Nicola panichi.MONTAIGNE Ε LO SPAZIO INFINITO

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GRUPPO DI STUDIO SUL CINQUECENTO FRANCESE MACROCOSMO MICROCOSMO Scrivere e pensare il mondo nel Cinquecento tra Italia e Francia Atti del Convegno Internazionale di Studio Verona, 23-25 maggio 2002 a cura di ROSANNA GORRIS CAMOS SCHENA EDITORE 2004

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GRUPPO DI STUDIO SUL CINQUECENTO FRANCESE

MACROCOSMO MICROCOSMO

Scrivere e pensare il mondo nel Cinquecento tra Italia e Francia

Atti del Convegno Internazionale di Studio Verona, 23-25 maggio 2002

a cura di

ROSANNA GORRIS CAMOS

SCHENA EDITORE 2004

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N I C O L A PANICHJ

MONTAIGNE Ε LO SPAZIO TNFINITO

ul ex tern us a l ieno p a e n c non sit h o m i n i s v ice

(PUMO, Naturalis historia, VIL. 1.7)

1. Uno de gli aspeíti più sf imolanti e prolif ic! degJi t'ssa/s' è l ' ad i ace π za concet-

tuale di due pur notissime mctafore spazio-tcmporali -pays infini e monde enfant -

nolle loro implieazioni epistemiehc cd etico-normative. Metafore contingue che. se

prese dal loro contesto c messe en place marchande, come avrebbe voluto il loro

aulore, servono a Montaigne non solo a decoslruire la gerarchia apparente degli es-

scri. t ípica del logos curocentr ico , ma anche a def in i rc il compi to , Vengagement, del

« f i losofo nuovo» verso la legi l t imazione délia d i f fe renza , diversi tà . alterilà, plura-

lité et vicissitude de formes, in def in i t iva a dare voce al p lura l i smo e alla tol leranza

- non al re la t iv ismo che il f i l o so fo di Bordeaux cons idera f o r m a di p lu ra l i smo im-

propr io perche ¡molieran te: Je moltepl ici rag i on i relative, ne] m o m e n t o in eui sono

accoi te e tutte giust i f icate come aventi una loro ragione, v e n g o n o pa rados sa lmen te '

assolut izzale e negate alla luce di un pr inc ip io che non ricsce a re la t iv izzare se stes-

so; il re la t iv ismo non re la t ivizza se stesso e d iviene una f o r m a di to l leranza assolu-

ta, dogma t i ca e intol lerante.

Negli slcssi anni in cui Monta igne scrive i l suo capolavoro f i iosof íco , u n o spet-

iro si aggi ra per TEuropa . È uno dei suoi più illustri e discussi con temporane i , Gior-

dano Bruno . Del ia «nova f i losof ía» bruniana , orienlata verso una «megl io r pratt i-

ca», tensione a l l 'un i ta dcl la «civil conversaz ione» , e un a t t egg iamento più com-

plesso nei confront i del N u o v o M o n d o , a causa di q u e l l ' « O c i o » che, secondo lo

Spaccio de la bestia trionfante, non vuol divenire «Negocio» , Mon ta igne condiv i -

de la pietra d ' a n g o l o , il conce t to di d i f fe renza e cont raddiz ione , forse anche il con-

cetto di infinito: «Distingo est le plus universel m e m b r e de ma Logique» (II, 1 ,21B,

335) f rase forse t roppo nota per essere commenta t a . L ' e l o g i o m o n t a i g n a n o délia

pluralité co incide di fa l to con il ri Jancio di futti que ; concett i adiacent i e pol iscmici

che ne d i segnano e dec l inano lo spazio semánt ico , e le impl ieazioni teor ico-prag-

; Essais de Michel de Montaigne, Présenta t ion , é tab l i s sement du texte, appara t c r i t ique et notes

par Andre T o u r n o n . Impr imer ie Nat ionale . Par is 1998. 3 voll . I . ' i nd ica / Jone del libro, del capi to lo e

del le pag ine c o m p a i o n o , tra parentes i , nel c o r p a del testo, segui l i d a l l ' i m p a g i n a / i o n e de l l ' ed . Vil ley-

Sauln ie r . P U F . Paris 1965 ( Q u a d r i g e 1988).

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matiche: différence(s), dissemblance, dissimilitude, diversité, contradiction(s),

contrariété(s), déclinaison(s), discretion, infinité, infini, modification, perpetuelle

multiplication deformes, passage(s), mouvement(s), vicissitude(s) 2...

Attiaverso un complesso percorso, mouvement multiforme e pluralité divengo-no le catégorie epistemologiche con cui Montaigne costruirà il concetto di plurali-smo (e di tolleranza), all'interno di quella «merveilleuse relation et correspondance en cette universelle police des ouvrages de nature», invocata in II, 23 (556A, 682), Des mauvais moyens employés à bonne fin. La fondazione epistemológica délia pluralité e l'assunzione dello sguardo plurale per comprendere e legittimare la pro-liferazione di forme, universo di unità singolari, si attesteranno negli Essais come «nécessité de nature», in ámbito gnoseologico, autobiográfico, etico e storico, sen-za importan ti décalages di senso. Concetti modulati lungo Γ arco di tutti i saggi, a

volte, perno di titoli speculari (I, l e i , 24, per es.).

Il tentativo è di mostrare l'ulteriore fondamentale passo compiuto dal Bordole-se. Nella prospettiva dello spazio-tempo infinito, le differenze, strategicamente ri-chiamate e giustificate, si annullano e vengono ricomprese nella nozione di «com-mun» e di «similitude», quell'arte difficilissima che Montaigne sembrava negare e che solo lo sguardo genetico, rieducato alla natura/ragione, riuscirà a cogliere pro-spetticamente: l'alterità nella sua stessa polisemanticità è nell'io e nel «noi indivi-so» - e l'infinità del suo spazio/tempo coniuga possibilità e questione del futuro.

Un punto è ormai fermo. La trilogía spazio/tempo/storia è il liquido amniotico di tutti gli Essais. La prospettiva montaignana giunge a considerare paradossal-mente sincroniche le cosiddette «età délia storia» e dal punto di vista del nuovo pa-radigma temporale di cui Montaigne puè essere considerato, a ragione, il vero sco-pritore, antichità e cannibales, anciens du nouveau monde (secondo l'illuminante ossimoro di Fumaroli), assurgono a figure eccellenti di una umanità ancora in fieri:

nemmeno con gli antichi la natura ha compiuto il suo estremo sforzo (Des coches,

III, 6, 194C, 907). La natura non ha ancora esaurito il suo compito. Concetti su cui ritornerö.

Il filosofo è plenamente consapevole di maneggiare una nozione complessa, po-lisemantica, con un'implicanza di significad interagenti tra di loro, ed è proprio questa complessità a muovere energie concettuali tali da rendere la sua posizione la più interessante e prolifica nell'autunno del Rinascimento. La varietà delle forme in

2 Ho sviluppato questi concett i in II pluralismo come religione del nuovo umanesimo. Montaigne, «Atti del convegno: Pluralismo e religione civile. Una prospettiva storica efîlosofica», Université del P iemonte Orientale, Vercelli, 25-26 maggio 2001 (Bruno Mondador i , Milano, in corso di stampa). Dô di seguito le occorrenze dei lemmi secondo Roy E. Leake (Concordance des Essais de Montaigne, 2 t., Droz, Genève 1981; laddove usato, il pr imo numero indica il singolare, il secondo il plurale): con-tradiction: 12, 3; contrariété·. 8, 3; déclinaisons·. 3, 3; différence: 36, 8: diversité: 46; divers: 102; di-verse: 17; diversement: 2\ , diverses: 80; diversités: 2; discretion: 27; dissemblance: 3, dissemblables: 6; dissimilitude: 1; infinité: 14; infini (ag.): 27; infini (sost.): 3; infinie:39\ infinies: 7; infinis: 15; mo-dification: 2; mouvement: 59, Démultiplication: 4; passage: 49, 9; pluralité: 2; vicissitude: 5, 4. Ov-viamente, al l ' interno dei singoli iemmi, a volte si registrano oscillazioni di senso. L 'ed iz ione di riferi-mento di Leake è quella curata da Villey-Saulnier.

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cui l'idea dello spazio si configura gli consente di cogliere la fenomenología dell'umanesimo nella sola direzione auspicata e di far uscire il discorso sull'altro, differenza e alterità, dalla «teratología». E cosí che lo spazio infinito montaignano nel palinsesto dei saggi si precisa come relation à autrui, interagisce con la nozio-ne di «commun», nella sua consustanziale imbricazione con lo spazio infinito dell'altro.

Cerchiamo di riannodare le fila. Nel Des cannibales, com'è noto, Montaigne definisce il Nuovo Mondo «pays infini». Una configurazione pressoché analoga ne\VApologie. Il testo è noto:

(A) Les Pyrrhoniens ne se servent de leurs arguments et de leur raison que pour rui-ner l'apparence de l'expérience [...] Ptolemeus [...] avait établi les bornes de notre monde ' tous les philosophes anciens ont pensé en tenir la mesure [...] ' c'eût été Pyrrhoniser, il y a mille ans, que de mettre en doute la science de la Cosmographie, et les opinions qui en étaient reçues d'un chacun ' c'était hérésie d'avouer des An-tipodes ' voilà de notre siècle une grandeur infinie de terre ferme, non pas une île, ou une contrée particulière, mais une partie égale à peu près en grandeur à celle que nous connaissions, qui vient d'être découverte. Les Géographes de ce temps ne fail-lent pas d'assurer que meshui tout est trouvé et que tout est vu. Nam quod adest praesto, placet, etpolvere videtur [Lucrezio, V, 1412], Savoir mon, si Ptolémée s'y est trompé autrefois sur les fondements de sa raison, si ce ne serait pas sottise de me fier maintenant à ce que ceux-ci en disent - (C) et s'il n'est pas plus vraisemblable que ce grand corps que nous appelons le monde est chose bien autre que nous ne ju-geons (II, 12, 385-386, 571-572).

Al di là dell'accezione geográfica, qui si ha a che fare con lo spazio della natu-ra che si lega a doppio filo con un preciso concetto di temporalità, consegnato alia ormai abusata metáfora del Des coches: «monde enfant», in quanto non solo spazio della liberté e delle prerogative della natura nella interezza della sua condizione, ma spazio/tempo come essente in possibilità, per parafrasare la terminología blochiana, e non-ancora. Concetti che devono essere riinterrogati perché, nella loro meta-morfosi, forniscono coordinate epistemiche e normative àt\Y ethos e del pathos di tutti gli Essais. A ben vedere, lo spazio infinito non è solo quello di un paese scon-finato, senza confini, sterminato, ma porta in e con sé il concetto di illimitato.

Com'è intuibile, si è in presenza non tanto di sfumature di senso quanto di una ve-ra e propria polisemia rilevante in altri testi e contesti.

Si tratta, infatti, della metafora adottata dal Bordolese per concettualizzare la ci-fra - physique e métaphysique - del nuovo umanesimo, declinabile more montai-

gnano secondo la «retorica della negazione» (Lestringant): spazio non etnocentri-co, non eurocentrico, non antropocentrico, non dogmático, infini en matière, infini

en diversité, volto alla decostruzione della gerarchia apparente degli esseri, com-prensiva degli animali, all'ipotesi, adombrata, della pluralità dei mondi, alla comu-nicazione universale - conférence/'confronto - e all'uso etico-pragmatico dell'im-maginazione, facoltà anticipante ce qui peut advenir, con un'infinita giurisdizione.

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Quasi tutti gli Essais inseguono tale direzione. Ci fanno capire che il «paese» è infinito perché lo «spazio dell'umanesimo», che semantizza, è senza confini, illi-mitato più della terra che abita, e comprende tutto ció che la natura produce, nella sua infinita potenza e nella infinita proliferazione e vicissitudine di forme: canniba-li, mostri, miracoli, streghe, ebrei, turchi - 'anomalie'. L'alterità, la diversità, Vétrangeté sono ricomprese «sous le visage d'une même nature». Niente è contro natura ma tutto secondo essa. Il «mostruoso», il diverso, l'altro assoluto, il selvag-gio, è concetto limite dell'umana conoscenza, è il non orizzonte di un presuntuoso intelletto umano (rien du tout) e della sua vanitas vanitatum che mette sé al centro del creato come potrebbe, legittimamente, fare un papero, una gru (che almeno ha le ali, ironizza VApologie de Raymond Sebond), o una formica, come ripeterà Nietzsche, riecheggiando Montaigne3. La sua verità, la sua legge, la sua religione, la sua concezione dell'umano escludono lo spazio-tempo dell'altro, chiamano bar-baro e mostro ció che non conoscono, e concludono: ex occidente lux. Ma con la stessa limitatezza scambiano Yimpossible con Yinusité e condannano all'impossi-bilità solo perché ignorano sin dove possa spingersi la possibilité umana.

Lo spazio dell'Europa è una figura, degenerata e corrotta, di questa stessa feno-menología universale. Con il suo 'spazio limitato', paese dell'occaso dai 'civili' confini, singolare che si pretende universale, autolesivo per eccesso di certezze e in-capace di condannarsi, febbricitante, ammorbante e contagioso in nome del pathos

di una luce che non ha e del virus universalistico, non comprende lo spazio 'illimi-tato' dell'umano; se si interroga e lo assume, lo rapporta alla sua angusta misura e, trovándolo smisurato, senza misura, anzi al di sotto della propria, fa di tutto per escluderlo, evacuarlo con violenza, sino a spingersi al genocidio: eterno spazio-tempo dell'inumano. Non comprende che quella esclusione comporta per il diritto e i principi della ragione/natura universale, per la legittimità e legittimazione che non abita se non a suo modo, la propria autoesclusione e definitivo esilio. Mus in pi-

ce, sentenzia non senza compiacimento Montaigne.

Ma sono proprio le riflessioni sul Nuovo Mondo a inverare la tipizzazione del-lo spazio dell'umanesimo come umanizzazione dello spazio e tempo dell'umano. Tra il Des cannibales, VApologie e il Des coches, lo spazio infinito del «Nuovo Mondo», dQW autre monde, invita a riaprire alcuni concetti, ormai acquisiti, o sbri-gativamente liquidati, come quello, pur notissimo, di «barbarie». Per Montaigne «barbaro» non è solo, secondo la sua stessa definizione, quel che non si compren-de; è soprattutto cio che non è ricompreso nella nozione di «comune», cioè nella condizione partecipabile a tutti gli uomini: gli abitanti del Nuovo Mondo sono sel-vaggi alio stesso modo in oui si chiamano selvatici i frutti che la natura ha prodotto da sé nel suo naturale sviluppo: «là où à la vérité ce sont ceux que nous avons altérés par notre artifice, et détournés de 1 'ordre commun, que nous devrions appe-

3 Per l ' incidenza di Nietzsche su Montaigne, rinvio a NICOLA PANICHI, Pida historia. Leitura di

Montaigne e Nietzsche, QuattroVenti , Urbino 1994.

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1er plutôt sauvages» (I, 31, 344A, 205, sott. mia). Ne deriva che proprio per la sua eccezionalità ed eccedenza dalla misura eurocentrica del «comune», il nous lo chia-ma monstrum: alterità spaziale in quanto spazio della diversità, id est, non europeo: ut externus alieno [paene] non sit hominis vice, lo straniero non è un uomo per l'uo-mo. E non è casuale se della citazione tratta dalla Naturalis historia, Montaigne omette il quasi {paene) della lezione pliniana:

Le monde est inepte à se guérir. Il est si impatient de ce qui le presse, qu'il ne vise qu'à s'en défaire, sans regarder à quel prix (III, 9, 268B, 958).

Quel «noi», nous parziale, composto da io divisi nelle lotte fratricide, nelle guerre civili, nei tribunali al servizio di una «giustizia ingiusta», e «malicieuse» co-me ama chiamarla Montaigne, nella superstizione e credulità, nei proteiformi vin-coli tirannici e servili, spazio dei legami eteronomi artificial!, non naturali e irra-gionevoli, nel momento in cui esporta fuori del proprio 'civile' spazio la sua mala pianta, ottiene solo «vili vittorie» di contro aile «trionfali perdite» dei selvaggi.

Quasi negli stessi anni, Ripa nella sua Iconología 4, enciclopedia di immagini simboliche in filiazione diretta dagli Hieroglyphica di Pierio Valeriano, a sua volta enciclopedia del símbolo più famosa del Rinascimento, esprime bene il pregiudizio eurocentrico iconologicamente significato dalla «imagine» di Europa. Europa è

prima, et principale parte del Mondo [...] Si veste riccamente d'habito Reale, & di più colori, per la ricchezza ch'è in essa et per essere (come dice Strabone nel se-condo libro) di forma più varia dell'altra parte del Mondo. La corona che porta in testa è per mostrare che Γ Europa è stata sempre superiore & Regina di tutto il Mon-do. Si dipinge che sieda in mezzo di due corni di dovitia, pieni di ogni sorte di frut-ti perciô che come dimostra Strabone è questa parte sopra tutte l'altre féconda. Si rappresenta che tenghi il tempio, per dinotare ch'in lei al presente ci è la perfetta, & verissima religione, & superiore a tutte l'altre. Mostra col dito Regni, corone, scet-tri, essendo che nell'Europa vi sono i maggiori e più potenti Prencipi del Mondo, come la Maestà cesarea, & il Sommo Pontefice Romano. Il cavallo, le più sorti d'ar-mi, la civetta sopra il libro, Ii strumenti musicali dimostrano che è sempre stata su-periore a l'altre parti del mondo, nell'armi, nelle lettere, & in tutte l'arti liberali. Le squadre, i pennelli, & i scalpelli significa, o haver avuti & havere huomini illustri, & ingegni prestantissimi, si de Greci, Latini & altri eccellentissimi nella pittura, scultura & architettura5.

Se confrontata con 1'iconología di «Occidente» che chiude la raccolta ripiana del 1618, l'«imagine» della sapienza del logos occidentale si integra con «Varia

bruna ove si vede che voli una nottola»: quella nottola che appare sempre sul far

4 La pr ima edizione d s ü ' I c o n o l o g í a r ipiana è del 1593; la seconda illustrata del 1603 con nume-róse successive edizioni.

5 Cito dal l 'ediz ione 1618, Pier Paolo Tozzi , Padova, rist. anast. Fogola, Tor ino 19872, ora Tea. Milano 1992, pp. 295-296. L 'ed iz ione del 1603 è ristampata da Olms nel 1984.

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délia sera..., nota formula conclusiva della celeberrima Prefazione ai Lineamenti di

füosofia del diritto, con cui Hegel condensava la propria concezione della filosofía: «quando la filosofía dipinge a chiaroscuro, allora un aspetto della vita è invecchia-to e, dal chiaroscuro, esso non si lascia ringiovanire, ma solo riconoscere: la notto-la di Minerva inizia il suo volo sul far della sera». Hic Rhodus, hic saltus. Ma que-sta, come si dice, è un'altra storia.

Per ritornare al brano àt\YIconología sarebbe, invece, interessante una compa-razione con gli altri continenti, nell'ordine Asia, Africa, America. Mi limito a indi-care qualche caratteristica di quest'ultima. America è simboleggiata da una donna nuda, «di volto terribile», «sotto un piede una testa humana» che

dimostra di questa barbara gente esser la maggior parte usata per pascersi di carne umana; percioche gli uomini da loro vinti in guerra Ii mangiano, cosi Ii schiavi da loro comprati, & altri per diverse altre occasioni6.

Cosí l'iconologia esprime la mitología del cannibalismo del Nuovo Mondo. Eppure proprio al cannibalismo dei selvaggi Montaigne aveva dedicato una let-

tura raffinata e altamente simbólica, mostrando in un primo momento quanto l'atto di cannibalizzazione non avvenisse, se mai avveniva, per «pascersi di carne uma-na», secondo il luogo comune délYinventio retorica europea, ma per esprimere «la suprema vendetta» nei confronti del vinto. Salvo poi a inferire che questo stesso at-to vivesse in una sorta di eterna sospensione, si ritualizzasse come minaccia e non andasse in esecuzione per la forza dell'eloquenza della vittima, come testimonia la canzone di prigionia, evocante il terrore dell'autofagia per parvenza sillogistica: vieni avanti, vieni avanti e mangiami; ma dato che i miei avi hanno mangiato i tuoi avi, mangerai te stesso. Salvo ancora a precisare che il vincitore aspettava dal vin-to solo l'ammissione della sconfitta per poterlo liberare. Durante la prigionia ritua-lizzava e rappresentava i supplizi futuri per estorcere la parola: «sei tu il vincitore»: confession et reconnaissance d'être vaincu (I, 31, 352A, 210).

Nel Nuovo Mondo Montaigne coglie segno, exemplum e senso della possibilità

dello spirito umano che non ha raggiunto nemmeno negli antichi i suoi supremi sforzi, e si pone sulla soglia della scoperta di un nuovo paradigma temporale, come ha intuito Blumenberg. Il Nuovo Mondo è il segno tangibile (l'expérience della co-munità selvaggia ha superato conception e désir de la philosophie, ricorda il filo-sofo pensando ai poeti, pittori di una felice condizione umana nell'età dell'oro, ma soprattutto alla società descritta da Platone nella Repubblica) della speranza di tro-vare altri spazi/tempi/mondi e altre dimension! adulte dell'umano: chi ci assicura, insiste, che il mondo appena scoperto sia Pultimo della sua specie visto che sino ad ora Demoni e Sibille, noi stessi, lo abbiamo ignorato? L'«altro mondo», il «monde enfant», l'essente in possibilità, è la nuova, in senso etimologico, possibilità per

6 Ibid., pp. 301-302.

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un'umanità corrotta, come l'Europa, di ricongiungersi aU'infinità delle forme co-smico-storiche, di ricomprendersi e ricomporsi nella «forme de la vertu».

Un congruo gruppo di capitoli (almeno: I, 23, 26, 27; III, 3, 8) coniuga il con-cetto di pluralité con quello di possibilità. Se la ragione umana è smisurata, presun-tuosa, alia greca «filo bianco», come amava dire Plutarco, senza misura: non è né misurante né misurata; se non si sottopone all'autotribunale in cui è giudice e im-putato al contempo, non misura e non comprende. Affermare, tuttavia, che non mi-sura e non comprende non significa che sia votata alio scacco e al nichilismo. L'in-sistere sulla nullità del compasso e del «compasseur», contra la presunzione uma-na, precisa il cuore delF Apologie (II, 12,362A, 558), è Γ ultima mossa (dernier tour

d'écrime), un rimedio estremo (extrême remède), un colpo disperato (coup dése-

spéré), nel quale bisogna abbandonare le proprie armi per far perdere all'avversario le sue; un tiro segreto (tour secret) di cui bisogna servirsi di rado e con parsimonia. È grande temerità, conclude Montaigne, perdere se stessi per rovinare un altro. Non bisogna moriré per vendicarsi. Condizioni e armi cosi disperate rendono impossibi-le la salvezza.

Che cosa vuol salvare Montaigne? Certamente l'universalità della morale contro il falso universalismo, l'universalità della ragion pratica come fondamento dell'eti-ca. Se la ragione teoretica è debole e guastafeste, se lambisce il nichilismo episte-mológico, la stessa sorte non puö capitare alia ragion pratica, alia filosofía in azione: siamo nati per agiré, ripete Que Philosopher c'est apprendre à mourir - e per agiré bene. E n&W Apologie: «Nous secouons ici les limites et dernières clôtures des scien-ces, auxquelles l'extrémité est vicieuse, comme en la vertu» (II, 12, 363A, 558). Un paradigma resta, ed è quello della moralità e del linguaggio, unico legame intersog-gettivo del saggio Du Dementir, che fonda la concezione dell'essere come discorso:

Notre intelligence se conduisant par la seule voie de la parole, celui qui la fausse trahit la société publique. C'est le seul util par le moyen duquel se communiquent nos volontés et nos pensées ' s'il nous faut, nous ne nous tenons plus, nous ne nous entre-connaissons plus. S'il nous trompe, il rompt tout notre commerce, et dissout toutes les liaisons de nostre police (II, 18, 535A, 666-667).

Poi aggiunge in testo Β:

Certaines nations des Nouvelles Indes (on n'a que faire d'en remarquer les noms, ils ne sont plus, car jusques à l'entier abolisssement des noms, et ancienne connaissan-ce des lieux, s'est étendue la désolation de cette conquête, d'un merveilleux exem-ple, et inouï) offraient à leurs Dieux du sang humain, mais non autre que tiré de leur langue et oreilles, pour expiation du péché de la mensonge, tant ouïe que prononcée (Ibid, 535-536,667).

Per quanto lo conceraeva aveva assicurato: «(C) Comme à faire, à dire aussi je suis tout simplement ma forme naturelle [ . . . ] (A) Le mouvement et action animent les paroles» (II, 17 ,491,638) . È quel che basta per l'uso che se ne deve fare. L'uo-mo non deve disperare della sua impotenza: deve comprendere che è capace di tut-

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to e di niente. Ma se l'uomo non si impegna nell'impresa deifica del nosce te ipsum, come potrà pesare funzioni e forze? Il consiglio disperato non significa altro, lo chiarisce lo stesso Montaigne, che non bisogna sostenere la scienza su una ragione irragionevole (raison déraisonnable), folle e forsennata...

Per la ragione irragionevole ciö che è al di fuori délia sua portata, e délia sua ce-cità scambiata per chiarezza luminosa, diviene diverso, différente, plurale; è nega-to in quanto non ricompreso nell'identità, nell'unità e nella sua misura dell'univer-sale; l'altro assoluto, il mostro, è esiliato dall'ordine delle cose prossime e degne. Peraltro riconduce la pluralità all'errore e alla diversion. La ragione critica, al con-trario, la ragione sana, la ragione da «buona nuotatrice», ha imparato a leggere si-gnificati e sensi nel mondo, ne comprende forme e plurilinguaggi, non ha di vista la sua municipalità o la propria cantina (II, 12, 307A, 524), come fa la ragione dog-mática, paradossalmente ignara di «quelle est l'universelle» {Ibid.). L'uomo non te-me di offendere le «loix universelles et indubitables» délia natura e si ostina nelle sue: «règles positives de ton invention», leggi positive artificiali, rególe daparroc-chia (III, 5, 155C, 879). È appena il caso di sottolineare la contrapposizione che Montaigne istituisce tra Γ uni versalita delle leggi naturali e la positività di quelle ar-tificiali che esclude l'universalité e, semmai, insinua Γ universalismo. Mentre la ra-

gione sana abbraccia il mondo intero, alla moda di Socrate, insiste Montaigne, v i ve

nella e délia pluralità, del pluralismo che non coincide con il relativismo, ed è qual-cosa di più della semplice tolleranza, vede nella pluralità il seme e il sale délia sto-ria del mondo e, al tempo stesso, il suo principio ontologico. Dato che non abbiamo alcuna comunicazione con l'essere, il nostro sguardo sarà quello della fenomenolo-gía della coscienza idoneo a cogliere l'essere della natura nelle sue manifestazioni: proliferazione e vicissitudine di forme, infinité di forme, tutte ricomprese nella sua infinita potenza, che non chiude all'universo delle forme possibili.

Nel capitolo Défense de Sénèque et Plutarque, Montaigne ribadisce che non bi-sogna giudicare ciö che è possibile e ciö che non lo è secondo quel che è credibile o incredibile al nostro giudizio:

Il semble à chacun que la maîtresse forme de nature est en lui ' touche et rapporte à celle-là toutes les autres formes: Les allures qui ne se règlent aux siennes, sont fein-tes et artificielles. Quelle bestiale stupidité! (II, 32, 620C, 725).

Ma l'atteggiamento che insegna a Montaigne il pluralismo delle culture e delle religioni, dei modi educativi, delle opinioni dei filosofi, ha a suo fondamento il dub-bio stesso, inesauribile propulsore di legittimazione delle forme umane perché non cade nella trappola di scambiare l'impossible con Y inusité.

Da questa ragione bisogna partiré. Dalla ragione che insegna che condannare qualcosa come falsa e impossibile significa arrogarsi prerogative impossibili. Que-sta ragione invita al método genetico - cogliere les cogitations en leur naissance,

criterio valido anche per le leggi che devono essere ricondotte alla loro origine -, ci fa comprendere che la «source originelle» non è per nulla originaria, l'originario è

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già invecchiato, ha le rughe e la barba bianca: al suo posto c'è solo uso, autorità del tempo, consuetudine - la caverna platónica, con il suo volto «furieux et tyrannique» (1,23, 198A, 109), «filtro di Circe», oppio dell'assuefazione, artificíale identità ov-vero intolleranza dell'identità: la coutume.

A ben vedere, tuttavia, proprio la coutume si rivela concetto paradossale. As-sunta in un primo momento come fîssità e ripetizione dell'idéntico, diviene poi sin-tomo della varietà e molteplicità della illimitata fenomenología dell'umano che, nella direzione indicata, funzionerà con una valenza opposta al primo significato. L'infinità della coutume viene a Montaigne, dunque, da un concetto che, prima fa-

cie, sembrava annunciare il contrario, un concetto, dunque, a suo modo, silenico.

Il saggio De la coutume si rivela fondamentale per la critica della tradizione, dell'idéntico, dell'immobilismo delle credenze, delle società, dei costumi. Si tratta di un capitolo troppo noto per soffermarvisi a lungo. Ne richiamerö le coordinate essenziali. Abitudine, consolidato, idéntico sono declinazioni di un pensiero che si autoalimenta, e al tempo stesso si cannibalizza, in una infinita ripetizione di sé. L'abitudine è una sorta di antre de Platon (I, 23, 198A, 109); forza in ogni istante le rególe della natura e nasconde il vero volto delle cose (Ibid., 21 OA, 116). Se, a volte, alcuni fatti sembrano straordinari (miracoli, mostri, portenti) è dovuto alla nostra ignoranza della natura, non ail 'essenza della natura. L'assuefazione indebo-lisce la vista del giudizio:

Les miracles sont selon l'ignorance en quoi nous sommes de la nature, non selon l'être de la nature. L'assuéfaction endort la vue de notre jugement. Les barbares ne nous sont de rien plus merveilleux que nous sommes à eux. Ni avec plus d'occasion: comme chacun avouerait, si chacun savait après s'être promené <par> ces nou-veaux exemples, se coucher sur les propres, et les conférer sainement (Ibid., 203A, 111).

È cosi che «La raison humaine est une teinture infuse environ de pareil pois à

toutes nos opinions et moeurs, de quelque forme qu'elles soient: infinie en matière,

infinie en diversité» (Ibid.). Per cui accade che ciö che è fuori dai cardini della con-

suetudine è fuori dai cardini della ragione (Ibid., 209C, 116): déraisonnablement, le

plus souvent.

Ma la posta in palio, se possibile, è più elevata e raggiunge la dimensione etico-politica. Dall'analisi dei subdoli, incantatori, venefici meccanismi dell'abitudine e del correlato circolo vizioso della ripetizione dell'identico, Montaigne ricava due motivazioni analoghe per spiegare la mentalità collettiva alla base di altrettanti op-posti sistemi di governo: i popoli allevati nella libertà e nell'autogoverno (à se com-

mander eux-mêmes) ritengono ogni altra forma (di governo) mostruosa e contro na-tura (monstrueuse et contre nature). Lo stesso accade a quelli cresciuti nella mo-narchic Di fronte alla possibilité del cambiamento, persino quando si siano libera-ti con difficoltà di un padrone (maître), con altrettanti sforzi si precipiteranno a dar-sene un altro, dal momento che non imparano a odiare l'autorità (Ibid.) e la tirannia.

Chiunque abbia un po' di dimestichezza con la Servitude volontaire di La Boé-

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144 Nicola Panichi

tie comprenderá immediatamente che quello è Γ intertesto. Il costume è la masche-ra di chi non vuole indagare «les premières et universelles raisons», difficili da scrutare:

Qui voudra se défaire de ce violent préjudice de la coutume, il trouvera plusieurs choses reçues d'une résolution indubitable, qui n'ont appui qu'en la barbe chenue et rides de l'usage qui les accompagne ' mais ce masque arraché, rapportant les cho-ses à la vérité et à la raison, il sentira son jugement comme tout bouleversé, et remis pourtant en bien plus sûr état. Pour exemple, je lui demanderai lors quelle chose peut être plus étrange, que de voir un peuple obligé à suivre des loix qu'il n'enten-dit oncque ' attaché en tous ses affaires domestiques, mariages, donations, testa-ments, ventes et achats, à des règles qu'il ne peut savoir, n'étant écrites ni publiées en sa langue, et desquelles par nécessité il lui faille acheter l'interprétation et l'usa-ge (Ibid., 211-212A, 117).

NelPottica montaignana la coutume alimenta il punto di vista particolare, muni-cipale, separa invece di uniré. È la mano, a tratti invisibile, délia separazione, délia Iimitatezza, dei confini dello sguardo di talpa; induce a pensare, ironizza il Bordo-lese, che a chi grandina sulla testa sembra che tutto l'emisfero sia in burrasca. (I, 26, 272A, 157). Errore comune, grávido di conseguenze. Solo chi, come Montaigne! assume il punto di vista délia «natura madre» nella pienezza della sua legislazione' saprà leggere sul suo volto una varietà generale e costante. E solo chi sa leggere dentro quella stessa varietà, vedrà secondo la giusta grandezza.

Anche il capitolo ventisettesimo del libro primo (C'estfolie de rapporter le vrai

et le faux à notre suffisance) spiega lo stesso concetto. La ragione insegna che con-dannare con sicurezza una cosa come falsa e impossibile, equivale a presumere di conoscere limiti e confini della volontà di Dio e della potenza della natura; vera fol-lia è giudicarli secondo capacita e competenza umane. Se si chiama prodigio e mi-racolo quello che la ragione umana non comprende, ci si trovera sempre in presen-za di una ingens silva. L'intelletto procede «tra le nebbie» e «a tastoni» ed è l'abi-tudine, e non la scienza, a non far vedere la stranezza delle cose consuete (I 27 304A, 179). ' '

«L'infinita potenza della natura» va giudicata con più rispetto e consapevolez-za dell'ignoranza e debolezza umane: condannare cose come impossibili è presu-mere con presunzione «de savoir jusques où va la possibilité» (Ibid., 306A, 180). Se si capis.se bene la differenza tra impossible e inusité (testo C), e tra ció che'è con-tre l'ordine del corso della natura e ciö che è contro la comune opinione, senza cre-dere o negare con troppa facilita, si seguirebbe la regola di Chilone: «niente di trop-po» (Ibid.). La temerità di stabilire i limiti della verità e della menzogna porta a cre-dere cose ben più strane di quelle che si combattono e ha quale nefasta conseguen-za il disprezzo di ció che non si riesce a capire - tema maggiore, insieme a I, 23, del saggio I, 31, Des cannibales e di III, 6, Des Coches.

Ma lo stesso discorso sulla consuetudine, «regina e impératrice del mondo», pa-radossalmente, pud essere letto, come ha fatto Dupront, da un punto di vista oppo-

Montaigne e lo spazio infinito 153

sto al precedente e consueto: ripetizione dell'identico. L'«onnipotenza della con-

suetudine» esprime paradossalmente l'onnipotenza delFuomo e lo spettacolo del

mondo «l'infinita potenza di tutti i possibili» 7.

En vérité, considérant ce qui est venu à notre science du cours de cette police terre-stre, je me suis souvent émerveillé de voir en une très grande distance de lieux et de temps les rencontres d'un grand nombre d'opinions populaires monstrueuses et des moeurs et créances sauvages et qui par aucun biais ne semblent tenir à notre naturel discours. C'est un grand ouvrier de miracles que l'esprit humain, mais cette relation aje ne sais quoi encore de plus hététoclite ' elle se trouve aussi en nom, en accidents et en mille autres choses (II, 12, 388C, 573).

La conclusione montaignana, tuttavia, volta alla riaffermazione del pluralismo

contro il relativismo, muove da un'assunzione relativista per approdare alla tolle-

ranza della ragione:

Si nature enserre dans les termes de son progrès ordinaire, comme toutes autres cho-ses, aussi les créances, les jugements et opinions des hommes, si elles ont leur ré-volution, leur saison, leur naissance, leur mort, comme les choux ' si le ciel les agi-te et les roule à sa poste, quelle magistrale autorité et permanente leur allons-nous attribuant? (Ibid., 391A2, 575).

Il saggio I, 27 è legato a doppio filo a II, 30, D'un enfant monstrueux. In testo C

si legge:

ce que nous appelons monstres ne le sont pas à Dieu, qui voit en l'immensité de son ouvrage l'infinité des formes qu'il y a comprises, et est à croire que cette figure qui nous étonne se rapporte et tient à quelque autre figure de même genre inconnu à l'homme. De sa toute-sagesse il ne part rien que bon et commun et reglé, mais nous n'en voyons pas l'assortiment et la relation Nous appelons contre nature ce qui advient contre la coutume. Rien n'est que selon elle, quel qu'il soit. Que cette rai-son universelle et naturelle chasse de nous l'erreur et l'étonnement que la nouvel-leté nous apporte (II, 30, 601-602, 713).

Consuetudine, identità, ripetizione: questi sono i concetti/maschera, i sileni a rovescio che mettono le braghe al vero volto delle cose. Allora se non possiamo chiamare barban i selvaggi in rapporto ai civilizzati' che Ii superamo in ogni sorta di barbarie, Tunica concessione riguarda le rególe della ragione che sembrano es-sere meno sviluppate nel pensiero «infantile»/selvaggio dei viri recentes. E da que-

7 ALPHONSE DUPRONT, Espace et humanisme, «Bibliothèque d ' H u m a n i s m e et Renaissance», Tra-

vaux et documents, VII, 1946, pp. 7-104; ora in Genèse des temps modernes. Rome, les Réformateurs

et le Nouveau Monde, Gall imard, Paris 2001, pp. 47 -112, textes réunis et présentes par Dominique Ju-lia, Phil ippe Boutry; tr. it. Spazio e Umanesimo. L'invenzione del nuuvo mondo, Marsilio, Venezia 1993, p. 45. La tesi che Dupront legge in Monta igne si r iferisce in particolare al lungo elenco dei co-stumi dei selvaggi, paradigmi estremi della diversità.

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sto punto di vista si potrebbe spiegare l'espressione «monde enfant» con cui Mon-taigne connota il paradigma spazio/temporale del Nuovo Mondo. Concessione su-bito ridimensionata, se si presta attenzione alia forma e alia sostanza della canzone di prigionia con cui i selvaggi dimostrano di saper applicare, senza conoscere Ari-stotele e la lógica di un pensiero complesso ma prigioniero della deduzione, la ló-gica sillogistica.

Proprio a questo punto, Montaigne coglie un nodo concerníale di cui la ragione critica non puo fácilmente sbarazzarsi e mette in guardia contro il rischio correlato di un falso, acritico e presunto universale, «naturalismo» come l'altra faccia del si-leno. Montaigne avverte di essere in presenza di uno dei concetti più impegnativi della sua riflessione, uno di quelli che mette alla prova la solidità di un discorso a cui non si puö attribuire, a priori, uno stato di eccezione che lo sottrarrebbe al va-glio o al cribro dell'intelletto. Di fronte ai guasti del costume, alcuni invocano la na-tura. Il maie non risiede nella speranza della salvezza nella natura e l'aspirazione è legittima. II male risiede nel fare della natura stessa acriticamente un nuovo idolum.

A chi si appella alie «leggi naturali», il Bordolese risponde che è necessario prima decostruirle, aprirle, vagliame non solo la solidità, o la pretesa, ma misurarne, per quanto possibile, 1'«universalité», l'université, único criterio per riconoscere il si-gillo della natura. Mettere in guardia contro il rinnovato pericolo del costume e del-le sue seducenti metamorfosi che si spingono a mascherare se stesse ed assumere la maschera della natura, equivale ad aprire il sileno a rovescio e scoprire che all'esterno/natura ancora una volta corrisponde l'interno/costume. Processo dialet-ticamente connesso alio smascheramento del costume come fonte originaria. Saper ben discernere tra natura e costume non è cosa da poco, perché a volte non solo la communis opinio, il senso comune, ma la filosofía stessa chiama legge di natura o legge della coscienza l'uso radicato della e dalla consuetudine - in quanto preteso-universale - che diviene fonte originaria, seconda natura, infiltrata con il suo per-vasivo universalismo, le sue tinture e anamorfosi deformanti. Si tratta di un diffici-le e duro apprendistato a leggere dietro le maschere, a educare il proprio sguardo per liberarsi dai vizi della sostanza come único mezzo per liberarsi da quelli della forma: solo allora si potranno distinguere le leggi di natura e della coscienza dalle leggi del costume, che si presentano, sileni docent, come leggi della natura. Si trat-ta di ridefinire quelle stesse leggi evócate nella loro emblemática connotazione sin dall'Advis au lecteur, douce liberté des premières lois de nature. Leggi, certo, or-mai confuse, imbastardite, soffocate, anzi perse, ma non irrevocabilmente. Quelle stesse leggi che già Virgilio défini va: Hos natura modos primum dédit (Georgiche,

II, 20) e che Montaigne declina a suo modo: nessuna proprietà, nessuna magistra-tura, nessuna gerarchia política, nessuna menzogna, nessuna slealtà in definiti-va, nessuno dei segni della società civile moderna. Leggi che gli animali ancora se-guono e gli abitanti del Nuovo Mondo ancora praticano8.

8 Ho discusso il concetto di «legge di natura», «universalismo» e «universalità» in «Id genus om-

ne» Política diritto e morale ne g Ii Essais, «Hemeneutica», 1998, 199-236.

Montaigne e lo spazio infinito 155

La ricerca della loro traccia, ricerca comunque difficile, è complicata dal pre-supposto che il «naturale» è spesso «artificíale» e 1'universalismo della legge, su cui poggia, è «cattiva» universalità, universalità prigioniera di una concezione dog-mática della verità, appunto di una concezione universalistica.

La dimensione adulta dell'umanità, dunque, che sembra eccedere il potere stes-so della natura ormai dénaturée, richiede la cooperazione e la vigilanza di una vo-lontà fondata sulla ricostruita legislazione interiore, sul saper tenere «toujours droit mon timon», frase contenuta in De la gloire (II, 16,470B, 624) che piacque tanto a Rousseau, come mostra l'annotazione sul suo esemplare degli Essais, in corrispon-denza di questo passo. Se Montaigne con Orazio (Epodon liber, XIII, 7-8) credeva che «Deus haec fartasse benigna /Reducet in sedem vice» (III, 3, 273B, 961), in De

la gloire aveva fatto sua Γ apostrofe rivolta a Nettuno dal marinaio in mezzo al ma-

re in tempesta: «Ô Dieu, tu me sauveras, si tu veux, tu me perdras, si tu veux, mais si tiendrai-je toujours droit mon timon» (II, 16, 469-470B, 624). La posizione «droite» del timone della coscienza è il risultato dell'esercizio critico e pratico àtW Apologie:

J'y suis tout entier, j'y suis voirement - mais ne m'est-il pas advenu non une fois, mais cent, mais mille, et tous les jours, d'avoir ambrassé quelque autre chose à tout ces mêmes instruments, en cette même condition, que depuis j'aie jugée fausse? [...] N'est-ce pas sottise de me laisser tant de fois piper à un guide? (II, 12, 371 A, 563).

A confortare e rassicurare Montaigne sarà proprio il suffisant lecteur, Rousseau,

che a Montmorency, in corrispondenza di questo brano, in margine al suo esempla-

re degli Essais9 annota: «voila le vaisseau construit et appareillé, il est tems de le-

ver l'ancre et de mettre à la voile après avoir [parola illeggibile] le maître du vais-

seau et [due parole illeggibili]. Il est tems d'assigner les fonctions du Pilote et des

matelots»10.

9 Un prezioso contr ibute alio studio del rapporto Montaigne-Rousseau ci viene dalla ricerca, ana-lítica e completa , di Jean Starobinski condotta sul l 'esemplare degli Essais a p p a r t e n u e a Rousseau e annotato di sua mano (Rousseau: notes en marges de Montaigne, «Annales Jean-Jacques Rousseau», XLI, 1997, pp. 11-56). L ' au to re oltre a descrivere l ' esemplare ( m e s s o i n vendita da Chris t ie ' s a Lon-dra il 28 g iugno 1995 e acquistato dal compianto M. Gilbert Botton) e f p m i r e notizie sulla sua prove-nienza, riproduce i testi a margine (sette note autografe di Rousseau) e gli interventi (trentasette) sul testo con sottolineature di passaggi e segni, a matita o a penna, dei libri pr imo e secondo; il terzo libro non presenta a lcuna annotazione. Seguono la datazione e il commento degli interventi e, a parte, i set-te passaggi riguardanti Monta igne , contenuti nei cosiddetti «extraits de Neuchàtel», conservati nella Bibliothèque publique et universitaire. Dal riscontro compiuto emerge, nondimeno, una dissimmetria tra note a margine e sottolineature, e il r icorso «a piene mani» agli Essais nel corpus rousseauiano, compreso il terzo libro ampiamente utilizzato da Rousseau e che nel l 'esemplare in quest ione appare privo di qualsiasi indice di intervento - tanto da induire l eg í t imamen te a credere che questa copia non sia stata l 'un ica in possesso di Rousseau (Ibid., p. 28). Per la bibl iografía del rapporto Montaigne-Rousseau rinvio a Pic ta historia..., cit., p. 63, nota 8, a cui si deve aggiungere: MARTIN GESSMANN, Montaigne und die Moderne. Zu den philosophischen Grundlagen einer Epochenwende. Meiner , Hamburg 1997, passim.

10 In JEAN STAROBINSKI, Rousseau: notes en marges de Montaigne, cit., p. 19.

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La dimensione adulta ddl'umanità richiede di saper «ménager sa volonté», an-zi di portare a effetto «notre liberte volontaire» corne fondativa délia «commune volonté», spazio dei vincoli dell'amicizia «en toute souveraineté», pieno e comple-to connubio e accordo delle volontà: moltiplicazione «en confrérie de la chose plus une et unie» («C'est un assez grand miracle <de> se doubler, et n'en connaissent pas l'hauteur ceux qui parlent de se tripler. Rien n'est extrême, qui a son pareil. Et qui présupposera que de deux j'en aime autant l'un que l'autre, et qu'ils s'entr'ai-ment et m'aiment autant que je les aime, il multiplie en confrérie la chose la plus une et unie»: I, 28, 323C, 191).

Allora, non sarebbe male ritornare a riflettere, oltre che sul senso di commun e i suoi derivati, anche sul concetto di confraiñe, proposto da Montaigne, ma destína-lo a n o n a v e r e grande eco nella sterminata storiografia. Tentó di ricostruire qualche percorso analogico. Innanzitutto la laicizzazione del concetto. La confrairie qui è associazione fondata sull'amicizia perfetta dei suoi membri e ha l'amicizia in co-mune come scopo per la società nel suo complesso. Che l'umanità diventi poi una «grande casa» cornune, sarà il passo ulteriore, già tentato da La Boétie, nella dire-zione dell' intercultural i tà.

Si potrebbe, tuttavia, seguire un'altra strada. Il Richelet dopo aver definito con-

frairie come «Gens qui ont une dévotion, à quelque Saint, à quelque mistère ou à

quelque autre chose que la Religion révéré», nel secondo significato délia stessa vo-

ce (il primo si inserisce nella direzione del la devozione religiosa), riporta: «Celui

qui est de même profession, celui qui est du même corps qu'un autre». Tra gli esem-

pi: «c'est mon contraire en Apollon» da Scaron e «Les autheurs sont à present mes

confraires» da Molière. Il termine è riportato come desueto, ma siamo già nell'edi-

zione del 1680 (à Genève, chez Jean Herman Widerhold, Olms, 1973). Il Diction-

naire de l'Académie française alla stessa voce data il lemma 1200, dal latino me-

die vale confratria.

Anche se volessimo mantenere il senso religioso e conservarne l'isomorfismo

secondo la definizione corrente (Larousse: associazione laica con principi religio-

si), qui la religiosité del principio è intrínseca alia definizione stessa di amicizia,

configurata da Montaigne, a più riprese, di santità e sacralità, «sainte couture» (I,

28, 314A, 186), «divino legame», «volontà consacrate a un único oggetto». Chose

sainte et nom sacré, aveva detto anche La Boétie, sulla scia del De amicitia cicero-

niano. La sacralità è nelLoggetto e nel principio. L'amicizia è sacra perché sacro è

il principio che unisce gli amici, sacro il vincolo che ne struttura la co-essenza/co-

esistenza: sacro il «nome di fratello», tanto sacro da divenire vincolo comune.

Il concetto di moltiplicazione in confraternita «délia cosa più una e unita» mo-

stra come Montaigne non rimanga fermo alla divisione tra Yintus, la morale, e il fo-

rts, il comportamento pubblico, osservanza delle leggi stabilité (secondo la celebre

formula:/or« ut morís, intus ut übet). La sua proposta di una política deH'amicizia

ribalta la divisione da lui stesso teorizzata tra un io privato e un io pubblico, e la de-

clina nel concetto di confraternita.

L'amiciza perfetta, per definizione intrínseca realizzata in un rapporto privato tra

Montaigne e lo spazio infinito 156

due, con coordinate individuali, si sposta in una direzione/dimensione sociale. Biso-

gna allora procedere con una lettura, per cosí dire, en politique del saggio sull'ami-

cizia, non a caso pressoché contiguo a quello sui cannibali. Il ventinovesimo dove-

va contenere la Servitude volontaire, ma non la conterrà c il capitolo rimane un ca-

pitolo vu oto u; il trentesimo, saggio sulla moderazione, termina appunto con un ri-

ferimento ai cannibali. E qui forse siamo in presenza di uno di quei casi in cui l'or-

dine conserva, come negarte della memoria, un valore epistemológico, esprime un

concetto: questo tipo di vincolo sociale, comunitario, esiste par expérience nel nuo-

vo/altro mondo. Esempio di praxis che supera la teoría e invera Γ Utopia. Qui l'espe-

rienza supera la teoría: non solo ogni possibile descrizione dell'età dell'oro dei poe-

ti ma le stesse teorizzazioni (in particolare Platone) e il desiderio della filosofía.

Il nesso, innegabile, tra il De l'amitié e il Des Cannibales, prende corpo proprio

lungo la nozione di commun, che nel caso di I, 31, coinvolge anche una riflessione

sui concetti di «necessario» e di «superfluo» come criterio strutturante la comumtà:

come gli amici, i selvaggi hanno tutto in comune e vivono ancora in uno stato feli-

ce da desiderare solo quel che la necessità naturale richiede, quel che va al di là è

superfluo. Balza agli occhi la conclusione di questo distinguo: la «felice condizio-

ne» fa si che le persone della stessa età si chiamino «fratelli»; le più giovani «figli»,

mentre î vecchi sono padri per tutte le altre. Lasciano ai loro eredi in comune il pie-

no possesso dei beni indivisi {possession de biens par indivis)... (I, 31, 352A, 210).

La natura ha condotto sin qui. Ha concesso all'uomo degenerato di rivedere, an-

che se in una struttura di rispecchiamento complesso e deformato, il proprio stato e

di progettare nuovi vincoli. Montaigne intuisce che questo potrebbe tradursi nella

possibilità di un nuovo inizio, almeno normativo, pays au delà. Perché la natura di-

venga più-che-sforzantesi, compia il suo supremo sforzo, ora che il contagio euro-

peo sull'altro mondo rischia di spezzare di nuovo la sua catena naturale/ragionevo-

le, l'appel]o montaignano va ai bien-nés, ai filosofi della storia che, come voleva

l'àrcheologia laboétiana, sanno guardare «et derriere et devant» e «remémorent an-

core les choses passées pour juger de celles du temps avenir...» ,2, sanno prefigura-

re la questione del futuro.

Tutto ciö è solo in apparente contrasto con il presupposto ontologico della de-

bolezza della ragione umana. Noi non procediamo, passeggiamo sui nostri passi:

nous rôdons. La conoscenza umana è «faible en tout sens» (III, 6, 194B, 907):

Si nous voyions autant du monde comme nous n'en voyons pas, nous apercevrions, comme il est à croire, une perpétuelle multiplication et vicissitude de formes. 11 n'y a rien de seul et rare eu égard à nature, oui bien eu égard à notre connaissance, qui

" Sullc ragiuni mi sono soffermata in l'Iutarchus redivivas? La Boétie e i suoi interpreti, Viva-

rium, Ñapo!i, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici , 1999. 12 ETIENNE DE ¡ A BUL PIF De la Servitude volontaire ou Conlr'un, édité avec introduction et notes

par Malcolm Smith, Droz, Genève 1987, p. 52, ora 2001, avec des notes additionelles de Michel Ma-

gmen. Una nueva edizione si legge presso Vrin, Paris, 2002, texte établi et annoté par Andre et Luc

Tournon.

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144 Nicola Panichi

est un misérable fondement de nos règles et qui nous représente volontiers une très fausse image des choses {Ibid., 196B, 908).

Le citazioni si potrebbero moltiplicare. La natura naturans nella natura natu-rata ha mostrato quanto non vi sia nulla di selvaggio nei prodotti del suo governo (Ibid., 137A; 868) - e la tesi carsica délia «ragione debole» ripresa in diversi luoghi degli Essais risponde a esiti differenziati. Se è duplice e contraddittoria (double et diverse) come i suoi argomenti, doubles et divers, se non c'è nulla di cosï duttile ed errático, simile alla scarpa di Teramene buona per ogni piede, la ragione (debole), come «ogni medaglia», «ha il suo riverso». E paradossalmente il limite puö diveni-re la sua forza. Anch'essa, allora, con tutta evidenza è un sileno a doppia direzio-ne; anch'essa è un sileno a rovescio e un sileno comme il faut: se la si crede onni-potente, aprendo il sileno, si scopre che essa è debole; ma se la si crede debole si puö scoprire, con lo stesso movimento, che puô molto. Il sileno, nondimeno, va aperto in questa precisa successione, successione praticata dalla conversione mon-taignana dello scetticismo classico.

Il pendant concettuale dell'eraclitismo délia mente, e delle espressioni del mo-bilismo dell'io e del mondo, è regola universale che accomuna io e mondo. Il mon-do, come il soggetto, è varietà e dissomigïianza (II, 2, 25A, 339). L'universo è un fluiré di forme incessante e senza fine. La coscienza del perpetuum mobile, tuttavia, si accompagna nel filosofo alla consapevolezza che l'ultima forma délia vicissitu-dine è la prima di una nuova vita e del circolo/processo vitale: «la défaillance d'une vie est le passage à mille autres vies» (III, 11, 41 IB, 1055). L'eraclitismo délia mente approda alla conclusione che la verità stessa è contraddizione, risultato di rinnovate contrariétés. Se la vita è moto materiale e físico, azione imperfetta per sua stessa essenza, e senza altra regola che il movimento, la dissimiglianza, la con-traddizione (Ibid., 9, 314B, 988), se il mondo è un'altalena perenne (Ibid., 2, 43B, 805) e tutto si muove di un movimento generale e particolare, se l'esistenza stessa è movimento e azione (II, 8, 91C, 386) - la vita (III, 13, 472B, 1095), corpo e spi-rito (II, 37, 700A, 776) - se, allora, tutto oscilla, il movimento generale del mondo e il proprio movimento, e la constance, l'identità, è solo un movimento più debole (l'oggetto non puö essere fissato, procede incerto e vacillante per naturale ebbrez-za), tutto si muove: giudicante e giudicato (II, 12, 434A, 601). Il soggetto stesso, in continuo movimento e mutamento, registrerà idee mutevoli ed eventi mutevoli, tal-volta contrari: «soit queje suis un autre moi-même», sia che colga negli oggetti al-tri aspetti. Lo stesso agiré, oggetto délia filosofía pratica, potrebbe risultare insieme di frammenti affastellati e contraddittori (II, 1), senza scopo...

Proprio in questo punto, tuttavia, nel momento in cui prende corpo il nodo più delicato délia filosofía degli Essais, Montaigne introduce il concetto di universalité délia ragione senza evocare il passaggio alla filosofía pratica, perché, a ben vedere, il suo discorso si muove già aU'interno di questo ámbito. La sua definizione di filo-sofía non lascia dubbi: essa è «formatrice de jugements et de moeurs», in quanto formazione del pensiero per i costumi; filosofía della vita e delle sue forme, etica.

Montaigne e lo spazio infinito 159

Anche chi volesse scrivere, insiste Montaigne, una storia della filosofía antica (che Y Apologie chiama ancora «histoire des sectes») non potra fare a meno di registrar-ne il filo conduttore: «les opinions [...] sur le sujet de notre être, et de nos moeurs» (II, 12, 396B, 578). Solo in questo senso l'uni versalita della ragione puö valere per la ragione teoretica in quanto ragion pratica. Il soggetto, infatti, che ha preso co-scienza in ámbito teorico-pratico dell'eraclitismo universale sarà in grado, parados-salmente, di realizzare il comandamento laico del nuovo umanesimo: non contrad-dire mai la verità (Tanty a queje me contredis à l'aventure, Mais la vérité [...] je ne la contredis point: III, 2,43-44B, 805).

Il Che cosa posso sapere, cosa devo dire, cosa devo fare? del saggio Du pé-dantisme (I, 25) trova qui la sua legittimazione. Solo chi si prescrive un sicuro go-verno della mente, e diviene pertanto legislatore di se stesso, sa cogliere il «visage pareil et universel» della natura/ragione, le sue leggi «universelles et indubitables», naturali vs positive e artificiali (règles positives de ton invention: III, 5, 155B, 879) - e della verità.

La scoperta dell'altro mondo come «pays infini», nondimeno, invece di spinge-re Montaigne verso il relativismo, lo spinge a concepire una nuova unità, che acco-glie la pluralità delle forme, stavolta si un mondo nuovo, unità consistente nella creazione di una vita comune degli uomini in questo mondo - unità a cui aveva già provveduto la natura. Certo, Montaigne è critico verso l'utopia, secondo il «detto comune»: buona in teoría ma non valida per la pratica, ma ne accoglie la forza di rottura. Se è consapevole di aver a che fare con «l'uomo già formato», non rinuncia a pensare a un «mondo nuovo» (III, 9 ,266B, 957) nonostante i toni critici sull'inef-fettualità. Non è Montaigne a sostenere in De la force de l'imagination che, a dif-ferenza degli storici di professione che dicono «ciö che è accaduto (les événe-ments)», egli vorrebbe dire sur ce qu'il peut avenir! (I, 21, 193C, 106)13. Il suo di-scorso diverrà ancora più chiaro, come ho tentato di mostrare altrove14, nel saggio De l'amitié.

La scoperta del Nuovo Mondo è per Montaigne, secondo la felice osservazione di Dupront, la scoperta deirillimitatezza della sua creazione e l'infinità della diver-sità è l'accettazione di tutta la materia e del suo ordine: «il diverso viene pensato in rapporto all'altro e nella certezza dell'unità» 15. Unità nell'infinito, nell'illimitato, nell 'apeiron.

13 Cfr . NICOLA PANICHI, Tra Mercurio e Saturno. L'immaginazione messaggera, Introduzione a Michel de Monta igne , L'immaginazione, Olschki, Firenze 2000, passim.

14 NICOLA PANICHI, De la «compagnie» à la «confrairie»: parcours politique de l'amitié, «Mon-taigne Studies», XI, 1999, pp. 87-106, numero monográf ico dedicato a La Boétie, guest editor: Michel Magnien. Il contributo è stato sviluppato in De la servitude volontaire à la liberté volontaire. De La

Boétie a Montaigne, in Plures, Penser la souveraineté à l'époque moderne et contemporaine, Actes du Colloque Les métamorphoses du Prince: fondements de la vie associée et formes de la souveraineté

dans les temps modernes, organisé à Pise (1-3 ju in 2001) et Paris (2-4 novembre 2001), Ets-Pise, Vrin-Paris 2001, pp . 63-84, sous la direction de Gian Mario Cazzaniga et Yves Zarka.

1 5 A L P H O N S E D U P R O N T , Spazio e Umanesimo, c i t . , p . 4 5 .

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Com'è intuibile, qui lo scetticismo montaignano ne esce ridimensionato o al-meno chiaritol6: I'utilizzazione della diversità è un mezzo di cui lo scetticismo si serve per la «terapéutica della verità». Nell'ottica di questo stesso scetticismo atipi-co, gli elementi costitutivi il diverso sono altrettante unità parziali. La scoperta del Nuovo Mondo non è solo la certezza di una comune umanità dell'uomo, è anche la misura della ragione per stabilire una sicura gerarchia etica. Proprio in questo sen-so e, diversamente dal modello del nous, del comune europeo, che di fatto realizza un rapporto di esclusione, il comune dei selvaggi unisce. Anche la filología canni-bale esprime questo concetto. Nel linguaggio che vuol essere naturale, che vuol esprimere l'essenza o la natura della cosa, la parola «uomo» significa essere «l'uno metà dell'altro». Quale società puö dirsi veramente fondata sul «commun» se non questa che configura Γ unità dell'essenza umana del!'individuo solo in rapporto all'altro, in quanto sua esatta metà? Esempio mirabile deiralterità paradigmatica che è nell'io stesso o del suo raddoppiamento normativo in sé, che puö essere mol-tiplicato nella confrérie.

È la ragione scettica a dare dignità all'altro, come forma della natura nella sua moltiplicazione e vicissitudine di forme di pari dignità, in quanto manifestazioni di una stessa natura. La ricerca delle prove non dei poteri immaginari della ragione, ma dei suoi limiti e confini, ovvero prove di poteri reali, sullo scacco dell'ontologia classica, scopre e incontra l'alterità negata da quella stessa ontologia falsamente universale, deduttiva, forte, dogmatica - l'ontologia occidentale logocentrica che vive Talterita come negazione di sé, delle sue rególe «positives» e del suo códice. L'alterità come negazione del sé non coincide esattamente con l'alterità in quanto limite del sé, ciö che limita l'io ed è al di là (al di qua?) del confine. Questa ultima forma di alterità nega l'io solo per affermarlo in quanto sé e serve al sé per autode-finirsi. Lo scetticismo montaignano, da un lato, è minaccia alia certezza delFiden-tité dell'io, ma, al tempo stesso, è l'altra possibilité dell'io. L'alterità definisce i confini dell'io, come qualcosa dell'altro e, una volta fatto questo, rende l'identità inquietante solo nel rapporto, di esclusione, all'altro. È una minaccia nel momento in cui l'io/altro è divenuto io e altro. Solo la conversione dello scetticismo rende ta-le passaggio riconoscibile. L'altro non è concetto negativo dell'io (cioè non-io), ma è ricompreso all'interno dell'io e della sua archeologia. In questo senso fa vacillare il principio aristotélico di identità e non contraddizione: alia formula io=io, preferi-sce io=altro.

Lo spazio infinito scoperto è certezza di uno spazio/tempo aperto alla possibi-lité dell'umano in quanto forma della natura riconquistata. L'idea della durata si ac-compagna a quella dell'inñnité dello spazio dei paesi nuovi. È innegabile che qui si assiste a un transfert di prerogative spaziali in coordinate temporali, nella consape-volezza che la scoperta del nuovo/altro (mondo) non è un ritorno alie origini ma un

16 Ho affrontato questa problemática in La raison sceptique comme figure de l'éthique, in PLURES, L'écriture sceptique chez Montaigne, Journées d 'é tudes , i5 -16 nov. 2001, organisées par Mar ie-Luce Demone t et Alain Legros, Droz, Genève 2004, pp. 239-261.

Montaigne e lo spazio infinito 160

nuovo punto di partenza che l'intuizione filosófica puè subito afferrare, punto di partenza genetico, «source originelle» da cui scaturisce la «pienezza del 'comune' tra gli uomini»17. L'universale è nello spazio, la terra in comune come gli altri ele-menti (aria, acqua, fuoco). Sottomettersi a questo ordine comune significa e realiz-za il vivere in comune. Il commercio tra gli uomini diviene pratica di vita in comu-ne e il comune originario forma di comunicazione18.

II. Voglio fare un'altra osservazione. La sfida teórica di Montaigne e del suo «pays infini» sembra filtrare e lambire, a suo modo, le suggestioni teorico-pragma-tiche che motivano e accompagnano la decisione di andaré verso l'Oriente di uno dei grandi personaggi storici più citati negli Essais (71 occorrenze), Alessandro Magno19, «le plus grand homme», come Cesare sempre alla ricerca di «inquiétude» e «difficultés» (1,14,126B, 61), ma che Montaigne nella tipología degli uomini ec-cellenti preferisce a Cesare e considera secondo solo a Epaminonda, miracle della natura e dell'arte per aver concepito e adottato il concetto di «morale política» (II, 36) - anche se non lo sottrae da una certa «ambiguità», a tratti affiorante negli Es-sais come una sorta di gianica faccia. Lo stesso omicidio deU'amico e salvatore Cli-to, che le fonti classiche comprendono e chiudono all'interno dell'ambiguità del personaggio e a cui consegnano l'atto estremo dell'enigma, viene configurato da Montaigne per l'«eccesso di pentimento» manifestato da Alessandro, corne prova ulteriore della instabilité del suo carattere (II, 1, 22C, 336), ma soprattutto prova della «benignità della sua natura», «[Β] et que c'était de soi une complexion excel-lemment formée à la bonté. [C] Et a été ingénieusement dit de lui: qu'il avait de la nature ses vertus, de la fortune ses vices» (II, 36,665, 754). La colpa espiata «outre son poids», al di là della sua importanza, mostra ancora una volta l'ambivalenza e la grandezza dell'uomo.

Nel Des coches Alessandro diviene soprattutto l'emblema dell'incontro fra cul-ture e progresso civile20, laddove Montaigne lamenta che la «noble conquête» del Nuovo Mondo non sia avvenuta appunto sotto il Macedone o sotto i greci e roma-ni. La nobiltà della conquista è risemantizzata come «incontro» tra due culture, tra-vaso, mescolamento e assimilazione dei reciproci valori: «mêlant les vertus Grec-ques et Romaines aux originelles du pays», ne sarebbero risultati un progresso, (ré-paration) e un miglioramento (amendement) per il mondo intero, per «cette machi-

1 7 C f r . A L P H O N S E D U P R O N T , op. cit. 18 Per tematiche analoghe cfr . NICOLA PANICHI, La virtù eloquente. La «civil conversazione» nel

Rinascimento, Pubbl. del l 'Univers i tà di Urbino, Montefel t ro, 1994. Sul mito del «comune» nel Rina-scimento non è peregrino segnalare le pur notissime pagine di RONSARD, Discours contre Fortune, in Oeuvres complètes, Gall imard, Paris 1958, texte établi et annoté par GUSTAVE COHEN, Le Second Li-

vre des Poèmes, vol. II, pp. 399 sgg. 19 Monta igne possedeva un esemplare di QUINTO CURZIO, Q. Curiii historiographi luculentissimi

de rebus gestis Alexandri Magni regis Macedonum opus, ita demum emendatum atque illustratum ut

posthac vix quicquam in eo desiderari possit..., Basileae 1545, in off ic ina Frobeniana. 20 Questo aspetto è coito anche da FRANCO FERRAROTTI, L 'enigma di Alessandro, Donzelli , Roma

2000.

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ne». L'indicazione è chiara: si sarebbe stabilita «entre eux et nous» una comunione e intesa fraterna («fraternelle société et intelligence»: III, 6, 200B, 910), un métis-

sage. Il mancato incontro/confronto tra antichità e Nuovo Mondo è stata una occa-sione persa per l'umanità intera. 11 loro scambio avrebbe aperto nuovi orizzonti di senso e di comunicazione ira culture, visto che la natura nemmeno con gli antichi ha compiuto il suo estremo sforzo. Proprio in questo punto, ancora una volta con il suo linguaggio «coupé», Montaigne fa intravvedere la possibilità di un nuovo para-digma temporale e culturale. Proiezione di una umanità c una socictà mista, figlie del «mescolamento» e non del contagio.

Configurando l'allievo di Aristotele entro quesle coordinate, il filosofo perigor-dino si inscriscc in una lunga tradizione di pensiero (Plutarco, Arriano, Quinto Cur-zio Rufo) che coglie in Alessandro quella energía morale e intellettuale reclamata poi da Hegel per il grande individuo, {'individuo «cosmico-slorico», l'eroe, parti-colarmente sensibile alia dialettica tra «universale» e «particolare» 2I. la cui opera adolta il punto di vista dell*universale: il suo orizzonte guarda a popoli e culture in-teri, aü'umanitá nel suo complesso. Alessandro ha il senso del destino e si spinge verso Oriente, verso altri mondi, utopici «luoghi mentali», verso un sogno «gran-dioso e rischioso», qucllo d cXY apeiron ovvero del Γ «illimitato» (Ferrarotti) - altro

modo per esprimere il montaignano «pays infini». L'impresa militare nascondeva

la nostalgia della riconciliazione ira Oriente e Occidcntc, tra lucc c occaso, e la

spinta utópica verso l'Oriente la ricerca di nuove fonti di legittimità política e reli-giosa per un'Europa in potenziale declino: ex oriente lux.

Ma la figura di Alessandro serve a Montaigne per riaffermarc un principio caro aH'umanesimo: le culture si sviluppano attraverso i circuiti dello scambio; l'isola-mento le rende storicamenle irrilevanti ed esposte al rischio del «tramonto», della barbarie del «pays sauvage», del saggio Sur des vers de Virgile (III, 5, 147B, 875); restare presso di sé, è abitare il proprio paese da soli, «où personne ne m'aide ni me relève», il paese della solitudine, quello dell'io, solo e isolato. Dove non c'c Γ altro.

Paesc/spazio dclla solitudine, senza vincoli e relation à autrui. Ma soprattutto vero approdo dell' impresa deifica: non si onora la propria natura «en se dénaturant» (Ibid.,

154C, 879). La dénaturation qui è il restare in solitudine, cioè nella vera mostruosità: «Quel monstrueux animal qui se fait horreur à soi-même». Montaigne lo ribadisce a più riprese: «De nos maladies la plus sauvage, c'est de mépriser noire être» (III, 13, 495B, 1110); l'essere che, come emerge da altri contesti, è discorso e relazione con I'altro. L'unica accezione di «barbarie» ammessa è. dunque, l'assenza dell'altro.

Montaigne non ha dubbi: l'io «si allarga quanto più si riempie: «notre âme s'élargit d'autant plus qu'elle se remplit» (1, 25, 237A, 483), quanto più accoglie Γ altro. Solo cosi la ragione potrà ridivcntarc «naturale, sociale, ospitale» (I, 28, 312C, 185).

11 Ho anticipate qualche nflessionc in // ritorno dette Danaidi. Retoriche dell 'universale singóla-re. «Belfagor». 4. 2001. pp. 393-410. CL'r. PASQUALK SALVUCCI, L'eroe in Hegel, Guida. Napoli 1979 e riprodotto in II filosofo e la storia. Quattro Vcnl i, Urbino 1994, pp. 749-781.

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Il «pays sauvage» diviene il contro-emblema del «pays infini·· c ne disegna l'antimetafisica e l'antifisica. Se l'infinita differenza va compresa e legitlimata. se è qualità della natura e della sua infinita proHfcrazione e vicissitudine di forme, se è per questo più semplice da cogliere della somiglianza, che l'arte non puö rag-giungere («nul art peut arriver à la similitude»: III, 13, 426B, 1065), alla fine Mon-taigne scopre che l'esercizio di quest'arte difficilissima lo ha portato alia comples-sa nozione di inter-identità. Solo se si comprende plenamente il senso di «pays in-fini» come risemantizzazione della infinita e illimitata possibilità della natura urna-na si potra coeliere quel concetto di inter-identità dell'umano nello spazio dell'umanesimo" che non eselude ma implica, mescola, vincola reciprocamente m vista dello spazio «commun» e agisce secondo il principio del consensus gentium,

de «l'université de l'approbation». Alla fine, la bonlà della regola è determínala dal consenso comune dei popoli. Nell'atteggiamento dei Mussulman! nei confronti dcl-la retorica (1, 51 ), Montaigne trova la controprova della corrcttezza del proprio giu-

dizio. Non è che un esempio. Ncssuno si salva da solo; si scampa al naufragio generale facendo buon uso del-

la crisi, imparando, cioè, a getlare nuovi vincoli. Montaigne intuisce che il futuro

stesso dell'Europa è nel concetto di pluralismo, di «co-tradizioni culturali», única

vía di scampo ai miraggi dell'isolamenlo. Dalle scarne righe del Des coches si com-

prende che anche Γ Alessandro di Montaigne capisce la «forza delle differenze» e

l'incontro tra culture si pone come nccessità del confronto, comparazione e dialogo

interculturale: non ci si pud confrontare senza comunicare.

Montaigne mclte in luce la fecondità della dialettica di idenlità e diversità, nel-la filosofía, ne 11'arte, nella religione, nella sloria, nella política, nell'educazione con l'avvertenza di stare in guardia da un falso concetto di tolleranza nella coesistenza con il diverso. A ben vedere, ancora una volta, è lo stesso problema di Alessandro Magno una volta arrivato in Onente: come unificare e dare fisionomía unitaria, pur rispettandone le peculiarity a terri tori, razze, culture diverse? Ma è anche la sua «lezione» per il vecchio mondo. La «vile» conquista è stata fatta in nome del com-mercé delle perle e del pepe. «Mécaniques victoires»: «jamais l'ambition, jamais les inimitiés publiques ne poussèrent les hommes les ans contre les autres à si hor-ribles hostilités et calamités si misérables» (Ibid.).

Non si pud comparare senza comunicare. Montaigne resta fedele alla lezione. Non a caso le acute osservazioni sull'«altro mondo», il Nuovo Mondo come «pae-se infinito» c «mondo fanciullo», interagiscono con Y art de conférer ovvero con Y arte del confronto: il confrontarsi conversando/comunicando, disegna l'ontologia umana e apre sccnari inediti sul piano della «comunicazione universale».

Per Montaigne il contatto con altre culture non solo è positivo, ma è un impera-tivo morale per imparare a conoscere se stessi. Se c'c il rischio di contagio, semmai è all'inverso: tramite il nostro ammorbante (id est europeo) contatto abbnimo con-

tagiara i cannibali con il virus di una pseudo-ragione e morale universalistiche. La loro filosofía della storia ne è la prova. Anch'essa ormai annuncia la rovina immi-nente, lamenta il proprio occaso, il proprio tramonto, la propria «europa».

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La «doppia» lezione di Montaigne è che il «luogo della comunicazione umana» è lo spazio del vero umanesimo. L'uomo comunica solo se è pronto a riconoscere l'altro corne «modificazione e forma» in cui la natura (il genere umano e il cosmo) si manifesta, nella moltiplicazione e pluralité delle forme possibili e, per ritomare alla terminología hegeliana, in quanto trascendenza del particolare nell'universale. Tanto più che è proprio Montaigne, lo ricordiamo, a raccomandare di non confon-dere impossible con inusité e a condannare corne mostruoso ciö che non compren-díanlo. L'arte di ascoltare non è più solo (se mai lo è stata) una regola della retori-ca umanistica: l'ascolto dell'altro è il primo gradino dell'etica della comunicazio-ne, della comprensione deirinterculturalità, della «lógica del comprendere», id est del «comunicare», lógica idónea a vanificare la nozione fondativa del mercantili-smo economico, politico e culturale, mai veramente defunto, secondo la quale «II guadagno dell'uno è la perdita dell'altro». Se il compito di Alessandro era di aprire I'ellenismo all'Oriente, ma al contempo di portare il logos greco e il suo peculiare telos nel mondo orientale, nella lettura di Montaigne lo stesso spirito lo avrebbe ac-compagnato anche nell'incontro con il Nuovo Mondo. La lezione di Alessandro, in Montaigne, ribalta il topos mercantilista della modernità e dice: «Se uno guadagna, l'altro non perde», a vantaggio dello sforzo etico-filosofico del gadameriano «oriz-zonte comune del comprendersi», che è al tempo stesso «compito comune»22.

Proprio Montaigne, più di ogni altro, aveva messo in guardia contro i pericoli della fenomenología dell'universalismo o dell'universalismo dogmático, con i suoi fantasmi e i suoi genocidi, che opponeva a un ben altro concetto, l'universalità (uni-versité) della ragione sana (la ragion pratica), mentre raccontava con acribia che la différence/dissemblance/dissimilitude, in quanto «forme maîtresse» della natura, della vita e della storia umana, è nel nostro impasto e nelle nostre fibre, è notre con-dition - e che quindi lo «spazio dell'umanesimo» non coincide esattamente con lo spazio dell'Europa singolare-universale.

22 Unica via per confrontarsi e comunicare sulle retoriche della multiculturalità e della pluricultu-ralità, au jourd 'hui . Al lora forse è opportuno r ichiamare qualche riflessione gadameriana. Nel saggio «Cittadini di due mondi», Gadamer , r icapitolando suggesîioni antiche, osserva che «nel l 'Al t ro e nel Diverso noi poss iamo in qualche modo incontrare noi stessi. Ma più pressante che mai è oggi i l dove-re di r iconoscere nel l 'Al t ro e nel Diverso quel che vi è di comune» («Bürger zweiter Welten», in Das Erbe Europas, Surkamp, Frankfur t am Main 1989, ora in L'eredità deli'Europa, Einaudi Torino 1991, p. 99, sott. mia).

PHILIPPE DESAN

DE LA RIVIÈRE DE DORDOGNE AUX ROCHERS DU CAUCASE:

LES LIMITES DU MONDE CHEZ MONTAIGNE

Montaigne aime les voyages, qu'ils soient réels ou livresques. Sur les chemins de France, d'Allemagne et d'Italie, il parcourt monts et vallées pour explorer ces lieux réels ou imaginaires découverts dans ses lectures. Il en va de même de la ré-daction des Essais: l'auteur établit une géographie qui lui permettra de se repérer dans les espaces de son texte comme dans les marges de l'Exemplaire de Bordeaux. Les bosses et nids de poules des chemins ponctuent littéralement le texte des Es-sais. Le voyage convient d'ailleurs bien à cet esprit primesautier qui avoue avec une certaine complaisance que son humeur naturel l'entraîne inexorablement sur des chemins mal tracés qui ont pour résultat de couper ses propos et de produire ainsi un style saccadé qui se retrouverait bien entendu dans ses écrits. Ne pourrait-on pas voir dans ce rapprochement une certaine homologie entre la pratique des voyages et la pratique des Essais? C'est cette homologie qui retient ici notre attention. A l'en croire, Montaigne voyage le plus souvent seul1 - c'est du moins ce qu'il nous dit. Ainsi, le manque de conversation lui aurait donné la possibilité de développer un discours avec lui-même. Comme par déduction logique, cette réalité pratique des voyages l'aurait ensuite conduit à produire une forme bien particulière et nouvelle d'écriture, à savoir l'essai. Seul, à cheval, l'introspection et le discours intérieur vont de soi. Comme le voyage, l'écriture devient ainsi un déplacement où l'on a le loisir de se pencher sur ce que l'on rencontre. Mais tout déplacement (aussi bien réel que littéraire) sous-entend une géographie, c'est-à-dire des espaces qu'il faut remplir de sa présence pour prétendre avancer vers l'endroit qui forme le prétexte du voyage. Car voyager c'est avant tout aller vers un but, même inavoué.

Mais intéressons nous d'abord à ce que nous pourrions appeler les exigences et les contraintes du terrain. La topographie représente toujours un a priori pour le voyageur. Ainsi, si Montaigne est piètre orateur2, la cause en serait peut-être·qu'il passe trop de temps à cheval:

1 Son voyage en Italie est pourtant loin d ' ê t re une entreprise individuelle. C ' e s t en effe t en bonne compagnie qu ' i l entreprit cette expédit ion qui le mena à R o m e pas des chemins les plus détournés.

2 Sur cette insuff isance oratoire de l 'essayiste, nous renvoyons le lecteur à la f ameuse lettre de Monta igne à son père sur la mor t de La Boétie.