Eutanasia cialdella gaetano 3a

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di Gateano Cialdella III^A

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di Gateano Cialdella III^A

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“Una sfida per le religioni”

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L'eutanasia - (dal greco εὐθανασία, composta da εὔ-, bene e θάνατος, morte) - è il procurare intenzionalmente e nel suo interesse la morte di un individuo la cui qualità della vita sia permanentemente compromessa da una malattia, menomazione o condizione psichica.

L’eutanasia è attiva diretta quando il decesso è provocato tramite la somministrazione di farmaci che inducono la morte (per esempio sostanze tossiche).

L’eutanasia è attiva indiretta quando l'impiego di mezzi per alleviare la sofferenza (per esempio: l'uso di morfina) causa, come effetto secondario, la diminuzione di tempi di vita.

L’eutanasia è passiva quando provocata dall'interruzione o l'omissione di un trattamento medico necessario alla sopravvivenza dell’individuo.

L’eutanasia è detta volontaria quando segue la richiesta esplicita del soggetto, espressa essendo in grado di intendere e di volere oppure mediante il cosiddetto testamento biologico. L’eutanasia è detta non-volontaria nei casi in cui non sia il soggetto stesso ad esprimere tale volontà ma un soggetto terzo designato (come nei casi di eutanasia infantile o nei casi di disabilità mentale).

Il suicidio assistito è invece l'aiuto medico e amministrativo portato a un soggetto che ha deciso di morire tramite suicidio ma senza intervenire nella somministrazione delle sostanze.

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La questione della correttezza morale della somministrazione della morte è un tema controverso fin dagli albori della medicina. Nel Giuramento di Ippocrate (circa 420 a.C.) si legge: Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo. D'altra parte, nel mondo classico, in determinate condizioni, il suicidio (e l'assistenza allo stesso) era spesso considerato con rispetto. Simili indicazioni etiche e deontologiche si possono rintracciare nel primo corpus legislativo della storia, il Codice di Hammurabi. Nell'Antico Testamento viene citato il caso di un suicidio assistito: quello del Saul (2 Samuele 1,6-10): un soldato uccide Saul su sua richiesta; ma David in seguito condanna quel soldato a morte per omicidio. Le correnti di pensiero nell'ambito della filosofia morale più diffuse in epoca classica pre-cristiana, cioè l'epicureismo e lo stoicismo, consideravano il suicidio in linea di massima come un atto eticamente accettabile e degno di rispetto, in determinati contesti, senza trattare l'eutanasia medica come tipologia specifica. Un esempio di suicidio citato tra quelli ritenuti ammirevoli era quello di Seneca, anche se in realtà fu condannato al suicidio da Nerone[3]

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Naturalmente,una questione così delicata riguardante la vita umana non poteva non sfociare nell’ambito della riflessione religiosa. Questo e’ avvenuto,perché un’azione così drastica,apparentemente contro la vita,sembrava abbattere il senso della sacralità della stessa,vista come dono della Trascendenza.

Pertanto,ogni religione ha espresso una propria opinione riguardo a tale fenomeno estremo.

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L’induismo e’ in genere contrario

all’eutanasia ,per il grande rispetto che

ha della vita umana. Tuttavia lascia a

ciascun individuo piena libertà di

coscienza.

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Centro dell’insegnamento del Buddha e’

l’impermanenza dell’essere e la realtà della

morte.Pertanto,e’ inutile allungare la vita oltre il suo

corso naturale con i mezzi e le tecniche che la scienza

medica può offrire. Usare cure eccessive non serve ad

altro che a rimandare la morte inevitabile.

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Secondo Confucio,padre del

confucianesimo,vita e morte sono al di là

del governo umano. L’uomo deve

adeguarsi alle leggi della natura,alle

quali non può in nessun caso

sottrarsi,tantomeno anticipando il

momento della morte.

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L’eutanasia nell’Islam e’ vietata perche’ la vita e’ sacra,come dice il Corano:”Non prendere alcuna vita che Dio ha reso sacra,tranne che per giustizia”.Inoltre,l’eutanasia va contro ilòprincipio di non maleficenza:”Nessun male deve essere fatto e contraccambiato nell’Islam”. L’Islam condanna anche l’accanimento terapeutico:il medico deve preservare il processo della vita,non quello della morte.

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Per il Talmud e’ meglio soffrire sette anni che morire di colpo. Le tradizioni ebraiche più acetiche vedono il dolore come benedizione:l’ebreo non deve andare incontro alla morte con paura e terrore. L’unica paura e’ quella di andare incontro alla morte senza essere debitamente preparati. La Mishnah consiglia di convertirsi un giorno prima della morte,cioe’ ogni giorno. Così come e’ proibito accelerare la morte,e’ proibito ritardarla anche con mezzi artficiali. L’indisponibilità per l’uomo alla propria esistenza e’ dunque un concetto fondamentale anche nella visione ebraica. Come ricorda il rabbino Riccardo di Segni:”La vita non ci appartiene ed e’ nostro dovere tutelarla.Abbiamo un diritto-dovere di sottoporci alle cure con lo scopo di alleviare la sofferenza,ma non di estendere innaturalmente la vita”. Nel diritto ebraico,il suicidio assistito e’ chiaramente proibito.Tuttavia “in casi particolari e’ consentito rimuovere ciò che prolunga artificialmente l’agonia”.

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La Chiesa ortodossa l’eutanasia come peccato mortale.

Le Chiese protestanti e in particolare i valdesi,condannano

l’omicidio e,quindi, l’eutanasia,ma,nel contempo,si pongono il

problema della sofferenza e del diritto individuale alla

morte,diritto che deve essere riconosciuto. In particolare,il

documento del Sinodo Valdese (1998) ammette la domanda di

suicidio assistito,secondo il principio che la sua accoglienza “può

essere assunta da un accompagnamento pastorale che tiene

aperta la dimensione di conflittualità che tale decisione implica”.

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La Chiesa cattolica è schierata nettamente contro l'eutanasia, considerando tali pratiche equivalenti all'omicidio o al suicidio.

La dottrina cattolica in merito all'eutanasia è riassunta nell'articolo del Catechismo della Chiesa Cattolica dedicata al quinto comandamento:

« L'eutanasia2276Coloro la cui vita è minorata o indebolita richiedono un rispetto particolare. Le persone ammalate o handicappate devono essere sostenute perché possano condurre un'esistenza per quanto possibile normale.2277Qualunque ne siano i motivi e i mezzi, l'eutanasia diretta consiste nel mettere fine alla vita di persone handicappate, ammalate o prossime alla morte. Essa è moralmente inaccettabile.Così un'azione oppure un'omissione che, da sé o intenzionalmente, provoca la morte allo scopo di porre fine al dolore, costituisce un'uccisione gravemente contraria alla dignità della persona umana e al rispetto del Dio vivente, suo Creatore. L'errore di giudizio, nel quale si può essere incorsi in buona fede, non muta la natura di quest'atto omicida, sempre da condannare e da escludere.2278 L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'«accanimento terapeutico». Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente.2279 Anche se la morte è considerata imminente, le cure che d'ordinario sono dovute ad una persona ammalata non possono essere legittimamente interrotte. L'uso di analgesici per alleviare le sofferenze del moribondo, anche con il rischio di abbreviare i suoi giorni, può essere moralmente conforme alla dignità umana, se la morte non è voluta né come fine né come mezzo, ma è soltanto prevista e tollerata come inevitabile. Le cure palliative costituiscono una forma privilegiata della carità disinteressata. A questo titolo devono essere incoraggiate. »(Catechismo della Chiesa Cattolica, Parte III, Sezione II, Capitolo II, Articolo V.[3)

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Nel 1965 durante il Concilio Ecumenico Vaticano II, la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et Spescontiene la prima o una delle prime citazioni esplicite dell'eutanasia in documenti dottrinali.

Nel 1979 Giovanni Paolo II, citando la Gaudium et Spes, tratta il tema dell'eutanasia rivolgendosi ai vescovi statunitensi: «[...] l'eutanasia o l'uccisione per pietà... è un grave male morale... Tale uccisione è incompatibile col rispetto per la dignità umana e la venerazione per la vita.»

Una definizione di eutanasia — citata anche da autori che non condividono le valutazioni etiche del magistero cattolico — si trova nella Dichiarazione sull'eutanasia Iura et bona, pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede il 5 maggio 1980, al n. II: «Per eutanasia s'intende un'azione o un'omissione che di natura sua, o nelle intenzioni, procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore. L'eutanasia si situa, dunque, al livello delle intenzioni e dei metodi usati». In tale definizione non vi è distinzione tra eutanasia attiva e passiva, volontaria e involontaria.

Una sintesi efficace della posizione della Chiesa cattolica si trova nell'enciclica EvangeliumVitae.

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Con riferimento al "suicidio assistito" e all'eutanasia, l'enciclica EvangeliumVitae cita varie fonti teologiche e dottrinali, tra cuiSant'Agostino:

«Non è mai lecito uccidere un altro: anche se lui lo volesse, anzi se lo chiedesse perché, sospeso tra la vita e la morte, supplica di essere aiutato a liberare l'anima che lotta contro i legami del corpo e desidera distaccarsene; non è lecito neppure quando il malato non fosse più in grado di vivere».(Epistula 204, 5: CSEL 57, 320.)

Allo stesso modo l'enciclica afferma che non bisogna confondere l'eutanasia con la rinuncia all'accanimento terapeutico, ossia i casi in cui la morte dell'ammalato sia ritenuta "imminente e inevitabile".

La posizione cattolica su questo argomento viene così descritta nel 2000 dalla Pontificia Accademia per la Vita: «Nell'immediatezza di una morte che appare ormai inevitabile e imminente "è lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita" (cfr Dich. su Eutanasia, parte IV), poiché vi è grande differenza etica tra "procurare la morte" e "permettere la morte": il primo atteggiamento rifiuta e nega la vita, il secondo accetta il naturale compimento di essa».

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Così come succede anche all’estero, il tema dell’eutanasia attira l’attenzione dell’opinione pubblica

quando i media portano, con fin troppa dovizia di particolari, alcuni casi in primo piano.

Nella primavera del 2000 tre sono stati i casi particolarmente dibattuti sulle pagine dei giornali

italiani.

Il 23 maggio un giovane di Viareggio ha aiutato il suo amico a farla finita, con una dose di insulina: ora

rischia fino a 15 anni, nonostante i genitori stessi del defunto definiscano il suo gesto «un atto di

amore».

Negli stessi giorni un uomo di Monza veniva condannato a sei anni e mezzo per avere, due anni prima,

staccato i fili che pompavano aria ai polmoni della moglie. I giudici hanno,poi,stabilito che l’ingegnere

Forzatti, staccando la spina del respiratore al quale era attaccato il corpo della moglie, non la uccise in

quanto, a loro avviso, la donna era già morta.

Nel maggio 2001, gli ultimi giorni di Emilio Vesce, storico militante radicale, infiammarono la

campagna elettorale per via delle dichiarazioni del figlio contro il nutrimento artificiale, «non più

attuato come terapia ma come accanimento terapeutico».

Nel settembre 2006 è scoppiato il caso di Piergiorgio Welby, affetto da distrofia muscolare e oramai

incapace di muoversi, che ha chiesto al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano di poter

ottenere l’eutanasia. Il Presidente ha subito invitato le Camere a discutere del problema, ma è rimasto

inascoltato. Il successivo 21 dicembre Pietro Welby è morto, scatenando una forte ondata di

commozione in tutto il Paese.

Nel luglio 2007 è morto Giovanni Nuvoli, che aveva a sua volta chiesto che gli fosse staccato il

respiratore: per impedire che un medico rispettasse le sue volontà erano stati inviati i carabinieri.

Nuvoli è stato così costretto, per porre fine alle sofferenze, a non assumere più né cibo né bevande,

“lasciandosi morire” di fame e di sete.

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Il caso di Eluana Englaro, completamente immobile e priva di coscienza dal 1992, ha tenuto banco per molti anni. Il padre, stanco di vederla tenuta in vita da un cannello nasogastrico (e contro la stessa volontà della figlia), ha intrapreso diverse iniziative legali per sospendere le cure, senza alcun successo per molti anni. Finalmente, nell’ottobre 2007, la Corte di Cassazione, nel rinviare la questione alla Corte d’Appello di Milano, ha stabilito che l’interruzione delle cure può essere ammessa, quando il paziente si trova in uno stato vegetativo irreversibile e se, in vita, aveva manifestato la propria contrarietà a tali cure. La Corte d’Appello, nel luglio 2008, ha autorizzato il padre di Eluana a interrompere i trattamenti di idratazione e alimentazione forzata: contro il provvedimento è stato presentato un ricorso da parte del procuratore generale di Milano, ricorso poi bocciato dalla Corte di Cassazione. Eluana si è spenta nel febbraio 2009 in una clinica di Udine, dopo che il governo Berlusconi aveva tentato di emanare un decreto legge ad hoc per impedire il compimento della volontà di Eluana.

Nel novembre 2010, il noto regista Mario Monicelli, affetto da malattia terminale, decise di lanciarsi dal quinto piano dell'ospedale in cui era ricoverato. Esattamente un anno dopo è stato infine l'ex parlamentare Lucio Magri a scegliere il suicidio assistito in Svizzera. Nel 2013 a far notizia è il caso di Piera Franchina, a sua volta recatasi in Svizzera. In ottobre è ancora un regista, Carlo Lizzani, a togliersi la vita lanciandosi dal terzo piano: aveva detto che avrebbe voluto l'eutanasia insieme alla moglie, come Romeo e Giulietta.

Questi casi, se sono strazianti dal punto di vista di chi ne è coinvolto direttamente, finiscono quanto meno per dimostrare come la legislazione sia assolutamente inadeguata ai tempi.

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La vita non sempre va conservata: il bene, infatti, non consiste nel vivere, ma nel vivere bene. Perciò, il saggio vivrà quanto deve, non quanto può. Osserverà dove gli toccherà vivere, con chi, in che modo e che cosa dovrà fare. Egli bada sempre alla qualità della vita, non alla lunghezza.(Lucio Anneo Seneca)

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