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Compendio di teoria della misura (con un occhio alla probabilit` a) D.Bertacchi, M.U.Dini 11 settembre 2006

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Compendio di teoria della misura(con un occhio alla probabilita)

D.Bertacchi, M.U.Dini

11 settembre 2006

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Indice

0 Prefazione 50.1 Notazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5

1 Spazi di misura 71.1 Algebre e σ–algebre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71.2 Misure . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111.3 Probabilita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141.4 Approfondimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

1.4.1 σ–algebre come “informazione” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151.4.2 Rappresentazione degli elementi delle σ–algebre . . . . . . . . . . . 161.4.3 Cardinalita delle σ–algebre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171.4.4 Misure reali e misure complesse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

2 Estensione di misure 192.1 Costruzione dell’estensione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 192.2 Unicita dell’estensione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 242.3 Completezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 272.4 Costruzione della misura di Lebesgue su Rn . . . . . . . . . . . . . . . . . 27

2.4.1 Probabilita generali e probabilita uniforme su [0, 1] . . . . . . . . . 302.5 Approfondimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31

2.5.1 Il teorema della classe monotona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31

3 Integrale astratto di Lebesgue 333.1 Funzioni misurabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 343.2 Integrazione di funzioni semplici positive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 353.3 Integrazione di funzioni positive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 373.4 Integrazione di funzioni integrabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 383.5 Teoremi di convergenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 393.6 Confronto Riemann-Lebesgue . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 403.7 Integrali rispetto ad altre misure, serie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 413.8 Approfondimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43

3.8.1 Approssimazione di funzioni positive con successioni monotone disemplici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43

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4 INDICE

4 Probabilita su R 454.1 Probabilita discrete e assolutamente continue . . . . . . . . . . . . . . . . . 454.2 Funzione di ripartizione di una probabilita su R . . . . . . . . . . . . . . . 474.3 Probabilita singolari e teorema di rappresentazione . . . . . . . . . . . . . 494.4 Integrale di Lebesgue-Stieltjes . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 504.5 Approfondimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51

4.5.1 Teorema di rappresentazione di Riesz . . . . . . . . . . . . . . . . . 514.5.2 Teorema di Radon-Nikodym . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 514.5.3 Funzioni assolutamente continue . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 514.5.4 Integrali di Stieltjes . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51

5 Misura e integrazione in spazi prodotto 535.1 Prodotto cartesiano e rettangoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 535.2 Sezioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 545.3 Misura prodotto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 565.4 Integrale prodotto e integrali iterati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56

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Capitolo 0

Prefazione

0.1 Notazione

Nel corso di queste dispense le stesse lettere verrano utilizzate per indicare oggetti diversie lettere diverse verranno utilizzare per indicare stessi oggetti.

Ad esempio L potra, a seconda del contesto, essere una semplice famiglia di insiemi, unasigma-algebra, la sigma-algebra di Lebesgue su (0, 1] o sempre la sigma-algebra di Lebesguema sull’intera retta R.

Il contesto NON sara sufficiente a garantire chiarezza per raggingere la quale il lettoretentera inutilmente di rivolgersi a testi piu attendibili quali il Billingsley o l’Halmos.

Infatti sfogliando i suddetti testi il gentil lettore avra l’amarezza di scoprire che il primole sigma-algebre di Lebesgue non le nomina nemmeno (ma chiama Ri le sigma-algebre diBorel) mentre l’altro le chiama S in quanto completamento della sigma-algebra di Borelchiamata S.

Lo stesso (Halmos) chiama la misura di Lebesgue µ in quanto completamento della mi-sura µ sulla sigma-algebra di Borel. Per far sparire ogni dubbio sulla possibilita di untesto chiaro, l’autore si affretta a specificare che per praticita al posto di µ verra usato ilpiu semplice µ. E opportuno avvisare il lettore che sempre il medesimo autore usa in tut-to il testo sempre e solo µ per indicare ogni sorta di misura che gli venga in mente di citare.

Le cose non vanno meglio con Billingsley. Cito testualmente:

Se Ω0 ∈ F , allora F ∩ Ω0 = [A : A ⊂ Ω0, A ∈ F ]. Se Ω = R1, Ω0 = (0, 1], e F = R1, e seA e la classe degli intervalli finiti sulla retta, allora A ∩ Ω0 e la classe dei subintervalli di(0, 1], e B = σ(A ∩ Ω0) e dato da:

B = [A : A ⊂ (0, 1], A ∈ R1

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6 CAPITOLO 0. PREFAZIONE

Un sottoinsieme di (0, 1] e quindi un insieme di Borel (giace in B) se e solo se e un insiemedi Borel sulla retta (giace in R1) e pertanto la distinzione nella notazione puo essere omessa.

A parte che nelle prime due righe compaiono 8 (otto) simboli diversi definiti in altrettantediverse pagine del testo, anche in questo caso stessa notazione per oggetti diversi.Resta un dubbio: quale tra gli otto simboli esposti nelle righe precedenti non verra piuutilizzato nel seguito? Billingsley non lo dice...

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Capitolo 1

Spazi di misura

In questo capitolo definiremo gli spazi di misura, cioe le terne (Ω,F , µ) dove Ω e uninsieme, F e una σ–algebra su Ω e µ e una misura su F . Gli spazi di probabilita sono uncaso particolare e lo metteremo in luce scrivendo P al posto di µ.

1.1 Algebre e σ–algebre

Definizione 1. Una classe F di sottoinsiemi di Ω e un’algebra se soddisfa le tre condizioni:

(i) Ω ∈ F ;

(ii) A ∈ F implica Ac ∈ F (cioe F e chiusa rispetto alla formazione di complementari);

(iii) A1, . . . , An ∈ F implica⋃n

i=1 Ai ∈ F (cioe F e chiusa rispetto alla formazione diunioni finite).

Nella definizione di algebra compaiono solo due operazioni insiemistiche: il complementaree l’unione. In realta le altre operazioni (intersezione, differenza, differenza simmetrica)possono essere scritte usando solo le due operazioni di cui sopra, percio se una famiglia disottoinsiemi F e un’algebra, essa risulta chiusa anche rispetto alla formazione di intersezionifinite, differenze e differenze simmetriche.

Esercizio 1. Dati A, B, A1, . . . , An insiemi, scrivere gli insiemi differenza A \ B, differenzasimmetrica A∆B e intersezione A1 ∩ · · · ∩ An, utilizzando solo il simbolo di unione e dicomplementare (ricordiamo che A∆B = (A \ B) ∪ (B \ A)).

Definizione 2. Una classe F di sottoinsiemi di Ω e una σ–algebra se soddisfa le trecondizioni:

(i) Ω ∈ F ;

(ii) A ∈ F implica Ac ∈ F (cioe F e chiusa rispetto alla formazione di complementari);

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8 CAPITOLO 1. SPAZI DI MISURA

(iii) Ann≥1 ⊂ F implica⋃∞

n=1 An ∈ F (cioe F e chiusa rispetto alla formazione diunioni numerabili).

La differenza fra la definizione di algebra e quella di σ–algebra sta nella terza richiesta, doveappare chiaro che la numerabile additivita e una richiesta piu forte della finita additivita.Come le algebre, anche le σ–algebre risultano chiuse rispetto alla formazione di differenze,differenze simmetriche e intersezioni finite, nonche, in virtu della richiesta (iii), ancherispetto alla formazione di intersezioni numerabili.

Esercizio 2. Una σ–algebra e anche un’algebra.

Esempio 1. La piu piccola σ–algebra in Ω e ∅, Ω. La piu grande e l’insieme delle partiP(Ω).

Osserviamo che in generale un’algebra non e detto sia una σ–algebra, come mostra ilseguente esercizio.

Esercizio 3. Sia Ω un insieme infinito, sia F la famiglia di sottoinsiemi di Ω che o sonofiniti o cofiniti (il loro complementare e finito) e sia G la famiglia di sottoinsiemi di Ω cheo sono numerabili o conumerabili (il loro complementare e numerabile).

a. Dimostrare che F e un’algebra ma non e una σ–algebra.

b. Dimostrare che G e una σ–algebra.

c. G e chiusa rispetto alle unioni arbitrarie? Quando G = P(Ω)?

Definizione 3. Dato un insieme Ω e una σ–algebra F su di esso, la coppia (Ω,F) edetta spazio misurabile, e gli elementi di F sono anche detti F–misurabili o semplicementemisurabili.

Gli elementi F–misurabili sono gli insiemi su cui poi andremo a definire la misura (o,nel caso della teoria delle probabilita, ne definiremo la probabilita). Nella teoria delleprobabilita inoltre gli insiemi misurabili sono anche detti eventi.Un paio di esempi ci chiariranno perche e naturale chiedere che la classe degli insiemimisurabili sia una σ–algebra piuttosto che un’algebra.

Esempio 2. Si lanci una moneta infinite volte: sappiamo che la probabilita dell’insieme Ai

= “esce testa all’i-esimo lancio” e 1/2, e in particolare tale insieme e un evento.(a) Sarebbe interessante determinare la probabilita dell’insieme A = “esce testa primao poi”, dunque come minimo questo insieme deve essere un evento. E facile vedere cheA =

⋃∞i=1 Ai, e se la classe degli eventi e una σ–algebra il fatto che A sia un evento e

conseguenza del fatto che gli Ai sono eventi.(b) Marco e Paolo giocano a testa e croce, Marco vince 1 euro ogni volta che esce testa (ePaolo lo perde), e viceversa se esce croce. Marco ha inizialmente a euro e Paolo b euro, egiocano finche uno dei due non puo proseguire perche non ha piu denaro. Ci si puo chiederequal e la probabilita che a perdere tutto sia Marco. Vedremo che l’insieme “Marco perdetutto” e un’unione numerabile di intersezioni finite di eventi Ai, dunque e sicuramenteevento se la classe degli eventi e una σ–algebra (mentre non lo sarebbe necessariamente setale classe fosse solo un’algebra).

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1.1. ALGEBRE E σ–ALGEBRE 9

Spesso ci si focalizza su una famiglia ristretta di insiemi “semplici” (chiamiamola A), chesi vuole siano misurabili, dopo di che si cerca una σ–algebra che contenga questi insiemisemplici. Ovviamente P(Ω) e fra le σ–algebre candidate, ma noi siamo interessati a quellaminimale, cioe alla piu piccola σ–algebra che contiene A.

Definizione 4. Data una famiglia A di sottoinsiemi di Ω,

σ(A) :=⋂

Fα⊇A

Fα σ−algebra

e la σ–algebra generata da A.

Proposizione 1. Sia A una collezione di sottoinsiemi di Ω. Allora σ(A) e una σ–algebraed e la piu piccola che contenga A.

Dim. Cominciamo con l’osservare che gli elementi di σ(A) sono quei sottoinsiemi di Ωche sono elementi di ognuna delle σ–algebre Fα che contengono la famiglia A. La tesi econseguenza dei tre punti seguenti:

1. L’intersezione di σ–algebre e una σ–algebra: infatti poiche Ω ∈ Fα per ogni α (le Fα

sono σ–algebre) allora Ω ∈ σ(A). Se A ∈ σ(A) significa che A ∈ Fα per ogni α, maallora vale anche Ac ∈ Fα per ogni α e dunque Ac ∈ σ(A) (e dunque σ(A) e chiusarispetto alla formazione di complementari). Infine se Ann≥1 ⊂ σ(A) significa cheAnn≥1 ⊂ Fα per ogni α e allora

⋃∞n=1 An ∈ Fα per ogni α, da cui

⋃∞n=1 An ∈ σ(A).

2. L’intersezione che definisce σ(A) e non vuota, cioe esiste almeno una Fα, infatti P(Ω)e una σ–algebra che contiene A (qualunque sia A).

3. Se G e σ–algebra che contiene A, allora σ(A) ⊆ G. Infatti G e una delle σ–algebre lacui intersezione definisce σ(A).

Esercizio 4. (1) Sia F una σ–algebra. Dimostrare che σ(F) = F .

(2) Sia A la famiglia dei singoletti. Determinare σ(A).

(3) Sia A = ∅. Determinare σ(A).

(4) Sia A = Ω. Determinare σ(A).

(5) Sia A la classe vuota. Determinare σ(A).

(6) Dimostrare che se A ⊆ A′ allora σ(A) ⊆ σ(A′).

(7) Dimostrare che se A ⊆ A′ ⊆ σ(A) allora σ(A) = σ(A′).

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10 CAPITOLO 1. SPAZI DI MISURA

(8) Determinare σ(A) nei seguenti tre casi: A = A, A = A, B, A = A1, . . . , An conAi partizione disgiunta di Ω.

Concludiamo con la definizione di una σ–algebra molto importante: quella dei boreliani.La definizione e ambientata in un qualsiasi spazio topologico a partire dagli aperti, noinaturalmente la useremo per lo piu in Rn.

Definizione 5. Sia τ la classe degli insiemi aperti di Rn. Denotiamo con

B(Rn) ≡ Bn := σ(τ)

la σ–algebra di Borel di Rn, e chiamiamo boreliani i suoi elementi. Analogamente in unqualsiasi spazio topologico (Ω, τ) la σ–algebra di Borel e quella generata da τ .

Su R (e analogamente su Rn) per ottenere B1 non e necessario “utilizzare” tutti gli aperti,infatti vale la seguente proposizione.

Proposizione 2. La σ–algebra B1 e generata da una qualsiasi delle seguenti classi disottoinsiemi di R:

1. da I1, classe degli intervalli (a, b] (oppure [a, b), o (a, b), o [a, b]);

2. da I2, classe degli intervalli (−∞, b] (oppure (−∞, b));

3. da I3, classe degli intervalli [a, +∞) (oppure (a, +∞)).

Dim. Basta mostrare che ogni elemento di τ puo essere scritto tramite operazioni insie-mistiche a partire dagli elementi di Ij , j = 1, 2, 3, e viceversa. In particolare accenniamoalla dimostrazione nel caso j = 1:(a, b] = (a, +∞) \ (b, +∞) (differenza di due aperti) dunque I1 ⊂ B1 e dunque σ(I1) ⊂ B1.Viceversa dalle nozioni di topologia su R e noto che gli aperti di R sono unione al piunumerabile di intervalli aperti (x, y) e ognuno di essi puo essere scritto come

⋃∞n=1(x, y −

1/n]. Analogamente si procede per [a, b) e [a, b] ((a, b) e un aperto percio non c’e nulla dadimostrare).Si potrebbe pensare che data una classe di insiemi M, si riesca a dare una “rappresen-tazione” degli elementi di σ(M) in funzione degli elementi di M (in effetti una cosa delgenere si riesce a fare con le topologie, si vedano gli approfondimenti). In realta questo,non appena |M| = +∞, diviene in generale impossibile e, scelto A ⊂ Ω, non neppuresemplice decidere se A ∈ σ(M) oppure no.Tuttavia fortunatamente spesso non occorre “conoscere” tutti gli insiemi di una certa σ–algebra F , ma solo sapere che a F appartengono determinati insiemi (come gli intervalli ogli aperti nel caso dei boreliani), oppure che certe proprieta valgono per tutti gli elementidi F .

Esercizio 5. Sia Ω un insieme e siano x e y due suoi elementi. Sia A la famiglia disottoinsiemi di Ω tali che se A ∈ A e x ∈ A allora e anche y ∈ A (ovvero tutti gli elementidi A che contengono x contengono anche y). Allora questa proprieta rimane vera per tuttigli elementi di σ(A).

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1.2. MISURE 11

1.2 Misure

Definizione 6. Data un’algebra F una funzione

µ : F −→ [0, +∞]

si dice finitamente additiva se si ha che per ogni A1, . . . , An di elementi di F e a due a duedisgiunti vale

µ

(n⋃

i=1

Ai

)=

n∑

i=1

µ(Ai),

Ha senso chiedere che la misura soddisfi la proprieta di finita additivita perche e il modo piunaturale e ovvio per definire la misura sull’unione finita di insiemi disgiunti dell’algebra.Cio, pero, non sara sufficiente in quanto, abbiamo visto, risulta necessario lavorare conuna σ-algebra e non solo con un’algebra. Pertanto dovremo introdurre una condizione piurestrittiva che fornisca le medesime garanzie ma su una famiglia per la quale vale l’unionenumerabile.

Definizione 7. Data una σ–algebra F una funzione

µ : F −→ [0, +∞]

e una misura se e numerabilmente additiva ovvero se soddisfa la seguente richiesta (detta dinumerabile additivita o σ-additivita): per ogni successione Ann≥1 di insiemi F–misurabilie a due a due disgiunti vale

µ

( ∞⋃

n=1

An

)=

∞∑

n=1

µ(An).

Si dice che µ e una misura finita se µ(Ω) < +∞ (si dice anche che µ ha massa totalefinita). Un caso particolare e quello in cui µ(Ω) = 1: in quel caso µ e per definizioneuna misura di probabilita. La misura e invece σ–finita se Ω e unione numerabile (nonnecessariamente disgiunta) di insiemi misurabili di misura finita.

Definizione 8. Dato uno spazio misurabile (Ω,F) e una misura µ su F , la terna (Ω,F , µ)e detta spazio di misura (e se µ e una probabilita e detta spazio di probabilita).

Alcune correnti di pensiero, in particolare per studiare le probabilita (si veda De Finetti[3]) preferiscono utilizzare una definizione di misura che richieda solo la finita additivita,ritenendo che la numerabile additivita non sia un assioma giustificato. Tuttavia la nume-rabile additivita permette di ottenere molti risultati con relativa facilita: percio seguiremola linea di quella che ormai e la teoria della misura e della probabilita largamente utilizzatain tutto il mondo.

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12 CAPITOLO 1. SPAZI DI MISURA

Osservazione 1. Riguardo alla numerabile additivita, notiamo che l’unione⋃∞

n=1 An e in-variante rispetto a riordinamenti della successione An, dunque potrebbe sorgere il dubbioche vada richiesto che la serie

∑∞n=1 µ(An) converga (e allo stesso numero) qualsiasi sia

l’ordine dei suoi termini. Ma e noto che una serie a termini positivi se converge, convergeassolutamente, dunque incondizionatamente (e se non converge diverge a +∞ qualunquesia l’ordine dei termini).

Nel prossimo capitolo vedremo come costruire misure “interessanti”, nel frattempo vediamodue facili esempi di misure.

Esempio 3. (a) La misura del conteggio νc e definita su P(Ω):

νc(A) =

|A| se A e finito

+∞ se A e infinito

dove |A| indica il numero di elementi di A. νc e finita se Ω e finito, mentre e σ–finita(ma non finita) se Ω e numerabile.

(b) Fissato ω0 ∈ Ω, la massa concentrata in ω0, o delta di Dirac in ω0, e la misura diprobabilita δω0 definita su P(Ω):

δω0(A) =

1 se A ∋ ω0

0 se A 6∋ ω0

Passiamo ora alle proprieta delle misure che discendono dalla definizione.

Proposizione 3. Sia µ una misura su una σ–algebra F . Allora

1. µ(∅) = 0.

2. µ e finitamente additiva.

3. µ e monotona, cioe A ⊂ B implica µ(A) ≤ µ(B).

4. µ e numerabilmente subadditiva, cioe

µ

( ∞⋃

n=1

An

)≤

∞∑

n=1

µ(An), ∀Ann≥1 ⊂ F .

5. µ e continua dal basso, cioe µ(An) → µ(A) se An ↑ A, ovvero A =⋃∞

n=1 An e

A1 ⊂ A2 ⊂ A3 ⊂ · · ·

6. µ e condizionatamente continua dall’alto, cioe µ(An) → µ(A) se µ(A1) < +∞ eAn ↓ A, ovvero A =

⋂∞n=1 An e

A1 ⊃ A2 ⊃ A3 ⊃ · · ·

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1.2. MISURE 13

Dim.

1. Dalla numerabile additivita:

µ(∅) = µ

( ∞⋃

n=1

∅)

=

∞∑

n=1

µ(∅),

da cui segue che non puo essere µ(∅) > 0 e dunque µ(∅) = 0.

2. Data un’unione finita⋃n

i=1 Ai, basta scriverla come unione numerabile aggiungendoinfinite volte il vuoto:

A1 ∪ A2 ∪ · · · ∪ An = A1 ∪ A2 ∪ · · · ∪ An ∪ ∅ ∪ ∅ ∪ . . .

e per la numerabile additivita di µ si ha che

µ

(n⋃

i=1

Ai

)= µ (A1 ∪ · · · ∪ An ∪ ∅ ∪ ∅ ∪ . . .) =

n∑

i=1

µ(Ai) + µ(∅) + µ(∅) + · · · ,

che grazie a 1. porta alla tesi.

3. Se A ⊂ B allora B = A ∪ (B \ A) e questa unione e disgiunta, percio per la finitaadditivita

µ(B) = µ(A) + µ(B \ A) ≥ µ(A).

4. Definiamo la sequenza di eventi disgiunti B1 = A1 e Bn := An \ An−1 per n ≥ 2.Allora

⋃∞n=1 An =

⋃∞n=1 Bn e allora dalla numerabile additivita ricaviamo

µ

( ∞⋃

n=1

An

)=

∞∑

n=1

µ(Bn)

e per la monotonia µ(Bn) ≤ µ(An) (infatti Bn ⊂ An) e quindi la tesi segue da

∞∑

n=1

µ(Bn) ≤∞∑

n=1

µ(An).

5. Utilizziamo ancora la sequenza disgiunta Bnn definita al punto precedente, e os-serviamo che µ(An) =

∑ni=1 µ(Bi). Inoltre per la numerabile additivita e µ(A) =∑∞

i=1 µ(Bi). Ma allora (dalla definizione di serie)

µ(A) = limn→∞

n∑

i=1

µ(Bi) = limn→∞

µ(An).

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14 CAPITOLO 1. SPAZI DI MISURA

6. Definiamo A′n := A1 \ An (A′

n e il “complementare dentro A1” di An). Allora lasequenza A′

nn e crescente e A′ :=⋃∞

n=1 A′n = A1 \

⋂∞n=1 An. Per il punto precedente

µ(A′) = limn→∞

µ(A′n). (1.1)

D’altra parte

µ(A′) = µ(A1) − µ

( ∞⋂

n=1

An

)= µ(A1) − µ(A).

eµ(A′

n) = µ(A1) − µ(An).

Da queste due equazioni e da 1.1 segue la tesi.

Ovviamente una misura finita (ad esempio una probabilita) e sempre continua anchedall’alto. Vediamo un esempio in cui la continuita dall’alto non vale.

Esempio 4. Sia νc la misura del conteggio su N e sia An = n, n + 1, n + 2, . . .. AlloraAn ↓ ∅ ma νc(An) = +∞ per ogni n.

1.3 Probabilita

Come abbiamo gia detto nel paragrafo precedente, una probabilita P e una misura per cuiP(Ω) = 1. Questa caratteristica consente di ottenere ulteriori proprieta per le probabilita(che si possono generalizzare per le misure finite).

Proposizione 4. Sia (Ω,F , P) uno spazio di probabilita. Valgono le seguenti proprieta.

(a) Se A ∈ F allora P(Ac) = 1 − P(A).

(b) Se A, B ∈ F allora P(A ∪ B) = P(A) + P(B) − P(A ∩ B).

(c) Principio di inclusione-esclusione: dati A1, . . . , An ∈ F si ha

P

(n⋃

i=1

Ai

)=∑

i

P(Ai) −∑

i<j

P(Ai ∩ Aj) + · · · (−1)n−1P(A1 ∩ · · · ∩ An).

La dimostrazione e lasciata al lettore per esercizio.

Nel prossimo capitolo vedremo che sara utile poter dimostrare che una funzione definitasu un’algebra a valori in [0, +∞] e σ–additiva. Per questo sono utili i criteri forniti dalseguente teorema.

Teorema 1. Sia F una σ–algebra in Ω e P : F → [0, 1] sia finitamente additiva. Allora iseguenti fatti sono equivalenti.

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1.4. APPROFONDIMENTI 15

(a) P e numerabilmente additiva;

(b) P e numerabilmente subadditiva;

(c) P e continua dal basso: se An ∈ F , An ↑ A e A ∈ F , allora P(An) ↑ P(A);

(d) P e continua dall’alto: se An ∈ F , An ↓ A e A ∈ F , allora P(An) ↓ P(A);

(e) P e continua al vuoto: se An ∈ F , An ↓ ∅, allora P(An) ↓ 0;

Dim. (a) ⇒ (b) ⇒ (c) ⇒ (d) si dimostra come nella Proposizione 3, mentre e ovvio(d) ⇒ (e). Occorre mostrare che, in presenza della finita additivita, (e) ⇒ (a). Infatti seAnn≥1 e una successione di eventi disgiunti, per la finita additivita vale

P

( ∞⋃

n=1

An

)= P

(k⋃

n=1

An

)+ P

( ∞⋃

n=k+1

An

)

=

k∑

n=1

P(An) + P

( ∞⋃

n=k+1

An

).

Il secondo termine va a zero per l’ipotesi di continuita al vuoto, dato che⋃∞

n=k+1 An ↓ ∅,per k che tende a infinito.Come commento notiamo che l’enunciato resta valido nei seguenti casi:

1. per misure finite (non necessariamente limitate da 1);

2. per P definita su un’algebra F anziche una σ–algebra. In tal caso per enunciare cor-rettamente le proprieta bisogna chiedere che esse valgano ogni qual volta An ∈ F e⋃∞

i=n An ∈ F (o⋂∞

i=n An ∈ F se si parla del limite da sopra). Infatti il fatto che l’unionee l’intersezione numerabile stiano in F non e garantito a priori se F e un’algebra;

3. per misure non finite resta vera l’equivalenza di (a), (b) e (c).

1.4 Approfondimenti

1.4.1 σ–algebre come “informazione”

Una domanda potrebbe apparire a questo punto naturale. Qual e l’importanza della σ–algebra quando poi degli insiemi misurabili si valuta la misura? Equivalentemente, nel-l’ambito della teoria delle probabilita, qual e il ruolo della σ–algebra degli eventi, dato chepoi quello che interessa e la probabilita degli eventi stessi?Il ruolo risulta piu chiaro (e diventa cruciale nell’ambito dello studio dei processi stocastici)se si interpreta la σ–algebra F degli insiemi misurabili come informazione da noi possedutariguardo allo spazio Ω. Gli elementi di F sono quelli che conosciamo, cioe quelli di cuipossiamo valutare la misura. E chiaro che l’optimum si ha con F = P(Ω) (informazione

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16 CAPITOLO 1. SPAZI DI MISURA

= tutti i sottoinsiemi di Ω), ma ad esempio se F = σ(A1, A2, A3, A4) con gli Ai comein figura, allora l’informazione e limitata ai quattro insiemi A1 e alle loro unioni (si vedal’esercizio 4).

1

2

3

4

Ω

Α

Α

ΑΑ

In particolare, se (Ω,F , P) e uno spazio di probabilita, sappiamo che Ω e l’insieme deipossibili esiti ω di un esperimento aleatorio e la “scelta” di ω ∈ Ω (cioe di quale esitoparticolare si realizza) e fatta dal “caso” secondo la probabilita P. Nella figura qui sottose il “caso” sceglie ω noi, tramite l’informazione della famiglia F non sappiamo qualeelemento preciso sia ω, ma sappiamo che ω ∈ A2.

1

2

3

4

Ω

Α

Α

ΑΑω

In generale la σ–algebra F rappresenta l’“informazione” nel senso che quando il “caso”sceglie l’esito particolare ω, noi sappiamo dire, per ogni A ∈ F , se ω ∈ A oppure no. Perapprofondire questo concetto, si veda [1] a pagina 57.

1.4.2 Rappresentazione degli elementi delle σ–algebre

Abbiamo gia accennato al problema della “non rappresentabilita” degli elementi di unaσ–algebra. Infatti confrontandoci con quanto avviene per le topologie potremmo essereindotti a credere che sia facile, data una famiglia di insiemi A, capire come sono fatti glielementi di σ(A).Nel caso della topologia, per costruire a partire da A la piu piccola famiglia di insiemi τche contenga A e sia stabile rispetto ad intersezioni finite e unioni qualunque (definizione

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1.4. APPROFONDIMENTI 17

di topologia generata da A), basta considerare tutte le intersezioni finite di elementi diA, ottenendo cosı la famiglia C, e poi le unioni qualunque degli elementi di C (si veda adesempio il Capitolo 3 di [2]). Dunque con due passaggi “leciti” si hanno tutti gli elementidella topologia.Per le σ–algebre sono leciti i complementari e le unioni finite o numerabili. Tuttavia sipuo dimostrare (si veda [1] pagina 30) che ripetendo un numero finito di volte questeoperazioni sugli elementi di A = “intervalli di (0, 1]”, non si ottengono tutti i boreliani.Non solo, neppure ripetendole un insieme numerabile di volte (gia definire cosa questosignifichi genera problemi!), a meno di farlo in maniera ordinata.Siamo qui volutamente vaghi: per essere piu precisi occorrerebbe la teoria dei numeriordinali infiniti.

1.4.3 Cardinalita delle σ–algebre

E piuttosto semplice vedere che una σ–algebra generata da una partizione finita di Ω (cioeF = σ(A) dove A = A1, . . . , An con Ai ∩ Aj = ∅ per i 6= j e Ω = ∪n

i=1Ai) ha cardinalita2n. Inoltre conosciamo σ–algebre aventi la cardinalita del continuo: ad esempio P(N) hacardinalita c = 2ℵ0 (c e il simbolo con cui si indica la cardinalita del continuo, mentreℵ0 – che si legge “aleph zero” – indica la cardinalita del numerabile). Inoltre si potrebbedimostrare che i B((0, 1]), B1 e B(Rn) hanno la cardinalita del continuo.E naturale chiedersi se esistono σ–algebre infinite con cardinalita inferiore al continuo,ovvero, assumendo valida l’ipotesi del continuo (che dice che non esistono cardinalita in-termedie fra ℵ0 e c), se esistono σ–algebre numerabili (attenzione: stiamo contando glielementi della σ–algebra, non di Ω!). La risposta e negativa, come mostra il seguenteesercizio.

Esercizio 6. Mostrare che non esiste una σ–algebra F tale che |F| = ℵ0.

1.4.4 Misure reali e misure complesse

Le misure definite in questo capitolo sono a valori in [0, +∞], ma si possono anche definiremisure a valori in R (misure reali o con segno) o C (misure complesse). In tal casol’unica richiesta diviene la numerabile additivita, ovvero che, se An∞n=1 e una successionedisgiunta,

µ

( ∞⋃

n=1

An

)=

∞∑

n=1

µ(An)

(e la convergenza assoluta della serie e parte della richiesta). Tali misure compaiono quandosi voglia definire una misura ν a partire da un’altra misura µ e da una funzione f (reale ocomplessa):

ν(A) =

A

fdµ.

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18 CAPITOLO 1. SPAZI DI MISURA

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Capitolo 2

Estensione di misure

Supponiamo di aver costruito un’algebra A di sottoinsiemi di Ω e di aver definito unamisura su tale algebra.Nel capitolo precedente abbiamo appurato che, data una famiglia di sottoinsiemi di Ω, esistesempre ed e unica la σ-algebra generata da tale famiglia: dunque sappiamo “estendere” lafamiglia a una σ-algebra che la contenga.In questo capitolo vedremo che, sotto certe condizioni, esiste ed e unica anche l’estensionea σ(A) della misura definita su A.Come caso particolare vedremo la costruzione della misura di Lebesgue.

2.1 Costruzione dell’estensione

Sia µ una misura definita su un’algebra F0 di sottoinsiemi di Ω (ovvero che soddisfi irequisiti della Definizione 6 del Capitolo 1). Ci proponiamo di estendere µ a σ(F0).

Definizione 9. Dato un evento A ⊆ Ω chiamiamo misura esterna la quantita:

µ∗(A) = infA

n

µ(An)

dove l’operazione inf e estesa a tutte i ricoprimenti A ≡ A1, A2, . . . finite o numerabili

di A ovvero a tutte le famiglie A di insiemi di F0 tali che A ⊆+∞⋃n=1

An.

Osservazione 2. Rammentiamo che un ricoprimento non e necessariamente una partizionedunque gli elementi An del ricoprimento non sono per forza disgiunti ma e chiaro che menoessi si sovrappongono e piu la somma delle misure si avvicina a µ∗(A).

Osservazione 3. Se A ∈ F0 allora µ∗(A) = µ(A) (il ricoprimento minimale e quellocostituito dal solo A).

Affinche la misura esterna sia una misura occorre che sia per lo meno finitamente additiva.Questo non e in generale vero se la consideriamo definita su P(Ω), ma mostreremo inveceche vale se la consideriamo ristretta agli insiemi misurabili secondo la seguente definizione.

19

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20 CAPITOLO 2. ESTENSIONE DI MISURE

Definizione 10. Un sottoinsieme A di Ω si dice µ∗-misurabile se soddisfa il seguentecriterio (di Caratheodory):

µ∗(A ∩ E) + µ∗(Ac ∩ E) = µ∗(E) ∀E ⊆ Ω,

e la classe degli insiemi µ∗-misurabili e indicata con M.

In altre parole un insieme A e µ∗-misurabile se “taglia bene in due” ogni insieme E ⊂ Ω:in figura A ∩ E e Ac ∩ E hanno misure esterne che si sommano a dare µ∗(E).

Ω

c

AA

E

Ora dovremo verificare che la famiglia M appena costruita costituisce una σ–algebra, cheessa contiene la σ–algebra generata da F0 e che µ∗ ristretta a σ(F0) e proprio la misurache estende µ. A tale scopo serviranno alcune proprieta.

Proposizione 5. La misura esterna µ∗ gode delle seguenti proprieta:

(i) µ∗(A) ≥ 0, per ogni A ⊂ Ω;

(ii) µ∗(∅) = 0;

(iii) per ogni A, B ∈ P(Ω) con A ⊂ B si ha che µ∗(A) ≤ µ∗(B) (monotonia);

(iv) per ogni successione An∞n=1 ⊂ P(Ω) si ha che µ∗( ∞⋃

n=1

An

)≤

∞∑n=1

µ∗(An) (numera-

bile subadditivita).

Dim.

(i) Per definizione µ∗(A) ≥ 0 (inf di quantita positive!).

(ii) Per la proprieta precedente µ∗(∅) ≥ 0. L’insieme vuoto appartiene a F0 ed e ricopertoda se stesso, dunque µ∗(∅) = 0.

(iii) Ogni ricoprimento di B ricoprira anche A, dunque per definizione l’inf che definisceµ∗(A) sara minore o uguale di quello che definisce µ∗(B).

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2.1. COSTRUZIONE DELL’ESTENSIONE 21

(iv) Sia ε > 0. Possiamo scegliere Bn,k∞k=1 successione di insiemi in F0 in modo che

An ⊂∞⋃

n=1

Bn,k

e ∞∑

k=1

µ(Bn,k) < µ∗(An) +ε

2n.

Allora ⋃

n

An ⊆⋃

n,k

Bn,k

e quindi

µ∗

( ∞⋃

n=1

An

)≤∑

n,k

µ(Bn,k) <∞∑

n=1

µ∗(An) + ε.

Dall’arbitrarieta di ε discende la tesi.

Lemma 1. M e un’algebra.

Dim. Verifichiamo le tre proprieta caratterizzanti:

(i) Ω ∈ M, infatti ∀E ⊆ Ω si ha che µ∗(Ω ∩ E) + µ∗(∅ ∩ E) = µ∗(E) (ricordiamo cheµ∗(∅) = 0).

(ii) A ∈ M =⇒ Ac ∈ M, infatti ∀E ⊆ Ω si ha che µ∗(A ∩ E) + µ∗(Ac ∩ E) = µ∗(E).

(iii) A, B ∈ M =⇒ A ∪ B ∈ M, infatti ∀E ⊆ Ω si ha che

µ∗(E) = µ∗(B ∩ E) + µ∗(Bc ∩ E)

= µ∗(B ∩ A ∩ E) + µ∗(B ∩ Ac ∩ E) + µ∗(Bc ∩ A ∩ E) + µ∗(Bc ∩ Ac ∩ E)

≥ µ∗(B ∩ A ∩ E) + µ∗((A ∩ B)c ∩ E)

(per la prima uguaglianza abbiamo “spezzato” B ∩ E e Bc ∩ E con A, mentre ladisuguaglianza segue dalla subadditivita). D’altro canto, sempre per la subadditivita,

µ∗(A ∩ B ∩ E) + µ∗((A ∩ B)c ∩ E) ≥ µ∗(E),

e dunqueµ∗(A ∩ B ∩ E) + µ∗((A ∩ B)c ∩ E) = µ∗(E).

Quindi A∩B ∈ M cioe M e chiusa rispetto alle intersezioni finite e ai complementari,percio grazie alle formule di De Morgan, e chiusa anche rispetto alle unioni finite.

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22 CAPITOLO 2. ESTENSIONE DI MISURE

Lemma 2. Sia Ak∞k=1 una successione finita o numerabile di insiemi disgiunti di Mallora per ogni E ⊂ Ω

µ∗

(E ∩

∞⋃

k=1

Ak

)=

∞∑

k=1

µ∗ (E ∩ Ak) .

Dim. Dividiamo la dimostrazione in piu parti:

• Il caso finito Aknk=1 si dimostra per induzione:

• se n = 1 non c’e nulla da dimostrare.

• se n = 2

• se A1 ∪ A2 = Ω la relazione da dimostrare non e altro che il criterio diCaratheodory definente µ∗ infatti, posto A1 = A e A2 = Ac abbiamo che:

µ∗(

E ∩2⋃

k=1

Ak

)= µ∗(E) = µ∗(E ∩ A) + µ∗(E ∩ Ac) =

2∑k=1

µ∗ (E ∩ Ak)

• se A1 ∪ A2 ( Ω allora trattiamo E ∩ (A1 ∪ A2) come un qualsiasi E ′ ⊂ Ω:

µ∗(

E ∩2⋃

k=1

Ak

)= µ∗(E ′) = µ∗(E ′ ∩ A1) + µ∗(E ′ ∩ Ac

1) =2∑

k=1

µ∗(E ∩ Ak)

• se n > 2 chiamiamo Bn =n⋃

k=1

Ak e osserviamo che Bn = Bn−1 ∪ An. Allora:

µ∗(

E ∩n⋃

k=1

Ak

)= µ∗ (E ∩ (Bn−1 ∪ An)) = µ∗(E ∩ Bn−1) + µ∗(E ∩ An) perche

il lemma vale per n = 2 e, infine, µ∗(E ∩Bn−1) + µ∗(E ∩An) =n∑

k=1

µ∗ (E ∩ Ak)

per l’ipotesi induttiva.

• Il caso numerabile si dimostra sfruttando la monotonia e la numerabile subadditivita

di µ∗. Infatti, poiche ∀n E ∩n⋃

k=1

Ak ⊆ E ∩∞⋃

k=1

Ak, per la monotonia:

µ∗(

E ∩∞⋃

k=1

Ak

)≥ µ∗

(E ∩

n⋃k=1

Ak

)=

n∑k=1

µ∗ (E ∩ Ak)n→∞−−−→

∞∑k=1

µ∗ (E ∩ Ak)

D’altro canto, per la numerabile subadditivita, ricaviamo:

µ∗(

E ∩∞⋃

k=1

Ak

)= µ∗

( ∞⋃k=1

(E ∩ Ak)

)≤

∞∑k=1

µ∗ (E ∩ Ak)

da cui l’asserto.

Lemma 3. µ∗|M e numerabilmente additiva.

Dim. La numerabile additivita di µ∗|M si ricava dal lemma precedente ponendo E = Ω.

Lemma 4. M e una σ–algebra.

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2.1. COSTRUZIONE DELL’ESTENSIONE 23

Dim. Poiche abbiamo gia visto che M e un’algebra non ci resta da dimostrare che Me chiusa rispetto all’unione numerabile. E per questo ci bastera mostrare che M e chiu-sa rispetto all’unione numerabile disgiunta (in quanto ogni unione numerabile puo esserescritta come unione numerabile disgiunta).A tale scopo sia A1, A2, . . . una successione numerabile di insiemi disgiunti di M e sia

A =⋃k

Ak la sua unione. Sia inoltre Bk =n⋃

k=1

Ak l’unione finita arrestata al termine n.

Ovviamente ogni Bn ∈ M in quanto M e un’algebra.Dobbiamo mostrare che anche A ∈ M ovvero che µ∗(E) = µ∗(E ∩ A) + µ∗(E ∩ Ac).Grazie alla numerabile subadditivita bastera mostrare che µ∗(E) ≥ µ∗(E∩A)+µ∗(E∩Ac).

Osserviamo che:

• µ∗(E) = µ∗(E ∩ Bn) + µ∗(E ∩ Bcn) perche Bn ∈ M;

• µ∗ (E ∩ Bn) =n∑

k=1

µ∗(E ∩ Ak) per il lemma precedente;

• µ∗(E ∩ Bcn) ≥ µ∗(E ∩ Ac) per la monotonia di µ∗, essendo Ac ⊂ Bc

n;

• µ∗ (E ∩ A) =∞∑

k=1

µ∗(E ∩ Ak) ancora per il lemma precedente.

Dunque:

µ∗(E) = µ∗(E ∩ Bn) + µ∗(E ∩ Bcn) ≥

n∑k=1

µ∗(E ∩ Ak) + µ∗(E ∩ Ac)n→∞−−−→

∞∑k=1

µ∗(E ∩ Ak) +

µ∗(E ∩ Ac) = µ∗(E ∩ A) + µ∗(E ∩ Ac).

Lemma 5. F0 ⊂ M.

Dim. Dobbiamo mostrare che se A ∈ F0 allora A ∈ M. Infatti se A ∈ F0 allora ∀E ⊆ Ω e

∀ε > 0 esiste una successione A1, A2, . . . in F0 tale che E ⊂∞⋃

n=1

An e∞∑

n=1

µ(An) ≤ µ∗(E)+ε.

Siano Bn = An ∩ A e Cn = An ∩ Ac. Allora Bn e Cn appartengono a F0 perche F0 e

un’algebra. Inoltre E ∩ A ⊂∞⋃

n=1

Bn e E ∩ Ac ⊂∞⋃

n=1

Cn. Quindi:

µ∗(E ∩ A) + µ∗(E ∩ Ac) ≤∞∑

n=1

µ(Bn) +∞∑

n=1

µ(Cn) =∞∑

n=1

µ(An) ≤ µ∗(E) + ε e, pertanto,

A ∈ M.

A questo punto conosciamo gia molti insiemi µ∗–misurabili: ad esempio tutti quelli diF0, i loro complementari, le loro intersezioni o unioni numerabili. Molti altri insiemi sonoµ∗–misurabili, ad esempio quelli di misura esterna nulla.

Lemma 6. Sia A ⊂ Ω tale che µ∗(A) = 0. Allora A ∈ M.

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24 CAPITOLO 2. ESTENSIONE DI MISURE

Dim. Sia E ⊂ Ω. Per la subadditivita si ha che

µ∗(A ∩ E) + µ∗(Ac ∩ E) ≥ µ∗(E).

Inoltre per la monotonia

µ∗(A ∩ E) = 0 e µ∗(Ac ∩ E) ≤ µ∗(E),

dunqueµ∗(A ∩ E) + µ∗(Ac ∩ E) ≤ µ∗(E),

da cui A ∈ M.Ne segue che tutti i sottoinsiemi di insiemi di misura esterna nulla sono misurabili.

Corollario 1. Sia B ⊂ A ⊂ Ω e µ∗(A) = 0. Allora B ∈ M.

Dim. La tesi deriva dal lemma precedente e dal fatto che per la monotonia µ∗(B) = 0.

Lemma 7. µ∗|F0

≡ µ.

Dim. Se A ∈ F0 allora µ∗(A) ≤ µ(A) per definizione di µ∗. Inoltre, se A ⊂∞⋃

n=1

An e

An ∈ F0 allora, per la monotonia e la subadditivita di µ∗ su F0, µ(A) ≤∞∑

n=1

µ(A ∩ An) ≤∞∑

n=1

µ(An) da cui l’asserto.

Siamo ora pronti per dimostrare il seguente teorema.

Teorema 2 (di estensione). Sia µ una misura definita su un’algebra F0 e sia F = σ(F0)la σ–algebra generata da F0. Allora esiste l’estensione µ∗ di µ a F .

Dim. Per i lemmi introdotti F0 ⊂ F ⊂ M ⊂ P(Ω). Inoltre µ∗(Ω) = 1 e µ∗|M e una misura

su M che su F0 coincide proprio con µ. Allora µ∗|F e l’estensione cercata.

Osservazione 4. Per semplicita solitamente (e anche noi adotteremo nel seguito tale con-venzione) si scrive µ anziche µ∗.

2.2 Unicita dell’estensione

Definizione 11. Una famiglia A di sottoinsiemi di Ω e detta π-sistema se e chiusa rispettoall’intersezione finita cioe se:

(π) A, B ∈ A =⇒ A ∩ B ∈ A

Definizione 12. Una famiglia A di sottoinsiemi di Ω e detta λ-sistema se contiene Ωed e chiusa rispetto alla formazione di complementari e di unioni numerabili di insiemidisgiunti della famiglia ovvero se valgono le seguenti proprieta:

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2.2. UNICITA DELL’ESTENSIONE 25

(λ1) Ω ∈ A;

(λ2) A ∈ A =⇒ Ac ∈ A;

(λ3) An∞n=1 successione in A di insiemi disgiunti =⇒∞⋃

n=1

An ∈ A.

Osservazione 5. Se valgono le proprieta (λ1) e (λ3) allora (λ2) e equivalente a:

(λ′2) A, B ∈ A, A ⊂ B =⇒ B \ A ∈ A.

Infatti se L soddisfa (λ2) e (λ3) e A, B ∈ L, A ⊂ B, allora L contiene Bc, A ∪ Bc (unionedisgiunta) e B \ A = (A ∪ Bc)c. Per cui vale (λ′

2).Viceversa, se L soddisfa (λ1) e (λ′

2), allora A ∈ L implica che Ac = Ω \ A ∈ L e dunquevale (λ2).

Osservazione 6. Un’algebra e certamente un π-sistema e una σ-algebra e certamente unλ-sistema ma non e sempre vero il viceversa.

Esempio 5. Sia Ω = a, b, c, d. Consideriamo

A = ∅, Ω, a, b, a, c, a, d, b, c, b, d, c, d

allora A e un λ-sistema ma non e un’algebra.

Lemma 8. Se una famiglia L e sia un π-sistema che un λ-sistema allora e anche unaσ-algebra.

Dim.

• Ω ∈ L in virtu della proprieta (λ1).

• L e chiusa rispetto alla formazione di complementari in virtu della proprieta (λ2).

• L e chiusa rispetto alle unioni numerabili perche lo e rispetto alle unioni numerabilidisgiunte (λ3).

Teorema 3 (π-λ di Dynkin). Se A e un π-sistema e L e un λ-sistema tali che A ⊂ L,allora σ(A) ⊂ L.

Dim. Sia L0 il λ–sistema generato da A (ovvero l’intersezione di tutti i λ–sistemi conte-nenti A). E facile mostrare che A ⊂ L0 ⊂ L. Se mostriamo che L0 e anche un π–sistema,la tesi segue dal Lemma 8.Per ogni A ⊂ Ω, sia LA la famiglia di insiemi B tali che A ∩ B ∈ L0. Mostriamo che seA ∈ A oppure A ∈ L0 allora LA e un λ–sistema. Infatti poiche A ∩ Ω = A, LA soddisfa(λ1). Se B1, B2 ∈ LA e B1 ⊂ B2, allora L0 contiene A∩B1 e A∩B2 (e λ–sistema) e dunquecontiene la differenza propria (A ∩ B1) \ (A ∩ B2) = A ∩ (B2 \ B1) e dunque LA contiene

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26 CAPITOLO 2. ESTENSIONE DI MISURE

B2 \ B1 e LA soddisfa (λ′2). Infine se Bn ∈ LA sono insiemi disgiunti, allora L0 contiene

A ∩ Bn (che sono disgiunti) e dunque anche la loro unione A ∩ (⋃∞

n=1 Bn) e LA soddisfa(λ3).Se A, B ∈ A allora A ∩ B ∈ A ⊂ L0 e dunque B ∈ LA. Quindi A ∈ A =⇒ A ⊂ LA, epoiche LA e un λ–sistema, deve essere L0 ⊂ LA.Percio A ∈ A e B ∈ L0 implicano che B ∈ LA e A ∈ LB. Ne segue che se B ∈ L0 alloraA ⊂ LB e quindi L0 ⊂ LB. Infine, B ∈ L0 e C ∈ L0 implicano che C ∈ LB o, che e lostesso, B ∩ C ∈ L0 e L0 e un π–sistema.

Osservazione 7. Il seguente teorema di unicita e l’unico del capitolo che richiede una condi-zione piu restrittiva. I teoremi di estensione, infatti, valgono per misure generiche mentrel’unicita dell’estensione cade se non si postula che le misure in gioco siano σ-finite.

Teorema 4 (di unicita). Sia A un π-sistema e siano µ1 e µ2 misure entrambe definitesu σ(A) e σ-finite rispetto ad A, ovvero esista una successione Bn∞n=1 ⊂ A tali che⋃∞

n=1 Bn = Ω e sia µi(Bn) < ∞ per ogni n e per ogni i = 1, 2. Inoltre sia µ1|A ≡ µ2|Aallora µ1 e µ2 coincidono anche su σ(A).

Dim. Si supponga che B ∈ A e µ1(B) = µ2(B) < ∞ e sia LB la famiglia degli insiemiA ∈ σ(A) tali che µ1(B ∩ A) = µ2(B ∩ A). Allora LB e un λ–sistema, infatti:

• Ω ∈ LB;

• se A ∈ LB =⇒ Ac ∈ LB infatti, essendo B di misura finita:

µ1(B ∩ Ac) = µ1(B) − µ1(B ∩ A) = µ2(B) − µ2(B ∩ A) = µ2(B ∩ Ac);

• se A1, A2, . . . ∈ LB disgiunti allora, essendo B ∩⋃∞n=1 An =

⋃∞n=1 B ∩An, ricaviamo:

µ1

(B ∩

∞⋃

n=1

An

)=

∞∑

n=1

µ1(B ∩ An) =∞∑

n=1

µ2(B ∩ An) = µ2

(B ∩

∞⋃

n=1

An

),

e dunque⋃∞

n=1 An ∈ LB.

Inoltre A ⊂ LB da cui, per il teorema di Dynkin, σ(A) ⊂ LB, per ogni B ∈ A.

Ecco che entra in gioco la condizione di σ-finitezza: siano Bn gli insiemi tali che⋃∞

n=1 Bn =Ω con µ1(Bn) = µ2(Bn) < ∞, che esistono per ipotesi. Senza perdita di generalita possiamopensare che i Bn siano disgiunti.Ma allora se A ∈ A allora A ∈ ⋂∞

n=1 LBne per la numerabile additivita abbiamo:

µ1(A) = µ1

( ∞⋃

n=1

(Bn ∩ A)

)=

∞∑

n=1

µ1(Bn ∩ A)

=

∞∑

n=1

µ2(Bn ∩ A) = µ2

( ∞⋃

n=1

(Bn ∩ A)

)= µ2(A).

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2.3. COMPLETEZZA 27

2.3 Completezza

Gli insiemi di misura nulla hanno una certa importanza nella teoria della misura (e dellaprobabilita), infatti in generale non e solo l’insieme vuoto ad avere misura nulla. Per questodiamo la seguente definizione.

Definizione 13. Un insieme misurabile A con µ(A) = 0 si dice trascurabile.

Nel caso in cui si abbia una misura di probabilita si attribuisce un nome anche ai comple-mentari degli insiemi trascurabili.

Definizione 14. Un insieme misurabile A con P(A) = 1 si dice quasi certo.

Sembrerebbe naturale che tutti i sottoinsiemi di un dato insieme che e trascurabile abbianomisura nulla. Il problema e che tali sottoinsiemi se sono misurabili, allora hanno misurazero (per la proprieta di monotonia), ma non e detto che siano misurabili.

Definizione 15. Le misure per cui, per qualsiasi A trascurabili, tutti i sottoinsiemi di Asono misurabili si dicono complete.

Per il Corollario 1 l’estensione della misura µ alla σ–algebra M dei misurabili e completa.Inoltre data una misura su una σ–algebra F e sempre possibile completarla ovvero consi-derarla sulla σ–algebra Fc generata da F piu tutti i sottoinsiemi degli elementi di F aventimisura nulla. Si puo dimostrare che se E ∈ Fc allora E = A ∪ B dove A ∈ F e B ⊂ C,C ∈ F e µ(C) = 0.

2.4 Costruzione della misura di Lebesgue su Rn

Nel caso particolare in cui Ω = Rn la costruzione appena vista (ovvero definizione dellamisura esterna e sua restrizione alla σ–algebra dei misurabili) si puo applicare alla nozionedi “lunghezza” in modo da ottenere la misura di Lebesgue. Cominciamo col definire gliinsiemi di cui la lunghezza e “ovvia”: gli intervalli e le loro unioni finite.

Definizione 16. Un intervallo di Rn e∏n

i=1 Ii dove Ii e un intervallo di R (che puo essereaperto, chiuso, aperto a destra e chiuso a sinistra, eccetera). Chiamiamo Bn

0 l’algebra deipluriintervalli, ovvero delle unioni finite e disgiunte di intervalli di Rn.

Notiamo che la σ–algebra dei boreliani Bn e generata da Bn0 , ovvero σ(Bn

0 ) = Bn. Allo-ra definendo “bene” (cioe in modo che sia numerabilmente additiva) una misura su Bn

0 ,potremo poi estenderla a Bn (e oltre).

Definizione 17. Sia Ii un intervallo di estremi ai e bi con ai ≤ bi. Indichiamo con |Ii|la lunghezza in R di Ii, ovvero |Ii| = bi − ai. Se A =

∏n

i=1 Ii e un intervallo di Rn la sualunghezza in Rn e λn(A) =

∏ni=1 |Ii|. Se B = ∪m

j=1Aj e un pluriintervallo (gli Aj sonodunque intervalli), la lunghezza di B e λn(B) =

∑mj=1 λn(Aj).

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28 CAPITOLO 2. ESTENSIONE DI MISURE

Teorema 5. λn e una misura su Bn0 ovvero e numerabilmente additiva.

Dim. Facciamo solo il caso n = 1 (il caso generale e solo piu complesso dal punto di vistadella notazione).Sia A =

⋃∞k=1 Ak dove A ∈ Bn

0 e gli Ak sono disgiunti anch’essi in Bn0 . Allora A =

⋃ni=1 Ii

e Ak =⋃mk

j=1 Jkj dove gli Ii sono intervalli disgiunti, e cosı pure i Jk

j . Dunque

λ(A) =n∑

i=1

|Ii|, e λ(Ak) =

mk∑

j=1

|Jkj |,

Ii =∞⋃

k=1

mk⋃

j=1

(Ii ∩ Jk

j

),

inoltre l’unione che fornisce Ii e disgiunta. Se dimostriamo che data una unione numerabiledisgiunta di intervalli la sua misura secondo λ e la somma delle misure dei singoli intervalli,allora concludiamo, perche in tal caso:

n∑

i=1

|Ii|(∗)=

n∑

i=1

∞∑

k=1

mk∑

j=1

∣∣Ii ∩ Jkj

∣∣

(∗∗)=

∞∑

k=1

mk∑

j=1

∣∣Jkj

∣∣ (∗∗∗)=

∞∑

k=1

λ(Ak).

In queste uguaglianze (∗) e appunto la proprieta che andremo a dimostrare; (∗∗) segue dallastessa e dal fatto che possiamo scrivere A =

⋃∞k=1

⋃mk

j=1

⋃ni=1

∣∣Ii ∩ Jkj

∣∣ (unione disgiunta) e(∗ ∗ ∗) segue dalla definizione di λ(Ak).

Dimostriamo dunque che se I e un intervallo e I =⋃∞

k=1 Ik e gli Ik sono intervalli disgiunti,allora |I| =

∑∞k=1 |Ik|. Cio e conseguenza del seguente Lemma.

Lemma 9. a. Se⋃

k Ik ⊂ I e gli Ik sono disgiunti, allora∑

k |Ik| ≤ |I|.

b. Se I ⊂ ⋃k Ik, allora |I| ≤∑k |Ik|.Dim. del Lemma

a. Se gli Ik sono n l’asserto e dimostrato per induzione. Se invece gli Ik sono un’infinitanumerabile, per ogni sottofamiglia si ha

∑n

i=1 |Iki| ≤ |I| e per l’arbitrarieta di n si

conclude.

b. Come per il punto precedente il caso finito si dimostra per induzione. Supponiamo orache I = (a, b] e (a, b] ⊂ ⋃∞

k=1(ak, bk]. Se 0 < ε < b − a, gli aperti (ak, bk + ε2−k) sonouna copertura di [a + ε, b]. Poiche [a + ε, b] e un compatto di R (teorema di Heine–Borel) esiste un sottoricoprimento finito (definizione di compatto in spazi topologici),cioe [a + ε, b] ⊂ ⋃n

i=1(aki, bki

+ ε2−ki). Usando allora la proprieta vera nel caso finitob− a− ε ≤∑n

i=1(bki+ ε2−ki − aki

) ≤ ε +∑∞

k=1(bk − ak). La tesi segue dall’arbitrarietadi ε.

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2.4. COSTRUZIONE DELLA MISURA DI LEBESGUE SU RN 29

Teorema 6 (di esistenza e unicita della misura di Lebesgue). Esiste una ed una solaestensione di λn a Bn e questa estensione e una misura completa definita su una σ-algebraLn che contiene Bn. Tale misura e anch’essa indicata con λn (o semplicemente λ se nonci sono ambiguita sulla dimensione) ed e detta misura di Lebesgue su Rn, mentre Ln e laσ-algebra di Lebesgue di Rn.

Dim. Basta applicare il Teorema di estensione e quello di unicita.Poiche i singoletti hanno lunghezza zero, dalla numerabile additivita segue che ogni insiemenumerabile ha misura di Lebesgue zero, non e pero vero il viceversa, come mostra il seguentefondamentale esempio.

Esempio 6 (Insieme di Cantor). E noto che l’insieme di Cantor C e un frattale dell’intervallo[0, 1] (volendo si puo considerarne anche la versione multidimensionale), avente cardinalitapari a quella del continuo. Mostriamo che ciononostante λ(C) := λ1(C) = 0. Basteramostrare che λ(Cc ∩ [0, 1]) = 1. La costruzione di C si fa per induzione togliendo via viaintervalli che vanno a finire in Cc ∩ [0, 1]: al passo 1 si toglie un intervallo di lunghezza1/3, al passo 2 si tolgono 2 intervalli di lunghezza 1/9 (lunghezza totale 2/9), e cosı via:al passo n si toglie un pluriintervallo di lunghezza 1

3· (2/3)n−1. Quindi

λ(Cc ∩ [0, 1]) =1

3

∞∑

n=0

(2

3

)n

= 1.

Osservazione 8. Bn0 ( Bn ( Ln ( P(Ω). La catena di inclusioni e a questo punto ovvia,

meno ovvio e che le inclusioni sono strette.

a. Bn0 ( Bn infatti le unioni numerabili di intervalli disgiunti non sono in generale elementi

di Bn0 ma lo sono di Bn.

b. L’insieme di Cantor C e tale che λ(C) = 0 dunque per la completezza di λ su L tuttii suoi sottoinsiemi sono elementi di L. La cardinalita dell’insieme dei sottoinsiemi diC e 2|C| = 2c > c dove con c indichiamo la cardinalita del continuo. Poiche |B| = c(lo diamo per scontato) allora |L| > |B| e devono esistere elementi di L che non sonoin B (ad esempio qualcuno dei sottoinsiemi di C. Il ragionamento si puo ripetere indimensione n.

c. Esiste un insieme non misurabile. Per costruirlo osserviamo che la misura di Leesgue einvariante per traslazioni, e in particolare lo e per la somma modulo 1 (che indichiamocon +) in [0, 1) (ovvero x+y = x + y se x + y < 1, altrimenti x+y = x + y − 1). Questorisultato e il Lemma 16 del Capitolo 3 del Royden [6].

Dividiamo [0, 1) in classi di equivalenza: x ∼ y se x − y ∈ Q. Sia P un insieme checontiene uno e un solo rappresentante di ogni classe (P esiste per l’assioma della scelta).

Numeriamo i razionali in [0, 1): ri∞i=1 e definiamo Pi = P +ri. Osserviamo che i Pi

sono a due a due disgiunti, infatti se x ∈ Pi ∩ Pj allora x = pi+ri = pj+rj con pi e pj

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30 CAPITOLO 2. ESTENSIONE DI MISURE

in P . Ma pi − pj ∈ Q e allora pi ∼ pj . Siccome P contiene un unico rappresentante perclasse deve essere i = j.

D’altra parte ogni x ∈ [0, 1) e equivalente ad un elemento di P , dunque differisce da unelemento di P per un razionale ri e quindi e in Pi. Detto in altro modo [0, 1) =

⋃∞i=1 Pi,

dunque

1 = λ([0, 1)) =∞∑

i=1

λ(Pi) =∞∑

i=1

λ(P ),

dove l’ultima uguaglianza segue dall’invarianza di λ rispetto alla somma modulo 1. Ilche e assurdo perche l’ultima serie puo valere solo 0 oppure ∞ a seconda che λ(P ) = 0oppure λ(P ) > 0. Di conseguenza P non puo essere misurabile.

Osservazione 9. Come visto nel caso generale Ln e il completamento di Bn rispetto allamisura λn. Dunque λn ristretta a Bn non e completa, mentre lo e su Ln. Inoltre ognielemento di Ln e unione di un boreliano e di un sottoinsieme di un boreliano avente misuranulla.

Osservazione 10. Si potrebbe pensare che il fatto che non si riesca ad estendere la nozionedi lunghezza alla totalita dei sottoinsiemi di Rn sia dovuta alla nostra richiesta di fissare ilvalore della lunghezza per tutti gli intervalli. Se cosı fosse indebolendo opportunamente lerichieste su µ forse si potrebbe trovare una “lunghezza” su P(Rn). Questa speranza risultafrustrata: infatti sembrerebbe ragionevole chiedere che µ sia invariante per traslazioni, maanche in quel caso si dimostra che non esiste un’estensione a P(Rn). Lo stesso accade sesi richiede solamente che µ(x) = 0 per ogni x ∈ Rn.

2.4.1 Probabilita generali e probabilita uniforme su [0, 1]

Nel caso in cui la misura definita su F0 da estendere a σ(F0) sia una probabilita, ovveroµ(Ω) = 1, oltre alla misura esterna di ogni insieme si puo definire facilmente anche lamisura interna (in realta lo si puo fare anche in spazi di misura generici, ma qui non lofaremo).

Definizione 18. Dato un evento A ⊂ Ω chiamiamo misura interna la quantita:

µ∗(A) = 1 − µ∗(Ac)

Osservazione 11. In analogia con la definizione di misura esterna si potrebbe pensare didefinire la misura interna come

µ∗(A) = supA

n

µ(An)

in cui ora le A sono famiglie di insiemi disgiunti di F0 e contenuti in A. Tale scelta producepero risultati indesiderati: in alcuni casi, insiemi A per i quali ci si aspetta µ∗(A) = 1forniscono, secondo questa definizione, µ∗(A) = 0 (rimandiamo agli approfondimenti).

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2.5. APPROFONDIMENTI 31

Osservazione 12. Dopo aver definito misura esterna e misura interna si potrebbe essereindotti a definire un criterio piu semplice per la µ∗-misurabilita limitandoci al solo casoE = Ω. Sarebbe infatti molto naturale affermare che un insieme A e µ∗-misurabile quandole sue misure esterna e interna coincidono:

µ∗(A) = 1 − µ∗(Ac)

o, equivalentemente, quando:

µ∗(A ∩ Ω) + µ∗(Ac ∩ Ω) = µ∗(Ω)

Perche, allora, usare il piu restrittivo criterio di Caratheodory? Perche, a priori, una misuraesterna non e necessariamente additiva (ne finitamente ne, tantomeno, numerabilmente)e pertanto, al fine di garantire l’additivita, Caratheodory introduce questo criterio che,tra tutti gli insiemi (A) le cui misure interne ed esterne coincidono, seleziona quelli chesuddividono ogni altro insieme (E) mantenendone l’additivita.

Per quanto riguarda il caso particolare Ω = [0, 1], restringendo la misura di Lebesgue λall’intervallo [0, 1] si ottiene una misura di probabilita P: quella uniforme su [0, 1]. Essarisulta definita sugli insiemi A ∈ L ∩ [0, 1], ovvero agli A ⊂ [0, 1] tali che esiste L ∈ L eA = L∩ [0, 1]. La σ–algebra L ∩ [0, 1] contiene i boreliani di [0, 1] e ne e il completamentorispetto alla misura P.

Alternativamente P puo essere costruita direttamente considerando Ω = [0, 1], B0(0, 1)l’algebra delle unioni finite e disgiunte di intervalli di Ω e la nozione di lunghezza usualesu B0(0, 1). Per il teorema di esistenza ed unicita esiste ed e unica l’estensione di questalunghezza ad una σ–algebra che completa quella dei boreliani.

2.5 Approfondimenti

2.5.1 Il teorema della classe monotona

Abbiamo visto che l’unicita dell’estensione della misura e una conseguenza del teorema diDynkin. Un teorema analogo che poteva essere usato in alternativa al teorema di Dynkinper dimostrare la stessa cosa e il seguente. Una classe monotona e una famiglia di insiemichiusa rispetto alla formazione di unioni e intersezioni numerabili e monotone.

Teorema 7 (teorema della classe monotona). Siano F0 un’algebra e M una famigliamonotona tali che F0 ⊂ M. Allora σ(F0) ⊆ M.

Il teorema di Dynkin e quello della classe monotona sono spesso usati per dimostrare cheuna proprieta P e goduta da tutti gli elementi di una certa σ–algebra F : la procedura ela seguente.

1. Prendere una famiglia A (che sia un’algebra o un π-sistema) di insiemi “semplici”che generi F ;

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32 CAPITOLO 2. ESTENSIONE DI MISURE

2. dimostrare che gli elementi di A godono di P ;

3. dimostrare la famiglia degli insiemi che godono di P e un λ-sistema (se vogliamo usareDynkin) o una classe monotona (se vogliamo usare il teorema della classe monotona).

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Capitolo 3

Integrale astratto di Lebesgue

Il concetto di integrale e legato al concetto di misura. Scopo di questo capitolo e definire,dati (Ω,F , µ) spazio di misura e f misurabile (il concetto di misurabilita sara definito frapoco), l’integrale

Ω

fdµ.

Nel caso Ω = R, la costruzione coincidera con l’integrale di Riemann in molti casi, maservira anche a definire integrali non definiti nel senso di Riemann e integrali astratti (cioesu spazi di misura qualsiasi).

Esempio 7. Se consideriamo f : R → R tale che f(x) = 1 se x ∈ Q e f(x) = 0 se x ∈ R\Q,si puo verificare che non esiste l’integrale di Riemann

R

f(x)dx.

Eppure intuitivamente si potrebbe pensare che i punti razionali siano “troppo pochi” (ineffetti la loro misura di Lebesgue e zero) e dunque una definizione sensata dovrebbe dare

R

f(x)dx = 0.

Il problema nell’utilizzo della costruzione di Riemann per questa funzione e che anche se“pochi” i razionali sono troppo “sparsi”.

La costruzione dell’integrale di Riemann suddivide il dominio in intervallini e il limite,quando questi intervalli divengono sempre piu piccoli, della somma delle aree dei rettangoli“da sotto” e l’integrale inferiore di Riemann, analogamente il limite della somma delle aree“da sopra” e l’integrale superiore di Riemann. Se questi due limiti coincidono la funzioneha integrale di Riemann che e questo unico valore limite.

33

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34 CAPITOLO 3. INTEGRALE ASTRATTO DI LEBESGUE

y=f(x)

Area approssimante l’integrale di Riemann inferiore

Il criterio con cui i punti del dominio vengono suddivisi e semplicemente di “contiguita”:punti vicini cadranno nello stesso intervallino. Inoltre questo metodo funziona solo quandoil dominio e R, infatti in spazi astratti (dunque non necessariamente metrici o topologici)non c’e la nozione di intervallo ne di “vicinanza”. L’idea di Lebesgue e invece di suddividereil codominio (che tra l’altro e sempre R) in intervalli e di conseguenza suddividere anche ildominio: punti del dominio con la stessa immagine (o immagini vicine – le immagini sonoin R quindi si sa cosa significa “vicine”!) finiranno nello stesso insieme della partizione diΩ.

y=f(x)

ba c s tz

In questa figura la partizione del dominio [a, t] e: A1 = [a, b) ∪ [s, t], A2 = [b, c) ∪ [z, s] eA3 = [c, z).

3.1 Funzioni misurabili

Definizione 19. Dato uno spazio misurabile (Ω,F), una funzione f : Ω → R e dettamisurabile (rispetto a F) se f−1(B) := ω ∈ Ω : f(ω) ∈ B e un elemento di F per ogniB ∈ B1.

In pratica la definizione mette a confronto la “struttura” (σ–algebra) F sullo spazio dipartenza Ω e l’analoga “struttura” B1 sullo spazio d’arrivo R. La richiesta e che l’operazionedi “controimmagine” conservi la struttura. La definizione puo essere estesa a funzioni traspazi misurabili: dati due spazi misurabili (Ω1,F1) e (Ω2,F2), f : Ω1 → Ω2 e F1/F2–misurabile se f−1(A) ∈ F1 per ogni A ∈ F2 (dunque la Definizione 19. e il caso particolarein cui Ω2 = R e F2 = B1: in tal caso non si fa menzione esplicita di F2).

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3.2. INTEGRAZIONE DI FUNZIONI SEMPLICI POSITIVE 35

Notiamo anche che similmente altre nozioni che si incontrano in matematica richiedonoche l’operazione di controimmagine “conservi una struttura”. Ad esempio dati due spazitopologici (X, τX) e (Y, τY ), f : X → Y e per definizione continua se f−1(A) e un apertoin X, per ogni A aperto in Y (ovvero f−1(A) ∈ τX per ogni A ∈ τY ).

Ritornando alla definizione di misurabilita, va osservato che tale nozione dipende da F :una funzione puo essere misurabile rispetto a F e non rispetto a G.

Esercizio 7. Siano F e G due σ–algebre su Ω e f : Ω → R.

1. Se f(ω) = c, ∀ω ∈ Ω (funzione costante), allora f e misurabile rispetto a qualsiasiσ–algebra.

2. Se F ⊂ G e f e misurabile rispetto a F , allora lo e anche rispetto a G.

La definizione di misurabilita puo essere data utilizzando anziche tutti i boreliani unafamiglia di generatori.

Esercizio 8. f misurabile ⇐⇒ f−1((a, b]) ∈ F ∀a < b ⇐⇒ f−1((−∞, b]) ∈ F ∀b (Suggeri-mento: e un’applicazione del teorema di Dynkin).

La famiglia delle funzioni misurabili e stabile rispetto a molte operazioni.

Proposizione 6. La somma di funzioni misurabili, il massimo, il minimo, la parte positiva,la parte negativa, il sup, l’inf, il limite di funzioni misurabili sono misurabili.

Esercizio 9. Dimostrare la proposizione.

Osservazione 13. Non tutte le funzioni sono misurabili, come vedremo nel prossimo para-grafo, d’altra parte l’integrale di Lebesgue e definito solo per le funzioni misurabili (e adire il vero neppure per tutte le misurabili) dunque dovremmo d’ora in avanti aggiungerela parola “misurabile” ogni volta che introduciamo delle funzioni. In realta talvolta ce lodimenticheremo, forti del fatto che le funzioni che ci sono piu familiari sono misurabili (cosıcome i sottoinsiemi di R piu familiari sono misurabili secondo Lebesgue).

Esercizio 10. Sia Ω = R e F = B1. Dimostrare che ogni funzione continua e misurabile.Esibire un esempio di funzione misurabile non continua.

3.2 Integrazione di funzioni semplici positive

Prima di poter dare le definizioni rigorose di integrale, dobbiamo fissare una convenzionesull’aritmetica di ∞:

a · +∞ = +∞ · a =

+∞ 0 < a ≤ +∞0 a = 0

a + ∞ = +∞ + a = +∞.

La “base” da cui partire per costruire le funzioni semplici e costituita dalle funzioniindicatrici.

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36 CAPITOLO 3. INTEGRALE ASTRATTO DI LEBESGUE

Definizione 20. Sia Ω un insieme e A ⊂ Ω. Allora la funzione indicatrice di A, 1lA : Ω →R e cosı definita:

1lA(ω) =

1 se ω ∈ A

0 se ω 6∈ A

Questa notazione e in uso presso i probabilisti. Nei testi di analisi la stessa funzionee indicata con χA ed e chiamata funzione caratteristica di A. In probabilita il nome“funzione caratteristica” e riservato ad un altro importante strumento (che nei testi dianalisi matematica e la trasformata di Fourier ...questo sembra avallare la tesi che percapire la matematica meta della fatica sia apprendere la terminologia...).

Esercizio 11. 1lA e misurabile se e solo se A ∈ F .

Come conseguenza di questo esercizio possiamo dare un facile esempio di funzione nonmisurabile: se N e un insieme non misurabile (cioe N 6∈ F), allora f(x) := 1lN(x) e nonmisurabile.

Definizione 21. Sia s : Ω → [0, +∞] tale che

s(ω) =n∑

i=1

αi1lAi(ω)

dove αi sono numeri reali non negativi e Ai sono sottoinsiemi di Ω a due a due disgiunti.Allora s e detta funzione semplice positiva.

Esercizio 12. Trovare una condizione necessaria e sufficiente sugli Ai affinche s appenadefinita sia misurabile.

Definizione 22. Dato uno spazio di misura (Ω,F , µ) e una funzione misurabile semplicepositiva s =

∑ni=1 αi1lAi

l’integrale di s su Ω o su E ∈ F si definisce nel modo seguente:

Ω

s(ω)dµ(ω) =n∑

i=1

αiµ(Ai)

E

s(ω)dµ(ω) =

n∑

i=1

αiµ(Ai ∩ E).

Osservazione 14. a. Le convenzioni sull’aritmetica di ∞ servono nel caso in cui s valga+∞ su qualche insieme di misura non nulla, oppure se s > 0 su qualche insieme dimisura infinita. In entrambi questi casi

∫Ω

sdµ = +∞.

b. Potrebbe sembrare che la definizione di integrale dipenda dalla rappresentazione di s:infatti s =

∑ni=1 αi1lAi

puo anche essere scritta come s =∑m

j=1 βj1lBj, dove pero se

Ai ∩ Bj 6= ∅ deve essere che αi = βj . Tuttavia per vedere che l’integrale non dipendedalla rappresentazione di s basta associare a s una “rappresentazione massimale” s =∑l

k=1 γk1lCkdove γk sono i valori αi e βj , scelti distinti e Ck = s−1(γk). Non e difficile

vedere che∑n

i=1 αiµ(Ai) =∑l

k=1 γkµ(Ck).

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3.3. INTEGRAZIONE DI FUNZIONI POSITIVE 37

Vediamo subito un paio di proprieta utili dell’integrale.

Proposizione 7. L’integrale e lineare e monotono, ovvero se s e f sono due funzionisemplici positive misurabili e a, b sono due numeri reali non negativi, allora

a. as + bf e semplice misurabile positiva e∫Ω(as + bf)dµ = a

∫Ω

sdµ + b∫Ω

fdµ.

b. se s ≤ f allora∫Ω

sdµ ≤∫Ω

fdµ.

Esercizio 13. Dimostrare la proposizione.

Osservazione 15. Linearita e monotonia valgono piu in generale, come vedremo piu avanticon la Proposizione 9. Qui abbiamo dovuto usare delle condizioni restrittive (s e f funzionipositive e a, b > 0) solo perche al momento sappiamo integrare solo funzioni semplicipositive.

3.3 Integrazione di funzioni positive

Per definire l’integrale di funzioni positive (e piu generali, come vedremo in seguito), ciserviamo dell’integrale di funzioni semplici positive appena definito.

Definizione 23. Data f : Ω → [0, +∞] misurabile, l’integrale di f su E ∈ F e definito

E

f(ω)dµ(ω) := sups semplice

0≤s≤f

E

s(ω)dµ(ω).

Osservazione 16. Potrebbe sembrare che ci siano due definizioni per le funzioni semplici.In realta data una funzione semplice f il sup della definizione e raggiunto prendendo s = f ,quindi le due definizioni di integrale coincidono per le semplici.

Alcune proprieta sono utili anche per il calcolo.

Proposizione 8. Siano f e g funzioni positive misurabili, e A, B e E insiemi misurabili.

(1) Se 0 ≤ f ≤ g allora∫

Efdµ ≤

∫E

gdµ.

(2) Se A ∩ B = ∅, allora∫

A∪Bfdµ =

∫A

fdµ +∫

Bfdµ.

(3) Se A ⊂ B allora∫

Afdµ ≤

∫B

fdµ.

(4) Se c ≥ 0 allora∫

Ecfdµ = c

∫E

fdµ.

(5) Se f|E ≡ 0 allora∫

Ecfdµ = 0 (anche se µ(E) = +∞).

(6) Se µ(E) = 0 allora∫

Ecfdµ = 0 (anche se f = +∞).

(7)∫

Efdµ =

∫Ω

f1lEdµ.

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38 CAPITOLO 3. INTEGRALE ASTRATTO DI LEBESGUE

Esercizio 14. Dimostrare la proposizione.

Osservazione 17. In realta la definizione di integrale tramite l’approssimazione con funzionisemplici non e quasi mai “operativa”: vedremo che spesso o ci si riconduce su R (dove inmolti casi l’integrale di Lebesgue coincide con quello di Riemann) o si usano altri artifici.

Osservazione 18. A patto di accettare come valore possibile di un integrale anche +∞,l’integrale di Lebesgue di funzioni positive esiste sempre.

Esempio 8. Sappiamo gia che la funzione 1lQ non e integrabile secondo Riemann. Vediamoche invece lo e secondo Lebesgue:

R

1lQ(x)dλ(x) =

Q

1lQ(x)dλ(x) +

R\Q

1lQ(x)dλ(x)

dove con λ abbiamo indicato la misura di Lebesgue su R e il primo termine del secondomembro vale zero per (6) della proposizione precedente, mentre il secondo termine e nulloper (5).

3.4 Integrazione di funzioni integrabili

A questo punto sappiamo integrare tutte le funzioni misurabili positive. Per passare all’in-tegrazione di qualsiasi funzione l’idea e di integrare separatamente la parte positiva e quellanegativa. Ma si possono presentare problemi del tipo +∞− ∞. Dunque non riusciremoad integrare tutte le funzioni ma solo quelle della classe (comunque ampia) L1(µ) che oradefiniamo.

Definizione 24. Lo spazio delle funzioni integrabili rispetto a µ e

L1(µ) =

f : Ω → R : f misurabile e

Ω

|f(ω)|dµ(ω) < +∞

.

Definizione 25. Sia f ∈ L1(µ). Siano f+ = maxf, 0 e f− = minf, 0 la parte positivae quella negativa di f , l’integrale di f e

Ω

fdµ :=

Ω

f+dµ −∫

Ω

f−dµ.

La linearita e la monotonia sono ancora valide.

Proposizione 9. Siano f, g ∈ L1(µ) e a, b ∈ R.

a. af + bg ∈ L1(µ) e∫Ω(af + bg)dµ = a

∫Ω

fdµ + b∫Ω

gdµ.

b. Se f ≤ g (µ–q.o.), allora∫Ω

fdµ ≤∫Ω

gdµ.

c.∣∣∫

Ωfdµ

∣∣ ≤∫Ω|f |dµ.

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3.5. TEOREMI DI CONVERGENZA 39

Esercizio 15. Dimostrare la proposizione (suggerimento per il terzo punto: |f | = f+ +f−).

Vale la pena di capire come e fatto lo spazio L1(µ). Data la proprieta di linearitadell’integrale e naturale farne uno spazio vettoriale e poi uno spazio normato, con la norma

‖f‖ :=

Ω

|f |dµ.

Il problema e che questa risulta essere una pseudonorma, cioe non e solo la funzione iden-ticamente nulla (lo 0 dello spazio vettoriale) ad avere norma nulla, ma anche tutte lefunzioni che sono diverse da zero su un insieme di misura nulla. Infatti alterare i valori diuna funzione su un insieme di misura nulla non cambia il valore del suo integrale.

Bisogna quindi introdurre una relazione di equivalenza, cioe

f ∼ g se f = g quasi ovunque rispetto a µ,

dove essere uguali quasi ovunque significa differire su un insieme di misura nulla.

Definizione 26. Dato uno spazio di misura (Ω,F , µ) lo spazio vettoriale normato dellefunzioni integrabili rispetto a µ e lo spazio quoziente

L1(µ) := L1(µ)/∼ .

3.5 Teoremi di convergenza

L’integrale di Lebesgue e particolarmente utile perche esistono per esso dei teoremi piut-tosto generali di passaggio al limite sotto integrale (per le dimostrazioni rimandiamo illettore al libro di Rudin, [7]).

Teorema 8 (Convergenza monotona). Sia fnn una successione di funzioni misurabilipositive tali che

a. 0 ≤ f1(ω) ≤ f2(ω) ≤ · · · ≤ +∞ per ogni ω ∈ Ω;

b. fn(ω)n→∞−→ f(ω), per ogni ω ∈ Ω.

Allora f e misurabile e ∫

Ω

fndµn→∞−→

Ω

fdµ.

Teorema 9 (Lemma di Fatou). Sia fnn una successione di funzioni misurabili positive.Allora ∫

Ω

lim infn

fndµ ≤ lim infn

Ω

fndµ.

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40 CAPITOLO 3. INTEGRALE ASTRATTO DI LEBESGUE

Per ricordare il verso della disuguaglianza di Fatou basta ricordare un esempio dove valela disuguaglianza stretta: fn = 1l[n,+∞). Infatti limn fn(ω) vale zero per ogni ω ∈ R, ma∫

Rfndµ = +∞ per ogni n, dunque

R

lim infn

fndµ = 0 < lim infn

R

fndµ = +∞.

Da ultimo, last but not least come direbbero gli inglesi, ecco quello che e forse il piu potenteteorema di passaggio al limite sotto segno di integrale, dovuto anch’esso a Lebesgue.

Teorema 10 (Convergenza dominata di Lebesgue). Sia fnn una successione di funzionimisurabili convergente puntualmente, cioe

fn(ω) −→ f(ω), ∀ω ∈ Ω.

Se esiste g ∈ L1(µ) tale che

|fn(ω)| ≤ g(ω), ∀n, ∀ω ∈ Ω,

allora f ∈ L1(µ), e

limn→∞

Ω

|fn − f |dµ = 0

limn→∞

Ω

fndµ =

Ω

fdµ.

3.6 Confronto Riemann-Lebesgue

Quando Ω = R abbiamo definito due tipi di integrale per le funzioni definite su Ω, a valorireali: quello di Riemann e quello di Lebesgue (integrando rispetto alla misura di Lebesguesu R).E naturale chiedersi che rapporto vi sia fra le due definizioni. Tra l’altro abbiamo giaosservato che la definizione di integrale di Lebesgue non e in genere operativa e quindisarebbe comodo scoprire che esso coincide con l’integrale di Riemann in molti casi. Ecosı e, come ci dice il seguente teorema, per la cui dimostrazione rimandiamo al libro diKolmogorov e Fomin [4].

Teorema 11. a. Se esiste

I =

∫ b

a

f(x)dx,

secondo Riemann, allora f e integrabile secondo Lebesgue su [a, b] e l’integrale di Lebe-sgue

I =

[a,b]

f(x)dx

coincide con I, ovvero I ≡ I.

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3.7. INTEGRALI RISPETTO AD ALTRE MISURE, SERIE 41

b. Se f ≥ 0 e per ogni ε > 0

Iε =

∫ b

a+ε

f(x)dx

esiste secondo Riemann e inoltre esiste il limite (integrale generalizzato di Riemann su[a, b])

I := limε→0

Iε,

allora f e integrabile secondo Lebesgue su [a, b] e I ≡ I.

c. Se f ≥ 0 e per ogni b > a

Ib =

∫ b

a

f(x)dx

esiste secondo Riemann e inoltre esiste il limite (integrale generalizzato di Riemann su[a, +∞))

I := limb→∞

Ib,

allora f e integrabile secondo Lebesgue su [a, +∞) e

I =

[a,+∞)

f(x)dx ≡ I.

Se nel caso dell’integrale improprio si rinuncia all’ipotesi di positivita di f , puo accadereche esista l’integrale improprio di Riemann ma f non sia integrabile secondo Lebesgue(ricordiamo che cio equivale all’integrabilita di |f |), perche ad esempio

limε→0+

∫ b

a+ε

|f(x)|dx = +∞.

Tuttavia se l’integrale improprio di Riemann e assolutamente convergente, cioe esiste ede finito il limite di cui sopra (o il suo analogo nel caso di b → ∞), allora f e integrabilesecondo Lebesgue e i due integrali coincidono.

Esempio 9. La funzione f(x) = 1x

sin 1x

ha integrale improprio di Riemann su [0, 1] e su R

ma non e integrabile secondo Lebesgue ne su R ne su [0, 1]. Dimostratelo per esercizio (ovedete il Kolmogorov e Fomin [4]).

3.7 Integrali rispetto ad altre misure, serie

Vediamo un paio di esempi notevoli di integrale rispetto a misure discrete.

Esempio 10. Ogni funzione e integrabile rispetto alla delta di Dirac concentrata in ω0, cioealla misura δω0 definita da δω0(A) := 1lA(ω0). Infatti si ha che

Ω

fdδω0 = f(ω0).

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42 CAPITOLO 3. INTEGRALE ASTRATTO DI LEBESGUE

Esempio 11. Un altro esempio notevole e dato dalla seguente misura concentrata su unsottoinsieme numerabile di Ω. Sia ωnn≥0 una successione in Ω e sia µ su Ω cosı definita:

µ(A) =∑

n≥0

1lA(ωn),

cioe µ conta quanti elementi della successione cadono in A. Allora si puo verificare che unafunzione misurabile f e integrabile se e solo se la serie

∑n≥0 |f(ωn)| e convergente e in tal

caso ∫

Ω

fdµ =∑

n≥0

f(ωn).

In particolare quest’ultimo esempio ci dice che le serie numeriche possono essere vistecome integrali di Lebesgue: se ann≥1 e una successione numerica tale che

∑n≥1 an e

assolutamente convergente, allora possiamo scrivere

n≥1

an =

R

a(x)dµ(x),

dove a(n) = an, a(x) = 0 se x 6∈ N (an visto come la funzione a valutata in n) e µ misurache conta gli interi non negativi, o anche

n≥1

an =

N

a(n)dµ(n),

dove µ(n) = µ|N.

Utilizzando questa rappresentazione delle serie e i teoremi di convergenza visti per l’inte-grale di Lebesgue si ottengono risultati sullo scambio fra l’operazione di serie e di limite(nel Capitolo 5 invece vedremo come scambiare serie e integrali). Ad esempio dal teoremadella convergenza dominata otteniamo il seguente teorema.

Teorema 12. Sia fnn≥1 una successione di funzioni aventi dominio e codominio reali.Fissato x0 ∈ R ≡ R ∪ ±∞, se esiste un intorno U di x0 e esiste gnn≥1 tali che

• |fn(x)| ≤ gn per ogni x ∈ U ;

• ∑∞n=1 gn < ∞,

allora vale lo scambio:

limx→x0

∞∑

n=1

fn(x) =

∞∑

n=1

limx→x0

fn(x). (3.1)

Dim. Cominciamo con l’osservare che il teorema della convergenza dominata e enunciatoper limiti di successioni ma si puo facilmente dimostrare anche per limiti generali. Dunquel’enunciato piu generale e: data una famiglia di funzioni fxx∈U definite su Ω e dipendentidal parametro x, se

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3.8. APPROFONDIMENTI 43

• fx(ω)x→x0−→ f(ω) dove f e una funzione definita su Ω;

• esiste g ∈ L1(µ) tale che |fx(ω)| ≤ g(ω) per ogni x ∈ U e per ogni ω,

allora

limx→x0

Ω

fx(ω)dµ(ω) =

Ω

f(ω)dµ(ω).

Si tratta di riscrivere il nostro enunciato e scrivere fn(x) come fx(n) cioe pensando che nsia l’argomento e x il parametro; inoltre sia µ la misura del conteggio su N. L’equazione3.1 diviene

limx→x0

N

fx(n)dµ(n) =

N

f(n)dµ(n),

dove f(n) = limx→x0 fx(n) ed e conseguenza delle ipotesi e del teorema della convergenzadominata.

3.8 Approfondimenti

3.8.1 Approssimazione di funzioni positive con successioni mo-notone di semplici

approssimazione di funzioni positive con successioni monotone di funzioni semplici e con-seguente definizione alternativa dell’integrale di Lebesgue.

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44 CAPITOLO 3. INTEGRALE ASTRATTO DI LEBESGUE

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Capitolo 4

Probabilita su R

In questo capitolo diamo particolare attenzione alla probabilita. Molto di quanto diremosi puo estendere al caso di misure finite o anche solo σ–finite. Tuttavia lo scopo su cuici concentriamo e costruire misure di probabilita su R e capire come e fatto l’integralerispetto a queste misure (ovviamente per la misura di Lebesgue su R questo e stato fattonel Capitolo 2).

4.1 Probabilita discrete e assolutamente continue

Dato un insieme Ω per definire una probabilita su di esso dobbiamo, in un certo senso,distribuire una massa totale pari a 1 sugli elementi di Ω. Naturalmente qui siamo voluta-mente imprecisi: una probabilita e definita su una σ–algebra di sottoinsiemi di Ω, ma inrealta spesso la σ–algebra e scelta in dipendenza dal genere di misura che si vuole costruire(ad esempio P(Ω) per la misura del conteggio oppure la σ–algebra di Lebesgue L per lamisura di Lebesgue).

Per distribuire questa massa totale il modo piu semplice e quello di ripartirla su un insiemeal piu numerabile.

Definizione 27. Sia (Ω,F) uno spazio misurabile, e sia P una probabilita definita sudi esso. Se esiste C ⊂ Ω, C al piu numerabile tale che P(C) = 1, allora P e dettaprobabilita discreta. Diremo anche che P e concentrata su C.

Notiamo che e appropriato usare l’espressione “concentrata su C”, poiche se A ⊂ Ω eA ∩ C = ∅, allora P(A) = 0.

Osservazione 19. Per assegnare una probabilita discreta su Ω e necessario e sufficientescegliere

• un insieme C = xn∞n=1, con xn ∈ Ω;

• una successione pn∞n=1 tale che pn ≥ 0 e∑∞

n=1 pn = 1.

45

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46 CAPITOLO 4. PROBABILITA SU R

In tal caso risulta definita P su P(Ω) nel seguente modo:

P(A) =∑

n:xn∈A

pn.

Ovviamente qualsiasi probabilita definita su un insieme Ω che sia al piu numerabile e unaprobabilita discreta, ma affinche P sia discreta non e necessario che Ω sia al piu numerabilene che C sia discreto in Ω in senso topologico, come mostrano gli esempi seguenti.

Esempio 12. a. Sia Ω = R, F = P(Ω), C = 0: la probabilita P = δ0 e discreta econcentrata su C.

b. Sia Ω = R, F = P(Ω), C = Q e xn∞n=1 una numerazione di Q: la probabilita P taleche P(xn) = 2−n e discreta e concentrata su C.

Un altro modo di costruire misure (e dunque in particolare misure di probabilita) e quellodi farlo a partire da una misura gia nota utilizzando l’integrale di una funzione positiva.Infatti vale il seguente teorema (per la cui dimostrazione si veda Rudin [7]).

Teorema 13. Sia (Ω,F , P) uno spazio di misura e sia f : Ω → [0, +∞] una funzionemisurabile. Allora la funzione

ν(E) :=

E

fdµ

e una misura su F e per ogni g misurabile, g ∈ L1(ν), vale

Ω

gdν =

Ω

gfdµ.

Si dice che f e la densita di ν rispetto a µ. In particolare se f e tale che∫Ω

fdµ = 1 allorala misura ν e di probabilita.

Osserviamo che se ν e costruita a partire da f e µ come nel Teorema 13, allora se uninsieme e trascurabile per µ lo e anche per ν, cioe

µ(E) = 0 =⇒ ν(E) = 0.

Questa osservazione ci motiva a dare la seguente definizione.

Definizione 28. Date due misure ν e µ definite sulla stessa σ–algebra F , si dice che ν eassolutamente continua (brevemente a.c.) rispetto a µ e si indica con ν ≪ µ, se

ν(E) = 0 ∀E ∈ F : µ(E) = 0.

Dunque abbiamo che se ν e costruita a partire da µ integrando una funzione positiva f ,allora necessariamente ν e assolutamente continua rispetto a µ. Ci si potrebbe chiedere sevalga anche viceversa, cioe se una misura ν assolutamente continua rispetto a µ si possa

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4.2. FUNZIONE DI RIPARTIZIONE DI UNA PROBABILITA SU R 47

rappresentare come integrale rispetto a µ di una qualche funzione. La risposta e affermativaed e data dal teorema di Radon–Nikodym (si vedano gli approfondimenti).

Su R abbiamo costruito nel Capitolo 2 una misura molto importante: la misura di Lebesgueλ (il cui integrale e stato definito nel Capitolo 3). Dunque abbiamo un potente strumentoper costruire un’infinita di misure di probabilita su R, semplicemente integrando le funzionif che siano positive e in L1(λ) (e dividere per

∫R

fdλ per avere misura di Ω pari a 1). Questemisure di probabilita su R sono dette assolutamente continue.

Definizione 29. Una probabilita P su (R,L) (dove L e la σ–algebra di Lebesgue) e dettaassolutamente continua (rispetto alla misura di Lebesgue) se esiste fP funzione Lebesgue–misurabile non negativa tale che

P(A) =

A

fP(t)dt, ∀A ∈ L.

La funzione fP e detta densita di P (rispetto a λ).

Osservazione 20. Appare chiaro che e impreciso parlare di “la densita di P”, in quantoqualsiasi g tale che g

q.o.= fP e densita di P. E piu preciso pensare che fra le funzioni

misurabili vi sia la relazione di equivalenza “essere uguali q.o.” e che se fP e una densita,essa rappresenta la sua intera classe di equivalenza.

Esempio 13. Esempi di densita di misure di probabilita assolutamente continue:

a. f(x) = 1b−a

1l[a,b](x) densita uniforme su [a, b].

b. f(x) = λe−λt1l[0,+∞)(x) densita esponenziale.

c. f(x) = 1√2πσ2

e−(x−µ)2

2σ2 densita normale.

4.2 Funzione di ripartizione di una probabilita su R

Finora abbiamo visto su R probabilita discrete e assolutamente continue. E naturalechiedersi se vi siano solo probabilita di questo tipo. La risposta, come vedremo, e negativa.Per mostrarlo ci serviremo delle proprieta di alcune funzioni monotone, piu precisamentedelle funzioni di distribuzione.

Definizione 30. Data P probabilita su (R,L), la sua funzione di distribuzione cumulativa(o funzione di ripartizione) e la funzione

FP(t) = P((−∞, t]).

La funzione di ripartizione identifica P, infatti vale la seguente proposizione.

Proposizione 10. Date due probabilita P e P′, FP ≡ FP′ se e solo se P ≡ P′.

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48 CAPITOLO 4. PROBABILITA SU R

Esercizio 16. Dimostrare la proposizione (suggerimento: usare il teorema di Dynkin).

Il nostro obiettivo e usare le funzioni di ripartizione per definire le probabilita su R. Perfare questo cerchiamo anzitutto di chiarire che proprieta ha una funzione di ripartizione.

Proposizione 11. Sia P una probabilita su R e sia F la sua funzione di ripartizione.

a. F e monotona non decrescente, dunque esistono i limiti destro e sinistro F (t−) e F (t+)in ogni t ∈ R e vale

F (t−) ≤ F (t) ≤ F (t+).

b. F e continua a destra in ogni punto t, cioe F (t) = F (t+).

c. limt→−∞ F (t) = 0, limt→∞ F (t) = 1.

Esercizio 17. Dimostrare la proposizione (suggerimento: usare le proprieta delle misure diprobabilita).

Il fatto importante e che data una qualsiasi funzione con queste proprieta, ad essa eassociata in modo univoco una misura di probabilita su R.

Teorema 14. Sia F : R → R monotona non decrescente, continua a destra e avente limitiall’infinito, limt→−∞ F (t) = 0, limt→∞ F (t) = 1 (le funzioni siffatte sono dette in generalefunzioni di distribuzione). Allora esiste ed e unica la misura di probabilita P su (R,L) taleche FP = F .

Dim. L’unicita segue dalla Proposizione 10. Dobbiamo dunque solo costruire P. Bastadefinire

P((−∞, t]) = F (t)

dunque P((a, b]) = F (b)−F (a) e per il teorema di estensione esiste ed e unica l’estensionedi P alla σ–algebra di Lebesgue di R.

Esempio 14. Se P = δs, allora FP(t) = 1l[s,+∞)(t).Se P = U(a, b), allora FP(t) = (t − a)/(b − a)1l(a,b)(t) + 1l[b,+∞)(t).

La forma di F serve per indicarci il tipo di probabilita che abbiamo di fronte.

Proposizione 12. Sia P una probabilita su (R,L). I seguenti fatti sono equivalenti.

a. P e discreta.

b. Esistono due successioni reali tii∈N e pii∈N tali che pi ≥ 0 per ogni i,∑∞

i=1 pi = 1 e

P(A) =∑

i:ti∈A

pi.

c. Esistono due successioni reali tii∈N e pii∈N tali che pi ≥ 0 per ogni i,∑∞

i=1 pi = 1 e

FP(t) =∑

i:ti≤t

pi.

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4.3. PROBABILITA SINGOLARI E TEOREMA DI RAPPRESENTAZIONE 49

Proposizione 13. Sia P una probabilita su (R,L). I seguenti fatti sono equivalenti.

a. P e assolutamente continua.

b. esiste f ≥ 0 con∫

Rf(x)dx = 1 tale che

FP(t) =

∫ t

−∞f(x)dx.

Osservazione 21. Una probabilita assolutamente continua puo avere densita non continua(si veda ad esempio la uniforme su un intervallo), ma per la proposizione precedente hasempre funzione di distribuzione assolutamente continua (per maggiori dettagli si vedanogli approfondimenti).

Non esistono solo probabilita discrete e probabilita assolutamente continue, come mostrail seguente esercizio.

Esercizio 18. Mostrare che la seguente F da luogo ad una probabilita che non e ne discretane continua ma e combinazione lineare di una probabilita discreta e di una continua:

F (t) =

0 t < 0

1 − e−λt 0 ≤ t < s

1 t ≥ s

4.3 Probabilita singolari e teorema di rappresentazio-

ne

Oltre alle probabilita discrete, assolutamente continue e alle loro combinazioni esiste un’al-tra classificazione per le probabilita su R: la distinzione fra probabilita singolari e non.Per definirle ci serviamo della funzione di distribuzione, nel senso che la definizione fa unaprecisa richiesta su FP.

Definizione 31. Una probabilita su R si dice singolare se esiste A ∈ L tale che λ(A) = 0e per ogni t 6∈ A esiste la derivata F ′

P(t) ed e uguale a zero.

Esempio 15. Le probabilita discrete sono singolari (infatti la loro funzione di distribuzionee “a gradini” con al piu un’infinita numerabile di salti).

Esistono anche probabilita singolari la cui funzione di distribuzione e continua (ma nonpuo essere assolutamente continua, per le motivazioni si vedano gli approfondimenti).

Esempio 16. La distribuzione di Cantor (o scala di Vitali–Cantor) e definita passo passo(esattamente come l’insieme di Cantor). Sull’intervallo [1/3, 2/3], che e il primo che vienetolto nella costruzione di Cantor, F vale 1/2. Al secondo passo vengono tolti 3 intervalli:[1/9, 2/9], [1/3, 2/3] e [7/9, 8/9]. F vale 1/4 e 3/4 rispettivamente sui due “nuovi” intervalli.Per dare una definizione rigorosa osserviamo che al passo n vengono tolti (nella costruzione

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50 CAPITOLO 4. PROBABILITA SU R

di Cantor) 2n − 1 intervalli (ogni volta si ricontano gli intervalli gia tolti in precedenza) ene restano 2n di ampiezza 3−n. Numeriamo i 2n − 1 intervalli rimossi e chiamiamoli In,k,k = 1, . . . , 2n − 1 rispettivamente. Definiamo sul complementare dell’insieme di CantorC F : Cc → [0, 1], F (t) = k/2n se t ∈ In,k. Si dimostra che F e ben definita (infatti se

t ∈ In,k, allora e anche t ∈ In+1,2k e 2k2n+1 = k

2n ). Inoltre F e monotona non decrescente e

uniformemente continua. Poniamo F (0) = 0 e F (1) = 1 e estendiamola a F definita sututto [0, 1]. Tale F risulta essere una funzione di distribuzione (dunque vi e associata unaprobabilita), ed e anche uniformemente continua, ma per definizione la sua derivata e nullasu Cc.

Con i tre tipi di probabilita: discrete, assolutamente continue e singolari con F continua,esauriamo finalmente tutte le probabilita su R, nel senso che viene precisato dal seguenteteorema (per la cui dimostrazione rimandiamo al [4]).

Teorema 15 (di rappresentazione di Lebesgue). Ogni probabilita su (R,L) ha un’unicarappresentazione

P = αdPd + αaPa + αsPs

dove αd, αa, αs ≥ 0, αd + αa + αs = 1, Pd e una probabilita discreta, Pa e una probabi-lita assolutamente continua e Ps e una probabilita singolare con funzione di distribuzionecontinua.

4.4 Integrale di Lebesgue-Stieltjes

Gli integrali rispetto alle misure su R (e dunque in particolare rispetto alle misure diprobabilita su R) possono essere calcolati tramite l’uso della funzione di distribuzione dellaprobabilita, e in tal caso vengono anche detti integrali di Lebesgue–Stieltjes in analogiaagli integrali di Stieltjes che si definiscono come generalizzazione dell’integrale di Riemann(si vedano gli approfondimenti).

Definizione 32. Data una funzione di distribuzione F , la probabilita PF ad essa associata,e f ∈ L1(PF ), si dice che f e integrabile rispetto ad F e si definisce integrale di Lebesgue--Stieltjes di f (rispetto ad F ), l’integrale

R

f(x)dF (x) :=

R

f(x)dµF

Nei casi in cui µF e discreta oppure assolutamente continua il calcolo dell’integrale si riduceal calcolo di una serie oppure di un integrale rispetto alla misura di Lebesgue.

Proposizione 14. Se ad F e associata una probabilita discreta, ovvero F (t) =∑

i:ti≤t pi,allora g : R → R e integrabile rispetto ad F se e solo se

∑∞i=1 |g(ti)|pi < ∞ e in tal caso

R

g(x)dF (x) =

∞∑

i=1

g(ti)pi.

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4.5. APPROFONDIMENTI 51

Proposizione 15. Se ad F e associata una probabilita assolutamente continua, ovveroF (t) =

∫ t

−∞ f(x)dx, allora g : R → R e integrabile rispetto ad F se e solo se∫

R|g(x)|f(x)dx <

∞ e in tal caso ∫

R

g(x)dF (x) =

R

g(x)f(x)dx.

4.5 Approfondimenti

4.5.1 Teorema di rappresentazione di Riesz

4.5.2 Teorema di Radon-Nikodym

4.5.3 Funzioni assolutamente continue

4.5.4 Integrali di Stieltjes

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52 CAPITOLO 4. PROBABILITA SU R

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Capitolo 5

Misura e integrazione in spaziprodotto

In questo capitolo trattiamo la costruzione, dati due spazi di misura, dello spazio di misuraprodotto dei due. Ovviamente la costruzione si applica poi per induzione alla creazionedello spazio di misura prodotto di qualsiasi n–pla di spazi di misura. L’integrazione servein particolare per il calcolo di probabilita relativo a vettori aleatori (che sono funzionimisurabili definiti sul prodotto di spazi di probabilita).

5.1 Prodotto cartesiano e rettangoli

Definizione 33. Se X e Y sono due insiemi. Il prodotto cartesiano X × Y e l’insieme ditutte le coppie ordinate (x, y) dove x ∈ X e y ∈ Y .

Definizione 34. Se S ⊂ X e T ⊂ Y , chiameremo rettangolo l’insieme E = S×T ⊂ X×Ye chiameremo lati le sue componenti S e T .

Osservazione 22. Ovviamente il concetto di rettangolo qui introdotto e una generalizzazionedel concetto classico di rettangolo nel piano e coincide con quest’ultimo nel caso in cui Se T sono intervalli di R.

Puntualizziamo ora nella proposizione seguente alcune proprieta dei rettangoli, la cui faciledimostrazione e lasciata per esercizio.

Proposizione 16. a. Un rettangolo e vuoto se e solo se e vuoto almeno uno dei suoi lati.

b. Siano E1 = S1 × T1 e E2 = S2 × T2 due rettangoli non vuoti. Allora E1 ⊂ E2 se e solose S1 ⊂ S2 ∧ T1 ⊂ T2.

c. Siano E1 = S1 × T1 e E2 = S2 × T2 due rettangoli non vuoti. Allora E1 = E2 se e solose S1 = S2 ∧ T1 = T2.

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54 CAPITOLO 5. MISURA E INTEGRAZIONE IN SPAZI PRODOTTO

d. Siano E = S × T , E1 = S1 × T1 e E2 = S2 × T2 tre rettangoli non vuoti. Condizionenecessaria e sufficiente affinche E sia unione disgiunta di E1 e E2 e che, alternativa-mente, S sia unione disgiunta di S1 e S2 con T = T1 = T2 oppure che T sia unionedisgiunta di T1 e T2 con S = S1 = S2.

Supponiamo ora di avere due spazi misurabili (X,S) e (Y, T ) (ovvero S e T sono σ-algebrerispettivamente in X e in Y ). Vogliamo definire la σ-algebra prodotto.

Definizione 35. Un rettangolo S × T appartenente al prodotto cartesiano di due spazimisurabili (X,S) e (Y, T ) e detto rettangolo misurabile se S ∈ S e T ∈ T . Chiamiamoinsiemi elementari le unioni finite disgiunte di rettangoli misurabili.

Si potrebbe mostrare che la famiglia degli insiemi elementari e un’algebra. Per costruire unospazio di misura ci serve una σ–algebra: non facciamo altro che prendere quella generatadai rettangoli misurabili (o equivalentemente, dagli insiemi elementari).

Definizione 36. La σ–algebra in X × Y generata dalla famiglia dei rettangoli misurabilie detta σ-algebra prodotto e la denotiamo con S ⊗ T .

Esempio 17. Sia X = Y = R. Nel capitolo in cui abbiamo costruito, data una misuraµ definita su un’algebra F0, la misura che estende µ al completamento della σ–algebragenerata da F0, abbiamo visto una misura definita su R2: la misura di Lebesgue definitasulla σ–algebra di Lebesgue L2 e dunque in particolare anche su B2 che vi e contenuta.La σ–algebra di Borel B2 era definita (fra l’altro) come generata dai rettangoli “veri” cioeaventi come basi degli intervalli.Abbiamo appena dato il modo di costruire un’altra (apparentemente!) σ–algebra su R2:B1 ⊗B1. Allora un rettangolo misurabile e il prodotto cartesiano S × T in cui S e T sonoboreliani di dimensione 1 (e non semplici intervalli).

Il fatto interessante da notare e che B1 ⊗ B1 ≡ B2. Infatti poiche B2 e generata da unafamiglia (i rettangoli con lati gli intervalli) che e una sottofamiglia di quella (i rettangolicon lati boreliani) che genera B1 ⊗ B1, B2 ⊂ B1 × B1.D’altro canto se S e un intervallo allora la famiglia dei T tali che S × T ∈ B2 coincide conB1. Infatti contiene R (S × R =

⋃n S × (−n, n] ∈ B2), e chiusa rispetto alla differenza

e all’unione numerabile dunque e una σ-algebra che contiene gli intervalli e quindi e B1.Allo stesso modo se T ∈ B1, la famiglia degli S tali che S × T ∈ B2 e B1 (contiene gliintervalli...). Percio tutti i rettangoli misurabili stanno in B2 e quindi B1 × B1R ≡ B2.

5.2 Sezioni

Siano (X,S) e (Y, T ) spazi misurabili e (X × Y,S ⊗ T ) il loro prodotto cartesiano. Siano,inoltre, E un qualsiasi sottoinsieme di X × Y e x ∈ X e y ∈ Y due punti qualsiasi.

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5.2. SEZIONI 55

Definizione 37. Chiameremo sezione (o proiezione) di E rispetto a x (sinteticamenteX-sezione se non serve porre l’accento sul particolare punto x che la determina) l’insieme:

Ex = y : (x, y) ∈ E.Analogamente, chiameremo sezione (o proiezione) di E rispetto a y (Y -sezione) l’insieme:

Ey = x : (x, y) ∈ E.

E

X

Y

x

Ex

X

Y

y

E y

E

Esempi di sezione

Osservazione 23. Non e superfluo sottolineare, come evidenziato dagli esempi in figura, cheuna sezione non e un insieme del prodotto cartesiano ma un sottoinsieme di una delle suecomponenti.

Teorema 16. Ogni sezione di un insieme misurabile (nel prodotto) e misurabile (in X oin Y ).

Dim. Sia A la classe degli insiemi E in S ⊗ T tali che Ex ∈ T per ogni x ∈ X. SeE = A × B allora Ex = B se x ∈ A ed e il vuoto altrimenti. Dunque A contiene irettangoli misurabili. Inoltre e facile mostrare che A contiene X ×Y , e chiusa rispetto allaformazione di complementari e di unioni numerabili disgiunte. Dunque A e una σ–algebrae coincide con S ⊗ T .Definiamo ora le sezioni delle funzioni definite su X × Y .

Definizione 38. Data f funzione definita su X ×Y e dati x ∈ X, y ∈ Y . Chiameremo lafunzione fx definita sulla sezione Ex da fx(y) = f(x, y) sezione di f rispetto a x (o neglistessi modi alternativi visti per gli insiemi).Analogamente chiameremo la funzione f y definita sulla sezione Ex da f y(x) = f(x, y)sezione di f rispetto a y.

Esempio 18. Se 1l(x, y) = 1lE(x, y) e la funzione indicatrice del sottoinsieme E del prodot-to cartesiano X × Y allora le sezioni 1lx(y) e 1ly(x) saranno, rispettivamente, le funzioniindicatrici di Ex e Ey. Ovvero:

1lx(y) = 1lEx(y), 1ly(x) = 1lEy(x).

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56 CAPITOLO 5. MISURA E INTEGRAZIONE IN SPAZI PRODOTTO

In particolare, se E = A × B e un rettangolo allora:

1lE(x, y) = 1lA(x)1lB(y).

Teorema 17. Sia f funzione S ⊗T -misurabile. Allora per ogni x ∈ X, fx e T -misurabilee per ogni y ∈ Y , f y e S-misurabile.

Dim. Dato un intervallo reale I, sia Q = f−1(I). Per ipotesi Q ∈ S ⊗ T . Inoltre

Qx = f−1x (I).

Per il teorema precedente, Qx ∈ T da cui la tesi per fx (per mostrare che f−1x (B) ∈ T per

ogni B ∈ B1 basta mostrare che f−1x (I) per ogni intervallo I). La dimostrazione per f y e

analoga.

5.3 Misura prodotto

Ora estendiamo le nostre osservazioni al prodotto cartesiano in cui le componenti non sonopiu solo spazi misurabili ma sono spazi di misura. Si abbiano dunque (X,S, µ) e (Y, T , ν)spazi di misura σ–finiti. Osserviamo che l’ipotesi di σ–finitezza e fondamentale qui e nelseguito.

Definiamo una misura sull’algebra degli insiemi elementari:

µ ⊗ ν

(n⋃

i=1

Ai × Bi

):=

n∑

i=1

µ(Ai)ν(Bi).

Lemma 10. µ ⊗ ν e una misura σ–finita sull’algebra degli insiemi elementari.

La dimostrazione del lemma e simile a quanto visto in R e viene lasciata per esercizio allettore. Come conseguenza si ha il seguente teorema che definisce la misura prodotto suS ⊗ T .

Teorema 18. Esiste ed e unica la misura λ, definita sulla σ–algebra che completa S ⊗ T ,che coincide con µ ⊗ ν sugli insiemi elementari. Indichiamo anche λ con µ ⊗ ν.

Dim. Segue dal lemma precedente e dal teorema di estensione ed unicita.

5.4 Integrale prodotto e integrali iterati

In questa sezione investigheremo sulle relazioni che intercorrono tra gli integrali negli spaziprodotto e gli integrali negli spazi componenti. Nel prosieguo della sezione considereremo(X,S, µ) e (Y, T , ν) spazi di misura σ-finita e denoteremo con λ la misura prodotto.

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5.4. INTEGRALE PRODOTTO E INTEGRALI ITERATI 57

Definizione 39. Sia h una funzione definita su X × Y , tale che h ∈ L1(λ). Allora il suointegrale e definito e denotato da:

X×Y

h(x, y)dλ(x, y).

Tale integrale viene chiamato integrale doppio di h.

Contemporaneamente si possono considerare (se esistono) gli integrali delle sezioni:∫

Y

hx(y)dν(y), e

Y

hy(x)dµ(x).

Se questi integrali sono, come funzioni di x e di y rispettivamente, integrabili, allora sihanno gli integrali iterati.

Definizione 40. Se hx e tale che esisatno la funzione f(x) =∫

Yhx(y)dν(y) e il suo

integrale∫

Xf(x)dµ(x) allora potremo scrivere

X

f(x)dµ(x) =

X

dµ(x)

Y

h(x, y)dν(y) (5.1)

Equivalentemente, se hy e tale che esistano la funzione g(y) =∫

Xhy(x)dµ(x) e il suo

integrale∫

Yg(y)dν(y), allora potremo scrivere

Y

g(y)dν(y) =

Y

dν(y)

X

h(x, y)dµ(x). (5.2)

Gli integrali 5.1 e 5.2 vengono chiamati integrali iterati.

Abbiamo cosı tre integrali di h : X ×Y → R: quello doppio e i due iterati (uno integrandoprima su X e poi su Y e l’altro viceversa). Una domanda sorge spontanea: i tre coincidono?L’esistenza di uno garantisce quella degli altri? Sotto certe condizioni si puo rispondereaffermativamente. Cominciamo col considerare un caso facile: se E = A×B e un rettangolomisurabile e h = 1lE allora l’integrale doppio e

X×Y

1lE(x, y)dλ(x, y) = µ(A)ν(B),

quelli iterati sono (ricordando che (1lE)x = 1lExe (1lE)y = 1lEy):

X

dµ(x)

Y

1lEx(y)dν(y) =

A

dµ(x)

Y

1lB(y)dν(y)

=

A

ν(B)dµ(x) = µ(A)ν(B),

che coincide con l’integrale prodotto. Allo stesso modo si ottiene che anche l’altro integraleiterato coincide con l’integrale prodotto. Dunque le indicatrici dei rettangoli misurabilisono funzioni che hanno la proprieta che gli integrali iterati e il prodotto coincidono. Ilseguente teorema afferma che lo stesso vale per le funzioni indicatrici di elementi di S ⊗T .

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58 CAPITOLO 5. MISURA E INTEGRAZIONE IN SPAZI PRODOTTO

Teorema 19. Siano (X,S, µ) e (Y, T , ν) due spazi di misura σ-finiti, sia E ∈ S ⊗ T e siindichi con λ la misura prodotto µ ⊗ ν. Allora

X×Y

1lE(x, y)dλ =

X

dµ(x)

Y

1lEx(y)dν(y) =

Y

dν(y)

X

1lEy(x)dµ(x). (5.3)

In altre parole l’integrale doppio e gli iterati coincidono.

Dim. Sia A la famiglia degli insiemi E ⊂ X × Y per cui vale 5.3. Sappiamo gia cheA contiene i rettangoli misurabili (e dunque anche X × Y ): bastera mostrare che e unaclasse monotona e per il teorema della classe monotona (si vedano gli approfondimenti delCapitolo 2) per avere la tesi. Per i dettagli si veda il Teorema 8.6 del libro di Rudin [7].

Esempio 19. Il precedente teorema cade se viene a mancare l’ipotesi di σ-finitezza. Mo-striamolo con un controesempio: siano X = Y = [0, 1] e S = T = B([0, 1]). Inoltreprendiamo come µ la misura di Lebesgue e come ν la misura del conteggio (ovviamente νnon e ‘sigma–finita). Infine, sia E = (x, y) : x = y. Evidentemente

+∞ =

X

ν(Ex)dν(x) 6=∫

Y

µ(Ey)dµ(y) = 0.

Teorema 20 (di Fubini). Sia (X × Y,S ⊗ T , µ ⊗ ν) uno spazio di misura prodotto conle misure µ e ν σ–finite. Sia h : X × Y → R misurabile e tale che h ∈ L1(µ ⊗ ν).Allora le sezioni hx e hy sono misurabili (T -misurabili e S-misurabili rispettivamente) perµ-quasi ogni x ∈ X e ν-quasi ogni y ∈ Y . Inoltre le funzioni f(x) =

∫Y

hx(y)dν(y) eg(y) =

∫X

hy(x)dµ(x) sono rispettivamente L1(µ) e L1(ν) e

X×Y

h(x, y)dµ ⊗ ν(x, y) =

X

f(x)dµ(x) =

Y

g(y)dν(y),

ovvero integrale doppio e iterati coincidono.

Dim.

Teorema 21 (di Tonelli). Sia (X × Y,S ⊗ T , µ ⊗ ν) uno spazio di misura prodotto conle misure µ e ν σ–finite. Sia h : X × Y → R misurabile e non negativa. Allora lefunzioni f e g definite nel teorema di Fubini sono misurabili (S-misurabile e T -misurabilerispettivamente), h ∈ L1(µ ⊗ ν) e integrale doppio e iterati coincidono.

Dim.

Osservazione 24. La reale difficolta consiste nel verificare l’integrabilita di h ovvero nelcapire se h ∈ L1(λ)

Esempio 20. Sia Dr il disco chiuso in R2 avente raggio r e centro nell’origine. La suamisura

λ(Dr) =

∫∫

Dr

dxdy =

∫∫

Dr

ρdρdθ

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5.4. INTEGRALE PRODOTTO E INTEGRALI ITERATI 59

conduce al calcolo di un integrale doppio in coordinate polari che puo essere svolto grazieal teorema di Fubini:

∫∫

Dr

ρdρdθ =

∫ r

0

ρdρ

∫ 2π

0

dθ = 2π

∫ r

0

ρdρ = πr2

Esempio 21. Sia I =∫∞−∞ e−x2

dx, Applicando Fubini in R2 ricaviamo:

I2 =

∫∫

R2

e−(x2+y2)dxdy

che in coordinate polari assume la forma:

I2 =

∫ ∞

0

∫ 2π

0

e−ρ2

ρdρdθ = π

dove, per il calcolo, abbiamo applicato nuovamente Fubini. Cio conduce all’importanteformula: ∫

R

e−x2

dx =√

π

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60 CAPITOLO 5. MISURA E INTEGRAZIONE IN SPAZI PRODOTTO

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Bibliografia

[1] P. Billingsley, Probability and measure. Third edition. Wiley Series in Probability andMathematical Statistics. John Wiley & Sons, Inc., New York, 1995.

[2] H. Brezis, Analisi funzionale, Liguori Editore, 1986 (consultare per l’Appendicesull’Integrazione Astratta a cura di C. Sbordone).

[3] B. de Finetti, Teoria delle probabilita: sintesi introduttiva con appendice critica. Vo-lumi primo e secondo. Nuova Biblioteca Scientifica Einaudi, Giulio Einaudi Editore,Torino, 1970.

[4] A.N. Kolmogorov, S.V. Fomin, Elementi di teoria delle funzioni e di analisi funzionale,Edizioni Mir, 1980.

[5] D. Pollard, A user’s guide to measure theoretic probability. Cambridge Series inStatistical and Probabilistic Mathematics. Cambridge University Press, Cambridge,2002

[6] H.L. Royden, Real analysis. Third edition. Macmillan Publishing Company, New York,1988.

[7] W. Rudin, Real and complex analysis . Third edition. McGraw-Hill Book Co., NewYork, 1987.

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