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Richiami di Elettromagnetismo In questo paragrafo prenderemo le mosse da quello che abitualmente è il punto di arri- vo di un corso di Fisica II (Elettromagnetismo): le equazioni di Maxwell. Ci limiteremo al caso in cui l’unico mezzo presente è il vuoto, e scriveremo le equazioni nella loro forma integrale: e locale o differenziale: ∇⋅ E = ρ ε 0 , E = - B t , ∇⋅ B = 0, B = 0 J + ε 0 E t . (A1.2) EdS S = ρ ε 0 V dV = Q v ε 0 , Edl γ = - B t S γ dS , B dS S = 0, B dl γ = 0 J +ε 0 E t S γ dS , (A1.1) Luciano De Menna Corso di Elettrotecnica 299 Appendice 1

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Richiami di Elettromagnetismo

In questo paragrafo prenderemo le mosse da quello che abitualmente è il punto di arri-vo di un corso di Fisica II (Elettromagnetismo): le equazioni di Maxwell. Ci limiteremoal caso in cui l’unico mezzo presente è il vuoto, e scriveremo le equazioni nella loroforma integrale:

e locale o differenziale:

∇ ⋅E =ρε0

,

∇×E = -∂B∂t

,

∇ ⋅B = 0,

∇×B = µ0 J + ε0∂E∂t

.

(A1.2)

E⋅ dSS

= ρε0V

dV =Qv

ε0,

E⋅ dlγ

= - ∂B∂t

⋅ dS ,

B ⋅ dSS

= 0,

B ⋅ dlγ

= µ0 J +ε0∂E∂t

⋅ dS ,

(A1.1)

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Appendice 1

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Questo formidabile sistema di equazioni fu enunciato, in una forma poco dissimile daquella da noi qui riportata, dallo scienziato inglese James Clerk Maxwell nel 1864. Sitratta di una delle più grandiose sintesi della mente umana; è incredibile quanta feno-menologia è racchiusa nel modello descritto da queste equazioni! Con una rapida panoramica ricorderemo concetti, definizioni e fenomeni descritti dalleequazioni di Maxwell. Il presupposto di fondo è che il lettore abbia già avuto modo, inun precedente corso, di conoscere l'argomento e di sviluppare al riguardo un certogrado di maturazione. Cominciamo con l’osservare che le equazioni sono state scrittenella forma che esse assumono quando si adotta il Sistema Internazionale di unità dimisura. Come abbiamo già detto, non ci soffermeremo su questo argomento; per unalucida e sintetica esposizione della evoluzione dei sistemi di unità di misura e della lorosistemazione attuale si rimanda al testo di Barozzi e Gasparini riportato in nota1. Nelleequazioni precedentemente scritte, ε0 e µ0 sono rispettivamente la costante dielettrica,ε0=8.856 10-12 farad/metro, e la permeabilità magnetica, µ0 =4π10-7 henry/metro, delvuoto; farad ed henry sono rispettivamente le unità di misura della capacità e dell’in-duttanza nel Sistema Internazionale.Abbiamo scritto le equazioni di Maxwell nelle due forme, differenziale ed integrale,perché, sebbene esse sostanzialmente descrivano lo stesso modello, le due forme pre-sentano alcune differenze. In sintesi, mentre le equazioni in forma differenziale nonsono valide, evidentemente, nei punti in cui gli operatori di divergenza (∇⋅ ) e rotore(∇ x) non sono definibili - vale a dire nei punti di discontinuità - quelle in forma inte-grale valgono in ogni regione dello spazio. D’altra parte le equazioni in forma localehanno maggiore maneggevolezza, e consentono in maniera didatticamente più sempli-ce lo sviluppo della teoria. Useremo l’una o l’altra delle due formulazioni, o entrambe,secondo la convenienza in relazione allo specifico argomento trattato.In particolare, come è noto, in presenza di un unico mezzo omogeneo - il “vuoto” peresempio - la differenza tra le due forme diventa inessenziale.Alle equazioni di Maxwell bisogna naturalmente aggiungere una equazione che defini-sca i vettori E e B, rispettivamente campo elettrico ed induzione magnetica; in altreparole, bisogna mettere in relazione la fenomenologia descritta dalle equazioni diMaxwell con il mondo della dinamica newtoniana. Per definire i vettori E e B si posso-no naturalmente fare diverse scelte, ma a nostro avviso la più naturale è quella di intro-durli attraverso l’espressione della forza di Lorentz:

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1F. Barozzi - F. Gasparini, Fondamenti di Elettrotecnica - elettromagnetismo, ed. UTET, 1989.

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Proviamo a riassumere in maniera estremamente sintetica la fenomelogia che questeequazioni descrivono.I corpi materiali possono presentare proprietà particolari che danno luogo ai cosiddet-ti fenomeni elettromagnetici. Elemento chiave di tali fenomeni è la carica elettrica, unaproprietà che è sufficientemente individuata da uno scalare q. Come sappiamo questaproprietà è quantizzabile, nel senso che esiste una carica minima pari ad e, carica del-l’elettrone. Le cariche elettriche interagiscono tra di loro e tale interazione può esseredescritta da forze che le cariche esercitano le une sulle altre. In particolare tali forze pos-sono essere attrattive e repulsive, il che porta a dare a q un segno, negativo o positivo,per distinguerne le possibili due alternative: cariche elettriche dello stesso tipo (segno)si respingono mentre cariche elettriche di tipo (segno) diverso si attraggono. In parti-colare l’elettrone è portatore di una carica negativa; la sua carica, dunque, è pari a -e.La dinamica di queste interazioni può essere molto vantaggiosamente descritta da uncampo, detto appunto campo elettromagnetico. Ciò significa che qualora siano definitein tutto lo spazio posizione e velocità di tutte le cariche elettriche, è possibile definiredue campi vettoriali E e B che descrivono completamente tale interazione. L’equazionedi Lorentz fornisce l’entità dell’azione di tali campi sulle cariche elettriche stesse: unacarica q che si trovi a passare all’istante t in un punto in cui E e B assumono, nello stes-so istante t, determinati valori, è soggetta ad una forza data dalla A1.3. Nota la forza, ilresto diventa un problema di dinamica risolvibile, in linea di principio, utilizzandone leben note leggi.Una prima osservazione, che può a prima vista apparire banale, ma che in seguito con-verrà tenere ben presente per comprendere a pieno i fenomeni che stiamo studiando, èla seguente: se sono noti i valori dei campi E e B non occorre conoscere le posizioni ele velocità delle cariche che li hanno prodotti. Se, come appare naturale, consideriamole cariche elettriche come sorgenti del campo, si può dire che, noto il campo, non occor-re conoscere le sue sorgenti per valutarne gli effetti.

La legge di Gauss o “della divergenza”.

Cominciamo ora un esame più dettagliato delle equazioni introdotte partendo dallaprima delle A1.1 e A1.2 che contribuisce, con le altre, a definire il campo elettroma-gnetico:

F = q E + v × B (A1.3)

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o, alternativamente:

Il campo elettrico deve, dunque, in ogni punto soddisfare l’equazione integrale A1.4 odifferenziale A1.5.Come abbiamo detto, la carica elettrica è quantizzabile; ci si aspetterebbe pertanto chela sua distribuzione venga descritta dalla posizione di ogni singola carica nello spazio.D’altra parte, se si assume un punto di vista macroscopico - dato che il valore della cari-ca elementare e, ( e = 1.59 10-19 C ), e la dimensione spaziale che il suo supporto mate-riale occupa, l’elettrone, sono tanto piccole rispetto alle cariche totali ed alle dimensio-ni geometriche caratteristiche dei problemi che nella generalità dei casi ci troveremo adesaminare - si può ragionevolmente sostituire il concetto di carica elettrica q con quel-lo di densità di carica ρ. La densità di carica è così definita: se dV è un elemento di volu-me infinitesimo, la carica dq che esso contiene, anch’essa infinitesima, è pari a ρ dV,dove ρ è una funzione scalare diversa da zero nelle regioni dello spazio in cui esistonodistribuzioni di cariche. Orbene l’equazione A1.5 ci dice che in ogni punto dello spaziola divergenza del campo elettrico E, a meno della costante ε0, è pari al valore che la den-sità di carica ρ assume nello stesso punto. La costante ε0 dipende dal mezzo materialepresente nello spazio oltre che dal sistema di unità di misura adoperato. Nel caso delvuoto e per il sistema SI, come si è già detto, ε0=8.856 10-12 Farad/metro.Non vogliamo qui naturalmente dilungarci sulla definizione dell’operatore divergenzadi un vettore che diamo per già nota; ricordiamo solo che esso è il limite del rapportotra il flusso uscente del vettore attraverso una qualsiasi superficie chiusa S che conten-ga il punto in cui si vuole calcolare la divergenza, ed il volume racchiuso da tale super-ficie; il limite va inteso al tendere del volume a zero. In particolare in coordinate carte-siane, la divergenza ha l'espressione:

In altri sistemùi di coordinate l’espressione della divergenza è diversa, mentre la suadefinizione intrinseca data in precedenza - come limite del rapporto tra flusso del vet-tore attraverso una superficie chiusa che contiene il punto e volume racchiuso dallasuperficie stessa - resta sempre valida.

∇⋅ E =∂Ex

∂x +∂Ey

∂y +∂Ez

∂z .

∇ ⋅E =ρε0

. (A1.5)

E⋅ dSS

= ρε0V

dV =Qv

ε0 . (A1.4)

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Per quanto riguarda il flusso di un generico campo vettoriale attraverso una qualsiasisuperficie S, ricordiamo che esso si ottiene con le seguenti operazioni. Si sceglie unverso per la normale positiva n in ogni punto della superficie, quindi per ogni elemen-to di superficie dS si costruisce il vettore orientato n dS e lo si moltiplica scalarmenteper il valore assunto dal vettore E sull’elemento di superficie stesso. La somma di tuttiquesti infiniti prodotti infinitesimi è un integrale e rappresenta appunto il flusso cerca-to. È evidente che se si sceglie quale verso della normale quello opposto, il valore delflusso cambia segno. In particolare per una superficie chiusa si parlerà di flusso uscen-te o di flusso entrante nella superficie a seconda del verso scelto per la normale. NellaA1.4, per esempio, si suppone di aver assunto per n il verso uscente e quindi si parleràdi flusso uscente del vettore E.Una osservazione, ancora una volta solo apparentemente banale, può essere utile: ilcampo elettrico in un punto è il risultato dell’effetto di tutte le sorgenti esistenti e quin-di di tutte le cariche nello spazio; ma la divergenza del campo elettrico in un punto èpari al valore della densità di carica in quello stesso punto! Il campo elettrico e le sor-genti si “adattano” in maniera tale che questa condizione sia sempre verificata. Un com-mento analogo potrebbe essere fatto per ognuna delle altre equazioni. In effetti è pro-prio per questa ragione che è possibile trattare i fenomeni elettromagnetici con il for-malismo dei campi. La A1.4 esprime le stesse proprietà della A1.5, ma in forma integrale. Qui Qv è la cari-ca totale contenuta nel volume V racchiuso dalla superficie S, che può essere espressaanche come integrale di volume della densità di carica. A primo membro c’è l’integraledi superficie del campo E, che abbiamo già incontrato nella definizione della divergen-za. Tale integrale, come si è detto viene anche chiamato flusso - termine preso in presti-to dalla fluidodinamica, dato che se il campo è un campo di velocità v, l’integrale disuperficie rappresenta, a meno della densità di massa, la portata, cioè il flusso di fluidoche nell’unità di tempo attraversa la superficie. Nel caso dei fluidi è evidente che il flus-so attraverso una superficie chiusa può essere diverso da zero soltanto se all’internodella superficie chiusa sono contenute delle “sorgenti” o dei “pozzi” da cui il fluidosalta fuori o in cui scompare, (stiamo pensando, naturalmente, a fluidi incompressibili).Per il campo elettrico dunque, in base alla (A1.5), esistono “punti sorgente” e “puntipozzo” e sono appunto quei punti in cui sono distribuite le cariche. La legge che abbiamo ora esaminato va sotto il nome di legge di Gauss, e ciò non per-ché Gauss - matematico e geometra del XIX secolo - abbia avuto molto a che fare conil contenuto fisico di tale legge, ma essenzialmente perché a Gauss viene attribuito unteorema, che è poi quello che ci consente di passare agevolmente dalla espressione loca-

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le A1.5 a quella integrale A1.4. Il teorema dice che il flusso di un vettore attraverso unasuperficie chiusa è pari all’integrale di volume della sua divergenza esteso al volume rac-chiuso dalla superficie. In formula:

Dalla forma integrale della legge di Gauss - la prima delle (A.1) - alla sua forma dif-frenziale - la prima delle (A1.2) - si passa agevolmente utilizzando il teorema di Gauss- la (A1.6). Si ha infatti:

È opportuno sottolineare che il teorema (matematica, quindi!) di Gauss non va confu-so con la legge omonima A1.5 o A1.4 che ha invece un contenuto fisico ben preciso.Infine vale la pena di ricordare che la legge di Gauss è del tutto (o quasi) equivalentead un’altra legge che prende il nome di legge di Coulomb e che è usualmente il puntodi partenza della descrizione dei fenomeni elettromagnetici. La legge di Coulomb affer-ma che la forza di interazione tra due cariche puntiformi (cioè idealmente assunte occu-pare un volume nullo nello spazio geometrico), ferme nel vuoto, è data dalla formula:

Dove q1 e q2 sono i valori delle due cariche puntiformi poste a distanza r12, 1/4π ε0 unacostante di proporzionalità che dipende dal sistema di unità di misura, ed r il vettoreche congiunge i punti dello spazio in cui si trovano le due cariche: se r va dalla posizio-ne occupata dalla carica q1 alla carica q2 allora F è la forza che agisce sulla carica q2dovuta alla carica q1, e viceversa. La legge di Coulomb ci consente di sottolineare un aspetto caratteristico dell’interazio-ne elettrica: la forza F tra due cariche puntiformi, e ferme nello spazio, non è mai nulla,qualsiasi sia la distanza tra le cariche, purché finita. Si dice, pertanto, che l’interazionecoulombiana è a lunga distanza. Questa osservazione ci sarà utile per capire in seguitoil problema delle condizioni al contorno.

F = 14πε0

q1 q2

r122

r .

E⋅dSSV

= ∇ ⋅E dVV

=ρε0

dVV

=Qv

ε0 .

E⋅dSSV

= ∇ ⋅E dV.

V

(A1.6)

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La legge di Faraday-Neumann.

Continuando il nostro rapido esame delle equazioni di Maxwell troviamo l’equazioneintegrale:

o quella differenziale:

A secondo membro della A1.7 compare il flusso della derivata parziale rispetto al tempodel vettore B, attraverso la superficie Sγ. A primo membro invece troviamo la circuita-zione del vettore E lungo la generica linea chiusa γ. Questa legge prende il nome di leggedi Faraday - Neumann e stabilisce un legame tra il campo elettrico ed il campo magne-tico. Si noti che non vi compaiono esplicitamente delle sorgenti.È utile qualche commento sulla superficie dell’integrale a secondo membro: Sγ è unaqualsiasi superficie che abbia per contorno la linea chiusa γ. Che tale relazione sia vali-da per una qualsiasi superficie di tale tipo è un fatto caratteristico che dipende da unaproprietà del campo B, descritta dalla successiva equazione:

oppure:

La A1.9, infatti, afferma che il flusso di B uscente (o entrante) da una superficie chiusaè nullo per qualsiasi superficie purché, appunto, chiusa. Ricordando la definizione del-l’operatore divergenza, si vede immediatamente che da tale affermazione discende -complice il citato teorema di Gauss - che anche la divergenza di B deve essere identi-camente nulla, come appunto stabilito dall’equazione locale equivalente A1.10. Uncampo che gode di tale proprietà si dice campo solenoidale o conservativo per il flusso,ed in seguito diremo qualcosa di più sulle sue proprietà.1

∇ ⋅B = 0 . (A1.10)

B ⋅ dSS

= 0, (A1.9)

∇×E = -∂B∂t

. (A1.8)

E⋅ dlγ

= - ∂B∂t

⋅ dS , (A1.7)

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1In effetti bisogna distinguere tra le due espressioni. Un campo vettoriale C, definito in una regione di spa-zio V si dice solenoidale, se in ogni punto di V risulta ∇⋅ C = 0; se V è a connessione semplice allora siavrà anche che per qualsiasi superficie chiusa S, appartenente a V, il flusso uscente, o entrante, dalla super-fice risulterà nullo, e perciò il campo potrà dirsi anche conservativo per il flusso. Ricordiamo che un domi-nio si dice a connessione superficiale semplice se una qualsiasi superficie chiusa contenuta in esso puòessere ridotta con continuità ad un punto senza uscire dal dominio stesso.

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Per ora osserviamo quanto segue:consideriamo una linea chiusa γ etracciamo due superfici qualsiasi S1γ

ed S2γ che abbiano γ come contorno(vedi fig.A1.1). La superficie S, unio-ne di S1γ ed S2γ è evidentemente unasuperficie chiusa e quindi per essapotremo scrivere:

Scomponiamo ora il flusso uscente diB attraverso S in due parti, quellaattraverso S1γ ed S2γ rispettivamente:

Se per la sola S2γ cambiamo l’orientazione della normale avremo:

Dove evidentemente è dS'2γ = - dS2γ, ad indicare appunto la diversa scelta della orien-tazione della normale. In conclusione dalla A1.11, A1.12 ed A1.13 si ottiene:

Cioè, per il campo B i flussi nello stesso verso attraverso le due superfici che hanno lostesso contorno γ sono eguali. Allora, dalla arbitrarietà delle superfici S1γ ed S2γ derivache, data una linea chiusa γ, è univocamente definito il flusso attraverso una qualsiasisuperficie che abbia γ come contorno. Ecco dunque spiegata l’arbitrarietà della sceltadella superficie Sγ nella A1.7. Si ricordi che ciò è vero solo per un campo conservativoper il flusso o solenoidale in tutto lo spazio! Torniamo ora all’esame della A1.7. A primo membro troviamo l’integrale di linea delcampo E lungo la linea chiusa γ. Ricordiamo che, analogamente a quanto fatto per ilflusso, l’integrale di linea si ottiene con le seguenti operazioni. Data una linea γ, non

B ⋅ dS 1γ

S1γ

= B ⋅ dS '2γ

S2γ

. (A1.14)

B ⋅ dS 2γ

S2γ

= - B ⋅ dS '2γ

S2γ

. (A1.13)

B ⋅ dSS

= B ⋅ dS 1γ

S1γ

+ B ⋅ dS 2γ

S2γ

= 0 . (A1.12)

B ⋅ dSS

= 0. (A1.11)

2

γγγγγ

γγγγγ

S

S 1

γγγγγ

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Fig.A1.1

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necessariamente chiusa, si sceglie un verso positivo sulla stessa. In altri termini si orien-ta la linea definendone in ogni punto il versore tangente t. Per ogni elemento di linea dlsi costruisce il vettore dl = t dl e lo si moltiplica scalarmente per il vettore E sull’ele-mento di linea. La somma degli “infiniti prodotti infinitesimi” così ottenuti è l’integra-le di linea cercato. Per le linee chiuse si parla di circuitazione del vettore E lungo la lineaγ. Anche in questo caso una diversa orientazione della linea porta ad un risultato oppo-sto:

con dl = - dl'. A questo punto è chiaro che la legge di Faraday, espressa dalla A1.7, pre-suppone una relazione tra la scelta della normale positiva per il calcolo del flusso e lascelta del verso positivo sulla linea γ, altrimenti il segno “meno” al secondo membronon avrebbe un preciso significato. Infatti la A1.7 presuppone che la normale positivascelta su Sγ “veda” l’orientazione positiva su γ in verso antiorario (convenzione dellaterna levogira). Si tratta di una scelta del tutto arbitraria che però, una volta fatta, con-viene conservare per non creare confusione. La A1.7, dunque, afferma che la circuita-zione del campo E lungo la linea chiusa γ è uguale alla derivata temporale del flusso diB attraverso una superficie chiusa che si appoggi a γ, cambiata di segno; questo natu-ralmente con le convenzioni specificate in precedenza. Che la A1.8 esprima la stessa proprietà è forse meno evidente! A primo membro com-pare l’operatore rotore. Esso ha la seguente definizione intrinseca: dato un punto nellospazio, si consideri una delle infinite possibili rette passanti per tale punto e la si orien-ti (versore n). Si consideri il piano ortogonale a tale retta orientata e su esso si scelga unaqualsiasi linea chiusa che contenga il punto in esame. Si calcoli la circuitazione del vet-tore di cui si vuole il rotore e si faccia il limite del rapporto

dove Sγ è l’area (piana) racchiusa dalla linea γ. Il limite va inteso al tendere di Sγ a zero.Lo scalare così ottenuto è per definizione la componente del rotore, nel punto prescel-to, lungo la direzione n. Che tale scalare possa essere considerato la componente di unvettore sarebbe in realtà da dimostrare, ma noi lo daremo per acquisito! In particolarele componenti di un rotore in coordinate cartesiane sono date da:

limSγ→ 0

A⋅dlγ

Sγ ,

E⋅ dlγ

= - E⋅ dl '

γ

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Naturalmente in altri sistemi di coordinate tali componenti hanno espressioni diverse,mentre la definizione intrinseca data in precedenza resta comunque valida.Il passaggio dalla A1.7 alla A1.8 è immediato se si applica il dettato di un altro teorema(ancora matematica, dunque!) sui campi vettoriali: il teorema di Stokes. Esso affermache il flusso del rotore attraverso una superficie Sγ è pari alla circuitazione del vettorelungo la linea contorno di Sγ; le convenzioni sui versi sono sempre quelle della ternalevogira. In formule:

E quindi dalla A1.7:

La A1.8 ne discende in base alla arbitrarietà di Sγ.Per finire due semplici definizioni. Nel caso del campo elettrico E la circuitazione pren-de il nome di forza elettromotrice indotta (f.e.m.). Inoltre, data l’arbitrarietà di Sγ dovu-ta alla solenoidalità di B, il flusso del vettore induzione attraverso Sγ può essere asso-ciato alla linea γ anziché alla superficie Sγ: si parla di flusso concatenato con la linea γ.Con questa nuova terminologia la legge di Faraday-Neumann può essere riformulata:La f.e.m. indotta lungo una linea chiusa è pari all’opposto della derivata del flusso delvettore induzione concatenato con la linea stessa (le convenzioni dei segni sono implici-tamente date per assunte, come è stato prima dettagliatamente specificato).Ritornando alla A1.9 ed alla A1.10, ovvero alla legge della solenoidalità del flusso di Bsulla quale abbiamo già detto qualcosa, aggiungiamo che anche in questo caso non com-paiono sorgenti, anche se questa equazione non mette in relazione i due campi E e B,

E⋅dlγ

= ∇ × E ⋅dS γ

= -∂B∂t

⋅dS γ

.

A⋅dlγ

= ∇ × A ⋅dS γ

(A1.15)

∇×A x =∂Az

∂y -∂Ay

∂z ;

∇×A y =∂Ax

∂z -∂AZ

∂x ;

∇×A z =∂Ay

∂x -∂Ax

∂y .

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ma costituisce l’espressione di una pura proprietà del campo B. Ricordando i “pozzi” ele “sorgenti” citati in precedenza, deduciamo che per il campo B non esistono punti“sorgente” e punti “pozzo”. Se facciamo riferimento alla usuale rappresentazione deicampi attraverso le linee di campo - cioè le linee che in ogni punto sono tangenti alcampo stesso - concludiamo che per B non possono esistere punti, al finito natural-mente, da cui le linee di campo partono o finiscono; le linee possono, tuttavia, conver-gere tutte all’infinito senza problema. Si badi che ciò non vuol dire, come a volte si trovaerroneamente scritto, che le linee di B, sviluppantesi al finito, siano necessariamentechiuse. È questo un caso frequente, ma sono possibili anche situazioni in cui linee di Bche si sviluppano tutte al finito, non si chiudono mai! Resta comunque vero che nonesistono per B né punti “sorgente”, né punti “pozzo”.

La legge di Ampère generalizzata

Possiamo passare ora alla quarta ed ultima equazione di Maxwell:

oppure

Questa volta a secondo membro com-pare un nuovo tipo di sorgente: la den-sità di corrente J. Essa è quel tipo disorgente che porta in conto, come ave-vamo anticipato, il moto delle cariche.Ricordiamo la definizione di J.Supponiamo di avere un gran numerodi cariche q tutte eguali e con la stessavelocità v. Le cariche siano tantonumerose e, come al solito, i loro por-tatori occupino un volume tanto picco-

lo nello spazio - è la solita idealizzazione della carica puntiforme - da poter descriverecon buona approssimazione la loro distribuzione attraverso una funzione densità di par-ticelle n(r) così definita: se dV è un volumetto nello spazio geometrico e n(r) il valoreassunto dalla densità nel volumetto in esame, il numero dN infinitesimo di particelle nel

n

vS

vdt

∇×B = µ0 J + ε0∂E∂t

. (A1.17)

B ⋅ dlγ

= µ0 J +ε0∂E∂t

⋅ dS , (A1.16)

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Fig.A1.2

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volumetto è dato da dN=n(r) dV. Si consideri ora una superficie piana S nello spaziointeressata da questo moto di cariche e, per cominciare, supponiamo n(r) uniforme intutto lo spazio. Se vogliamo calcolare la quantità di carica che nell’intervallo di tempodt attraversa la superficie S, possiamo ragionare alla maniera seguente (vedi Fig.A1.2).Costruiamo in primo luogo un cilindro con base sulla superficie considerata e superfi-cie laterale la cui direttrice sia parallela a v e di lunghezza pari a vdt. Per costruzionetutte le particelle che si trovano nel cilindro considerato, nel tempo dt, percorrendo lospazio vdt, si troveranno a passare attraverso la superficie S, mentre tutte le particelle aldi fuori del volume considerato o “mancheranno” la superficie S, oppure percorreran-no uno spazio insufficiente ad incontrarla. Se ne deduce che il numero di particelle cheattraverseranno la superficie S nel tempo dt è pari al numero di particelle contenute nelcilindro, cioè n S v dt cosβ, dove β è l’angolo fra la direzione di v e quella della norma-le a S.Dato che ogni particella porta la carica q, la carica totale che attraversa la superficie Snel tempo dt sarà:

dQ = q n S vdt cosβ, (A1.18)

e nell’unità di tempo:

I = q n S v cosβ. (A1.19)

La carica che nell’unità di tempo attraversa una assegnata superficie prende il nome diintensità della corrente elettrica, spesso semplicemente corrente elettrica, ed è misuratain ampere (A) nel sistema SI.Si noti che il segno di I dipende dal verso scelto per la normale su S, verso che a suavolta è del tutto arbitrario. La corrente I avrà dunque segno positivo o negativo a secon-da del verso scelto per la normale.Se a questo punto definiamo un vettore J=qnv la A1.17 e la A1.18 possono essere

rispettivamente scritte:

dQ = (J⋅ n) S dt, ed I = (J⋅ n) S;

dove n rappresenta il versore normale alla superficie S.Il vettore J prende il nome di vettore densità di corrente. È facile generalizzare questadefinizione al caso in cui le velocità delle particelle non siano più uguali, la densità non

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più uniforme, e la superficie S non più piana. Basterà scomporre la superficie in tantesuperfici dS - quindi per definizione trattabili come piane - e considerare per ogni inter-vallo di velocità compreso tra v e v+dv una opportuna densità f(r,v,t) così definita:preso un punto P nello spazio geometrico di coordinata r ed una velocità v (nello spa-zio delle velocità!), il numero di particelle contenuto nel volumetto dr centrato intornoa P ed aventi velocità comprese tra v e v+dv è dato da:

dN = f(r,v,t) dr dv.

Avremo allora, che:

Se sono presenti più portatori di cariche qi, avremo che:

Gli integrali si intendono estesi a tutto l’intervallo di velocità possibili, per esempio da- ∞ a + ∞, per le tre componenti.Le formule A1.20 e A1.21 non sono forse immediate. Si potrebbe illustrarle più in det-taglio, ma noi preferiamo lasciare al lettore la loro deduzione suggerendogli solo, perarrivare agli integrali, di passare attraverso delle sommatorie.Con il formalismo che abbiamo introdotto, la corrente che attraversa una superficie ele-mentare dS con normale n è pari a:

dI = (J⋅ n) dS,

e quindi per una superficie finita:

Come si vede, il concetto primario è quello di densità di corrente, mentre quello diintensità di corrente è associato, oltre che ad un vettore densità di corrente, anche aduna superficie S. Trattando i circuiti elettrici, si parla abitualmente di intensità di cor-rente I senza precisare attraverso quale superficie passa il flusso di cariche; ciò è dovu-to al fatto che tale superficie è univocamente definita dal percorso obbligato che le cari-

I = J ⋅ n dSS

J r,t = qi fi r,v ,t v dvV

Σi

. (A1.21)

J r,t = q f r,v ,t v dvV

. (A1.20)

Luciano De Menna Corso di Elettrotecnica 311

Page 14: Luciano De Menna Corso di Elettrotecnica · Questo formidabile sistema di equazioni fu enunciato, in una forma poco dissimile da quella da noi qui riportata, dallo scienziato inglese

che hanno nel circuito e quindi è data per sottintesa. Sottolineiamo ancora che I non èaltro che il flusso di J attraverso una determinata superficie. Abbiamo definito, dunque, il secondo tipo di sorgente del campo elettromagnetico. Mal’equazione A1.16, che per estensione chiameremo legge di Ampère generalizzata, intro-duce anche una relazione tra i campi E e B analoga a quella introdotta dalla A1.7. Asvolgere un ruolo formalmente analogo a quello delle sorgenti J, compare il termineε0∂E/∂t, che, per analogia, chiameremo densità di corrente di spostamento. La costanteµ0 dipende ovviamente dal mezzo - vuoto nel nostro caso - e dalle unità di misura. Nelsistema SI, come si è già detto, essa assume il valore:

µ0 = 4 π 10-7 henry/m.

Ricordando una proprietà notevole dell’operatore rotore, e cioè che la divergenza di unrotore è identicamente nulla, possiamo dedurre, applicando l’operatore divergenza adentrambi i membri dell’equazione A1.17, che:

Cioè il vettore G =J + ε0∂E/∂t , densità di corrente totale, è solenoidale; esso, dunquenon ha né punti “sorgente” né punti “pozzo”. Un osservatore superficiale potrebbepensare che tale proprietà meglio si addica a J piuttosto che a G; infatti il flusso entran-te di J attraverso una superficie chiusa S è per definizione la quantità di carica che entranel volume racchiuso da S. Si potrebbe quindi pensare che, se vogliamo evitare accu-muli di cariche in un volume, tale flusso debba necessariamente essere nullo. Il ragio-namento è corretto solo se il regime in esame è stazionario, se cioè J non varia neltempo. Un flusso di J entrante in una superficie chiusa, costante e non nullo, produr-rebbe certamente un accumulo di cariche grande quanto si vuole nel volume in esame;basterebbe attendere un tempo sufficientemente lungo. Ed infatti se J non varia neltempo vuol dire che ci troviamo in un regime stazionario e quindi anche ∂E/∂t deveessere nullo. Ma in tal caso la proprietà di solenoidalità di G si riflette su J essendo inquesto caso G = J. Se invece il regime è variabile nel tempo si può ammettere che nellasuperficie chiusa in esame vi sia, per un certo intervallo di tempo, un flusso netto di cari-che verso il suo interno - cosicché la carica totale in essa contenuta aumenti in dettointervallo - a condizione che, in un intervallo successivo, il flusso si inverta in modo taleda mantenere sempre finita la carica totale contenuta in un volume finito. E del resto seil regime è variabile anche ρ, la densità di carica, è variabile, e quindi non stupisce che

∇⋅ J + ε0∂E∂t

= 0 . (A1.22)

312 Luciano De Menna Corso di Elettrotecnica

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la carica contenuta nel volume in esame possa variare nel tempo, dato che tale carica èappunto l’integrale di volume della densità di carica. Infatti se scriviamo la A1.22 allaseguente maniera:

Utilizziamo la A1.6, dopo aver scambiato di posto nella A1.23 l’operatore nabla conquello di derivata rispetto al tempo - il che è sempre possibile essendo, nelle nostre ipo-tesi, le coordinate spaziali e temporali indipendenti - otteniamo:

oppure, integrando su di un volume V ed applicando il teorema di Gauss:

Come deve essere, se il volume di integrazione non varia nel tempo.Il campo del vettore J, quindi, non è, in generale, un campo solenoidale, ed i suoi punti“sorgente” o “pozzo” sono quelli in cui la densità di carica varia nel tempo. In regimestazionario, invece, ∂ρ/∂t = 0 e J torna ad essere un “tranquillo” vettore solenoidalesenza “pozzi” né “sorgenti”.Le A1.24 ed A1.25 esprimono la conservazione della carica elettrica. In altre parole, seper un tempo dt vi è un flusso netto positivo di cariche uscente dalla superficie S, lacarica in essa contenuta diminuisce di una quantità corrispondente dQv: le cariche elet-triche non si creano e non si distruggono.Dal modo in cui è stata dedotta, è chiaro che la A1.24 è implicita nelle equazioni diMaxwell. A volte sarà utile fare uso esplicito della A1.24, quando l'attenzione è focaliz-zata sul campo di densità corrente, piuttosto che sul campo di induzione B.In maniera del tutto analoga al caso precedente, utilizzando il teorema di Stokes, sipassa dalla A1.16 alla A1.17; lasciamo al lettore i semplici passaggi.Osserviamo ancora che anche nel caso della A1.16 come per la A1.7, la superficie Sγ èuna qualsiasi superficie che abbia γ come contorno. Ciò è consentito dal fatto che anchequesta volta il vettore G, di cui si calcola il flusso, è solenoidale in tutto lo spazio e quin-

J ⋅ dSSV

= - ddt

ρ dVV

= -dQV

dt . (A1.25)

∇⋅ J = - ∂ρ∂t

, (A1.24)

∇⋅ J = - ε0 ∇⋅ ∂E∂t

. (A1.23)

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di il suo flusso è indipendente dalla superficie scelta, purché si appoggi sul contorno γ.Infine notiamo che se il campo è stazionario, cioè le derivate temporali sono nulle, laA1.16 si può scrivere

dove I è l'intensità della corrente, cioè il flusso nell’unità di tempo delle cariche, conca-tenata con la linea chiusa γ. Si noti che si è usata una terminologia analoga a quella intro-dotta per il flusso di B. La A1.26 è la legge di Ampère propriamente detta.

La legge di Ohm in forma locale

Abbiamo dunque individuato le sorgenti del campo nelle densità di cariche elettriche enelle densità di correnti elettriche, e fin qui abbiamo ragionato come se esse fosserototalmente indipendenti dal campo che esse generano, cioè imposte dall’esterno da unaqualche forza che prescinde dai valori di E e B. Ma dato che, come sappiamo dalla leggedi Lorentz, i campi E e B possono agire sulle cariche elettriche modificandone posizio-ne e velocità, conviene distinguere almeno due tipi di sorgente:

ρ = ρest + ρint

J = Jest + Jint

Mentre le prime sono imposte da cause “esterne” al campo, le seconde dipendono dalcampo. Così in generale ρint=ρint(E,B) e Jint = Jint(E,B).Questa distinzione è il punto di partenza della trattazione del campo elettromagneticonei corpi materiali. In questo caso, infatti, il campo può essere visto come quello dovu-to a sorgenti - le cariche esistenti nel corpo materiale e le correnti ad esse connesse -immerse nel vuoto, le quali sono, in realtà, dipendenti dai valori del campo e la lorodistribuzione deve essere uno dei risultati della soluzione del problema. Si può far vede-re che, sotto alcune ipotesi abbastanza restrittive, ma fortunatamente molto frequente-mente ben verificate, il tutto può ricondursi ad equazioni molto simili a quelle delvuoto. Vogliamo qui soltanto soffermarci su di un caso particolare nel quale le ρint sonoidenticamente nulle, mentre la legge di dipendenza delle Jint si riduce alla semplice rela-zione di proporzionalità:

B ⋅ dlγ

= µ0I (A1.26)

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Jint = σ E (A1.27)

I materiali per cui la A1.27 risulta verificata prendono il nome di conduttori e σ vienedetta conducibilità elettrica del conduttore. Il suo inverso ρ=1/σ prende il nome diresistività elettrica del materiale1. La resistività si misura in ohm • m, o anche in ohm •

mm2/m, mentre la conducibilità in siemens/m. Per inciso un buon conduttore come ilrame, che tanta importanza ha nelle applicazioni elettriche, ha una resistività che si aggi-ra intorno a 0.017 ohm • mm2/m. In effetti la A1.27 è sempre da ritenersi valida solo in via approssimata. Si pensi alla dif-ficoltà di valutare il campo elettrico E effettivo in ogni punto di un corpo materiale checontiene un enorme numero di cariche elettriche. Del resto solo nel vuoto le equazionidi Maxwell conservano quel loro aspetto di rigoroso sistema che non ammette devian-ze. Non appena si cerca di addomesticarle per adattarle ai mezzi materiali, si va incon-tro a numerose difficoltà, e si è costretti a ragionare su opportune grandezze medie. Inogni caso, fortunatamente, la relazione A1.27 risulta ben verificata in numerosi mate-riali. Cerchiamo di approfondire il suo significato.Come si è visto, per definizione, J è proporzionale alla velocità delle cariche (natural-mente “pesata” attraverso la loro densità ed entità). D’altra parte il campo elettrico -vedi la legge di Lorentz - è proporzionale alla forza. Ne consegue che la A1.27 presup-pone una proporzionalità tra la forza e la velocità, in apparente contrasto con le leggidella meccanica che richiedono, invece, proporzionalità tra forza ed accelerazione. Lacontraddizione è solo apparente in quanto la legge F = ma presuppone che la particel-la di massa m sia libera di muoversi, non soggetta ad altri vincoli. Se ammettiamo inve-ce che la particella sia soggetta, oltre che alla forza F, ad una qualche forma di attrito,di “resistenza” del mezzo in cui si muove, e che tale forza di attrito possa ritenersi pro-porzionale alla velocità v, la legge della dinamica di Newton, andrà più opportunamen-te scritta:

F - kv = ma.

Se a questo punto si raggiunge un regime stazionario in cui l’accelerazione si annulla, siavrà

F = kv,

e quindi la proporzionalità della forza alla velocità. È quanto appunto accade, in media,

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nei conduttori che soddisfano la relazione A1.27, che prende il nome di legge di Ohmalle grandezze specifiche, o legge di Ohm in forma locale, per distinguerla da quella informa integrale che esamineremo tra breve. I materiali conduttori sono generalmentedei metalli la cui struttura interna possiamo immaginare costituita da un reticolo bloc-cato, formato da ioni che si mantengono gli uni con gli altri e che mantengono ancorabloccati buona parte degli elettroni orbitanti loro intorno, ed una nube di elettroni,quelli più tenuemente legati agli ioni stessi, relativamente libera di muoversi all’internodel materiale. Nel loro moto all’interno del materiale gli elettroni liberi interagiscono tradi loro e con gli ioni bloccati. Essi, come si dice, collidono con il reticolo (logica esten-sione del concetto di collisione tra corpi rigidi della meccanica). Se l’effetto complessi-vo di questa interazione è appunto tale da produrre una forza di attrito del tipo kv, siriesce a giustificare la legge di Ohm in forma locale. Il ragionamento solo descrittivo equalitativo qui svolto può essere sviluppato in maniera molto più rigorosa fino ad unriscontro numerico addirittura sorprendente. È il cosiddetto modello di Drude dellaconduzione elettrica. Quel che ci preme sottolineare è che la validità della legge di Ohmè legata al fatto che la “resistenza” offerta al moto delle cariche dal materiale è assimi-labile ad una forza di attrito del tipo kv. Non può sorprendere, dunque, che tale leggeabbia, in realtà, un limitato campo di validità - per esempio, per effetto della tempera-tura del corpo, k non può più ritenersi costante - ed è verificata solo da una determi-nata categoria di materiali. Pure questi materiali sono alla base, come è noto, di tutte leapplicazioni tecniche di rilievo dell’elettromagnetismo. È vero anche, però, che i mate-riali che non rispettano la legge di Ohm hanno una analoga importanza tecnologicanella moderna elettronica.

Le condizioni al contorno

Riscriviamo ora le equazioni di Maxwell in forma locale tenendo conto delle conside-razioni fatte:

Entro i limiti di validità delle ipotesi fatte, le equazioni così scritte possono avere la

∇ ⋅E =ρest

ε0,

∇×E = -∂B∂t

,

∇ ⋅B = 0,

∇×B = µ0 σE + Jest + ε0∂E∂t

.

(A1.28)

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seguente lettura: i campi E ed B sono prodotti da opportune sorgenti esterne che sonole densità di carica e le densità di corrente. Vi sono però anche termini di interazionetra i campi E e B e tali termini sono - ∂B/∂t che compare nell’equazione di Faraday-Neumann, e σ E ed ε0 ∂E/∂t che compaiono nella legge di Ampère generalizzata. Unmodo legittimo, ma certamente arbitrario, di vedere tali termini di interazione, è quel-lo di assimilarli a sorgenti dei campi. Naturalmente, essendo questi termini dipendentidai valori dei campi, tale modo di vedere le cose è solo formale. Lo useremo, infatti, soloper scopi classificatori. Ma non basta, occorre in genere tenere in conto un altro tipo di“sorgente” di campo. Se ricordiamo infatti l’osservazione sottolineata in precedenza,sulla natura “a lunga distanza” del campo coulombiano, ci convinciamo facilmente che,a rigore, si dovrebbero affrontare solo problemi che coinvolgono tutto lo spazio, finoall’infinito. Si pensi infatti di volere risolvere un problema di campo elettromagneticonella porzione di spazio racchiusa da una superficie S. Anche se le sorgenti del camponella regione sono note, non possiamo limitare la nostra attenzione ad esse. Altre sor-genti, all’esterno della regione in esame, avranno anch'esse il loro effetto all’interno diessa. A rigore dunque, bisognerebbe sempre conoscere la distribuzione delle sorgenti intutto lo spazio e non soltanto in una regione limitata. Ma una proprietà sottolineata inprecedenza ci fa intuire che è possibile una alternativa. Infatti è ragionevole pensare chel’interazione tra lo spazio interno e lo spazio esterno alla regione in esame avvenga attra-verso i valori che i campi assumono sulla superficie di separazione. Ma dato che, se sononoti i valori dei campi, non occorre conoscere la distribuzione delle sorgenti, è imme-diato pensare che l’azione dello spazio esterno su quello interno possa essere ricondot-to a delle opportune condizioni al contorno, che tali campi debbono soddisfare sullaregione di separazione. In pratica un problema in un volume limitato potrà essere risol-to a condizione di considerare, oltre alle sorgenti esistenti nel volume stesso, quelle rap-presentate dalle condizioni al contorno, riflesso dell’azione delle sorgenti al di fuori delvolume in esame. Tutto ciò può essere rigorosamente dimostrato utilizzando teoremimatematici (teoremi di Green) e la struttura delle equazioni stesse.

I regimi stazionari ed i bipoli elettrici

Le equazioni di Maxwell, anche nella forma A1.28, non sono di semplice soluzione, senon in casi molto particolari. Si tratta di equazioni differenziali alle derivate parziali,dipendenti anche dal tempo, e dalla struttura solo apparentemente semplice. Apparelogico, quindi, porsi il problema di individuare al loro interno regimi particolari in cuiil problema in qualche modo possa semplificarsi. La prima evidente semplificazione

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consiste nel porsi nelle condizioni in cui almeno uno dei tre tipi di sorgente, che abbia-mo formalmente individuato in precedenza, può essere eliminato. È questo il caso in cuitutte le grandezze non dipendono dal tempo e si suppone di essere nel vuoto in assen-za di corpi conduttori. In tali condizioni tutti i termini di interazione tra i campi E e Bsi annullano e le equazioni per il campo elettrico e per il campo magnetico si separanoin due sistemi distinti. Per il campo elettrico:

e per il campo magnetico:

In tal caso si parla di equazioni dell’elettrostatica ed equazioni della magnetostatica.A tali equazioni può aggiungersi, se conveniente, anche la A1.24, riscritta per il caso sta-zionario:

Nel modello dell’elettrostatica le sole sorgenti del campo sono le densità di carica, oltreche, naturalmente, per un problema in un volume limitato, le condizioni al contorno.Non esistono correnti: da cui il nome di elettrostatica. Si osservi che in tali condizioniil campo E ha rotore nullo in tutto lo spazio ed è pertanto detto irrotazionale o anche,per ragioni che saranno subito chiare, conservativo1. Come è noto, infatti, un campoirrotazionale può essere fatto discendere da una funzione scalare che prende il nome difunzione potenziale. Se è rot E = 0, si può sempre scrivere, infatti:

E = - ∇ V (A1.32)

dove l’operatore gradiente ( ∇ ) è così definito: data la funzione scalare V si consideri-

∇⋅ J = 0 . (A1.31)

∇ ⋅B = 0,

∇×B = µ0Jest .(A1.30)

∇ ⋅E =ρest

ε0,

∇×E = 0.(A1.29)

318 Luciano De Menna Corso di Elettrotecnica

1Anche in questo caso si potrebbero fare considerazioni analoghe a quelle svolte in una nota precedente aproposito della distinzione tra campo irrotazionale e campo conservativo; un campo irrotazionale è ancheconservativo, cioè la sua circuitazione è nulla, se il dominio di definizione è a connessione lineare sempli-ce. Un dominio può dirsi a connessione lineare semplice se una qualunque linea chiusa tutta contenuta inesso può essere ridotta con continuità ad un punto senza mai uscire dal dominio stesso.

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no tutte le rette passanti per un punto. Per ognuna di esse, opportunamente orientata,si definisca una coordinata l e si consideri la derivata dV/dl , o meglio il modulo di essa;per una determinata direzione tale modulo assumerà il suo valore massimo. È imme-diato verificare che ciò accade per la direzione ortogonale alla superficie di livelloV=cost passante per il punto dato. Orbene il gradiente di V nel punto in esame è unvettore il cui modulo è pari al massimo del modulo di dV/dl, la cui direzione è quellain cui tale massimo viene assunto ed il verso è quello che va nel senso dei valori crescentidi V. In coordinate cartesiane risulta:

Una proprietà di immediata verifica è la seguente

∇ × (∇ V) = 0 .

Il campo ∇ V è, dunque, necessariamente irrotazionale e questo ci assicura della legit-timità della posizione A1.32. La stessa posizione è anche necessaria, cioè ogni campo arotore nullo può essere messo sotto la forma di un gradiente - naturalmente il dominiodi definizione deve essere a connessione lineare semplice (vedi nota precedente) -, e ciòsi può facilmente dimostrare per costruzione. Se infatti il rotore di un campo E è iden-ticamente nullo, applicando il teorema di Stokes, si ottiene, come sappiamo, che la suacircuitazione lungo la linea chiusa γ è anch’essa nulla. Se P e P0 sono due punti di talelinea e γ1 ed γ2 i tratti di essa in cui tali punti la dividono, come mostrato in Fig. A1.3,avremo:

avendo scelto un’orientamento arbitrario lungola linea γ. Se ora per il solo tratto γ2 invertiamo l’orienta-mento, avremo evidentemente

dove dl’ = - dl. Se ne conclude, in base all’arbi-

E ⋅ dlγ1

- E ⋅ dl '

γ2

= 0,

E ⋅ dlγ1

+ E ⋅ dlγ2

= 0,

2γγγγγ1γγγγγ

P

P

0

∇ V=∂V∂x

x + ∂V∂y

y + ∂V∂z

z.

Luciano De Menna Corso di Elettrotecnica 319

Fig.A1.3

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trarietà di γ, γ1 ed γ2, che per un campo a rotore nullo, l’integrale di linea tra due puntiP e P0 non dipende dal percorso di integrazione, ma solo dai punti estremi. Se fissiamoil punto P0 una volta per tutte, l’integrale di linea tra P0 ed un qualsiasi punto P, nelverso che va da P0 a P, sarà una funzione scalare del solo punto P che potremo chiamareψ(P). Applicando lo stesso ragionamento ad un punto P distante un tratto infinitesimods da P0, avremo:

E⋅ ds = dψe se ds = dl è nella direzione e verso di E si ha:

Edl = dψo anche E = dψ/dl.A questo punto basta porre V = - ψ e ritrovare la posizione A1.32. La ragione del segnomeno è nel fatto che si vuole che il campo vada dai punti a potenziale maggiore a quel-li a potenziale minore e non viceversa; il gradiente invece presenterebbe un andamentoopposto. Riassumendo, abbiamo fatto vedere che un campo a rotore nullo può sempremettersi sotto forma di un gradiente di una funzione potenziale col segno cambiato.Inoltre abbiamo anche mostrato che in un campo irrotazionale l’integrale di linea tradue punti è indipendente dal percorso di integrazione e può essere messo sotto formadi differenza dei valori assunti dalla funzione potenziale nei due punti estremi:

Val la pena di osservare a questo punto che per il campo elettrico in condizioni non sta-tiche tutto questo non è più vero. La presenza di un campo magnetico variabile neltempo fa sì che l’integrale di linea tra due punti A e B non è indipendente dal percor-so, come si vede chiaramente dalla (A1.7). Non si potrà dunque a rigore parlare di dif-ferenza di potenziale per un tale campo, e, se γ1 e γ2 sono due linee che vanno dal puntoA al punto B, si avrà:

E ⋅ dlγ1

- E ⋅ dl 'γ2

= E ⋅ dlγ1

+ E ⋅ dlγ2

=

= E ⋅ dlγ

= -∂B∂t

⋅ dSSγ

,

E ⋅ dl

A

B

= V A - V B .

320 Luciano De Menna Corso di Elettrotecnica

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dove come al solito dl e dl’ sono gli elementi di linea lungo γ2 rispettivamente nel versoda A a B e viceversa. Converrà dunque indicare con un altro termine l’integrale di lineadel campo E quando esso non è indipendente dal percorso: si parla di tensione elettri-ca tra i punti A e B lungo la linea γ e si conserva anche nel simbolo, TAγB , indicazionedella dipendenza dalla particolare linea scelta.Per quanto riguarda il modello della magnetostatica ci limiteremo ad alcune osserva-zioni.In primo luogo il nome magnetostatica è leggermente improprio. Essendo comunquepresenti delle correnti e quindi delle cariche in movimento, è più opportuno chiamarlomodello del campo magnetico stazionario; d’altra parte la terminologia ha radici storicheche non vale la pena di sradicare. In effetti il modello della magnetostatica, storica-mente, è quello che descrive il campo magnetico generato da magneti permanenti - lefamiliari calamite - e da ciò prende il suo nome.In secondo luogo, le uniche sorgenti che compaiono, a parte naturalmente quelle nasco-ste nelle condizioni al contorno, sono le densità di corrente Jest. Le cariche elettrichenel regime stazionario non contribuiscono come tali alla produzione di un campomagnetico, ma solo in quanto cariche in movimento.Facciamo, ora, un piccolo passo avanti ed introduciamo nel nostro modello anche mezziconduttori. Si tratterà di aggiungere nelle equazioni del campo magnetico un terminedel tipo σE. Si avrà, dunque:

Le equazioni della magnetostatica e quelle dell’elettrostatica non sono più, a questopunto, indipendenti; il termine σE le lega tra di loro. Ma si tratta evidentemente di unlegame che non introduce particolari difficoltà. Infatti, le equazioni del campo elettriconon sono cambiate; il campo elettrico è ancora irrotazionale e discende quindi da unpotenziale scalare V. Si può immaginare dunque di risolvere in primo luogo il proble-ma di elettrostatica, ed, una volta noto il termine σE, risolvere quello della magneto-statica considerando tale termine, ormai noto, alla stessa stregua di una densità di cor-rente imposta dall’esterno.Le equazioni A1.30 ed A1.33, accoppiate attraverso il termine σE, possono essere guar-date anche da un altro punto di vista. Si supponga, per semplicità, ρest e Jest entrambenulle, e si ammetta di essere essenzialmente interessati alla determinazione del campodel vettore densità di corrente J, piuttosto che alla determinazione del campo magneti-co da essa prodotto. Le equazioni che interessano sono allora:

∇ ⋅B = 0,

∇×B = µ0 σE + Jest .(A1.33)

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Utilizzando la terza delle A1.34 nella prima, si ottiene:

Se il mezzo è uniforme, σ assume lo stesso valore in ogni punto ed il suo gradiente ènullo. In tal caso le equazioni A1.34 diventano:

Esse ci consentono di calcolare E e da questo J mediante l’ultima relazione. Non trag-ga in inganno il fatto che il campo E ha tanto il rotore quanto la divergenza nulli; la solu-zione banale E = 0 non terrebbe conto delle sorgenti esterne e quindi delle condizionial contorno! Le equazioni A1.36 prendono il nome di equazioni del campo di densità dicorrente e sono in pratica identiche a quelle del campo elettrostatico. Quello che puòdistinguere un problema di campo elettrostatico da uno di campo di densità di corren-te è il fatto che nei due casi le condizioni al contorno sono date diversamente. Nel primocaso su E e nel secondo caso su J, anche se, naturalmente, attraverso la relazione impo-sta dal mezzo, J = σ E, e che per questo motivo prende il nome di relazione costitutivadel mezzo, ogni condizione imposta su J si riflette in una analoga condizione su E e vice-versa.Il problema della determinazione dei campi E, B e J, anche nelle condizioni staziona-rie qui descritte, è in generale un problema complesso che richiede la soluzione di equa-zioni differenziali alle derivate parziali con opportune condizioni al contorno. Non svi-lupperemo, in questa sede, questo aspetto. I concetti esposti sono però sufficienti adintrodurre le basi di quello che abbiamo chiamato il modello circuitale.

∇⋅ E = 0,

∇×E = 0, J = σ E.

(A1.36)

∇⋅ J = ∇⋅ σE = σ∇⋅ E + E⋅ ∇σ = 0. (A1.35)

∇⋅ J = 0,

∇×E = 0, J = σ E.

(A1.34)

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Il bipolo resistore

Consideriamo un conduttore elettrico cilindrico filiforme di sezione S e lunghezza linteressato da una densità di corrente uniforme J. Se σ è la conducibilità del condutto-re, ed ρ=1/σ la sua resistività, alla densità di corrente J dovrà essere associato un campoelettrico E pari a ρJ, anch’esso uniforme.

Integrando la relazionecostitutiva del mezzo, tradue punti qualsiasi sullesuperfici estreme del cilin-dro, al primo membroabbiamo, una tensione elet-trica che, a causa della sta-zionarietà, sarà anche unadifferenza di potenziale

VAB, mentre al secondo membro abbiamo:

Dove con il simbolo I = J S abbiamo indicato l'intensità della corrente, cioè il flusso diJ attraverso una generica sezione del conduttore; il verso positivo della normale allasezione, che è indispensabile scegliere per poter parlare di flusso, è stato assunto con-corde a quello scelto sulla linea γ per calcolare la tensione.

Il fattore R = ρ l /S prende il nome diresistenza del tratto di conduttore e laA1.37 è la legge di Ohm alle grandez-ze globali. Nel caso più generale.pos-siamo considerare un corpo di formagenerica e conducibilità σ e supporreche esso sia attraversato da un flussodi cariche (densità di corrente), chepartono tutte e arrivano tutte, in duepunti diversi, A e B, della sua super-ficie. Non domandiamoci, per ora,chi porta le cariche nel punto di

A

B

TAγB = E ⋅ dl

AγB

= VAB = ρ l J = ρ lS

I = R I . (A1.37)

JI

A Bσσσσσ

lllll

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Fig. A1.4

Fig.III.5

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ingresso e chi le preleva dal punto di uscita. Sia I la corrente totale che entra in A. Lacorrente che esce da B, in virtù della solenoidalità di J in regime stazionario (∂ρ/∂t = 0),è ancora I se è vero che A e B sono gli unici punti di contatto del nostro corpo con l’e-sterno. Infatti se calcoliamo il flusso uscente di J attraverso la superficie che contorna il corpoin esame, avremo che in ogni punto, eccetto A e B, i prodotti J⋅dS sono nulli, in quan-to per le ipotesi fatte, la componente normale di J al contorno è nulla; nei punti A e B,invece abbiamo un contributo finito al flusso di J, e cioè una corrente, che possiamoindicare con I ed I’ rispettivamente. Evidentemente, nel caso idealizzato che stiamo trat-tando assumiamo l’esistenza di una densità di corrente J infinita nei soli punti A e B inmodo tale da avere un contributo finito alla intensità della corrente in tali punti attra-verso sezioni idealmente nulle. Le due correnti nei punti A e B debbono, dunque, esse-re uguali per la solenoidalità di J. Per conoscere l’effettiva distribuzione del campo didensità di corrente J all’interno del corpo bisognerebbe entrare più nel dettaglio dellageometria del problema e risolvere le equazioni del campo di corrente stazionario nelvolume considerato. Certamente però la soluzione presenterà la caratteristica di averetutte le linee del campo J che si raccolgono nei due punti A e B. Applichiamo ora lostesso procedimento, utilizzato in precedenza per il conduttore cilindrico con correnteuniforme, ai tubi di flusso del campo J. Per ogni tubo di flusso elementare di sezionetrasversale ∆Sk, che corre lungo una generica linea γk da A a B, abbiamo:

perché lungo un tubo di flusso l'intensità della corrente ∆Ik = Jk ∆Sk è per definizionecostante, e può quindi essere portata fuori del segno di integrale. Si avrà dunque:

D’altra parte, per la solenoidalità di J, I = Σk ∆Ik e, per l’irrotazionalità di E, TAγkB=VAB per qualsiasi γk. Ne consegue:

I = VAB 1Rk

∑k

= VABR

, (A1.38)

TAγkB

∆Ik

= η dl∆Sk

AγkB

,

TAγkB = E ⋅ dl

AγkB

= ηJ ⋅ dl

AγkB

= ∆SkJkη dl∆Sk

AγkB

= ∆Ik η dl∆Sk

AγkB

,

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dove la sommatoria è estesa a tutti i tubi di flusso.Il termine di proporzionalità R tra VAB e la corrente I prende il nome di resistenza delcorpo materiale in questione, alimentato dai punti A e B; è facile infatti rendersi contodel fatto che la grandezza R, che abbiamo ottenuto integrando lungo i tubi di flusso delcampo di corrente, cambia, in generale, se si scelgono, a parità di forma del corpo e dimateriale che lo costituisce, punti diversi per l’ingresso e l’uscita della corrente: in taleeventualità, infatti, cambia la struttura stessa del campo di corrente.Il sistema che così abbiamo individuato è un resistore e fa parte di una più vasta fami-glia di sistemi a due morsetti che chiameremo bipoli.

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