di energia degli ioni backscatterati si possono ottenere informazioni qualitative e
quantitative sulla composizione del campione .
Le collisioni d’interesse sono di tipo elastico coulombiano, dovute alla forte
repulsione coulombiana di cui risentono i due nuclei quando sono vicini tra loro;
si utilizzano energie di pochi MeV in modo da essere al di sotto della barriera
coulombiana e non dar luogo a fenomeni nucleari.
L’interazione coulombiana può essere descritta come un urto elastico, facendo uso
della fisica classica; in queste condizioni sono valide e leggi di conservazione di
energia e impulso, dalle quali si può ricavare una proporzionalità tra energia
cinetica della particella incidente, To , e quella della particella diffusa, T1 [3] .
*(
)( √
)+
(1.1)
Il termine di proporzionalità è detto fattore cinematico e dipende solo dalle masse
m1 e m2, della particella incidente e diffusa, rispettivamente, e dall’angolo di
diffusione .
Nel caso della tecnica RBS ≈ 180°, quindi il fattore cinematico non dipende da
ma solo dalle masse m1 e m2 .
15
( ) *
+
(1.2)
La tecnica RBS è utile per distinguere due elementi leggeri presenti nel campione
ma la capacità di distinguere due elementi pesanti è scarsa. Inoltre utilizzando
campioni composti da particelle più leggere dei proiettili si avrà una diffusione in
avanti; ad esempio se He incide su H non subirà backscattering, quindi per
rivelare ioni più leggeri del proiettile è necessario utilizzare tecniche alternative.
16
Capitolo 2
Metodi PIXE-α e XRD
I raggi X furono scoperti nel 1895 dal fisico tedesco W.C. Roentgen; tra il 1913 e
il 1914 Moseley comprese che l'emissione dei raggi X era caratteristica
dell’elemento emittente, infatti questa variava con regolarità in funzione del
numero atomico . Proprio per questo, nel corso degli anni, si è avuto lo sviluppo
di tecniche che permettono di identificare gli elementi presenti in un campione
dallo studio dei raggi X emessi.
Nei prossimi paragrafi si studiano i metodi di produzione dei raggi X e la loro
interazione con la materia, per poter poi analizzare le problematiche legate ai
metodi che li utilizzano.
2.1 Produzione dei Raggi X
I raggi X sono radiazioni elettromagnetiche con lunghezza d’onda compresa tra
10-8
e 10-11
m circa [4,5,6] e possono essere adoperati per eccitare e ionizzare un
atomo. La produzione dei raggi X può avvenire attraverso due meccanismi
distinti.
Il primo meccanismo è il cosiddetto processo di Bremsstrahlung (Figura 2.1 (a)):
un elettrone, incidendo su un materiale, subisce una decelerazione a causa della
repulsione degli elettroni atomici del bersaglio e perde energia, che viene emessa
sotto forma di fotoni; tale processo è responsabile dello spettro continuo dei raggi
X. Il secondo meccanismo di produzione (Figura 2.1(b)) si ha nel caso in cui
l’energia delle particelle cariche incidenti è sufficiente ad ionizzare l’atomo,
rimuovendo un elettrone delle shells più interne e formando, quindi, una lacuna.
L’elettrone di un’orbita con numero quantico maggiore occupa il posto
dell’elettrone rimosso emettendo radiazione caratterista, con energia pari alla
spaziatura tra i livelli energetici. Dato che le energie di legame degli elettroni
negli atomi sono dell’ordine del KeV, la lunghezza d’onda della radiazione
17
elettromagnetica emessa, calcolabile dalla legge di Planck si trova
proprio nella regione dei raggi X.
Lo studio della radiazione caratteristica è importante perché permette di
identificare il materiale di cui è costituito il campione in esame.
In Figura 2.2 è mostrato lo spettro di raggi X emessi da un tubo di Tungsteno ( o
Wolframio ) che opera a 100 kV. La parte continua dello spettro rappresenta
i raggi X prodotti dal fenomeno di Bremsstrahlung; invece i picchi sono relativi
all’emissione di radiazione caratteristica.
Figura 2.1: Produzione di raggi X a) Bremsstrahlung b) emissione caratteristica.
Figura 2.2: Spettro di raggi X.
18
2.1.1 Tubo a raggi X
Il dispositivo utilizzato per la produzione di raggi X è, sostanzialmente, un tubo:
al suo interno è realizzato il vuoto e sono, inoltre, presenti un catodo e un anodo.
Il catodo è costituito da un filamento di metallo nel quale viene fatta passare
corrente elettrica, fornita da un generatore di bassa tensione ed alta corrente. Se la
corrente è elevata, il filamento diventa incandescente e si ha emissione di elettroni
per effetto termoionico. L’anodo è costituito da una piastra di un metallo, tipicamente Tungsteno o
Wolframio, che deve avere i seguenti requisiti: numero atomico elevato, alta
temperatura di fusione e buona conducibilità termica. Tra anodo e catodo si
stabilisce una differenza di potenziale elettrostatica abbastanza elevata, che
accelera gli elettroni verso l’anodo. Gli elettroni, urtando contro l’anodo,
producono raggi X, secondo i due meccanismi descritti nel paragrafo 2.1.
Per variare la lunghezza d’onda dei fotoni X emessi dal tubo, si può agire sul
potenziale, invece, per variare l’intensità del fascio di raggi X si può variare la
corrente che attraversa il tubo oppure aumentare la differenza di potenziale tra
anodo e catodo, in questo modo, infatti, un numero sempre maggiore di elettroni
sarà accelerato nella giusta direzione.
Per l’utilizzazione dei raggi X si richiede un fascio collimato, che si ottiene
schermando il tubo, salvo una piccola zona, chiamata finestra attiva, con un
contenitore di Piombo. Spesso per ridurre al minimo l’attenuazione attraverso la
finestra, questa viene realizzata con un sottile strato di Berillio.
In Figura 2.3 è riportato lo schema complessivo di un tubo a raggi X.
19
Figura 2.3: Schema complessivo di un tubo a raggi X. Gli elettroni, ottenuti per effetto
termoionico dal filamento F, attraversato da una corrente elettrica prodotta dal generatore di corrente
GI, sono accelerati, dal catodo C verso l’anodo A, dall’intenso campo elettrico fornito dal generatore di
tensione G [7].
2.2 Interazione Raggi X e materia
I raggi X interagendo con un atomo possono produrre effetto fotoelettrico, effetto
Compton o scattering alla Rayleigh. Per energie del fotone incidente almeno pari
a 1.02 MeV si può avere il fenomeno di produzione di coppia; il processo di
produzione di coppia che avviene, quindi, nel caso di raggi verrà comunque
descritto per completezza.
Questi processi, che rimuovono raggi X dal fascio incidente, sono caratterizzati da
sezioni d’urto differenti, come descritto successivamente in Figura 2.6 e
avvengono con maggiore probabilità ad energie diverse.
Un fascio di raggi X con intensità iniziale , dopo aver attraversato uno spessore
, subisce un’attenuazione dovuta all’interazione con gli atomi del materiale
attraversato, possedendo, quindi, un’intensità emergente inferiore rispetto a
quella iniziale.
L’assorbimento dei raggi X è descritto dalla relazione di Lambert-Beer [8] :
(2.1)
20
In cui è lo spessore attraversato e il coefficiente di assorbimento lineare [cm-1
]
che dipende dal numero atomico del materiale, dalla sua densità e dall’energia del
fascio incidente. Il coefficiente lineare μ è descritto dalla seguente relazione:
(
) (2.2)
è la sezione d’urto totale relativa ai differenti processi fisici che possono
avvenire nel materiale:
(2.3)
è la densità del materiale,
il numero di Avogadro,
il peso atomico,
In Figura 2.4 è riportato l’andamento del coefficiente lineare per diverse
energie, nel caso di acqua.
Figura 2.4: Variazione del coefficiente lineare a diverse energie nel caso di acqua [9].
21
Spesso si utilizza il coefficiente lineare massivo μm = μ/ρ, che ha il vantaggio di
non dipendere dal particolare stato fisico-chimico del materiale. Come già affermato in precedenza, l’attenuazione del fascio, avviene secondo
quattro processi:
Effetto fotoelettrico
Nell’effetto fotoelettrico il fotone, appartenente al fascio incidente con frequenza
, è assorbito dall’atomo e istantaneamente si ha l’espulsione di un elettrone
atomico con energia cinetica data dalla relazione:
(2.4)
L’effetto fotoelettrico è un effetto a soglia, infatti avviene solo se il fotone ha
energia almeno pari al potenziale di estrazione dell’atomo.
Effetto Compton
L’effetto Compton si manifesta quando l’energia del fotone incidente è maggiore
rispetto alle energie di legame degli elettroni atomici, infatti, in questo caso,
l’elettrone può essere considerato libero e a riposo. Quando la radiazione
incidente interagisce con l’elettrone, questo viene diffuso ad un angolo e la
radiazione, diffusa ad un angolo (Figura 2.5), ha energia data da:
(2.5)
Figura 2.5: Diagramma schematico di diffusione Compton. L’energia e l’impulso si conservano, come
risultato la radiazione diffusa ha una minore energia della radiazione incidente.
22
Produzione di coppie
Un fotone con energia superiore a 1.02 MeV, interagendo con il nucleo
dell’atomo del mezzo assorbitore, può convertirsi in una coppia elettrone-
positrone di energia cinetica pari alla differenza dell’energia cinetica del
fotone iniziale e 1.02 MeV che corrisponde all’equivalente energetico
della massa delle due particelle. La probabilità che questo processo
avvenga dipende fondamentalmente dall’energia della radiazione e dal
numero atomico del mezzo assorbitore.
Per quanto concerne la diffusione, i fotoni vengono deviati dagli atomi del
materiale in tutte le direzioni senza alcuna variazione della lunghezza d’onda.
Tale effetto è piuttosto ridotto e contribuisce a creare una radiazione distribuita
nell’ambiente.
Alla luce di quanto affermato il coefficiente di attenuazione , complessivamente,
è dato dalla somma dei coefficienti relativi ai differenti contributi:
. (2.6)
Nella Figura 2.6 È riportato l’andamento delle sezioni d’urto dei differenti
processi.
Figura 2.6: Andamento delle sezioni d’urto relative ai vari effetti in funzione dell’energia del fascio
incidente per il Piombo.
23
2.3 Metodo XRD ( X-Ray Diffraction)
La tecnica XRD è una delle tecniche analitiche maggiormente adoperate per lo
studio della struttura cristallina delle sostanze, infatti, sfruttando la diffrazione dei
raggi X prodotta dal reticolo del materiale oggetto di studio, si ottengono
informazioni sugli atomi che lo costituiscono, sulla loro distribuzione e sulle
distanze tra i piani reticolari degli stessi.
Queste proprietà sono peculiari di ogni sostanza e ne permettono l’identificazione.
L’analisi si basa sullo studio dello spettro dei raggi X diffratti dal campione, è
opportuno precisare che questo non è monocromatico e all’intensità massima dei
raggi X emessi contribuiscono differenti fattori, alcuni tra questi verranno descritti
nei prossimi paragrafi.
La XRD è, tra l’altro, una tecnica molto versatile perché permette di condurre
analisi su molti solidi, dato che circa il 95% di essi può essere descritto come un
cristallino. Un cristallo è un oggetto in cui gli atomi si dispongono, nelle tre
dimensioni, secondo una struttura ordinata con distanze reciproche molto piccole,
conferendogli una geometria poliedrica. E’ possibile utilizzare un cristallo come
reticolo di diffrazione di raggi X, perché questi hanno lunghezza d’onda dello
stesso ordine di grandezza del passo del reticolo.
2.3.1 Principi di diffrazione
Quando un fascio di raggi X di lunghezza d’onda incide sulla struttura
cristallina, gli elettroni che circondano ogni singolo nucleo si comportano come
dipoli oscillanti ed emettono onde elettromagnetiche con la stessa lunghezza
d’onda di quella incidente ma in tutte le direzioni. Le onde generate da due atomi
contigui possono interferire costruttivamente o distruttivamente, questo dipende
dal valore della differenza di cammino: se essa è un multiplo della lunghezza
24
d’onda ( ) si ha interferenza costruttiva, se è un multiplo di mezza lunghezza
d’onda (
)l’interferenza è distruttiva.
Considerando una serie di piani paralleli passanti per gli atomi, detta la distanza
tra i due piani reticolari (Figura 2.7) e l’angolo formato tra il fascio di incidenza
e il piano del reticolo, si ha interferenza costruttiva quando [10]:
(2.7)
La relazione (2.7) è detta legge di Bragg e mostra, appunto, che i vari ordini di
diffrazione si ottengono per valori di che soddisfano la (2.7), mentre nelle
altre direzioni si ha interferenza distruttiva.
Figura 2.7: Derivazione geometrica della legge di Bragg: l’interfenza costruttiva avviene quando la
differenza di cammino XY+ YZ è un multiplo intero di una lunghezza d’onda.
L’intensità dei picchi di diffrazione dipende da diversi fattori legati sia alla
geometria della diffrazione che ai centri elementari di diffusione, ovvero gli
elettroni.
Tra i fattori geometrici vi sono:
25
Fattore di Lorentz
Questo termine tiene in considerazione della non perfetta monocromaticità della
radiazione incidente, della divergenza del fascio incidente e diffratto o della
diversa orientazione dei microcristalli nelle polveri e nei policristallini.
Nel caso di polveri la correzione introdotta è
Fattore di molteplicità
Diversi piani reticolari diffondono un ordine di diffrazione allo stesso valore di ,
quindi l’intensità diffusa ad un dato angolo risulta aumentata di una quantità che
può essere calcolata a partire dalla particolare struttura cristallina.
I fattori di forma, invece, permettono di introdurre delle correzioni legate ai centri
di diffusione poiché questi non sono puntiformi. Le varie parti, quindi, generano
effetti di interferenza che modulano l’intensità diffusa in funzione del vettore
d’onda scambiato conducendo ad una diminuzione monotona dell’intensità
stessa.
Di seguito vengono descritti questi effetti per il singolo elettrone, per l’atomo e
per l’insieme di atomi nella molecola.
Il fattore di Debye-Waller
Questo termine tiene conto del moto di agitazione termica degli atomi; gli
elettroni hanno, quindi, una distribuzione spaziale proporzionale allo spostamento
degli atomi. In generale l’intensità diminuisce di un fattore
dove
è lo scarto quadratico medio rispetto alla posizione di equilibrio.
Il fattore di forma atomico
Dato che i raggi X hanno lunghezze d’onda dello stesso ordine di grandezza delle
dimensioni atomiche, gli atomi non possono essere considerati puntiformi, di
conseguenza ci sarà una diminuzione dell’intensità diffusa derivante dalla
distribuzione degli elettroni attorno al nucleo dell’atomo. La diminuzione dipende
da sen ma la formulazione esatta può essere calcolata utilizzando i metodi che
26
descrivono la densità elettronica, come il metodo di Thomas-Fermi e quello di
Hartree-Fock [11][12].
Fattore di struttura intramolecolare
Nel caso di molecole si deve considerare la distanza tra gli atomi che le
compongono, dato che questa è dello stesso ordine di grandezza del passo del
reticolo gli effetti di interferenza, dovuti alla distribuzione spaziale degli atomi,
sono decisamente rilevanti. Spesso è interessante indagare sulla distribuzione
degli atomi poiché si possono ottenere informazioni sulla struttura della molecola
non ottenibili con altre tecniche. Gli effetti dovuti alla struttura molecolare si
manifestano tramite il quadrato del fattore di struttura. Questo termine è la
trasformata di Fourier della densità elettronica nella cella elementare. Il
fattore di struttura è descritto dalla relazione:
∑ (2.8)
In cui fi rappresenta il fattore di forma dell’ i-esimo di N atomi, , , sono gli
indici di riflessione e , , , sono le coordinate dell’atomo nella cella
elementare.
In alcuni casi i fenomeni di interferenza possono cancellare alcune riflessioni del
reticolo diretto, questo è molto utile perché permette di determinare la struttura
reticolare in base a sistematiche assenze di alcune riflessioni.
La densità elettronica , si può riscrivere nella forma:
∑ | | - ( - ) (2.9)
Il quadrato del fattore di struttura si misura sperimentalmente perdendo, quindi,
l’informazione sulla fase espressa dalla parte complessa; dalla relazione (2.9) si
può osservare che, conoscendo anche il parametro , è possibile determinare la
densità elettronica della cella elementare.
27
Uno dei metodi di diffrazione più utilizzati è il metodo delle polveri, in questo
caso il materiale diffondente è costituito da una polvere contenente un elevato
numero di microcristalli, orientati in modo casuale.
I raggi diffratti, a causa della distribuzione delle orientazioni dei microcristalli,
diventano dei coni con centro l’origine ed asse nella direzione del fascio incidente,
detti coni di Debye-Scherrer.
Figura 2.8: Coni di Debye-Scherrer: in un campione di polveri il fascio diffratto giace su superfici
coniche che possono emergere in tutte le direzioni, in avanti e indietro.
28
2.3.2 Apparato sperimentale
Nei laboratori LANDIS vengono condotte diverse analisi adoperando la tecnica
XRD, lo strumento utilizzato è un diffrattometro portatile di raggi X per analisi
non distruttive di materiali policristallini e polveri [13] : ASX-DUST (Figura 2.9).
La testata analitica del sistema portatile XRD utilizzato è costituita da:
un tubo a raggi X, prodotto dalla German IFG Co. e le cui caratteristiche sono
riassunte in Tabella 2.1, schermato con Pb, collimatori del fascio incidente dalla
larghezza di 1mm, rivelatore Si-PIN raffreddato con un sistema Peltier.
Tabella 2.1: Dati tecnici del diffrattometro ASX DUST.
Il tubo a raggi X e il rivelatore ruotano dello stesso angolo rispetto al centro di
focalizzazione (geometria Ө-Ө), costituito dal campione. Il campione rimane fisso
ed esterno alla macchina e può, in questo modo, essere analizzato in situ.
Il goniometro è dotato di un cerchio di focalizzazione di raggio pari a 210 mm.
Tensione
max 50 KV
Corrente
max 800 µA
Finestra X-
Ray 0.1 mm Be
Anodo Fe
Spot
dell’anodo 50 µm
Dimensioni 44 x 12 x
35 cm
Peso 8 Kg
29
Figura 2.9: Diffrattometro portatile ASX-DUST.
Il rivelatore e il tubo a raggi X si bloccano ad un angolo minimo di 12° e ad un
angolo massimo di 67°, al di sotto e al di sopra dell’ angolo minimo e massimo si
avrebbe un allargamento del fascio che influirebbe in modo significativo sulla
misura. Questo rappresenta un limite per le analisi di sostanze con riflessioni a
basso angolo che può essere risolto utilizzando lunghezze d’onda del fascio
incidente maggiori, infatti per la legge di Bragg all’aumentare di aumenta
l’angolo di diffusione . La struttura complessiva, che consta anche di un
cavalletto necessario per supportare lo strumento e adatto a permetterne la
rotazione secondo i tre assi, è mostrata nella Figura 2.10.
Il rivelatore, XR-100CR (Figura 2.11), prodotto dalla compagnia AMPTEK, è un
rivelatore Si-PIN a rendimento elevato, è dotato di una finestra di berillio, che
mantiene il vuoto in modo da permettere ai raggi X di bassa energia di essere
rivelati. Nella tabella 2.2 sono riportate le caratteristiche tecniche del rivelatore Si-
PIN.
30
Tipo di
rivelatore
Si-PIN
Dimensioni
rivelatore
25 mm
2
Finestra
rivelatore
Be (25 μm)
Spessore
Si 500μm
Risoluzione
in energia
189 eV
FWHM
Dimensioni
9.5 x 4.4 x
2.9 cm
Peso 125 g
Tabella 2.2: Caratteristiche tecniche del rivelatore Si-PIN.
Figura 2.10: Diffrattometro portatile ASX-DUST.
31
Figura 2.11: Schema del rivelatore XR-100 CR.
L’intensità di emissione dei raggi X può essere variata modificando i valori della
tensione operativa V (kV) e della corrente catodica (mA).
Esiste una relazione di proporzionalità che lega i due parametri all’intensità totale
emessa dal tubo.
(2.10)
in cui è l’intensità catodica, il numero atomico dell’anodo e la differenza di
potenziale tra anodo e catodo.
Grazie all’intensità della sorgente i tempi di misura si riducono, ad esempio per
una sorgente radioattiva sono necessari circa 1800 secondi, invece con tubi a raggi
X la misura dura 300-600 s. Se da un lato la brevità della misura è un vantaggio
dall’altro si ha una maggiore fluttuazione della produzioni di raggi X, dato che
questo è un fenomeno statistico.
La comunicazione tra il computer e l’ASX-DUST avviene tramite un software,
che permette la gestione dello strumento, sia per quanto riguarda la funzionalità
della diffrazione sia per l’analisi degli spettri XRD.
Una particolarità di questo sistema è il processo che permette di selezionare una
sola lunghezza d’onda per ottenere diffrazione, generalmente la radiazione
monocromatica usata per la diffrazione si ottiene con un monocromatore a
cristallo di grafite oppure con filtri, posti all’uscita del tubo a raggi X. Il
diffrattometro ASX-DUST, invece, sfrutta un sistema di controllo della lunghezza
d’onda gestito via software e digitale. Il sistema denominato DXM (Digital X-ray
32
Monochromatization), permette di selezionare la riga di emissione X di interesse,
nel caso del ASX-DUST, poiché l’anodo è di Ferro, la riga d’interesse è la
=6.39 KeV. In questo modo si ha la possibilità selezionare la riga di emissione
utile e di monocromatizzare la riga stessa.
Recentemente sono stati apportati dei miglioramenti al sistema portatile XRD
[14], utilizzando un tubo a raggi X microfocus di bassa energia accoppiato ad
un’ottica policapillare, in modo da perfezionare la risoluzione angolare (0.18°) e
la statistica di acquisizione.
33
2.3.3 Analisi dello spettro
I raggi X, prodotti dal tubo, incidono sul campione e vengono diffratti.
Successivamente vengono raccolti dal rivelatore, il quale trasforma il segnale in
un impulso elettrico che viene inviato ad un computer e permette l’elaborazione
dei dati.
L’analisi si basa sullo studio dello spettro, che riporta i conteggi di raggi X in
funzione della posizione angolare ed è costituito da una serie di picchi di
intensità e posizione angolare differente, caratteristici delle varie fasi
mineralogiche presenti nel campione indagato.
Figura 2.12: Spettro di diffrazione di un campione standard di Calcite con il sistema ASX-DUST.
La procedura tipica dell’analisi consiste nel calcolare le intensità relative
e la
distanza reticolare d dalla legge di Bragg; infatti è sufficiente conoscere la
lunghezza d’onda λ della radiazione incidente e il valore angolare o 2 .
I picchi di diffrazione sono individuati sia manualmente che con sistemi
automatizzati, nel primo caso i picchi ottenuti si confrontano con i dati contenuti
34
nei database che contengono informazioni secondo diversi criteri di
organizzazione, ad esempio in base ai d del picco più intenso.
Tipicamente, si fa riferimento ai tre picchi più intensi, però questo metodo può
condurre ad errori, in quanto i tre picchi possono coincidere con quelli di un’altra
fase mineralogica e quindi i due minerali possono essere scambiati.
Invece nella ricerca automatizzata esistono diversi algoritmi per l’individuazione
dei picchi. Ad esempio l’algoritmo JADE si basa sull’annullamento delle derivate
prime e seconde combinato con il conteggio statistico delle intensità.
I database più utilizzati per l’identificazione dei picchi sono:
PDF: archivio elettronico che supporta l’analisi di dati da diffrazione da polveri e
consente l’analisi quantitativa delle fasi [15];
ICSD: archivio elettronico delle strutture inorganiche; contiene informazioni
raccolte in esperimenti a polveri o cristallo singolo di materiali inorganici [16];
CSD : archivio elettronico strutturale dei composti molecolari, prevalentemente i
dati provengono da esperimenti su cristallo singolo [17];
PDB: archivio elettronico delle strutture di proteine [18];
Mineralogy database: descrizione delle specie minerali, struttura e proprietà
[19];
Per condurre l’analisi quantitativa, che permette di determinare le abbondanze
delle singole fasi in un campione multifase, è necessario svolgere un’accurata
determinazione della posizione dell’intensità dei picchi di diffrazione.
Ovviamente si può incorrere in errori sperimentali dovuti ad errori sistematici
nelle posizioni dei picchi o nella variazione delle intensità.
Il limite della tecnica XRD consiste nell’impossibilità di identificare sostanze
organiche, come lacche o pigmenti neri a base di carbonio amorfo, una tecnica più
adatta per queste indagini è la tecnica Raman.
35
2.4 Tecnica PIXE ( Particle Induced X-Ray Emission)
La tecnica PIXE, come accennato nel par. 1.3, si basa sulla rivelazione di raggi X
emessi da un campione, a seguito dell’interazione di questo con un fascio di
particelle cariche (α o protoni) di energia di qualche MeV.
La rivelazione dei raggi X avviene con rivelatori al silicio ad elevata risoluzione.
I segnali, in uscita dal rivelatore, sono analizzati da una catena elettronica, per poi
essere inviati ad un computer, sul quale si ottiene uno spettro che riporta il
numero di conteggi di raggi X in funzione della loro energia.
Figura 2.13: Spettro di uno standard geologico internazionale, di SCO-1.
Dall’analisi delle righe spettrali è possibile risalire alla composizione elementale
del campione, invece dal numero di raggi X emessi si può quantificarne, con
l’aiuto di opportuni software, la concentrazione.
A causa del range finito delle particelle impiegate, la tecnica PIXE è adatta allo
studio di campioni sottili, in genere lo spessore investigato non supera i 10 µm.
Nel caso in cui è possibile utilizzare correnti di fascio di qualche nA, senza
36
danneggiare il campione, la tecnica permette di identificare anche elementi in
traccia (fino a qualche parte per milione).
L’impego di questa tecnica è di fondamentale importanza nel campo dei beni
culturali, sia perché permette di condurre analisi quantitative e qualitative non
distruttive, sia perché consente di effettuare misure molto rapide con un’elevata
sensibilità.
2.4.1 Principio fisico
Il fascio di particelle cariche, nell’attraversare la materia, perde energia
percorrendo un range finito. La perdita di energia è concentrata alla fine del
percorso, come mostrato dalla curva di Bragg (Figura 2.14). Durante questo
processo, il fascio di particelle interagisce con gli elettroni atomici del materiale
attraversato, provocando l’espulsione di un elettrone delle shells più interne.
A seguito della ionizzazione, l’atomo, eccitato ed instabile, torna allo stato
fondamentale compiendo una serie di transizioni elettromagnetiche, in tempi
dell’ordine di 10-15
s. La radiazione emessa durante le transizioni dipende dalle
energie di legame degli elettroni negli atomi, essendo queste proprie di ogni
specie atomica lo spettro dei raggi X emessi è caratteristico del campione.
Figura 2.14: Curva di Bragg.
Gli spettri X presentano un numero limitato di righe, raggruppate in differenti
serie indicate con le lettere , , , . Ogni serie corrisponde al riempimento di
una lacuna, ad esempio nella serie è riempita la lacuna , in quella
e così via. Ogni serie è costituita, a sua volta, da differenti righe in modo da
37
distinguere l’intensità della transizione; ad esempio la riga corrisponde ad
un’emissione di raggi X a seguito della transizione dalla shell alla shell ed è
più intensa rispetto alle riga , che corrisponde ad una transizione dalla shell
alla shell (Figura 2.15). Infine, si devono considerare le transizioni delle
sottoshells, ad esempio le transizioni da o alla shell corrispondono alle
due righe e
. Alcune transizioni elettriche sono proibite in quanto esse
obbediscono alle ben note regole di selezione: = ±1, =0,±1.
Figura 2.15: Diagramma schematico delle transizioni delle shells più interne.
Tuttavia, la probabilità che si abbia emissione di un raggio X dipende sia dalla
sezione d’urto di ionizzazione , che si riferisce alla probabilità che venga
creata una lacuna, sia dalla resa di fluorescenza , la quale indica la probabilità
che, dopo la creazione della lacuna, sia emesso un raggio X piuttosto che un
elettrone Auger.
La sezione d’urto di produzione di raggi X è definita tramite la seguente relazione:
(2.11)
38
In cui è il numero di raggi X emessi, è il numero di particelle incidenti e
è il numero di particelle bersaglio per cm2 .
La sezione d’urto di ionizzazione dipende, a sua volta, sia dall’energia della
particella incidente sia dal numero atomico dell’atomo bersaglio; in particolare,
essa diminuisce all’aumentare di , poiché aumenta l’energia di legame degli
elettroni atomici [20].
In Figura 2.16 è riportato l’andamento della sezione d’urto al variare del numero
atomico , per particelle α, protoni o radiazione .
Tale andamento permette di capire che, utilizzando particelle α o protoni con
energia di qualche MeV, si può indagare su elementi con basso numero atomico,
infatti, fissando l’energia del fascio incidente, la sezione d’urto decresce
all’aumentare del numero atomico . Se si vogliono ottenere informazioni su
materiali più pesanti, è più indicato utilizzare radiazione elettromagnetica, ad
esempio radiazione gamma; in questo caso la sezione d’urto cresce all’aumentare
del numero atomico .
39
Figura 2.16: Sezione d’urto di ionizzazione in funzione del numero atomico Z per particelle α,protoni
e radiazione γ a differente energia[21].
2.4.2 Analisi dello spettro
Lo studio dello spettro dei raggi X prodotti dal campione rende possibile l’esatta
identificazione elementale. Le righe dello spettro si sovrappongono raramente,
quindi è abbastanza semplice effettuare l’analisi qualitativa.
In genere gli elementi leggeri, come idrogeno o elio, non possono essere
identificati con tale tecnica, invece elementi con Z intermedio, sono individuati
tramite le righe della serie ; per elementi più pesanti, si ricorre anche alle righe
di emissione e . Grazie all’utilizzo di rivelatori a stato solido è possibile
analizzare le righe e degli elementi con vicini, rendendone possibile la
simultanea rivelazione.
40
Per eseguire l’analisi quantitativa si deve stimare il numero di raggi X prodotti dal
campione. Tale stima si ottiene calcolando l’area sottesa dal picco in esame e
sottraendo il segnale di fondo.
La difficoltà di quest’analisi risiede dalla sua dipendenza dallo spessore del
campione. Uno spessore si definisce sottile se si possono trascurare gli effetti di
matrice, cioè la diminuzione di energia subita dalle particelle che penetrano nel
bersaglio e l’autoassorbimento dei raggi X emessi dal campione, descritto dalla
legge di Lambert-Beer.
Nelle condizioni di bersaglio sottile la produzione di raggi X per l’elemento con
numero atomico è definita [22,23,24]:
( 2.12)
In cui:
è la sezione d’urto di produzione dei raggi X per la serie ,
dell’elemento con energia della particella incidente ,
è il numero di atomi della specie per unità di volume,
è lo spessore del campione,
è il numero di particelle del fascio che attraversano il campione,
è il numero di Avogadro,
è la densità di massa nel campione dell’elemento di numero atomico e
massa atomica .
è la carica del fascio integrata nel corso della misura, è la carica
elementare.
Tenendo conto dell’angolo solido sotteso dal rivelatore e della sua efficienza
intrinseca , il rate di raggi X rivelati, detto X-ray yeld, è dato da:
(2.13)
dove è il fattore di efficienza che dipende dall’energia del raggio X, da quella
delle particelle incidenti, dall’efficienza intrinseca del rivelatore e dalla geometria
dell’apparato sperimentale:
(2.14)
41
La quantificazione di uno spessore sottile non è semplice, poiché la perdita di
energia della particella incidente nel percorso dipende sia dall’energia della
particella incidente ma anche dal materiale attraversato. Quest’ultimo determina il
coefficiente di attenuazione che descrive l’autoassorbimento dei
raggi X all’interno del materiale. Gli effetti di matrice dipendono, quindi, anche
da : ne segue che un determinato spessore si può considerare sottile rispetto a
raggi X di alta energia ma non rispetto a quelli di più bassa energia, che sono più
influenzati dagli effetti di autoassorbimento.
In Figura 2.17 è mostrata una tipica geometria di rivelazione per l’analisi PIXE.
Figura 2.17: Rappresentazione schematica dell’analisi di un bersaglio spesso.
Il rivelatore è posto all’indietro rispetto al campione, i raggi X possono essere
assorbiti lungo il percorso verso la superficie del campione, nella direzione di
rivelazione.
Approssimativamente, un campione con medio si definisce sottile se il suo
spessore è di 50 μg/cm2[25]. Altrimenti il campione è spesso, e si deve tener conto
che la sezione d’urto dipende anche dalla distanza percorsa dai raggi X, dopo
42
essere stati prodotti. A partire dalla superficie su cui le particelle incidono con
energia , si deve considerare il contributo dei singoli spessori infinitesimi e
poi integrare sullo spessore . Quando lo spessore è minore del range percorso
dalle particelle nel campione si parla di bersaglio infinito.
Nel caso di target spesso lo x-ray yeld è definito:
∫
( )
∫
∫
(2.15)
Dove
è lo stopping- power,
è la densità media della matrice,
è l’energia della particella dopo aver percorso il tratto ,
è la perdita di energia complessiva del fascio nello spessore ,
è l’angolo compreso tra la direzione dell’asse del rivelatore e quella di incidenza
del fascio, la quale è normale alla superficie del campione, come schematizzato in
Figura 2.17.
Il termine esponenziale, invece, tiene conto dell’autoassorbimento dei raggi X.
Come si evince dalla relazione (2.15) la resa X, per un elemento con un numero
atomico , è proporzionale al rapporto
che rappresenta la concentrazione .
Dalla misura del rate dei raggi X emessi dall’elemento , del numero di
particelle che incidono sul bersaglio e dell’angolo sotteso dal rivelatore,
conoscendo, inoltre, l’efficienza intrinseca, la sezione d’urto l’energia del
fascio all’uscita del bersaglio e la composizione della matrice, si può risalire
(tramite la (2.15)) alla concentrazione dei differenti elementi chimici presenti
nel campione. Se la matrice del campione non è nota, come del resto accade nelle
misure PIXE, in cui lo scopo è determinare la composizione elementale, si può
procedere con metodi iterativi.
43
In ogni caso è opportuno precisare che l’analisi è possibile in maniera univoca,
solo con campioni omogenei.
Per analizzare lo spettro PIXE esistono diversi software di analisi: uno dei più
utilizzati è il GUPIX.
Il GUPIX [26] sfrutta i database di sezioni d’urto, di poteri di frenamento
e dei coefficienti di attenuazione, è caratterizzato dalla possibilità di:
1. analizzare campioni di qualunque spessore,
2. eseguire procedure iterative per il calcolo della composizione di
un campione incognito,
3. determinare gli elementi presenti in traccia in una matrice nota,
4. tenere conto degli effetti dovuti ad elementi invisibili, cioè i cui
raggi X emessi hanno un’energia troppo bassa per essere rivelati.
Come descritto precedentemente, il numero di raggi X emessi dal campione
dipende, oltre che dall’energia delle particelle incidenti, dalla concentrazione
dell’elemento in questione, dall’angolo solido sotteso dal rivelatore e dalla sua
efficienza e, nel caso di bersaglio spesso, anche dalla perdita di energia delle
particelle incidenti con la profondità e dall’autoassorbimento dei raggi X lungo il
loro tragitto. L’identificazione della concentrazione, quindi, non si limita
unicamente allo studio dei picchi e al calcolo della loro area, ma necessita
l’utilizzo di procedure di standardizzazione, disponibili all’interno del pacchetto
GUPIX.
Il primo passo dell’analisi risiede, comunque, nell’identificare le intensità dei
picchi relativi ai differenti elementi chimici presenti nel campione; GUPIX,
fornendo una particolare procedura di fit, che sfrutta il metodo dei minimi
quadrati non lineari, permette di determinare la concentrazione.
Dato lo spettro costituito dalle coppie di punti , in cui è il numero di canali
e il numero di conteggi per canale, il programma ricerca il miglior modello che
renda minimo il valore del chi quadro ridotto, definito dalla seguente relazione
[25,26]:
44
∑
(2.16)
Dove è la varianza del numero di conteggi relativi all’i-esimo canale,
è il numero di gradi di libertà con numero di parametri
( da determinare. I parametri sono costituiti dalle aree, espresse in
conteggi, dei picchi di ogni elemento e da ulteriori parametri, che governano le
relazioni tra l’energia dei raggi X, il centroide e la larghezza del picco.
Il programma utilizza un database che contiene le energie delle serie , , e le
intensità delle varie righe del singolo elemento , relative alla riga
principale che solitamente è la o la .
45
2.5 PIXE-α
Per condurre analisi PIXE in situ è stato realizzato, presso il laboratorio LANDIS
dei LNS/INFN e IBAM/CNR di Catania, uno spettrometro portatile[27]; i
processi fisici coinvolti sono identici a quelli trattati nei paragrafi precedenti, in
questo caso il fascio utilizzato è costituito da particelle α, infatti la tecnica è
denominata: PIXE-α.
Lo strumento PIXE-α si basa sull’uso di particelle α prodotte a seguito del
decadimento di 210
Po, che, decadendo in Pb, emette radiazione α da circa 5 MeV
con un branching ratio del 100%. Le particelle α prodotte nel decadimento
riescono a penetrare uno spessore di 3-10 μm, il che rende la tecnica PIXE-α
particolarmente indicata alla caratterizzazione di dipinti, pigmenti e degli
affreschi. Questo strumento è di notevole importanza poiché consente l’analisi del
campione senza disturbi arrecati dagli strati sottostanti allo strato d’interesse,
come avviene, invece, nel caso della tecnica XRF. Infatti, data la scarsa
penetrazione delle particelle α prodotte nel decadimento, queste interagiscono solo
con gli atomi che si trovano negli strati superficiali del campione; i quali
rispondono (secondo il meccanismo descritto nel paragrafo 2.4) emettendo raggi
X. Nella tecnica XRF, invece, i raggi X incidenti, il cui assorbimento è descritto
dalla legge di Lambert-Beer, possono giungere fino a diverse centinai di in
profondità; i fotoni emessi dal campione, possono, quindi, provenire anche da
substrati, disturbando la misura e rendendo meno semplice l’interpretazione degli
spettri di energia.
L’elemento significativamente innovativo [28] del sistema PIXE-α è la modalità
di preparazione della sorgente eccitatrice: si tratta di una elettrodeposizione di uno
strato sottile di 210
Po, che emette radiazione α senza contemporanea emissione di
raggi X o .
La modalità di preparazione della sorgente eccitatrice sfrutta un anello Mylar, cioè
sottili strati di polimeri [C10H8O4] costituiti da elementi al di sotto del limite di
rivelabilità della tecnica PIXE; questa scelta è dovuta al fatto che i costituenti del
46
supporto devono avere un basso numero atomico per non disturbare, con i propri
raggi X caratteristici, lo spettro osservato.
Sull’anello Mylar è evaporato uno strato, dallo spessore di 1 μm, di Ag sul quale
viene elettrodepositato lo strato di 210
Po con attività di 1mCi, il quale è,
successivamente, ricoperto da uno strato sottile (0.2 μm) di una resina epossidica.
Il tutto è ulteriormente protetto da una finestra di kapton, per assicurarne il
confinamento.
Figura 2.18: Schema della testina della sorgente PIXE-α e, in basso, la visione completa dello
spettrometro portatile, composto dal rivelatore e della testina di misura.
Il rivelatore adoperato è un Silicon Drift Detector (SDD) raffreddato ad effetto
Peltier, avente uno spessore di 300 μm, un’area attiva di 10 mm2
e un’ottima
risoluzione energetica, da 140 eV a 5.9 KeV. Il diametro dello spot sul bersaglio è
di circa 7 mm; inoltre un flusso di elio immesso nel volume tra sorgente, bersaglio
e rivelatore consente di eliminare dallo spettro X il disturbo arrecato dall’argon
presente nell’aria che, emettendo raggi X caratteristici, potrebbe disturbare la
misura. Infatti, senza questo accorgimento si avrebbe sempre un picco a 2.96 KeV
( dell’argon), il che renderebbe difficile l’individuazione di elementi come il Cl
( o il K ( , nonché l’individuazione dell’argento (
in materiali metallici.
47
I dati vengono acquisiti mediante un modulo commerciale che contiene
alimentatore, amplificatore e un MCA.
In Figura 2.19 è riportato l’intero sistema PIXE-α.
Figura 2.19: Schema dell’intero sistema PIXE-α.
La caratteristica fondamentale del sistema PIXE-α è la capacità di effettuare
l’analisi in situ, il sistema è maneggevole e in 30 minuti di acquisizione è
possibile ottenere una caratterizzazione semi-quantitativa della composizione del
campione. Ulteriore vantaggio della tecnica PIXE-α è la presenza di un fondo
inferiore rispetto a quello associato ai protoni, infatti il contributo di
Bremsstrahlung secondario è inferiore a 3 KeV, quindi le righe caratteristiche
sono ben distinguibili.
L’utilizzo di una sorgente radioattiva comporta, però, una dipendenza della misura
dall’attività della sorgente, che decresce nel tempo; questo implica una perdita
dell’efficienza della misura nel tempo e la conseguente necessità di cambiare la
sorgente.
In definitiva, si può affermare, che la tecnica PIXE-α permette di determinare,
con elevata accuratezza, gli elementi con basso e medio numero atomico grazie
allo studio delle righe , e dallo studio delle righe e per elementi con numero
atomico più elevato come Pb, Hg, Ba e Au.
48
Capitolo 3
Complementarità delle tecniche PIXE-α e XRD
Nei capitoli precedenti sono state descritte le tecniche XRD e PIXE-α, le loro
caratteristiche, differenze e potenzialità.
Il PIXE-α permette di individuare, nella superficie del campione, la presenza di
elementi chimici leggeri (Na, Mg, Al, Si, S, Cl, K, Ca, Ti, Fe, Zn) e medio-pesanti
(Ag, Pb, Hg, Sn, Au,Ba), mentre il metodo XRD permette di identificare presenza
di fasi cristalline.
E’ di notevole interesse, nonché, di estrema utilità associare le due tecniche in
modo da ottenere informazioni complete sul campione investigato.
Ad esempio, si può condurre un’analisi elementale con il metodo PIXE-α, al fine
di conoscere gli elementi presenti nel campione e mediante l’analisi XRD
adoperare le informazioni ottenute tramite il PIXE per identificare le fasi
mineralogiche presenti. Unendo i dati mineralogici ottenuti mediante l’XRD con i
dati elementali forniti dal PIXE, è possibile, in certi casi, risalire alle miscele di
pigmenti e determinare la composizione percentuale delle varie fasi adoperate.
In questo capitolo si riporta il risultato di una misura effettuata con il PIXE-α su
un campione a composizione nota presso il laboratorio LANDIS di Catania,
inoltre si presentano alcuni esempi di spettri ottenuti con tali metodi di indagine
[29].
La misura è stata effettuata su uno standard geologico internazionale SCo-1 [30]
acquisendo per un tempo di 1800 s.
Misure su campioni di composizione nota vengono effettuate prima di iniziare una
campagna di misura sui reperti archeologici; si confrontano i risultati sperimentali
49
con i valori tabulati, in modo da calibrare lo strumento e assicurarsi che l’apparato
strumentale permetta di effettuare misure abbastanza accurate.
In Figura 3.1 è riportato lo spettro ottenuto con il PIXE-α. Si possono vedere i
picchi del Si (1.74 KeV- ), del Ca (3. 68 KeV- ), del K(3.31 KeV- .
Nella Tabella 3.1 vengono riportati i valori delle concentrazioni (in percentuale),
calcolati con il programma GUPIX che è stato descritto nel paragrafo 2.4. Il
programma offre l’opzione di calcolare le concentrazioni degli elementi sotto
forma di ossidi.
Figura 3.1: Spettro PIXE-α ottenuto su un campione di ScO-1 .
Valori PIXE-α(%) Valori certificati (%)
MgO 2.98± 0.08 2.94
Al2O3 16.76± 0.11 14.8
SiO2 65.97± 0.20 67.8
SO3 0.34± 0.02 *
Cl 0.18± 0.01 *
K2O 2.89± 0.04 2.99
CaO 2.89± 0.01 2.83
TiO2 0.63± 0.03 0.68
Fe2O3 5.13± 0.24 5.54
*I valori certificati < di 0.34 non vengono riportati.
Tabella 3.1: Concentrazioni ottenute con il programma GUPIX e relativi valori certificati.
1
4
16
64
256
1024
4096
16384
0 2 4 6 8 10
Co
un
ts
Energy (KeV )
Si
Al
K
S Cl
Ca
Fe ( )
Fe( )
Ni
Na Ti ( ) Sc
Ti ( 𝛽)
Cr Mn
50
3.1 I minerali
Il primo esempio di spettro riguarda lo studio di un campione di azzurrite per il
quale si è effettuata un’analisi XRD.
L’azzurrite è un pigmento di origine minerale conosciuto sin dai tempi degli
Egizi. Si ottiene dalla macinazione e purificazione del minerale carbonato basico
di rame (2CuCo3∙Cu(OH)2), ha una tonalità variabile da blu oltremare a blu
verdastro a causa della progressiva alterazione in malachite.
In Figura 3.2 si riporta la foto di un campione di azzurrite e calcite (50 %-50%) e
la relativa analisi effettuata, unicamente, con il metodo XRD.
(a)
(b)
Figura 3.2: Foto di un cristallo di azzurrite (a), Spettro di diffrazione di un campione standard di
azzurrite e calcite (b)
In questo caso non è necessario procedere con un’ulteriore analisi, in quanto i
picchi dei due minerali sono ben distinguibili.
51
3.2 Le ocre
Le ocre sono terre naturali e si presentano in diverse gradazioni di colore: gialle,
rosse, rosso-aranciate o brune. Il colore dipende dalla presenza di idrossidi o
ossidi anidridi di ferro e dalle loro concentrazioni. Questi composti si trovano
mescolati con materiali argillosi (caolinite e illite).
3.2.1 Terra di Siena
Il secondo esempio è relativo ad una misura realizzata su un campione di terra di
Siena, la terra di Siena [31] è un’ocra naturale e la sua colorazione dipende dalla
presenza di idrossido di ferro, FeO(OH), e di ossidi di manganese MnO2.
In Figura 3.3 sono mostrati gli spettri XRD (a) e PIXE-α (b) di un campione di
terra di Siena 100%.
Nello spettro XRD si possono distinguere i picchi del quarzo e della goethite;
dovrebbero essere evidenti anche i picchi delle caoliniti ma si perdono nel fondo,
invece nello spettro PIXE-α sono visibili i picchi delle caoliniti: si vedono i picchi
del Fe ( , ) delle goethite e i picchi di Si e Al. Una tale quantità di Si rispetto
all’Al suggerisce la presenza di argille, inoltre c’è una piccola quantità di Mn e in
effetti nello spettro XRD si intravedono picchi della pyrolusite.
(a)
52
(b)
Figura 3.3: Spettro XRD di un campione standard di terra di Siena, in cui si possono vedere i picchi del
quarzo, della goethite e della phyrolusite e delle argille (a) e rispettivo spettro PIXE (b).
3.2.2 Ocra rossa
La terra rossa è il più antico pigmento della storia [31]; era già conosciuto
all’epoca dell’uomo di Neanderthal (ca. 200.000 anni fa).
E’ un pigmento di origine inorganica e minerale; è costituito da ossidi di ferro
Fe2O3 ∙nH2O mescolati con materiali argillosi e impurità che variano a seconda
della provenienza, per questa ragione ne esistono varie denominazioni.
In Figura 3.4 sono mostrati gli spettri XRD e PIXE-α ottenuti su un campione di
ocra rossa e calcite ( 50 %-50%).
Nello spettro XRD sono chiari i picchi della calcite, del quarzo e della hematite ,
inoltre vi sono dei picchi minori di caoliniti. Nello spettro PIXE-α si ha la
conferma della presenza delle argille: si vedono i picchi del Fe ( ) tipico
della hematite e i picchi del Si e Al delle argille. Inoltre si vedono i picchi e
del Ca.
53
(a)
(b)
Figura 3.4: Spettro XRD di un campione standard di ocra rossa e calcite, si possono vedere i picchi
della calcite, delle argille, del quarzo e della hematite (a) e spettro PIXE-α (b).
54
3.2.3 Terra verde
La terra Verde era conosciuta dai Greci e dai Romani e fu utilizzata durante tutto
il medioevo e il rinascimento. Il suo colore è determinato da differenti specie
mineralogiche come silicati, idrati di ferro, magnesio e alcali. Il minerale
glauconite (( K,Na)( Fe(III),Al, Mg)2 (Si, Al)4 O10 (OH)2 ), ad esempio, è il
principale colorante delle terre verdi di Nizza e Nicosia.
In Figura 3.5 sono riportati gli spettri XRD(a) e PIXE-α (b) di un campione di
terra verde 100 %.
Nello spettro XRD sono evidenti i picchi della calcite ma si riesce a identificare la
glauconite solo grazie all’analisi PIXE-α, infatti nello spettro PIXE-α si vedono i
picchi di Mg, Al, Si, K, Fe, Ca.
(a)
55
(b)
Figura 3.5: Spettro XRD di un campione standard di terra verde (a) spettro PIXE-α (b).
3.3 Gli affreschi romani
Di seguito sono riportati degli esempi di spettri XRD e PIXE-α ottenuti su
frammenti di affreschi Romani [32], appartenenti alla Soprintendenza ai Beni
Culturali e Monumentali di Catania.
Aff2 (Figura 3.6 (a)) è un frammento trovato durante gli scavi del 1982 presso
l’ex Monastero dei Benedettini, dove fu scoperta un’importante domus Romana.
Lo spettro PIXE-α mostra la presenza di Hg, S e Ca. Nello spettro XRD si
possono vedere i picchi di cinabro e calcite.
56
(a)
(b)
(c)
Figura 3.6: Foto (a) spettro XRD (b) e spettro PIXE-α (c) di un affresco Romano.
57
Aff.10 (Figura 3.7) è stato rinvenuto nel 2001 negli scavi di un criptoportico
romano in via Crociferi.
Nello spettro PIXE (Figura 3.7 (b)) si osservano le righe di Al, Si, Ca, Fe e Hg.
Lo spettro XRD (Figura 3.7(c)) mostra i picchi della hematite, delle argille, del
cinabro e della calcite, per il cui il pigmento colorante è una miscela di ocra gialla
e rossa.
(a)
(b)
58
(c)
Figura 3.7: Foto (a) Spettro XRD (b) e spettro PIXE-α (c) di un affresco Romano.
Aff15 (Figura 3.8(a)) è stato ritrovato nel criptoportico romano di via Crociferi
nel 2000. Lo spettro PIXE-α ( Figura 3.8(b)) mostra i picchi di Ca, Al, Si e Fe.
Lo spettro XRD ( Figura 3.8(c)) mostra i picchi della hematite, delle argille e della
calcite, per cui il pigmento colorante è l’ocra rossa.
(a)
59
(b)
(c)
Figura 3.8: Foto (a) Spettro XRD (b) e spettro PIXE-α (c) di un affresco romano.
60
CONCLUSIONI
Lo scopo del lavoro di tesi svolto era illustrare l’importanza e l’utilità delle due
tecniche d’indagine PIXE-α e XRD e, soprattutto, del loro utilizzo in
complementarità.
L’importanza dei metodi descritti risiede nella possibilità di effettuare misure non
distruttive e in situ su opere d’arte e reperti archeologici con un’elevata
accuratezza. Le tecniche descritte permettono di ottenere informazioni differenti;
la tecnica XRD ha il vantaggio di stabilire la struttura cristallina del materiale,
mentre la tecnica PIXE-α determina la composizione elementale del campione. Il
metodo PIXE-α permette di confinare l’analisi agli strati superficiali, investigando
su uno spessore di circa 10 µm, inoltre grazie al range finito delle particelle α
nella materia non si hanno disturbi arrecati dai substrati.
Per suffragare la trattazione svolta si sono riportati alcuni esempi di spettri
acquisiti con le due tecniche e il risultato ottenuto analizzando uno standard di
SCo-1, tramite il PIXE-α.
Per quanto riguarda la misura, dall’analisi dello spettro (Figura 3.1) si possono
determinare gli elementi chimici presenti nel campione, invece tramite il
programma GUPIX si risale alle concentrazioni dei differenti elementi.
La tecnica PIXE-α, come descritto nel paragrafo 2.5, è molto accurata, infatti
acquisendo per 1800 s si sono determinati anche elementi chimici presenti in
piccole percentuali.
Spesso è difficile, utilizzando unicamente un metodo d’indagine, conoscere la
composizione sia elementale che mineralogica del campione. L’utilizzo di due
tecniche è una soluzione.
Negli esempi di spettri, riportati nei paragrafi precedenti, si può osservare che
alcuni pigmenti minerali, come l’azzurrite, possono essere identificati utilizzando
unicamente la tecnica XRD, ciò è dovuto sia alla presenza di righe spettrali molto
evidenti e ben distinguibili sia alla risoluzione angolare dello strumento adoperato
che permette di distinguere i picchi più significativi per riconoscere un minerale.
Altre volte si riscontrano delle difficoltà, come nel caso del campione di terra di
Siena, infatti nello spettro di diffrazione sono evidenti i picchi della goethite e del
61
quarzo, dovrebbero essere visibili anche i picchi delle argille, però è difficile
individuare tali componenti perché si perdono nel fondo.
In questa situazione l’analisi PIXE-α è di fondamentale importanza, poiché nello
spettro è possibile osservare i picchi del Fe ( , che sono tipici della goethite
e i picchi del Si e Al; ricavando le loro concentrazioni si ha la conferma della
presenza di argille. Un discorso analogo è valido per la terra verde, infatti, la
presenza della glauconite ((K,Na)(Fe(III),Al,Mg)2(Si,Al)4O10(OH)2) si determina
grazie all’analisi PIXE-α che mostra i picchi di Mg, Al, Si, K, Fe.
Il rilievo della complementarietà delle due tecniche si riscontra anche
nell’accuratezza dell’analisi quantitativa; accoppiando le due tecniche, è possibile
ricavare le concentrazioni con errori inferiori all’1%.
L’efficacia di adoperare due tecniche di analisi è valida per qualsiasi altro metodo
d’indagine nel campo dei beni culturali, ad esempio sia la tecnica XRD che la
PIXE-α non permettono di individuare sostanze organiche, come lacche o
pigmenti neri a base di carbonio amorfo, che in passato erano molto utilizzate;
queste sostanze invece possono essere identificate tramite la spettroscopia Raman,
come descritto nel Capitolo 1.
Chiariti i limiti e le caratteristiche di ogni tecnica si comprende che la loro
complementarità è utile e spesso necessaria per ottenere informazioni dettagliate e
complete.
62
Bibliografia
[1] F.Rizzo, Analizzare senza distruggere, Asimmetrie, 12, (2011), 35
[2] F.Volino, Microscopic Structure and Dynamics of Liquids, J.Dupuy and A.J
Dianoux Editors, Plenum, New York, (1977)
[3] G.Foti, J.W. Mayer and E.Rimini, Ion Beam Handbook for Material Analysis
[4] H.Stanjek, W. H ̈usler, Basic of X-Ray Diffraction Hyperfine Interaction,
(2004), 107-109
[5] C.A. Taylor, A Non- Mathematical Introduction to X-Ray Crystallography,
University College Cardiff Press, Wales
[6] C. Kittel, Introduction to Solid State Physics, J. Wiley & sons, New York,
(1986)
[7] F. Borsa D. Scannicchio, Fisica con Applicazioni in biologia e in medicina
[8] W.R Leo, Techniques for Nuclear and Particle Physics Experiments, 62
[9] S.Franchetti et al., Elementi di struttura della materia, Zanichelli
Editore
[10] P. Mazzoldi, M. Nigro, C.Voci Fisica elettromagnetismo-onde, Vol. II, 659
[11] C. Froese Fisher, The Hartree-Fock method fot atoms, Wiley, (1977)
[12] J.C. Slater, Teoria quantistica della materia, Zanichelli, (1980)
[13] ASX-DUST, Diffrattometro portatile a raggi X - Manuale d’uso, Assing
S.P.A
[14] F.P Romano, G. Pappalardo, L, Pappalardo and F.Rizzo, The new version of
the portable system of LANDIS laboratory and its application for the non-
destructive characterization of pigments in ancient Roman frescoes, il nuovo
cimento,121 B, N.8, (2006)
[15] http:// www.icdd.com
[16] http://www.fiz-informationsdienste.de/en/DC/icsd/produkte.html
[17] http://www.ccdc.cam.ac.uk/prods/csd/csd.html
[18] http://rcsb.org/pdb/holdings.html
[19] www.ccdc.cam.ac.uk/prods/csd/csd.html
[20] R. Cesareo, Nuclear Analytical Techniques in Medicine, Elsevier Science
63
Publishing Company Inc., USA, (1988)
[21] R. Woldseth, X-Ray Energy Spectrometry, Burlingame, California
[22] S.A.E Johansson and J.L. Campbell, PIXE: A novel Technique for Elemental
Analysis, John Wiley & Sons. Inc., Chirchester, (1988)
[23] J.L. Campbell, J.A. Cookson, PIXE analysis of thick targets, Nucl. Instrum.
Methods B3 (1984), 185-197
[24] S.A.E. Johansson, J.L. Campbell, K.G. Malmqvist, Particle-Induced X-
Ray Emission Spectrometry (PIXE), JohnWiley & Sons. Inc., Chirchester,
(1995)
[25] L. Palombo, Analisi quantitative PIXE: Test delle procedure di calcolo,
confronti con altre tecniche di spettroscopia X e applicazioni su ceramiche
rinascimentali, Univ. degli Studi di Firenze
[26] J.A.Maxwell et al., Nucl.Instr.Meth. B43, (1989), 218
[27] L. PAPPALARDO, F.P. ROMANO, S. GARRAFFO, J. de SANOIT, C.
MARCHETTA, G. PAPPALARDO - The improved LNS PIXE-alpha portable system:
archaeometric applications. Archaeometry 45, 2 (2003), 333-339
[28] G. Pappalardo et al., Nucl.Instr.Meth. B109, (1996), 214
[29] G. Gatto Rotondo, Tesi di Laurea
[30] K. Govindarau, Geostandards Newsletters 1,(1994), 18,
[31] A.A.V.V, La fabbrica dei colori, Il Bagatto
[32] L. Pappalardo, G. Pappalardo, F. Amorini, M.G. Branciforti, F.P. Romano,
J. de Sanoit, F.Rizzo, E. Scafiri, A. Taormina and G. Gatto Rotondo, The
complementary use of PIXE-α and XRD non-destructive portable systems for the
quantitative analysis of painted surfaces,X-Ray spectrom.37, (2008), 370.
64
Ringraziamenti
Desidero innanzitutto ringraziare la Professoressa Francesca Rizzo per il tempo
dedicatomi e per avermi seguito costantemente durante tutto il lavoro di tesi
svolto; desidero, inoltre, ringraziare la Dottoressa Lighea Pappalardo per la sua
disponibilità a redimere i miei dubbi e per la gentilezza con cui mi ha aiutata
nella preparazione del lavoro.
Ringrazio con affetto la mia famiglia per il sostengo morale senza il quale non
avrei raggiunto questo traguardo, grazie per aver gioito con me dei miei piccoli
successi e per avermi consolata dopo le sconfitte.
Grazie ai miei amici per farmi tornare il buon umore anche nei momenti
peggiori!
Infine ringrazio Roberto per il suo costante incoraggiamento, per aver creduto
sempre in me e nelle mie capacità e che con estrema pazienza, più di tutti, mi è
stato accanto.
Top Related