Giornalotto N° 3 A.S: 2012-2013

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Dedicato al Preside Giordano Liceo Volta _ Dicembre 2012 Anno 13° _ Numero 2_ € 0,00 in Italia (€ 500,99 all’estero) Facebook page: Il Giornalotto - [email protected] Il GIORNALOTTO The DAYALOT Le JOURNALOT El HYORÑALOTO Ιλ ΓΙΟΡΝΑΛΟΤΤΟ Ιλ ΓΙΟΡΝΑΛΟΤΤΟ Ιλ ΓΙΟΡΝΑΛΟΤΤΟ Ιλ ΓΙΟΡΝΑΛΟΤΤΟ DIESLOTTUS Faceva freddo, tanto freddo (no, non è un resoconto della giornata-po al Volta). E nevicava. Mi ero vesta tanssimo, ma il freddo penetrava nelle ossa e nello stomaco. La guida ci aspeava all’ingresso della prima baracca. Araversam- mo quel cancello nero e greve che fiumi di uomini e donne in camicia di flanella a righe avevano varcato con occhi persi e cuore svuotato. Dopo un rapido sguardo alla famigerata scria, che in quel momento tanto mi vergognavo di saper capire, entrammo nell’immenso spiazzo coperto di neve. L’estensione e la simmetria erano incredibili. Le baracche di legno si susseguivano l’una di fianco all’altra per metri e metri, tue uguali, forse per dare agli occupan un senso di parità, proprio fra loro, i non pari, i diversi. Le torri appun- te incombevano alle mie spalle, tetre. Temevo quasi, irra- zionalmente, che, nel silenzio ovaato che regnava, si sa- rebbe presto sento un cigolio e che l’immenso cancello si sarebbe chiuso dietro di me. Così non fu, almeno per me. Accompagna dal suono grave della voce fonda della guida, entrammo, quindi, nella prima baracca. I raccon già sen, le parole già dee, i suoni già immagina ripopolarono quelle camerate anguste e gelide dei fantasmi che le aveva- no abitate. Vedevo gli scheletri, gli occhi spen e dispera, le mani argliate protese verso un Dio forse dimenco di loro, le stelle gialle e i triangoli rossi. La voce della guida li aveva fa. tornare lì davan a me, anzi per me. Per farmi capire l’orrore e la paura, gli stessi che credevo di aver già compreso, ma che invece mi erano ancora totalmente sco- nosciu. Poi uscimmo e ci spostammo in una costruzione più grande. Scendemmo delle scale di legno incastrate fra due muri. Scivolammo soo un vecchio cartello riquadrato. “Gaskammern”. Tu. tacevano e lanciavano sguardi rapidi sopra le proprie teste, prima di accedere dalla piccola porta nella grande stanza. Ci fecero entrare tu., anche se stava- mo stre.. La porta era molto spessa e l’unica apertura era costuita da una sorta di oblò di vetro al centro. Per guar- dare un’ulma volta la terra ferma prima di immergersi e non tornare più in superficie. Delle docce di metallo sporge- vano dal soffio e un intrico di tubi stor si dipanava in tue le direzioni, come le radici degli alberi soo il selciato dei marciapiedi. Peccato che ques non trasportassero ac- qua e nutrimen al fusto. La voce della guida connuava, ritmica e greve, a riempire lo spazio intorno a noi di figure e numeri, soprauo di numeri. Le cifre di tu. quelli che avevano concluso la propria vita guardando quel groviglio di tubature sul muro. Oppure, peggio ancora, cogliendo di sfuggita una svasca o una capigliatura perfeamente cura- ta al di là dell’oblò e il ghigno soddisfao stampato sopra, di chi ha fao bene il suo lavoro. Uscimmo, risalendo le scale e ci dirigemmo nel complesso a fianco. Lì, alla fine di un’altra rampa di stre. scalini, defor- ma al centro da tue le scarpe con la suola di metallo che, impoten, l’avevano scesa, ci aspeavano due forni crema- tori. Dietro agli sportelli anneri mi sembrava di vedere le facce distrue e scheletriche di chi lì aveva deo addio al proprio corpo. Senvo risuonare le risate di scherno o gli ordini in tedesco degli ufficiali. Rabbrividii e cercai di strin- germi più forte nel cappoo. Ma quello, certo, non era un freddo da combaere con il calore della lana. Due di noi intonarono un canto in ebraico e infransero, come in un’e- splosione, il silenzio teso che fino ad ora aveva regnato. Le loro voci si insinuarono in ogni angolo, dentro ai due im- mensi forni, dentro al mio peo. In quella canna, probabil- mente, era la prima volta che risuonava qualcosa del gene- re. Nella semioscurità vidi guance rigate di lacrime e seni che anche coloro che non cantavano vibravano per l’emo- zione. Eravamo tu. lì, insieme, per loro. Per fare memoria, ma non era il 27/01. Poi da due ragazze alle mie spalle si levò una risata, imba- razzante e oscena, che squarciò le voci limpide che cantava- no e l’aria densa di pensieri cupi e orrore. 27/01 NON DEVO MANDARE PIÙ L’EDITORIALE IN RITARDO, NON DEVO MANDARE PIÙ L’EDITORIALE IN RITARDO, NON DEVO MANDARE PIÙ L’EDITORIALE IN RITARDO, NON DEVO MANDARE PIÙ L’EDITO- RIALE IN RITARDO, NON DEVO MANDARE PIÙ L’EDITORIALE IN RITARDO Il Direttore Agnese Anzani 4F

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Il terzo numero del Giornalotto, il giornale degli studenti del Liceo A.Volta di Milano, dell'anno scolastico 2012/2013

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Dedicato al Preside Giordano Liceo Volta _ Dicembre 2012

Anno 13° _ Numero 2_ € 0,00 in Italia (€ 500,99 all’estero) Facebook page: Il Giornalotto - [email protected]

Il GIORNALOTTO The DAYALOT Le JOURNALOT

El HYORÑALOTO Ιλ ΓΙΟΡΝΑΛΟΤΤΟΙλ ΓΙΟΡΝΑΛΟΤΤΟΙλ ΓΙΟΡΝΑΛΟΤΤΟΙλ ΓΙΟΡΝΑΛΟΤΤΟ

DIESLOTTUS

Faceva freddo, tanto freddo (no, non è un resoconto della

giornata-�po al Volta). E nevicava. Mi ero ves�ta tan�ssimo,

ma il freddo penetrava nelle ossa e nello stomaco. La guida

ci aspe�ava all’ingresso della prima baracca. A�raversam-

mo quel cancello nero e greve che fiumi di uomini e donne

in camicia di flanella a righe avevano varcato con occhi persi

e cuore svuotato. Dopo un rapido sguardo alla famigerata

scri�a, che in quel momento tanto mi vergognavo di saper

capire, entrammo nell’immenso spiazzo coperto di neve.

L’estensione e la simmetria erano incredibili. Le baracche di

legno si susseguivano l’una di fianco all’altra per metri e

metri, tu�e uguali, forse per dare agli occupan� un senso di

parità, proprio fra loro, i non pari, i diversi. Le torri appun�-

te incombevano alle mie spalle, tetre. Temevo quasi, irra-

zionalmente, che, nel silenzio ova�ato che regnava, si sa-

rebbe presto sen�to un cigolio e che l’immenso cancello si

sarebbe chiuso dietro di me. Così non fu, almeno per me.

Accompagna� dal suono grave della voce fonda della guida,

entrammo, quindi, nella prima baracca. I raccon� già sen��,

le parole già de�e, i suoni già immagina� ripopolarono

quelle camerate anguste e gelide dei fantasmi che le aveva-

no abitate. Vedevo gli scheletri, gli occhi spen� e dispera�,

le mani ar�gliate protese verso un Dio forse dimen�co di

loro, le stelle gialle e i triangoli rossi. La voce della guida li

aveva fa. tornare lì davan� a me, anzi per me. Per farmi

capire l’orrore e la paura, gli stessi che credevo di aver già

compreso, ma che invece mi erano ancora totalmente sco-

nosciu�. Poi uscimmo e ci spostammo in una costruzione

più grande. Scendemmo delle scale di legno incastrate fra

due muri. Scivolammo so�o un vecchio cartello riquadrato.

“Gaskammern”. Tu. tacevano e lanciavano sguardi rapidi

sopra le proprie teste, prima di accedere dalla piccola porta

nella grande stanza. Ci fecero entrare tu., anche se stava-

mo stre.. La porta era molto spessa e l’unica apertura era

cos�tuita da una sorta di oblò di vetro al centro. Per guar-

dare un’ul�ma volta la terra ferma prima di immergersi e

non tornare più in superficie. Delle docce di metallo sporge-

vano dal soffi�o e un intrico di tubi stor� si dipanava in

tu�e le direzioni, come le radici degli alberi so�o il selciato

dei marciapiedi. Peccato che ques� non trasportassero ac-

qua e nutrimen� al fusto. La voce della guida con�nuava,

ritmica e greve, a riempire lo spazio intorno a noi di figure e

numeri, sopra�u�o di numeri. Le cifre di tu. quelli che

avevano concluso la propria vita guardando quel groviglio di

tubature sul muro. Oppure, peggio ancora, cogliendo di

sfuggita una svas�ca o una capigliatura perfe�amente cura-

ta al di là dell’oblò e il ghigno soddisfa�o stampato sopra, di

chi ha fa�o bene il suo lavoro.

Uscimmo, risalendo le scale e ci dirigemmo nel complesso a

fianco. Lì, alla fine di un’altra rampa di stre. scalini, defor-

ma� al centro da tu�e le scarpe con la suola di metallo che,

impoten�, l’avevano scesa, ci aspe�avano due forni crema-

tori. Dietro agli sportelli anneri� mi sembrava di vedere le

facce distru�e e scheletriche di chi lì aveva de�o addio al

proprio corpo. Sen�vo risuonare le risate di scherno o gli

ordini in tedesco degli ufficiali. Rabbrividii e cercai di strin-

germi più forte nel cappo�o. Ma quello, certo, non era un

freddo da comba�ere con il calore della lana. Due di noi

intonarono un canto in ebraico e infransero, come in un’e-

splosione, il silenzio teso che fino ad ora aveva regnato. Le

loro voci si insinuarono in ogni angolo, dentro ai due im-

mensi forni, dentro al mio pe�o. In quella can�na, probabil-

mente, era la prima volta che risuonava qualcosa del gene-

re. Nella semioscurità vidi guance rigate di lacrime e sen�i

che anche coloro che non cantavano vibravano per l’emo-

zione. Eravamo tu. lì, insieme, per loro. Per fare memoria,

ma non era il 27/01.

Poi da due ragazze alle mie spalle si levò una risata, imba-

razzante e oscena, che squarciò le voci limpide che cantava-

no e l’aria densa di pensieri cupi e orrore.

27/01

NON DEVO MANDARE PIÙ L’EDITORIALE IN RITARDO, NON DEVO MANDARE PIÙ L’EDITORIALE IN RITARDO, NON DEVO MANDARE PIÙ L’EDITORIALE IN RITARDO, NON DEVO MANDARE PIÙ L’EDITO-

RIALE IN RITARDO, NON DEVO MANDARE PIÙ L’EDITORIALE IN RITARDO

Il Direttore

Agnese Anzani 4F

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E.N.P (ente-non-profit): Vidas Nel mondo ci sono oltre 30.000 enti beneficiari,

ma oggi voglio scrivere e parlare solo di 1: Vidas.

Vidas è un ente non profit fondato nel 1982 dalla

signora Giovanna Cavazzoni. La sede principale e

lo hospice sono qui a Milano, ma l’associazione

opera anche in 104 comuni della provincia. Essa

ha un equipe di medici, infermieri, psicologi, fisio-

terapisti, assistenti sociali, operatori per l'igiene

personale esperti in Cure Palliative e in Terapia

del Dolore, tutti retribuiti dall'Associazione. I 1600

pazienti curati ogni anno costituiscono oggi la più

ampia capacità assistenziale in Europa fra i servizi

similari. Ad essi si affiancano i volontari dopo aver

superato una attenta selezione e aver partecipato

a un corso di formazione.

Oggi intervisterò il Dottor Luigi Rebosio, psicologo

che ha gentilmente offerto il suo tempo per que-

sta intervista

-Da quanto tempo è qui, come è entrato e per-

ché ?

Io sono qui a Vidas da 18 anni circa. Come sono

entrato qua? Io ho sempre lavorato in psichiatria,

praticamente fino a qualche anno fa quando sono

andato in pensione e ho sempre avuto, sostan-

zialmente, queste due passioni: la malattia men-

tale, i “matti” usando un termine un po’ brutale, e

fin da piccolo avevo questa passione sul concetto

di morte. E niente. Avevo una collega in psichia-

tria, che sapeva di questa mia passione perché ho

studiato tanto il processo a morire degli psicotici,

dei grandi depressi e queste cose qui in manico-

mio perché io ho lavorato moltissimi anni in mani-

comio, e allora mi aveva fatto sapere che c’era un

posto da psicologo qui a Vidas e, vista la mia pas-

sione per i morenti, mi ha chiesto se volessi an-

dare a prestare delle ore e la cosa mi ha interes-

sato molto, ho mandato il curriculum, ho tenuto

un colloquio e sono stato preso. Il problema del

perché dei morenti è che mi sono sempre posto

questa domanda sin da piccolo e poi, avendo stu-

diato il processo a morire degli psicotici, ho deciso

di affrontare anche il processo a morire nelle per-

sone normali.

- Ok. Tornando su quello che Vidas fa, ovvero so-

stegno completo e gratuito ai malati terminali, lei

come psicologo, all’interno di questo sostegno,

che ruolo ricopre?

Devo dire che questo tipo di lavoro è molto cam-

biato nell’arco dei tempi per un motivo molto

semplice: se prima avevamo delle assistenze che

duravano molto tempo, magari 6-8 mesi, da un

po’ di tempo in qua le assistenze in tempo si sono

ridotte moltissimo, fai conto che la media minima

di tempo con pazienti visti a casa è circa di 30

giorni, mentre per i pazienti del hospice è sugli 11

giorni. Infatti quando c’era molto tempo tu potevi

condurre proprio il paziente in tutto questo per-

corso: cogliere i suoi dubbi, le sue paure, le sue

speranze, le sue delusioni e cose del genere e in

modo particolare anche per quanto concerne la

famiglia. Infatti il processo a morire non va a toc-

care solo il soggetto, ma anche tutta la famiglia.

Comunque in 30 giorni lo psicologo non viene at-

tivato subito, ma dopo una settimana e inoltre

l’ultima settimana è il periodo dove il paziente è

meno afferrabile a causa della malattia, delle me-

dicine e ecc. quindi il tempo di lavoro dello psico-

logo è meno di 2 settimane. Infatti a differenza

del passato oggi si lavora di più sulla relazione tra

il paziente e i suoi familiari con lo scopo di creare

un clima familiare più tranquillo. Questo è il lavo-

ro.

-Negli incontri con i parenti di solito cosa si fa?

Di solito nei casi di parenti di malati terminali che

hanno bisogno della figura dello psicologo (che

sono meno del 20%) si ha la situazione che i pa-

renti vogliano che il malato viva più a lungo, an-

che se in realtà non si può. E quindi all’interno

della famiglia si creano dei problemi di conflitto. Il

concetto è complicato e io lo chiamo “teoria del

pendolo”: succede a un malato terminale e anche

ai suoi parenti e in pratica consiste nella creazio-

ne di 2 universi paralleli nella psiche del paziente

e dei suoi familiari da parte dal paziente stesso o

dai familiari stessi. I 2 universi sono l’universo

della realtà( che è appunto la realtà e quindi la

consapevolezza della morte in arrivo) e l’universo

illusorio. Quest’ultima è un’area dove il creatore

di questa è in balia della propria falsa credenza

che per il familiare (o se stesso nel caso in cui

fosse il malato stesso a crearla) ci sia ancora pos-

sibilità di salvezza. Se il morente e i familiari si

trovano nella stessa area, la situazione è priva di

conflitti. Il discorso è diverso però se alcuni mem-

bri stanno in un’area e altri in un’altra e infatti è

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proprio da questo che nascono i conflitti. A questo

punto se in una famiglia ci sono conflitti di questo

tipo, allora viene mandato uno psicologo a cerca-

re di attenuare la situazione pre-morte per il ma-

lato.

-Invece con i pazienti come agisce?

Allora, anche qui tutto dipende dalla quantità di

tempo a disposizione. Non sempre ci azzecchiamo

riguardo alla stima sul tempo ancora rimastogli.

Comunque non esiste un lavoro standard, ma

tutto dipende dal soggetto, dal suo bisogno. Il

problema che trovo in tutti i pazienti, religiosi e

non, è la loro paura di essere dimenticati. È l’ele-

mento centrale. Per il morente quello che è fon-

damentale è che una volta scomparso lui possa

continuare a vivere nella testa delle persone a lui

care. Uno dei temi di discorso è questo mentre un

altro tema è il mettersi tranquillo e cercare di si-

stemare le problematiche aperte risolvendole.

Tutto questo accompagnato da certi momenti in

cui il paziente è consapevole che sta morendo e in

certi momenti dove ha tutta una sua area di spe-

ranza. Appunto, come ho detto prima, questa è

quella che io definisco “teoria del pendolo”; ovve-

ro continuano a oscillare da un’area all’altra. Per-

ché restare sul pezzo e continuare a pensare che

tu stia per morire per la psiche è veramente mol-

to difficile da accettare. Questo però fino agli ulti-

mi giorni.

- Questo riguardo ai pazienti. Non ci sarà molta

differenza con i parenti?

E’ uguale. La cosiddetta “teoria del pendolo” vale

anche per i parenti, nel senso che anche loro un

giorno dicono che lo sanno, che non c’è nulla da

fare eppure il giorno dopo si sentono più speran-

zosi, il che è determinato dalla presenza o no di

sintomi molto valenti ossia: quando il corpo tace

(nel senso che tu sei morente ma non senti dolori

fisici) allora si apre la finestra della speranza.

Quando invece il corpo comincia a parlare (nel

senso che il paziente avverte dolore) si ritorna

alla finestra della realtà. Tutto questo discorso

vale sia per il paziente che per i parenti.

-A questo punto cosa si deve fare? Mantenere una

speranza effimera o una realtà deprimente e

asfissiante?

Questo è interessante. Cosa si deve fare? Mante-

nere la speranza oppure restare sul fronte della

realtà? Mantenere una finta speranza è come reg-

gere il gioco a una grande bugia. Ritornando alla

così chiamata “teoria del pendolo” l’area illusoria

è il linguaggio della mente. Con il pensiero puoi

fare quello che vuoi e quindi puoi anche credere

di potercela fare, il che va contro l’area reale che

è il linguaggio del corpo ( il dolore, la stanchezza

e ecc.). Quindi l’area illusoria è tutta una costru-

zione falsa della mente del paziente per farlo tor-

nare in una fase di onnipotenza. Sintetizzando

l’area illusoria è una presa per i fondelli che serve

a livello emotivo, mentre l’area di realtà è la con-

sapevolezza malinconica e depressiva della real-

tà . Quindi, sul piano terapeutico, per ritornare

sul tema della domanda, il processo terapeutico è

un processo di accompagnamento. Il sostegno,

che lo psicologo offre, è un accompagnamento

alla morte. Se il paziente è sul dato di realtà, si

accompagna sul dato di realtà, non banalizzando-

lo. Se il paziente è sull’area illusoria, si accompa-

gna sull’area illusoria, anche se è più complesso

perché, se il paziente è su un’area illusoria, gli si

deve rispondere in modo da non crearne un’altra

e anche in modo da non distruggere quella pre-

esistente. La stessa cosa per quanto riguarda i

parenti. Questo è il sostegno che lo psicologo, e la

stessa Vidas in generale, offre ai malati: l’accom-

pagnamento. E’ questa la parola chiave. Dimmi

dove vuoi andare (lo sappiamo), ma come vuoi

andare là e io ti starò accanto. Questo è il pensie-

ro.

- Ok. Invece dopo la separazione tra il malato e i

parenti di questo, dato che la teoria del pendolo

vale anche per i parenti che succede dopo?

Allora, questa è una domanda più incentrata

sull’elaborazione del lutto, cosa che anche Vidas

fa. Nel caso in cui, prima della morte del loro ca-

ro, fossero nel dato della realtà, soffrono, ma es-

sendo preparati poiché se lo aspettavano, il dolo-

re è minore. Nel caso opposto, ovvero in cui il pa-

rente in precedenza fosse nell’area illusoria, il do-

lore è molto più forte e talvolta si cerca di trasfor-

mare il disorientamento dando la colpa a qualcosa

o qualcuno. In pratica il disorientamento si tra-

sforma in rabbia .Sebbene tutto però dipende

molto anche dal soggetto.

Questa è stata l’intervista fra me e il dottor Luigi

Rebosio, psicologo militante a Vidas, azienda che

ogni giorno sostiene malati terminali e i loro fami-

liari.

Roberto Mazza 2D

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Le grandi certezze del dopoguerra, certezze po-litiche, economiche, sociali, sono crollate ormai da cinque anni; in sostituzione di queste ho sen-tito i peggiori improperi a un qualsivoglia co-mune buonsenso. Ciò che ho trovato più assur-do è stato il gettarsi di fin troppe persone in ar-gomenti complessi come questi senza una “bussola” per orientarsi in tale oceano. Prima di muovere un solo piede in questa giungla che chiamiamo Mondo, bisogna definire un concet-to fondamentale, senza il quale non si può par-lare di politica, né di altro che concerne l’uomo: il concetto stesso di uomo. E allora occorre ri-tornare indietro col tempo, fino al principio di tutto, quando l’universo fece il suo primo movi-mento. Poco importa cosa vi fosse prima, per-ché non può essere chiamato universo, né ciò che vi scorreva era tempo, né lo spazio esisteva. Da questo primo movimento si può dire sia na-to un principio ordinatore, che ha incanalato il divenire della materia appena formatasi entro un sentiero ben preciso; ma dove porta questo sentiero? Si può facilmente constatare che porta all’evoluzione della materia: questa si aggrega in forme sempre più complesse, che a loro volta si aggregano, migliorano, tendono al perfetto. Ovviamente, essendo pura finalità, possiede un traguardo, non lontano da quello che intuì Ari-stotele, ovvero un motore immobile; immobile perché il movimento è mutamento e migliora-mento, ma questo è perfetto e non muta; moto-re perché “attrae” verso la sua perfezione ogni altro ente. Questo forza intrinseca si è manifestata fino ad ora in tre forme: tramite le leggi fisiche, le leggi della psiche e la volontà. Tali manifestazioni possono essere considerate come le delimitazio-ni della metaforica strada percorsa dal destino, che indirizzano il cammino verso il traguardo infinito. Le leggi fisiche sono proprie dello sta-dio più semplice, ove ogni particella vede guida-te da queste ogni relazione con la totalità delle cose. Bisogna considerare questa prima fase co-me un sentiero molto ampio e pieno di devia-zioni; l’evoluzione qui è lenta e subisce inciam-pi, ma non è un’evoluzione casuale, perché tutto tende alla perfezione ed alla complessità, anche ciò che non è dotato di intelligenza alcuna. Pian piano si giunge comunque allo stadio dell’essere

vivente, guidato dalle leggi della psiche, che si vanno ad aggiungere alle altre leggi, rendendo il sentiero più preciso, meglio delimitato. All’ini-zio vi è solo il DNA come centro della psiche, che a sua volta si manifesta nell’istinto. Si for-mano così leggi proprie del vivente come ripro-dursi o sopravvivere. Presto dal DNA scaturi-scono nuove forme di psiche, che tuttavia si li-mitano a funzioni di appoggio all’istinto, degli apparati di supporto. Si passa alla terza manife-stazione quando l’individuo vivente comprende l’esistenza di se stesso e la sussistenza in quanto individuo, a sé stante rispetto alla totalità delle cose. Da qui nasce la volontà, che non è altro che l’intendimento di sé in quanto ente che pos-siede uno scopo preciso, ed ormai si vuole e-mancipare da ogni precedente legge per decide-re il proprio cammino punto per punto. Non solo, è anche intendimento di sé come qualcosa di diverso e di distaccato dal resto del creato. Si giunge all’apice con l’uomo, la cui forza risiede nell’essere animale sociale; infatti, inizialmente individualista, l’essere umano è spinto ad avvi-cinarsi agli altri. All’inizio è un semplice istinto sessuale di riproduzione, ma poi questo amore che lo guida diventa via via sempre più com-plesso e si diversifica in varie forme (si pensi all’amicizia, per esempio). Nelle relazioni studia l’altro per capire se stesso, se stesso per capire l’altro; inoltre, per la prima volta, studia il mez-zo per pervenire al fine (si pensi all’utilizzo di utensili): crea il concetto di bene materiale, connesso a quello di proprietà, si evolve attra-verso la propria intelligenza ed i propri utensili e se ne serve per cancellare dalla faccia della terra ogni predatore che si oppone alla sua sca-lata al potere; il vecchio soccombe, rimangono solo le specie che possono convivere con l’uo-mo. Imparando a vivere di comune accordo con i rimanenti, ha compreso di far parte di una specie, e poi di far parte dell’insieme dei viventi, e poi di far parte dell’universo. Si trova però presto di fronte ad un ostacolo: non vi sono mezzi per il sostentamento di ognu-no. Viene così a spezzarsi il pur robusto equili-brio d’amore tra i viventi e l’uomo è costretto ad operare delle scelte tra chi far vivere e chi elimi-nare; crea perciò una scala d’importanza che preservi prima di tutto l’essere più evoluto, e via

Ciò che è

veramente l’uomo

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via tralasci quelli meno evoluti: il figlio è colui che è più importante, seguito da se stessi, quin-di propria razza, specie e così via. Rimane una ferita nell’uomo: la volontà tende al progetto precedente, ma l’istinto di sopravvivenza spinge verso la direzione opposta. Questo conflitto i-stinto-volontà è talmente antico nell’uomo, che è ormai dimentico di questa rottura. Pur si a-vanza, e per farlo vengono istituite nuove socie-tà e nuove leggi, questa volta atte a limitare l’uomo e regolarlo nel contrasto che si è creato con gli altri nella lotta per l’accaparramento dei beni. Questi ultimi hanno modo di progredire grazie alla competizione e al tentativo di conci-lio tra istinto-volontà; il pegno che si paga per un tale premio è un continuo logorarsi dei rapporti tra le persone, poiché si temono a vicenda. Facciamo un balzo al giorno d’oggi: i beni materiali hanno raggiunto tale mole che sono tecnicamente accessi-bili a tutti, hanno creato una rete glo-balizzante che possiede il potenziale per unire il Mondo in un unico grande progetto; l’individualismo tuttavia è estremo, ognuno è predatore e preda dell’altro, tutti dispersi senza meta in una giungla, con l’unico desiderio di sopravvivere. La mancanza di uno scopo al di fuori della sopravvivenza, l’inesi-stenza di qualcosa in cui riporre la propria vita e sacrificarla, sancisce l’infelicità universale. A chi non è capitato una volta di coricarsi, la sera, e sentire una noia opprimente, una vuotezza nella vita? Magari accade ogni giorno, per molti è co-sì. Ciò che la rende piena è un fine a cui si è vo-tata la propria esistenza, qualcosa per cui vale la pena morire. Fin troppo tempo è passato, e l’uo-mo, nella speranza di creare una grande società, un leviatano, ha creato un mostro che lo rende succube delle nuove leggi. Egli, affidatosi all’i-stinto, riconosce solo la sopravvivenza come suo fine, nulla di più. Il processo è saturo e la socie-tà “di competizione” ha raggiunto il suo scopo (l’avanzamento tecnologico), ma ancora non si può liberare, perché deve prima spezzare le ca-tene che nel frattempo si sono formate. Per far-lo l’uomo dovrà operare una vera e propria ri-nascita, percorrendo un viaggio a ritroso, l’op-posto di quello che ho appena descritto. Il viag-gio sarà il medesimo di Dante nella sua Com-media: questi rappresenta inizialmente il proto-tipo dell’uomo comune, che nel mezzo del cam-min della sua vita decide di indagare se stesso; per farlo, ricorre a Virgilio-ragione. Man mano che discende l’Inferno questi comprende ciò che

lo compone: lussuria, violenza, avarizia, tradi-mento etc., che non sono altro che l’istinto di sopravvivenza portato all’estremo del suo indi-vidualismo. Nella scalata del purgatorio egli si spoglia di tutto: il proprio corpo, le proprie e-mozioni, il proprio istinto, la propria realtà, quella in cui vive. Fatto ciò, rimane l’essenziale, ciò che è l’uomo e ciò che senza non ci farebbe uomini: la volontà. Nel paradiso egli giunge per gradi alla sua individuazione, man mano che vi si avvicina trova la felicità e, una volta arrivato, gli è permesso scorgere ciò che è l’essenza del Mondo, ciò che lo muove, ciò a cui questo ten-de. Egli ci lascia immaginare cosa succeda

quando ritorna tra gli uomini: rina-scendo, riprende a sé tutto ciò che ave-va perso, ma se ne fa padrone e non servo, piegando a piacimento ogni leg-ge. Perché Dante una volta morto si ritroverà nel purgatorio? Due motivi:1) perché l’inizio del purgatorio è lo sta-dio attuale dell’umanità 2) Perché l’uo-mo non è propriamente Dio, ma ciò a cui tende attraverso una vita fatta di cammino, e il tendervi è il purgatorio più che il paradiso; perché egli non è altro che volontà, esplicitazione del principio ordinatore, semplice forma e nient’altro, forma che si è impossessa-

ta della materia per giungere al suo fine. Nel mmento in cui ci si comprende in quanto tali è inevitabile che si comprenda ogni altra volontà come sorella, compagna e quindi come fonte di inestimabile ricchezza. La simbiosi è l’inevitabi-le nuovo processo evolutivo, che supera quello darwiniano. Tutto deve essere sottomesso a questo progetto, il superamento di questa socie-tà e la formazione di una che si basi sulla coesi-stenza. E così, giunti alla fine di questa rinasci-ta, il prossimo passo è studiare la propria socie-tà, vedere come essa procede e muoverla in là, opponendosi con tutte le forze a chi pretende di conservarla così com’è. Ormai viviamo in un mondo vecchio, che non riesce più a far fronte al suo stesso sviluppo, tanto che la crisi odierna è di sovrapproduzione, e il progresso tecnologico è sinonimo prima di tutto di progresso bellico; non si è nemmeno più in grado di trarre vantaggio da ciò che è più utile, tutto si ritorce contro, mentre i paradossi sociali si moltiplicano a ritmo incessante. Que-sta è la conclusione a cui si giunge vedendo il Mondo con gli occhi di chi conosce l’uomo: egli riconosce ciò che questa società è, ovvero, un’u-topia avveratasi.

ALESSANDRO D’ALLIO 5E

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Una donna su tre subisce nel corso della propria vita un maltrattamento fisico o psicologico.

Il 90% di queste non denuncia le violenze subite alle autorità.

Nel 96% dei casi gli abusi sono compiuti da parte di familiari stretti o addirittura partner.

Di fronte ai dati sconcertanti sulla violenza sulle donne è sorto un movimento su scala mon-

diale che risponde con un'iniziativa di sensibilizzazione di massa innovativa. Si chiama

1 BILLION RISING: con una mobilitazione sulla rete organizza per il 14 febbraio un evento in

cui le donne e i loro amici si ritrovano per ballare, protestare e per far sentire la propria

voce contro un problema mondiale. “Dance, strike and Rise”: questo lo slogan dell'iniziati-

va denominata V-day. L'obiettivo è coinvolgere nella stessa giornata un miliardo di donne e

uomini in tutto il mondo.

A Milano l'evento si svolge dalle 19,30 alle 20,30 in Piazza Duca d'Aosta (staz. Centrale).

Per approfondire visita: onebillionrising.org e senonoraquando.eu

Il pomeriggio di Capodanno stavo andando in tre-no da Torino a Ivrea. Sono salito sul vagone e con il mio libro mi sono accoccolato sul sedile cercan-do di leggere. Davanti a me si siede un ragazzo sulla ventina ubriaco marcio. Lui sta malissimo: si contorce sul sedile, allunga le gambe sul tavoli-netto comune, continua a cercare una posizione comoda che sembra non trovare mai, borbotta frasi sconnesse, chiude gli occhi cercando un sonno che non arriva. Vicino a me si siede una ragazza: ha la stessa età del tizio davanti a me e all'inizio sembra non conoscerlo. Poi dalla conver-sazione che la mia vicina fa con amici saliti sullo stesso treno capisco che lei è la ragazza del tizio ubriaco. Lei si chiama Anna e lui si chiama Marco. Gli amici sono tutti andati a vedere Marco nel suo penoso stato e Anna dice, quasi a giustificare Marco, affondato nel suo sedile: “Ha bevuto un po' troppo...” Dal suo tono traspare rassegnazione e amarezza, come se fosse una situazione già vissuta, emerge una cupa accettazione, come se quella fosse una cosa normale, una cosa che fa parte della vita di coppia. Gli amici ritornano al lo-ro posto e Anna, tutta premura e affetto, cerca di parlare a Marco: “Hai visto che abbiamo preso in tempo il treno? Vero che ci siamo divertiti questa sera? Dai... coraggio tra un po' sei a casa e ti po-trai riposare...” Marco le risponde a grugniti, la ignora e le dice con voce impastata: “Lasciami stare”. Lei tenta ancora di parlargli; dopo un po' si chiude in un cupo silenzio. Lui intanto continua a scalciare e dimenarsi sul sedile e ogni tanto mor-mora parole sconnesse. Devo ammettere che la situazione mi ha colpito: sembrava che i due fossero all'interno di una sce-na recitata mille volte. Lui e lei vanno la sera con

amici a Torino. Dopo una serata divertente, lui è ubriaco e lei, completamente sobria, si occupa del fidanzato, lo accudisce amorevolmente, lo confor-ta, lo guida a casa. Anna in quel momento è suc-cube dei bisogni di Marco. E questo la faceva soffrire, glielo si leggeva nella faccia triste, negli occhi spenti. Marco in quel momento considerava l'affetto e l'aiuto di Anna come qualcosa di natu-rale, come un gesto doveroso che lei doveva fare a lui. Era così ovvio che lei aiutasse lui che Marco non si degnava neanche di ringraziare per le nu-merosissime premure che lei gli rivolgeva. Entram-bi erano immersi nel comune gioco di ruolo che c'è troppo spesso tra uomo e donna, tra marito e moglie, tra fidanzato e fidanzata. L'uomo fa i pro-pri comodi e la donna si occupa del marito senza ricevere niente in cambio per ciò che gli è dovuto. Ma perché lei non si allontana da lui, che le dà tante sofferenze? Perché Marco non si rende con-to della situazione e non prova a rendere più felice la donna che in fondo ama? Perché sono entrambi vittima di stereotipi di pensiero, ragionamenti fissi da cui è difficile emanciparsi. Atteggiamenti, pa-role, abitudini, tradizioni, sono tutti elementi che si passano tra generazioni che stabiliscono le posi-zioni di uomini e donne nella società, nella fami-glia, nella convivenza quotidiana. In questo para-digma le donne come Anna sono giudicate diver-samente rispetto all'uomo, sono relegate a una posizione di subordinazione rispetto all'uomo, so-no portate a prendersi cura del marito, della casa e della famiglia perché questo è ciò che è dovuto, ciò che ci si aspetta da loro. Lì in quel treno del pomeriggio di Capodanno, na-scosto nel mio libro, pensavo: “E' ora di cambiare questo paradigma”.

Una scena normale

1 BILLION RISING

Stefano Schmidt IV G

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INTRODUCTION – seen and considera-ted the storic-economic conjunctu-re that our economic and commercial productive system is traversing, and seen the always increasing demand of Seriety-Sobriety-Austerity and the necessity of economical actions which can restart our economy (Mountains, 2011) our research department focused its attentions on the monetins of 1 e 2 cents and the use commonly made of it. We were very dubious about them.

MATERIAL AND METHODS – following the method used in every sociological, anthropological or economical resear-ch degn of this name we abstracted ourselves from ourselves in a sort of positive non-marxist alienation, like in the “Persian Letters” of the Fren-ch filosof il cui name I can’t record now. In somm, we left our prejudices behind and took a positive attitude to the thing, applying ourselves in the famous FPS (First Person Scoiona-ment) Method (manna, 2008). The rese-

arches have been made in a lot of different places, but principalment we dedica-ted us to the research in

the scholastic popu-lation (Principal-ly for commodity reasons). We ap-postated oursel-ves like Vietcong

cecchins near the food and coffee macchinet-ts, near the cases of many

shops and in some public cessees. A lot of coffees and Taralli has been consumed during the researches.

RESULTS A) the monetins in question find their utility in a very restricted range of economical and collateral activities, that we elenc here down:A.1) They find their origin as rest for acquists made which price is in the form “K,90 + X” €, where K is a Natural number and X variates from 0,06 to 0,09 cents. This price form is very used to turlipinate young al-locks that tend to arrotond a price per difett.A.2) used as mancia for the old ladies that keep cleaned the publics cessees like in Autogrills (Autogrill, 2010).A.3) Causing smadonnaments in the students that can’t use them in the macchinets but remind of this tropp late as they are yet in the code (Like descripted previously in Ave-ria, 2012)A.4) used as Zavorr in paper planes and BoatsA.5) used as throwing weapons to de-stroy morally politics who are exi-ting corruption processes (Crassi, 1992) like in the times of “Cleaned hands”A.6) used for paying underground con-certs with an ingress by free offert (Anarchos, 2010)B)from a strictly storic-economic point of view the monetins have a valor in old Lires of respectively

INUTILITY OF THE MONETS OF 1 E 2 CENTS: A SAD REALITY OR A FALSE MYTHO?

Research in cure of the A.R.D.Vo. – Anarchic research department of Volta.Relator: Daniele Florean – Voicebringer of the A.R.D.Vo.

ABSTRACT – our research focuses on the scares utility of the little mo-nets of 1 e 2 centeseems de Euro, and is conducted second a very scientific and rigorous method per not to be de-streeted (“Sviati”, ndr) from perso-nal prejudices. The sorprendent results of this work will open wide the ejes of the scectics, presenting a brand new way of exit from the big eco-nomical large-butter we are going inside veryu fast.

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20 and 40 Lit. Analisis conducted in base of reemembrances of our ance-stors quote the scars power of buying of these valors at the transition Old Lires – Euros, wich was per altr com-mon between the valors inferior of 500 Lit (Nonno Bepi, 2012) and this evidence confirmed the substantial inutility of the moneteens

DISCUSSION – the moneteens of 1 and 2 centees confirmed themselves as useless, reenforzing our old convin-ctions in proposit.Their desapparition and the substitu-tion with the now existing monet of 5 cent will grant many advantages like:C.1 – resparmiation on the buying of metallic leagues for the forging of new moneteens: the 5 cent monet will be now made with the recycled 1 and 2 cents. This will cause a great re-sparmiation of public European money!C.2 – restriction of the prices con-sidered in A.1 to the form “K,95 €” or more probabily to the form “K+1,00 €” (If we conosc our polls, the com-merciants) with an increasing use of money and movement of it. And this can contribute to re-launch our disa-stred economy!C.3 – Increasing of the collateral introits of underground music groups and old cleaning ladies with the same conseguences of the point C.2C.4 – reduction of the stress level in the population of liceal students, very meaningful. This can bring to a resparmiations of money spes in the public sanity!C.5 – reduction of the medium wei-ght of the wallets with the reduction of micro fractures and postural er-

rors, with the same conseguences of the previous point (Bones, 2009)

CONCLUSION - the abolition of the moneteens of 1 and 2 centeeseems is an auspicable economical and moneta-rian politic wich will grant prati-cament effortless a lot of benefits in economical field, the same effects that Europe is asking us to achieve with painful provvedeements that are more and more useless.

ACKNOWLEDGEMENTS – we are very very VERY thankful to our heroes, Guides, Leading Lights and unvolontary Tea-chers, Diego Manna and the resear-chers of the Monon Behaviour Research Dept., and we invite our readers to buy their books (Anche only to disco-ver what a CTF factor is. If you have no money, you make people prest it to you, viva l’A e po’ bon). Conseguent-ly we are the same thankful to Ni-colò, also know as the Triestin Faun, who introduced us to the triestin way of life and to the M.Bh.We also have to thank the lot of beer we drank the night we decided to di-vent researchers and found the ARD-Vo. Long live the Hollandia! And our granpas that racconted us a lot of old stories maybe not util but very very funny.And a special thank to that fine girl of probabilment 3rd class, tall, with curly not-so-long dark biond hair, blue eyes and a high (!) CTF factor, presumably friend of our comrade Taj. Sweetheart, you made sopportable the mattutine vision of a lot of ugly fa-ces. We love you.

REFERENCES – in order of citation- M. Mountains, “What Europe and frau Merkel are asking us and why we can’t say them to go eat wurstels”, Rome, 2011- Diego Manna, “Monon behavior – all the essays”, Trieste, various years- Autogrill, “rapport sui cessi autostradali e rendiconto relativo”, per uso interno, 2008- Renzo Averia, “manuale del primino - macchinette”, giornalotto, 2011- Crassi, “de la gentil arte di schivar monete”, Memorandum per il PSI, 1992, Milano- Anarchos (aa.VV.), “noi siamo i punkabbestia facciamo le rapine scippiamo le vec-chiette rapiamo le bambine. Fuoco e Fiamme!”, Etilist edizioni, Muggia, 2010- Nonno Bepi, “Alòre, ce volèisu savé? Memòriis del la fameé”, edizioni Ce Biej Tjimps, Sesto san giovanni, 2012- T.Bones, “Osteopatie indotte nel primo mondo”, Aesklapios edizioni, Padova, 2009

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Paese, cercando di capire se esista ancora speranza o meno per il futuro Italia-no. Gustav infatti, all’arrivo dell’avviso di sfratto, dichi-ara di volersi trasferire a Berlino, lo stivale è una nave che affonda, meglio salvarsi prima di finire sott’acqua. Inutile dirlo, Luca, da buon romano, è troppo attaccato alla propria terra natale e chiede un’ultima chance per dimostrare che non tutto è perduto. Seguendo la ricer-ca dei due ragazzi, il film ci porta quindi in un viaggio a tappe per l’Italia, fermandosi nei luoghi icona, più o meno

positivi, del paese. Il documentario è tanto interessante quanto, in molte parti ahimè, deprimente. La produzione indipendente non va ad inficiare il livello del film, anzi la naturalezza che ne deriva lo avvicina allo spettatore, che a tratti si sente quasi sul retro della macchinina. La colonna sonora è semplice ma azzeccatissima, di quelle che quando si spegne lo schermo continuano a ronzarti nella testa. Le animazioni che accompagnano il viaggio dei due protagonisti parlano di una cinematografia giovane e vivace, senza le forzature che i grandi registi a volte operano per avvicinarsi a realtà che non riescono mai a capire fino in fondo. Insomma sì, se non si è ancora capito il film mi è piaciuto moltissimo e l’ho rivisto due volte. E consiglio a tutti di fare altrettanto.

Frasi Migliori:

“In situazioni come queste io non credo si debba fuggire, io credo si abbia il dovere di rimanere sul posto e di non mollare mai. Perchè il vuoto che si lascia scappando, sarà inevitabilmente occupato da quelle stesse forze dalle quali scappiamo.” - Andrea Camilleri intervistatato da Gustav e Luca

“È incredibile come a 500 metri dalla bruttezza possa esistere la bellezza più assoluta”

“E ma l’Italia è così Gustav, se non ti concentri sulle cose belle non ne esci” - Luca e Gustav a Napoli

Hitchcock 7,5/10Un nome, una garanzia. È lui, il maestro del brivido, il profilo più famoso d’Inghilterra: Alfred Hitchcock! Essere la biografia del più grande regista thriller Britannico però non è l’unica garanzia, ad interpretarlo vediamo infatti un ottimo Hopkins (“Il Silenzio degli Innocenti”) mentre a dirigerlo

Django Unchained 7/103 anni dopo aver trivellato di colpi Hitler, nel piccolo palco di un cinema della Francia occupata, Tarantino si misura con uno dei suoi storici modelli cinematografici: lo spaghetti western. Siamo nell’America 1800esca; Django (la D è muta) è uno schiavo nero che, liberato da un cacciatore di taglie Te-desco ex-dentista (il fantastico Christoph Waltz), tenta di liberare sua moglie dalla piantagione del cattivissimo Mr Candie, non senza prima fare strage di banditi con il liberatore, ora compagno e maestro d’armi. Il film, come da aspettativa, è un cocktail di citazioni, epicità pop e tanto, tanto sangue (non tanto come Kill Bill, ma abbastanza). I pro: il tangibile amore dello spaghetti western, con il cameo di Franco Nero (grande Italiano dell’era dei cowboys, attore nel film “Django” del ‘66) e la canzone del finale, colonna sonora de “Lo Chiamavano Trinità” (non proprio uno spaghetti western quanto una sua parodia, indimenticabile, con Bud Spencer e Terence Hill); la grande inter-pretazione di Christoph Waltz, che dopo la performance, che gli valse l’os-car, in “Unglorious Bastards”, si conferma come grande interprete, forse tra i migliori degli ultimi anni. I contro: la prolissità delle quasi tre ore di film, causata soprattutto dalla scelta di unire nella sceneggiatura due mac-

ro-sequenze, la liberazione e “formazione” di Django e la liberazione della moglie; la mancanza di elemen-ti veramente provocatori o veramente “esagerati”, nell’accezione Tarantiniana del termine (vedi Uma Tru-man che trucida 100 ninja nella stanza da tè di un ris-torante Giapponese, vedi la morte dello stato maggiore Tedesco nel cinema che bru-cia). In conclusione, Django Unchained poteva essere qualcosa di più, pur rimanen-do un piacevole intermezzo. Tarantino cavalca l’onda del successo, aspettando forse

il tante volte annunciato, e altrettante smentito, ritorno della sposa. (Kill Bill: Vol. 3!!) - Frase Migliore: “I’m sorry, I couldn’t resist!” - ultima battuta, favolosamente pronunciata, di Christoph Waltz

Italy Love it or Leave it 10/10Due ragazzi, l’altoatesino Gustav e il romano Luca, un ordine di sfratto e una importante decisione da prendere. Gli ingredienti di “Italy: Love it or Leave it” sono relativamente semplici ma il risultato è grandioso: un simpaticis-simo docu-road-movie dai molti spunti riflessivi. Il motore della vicenda è quello di una piccola 500, a bordo della quale i due ragazzi visitano il Bel

Gli Alfieri Censorifilm, web series e tutto ciò che muove la pellicola

Uno spettro si aggira per l’Europa: l’egocentrismo cinemattografico! Abbasso quindi il re censore e via alla democrazia della critica. In questo slancio di spassionato amore per la condivisione la rubrica che ha conquistato i vostri cuori si trasforma, abbandonando la bieca autarchia anarchica, e dividendosi tra due autori. Due penne, due pensieri, due malati di cinema vi porteranno d’ora innanzi le recensioni dei film più attesi nelle sale, dei film che hanno fatto storia e (se vale la pena) di quello che passa sul web. I nomi sono Lorenzo Giacomel, 5 D, e Simone Paci, 5G. Giusto perchè sappiate chi andare a picchiare!

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un buon Gervasi (“The Ter-minal”). Il panciuto Hopkins interpreta il miglior Hitch-cock, quello dell’inizio della seconda fase della sua car-riera, quello dei capolavori, quello di “Psycho”. La trama si articola appunto attorno al making di Psycho, un film che all’epoca dell’uscita gen-erò un enorme scandalo, per la crudezza di molte scene (che a noi adesso fanno ap-pena sorridere) e al difficile rapporto con la moglie, Alma Reville (a questo proposito, vale il proverbio, “dietro ogni grande uomo...”). Il regista Britannico ci è presentato

come ce l’aspettavamo, pungente nel sarcasmo, dittatoriale sul set, in bilico sul confine tra follia e genio. La sua figura diventa a tratti quasi Fellinesca, soprattutto nel rapporto con le prime attrici, se negli anni settanta in Italia c’erano le donne alla Fellini, in Inghilterra c’erano le “Hitchcock blondes”. Il regista punta molto sul lato umano del film, che però non riesce a staccarsi dal presupposto principale, l’essere una biografia di un grande, e quindi ad arrivare al livello successivo, essere un bel film. Se non amassi l’horror e quindi la figura di Hitchcock non avrei probabilmente dato 7 e mezzo, ma in fin dei conti, probabilmente non l’avrei neanche guardato e il bello di fare le recensione e che le stelle le dai tu! Viva l’autarchia!

Nota: Il film in Italia uscirà solo il 7 Marzo (me ne sono accorto solo adesso, ma ho già finito di scrivere, quindi amen).

Frase Migliore:

“Pensa solo allo shock, uccidere la prima attrice a metà film! ... Voglio dire, tu lo trovi intrigante, mia cara, no? ... Forza Ammettilo! ... Ammettilo! Ammet-tilo! Ammettilo!”

“In realtà penso sia un terribile errore. Non dovresti aspettare fino a metà. Falla fuori dopo trenta minuti!”

- Grandioso dialogo tra Hitchcock e Alma Reville, la moglie, gran donna!

UNA STRANA PROTAGONISTA: LA FORTUNA

Match Point 8,5/10Chris Wilton, maestro di tennis, conosce grazie alla sua professione Tom Hewett. Introdotto nella ricca famiglia di questi, Chris intesse una relazione con Chloe, la sorella del suo cliente. Chris, però, non pago della sua relazi-one con Chloe si innamora di Nola, la ragazza di Tom. Grazie al suo fascino, Chris riesce a conquistarla e i due hanno di nascosto una storia. D’altra parte, però, Chris sposa Chloe. L’ex tennista continua comuqnue entrambe le relazioni fino al momento in cui non deve decidere tra una delle due e la scelta porterà a conseguenze nefaste.

Nel guardare il film si ha la sensazione che il protagonista sia Chris: l’intera trama si imposta nel bene o nel male sulle sue decisioni. A ben vedere, però, le vicissitudini sono sempre regolate da una forza imprevedibile e indoma-bile: la fortuna. A tal proposito vale la pena di ricordare il monologo iniziale di Chris, scena simbolicamente centrale per il film. In un campo da tennis la camera inquadra la rete e la palla che passa da una parte all’altra. Essa colpisce il nastro e salta per aria. Per un istante le possibiltà sono due: che essa ricada dall’altra parte della rete oppure che ritorni indietro. Qui entra in gioco la fortuna, il fato, il destino,.. in quell’istante nessuno può prevedere

cosa succederà. La camera stacca: la decisione della fortuna resta insvela-ta. Chris afferma: “Preferisco aver fortuna che talento.”

Woody Allen si scosta, e non di poco, da suo stile classico e dalle tematiche da lui più spesso approfondite, forse perchè in cerca di maggiore fortuna tra il grande pubblico.

Spettacolare l’interpretazione di Nola da parte di una incantevole Scarlett Johanssonn: ammirevoli i suoi sguardi seducenti indirizzati a Chris che lo stregano e lo inducono a mettere in pericolo il suo ricco matrimonio. Storica la scena del bacio fra i due sotto la pioggia.

Come frase migliore del film ritengo doveroso trascrivere il monologo di Chris per la sua importanza nel film e non solo: “Chi disse «Preferisco for-tuna che talento» percepì l’essenza della vita. La gente ha paura di ammet-tere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo. A volte in una partita [di tennis] la palla colpisce il nastro e per un’attimo può andare oltre o tornare indietro. Con un po’ di fortuna va oltre e allora si vince oppure no... E allora si perde.”

SCENARI APOLCALITTICI

V per Vendetta 10/10

James McTeigue immagina la situazione politica inglese del 2019. A seguito di un conflitto mondiale, la Gran Bretagna si trova in una grave crisi eco-nomico-sociale e, promettendo di riportare l’ordine, un uomo di nome Adam Sutler ha instaurato un regime totalitario sopprimendo la circolazione delle

idee: tutti i mezzi di comuni-cazione sono direttamente controllati da Sutler. Un anarchico di nome V, che per tutta la durata del film indossa una maschera di Gary Fawkes e non rivela la sua identità, decide che è giunto il momento di tornare alla libertà di pensiero: il po-tere del governo deve essere sovvertito. Il film è grandioso da due punti di vista. Il primo è il modo in cui esso è svilup-pato. Gli effetti speciali sono utilizzati con grande mae-stria. In particolare la scena all’inizio del film nella quale V fa esplodere il palazzo Old

Bailey e quella finale nella quale la stessa sorte tocca al Parlamento inglese. In entrambe l’evento distruttivo viene sapientemente accostato ad un mae-stoso accompagnamento musicale, il che rende così epiche le due scene da far venire la pelle d’oca anche se viste separatamente dal film.

L’altra caratteristica che rende il film un capolavoro è il contenuto for-temente simbolico. La vicenda è contestualizzata in un ipotetico futuro apocalittico, ma, a voler ben vedere, i messaggi che trasmette sono attua-lissimi. In poche righe non è facile riassumere tutte le tematiche toccate e ritengo che sarebbe anche riduttivo farlo.

Intelligente l’idea di un personaggio che indossa la maschera per tutto il film. Infatti, questo rende V una figura completamente deumanizzata perchè è impossibile cogliere le emozioni sul suo volto.

V si esprime spesso tramite sentenze brevi ma ricche di significato. Questo rende difficoltosa la scelta di una sola frase come migliore del film. Riporto quella che ho ritenuto più significativa: “C’è molto più della carne dietro a questa maschera, c’è un’idea e le idee sono a prova di proiettile”

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Il rifl esso dei Soli sulle distese di un pia-

neta cosiddetto di ghiaccio è quasi insop-

portabile, tanto che tutti i velivoli per

i movimenti sui pianeti al di fuori della

fascia terraformata dell’Impero sono dota-

ti di schermi scuri adatti per consentire

una buona visuale. Buona, ma non perfetta e

per le persone come i burocrati imperiali,

non abituate perfi no all’aria aperta, spesso

questi schermi rendono la situazione anche

peggiore.

“Odio questi pianeti ghiacciati, non bastava

il dannato freddo, non si riesce neppure a

vedere a un palmo dal naso! E anche se fos-

se possibile scorgere qualcosa, tutto ciò

che vedrei sarebbe una landa desolata! Come

diamine ha fatto questa palla di ghiaccio a

essere promossa a pianeta di importanza se-

condaria?” Borbottò irritato il conducente.

“Metalli preziosi per l’industria bellica

probabilmente, data la presenza di un car-

cere per i lavori forzati.” Rispose l’altro

burocrate seduto affi anco a lui.

“Concentratevi, invece di dire idiozie! Le

coordinate sono giuste?” Commentò l’uffi cia-

le imperiale seduto nel retro del velivolo

con voce calma.

“Sissignore, tutto corretto, in meno di ven-

ti minuti dovremmo avvistare il complesso.”

Rispose il conducente.

In breve tempo si profi lò all’orizzonte un

monte non molto alto, sul quale era abbarbi-

cato un complesso che ne occupava un intero

versante. Dalle ciminiere dell’impianto si

levavano enormi nuvole nere causate dalle

raffi nerie all’interno dell’edifi cio.

“Benvenuti al complesso penitenziario impe-

riale n°12689, popolazione 10000 carcerati

e 2000 guardie ben armate, che a quanto pare

non sanno come mantenere l’ordine.” Commen-

tò acido l’uffi ciale scendendo dal velivolo.

Poi, scortato da due guardie, si diresse

verso l’ingresso dell’edifi cio seguito dai

due burocrati trotterellanti nei loro com-

pleti pesanti per resistere al freddo gelido

del pianeta.

Dall’uffi cio del direttore posto nella se-

zione più alta degli uffi ci amministrativi

che dominavano l’intero complesso si poteva

osservare uno dei numerosi spiazzi che por-

tavano all’ingresso delle miniere. L’ampio

spazio aperto era gremito di uomini vesti-

ti malamente che urlavano slogan contro i

metodi del penitenziario, affermando ripe-

tutamente di voler sentire la voce mise-

ricordiosa dell’Imperatore, un’entità quasi

divina per quei poveracci relegati lontani

dai centri di potere.

L’uffi ciale osservava con un misto d’irrita-

zione e superiorità la scena dando le spalle

al direttore del penitenziario che, sedu-

to alla sua scrivania, aveva assunto un’e-

spressione simile a quella di un bambino che

viene beccato dalla madre dopo aver rotto

un vaso.

“Cosa ha scatenato tutto ciò?” Chiese uno

dei due burocrati mentre l’altro prendeva

diligentemente appunti su uno schermo olo-

grafi co.

“Dopo la scoperta di un nuovo fi lone di ura-

nio avevamo deciso di aumentare i turni la-

vorativi di numerosi gruppi di lavoro, sa

con l’aumento delle attività dei pirati nel

sistema di Sigma Orionis, le quote richieste

di materiali bellici sono aumentate e non vo-

levamo rimanere indietro. A quanto pare ciò

ai carcerati non è andato molto giù; tempo

due giorni e la situazione è precipitata fi no

a essere com’è oggi” Rispose diligentemente

il direttore con una voce rassegnata al fat-

to che presto avrebbe potuto raggiungere i

minatori come loro nuovo compagno.

“Quindi” commentò irato l’uffi ciale “Lei

avendo a disposizione abbastanza bocche da

fuoco da armare un esercito, ha permesso che

un gruppo di disgraziati potesse ribellarsi

all’autorità imperiale con il solo potere

della voce?”

Il silenzio più totale piombò nella sala e

vi regnò per almeno cinque minuti buoni men-

tre l’uffi ciale era tornato a osservare la

folla nel cortile dell’impianto.

“Quante mitragliatrici fi sse ha il comples-

so?” Chiese l’uffi ciale.

“Centotrentacinque lungo le mura esterne e

altre quarantacinque in altri punti chiave.

Cosa vuole farne?” Rispose il direttore.

“Beh, vogliono sentire la voce dell’Impera-

tore ed è esattamente ciò che intendo for-

nirgli. In fondo all’Impero non mancano i

criminali per riempire di nuovo un carcere”.

Tutti i presenti si fi ssarono raggelati, non

certi di aver compreso appieno le intenzioni

UNA SOCIETÀ

PERFETTA

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dell’uffi ciale che, tra l’altro, aveva assun-

to un mezzo sorriso piuttosto inquietante.

In questo momento di freddo silenzio da un

angolo emerse un uomo vestito con un camice

medico che era rimasto muto tutto il tempo.

“Se posso interrompervi, io avrei una solu-

zione alternativa”

“Ascoltare non mi costa nulla e la mia

giornata sarebbe anche migliore se qualcuno

mi dimostrasse che su questo pianeta non ci

sono solo inetti incompetenti” Disse l’uf-

fi ciale lanciando uno sguardo fulminante al

direttore.

“Non credo di potervelo spiegare facilmente

senza una dimostrazione pratica, se vuole

seguirmi le mostrerò volentieri cosa ho in

mente”.

L’uomo guidò l’uffi ciale fi no a una stan-

za che ricordava quella di un ospedale con

uno sgradevole odore di medicine. L’uni-

ca differenza è che in un ospedale è quasi

impossibile vedere un uomo imbavagliato e

legato a una sedia che si guarda intorno

terrorizzato.

“Vede” Disse l’uomo con il camice all’uffi -

ciale “Il lato positivo di essere lo psico-

logo di un carcere isolato è la possibilità

di portare avanti ricerche, per così dire,

poco ortodosse. Io mi occupò di neurologia

e credo di aver trovato un modo per rende-

re un paziente docile come un agnellino”.

“Una lobotomia?” Domandò l’uffi ciale

“A tagliuzzare il cervello sono buoni un

po’ tutti” Rispose stizzito lo psicologo

“Il mio metodo è più elegante. Deve sapere

che il funzionamento del cervello si basa

su messaggi spediti sotto forma d’impulso

elettrico lungo le sinapsi, ora immagini

di poter interrompere questo fl usso d’in-

formazioni in alcuni punti chiave rendendo

così impossibile al cervello di comunicare

certe reazioni. Se noi bloccassimo a tut-

ti i carcerati l’espressione delle emozio-

ni e in particolare della volontà, avremmo

un gruppo di lavoratori obbedienti, ma, al

contrario di un lobotomizzato, ancora ca-

paci di svolgere qualsiasi mansione anche

tra le più complesse, in quanto l’intelli-

genza razionale non verrebbe intaccata. Ma

mi permetta di mostrarle”.

Lo psicologo si avvicinò all’uomo legato,

che ora aveva iniziato a dimenarsi mugo-

lando, e gli avvicinò alla testa un ingom-

brante macchinario.

Il cambiamento nel prigioniero fu immedia-

to: le convulsioni dettate dal terrore si

bloccarono e l’uomo rilassò tutte le mem-

bra, le mani si aprirono e si poggiarono

ai braccioli della sedia, i mugolii cessa-

rono, gli occhi smisero di voltarsi conti-

nuamente in cerca di un volto amico e ini-

ziarono a fi ssare il vuoto di fronte a sé,

ma il cambiamento più drammatico fu proprio

nelle pupille che di colpo si rilassarono

assumendo uno sguardo inespressivo, ma che

ancora lasciava intuire la capacità di ra-

gionare.

Per la prima volta in anni di lavoro come

commissario politico dell’Impero, l’uffi cia-

le rimase basito senza una risposta fulmi-

nea a ciò che aveva appena osservato.

Dopo qualche minuto di silenzio si voltò

verso lo psicologo e chiese: ”Quanto è di-

spendioso il procedimento?”

“Sicuramente meno della fucilazione di die-

cimila poveracci”

“Allora ha l’approvazione imperiale per

applicare questa terapia a tutti i carce-

rati”.

Detto ciò l’uffi ciale si diresse verso l’u-

scita della senza ma prima di farsi scor-

tare dalle guardie al velivolo con cui

era arrivato si voltò di nuovo verso lo

psicologo: “L’estensione dei confi ni e la

crescita della popolazione imperiale ci

impongono di superare i vecchi metodi per

mantenere l’ordine, ma per ideare un nuo-

vo modo di governare non basta un singolo

uomo, un “Grande Fratello”, al potere, ma

servono persone vere come lei con le loro

piccole idee per portarci alla creazione

di una società perfetta”.

Alberto Nasi 3H

Page 14: Giornalotto N° 3 A.S: 2012-2013

Tesi le banconote verso il commesso e pagai. Quello,

dopo aver sistemato il guadagno in cassa, mi porse la

scatole� a pia� a, nera e ruvida che teneva accanto al

registratore di cassa.

- Dentro è tu� o pronto – mi disse lui, vago.

Ringraziai con un sorriso sghembo e me ne andai,

fermandomi appena fuori dall’ingresso. Rimasi pochi

secondi ad ascoltare la campanella della porta del

negozio che suonava; presi una boccata d’aria e mi

incamminai verso la mia meta.

Erano successe così tante cose negli ul� mi mesi che

non riuscivo a credere di stare per portare a termine

l’obbie� vo che mi ero prefi ssato qualche se� mana

prima.

Pensai a quando, per la prima volta, mi era passata

per la mente quell’Idea. Ero a casa della mia ragazza e

stavamo li� gando, come spesso succedeva da qualche

tempo a quella parte.

Secondo lei stavo diventando sempre più geloso e

irrazionale… mi disse che aveva paura di me, che

ormai era tu� o fi nito e non si poteva tornare indietro,

mi disse che era preoccupata dai miei a� acchi d’ira e

che non ero una persona totalmente a posto.

Non riesco a ricordare tu� o ciò che mi disse quel

pomeriggio; tu� e cazzate, comunque. Ricordo però

benissimo cosa le dissi io: “Oh! Tesoro per favore

credimi, non � farò mai del male. Se mi lasci non ce la

farò mai da solo!” ma lei non mi crede� e e mi mandò

via in malo modo.

Fu quella sera, a casa

mia, nel mio le� o, che mi

venne l’Idea. La studiai da

tu� i pun� di vista per i

giorni seguen� , immerso

nella penombra della mia

camera.

“E ora” – pensai – “mi

accingevo a realizzarla” –

conclusi sorridendo.

“Non la voglio lasciare

ora”, era questo il mio

pensiero costante “C’era

qualcosa nel modo con

cui mi conquistava – ogni

giorno, come se fosse la

prima volta.

Non era una ragazza che

mancava spesso il suo bersaglio. Con me aveva fa� o

centro e non la voglio lasciare ora.”

Raggiunsi il suo palazzo, una persona che stava

uscendo mi tenne aperto il portone e fui nell’androne.

Mi avvicinai all’ascensore ed entrai.

Stavo salendo ma sen� vo la mia anima andare sempre

più giù, verso delle tenebre mai conosciute prima.

- Ho bisogno di stabilità perché sto andando a fondo –

dissi con un fi l di voce, come per darmi coraggio.

Aprii la scatole� a nera comprata poco prima e presi

in mano l’ogge� o dentro contenuto; arrivato al suo

piano, scesi dall’ascensore e suonai alla sua porta.

Era sorpresa di vedermi quando mi aprì. Mi sorrise,

invitandomi ad entrare. Le sorrisi anche io, quindi le

dissi:

- Quando mi hai de� o che non avevi più bisogno di

me beh… sai, sono quasi crollato e… morto. Sono stato

depresso per te, quella cagna che avevo lasciato nei

quar� eri al� . Ma ora sai, ho trovato la felicità.

Le sorrisi di nuovo, inclinai la testa e alzai il braccio: in

mano, la pistola appena comprata.

Sen� vo il mio dito sul grille� o e mi sen� vo come se

nessuno potesse farmi del male.

Ci fu un colpo forte; guardai cosa era rimasto di lei…

- La felicità è una pistola calda – dissi, puntai l’arma alla

mia tempia e tu� o fi nì.

THE TOUCH OF THE VELVET HAND

Giorgio Bondì 4H

Page 15: Giornalotto N° 3 A.S: 2012-2013

Io odio Beppe Grillo Io odio Beppe Grillo. Lo odio perché ce l'ha

con le Olimpiadi. Lo odio perché gesticola. E a dirla tutta odio la gente con i ricci. L'altro gior-

no ero al supermercato a comprarmi la mia dose quotidiana di gallette di riso e un barbo-ne con i ricci mi è passato davanti con un car-

rello pieno di scatolette. Non ho visto bene, credo fosse mangime per il cane con cui poi

impietosisce la gente quando elemosina, tanto lui non ha di cibo bisogno visto che nei casso-ni dell'immondizia ce n'è a palate. Comunque

l'ho fermato poco fuori e l'ho picchiato. Perché aveva i ricci, non perché mi aveva superato

alla cassa. Non avevo nemmeno comprato

niente.

Così la mia vita si arrabatta tra pomeriggi a

studiare Fichte, la ricerca di buone gallette di riso (quelle Scotti fanno schifo) e i comizi di

Beppe Grillo. I comizi di Beppe Grillo. Lo ripe-to, i comizi di Beppe Grillo. Sembra che Grillo

mi segua per fare comizi dove vado io. Mi spiego, non è che vado in un cabaret, oppure a uno spettacolo di nouveau cirque, e lì trovo

Grillo: sarebbe anche normale, quello è il suo mondo. Invece no: passo per il Duomo e c'è

Grillo, faccio un salto da Frontini e c'è Grillo. C'è sempre Grillo. A parte nei centri commer-ciali, lì pare che scompaia come di colpo, noto

com'è che le multinazionali sono acerrime ne-miche dei comunisti. Quindi di recente passo

parecchio tempo all'Ikea. L'altra sera ho cer-cato di dormirci, ma due guardie mi hanno preso e mi hanno sbattuto fuori. Al soldo di

Grillo, immagino, l'ho capito dal fatto che par-lavano male di Berlusconi e sembravano con-

trofigure di Togliatti.

Mi trovo in una piazza di notte e c'è un freddo che mi spella il volto. È pieno di gente e al

centro c'è lui, Grillo, impegnato in uno dei suoi soliti sproloqui sull'acqua pubblica. Ogni tanto

fa una pausa e si concede qualche discorso pseudo-giustizialista sui parlamentari che si prostituiscono, ma nell'aria c'è sempre più

tensione e un vocio insistente evidenzia la sua simbiosi con l'avversione a Berlusconi. Ma non

ho tempo: è ovvio che il mondo è troppo pic-colo per me e lui. O me o Grillo, uno dei due deve sparire, e subito. In linea di massima

preferirei fosse lui, se non altro perché oggi è giovedì 6 e non sono abituato a morire nei

giorni pari. Inizio a farmi strada tra la folla, a uno vicino a me grido “Oh, zio, viva il Che!”, così, per mimetizzarmi. Quello di rimando mi

guarda con l'aria di chi ha partecipato alla Ri-

voluzione d'Ottobre e quindi la sa lunga.

Intanto continuo ad avanzare e la pressione si fa sempre maggiore, sembra di trovarsi a To-

kyo durante lo shogatsu. Comunque non per dire, ma qui sono tutti vestiti da comunisti, con l'eskimo, i jeans slavati e le Clarks ai pie-

di. Uno degli spettatori mi si fa incontro, mi guarda con gli occhi da fattone, cioè da comu-

nista, e mi dice “Oh, compagno, tu non capi-sci, cioè, la teoria di Marx…”. “Fermo, fermo, fermo” gli grido “e fermo ancora. Non me ne

frega niente di Marx, di Lenin e del socialismo libertario, quindi sloggia”. Mi guarda malissi-

mo e fissa il vuoto. Al tempo non potevo sa-perlo, ma stava utilizzando gli ultrasuoni per richiamare gli altri esponenti del branco. Ave-

te presente i delfini? Il principio è lo stesso. Grillo interrompe il suo spettacolo e tutti mi

guardano. Improvvisamente sono al centro dell'attenzione. Sono la star della serata. Ora

Grillo sono io. Tutti mi hanno individuato. Allo-ra è tempo per il mio asso nella manica: “Ehm… Hasta la victoria siempre?”. Non fun-

ziona. Sei mesi di spagnolo buttati al vento. Il silenzio totale, per qualche secondo ci sono

solo le cicale estive, che siamo in inverno e quindi stonano completamente. “Ehi, tu non sei uno di noi!”, grida uno, e gli altri appresso

a citare Dostoevskij e gli Ska-P. Qualche istante di caos, poi qualcuno mi centra in te-

sta con un martello, o forse era una falce.

Toc.

Mi sveglio in una stanza sudicia. Davanti a me

delle sbarre, a lato una latrina, alle mie spalle un letto marcio e fa ancora più freddo che al

comizio, un po' come in Siberia, la patria del comunismo. Mi alzo in piedi sconvolto: ho per-so contro Lenin, Grillo e Che Guevara insieme.

Che umiliazione. Al di fuori della cella c'è un omone, probabilmente il mio carceriere. “Che

cosa volete da me?” gli urlo contro. “Si sieda, va tutto bene” mi dice con voce accondiscen-dente. Ma non devo fidarmi, lo so bene, è al

soldo di Grillo e di Che Guevara. Un'associa-zione a delinquere mascherata da politica. Mi

avvicino alle sbarre e solo allora mi accorgo che i miei vestiti sono diversi. “Ehi, che avete fatto? Perché mi avete cambiato?”. “Stia cal-

mo, signor Trotsky, la prego”.

Capisco, mi infilo nel letto e attendo la depor-

tazione.

Alessandro De Gennaro 5C

Page 16: Giornalotto N° 3 A.S: 2012-2013

Prologo

La luna splendeva alta nel cielo, illuminando con

la sua debole luce le strette e intricate vie del pae-

se. Era notte fonda, e gli edifici che vi si affacciava-

no avevano le luci accese, dando alla via un’aria di

cupo mistero. Dalle vicine locande risuonavano al-

legri i canti di qualche ubriaco di turno, mentre un

sottofondo musicale diffondeva una dolce atmosfe-

ra, quasi rilassante.

All’angolo di una delle strade principali, stava

seduto, ormai da quasi tutto il giorno, un povero

senzatetto stretto nella sua giacca nera. Per terra,

accanto a sé, teneva una bottiglia di whisky mezza

vuota e un cappello sgualcito dove alcune moneti-

ne luccicavano al bagliore di un lampione. Aveva la

testa appoggiata alla parete di una casa e sembra-

va dormire.

Ad un tratto due uomini comparvero all’inizio

della via discutendo a bassa voce, camminando in

fretta.

Il senzatetto si svegliò e aprì un occhio, osservan-

do silenziosamente la scena.

Uno dei due uomini si fermò, e la luce di un lam-

pione colpì il suo volto. Era un uomo di

bell’aspetto, con un paio di occhiali sul naso e una

ventiquattrore stretta in mano. Il senzatetto, osser-

vandolo, si ritrovò a pensare che l’uomo avesse

proprio un bel cappello: una bombetta nera, appe-

na appoggiata in testa, come se l’avesse messa in

tutta fretta prima di uscire. L’uomo che lo seguiva

si fermò di fronte a lui, e i due cominciarono a di-

scutere ad alta voce. L’uomo con la ventiquattrore

gesticolava inviperito e aveva il volto rosso per

l’indignazione.

Il senzatetto si mosse, cercando una posizione più

comoda sul muro. Purtroppo, forse per il troppo

whisky o per le sue orecchie poco funzionanti, non

riuscì a sentire niente di ciò che i due uomini si di-

cevano.

L’uomo con la ventiquattrore agitò una mano

verso l’altro, girò sui tacchi e ricominciò a cammi-

nare. Il secondo uomo spiccò una lieve corsa e lo

raggiunse. Solo per un attimo il fascio di luce del

lampione illuminò il viso di quest’ultimo.

Quando riuscì a raggiungere l’uomo con la venti-

quattrore tirò fuori qualcosa dalla tasca e glielo

puntò nella schiena. Il primo uomo fece per lancia-

re un urlo, ma l’altro gli tappò la bocca con una

mano e lo scosse, costringendolo ad avanzare.

Il vecchio senzatetto bevve l’ultimo sorso della

sua bottiglia, mentre la vista cominciava ad offu-

scarsi. Ma nonostante questo particolare, riuscì

comunque a intravedere lo schizzo di sangue che

gli attraversò il campo visivo, e nonostante il suo

udito poco fine, riuscì comunque a sentire il grido

strozzato dell’uomo con la ventiquattrore.

Capitolo I

Una raggio di luce fioca filtrava attraverso le

tendine a fiori. Aprì gli occhi, svegliato dal rassi-

curante fischio della locomotiva in partenza. Co-

me suo solito, si alzò, diede uno sguardo distratto

fuori dalla finestra della locanda e sospirò. Quello

sarebbe stato il suo ultimo giorno di vacanza in

quel piccolo paesino. Si preparò dunque per scen-

dere al bar e assaporare l’ultima dose di ciambel-

le ripiene ricoperte di zucchero che solo la padro-

na del posto riusciva a sfornare, così calde e pro-

fumate. Prima di lasciare la sua stanza si rimirò

nello specchio. I mocassini neri, i pantaloni in tin-

ta con l’elegante giacca grigia, la camicia immaco-

lata e il suo amato cappello nero gli davano

quell’aria da persona rispettabile che in quel vil-

laggio pochi avevano. Una di quelle eccezioni era

l’ispettore Dimitri. L’aveva conosciuto il giorno

prima, alla singolare mostra per cui si era tratte-

nuto più del necessario. Non era in servizio e, co-

me Ray, si stava semplicemente godendo una set-

timana di vacanza.

Scese le scale che lo separavano dal piano terra

Page 17: Giornalotto N° 3 A.S: 2012-2013

e, appena oltrepassato l’atrio in mattonelle, gli si

presentò davanti una scena abbastanza insolita:

su uno degli antichi divanetti verdi stava stesa la

padrona. A quanto pareva le doveva essere venu-

to uno dei suoi soliti capogiri, e Dimitri le sedeva

a fianco cercando di farla rinvenire.

«Serve una mano?» non fece quasi in tempo a

chiedere, che la signora era già rinvenuta. I suoi

occhi sembravano ancora riflettere l’orrore di

qualcosa che aveva visto.

«Miss White, si sente bene?» domandò Dimitri.

La donna posò i suoi occhi su di lui, senza però

vederlo. Finalmente dopo un paio di secondi mor-

morò: «C’è un cadavere! Un cadavere vicino alla

legna!» dopo di che perse nuovamente i sensi.

I due neo-amici si guardarono negli occhi e dopo

un attimo di esitazione si precipitarono

all’esterno dell’alberghetto.

Nel luogo indicato dalla padro-

na giaceva il corpo senza vita di

un uomo. Ray notò con disgusto

di essersi sporcato le scarpe di

sangue, che come inchiostro ros-

so aveva dipinto la neve nella

stretta viuzza dove si trovava la

legna per il fuoco.

Dimitri si avvicinò al cadavere.

«Per tutti i cieli! Quale uomo a-

vrebbe mai potuto compiere un

simile atto?» esclamò inorridito.

La testa del cadavere era stata completamente

recisa, e il collo era stato ridotto a un moncherino

sanguinolento. «Signor Sworbowl, vada subito ad

avvertire il sindaco, io ho bisogno di un momento

per...» emise un gemito e vomitò la colazione.

Ray gli porse il suo fazzoletto di seta azzurra.

«Non mi aveva detto di essere debole di stoma-

co...» ridacchiò. «Dettagli, solo dettagli» disse

l’ispettore, accettando il fazzoletto offertogli.

Mentre Dimitri si ricomponeva, Ray corse a per-

difiato lungo la strada principale, per quanto i

suoi 47 anni glielo permettessero. Il campanile

della chiesetta batté le nove. Dimenticandosi le

buone maniere spalancò il portone del municipio

e, ancora ansimando, chiamò a gran voce il sinda-

co Heismith. Questi comparve immediatamente

davanti alla porta aperta dello studio. «Mi perdo-

ni sir, ma come lei dovrebbe ben sapere, il sotto-

scritto riceve solo dalle dieci e un quarto alle...»

«Al diavolo l’ora, sindaco! E’ stato ritrovato un

uomo morto! Crudelmente assassinato!»

Il sindaco lo guardò allibito. Il paese di Fogline

non aveva mai visto in 147 anni di vita neanche

un furto o un atto vandalico, figuriamoci un omi-

cidio!

Prima che Heismith potesse replicare, Ray lo

trascinò alla locanda. Dimitri doveva essere rien-

trato, e il cadavere non era stato spostato. I due

uomini rimasero ad osservare in silenzio quella

scena cruda. L’unico addetto all’ordine pubblico

di Fogline aveva ormai raggiunto l’invidiabile et{

di 80 anni e in tutti i suoi 50 anni di servizio non

gli era mai stato richiesto di risolvere un caso del

genere.

Il sindaco parve riconoscere l’uomo. «Santi nu-

mi! Ma quello è mister Goldman,

il direttore della banca del paese

vicino! Sono certo della sua iden-

tit{ perché era l’unico che cono-

scessi a portare quel particolare

anello col rubino al dito medio

della mano sinistra... Che la sua

anima riposi in pace...»

«Un’interessante vittima... molto

strano il fatto che l’assassino non

si sia sprecato nel rubare quel

costoso gioiello... il movente non

dovevano essere i soldi....» commentò Ray.

Il sindaco lo guardò. «Signor Swordbowl, lei mi

pare proprio una persona sveglia e attenta... è al

corrente immagino che in questo paese i detecti-

ve scarseggiano... Se la sentirebbe di accettare

questo caso?»

La richiesta lo colse di sorpresa. Non era nei

suoi piani, eppure, non gli sarebbe affatto dispia-

ciuto soffermarsi più del dovuto. Perciò replicò:

«Le ricordo che non sono un detective. Il massi-

mo che potrò fare sarà probabilmente assistere

l’ispettore Dimitri, sempre che il suo problema

allo stomaco gli permetta di indagare…»

«Oh! Certo certo, non si arrischi da solo... bene!

Riferisca ciò che le ho appena detto all’ispettore!

Anche se non è originario di Fogline, è un mio

lontano parente, e sono certo che accetterà di

Page 18: Giornalotto N° 3 A.S: 2012-2013

condurre le indagini. Ora devo andare a compila-

re dei moduli. Arrivederci!». Detto ciò, tornò con

una certa fretta al municipio.

Ray, dal canto suo, raccontò tutto a Dimitri, il

quale, come aveva previsto il sindaco, non rifiutò

la proposta. Così l’ispettore e lo straniero inizia-

rono a condurre le loro indagini. Decisero di par-

tire il pomeriggio stesso Goldman. Ray e Dimitri

rimasero abbastanza stupiti nel constatare che

malgrado l’assassinio del datore di lavoro, la gen-

te lì alla banca era calmissima. Nessuno si era in-

nervosito nel dover rispondere ai due, anzi, si e-

rano dimostrati molto disponibili. Non era suc-

cesso nulla di strano ultimamente, anche se, a

quanto pareva, era ormai da qualche settimana

che un uomo, un certo Charles Breakheart, era

stato licenziato così su due piedi da Goldman, e i

motivi erano rimasti ignoti anche alle segretarie

più ficcanaso.

«Curioso, davvero curioso...» borbottò pensiero-

so l’ispettore a Ray. «Viene licenziato di punto in

bianco, e poche settimane dopo chi l’ha licenziato

perde letteralmente la testa...»

«Già... forse dovremmo fare una visita a questo,

Charles».

Dimitri annuì distrattamente, poi fece un cenno

con il capo alla sinistra di Ray. «Ehi, la vedi quella

donna? Affascinante, eh?» Ray si voltò.

Nella direzione indicata dall’amico c’era

un’avvenente segretaria, o almeno così si suppo-

neva dalla cartelletta che aveva sottobraccio e

dalla sgargiante giacca rossa che stava per indos-

sare. Infatti erano le sei del pomeriggio, e a

quell’ora gli impiegati iniziavano a staccare.

Ray disse: «Non mi sembra di averle rivolto

qualche domanda...»

Dimitri gli sorrise con aria furbetta: «Prego, as-

sistente, le cedo l’onore» e detto ciò ritornò a con-

centrarsi sulle schede che stava sfogliando

dell’archivio.

Ray diede una pacca amichevole sulla spalla di

Dimitri e si avviò a grandi passi verso la donna.

Quest’ultima si accorse di lui con la coda di uno

dei suoi occhi blu. Si girò e gli sorrise, ma con una

certa freddezza.

«Salve signorina... ehm...» lesse il suo nome dal

cartellino appuntato alla camicetta «...Eloise

Brown, mi dispiace disturbarla a quest’ora, mi

chiedevo solo se potevo farle alcune domande...»

La donna lo guardò preoccupata.

«Oh, non è niente di particolare, sa, le solite do-

mande da protocollo» aggiunse Ray.

L’interrogata rilassò i muscoli del viso bianco e

delicato, si tolse una ciocca bionda dagli occhi e

ricompose velocemente l’alto chignon. «Prego,

chieda pure, ma faccia in fretta, ho alcune faccen-

de da sbrigare...»

«Certo certo... allora...». Le fece le domande soli-

te di quei casi, e ottenne bene o male le stesse ri-

sposte che gli avevano dato gli altri impiegati. Ad

un tratto, come colto da un’improvvisa intuizione,

domandò: «Conosceva Charles Brokheart?»

Eloise sgranò gli occhi. «Certo che lo conoscevo,

era mio marito»

«Era?»

«Beh, sì, abbiamo divorziato circa un mese fa...».

Ray si sforzò di non sorridere per il sollievo.

«Ah... mi dispiace»

«Non deve. Charles non mi meritava...»

Ray annuì lievemente. «Per caso lei sa perché è

stato poi licenziato?»

«A dire il vero no. Anche se, sa, poco prima di

divorziare avevo notato che Charles era divea fa-

re alcune domande agli impiegati della banca del

signor ntato sempre più nervoso... scommetteva

più soldi e puntualmente li perdeva... non mi stu-

pirei se si fosse messo in debito con la banca o

con lo stesso direttore...»

«Capisco. Grazie per la sua disponibilità. Se do-

vesse ricordare altro, non esiti a contattarmi…»

Detto ciò le porse un biglietto con su il suo nu-

mero.

«Certo» Mississ Brown sorrise all’uomo, questa

volta sinceramente. Si infilò la giacca e si mise in

testa un elegante cappello in tinta a larga visiera,

decorato con fiori neri.

Dopo aver salutato brevemente il nuovo ispetto-

re, uscì dalla banca lasciando dietro di sé una scia

inebriante di profumo alle rose.

Continua... Gaia Galimberti Michela Mazzini

1^H

Page 19: Giornalotto N° 3 A.S: 2012-2013

Mal di testa. Con gli occhi ancora serrati, percepi-sco sotto di me un terreno assai du-ro. Mai visto un sentiero battuto in tal modo. Il corpo mi duole terribil-mente. Mi tasto il panciotto alla ricer-ca dell’orologio da taschino, regala-tomi dal mio figliuolo Flaminio. Apro gli occhi. Lo scenario che mi si para davanti è mostruoso: orripilanti belve ferruginose mi assalgono, lanciando urla sommesse che mi ricordano il ru-more dei tuoni in tempesta. Hanno colori sgargianti e uniformi e sembrano aver mangiato uomi-ni, che siedono pacatamente nei loro stomaci, bloccati da un legaccio nero. M’affretto a levarmi da quella strada infer-nale, dal suolo cinereo, ansi-mando terrorizzato. Mi ritrovo dun-que a fissare un edificio dalle fattez-ze bizzarre: le mura appaiono rico-perte di manifesti incrostati l’uno so-pra l’altro, contornati da scritte colo-rate di chissà quale biro. “CSA? Cor-po? Amore ti lowwo?” Dove sono ca-pitato?! Alzo distrattamente lo sguar-do e rimango sgomento. Il mio nome appare sotto la scritta “Liceo Scienti-fico Statale” a caratteri cubitali. A questo punto mi decido ad entrare, invitato da una scala di pochi gradini. Varco la soglia: il luogo mi si presen-

ta buio. Una donna bionda, vestita di blu, che traina con sé un carretto sbi-lenco colmo di scope mi si avvicina e con aria irata mi ammonisce: “Ehi, tu, dove vai? Non puoi entrare in classe prima del suono della campana!”. Campana? È già l’ora della messa? “Ossequi, gentile signora. Con tutta la galanteria che possiedo le doman-do cortesemente la direzione per Co-mo”. “Ma vai a lavorare!” urla que-sta voltandomi le spalle. Si dirige ver-so destra ed io, oltraggiato, me ne

vado nella direzione opposta. Giungo dunque, scesi alcuni scalini, in un piccolo cortile dalle pareti dipinte. Su quella principale leggo le parole “poesia per il Volta in rivol-ta”, seguite da versi sconnes-

si. Io in rivolta? Calunnia! Non sono mai stato in rivolta, io! Sempre più stanco di questo luogo oltrepasso un uscio di vetro e scendo verso i sotter-ranei dell’edificio. Gironzolo tra le segrete anguste e umide, perdendo-mici. Senza sapere come, mi ritrovo in una stanza dotata di lavandini e ciò che sembrano deformi latrine. Sulla destra, nascosto, vi è un am-biente pieno di panche e appendiabi-ti, le cui pareti risultano essere colme di scritture come “sempre nel mio <3 culo” e “pissello ribbello”, probabil-

�em�o �� tem�o o�t� �� o�t�

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mente espressioni tipiche della lingua autoctona. Mi allontano da quel luo-go svicolando di angolo in angolo, ma mentre ancora cerco l’uscita mi si presenta davanti una moltitudine di fanciulli dall’aria stolta. “Di grazia – domando – sapete indicarmi la via per Como?” “Oh ma zio, come stai messo!” mi risponde un giova-notto dall’aspetto tra-sandato, che porta i calzoni alle ginocchia e il cui naso reca tra le narici un anello di probabile origine bovi-na. Vicino a lui osser-vo una ragazza. O al-meno credo sia una ragazza: porta i pan-taloni! E bucati per giunta! Sono sempre più sopraffatto dagli abitanti di que-sto luogo e comincio a sentire la man-canza della mia Como. Sconsolato e con la mente piena di pensieri bui, ri-salgo tristemente le scale che mi ave-vano condotto nei sotterranei, ritro-vandomi dopo qualche piano in un corridoio. Neanche il tempo di attra-versarlo che odo un tintinnio insisten-te: trascorrono appena due secondi e il passaggio si riempie di un’orda di giovini urlanti. Metà di loro si precipi-ta giù dalle scale che ho appena risa-lito, gli altri si accalcano in un angolo di corridoio a ridosso di due scatole metalliche dispensatrici di cibarie. Cerco di confondermi con la folla, che nonostante i miei tentativi mi fis-

sa ostinata. Girovago con gli sguardi di tutti puntati addosso quando final-mente sento ripetersi il tintinnio che prima ha agitato la massa e che ora la fa defluire nuovamente in alcune stanze lungo le pareti. Un borbottio. Mi guardo intorno spaesato, ma in

pochi istanti mi ac-corgo che a gorgo-gliare è il mio stoma-co. Perbacco, ho fa-me! Incuriosito mi av-vicino ai distributori che prima avevano donato viveri agli ur-latori. “Gentiluomo, può offrirmi uno di quegli allettanti spun-tini?”, ma il maledu-cato non risponde. “Mi perdoni, non parla la mia lingua?”

e ancora nessuna risposta. Amareg-giato me ne vado, bisbigliando ingiu-rie. Perché questa gente non mi porta rispetto? Insultare e deridere me, A-lessandro Giuseppe Antonio Anasta-sio Volta! Indignato, mi dirigo a gran-di passi verso l’uscita e, ripercorren-do lo squallido cortile, mi ritrovo all’-esterno dell’edificio. Cammino dritto raggiungendo alcuni alberi poco di-stanti. Ma io come sono finito qui? Comincio a rimuginare sulla mia espe-rienza sedendomi sul bordo di una fontana. Mal di testa.

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-Hai mai pensato a cosa può esserci dopo la morte?-O mio Dio, ti hanno diagnosticato una metastasi maligna in sede epatica?-Non ho nessun cancro al fegato e non sei spiritoso.-Calmati… allora, cos’è ‘sta storia della morte?-Non della morte. Di dopo la morte-Sessa cosa-No, sono due cose opposte. La morte è la nostra unica certezza, il dopo la morte è l’unica cosa che non sapremo mai.-Adesso mi fai preoccupare. Hai qualche problema? Famiglia?-Stanno tutti ben…-Amici? Cane? Acari della polvere? Tartarughe floreali?-STANNO BENE-Ma che sei arrabbiato?-Non so, vedi tu! Io sto cercando di parlare seriamente e tu mi tiri in ballo le tartarughe spaziali!-FlorealiUn’occhiataccia lo fece desistere.-Ma se è tutto a posto, perché ti preoccupi tanto di cosa ci sia dopo la morte?-Ho paura-Non dovresti. Insomma, paura di cosa? Sei giovane, aitante, hai un lavoro fisso, sei intelligente. Manca un lucano e sei a posto.-Ho paura di prenderlo nel culo-Su questo hai il mio più totale appoggio non posso che far altro che consigliarti

di portare sempre con te un po’ di vasellina. -Ma sei scemo? Io ho paura di prenderlo in culo dalla morte.-Ah, già si parlava di quello-Ma mi ascolti quando parlo o no?-Sai, caro, chi si concentra a parlare della morte se ha davanti un panino e una coca-cola? Dovresti mangiare anche tu, ti sentiresti meglio.-Proprio per questo ho paura di prenderlo nel culo.-Hai paura di morire di fame?-Cazzo, parlare con te e con quel muro è la stessa cosa.-senti, sto mangiando, è una giornata

Dopo la Morte

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difficile e mi sto ancora immaginando te con la morte che ti scopa. Non è una bella immagine. Puoi spiegarti meglio?-Non so come comportarmi. Insomma… se io faccio il bravo e dopo non c’è nulla, lo prenderò nel culo, se faccio lo stronzo e dopo c’è qualcuno che mi giudicherà, lo prenderò nel culo, se mi comporto da bravo cristiano e poi scopro che in realtà in cielo comanda Allah…-Lo prenderai nel culo-Esatto. Non so cosa fare.-Partiamo dal presupposto che una religione dice che chi non segua la propria dottrina, finirà all’inferno. Ora, poiché nel mondo esistono almeno due religioni che predicano ciò, si può supporre che tutti andremo all’inferno. -Ma in quella lattina c’è coca-cola o coca e basta? Cosa mi risolvi così? Non sai neppure se ci sia un inferno!-Se mi lasci finire… con il mio ragionamento volevo dimostrarti che affidarsi alla religione è sbagliato.-ma non è vero! Nel tuo inferno entrano tutte le religioni, ma se esistesse un solo Dio, ci sarebbe un solo inferno di una sola religione.-Pignolo. Va beh, senti qua. La durata della vita non si misura in anni. Si misura in intensità. Ti piacerebbe essere immortale ma poter solo dormire? Che vita sarebbe? Pensa invece a Bob Marley, vita intensissima, morto a 36 anni. Una vita ben spesa.-Quindi? Cosa dovrei fare?-Beh, io inizierei con lo slegarmi. Sai, comincio ad avere qualche problema alla circolazione sanguinea delle mani-Quindi rinunci al mio esperimento?-Non ho mai accettato, sei tu che mi hai rapito. Ti vorrei far inoltre notare che congelarmi il cuore per 9 secondi e poi riportarmi in vita solo per cercare di sapere che cosa c’è dopo la morte, oltre che rischioso per il sottoscritto, è oltremodo poco scientifico e insensato. E poi non ho ancora finito il mio panino.-Tu pensi ai panini mentre qui io mi agito tra mille tormenti! Io ho BISOGNO d i s a p e r e . Pe n s a c o s a significherebbe per l’umanità! La fine del nostro più grande tormento-E se non ci fosse nulla dopo?

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Un bel nulla? Ti rendi conto cosa vorrebbe dire? Questa vita rappresenterebbe solo un’illusione! Il non sapere cosa viene dopo la morte è l’unica salvezza dell’umanità. Noi non dobbiamo saperlo!-Silenzio! Ora vatti a distendere su quel lettino-Demi slegarmi-Nessun problema, tanto ti tengo sotto tiro con la mia pistola.-Va bene, sono sdraiato. E ora?-Do il via all’esperimento.Impartì una serie di complicati comandi al computer che li trasmise al complesso macchinario. Rivoli di sudore gli scendevano dalla fronte. Sarebbe bastato il minimo errore e il lavoro di tutta una vita gli sarebbe sfuggito di mano. Partì il conto alla rovescia. 1, 2 -E se avesse ragione?- 3 –Se l’ignoranza che abbiamo in questo campo fosse una salvezza?- 4 – Se non ci fosse nulla?- 5 - -Il mondo cadrebbe nell’anarchia più profonda!- 6 – Come si potrà pretendere che l’umanità sentendo questa notizia non si “godrà la vita?”- 7 – I negozi verranno saccheggiati, il mercato distrutto, senza più un perché di esistere le religioni cadranno.- 8- La gente si ubriacherebbe, drogherebbe, si darebbe al sesso orgiastico, incurante di tutto. E quando non reggerà più, si ucciderebbe, tanto dopo non ci sarebbe niente. 9. L’uomo sul lettino aprì gli occhi. Aveva un’espressione strana, composta e insieme euforica. Ma subito questa espressione si trasformò in terrore. -Mi spiace, non posso lasciarti parlare- gli disse. E sparò.

Volta, Polo Europeo del Volontariato_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _

E’ bello sapere che ora siamo VIP (Volta Important Polo). Perdonatemi la battutaccia, ma la notizia resta: il Volta è diventato polo europeo del volontariato. Siamo ora inseriti in una sorta di comunità europea di volontari, accomunati addirittura da un “passaporto del volontario” che raccoglie le esperienze e i servizi fatti negli anni e viene poi riconosciuto da molte università in Italia ed in europa. Numerose facoltà di medicina, infatti, stanno incominciando a dare molta più importanza alle esperienze di volontariato, indispensabili, nello specifico, alla formazione di un buon medico. Questo passaporto sarà disponibile per gli studenti del Volta dall’anno prossimo.Come se non bastasse, il Volta sarà centro di coordinamento del volontariato della nostra zona di Milano (zona 3). Ciò significa che tutte le attività di volontariato di zona orbiteranno attorno alle nostre care (vero?) mura. Insomma: stiamo dando titolo e forma alle nostre buone azioni. Ma che la sostanza resti! E a chi appellarci, se non a voi, compañeros?

Alessandro Luciano 4G

Francesco Monti 3A

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Complimenti ! Se arrivate fin qui siete davvero determinati, in negativo, ovviamente; siete degni di una medaglia allo “svalore”. 1) Dormite, letteralmente, durante ogni lezione (consiglio: una russatina ogni tanto non fa poi male...). 2) I vostri compagni dovranno essere i vostri video-giochi e le prof. il vostro bersaglio preferito. 3) I compiti e le verifiche andranno serviti rigorosamente in bian-co, al massimo solo con un po’ d’olio, se volete, perché altrimenti non li digerirete. 4) Programmate accuratamente le vostre assenze in modo evitare il maggior numero possibile di verifiche e di interrogazioni. Ottimo risultato, sono pochi i coraggiosi che arrivano fino a qua. 1) Fermatevi a riflettere quando vi viene chiesto il vostro nome (e poi potete anche sbagliarlo, se volete). 2) Durante le lezioni siate impassibili con le prof. ma diventate per il resto della classe i peggiori, insopportabili e dispettosi com-pagni. 3) Durante le riunioni, che siano di classe o d’istituto, dovete es-sere le pecore nere “del” e “nel” discorso. 4) Controllate che le vostre note sul registro siano almeno 1 alla settimana. Bravi, traguardo degno di nota. 1) Durante le lezioni chiaccherate tutto il tempo e, quando possi-bile, fate interventi a sproposito, anche divertenti, che distolga-no l’attenzione dei vostri compagni dalla lezione. 2) Niente volontariato, almeno che non partecipiate per ostacola-re gli altri e distrarre questi ultimi dai loro buoni propositi. 3) Arrivate in ritardo o rimanete assenti almeno un giorno alla settimana ed adducete scuse via via sempre più fantasiose. 4) Quando fate i compiti cercate di prendere qualche sufficienza ma non esagerate, altrimenti i professori potrebbero maturare qualche aspettativa su di voi.

SCALATA PER …

IL VOTO DI CONDOTTA !

Attrezzatevi, scegliete la valutazione e …

seguite le indicazioni.

5 Alessandro Caldani IB

6

7

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8 Vi credete bravi, eh ? 1) Durante le lezioni state pure attenti ma siate poco propensi alla collaborazione, perché se no vi affaticherete troppo. 2) Non sbilanciatevi : non fate né volontariato (troppo da fighet-ti), né assolutamente niente (troppo da sfaticati); vi consiglio il coro della scuola. 3) Fate con attenzione i compiti ma solo quelli che vi attirano o quelli che saranno valutati (occhio comunque a non farli troppo bene). 4) Quando fate degli interventi, cercate di complicare il lavoro all’insegnante e di scoraggiare i compagni ad intervenire a loro volta. Cavolo, avete deciso di puntare così in basso ?! 1) Vi basteranno due interventi al giorno ed un paio di occhiali con gli occhi aperti disegnati sopra ed il gioco è fatto. 2) Potete non comprare le arance ma il volontariato è lo stesso obbligatorio. 3) Siate espansivi ma controllatevi (altrimenti finite con il distrug-gere la classe). 4) Dovete fare interventi corretti, precisi e coerenti con il resto del discorso ma sempre aperti all’approfondimento. Non dovete però essere perfetti, anzi, se non sbagliate ogni tanto potreste finire con il prendere 10. 5) Ah, dimenticavo, i professori hanno sempre ragione. Secchioni !!! 1) Prendete corsi di recitazione, se non pensate di essere dei buo-ni attori, vi saranno indispensabili. 2) Annuite sempre ai professori (meglio se sorridendo, assumendo un’espressione intelligente). 3) Partecipate a più proposte di volontariato possibili (anche se i vecchietti vi ripugnano). 4) Cercate di vincere il premio Nobel, solo in questo modo avrete la certezza assoluta di ricevere l’agognato 10. 5) Ah, dimenticavo, comprate le arance, se no non vale.

9

10

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B AC HE C

A

Se il prof. riesce a superare questo test della vista

allora � conviene me� ere via Il Giornalo� o

Vedi di star zitto che sei

anche tu sotto il mio oc-

chio vigile e protettivo

come quello in cim

a alla

torre di mordor

prof. Pocchetto

Il 26 di f

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n Cogestio

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Prof. Albe

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l mo

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on

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... e

ris

e e

rise

e r

ise

tan

to!”

oggi il mio vicino ha bussato alla porta

alle 2:30 di mattina. 2:30! ci rendiamo

conto? buon per lui che fossi ancora

sveglio a suonare la mia cornamusa.

I musulmani stanno sempre bene: -Ehi, Mohamed come va

? -Allah grande!

- Paci: “per nostradamus, ratzinger doveva

essere il papa delle due torri...”

- miano: “quello del signore degli anelli?”

Per i matematici

il mondo sarebbe

dovuto finire nel

2000e12

Prof. Callegaro: “Vi

siete esercitati con la

mano destra?”

Paci: “Veramente io sa-

rei mancino!”

Lega Nord, un nero correrà per le regionali. E dovrà essere molto veloce.

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Non

facciamo di tutta la luce

un fascio

[Max Planck ft. Mauro Valenti 4H]

Bertinotti a Napolitano: “Pannella al

posto di Rita Levi Montalcini”.

Troppo tardi, è già stata seppellita.

[spinoza.it]

Paci: “Prof, quanto ci me� e un fotone ad uscire dal nucleo del Sole?”

Albera: “D

ipende da quanta � e� a ha...”

Tua

mam

ma

è co

sì grassa

che

quan

do h

a visitato G

inevra h

anno

dovuto

ricalib

rare

l’LH

C!

LE ragioni per cui Gli U.S.A. non

Costruiranno una MorTe Nera

The construc� on of the Death Star has been es� -

mated to cost more than $850,000,000,000,000,000.

We’re working hard to reduce the defi cit, not expand

it.

The Administra� on does not support blowing up

planets.

Why would we spend countless taxpayer dollars

on a Death Star with a fundamental fl aw that can be

exploited by a one-man starship?

[pe� � ons.whitehouse.gov]

THE D IS SILENT

Elena all`amica Clara: "Quanti

uomini hai avuto?"

Clara: "Bah... 5 o 6"

Elena: "Beh, non è tantissimo,

però considerando come vanno le

cose oggi"

Clara: "Effettivamente è stata

una settimana fiacca!!!"

Berlusconi: “

Meglio fare il ministr

o dell’econo-

mia, il premier n

on ha nessun potere”.

È stato lì c

he ha pensato ad Alfano.

So, Argon walks into a bar. The bartender says "We don't serve noble gases here!" Argon doesn't react.√(-1) 2

3 π...

... and it was delicious!

I Vitelli d

ei romani

sono belli

ci sono 2 tipi di persone

al mondo: quelle che

non sanno estrapolare

i dati mancanti.

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RedazioneElementare, Volta

Sherlock HolmesAgnese Anzani 4F

Do! or Watson

Giorgio Bondì 4H

Il Maggiordomo

Alessandro Luciano 4G

Miss. M

arple

Giada Cario! 4E

Il Commissario Rex

Pietro Fasola 5H

Il vendicatore mascherato

Alberto Nasi 3H

Ispe! ore violento della narco" ciDaniele Florean 5F

Il sind

aco

corro

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De

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aro

5C

Il Tenente ColomboStefano Schmidt 4G

Detec" ve ConanRenzo Averia 3B

Nero

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2D

L’assassino sull’Orient Express

Gaia Galimber! 1H

Isp

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A

Mycro# Holmes

Simone Paci 5G

Hercule Poirot

Alessandro Caldani 1B

Cecchino spara e fuggi

Angelo Wu 2D

Il barb

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Andrea P

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Il doga

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Anna Vals

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Il SigaroTaj Rossi 2C

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Lore

nzo

Mia

no

5H

Jessica Fletcher

Amalia Castoldi 2F

La prima sospe! ataArianna Pelliccio" a 2F

Il Morto dell’Orient Express

Greta Bindi 1D

L’Orient Express

Costanza Ballerio 1D

L’amica della vi% ma

Michela Mazzini 1H

Professor Moriarty

Mauro Albera

221B Baker Street

La Signora delle Fotocopie

Trench, coppola e pipa

Il Ciclos! le