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L’inventario fonologico delle lingue Si definisce fono un qualsiasi suono linguistico. Nessuna lingua utilizza tutti i foni possibili per formare parole (questo vale sia per l’insieme di foni che per l’insieme di fonemi usati in una lingua); ad esempio, l’italiano non fa uso di vocali posteriori non arrotondate, né di vocali anteriori arrotondate. Elenchiamo qui alcune rapide osservazioni relative a tendenze generali sulla natura degli inventari fonologici: - non tutti i foni, o tutte le serie di foni, sono ugualmente diffusi negli inventari fonologici delle lingue del mondo: alcuni foni, essendo difficili da percepire e/o produrre, sono più rari di altri; per esempio, le vocali anteriori arrotondate sono meno comuni delle vocali anteriori non arrotondate (probabilmente per ragioni legate alla percezione). - i foni meno comuni interlinguisticamente sono anche quelli che tendono ad occorrere in un minor numero di parole nelle lingue in cui sono presenti; per esempio, [t] e [L] sono entrambi presenti nell’inventario dell’italiano, però [t] è un fono presente nella grande maggioranza delle lingue, mentre [L] è un fono raro. - gli inventari fonologici tendono ad essere organizzati in maniera “sistematica”; per esempio, se una lingua ha occlusive labiali e dentali, ed ha un’opposizione tra un’occlusiva labiale sorda e un’occlusiva labiale sonora, è probabile che abbia anche un’opposizione tra un’occlusiva dentale sorda e un’occlusiva dentale sonora: l’italiano ha sia un’ opposizione tra una [p] e una [b], che un’opposizione tra una [t] e una [d]. Probabilmente, patterns sistematici di questo genere sono comuni perché sono il risultato di sistemi linguistici che cercano di sfruttare al massimo un numero minimo di manovre articolatorie; per esempio, per imparare a produrre un sistema che abbia [p] e [d], un bambino deve imparare a produrre occlusive sorde e sonore, e occlusive labiali e dentali; sarebbe allora uno ‘spreco’ se lo stesso sistema non sfruttasse le altre possibili combinazioni, cioè [b] (labiale e sonora) e [t] (dentale e sorda).

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L’inventario fonologico delle lingue Si definisce fono un qualsiasi suono linguistico. Nessuna lingua utilizza tutti i foni possibili per formare parole (questo vale sia per l’insieme di foni che per l’insieme di fonemi usati in una lingua); ad esempio, l’italiano non fa uso di vocali posteriori non arrotondate, né di vocali anteriori arrotondate. Elenchiamo qui alcune rapide osservazioni relative a tendenze generali sulla natura degli inventari fonologici: - non tutti i foni, o tutte le serie di foni, sono ugualmente diffusi negli inventari fonologici delle lingue del mondo: alcuni foni, essendo difficili da percepire e/o produrre, sono più rari di altri; per esempio, le vocali anteriori arrotondate sono meno comuni delle vocali anteriori non arrotondate (probabilmente per ragioni legate alla percezione). - i foni meno comuni interlinguisticamente sono anche quelli che tendono ad occorrere in un minor numero di parole nelle lingue in cui sono presenti; per esempio, [t] e [L] sono entrambi presenti nell’inventario dell’italiano, però [t] è un fono presente nella grande maggioranza delle lingue, mentre [L] è un fono raro. - gli inventari fonologici tendono ad essere organizzati in maniera “sistematica”; per esempio, se una lingua ha occlusive labiali e dentali, ed ha un’opposizione tra un’occlusiva labiale sorda e un’occlusiva labiale sonora, è probabile che abbia anche un’opposizione tra un’occlusiva dentale sorda e un’occlusiva dentale sonora: l’italiano ha sia un’ opposizione tra una [p] e una [b], che un’opposizione tra una [t] e una [d]. Probabilmente, patterns sistematici di questo genere sono comuni perché sono il risultato di sistemi linguistici che cercano di sfruttare al massimo un numero minimo di manovre articolatorie; per esempio, per imparare a produrre un sistema che abbia [p] e [d], un bambino deve imparare a produrre occlusive sorde e sonore, e occlusive labiali e dentali; sarebbe allora uno ‘spreco’ se lo stesso sistema non sfruttasse le altre possibili combinazioni, cioè [b] (labiale e sonora) e [t] (dentale e sorda).

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Le lingue usano solo un sottoinsieme dei foni possibili probabilmente per due ragioni collegate: a) semplicemente, non è necessario usare tutti i foni possibili, visto che, sfruttando la proprietà della composizionalità fonetica, le lingue possono distinguere un numero enorme di parole con un numero molto limitato di foni; b) poiché la comunicazione parlata ha luogo a una grande velocità, attraverso un segnale continuo, è meglio usare un numero ridotto di foni per ridurre le possibilità di equivoco (se la mia lingua ha solo [u] ma non [W], non dovrò nemmeno pormi il problema se il fono che ho appena sentito fosse una [u] o una [W]). Fono, fonema e allofono Si è visto che esistono due livelli di rappresentazione dei segmenti: uno mentale, o fonemico, ed uno fisico, o fonetico. Ciò che lega i due livelli e rende conto delle differenze sono i fenomeni fonologici. Si definisce fono un qualsiasi suono linguistico; si indica con un simbolo fonetico racchiuso tra parentesi quadre [ ] Si definisce fonema la rappresentazione mentale di un fono che abbia una funzione distintiva all’interno di un determinato sistema fonologico, che consenta cioè di ‘distinguere’ il significato di una parola da un’altra. I fonemi vengono rappresentati da un simbolo dell’alfabeto fonetico racchiuso tra barre diagonali / /. I fonemi non sono quindi dei suoni, ma la rappresentazione astratta di un suono; le manifestazioni fisiche di un fonema sono i foni: ciascun fonema corrisponde infatti ad almeno un fono usato dalla lingua in questione. I fonemi sono dunque le unità minime che vengono utilizzate da una lingua per distinguere una parola dall’altra, cioè unità fonetiche con funzione distintiva. Tale funzione distintiva dei fonemi è testimoniata dalla presenza di coppie minime, cioè coppie di parole che si distinguono per un unico segmento collocato nella stessa posizione; ad esempio, i fonemi /v/ e /r/, cioè le unità distintive che ci permettono di distinguere tra loro le parole vado e rado, corrispondono ai foni [v] e [r]; analogamente per va[d]o/va[g]o ma non per [r]amo/[R]amo, il che dimostra che la differenza di articolazione non è rilevante.

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In alcuni contesti è possibile che una opposizione distintiva tra due fonemi si annulli: ad esempio, l’opposizione distintiva tra o chiusa e o aperta si ha in italiano solo in sillaba tonica ( [botte] vs [bOtte] ), mentre in sillaba atona si ha solamente la o chiusa. Questo è dovuto ad una proprietà fonetica della vocale aperta, che essendo rilassata è più instabile; quella chiusa, essendo tesa, è invece più stabile dal punto di vista articolatorio. Può accadere tuttavia che uno stesso fonema abbia manifestazioni fonetiche diverse, ossia corrisponda a foni diversi (ma foneticamente simili) in contesti diversi; tali foni vengono definiti allofoni. Gli allofoni corrispondono allo stesso fonema, cioè alla stessa unità distintiva, poiché i parlanti della lingua in questione non sentono tali foni come entità indipendenti, ma appunto come manifestazioni leggermente diverse della stessa unità. Gli allofoni di uno stesso fonema non sono in opposizione distintiva, dato che hanno distribuzione complementare, cioè la loro occorrenza è predicibile in base al contesto. Ad esempio, la cosiddetta r moscia (vibrante uvulare) non è un fonema, ma un allofono di /r/ proprio di alcuni parlanti, perché non associamo significati diversi alla parola ramo pronunciata con la vibrante uvulare o alveolare. In italiano sembrano esistere tre fonemi nasali (m, n, gn) come rivelano le tre seguenti coppie minime: [m]ano vs [n]ano le[n]a vs le[ñ]a ra[m]o vs ra[ñ]o In realtà esistono anche altri due foni nasali, la nasale velare [η] e la nasale labiodentale [M]; la loro distribuzione è però predicibile, in quanto la prima si trova solo davanti a consonanti velari, la seconda solo davanti a consonanti labiodentali: ba[η]co fa[η]go a[M]fibio i[M]vidia Questi due segmenti non hanno valore distintivo perché la loro occorrenza è predicibile dal contesto; quando un elemento fonetico è predicibile dal contesto fonetico non è distintivo. Non abbiamo perciò a che fare con dei fonemi nasali ma con due allofoni del fonema /n /; esse sono in distribuzione complementare con il fono [n], in quanto la presenza di un segmento preclude la presenza dell’altro.

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Quindi il fonema /n/ avrà tre diverse manifestazioni fonetiche negli allofoni [M] (davanti a fricative labiodentali), [η] (davanti ad occlusive velari), [n] (in tutti gli altri contesti). Si noti però il seguente problema: visto che anche /m/ non può capitare davanti a /f v/ o /k g/, perché diciamo che [M] e [η] sono allofoni di /n/ e non di /m/? Per [η] si può sostenere che, siccome al nostro orecchio suona più simile a /n/ che ad /m/, è legittimo classificarla come un allofono di /n/; ma [M] suona semmai più come una /m/ che come una /n/; bisognerebbe allora dire che [M] è un allofono di /m/, e che /n/ semplicemente non capita mai davanti a /f v/? D’altronde, in alcuni contesti osserviamo una [M] dove solitamente troviamo una /n/, il che suggerisce un legame tra questi due foni (per esempio, la /n/ di in può diventare [M] davanti a una parola che comincia con una labiodentale: i[M] fretta (soprattutto se detto velocemente). Anche se l’idea di allofonia è spesso utile a capire come è strutturato il sistema di foni di un linguaggio, si tratta di una nozione non priva di problemi; a rigor di termini, dovremmo forse anche includere un allofono dentale, che capita davanti alle dentali, ed un allofono postalveolare, che capita davanti alle postalveolari. Gli allofoni di /s/ in italiano In italiano standard settentrionale, meridionale e in gran parte delle varietà centrali, le fricative alveolari [s]/[z] sono allofoni dello stesso fonema /s/, in distribuzione complementare. La distribuzione dei due allofoni è diversa tra nord e centro/sud in posizione intervocalica: mentre nel nord il fonema /s/ viene prodotto come [z] tra due vocali ([‘kaza]), nel centro/sud esso viene prodotto come [s] ([‘kasa]). Il fonema /s/ viene prodotto invece come [z] davanti a consonante sonora ([z]baglio, [z]gomento, [z]legare]). In tutti gli altri contesti il fonema /s/ viene prodotto come [s]: all’inizio parola [‘santo], in posizione post-consonantca [polso], come consonante lunga [nesso], a fine parola [autobus]). Se distinguete tra chie[s]e ‘domandò’ e chie[z]e ‘luoghi di culto’ parlate una varietà in cui i due foni formano ancora fonemi distinti. Si noti come la distinzione tra [s] e [z] sia una distinzione tra fonemi in altre lingue, come l’inglese (per es. ice [aIs] vs. eyes [aIz]); è tipico, per gli italiani che parlano inglese, applicare, erroneamente, la distribuzione italiana di [s] e [z] a parole inglesi – per es. dire [z]low invece che [s]low.

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I tratti distintivi binari Si è detto che i suoni che compongono una stringa sono foneticamente continui ma fonologicamente discreti; la divisione delle parole in segmenti (vocali e consonanti) è basata sull’assunto di una rappresentazione in cui il suono linguistico viene scomposto in una sequenza di blocchi discreti, una astrazione dal continuum fisico. I segmenti non sono però dei primitivi, ma possono essere scomposti e derivati da un insieme di diverse proprietà, dette tratti; la nostra rappresentazione mentale dei segmenti è costituita da un fascio di tratti basato su proprietà articolatorie dei suoni. I tratti distintivi sono delle caratteristiche fisiche fondamentali e non ulteriormente scomponibili dei foni. Ogni segmento viene specificato con un fascio o insieme di tratti costituito da tutti i tratti necessari e sufficienti a renderlo individuabile in modo non ambiguo. I tratti hanno due funzioni principali: a) funzione composizionale: specificare le caratteristiche che simultaneamente formano un singolo evento articolatorio; descrivere ogni fono come fascio di tratti, cioè isolare una simultaneità di eventi nel continuum del messaggio sonoro; b) funzione classificatoria: definire classi naturali di suoni, cioè raggruppare i segmenti in classi naturali, ossia in gruppi di segmenti che condividono uno o più tratti in comune; una classe comprenderà tutti e solo i suoni che condividono un certo tratto. [Due o più segmenti fanno parte di una classe naturale se la specificazione della classe richiede un numero di tratti inferiore alla specificazione di uno dei segmenti.] c) funzione restrittiva: determinare le restrizioni fonotattiche tipiche di una determinata lingua. Spesso, i fenomeni fonologici di una lingua non riguardano singoli foni, ma insiemi di foni che hanno caratteristiche fonetiche simili; i fenomeni fonologici si applicano cioè sempre a segmenti che condividono dei tratti. Definiamo dunque come classe naturale un insieme di foni che hanno una o più proprietà fonetiche in comune.

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Per esempio, le occlusive formano una classe naturale, perché sono tutti foni che hanno lo stesso modo di articolazione; anche i foni sonori formano una classe naturale; le occlusive sonore formano un’altra classe naturale (in questo caso, definita da due caratteristiche fonetiche - si tratta dunque dell’intersezione tra gli insiemi definiti dalle due classi appena menzionate). Oltre a limitare l’insieme di foni/fonemi che possono venire usati, le lingue restringono anche i contesti in cui tali foni/fonemi possono venire utilizzati. I tratti esprimono anche le restrizioni fonotattiche dei sistemi fonologici, che stabiliscono quali segmenti possono combinarsi tra di loro e quali no, cioè quali sono le possibili sequenze di suoni, dato un repertorio segmentale; si tratta di restrizioni sulla distribuzione di un fono/fonema o di una classe di foni/fonemi (nel senso che regolano le possibili combinazioni di foni/fonemi, come la sintassi regola le possibili combinazioni di parole). Ad esempio in italiano [t] non può occorrere davanti a [p] (cioè, [tpa] non è una parola possibile dell’italiano); in realtà, possiamo generalizzare questa restrizione alla classe naturale delle occlusive; la restrizione in questione può essere formulata così: in italiano, un’occlusiva non può essere seguita da un’altra occlusiva (non solo [tp] non è una sequenza possibile, non lo sono nemmeno [td], [kd], [bk], ecc.); questa impossibilità è il prodotto di una restrizione più generale dell’italiano, che vieta nessi (cioè sequenze) di occlusive. Eccezioni: prestiti o vocabolario colto di origine latina o greca (optare, cleptomane). La [η] velare si trova davanti a [k] [g], unici fonemi consonantici velari. Ad esempio in italiano in fine di sillaba non si possono avere tutte le consonanti, ma solo liquide e nasali (l/r/n/m) o consonanti geminate (tra le quali rientrano anche gl e gn); il tratto che accomuna liquide e nasali è quello di sonorante. A quale scopo le lingue impongono restrizioni fonotattiche? Tali restrizioni sono tipicamente motivate da fattori di tipo articolatorio o acustico-percettivo; le restrizioni fonotattiche, tipicamente, non proibiscono sequenze a caso: nelle lingue troviamo per lo più restrizioni piuttosto simili.

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Per esempio, molte altre lingue (dal giapponese alle lingue polinesiane) proibiscono sequenze di occlusive, proprio come l’italiano; è probabile che i nessi di occlusive tendano ad essere sfavoriti perché un’occlusiva immediatamente seguita da un’altra occlusiva è difficile da percepire (atpa suona quasi come appa). Visto che il parlato è caratterizzato da un continuum in cui i foni sono trasmessi a velocità estremamente elevata, le lingue impongono restrizioni fonotattiche per minimizzare il rischio di errori nella comunicazione, sfavorendo sequenze poco felici dal punto di vista articolatorio o acustico (e comunque restringendo il numero di ipotesi che il ricevente del messaggio deve considerare: se ho appena sentito una [t], posso escludere che il prossimo fono sarà una [p]). E’ importante osservare che in linea di massima le restrizioni fonotattiche, seppur comuni interlinguisticamente, non sono universali - per esempio, ci sono lingue (il latino, l’inglese, il tedesco, il berbero) che permettono almeno alcuni dei nessi di occlusive che non sono permessi dall’italiano, oppure delle occlusive in fine di parola, ciò che non è ammesso in italiano. [Ma se le restrizioni sono motivate da vincoli di tipo articolatorio ed acustico, perché non sono universali? Si tratta di un problema complesso, ma probabilmente la risposta dipende, più o meno direttamente, dai due seguenti fattori: (a) i vincoli fonetici possono essere in contrasto tra loro (e anche con altre esigenze di natura linguistica o meno) e lingue diverse possono trovare dei compromessi diversi tra spinte tra loro in contrasto; (b) vari fattori più o meno fortuiti (di tipo storico, sociologico e geopolitico) fanno sì che le lingue, come qualsiasi prodotto dell’ evoluzione naturale, non convergano verso un sistema perfetto (per es., dal punto di vista delle restrizioni fonotattiche, ma lo stesso discorso vale probabilmente anche in altri domini).] Binarietà e marcatezza Nel momento in cui si passa dalla fonetica alla fonologia, le caratteristiche articolatorie vengono tradotte in caratteristiche più astratte e formali, sotto forma di tratti fonologici distintivi binari; tali tratti sono considerati come presenti o assenti, non graduati; si assume cioè che i tratti distintivi siano organizzati in modo binario, ossia con due soli valori possibili, il valore

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positivo + o il valore negativo -, a seconda che una data caratteristica sia presente o assente nell’articolazione di un dato suono. La binarietà non è però presente a livello fonetico, ma dipende dalla nostra rapresentazione mentale dei suoni. Il valore positivo rispetto ad un certo tratto distintivo viene detto marcato, quello negativo non marcato. Anche i segmenti possono essere più o meno marcati: nei processi di neutralizzazione i segmenti non marcati tendono a sopravvivere. La relativa marcatezza dei segmenti e dei valori di un tratto è stabilita universalmente in base a diversi fattori, tra cui: - frequenza della distribuzione: i suoni non marcati sono più frequenti di quelli marcati; - la presenza in diversi sistemi fonologici: i suoni non marcati sono i più diffusi nei sistemi fonologici del mondo; - il processo di acquisizione linguistica: i suoni non marcati sono i primi ad essere acquisiti nello sviluppo linguistico. Se in una data lingua esiste un segmento marcato per un certo tratto, è molto probabile che esista anche il corrispondente non marcato, ma non viceversa. 1. Tratti principali Questi tratti definiscono le più importanti classi naturali di suoni per la descrizione dei fenomeni fonologici delle lingue naturali. [+/- sillabico]: i suoni [+sillabici] costituiscono il nucleo di una sillaba [+ sillabico] > vocali [-sillabico] > consonanti, approssimanti [+/- consonantico]: i suoni [+ consonantici] sono prodotti con un maggiore restringimento nella parte centrale dell’apparato vocale [+ consonantico] > consonanti [- consonantico] > vocali, approssimanti

I due tratti sono combinabili, anche se non in italiano: ci sono consonanti che possono fungere da nucleo di sillaba (bottle nell’inglese americano) sillabico consonantico vocali + -

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consonanti - + approssimanti - - Dato che il nucleo sillabico è unico, cioè non si possono avere due nuclei nella stessa sillaba, quando due vocali sono adiacenti ci sono due possibilità: - si trovano su due sillabe diverse per cui si ha uno iato; - una delle due diventa una semivocale dando origine ad un dittongo. In italiano i dittonghi si formano solamente con le approssimanti j e w, connesse alle vocali alte i e u. La approssimante può trovarsi prima o dopo la vocale; si hanno quindi due possibili tipi di dittonghi: - ascendenti, con la approssimante prima della vocale jV/wV: [pjano] [twono] - discendenti, con la approssimante dopo la vocale Vj/Vw: [maj] [fewdo] Quando un nucleo vocalico ha una approssimante che lo precede e una che lo segue si ha un trittongo: [vwoj] [pwoj] [twoj] [mjej] Quando due vocali che non siano né i né u sono adiacenti, si ha sempre uno iato, dato che nessuna delle due vocali si può trasformare in una semivocale: paese, meteora, teatro. [+/- sonorante]: i suoni [+ sonoranti] sono prodotti con una apertura dell’apparato vocale tale da permettere che la pressione dell’aria all’ interno della cavità orale sia simile a quella esterna [+ sonorante] > vocali, approssimanti, liquide (vibranti e laterali) e nasali [– sonorante] > ostruenti

2. Modificazioni del flusso di aria nella glottide [+/- sonoro]: i suoni [+ sonori] sono prodotti con le corde vocali ravvicinate e messe in vibrazione dal flusso dell’aria; i suoni [- sonori] sono prodotti con le corde vocali separate che non vibrano con il flusso dell’aria. [+ sonoro] > sonoranti ed alcune delle ostruenti (il tratto sarà dunque rilevante per le ostruenti ma non per le sonoranti) [+/- glottide allargata]: i suoni [+ glottide allargata] sono prodotti con uno spostamento delle cartilagini che produce una maggiore apertura glottidale [+ glottide allargata] > non esistono suoni di questo tipo in italiano; sono le consonanti aspirate, i sussurri, bisbigli e mormorii, le vocali/semivocali sorde (ahead, haben)

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[ad esempio nelle occlusive aspirate, il rilascio dell’occlusione può essere non immediato (come in italiano), ma più lento, nel qual caso sentiamo un “soffio d’aria” che segue la consonante (le occlusive aspirate vengono trascritte con una [h] dopo il simbolo dell’occlusiva): inglese top [‘thOp], o nel tedesco Rat [‘öath]] [+/- glottide compressa]: i suoni glottidalizzati sono prodotti con la pressione delle corde vocali l’una contro l’altra impedendo una normale vibrazione [+ glottide compressa] > non esistono suoni di questo tipo in italiano; sono le consonanti eiettive, implosive, glottidalizzate e laringalizzate, le vocali e semivocali glottidalizzate [ad esempio le occlusive glottidali, in cui viene prodotto un colpo di glottide con una chiusura (e seguente riapertura) delle corde vocali; lo si trova in tedesco davanti ad ogni parola che comincia per vocale, e in italiano quando sia necessario separare due vocali in contatto o anche in esclamazioni, ma in alcune lingue (come il tailandese) è un fonema: Ho detto le [] elezioni, non le lezioni boh] [+/- corde vocali rigide]: i suoni [+ corde vocali rigide] sono prodotti con le corde vocali tese [+ corde vocali rigide] > ostruenti sorde (eiettive sorde, vocali glottidalizzate) p/t/k/f/s/S/ts/tS [+/- corde vocali allentate]: i suoni [+ corde vocali allentate] sono prodotti con le corde vocali allentate [+ corde vocali allentate] > ostruenti sonore (ostruenti sussurrate o laringalizzate, vocali stridule) b/d/g/v/z/Z/dz/dZ 3. Cavità nasale e cavità orale [+/- nasale]: i suoni [+ nasali] sono prodotti con un abbassamento del velo che permette all’aria di fluire attraverso la cavità nasale [+ nasale] > consonanti nasali, tutti i suoni nasalizzati (incluse le vocali nasalizzate) 4. Modo di articolazione Questi tratti si riferiscono alle modificazioni che il flusso d’aria subisce nel percorso dai polmoni verso l’esterno.

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[[+/- teso]: i suoni [+ tesi] sono prodotti con una compressione del corpo o radice della lingua (es. r dell’italiano)] [+/- continuo]: i suoni [+ continui] sono prodotti con una costrizione della cavità orale che permette all’aria di fluire verso l’esterno [+ continuo] > vocali, approssimanti, liquide, fricative (non le nasali, perché l’aria fluisce dalla cavità nasale) (f versus t) [+/- rilascio ritardato]: i suoni [+ rilascio ritardato] sono caratterizzati dalla presenza di due fasi successive, una prima in cui l’aria è trattenuta nella cavità orale, una seconda in cui è rilasciata [+ rilascio ritardato] > consonanti affricate ts/dz/tS/dZ [+/- laterale]: nella produzione dei suoni [+ laterali] il flusso d’aria è impedito nella zona centrale della cavità orale, ma non ai lati [+ laterale] > consonanti laterali [l] [λ] [+/- stridulo]: nella produzione dei suoni [+ striduli] l’aria è costretta tra due superfici ravvicinate provocando un flusso di aria turbolento [+ stridulo] > fricative f/v/s/z/S/Z ed affricate ts/dz/tS/dZ [[+/- distribuito]: i suoni [+ distribuiti] sono prodotti con una ostruzione che si estende notevolmente sull’asse longitudinale mediale dell’apparato vocale; vi è una grande superficie di contatto tra gli organi articolatori (usato ad esempio per distinguere [m] [-distribuito] da [M] [+distribuito])] 5. Punto di articolazione Questi tratti si riferiscono al punto in cui avviene il contatto o l’avvicinamento che provoca la massima costrizione dell’aria. [+/- coronale]: i suoni [+ coronali] sono prodotti con la parte anteriore (corona) della lingua alzata rispetto alla posizione neutrale (t/d nella zona dentale – l/r nella zona alveolare – tS/dZ nella zona alveo-palatale)

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[+/- anteriore]: i suoni [+ anteriori] sono prodotti con una costrizione nella regione alveolare davanti ad essa [+anteriore] > occlusive bilabiali p/b, occlusive dentali t/d, fricative labiodentali f/v ed alveolari s/z, affricate alveolari ts/dz, nasale bilabiale m ed alveolare n, laterale e vibrante alveolare l/r p bilabiale t dentale tS palatale k velare coronale - + + - anteriore + + - - 6. Tratti vocalici [+/- alto]: i suoni [+ alti] sono prodotti alzando il corpo della lingua dalla posizione di riposo [i] [u] [+/- basso]: i suoni [+ bassi] sono prodotti abbassando il corpo della lingua dalla posizione di riposo [E] [O] [a] [+/- posteriore]: i suoni [+ posteriori] sono prodotti ritraendo il corpo della lingua dalla posizione di riposo [u] [o] [O] [a] [+/- arrotondato]: i suoni [+ arrotondati] sono prodotti con le labbra protese in avanti, anziché con le labbra distese [u] [o] [O] [w] [[+/- radice avanzata]: i suoni [ATR] sono prodotti con la radice della lingua spostata in avanti e con un movimento verso l’alto del corpo della lingua] Per la matrice dei tratti delle consonanti dell’italiano si veda il manuale a pag. 61; per la matrice dei tratti delle vocali si può considerare la seguente (che non concorda con quella del manuale). Per differenziare tra segmenti che non hanno valore binario bisogna inserire altre distinzioni (parte alta, parte bassa, parte anteriore del palato, parte posteriore, tensione, arrotondamento delle labbra); le vocali dell’italiano sono quindi definite sulla base dei seguenti tratti:

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a e E i u o O alto - - - + + - - basso + - - - - - - posteriore - - - - + + + teso - + - - - + - (arrotondato) - - - - + + +

[-posteriore] [+posteriore] [-arrotondato] [+arrotondato] [+alto] + teso i u ⎨ - teso [-alto][-basso] + teso e o ⎨ - teso E O [+basso] a

L’unica vocale bassa è la a: ci sono dei vantaggi ad ipotizzare che la a sia l’unica vocale definita da un tratto autonomo (ad esempio è l’unica vocale che non cade nei dialetti gallo italici e in francese). La distinzione tra e aperta e chiusa e o aperta e chiusa non è una differenza di altezza ma una differenza di tensione muscolare. In italiano, le vocali posteriori (O, o, u) sono accompagnate dall' arrotondamento o protrusione delle labbra, sono cioè [+posteriore], [+arrotondato]; invece, le vocali anteriori (ε, e, i) non sono mai arrotondate in italiano, cioè sono [-posteriore], [-arrotondato]; il tratto di arrotondamento è sempre associato alle vocali posteriori, quindi è fonologicamente ridondante ai fini della loro definizione. Il sistema vocalico di tipo italiano non ha perciò bisogno di specificare di una vocale [-posteriore] se essa è [+arrotondata] o [-arrotondata], dato che le anteriori (cioè [-posteriori]) sono sempre [-arrotondate] e le [+posteriori] sono sempre [+arrotondate]. In molte lingue e dialetti esistono però vocali anteriori arrotondate (abbiamo visto y/ø/œ) e, parallelamente, vi sono lingue con vocali posteriori non arrotondate (come la vocale rumena indicata nella grafia rumena con û, î). Nelle lingue con vocali anteriori arrotondate o con vocali

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posteriori non arrotondate, il tratto non è ridondante e andrà sempre specificato. Esistono anche vocali alte più o meno tese, o vocali basse anteriori o posteriori; diremo allora che å a æ sono la classe delle vocali individuate dal tratto [+basso]; tutte le altre vocali saranno [-basso]. Le vocali i e E æ in italiano costituiscono la classe delle vocali [-posteriore], che in italiano individua tutte e solo queste vocali. La distintività di un certo tratto varia in base alle lingue. Variazione libera Due allofoni si dicono in variazione libera quando la loro distribuzione non è sottoposta ad alcuna regola, ma possono comparire indifferentemente senza alcun cambio di significato. Ci sono diversi casi di varianti libere in italiano: uno è quello del fonema /r/ che può essere pronunciato in diverse varianti da parlanti diversi (alveolare vs uvulare), ma questo non cambia il significato della parola nella quale il fonema si trova; il fonema ha quindi varie realizzazioni che si distribuiscono liberamente senza che per questo la nostra rappresentazione mentale di esso sia diversa. Si possono anche dare casi di varianti libere all’interno dello stesso parlante: ad esempio alcuni parlanti possono pronunciare la parola perla con la e aperta o chiusa indifferentemente; spesso queste distinzioni non sono collegate a distinzioni linguistiche ma sociolinguistiche, cioè il parlante usa una forma che può appartenere ad un livello stilistico più o meno alto. Tratti soprasegmentali Analizzeremo qui brevemente le caratteristiche soprasegmentali dei foni, cioè quelle proprietà dei foni che riguardano il loro grado di prominenza rispetto ai foni circostanti, piuttosto che essere proprietà intrinseche dei foni in questione. Nello studio dei fenomeni soprasegmentali, è particolarmente difficile separare l’analisi fonologica (cioè l’analisi di come le caratteristiche soprasegmentali vengono usate ai fini della comunicazione linguistica) dall’analisi fonetica (cioè lo studio dei meccanismi articolatori e percettivi attraverso i quali le caratteristiche soprasegmentali si manifestano). Le tre manifestazioni fonetiche dei tratti soprasegmentali Il livello di prominenza di un fono o di un gruppo di foni si manifesta tramite tre meccanismi articolatori, con corrispondenti manifestazioni acustiche:

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- durata: l’articolazione di un fono può essere eseguita più lentamente, così che il fono avrà un’estensione temporale maggiore di quella che ha solitamente; - intensità: un fono può venir prodotto con una maggiore quantità di aria espirata dai polmoni rispetto ai foni limitrofi; la manifestazione acustica dell’intensità consiste in un aumento del volume di suono rispetto ai foni circostanti; - tonalità: le corde vocali possono vibrare più o meno velocemente, creando foni sonori con una tonalità più alta o più bassa. Accento In numerose lingue, gran parte delle parole hanno un accento, cioè un singolo fono (tipicamente, una vocale) viene percepito come quello che ha maggiore prominenza nell’intera parola. Per esempio, gli italiani sentono la prima [a] di papa [‘papa] come la più prominente, cioè come la vocale accentata; viceversa, in papà [pa’pa] è la seconda vocale ad essere accentata. L’accento può essere rappresentato o con un trattino obliquo sulla vocale accentata, o con un trattino verticale posto immediatamente prima della sillaba o della vocale accentata; noi lo indicheremo con il trattino prima della sillaba. L’accento può avere una funzione demarcativa, cioè la funzione di aiutarci a identificare dove finisce una parola e dove ne inizia un’altra nel continuum del segnale acustico (nel parlato, non ci sono pause in corrispondenza degli spazi bianchi dello scritto); la funzione demarcativa dell’accento è particolarmente chiara in lingue con accento fisso, cioè in lingue in cui l’accento cade sempre sulla stessa vocale (per es., sempre sulla prima vocale in polacco, sempre sull’ultima vocale in francese). Per esempio, [Mattys et al. 1999] hanno mostrato sperimentalmente che i bambini inglesi di nove mesi usano la posizione dell’accento (oltre ad altri indizi) per stabilire dove inizia una nuova parola. In altre lingue, la posizione dell’accento non è fissa, ma è pur sempre predicibile sulla base di una serie di regole (per es. in latino). Dal punto di vista fonetico, la prominenza della vocale accentata può manifestarsi in diversi modi; l’accento non corrisponde cioè ad una unica caratteristica fisica ma all’insieme di tre caratteristiche :

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- intensità: una sillaba accentata è più forte di una sillaba non accentata, cioè pronunciata con maggiore intensità nell’emissione del flusso d’aria; - lunghezza: una sillaba accentata dura più a lungo di una non accentata; - altezza tonale: una sillaba accentata ha una maggiore altezza tonale, cioè le corde vocali vibrano con maggiore frequenza. Il modo in cui questi tre fattori contribuiscono all’accento varia entro certi limiti da lingua a lingua; in italiano i principali correlati fisici della vocale accentata sono la lunghezza e l’intensità, mentre in altre lingue prevale l’altezza tonale, mentre in altre lingue, come il giapponese e lo svedese, la vocale accentata è caratterizzata da una variazione in altezza rispetto ai segmenti circostanti; in svedese ci sono anche casi in cui una variazione in altezza tonale risulta distintiva. Si distinguono perciò due tipi di accento: - accento dinamico (dell’italiano), in cui l’altezza tonale non è rilevante; - accento musicale, avente come correlato fonetico principale l’altezza tonale. In alcune lingue, come l’italiano (o l’inglese, il tedesco, il giapponese), l’accento può avere funzione distintiva, mentre in altre la sua posizione è predicibile e quindi non è distintiva: méta metà àncora ancòra prìncipi princìpi pàpa papà parlo parlò Tuttavia, anche in italiano i casi in cui l’accento ha funzione distintiva sono piuttosto rari, e per lo più l’accento tende a cadere sulla penultima vocale. In una lista di 8857 parole italiane foneticamente trascritte (gentilmente fornitami da Piero Cosi del CNR per la Fonetica di Padova) ho trovato che ben 7160 parole (più dell’80%) hanno l’accento sulla penultima sillaba. Dunque, anche in lingue in cui l’accento svolge occasionalmente una funzione distintiva, esso può svolgere al contempo una funzione demarcativa. Dobbiamo inoltre distinguere tra accento primario e accenti secondari, cioè accenti di sillabe meno prominenti di quelle con accento primario ma più prominenti di quelle atone: ’’mara’tona ’’trasforma’zione ’’serena’mente ’’complemen’tare ’’aggiusta’mento

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In un enunciato, tra le sillabe portatrici di accento alcune sono più prominenti di altre; i diversi gradi di accentuazione di un enunciato costituiscono il contorno ritmico: dovéva andArci il mése prOssimo le segretArie avrànno spedIto la lEttera i vòstri amIci avévano telefonAto da témpo Lunghezza/durata I sistemi linguistici possono sfruttare la distinzione tra foni di durata “normale” e foni prodotti con una durata maggiore, cioè l’opposizione di lunghezza tra foni brevi e foni lunghi. Tipicamente, si rappresentano nella trascrizione solo i foni lunghi, che nella tradizione IPA vengono marcati dal crono (consistente in due punti [:]) posto alla destra del simbolo del fono. Se un fono non è esplicitamente marcato come lungo, vuol dire che è breve. La lunghezza è una caratteristica fonetica soprasegmentale che può avere valore distintivo; per esempio, l’italiano ha una distinzione tra consonanti lunghe (dette anche geminate) e consonanti brevi; la lunghezza consonantica in italiano ha valore distintivo: pala palla papa pappa fata fatta fato fatto fumo fummo Tuttavia, i seguenti foni consonantici non permettono un contrasto di lunghezza in italiano, nel senso che sono sempre lunghi in posizione intervocalica [ts dz S ñ gl], ma non ad esempio in inizio di parola. Si noti che in lingue come l’inglese o il tedesco non c’è una distinzione tra consonanti brevi e lunghe, anche se l’ortografia potrebbe ingannarci: per esempio, la [t] nel tedesco Mitte ‘mezzo’ non è significativamente più lunga della [t] in Miete ‘affitto’; la presenza di una geminata ortografica indica piuttosto che la vocale precedente è breve. Inoltre, in lingue quali il tedesco o il latino la lunghezza vocalica è distintiva: Stadt vs Staat (indipendentemente dalla resa grafica queste due parole si distinguono solo per la lunghezza della vocale a). latino rosa nom. vs rosa abl. In italiano invece non esiste una distinzione fonemica tra vocali lunghe e vocali brevi; la lunghezza vocalica non ha valore distintivo perché è predicibile dal contesto: le vocali accentate tendono ad essere più lunghe delle vocali non accentate; in particolare, una vocale accentata in sillaba aperta non finale di parola si allunga: ma’la:to se’re:no va’gi:to pa’ro:la pa’lu:de

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Per esempio, la [e] di pero è più lunga della [e] di però, e si potrebbe annotare, in una trascrizione relativamente stretta, come lunga: [‘pe:ro]. La vocale di una sillaba aperta tonica è quindi più lunga della corrispettiva vocale in sillaba chiusa o di quella in sillaba aperta ma atona. Il giapponese è un esempio di lingua dove c’è un chiaro contrasto fonologico sia tra vocali lunghe e vocali brevi che tra consonanti lunghe e consonanti brevi. Tono/Intonazione La frequenza con cui vibrano le corde vocali determina l’altezza tonale di un suono: tanto più alta la frequenza, tanto più acuto il suono. In molte lingue (forse tutte), la possibilità di variare l’altezza/tonalità dei foni sonori (cioè, da un punto di vista articolatorio, la velocità di vibrazione delle corde vocali) viene sfruttata per trasmettere informazioni di natura sintattica o pragmatica. I parlanti hanno a propria disposizione una serie di altezze tonali; in alcune lingue, dette tonali, la variazione ha valore distintivo all’interno della parola, cioè due elementi lessicali possono essere identici quanto a contenuto segmentale e differire solo per il tipo di tono associato ad una sillaba. Ciò accade nel cinese mandarino, che ha quattro toni: un tono costante (alto) e tre toni modulati (ascendente, discendente, discendente-ascendente). In italiano il tono non è distintivo , ma le variazioni di altezza tonale sono utilizzate nell’intonazione per distinguere significati a livello frasale; per esempio, in italiano una frase che finisce con un andamento tonale discendente suona come una dichiarativa, mentre una frase che finisce con un andamento tonale ascendente viene interpretata come la corrispondente interrogativa sì/no (lo stesso vale per singoli sintagmi): Viene anche Luca vs Viene anche Luca? E’ partito Gianni vs E’ partito Gianni? domani vs domani? con sua sorella vs con sua sorella? La successione dei toni di un enunciato ne costituiscono il contorno intonativo o melodia.

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Cenni di trascrizione fonetica e fonologica Nella /trascrizione fonologica/ vanno segnate esclusivamente le informazioni distintive di significato, quindi:

a) i fonemi (e non gli allofoni); b) l’accento (che in italiano può essere distintivo di significato: meta/metà, principi/princìpi, àncora/ancora); c) l’allungamento di consonanti geminate che abbiano funzione distintiva (es. di geminate distintive: caro/carro, cala/calla, fumo/fummo, cacio/caccio, mogio/moggio NB: attenzione a non inserire la i ortografica)

Nella [trascrizione fonetica] vanno invece inserite anche le distinzioni allofoniche e tutti gli allungamenti fonetici sia vocalici che consonantici; le informazioni da inserire in trascrizione fonetica sono quindi:

a) gli allofoni di /s/ e di /n/; b) l’accento; c) il crono in sillabe aperte accentate; d) il raddoppiamento consonantico, anche con le seguenti consonanti

che sono sempre lunghe in posizione intervocalica: gn, gl, sc, ts, dz (le altre consonanti doppie vanno segnate anche in trascrizione fonologica)

quindi parole come aglio, ignoto, ascia, azzerare, ozono, ramazza, ozio vanno segnate con una doppia solo in trascrizione fonetica parole come ammazzare, agnello, ascellare, taglieggiare, azzurro vanno con una doppia sia in trascrizione fonetica che fonologica per la consonante che è distintiva ma solo in trascrizione fonetica per quella che non lo è (gn, sc, gl, ts, dz)

Trascrizione Fonetica Trascrizione Fonologica

giocondo [dZo’kondo] /dZo’kondo/

Commento: Si veda il commento precedente per l’accento primario e il crono. Notiamo che la ‘i’ all’interno della sillaba ‘gio’ è ortografica, posta cioè per disambiguare il valore del grafema <g> che in italiano si usa per i suoni [g] e [dZ]. Il crono non va messo perché la sillaba portatrice di accento è chiusa (termina per consonante).In questo caso le due trascrizioni coincidono.

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languire [laη’gwi:re] /lan’gwire/

Commento: usiamo in trascrizione fonetica il fono nasale velare [ ] perché si trova davanti all’occlusiva velare sorda [g]. Il fono [ ] è un allofono (variante contestuale) del fonema /n/ che viene riportato in trascrizione fonologica. Segniamo il crono [:] per la lunghezza vocalica della vocale [a]. Ricordiamo che ogni sillaba aperta (cioè che termina per vocale, ad esempio CV, CCV ecc.) portatrice di accento primario è sempre lunga. La lunghezza vocalica non è distintiva di significato e perciò non viene segnata in trascrizione fonologica. Segniamo l’accento primario con l’apice posto in alto a sinistra della sillaba portatrice di accento: in questo caso [‘gwi:]. L’accento primario è distintivo di significato (si consideri la coppia minima meta – metà) e va segnato sempre anche in trascrizione fonologica.

invece [iM’ve:tSe] /in’vetSe/

Commento: Segniamo il fono nasale labiodentale [M] perché si trova davanti alla fricativa labiodentale [v]. Anche questo è un allofono di /n/ e pertanto non si riporta in trascrizione fonologica. Il suono [tS] non è sempre lungo in posizione intervocalica, ma può esserlo creando così una coppia minima (ad esempio, cacio / caccio; micia / miccia)

ignoto [i ’ O:to] /i’ Oto/

scoglio [‘skOλλo] /’skOλo/

ozono [od’dzO:no] /o’dzOno/ ramazza [ra’mattsa] /ra’matsa/

Commento: In italiano standard alcuni suoni [L, N, S, dz, ts,] sono sempre lunghi in posizione intervocalica e pertanto vanno allungati in trascrizione fonetica; la loro lunghezza non è distintiva e pertanto essa non va trascritta in trascrizione fonologica.

ammazzare [ammat’tsa:re] /amma’tsare/

ascellare [aSSel’la:re] /aSel’lare/ straccio [‘stracco] /‘stracco/

Commento: si ha raddoppiamento sia in trascrizione fonetica che fonologica per la consonante che è distintiva, ma solo in trascrizione fonetica per quella che non lo è. vela – mela /v/ ela /m/ ela

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E’ una coppia minima perché sostituendo il fonema /v/ con il fonema /m/ otteniamo un cambio di significato poso - sposo poso s poso Non è una coppia minima perché è presente un segmento in più, /s/. pera – perla per a per l a Non è una coppia minima perché è presente un segmento in più, /l/. pala – palla pa l a pa ll a