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M.M. Cox, J.A. Doudna, M. O'Donnell, Biologia molecolare © 2013 Zanichelli editore APPENDICE Organismi modello Gli uomini si distinguono dagli altri organismi per le loro capacità cognitive e per lo stupore nei confronti di ciò che li circonda, ed è questa curiosità che ci porta a studiare la vita. Come siamo fatti? Come funzioniamo? Per comprendere gli uomini e le altre creature viventi, i ricercatori hanno studiato una grande varietà di organi- smi viventi. Questi studi hanno portato a molte scoper- te, comprese alcune incredibili caratteristiche univer- sali condivise da tutti gli esseri viventi. Tutti gli organi- smi usano gli stessi amminoacidi, gli stessi nucleotidi e praticamente lo stesso codice genetico. Nella biologia molecolare c’è qualcosa di più del desiderio di soddisfare la nostra curiosità sul funzio- namento della vita. Cerchiamo anche di comprende- re le cause delle malattie e di applicare le nostre co- noscenze alla medicina, all’agricoltura e alla tecnolo- gia. In questo libro diverse volte abbiamo riportato parecchi esempi di come abbiamo acquisito informa- zioni sulle malattie umane, le loro cause e talvolta su come affrontarle, curarle o prevenirle. Gli scienziati hanno scoperto gli antibiotici per curare la maggior parte delle infezioni batteriche, sviluppato vaccini per molti tipi d’infezioni virali e oggi sanno molto di più sul cancro e sono disponibili più terapie. La mag- gior parte di queste scoperte e progressi deriva dallo studio degli organismi modello. Pochi organismi costituiscono dei modelli per la comprensione dei processi vitali comuni Gli scienziati studiano vari organismi. Quando una specie particolare viene scelta da molti laboratori per ricerche intense viene definita organismo modello. Questo interesse per una specie da parte di molti la- boratori permette di ottenere una grande quantità di informazioni che ci forniscono conoscenze approfon- dite sulle funzioni di quell’organismo vivente. L’orga- nismo è considerato un modello perché i ricercatori ipotizzano che quello che hanno appreso su di esso sarà vero anche per organismi affini. Lo specifico or- ganismo selezionato per uno studio dipende dal pro- blema in esame. In questo libro, abbiamo visto il con- tributo degli organismi modello alla nostra conoscen- za di biologia molecolare e molti degli organismi uti- lizzati più frequentemente vengono passati in rasse- gna in questa Appendice. Batterio, Escherichia coli Lievito gemmante, Saccharomyces cerevisiae Muffa del pane, Neurospora crassa Nematode, Caenorhabditis elegans Arabetta comune, Arabidopsis thaliana Moscerino della frutta, Drosophila melanogaster Topo domestico, Mus musculus

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M.M. Cox, J.A. Doudna, M. O'Donnell, Biologia molecolare © 2013 Zanichelli editore

APPENDICE

Organismi modello

Gli uomini si distinguono dagli altri organismi per le loro capacità cognitive e per lo stupore nei confronti di ciò che li circonda, ed è questa curiosità che ci porta a studiare la vita. Come siamo fatti? Come funzioniamo? Per comprendere gli uomini e le altre creature viventi, i ricercatori hanno studiato una grande varietà di organi-smi viventi. Questi studi hanno portato a molte scoper-te, comprese alcune incredibili caratteristiche univer-sali condivise da tutti gli esseri viventi. Tutti gli organi-smi usano gli stessi amminoacidi, gli stessi nucleotidi e praticamente lo stesso codice genetico.

Nella biologia molecolare c’è qualcosa di più del desiderio di soddisfare la nostra curiosità sul funzio-namento della vita. Cerchiamo anche di comprende-re le cause delle malattie e di applicare le nostre co-noscenze alla medicina, all’agricoltura e alla tecnolo-gia. In questo libro diverse volte abbiamo riportato parecchi esempi di come abbiamo acquisito informa-zioni sulle malattie umane, le loro cause e talvolta su come affrontarle, curarle o prevenirle. Gli scienziati hanno scoperto gli antibiotici per curare la maggior parte delle infezioni batteriche, sviluppato vaccini per molti tipi d’infezioni virali e oggi sanno molto di

più sul cancro e sono disponibili più terapie. La mag-gior parte di queste scoperte e progressi deriva dallo studio degli organismi modello.

Pochi organismi costituiscono dei modelli per la comprensione dei processi vitali comuni

Gli scienziati studiano vari organismi. Quando una specie particolare viene scelta da molti laboratori per ricerche intense viene definita organismo modello. Questo interesse per una specie da parte di molti la-boratori permette di ottenere una grande quantità di informazioni che ci forniscono conoscenze approfon-dite sulle funzioni di quell’organismo vivente. L’orga-nismo è considerato un modello perché i ricercatori ipotizzano che quello che hanno appreso su di esso sarà vero anche per organismi affini. Lo specifico or-ganismo selezionato per uno studio dipende dal pro-blema in esame. In questo libro, abbiamo visto il con-tributo degli organismi modello alla nostra conoscen-za di biologia molecolare e molti degli organismi uti-lizzati più frequentemente vengono passati in rasse-gna in questa Appendice.

Batterio, Escherichia coli

Lievito gemmante, Saccharomyces cerevisiae

Muffa del pane, Neurospora crassa

Nematode, Caenorhabditis elegans

Arabetta comune, Arabidopsis thaliana

Moscerino della frutta, Drosophila melanogaster

Topo domestico, Mus musculus

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Dobbiamo osservare, però, che a volte, un orga-nismo che si trova “fuori dal cammino tracciato” vie-ne studiato solamente da pochi laboratori, semplice-mente per curiosità e anche questi studi possono ave-re un grande impatto sulla ricerca. Per esempio, Ther-mus aquaticus ci ha fornito la Taq polimerasi per la reazione a catena della polimerasi (PCR; vedi Capito-lo 7 Come è stato sCoperto). Lo studio di Tetrahymena thermophila ha portato a scoprire gli RNA cataliz-zatori (come i ribozimi; vedi Capitolo 16). E gli stu-di di alcuni virus poco noti degli insetti, i baculovi-rus, hanno dato origine a sistemi di espressione del-le proteine ricombinanti oggi ampiamente utilizzati (vedi Capitolo 7).

Focalizzare l’attenzione su pochi organismi diversi è importante a livello pratico perché ci sono molte più specie che scienziati. In effetti, fare di un organismo uno strumento scientifico per la ricerca non è sempli-ce. Sono necessari molti anni di studio per compren-dere l’organismo e acquistare familiarità con il suo ci-clo vitale, la sua corretta alimentazione, la sua crescita ottimale e le condizioni di conservazione. Particolar-mente dispendioso in termini di tempo è lo sviluppo di tecniche genetiche per la manipolazione del geno-ma dell’organismo. Non ci sono “procedure standard” per questo; le tecniche genetiche sono per lo più spe-cifiche per quell’organismo e spesso vengono trovate per tentativi ed errori. Questa è la ragione per cui è im-portante che molti laboratori lavorino sullo stesso or-ganismo e condividano le loro conoscenze. Una massa critica d’interesse per un organismo modello porta al-la fine a congressi internazionali, banche dati online, e alla formazione di centri di stoccaggio che mantengo-no e distribuiscono i ceppi.

Perché fra tutti gli organismi esistenti al mondo ne sono stati scelti proprio alcuni? Le scelte sono spesso state fatte con una buona dose di casualità. Tuttavia, alcune caratteristiche comuni sottolineano l’utilità di un organismo come modello. Gli organismi modello devono avere un ciclo di vita rapido. Devono dar vita a un’ampia progenie, così che i ricercatori possano trova-re e studiare eventi genetici rari. Anche la dimensione è importante, perché gli organismi grandi e la loro am-pia progenie esaurirebbero velocemente lo spazio di un laboratorio. Gli organismi modello dovrebbero poter-si propagare velocemente usando una fonte alimenta-re semplice ed economica. Ci dovrebbe essere un mo-do conveniente per una conservazione a lungo termi-ne in modo da poter accumulare i ceppi per studi suc-cessivi. La Tabella A.1 riassume alcune caratteristiche degli organismi modello qui descritti.

Gli studi di genetica e delle vie metaboliche dei primi anni del Novecento utilizzarono organismi plu-ricellulari complessi come le piante, i moscerini della frutta, i ratti e i topi. Poi i ricercatori si accorsero che

anche gli organismi unicellulari sono idonei per stu-di fondamentali sui geni e sul metabolismo cellula-re. Negli anni Quaranta, microrganismi come Esche-richia coli, il lievito e Neurospora crassa sono diventati i modelli più utili per la comprensione della chimica di base della vita. Forniscono anche un materiale di partenza migliore per i biochimici rispetto ai tessuti animali, perché gli organismi unicellulari sono una popolazione di cellule identiche, mentre i tessuti so-no costituiti da tipi cellulari diversi.

Nessun organismo modello può fornire le risposte a tutte le domande sulla vita. Gli organismi unicellu-lari continuano a dirci molto sugli aspetti centrali dei processi fondamentali della vita, come la replicazio-ne cromosomica, la riparazione del DNA, la ricombi-nazione, l’espressione genica, le vie di trasduzione del segnale e il controllo del ciclo cellulare. Ma gli organi-smi unicellulari non sono sufficienti per rispondere a domande sullo sviluppo degli organismi pluricellulari e sulla maggior parte delle malattie. Per questo vengo-no molto utilizzati il verme nematode e il moscerino della frutta, per scoprire come sono organizzati gli or-ganismi pluricellulari e per i fondamenti di base di co-me è determinato il piano di sviluppo corporeo anima-le. Questi organismi ci forniscono anche informazioni su molti tipi di malattie. Allo stesso modo, Arabidopsis thaliana è stata scelta come organismo modello per lo sviluppo delle piante.

Fra tutti, il modello più utile per lo studio delle ma-lattie umane è il topo. Questo non è però il più sempli-ce tra gli organismi modello. Per facilità di allevamento e manipolazione del DNA, il topo crea molte più diffi-coltà degli altri organismi modello. Ottenere ceppi di topo geneticamente alterati è costoso e lungo. Ma uno dei grandi vantaggi del topo è che il 99% dei suoi geni ha degli omologhi nell’uomo, e tra questi ci sono anche geni associati a malattie umane. Quindi, nonostante le difficoltà, il topo è un modello interessante per studia-re le malattie che ci colpiscono.

In questa Appendice presentiamo una breve pa-noramica dei diversi organismi modello oggi in uso, spiegando anche come hanno contribuito e continua-no a contribuire alla nostra comprensione della vita. Come abbiamo notato, anche molti altri organismi hanno contribuito significativamente alla nostra com-prensione dei processi viventi, tra cui i batteriofagi e altri virus, Tetrahymena thermophila (un protozoo), Schizosaccharomyces pombe (un lievito che si divide per scissione), Xenopus laevis (un rospo), e Brachyda-nio rerio (pesce zebra). Prima di entrare nei dettagli di particolari organismi modello, descriviamo breve-mente alcuni episodi di come, studiando gli organi-smi modello e utilizzando la genomica e le tecniche di coltura cellulare, abbiamo ampliato le nostre co-noscenze sulle malattie umane.

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Per studiare le malattie umane si usano tre metodi

Che cosa determina un infarto, il diabete, le malattie neurodegenerative o il cancro? Come possono queste o altre malattie essere prevenute, trattate o curate? Lo studio degli organismi modello è in genere il primo pas-so per comprendere i processi cellulari che possono es-sere modificati nelle malattie umane. Usando un omo-logo, possiamo studiare una mutazione che porta a una malattia umana in un organismo modello e capire co-me la mutazione alteri processi molecolari, cellulari o dell’organismo. Inoltre, i modelli murini sono spesso usati per valutare approcci terapeutici per le malattie, come primo passaggio nello sviluppo di un farmaco. Gli organismi modello sono spesso il primo passo per la comprensione delle malattie umane, ma la genomica umana e le colture cellulari possono fornire una com-prensione ancora più profonda.

La disponibilità della sequenza del genoma umano completa è stata di enorme aiuto sia per la comprensio-ne a livello molecolare dei geni coinvolti nelle malattie umane, che per gli studi bioinformatici sull’evoluzione umana e sulle migrazioni (vedi Capitolo 8). Importanti sono stati i progressi nella comprensione della genetica delle malattie umane. In particolare, le persone cerca-no attivamente opinioni mediche e scientifiche su una malattia e spesso possono costruire un albero genealo-gico familiare andando indietro per generazioni, che può fornire informazioni sulla modalità di trasmissio-ne della malattia. In questo testo vi sono esempi di tut-to ciò, come l’emofilia nella famiglia reale (vedi Figura 2.27), l’anemia falciforme (vedi Approfondimento 2.1) e l’Alzheimer a esordio rapido (vedi Figura 8.11). L’i-dentificazione dei geni coinvolti nelle malattie umane è un compito difficile ma importante e si sta realizzando

sempre più velocemente. La conoscenza della genetica coinvolta nella trasmissione di una malattia può aiutare le coppie a pianificare le loro famiglie e ad affrontare le possibili malattie che possono essere trasmesse ai figli o alle figlie. Per i ricercatori, la conoscenza di un gene responsabile di una malattia può aiutare a sviluppare un trattamento o una cura.

Un terzo modo con cui studiamo noi stessi è me-diante la coltivazione di specifiche cellule umane in vitro. Le cellule primarie, prese direttamente dal cor-po e poi cresciute in coltura, muoiono di norma in 40 (o meno) generazioni. Ma le cellule ottenute dal tes-suto tumorale hanno un controllo della crescita al-terato e spesso possono essere fatte crescere per un indefinito numero di generazioni; sono dette, quin-di, “immortalizzate”. A volte le cellule possono esse-re perfino rimosse dal tessuto normale e poi immor-talizzate in coltura mediante l’infezione con partico-lari virus. Con questi e altri mezzi, vengono cresciu-ti e mantenuti in coltura molti tipi diversi di cellule di tessuti umani, tra cui gli epatociti (fegato), le cel-lule renali (rene), i fibroblasti (pelle), le cellule gliali (tessuto nervoso), i linfociti (sangue) e i miociti (mu-scoli). Analizzando le cellule cancerose e gli agenti di trasformazione, abbiamo anche imparato molto sui geni coinvolti nel cancro (vedi Approfondimento 12.1). Gli studi di colture cellulari di cellule umane e di altri primati hanno fornito importanti informa-zioni sui recettori di superficie, sul traffico proteico, sull’infezione virale e sulla riproduzione cellulare. Le cellule umane possono anche essere fatte crescere in quantità idonee agli studi biochimici (vedi Capitolo 7). Gli studi recenti nel campo della ricerca sulle cel-lule staminali sono promettenti per il trattamento di molte malattie e per lo sviluppo di tessuti sostitutivi (vedi Capitolo 22).

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Batterio, Escherichia coli

Escherichia coli è un batterio unicellulare, che risiede nor-malmente nell’intestino ani-male e in genere non è danno-so, anche se esistono rare va-rietà tossiche. E coli è piccolo (microscopico), si riproduce velocemente per scissione, for-

mando colonie di cloni sulle piastre di agar, producendo decine di milioni di cellule in un giorno e può crescere anche sui mezzi liquidi, producendo un numero incre-dibile di cellule figlie, una caratteristica importante per studi di eventi genetici rari. E. coli ha un solo cromoso-ma circolare, e studiare i mutanti è molto più facile in un organismo aploide che diploide, perché non ci sono ge-ni dominanti a mascherare la mutazione. Fenotipi mu-tanti comuni sono la resistenza ai batteriofagi, la capa-cità di crescere su alcune fonti di carbonio, la resisten-za agli antibiotici e la dimensione e forma della colonia. E. coli fornisce anche una ricca e uniforme fonte di ma-teriale di partenza per studi biochimici. Quindi, lo stu-dio di E. coli combina la forza della genetica con il pote-re della biochimica per comprendere i processi vitali a livello molecolare.

E. coli non è un eucariote e quindi ha poca omologia con gli uomini. Questo limita la sua utilità nello studio di tutti i processi tranne di quelli cellulari di base. Per esem-pio, E. coli è privo di nucleosomi e nella maggior parte le sue proteine non sono modificate. Le proteine eucarioti-che espresse in E. coli trasformato a volte non funzionano, perché richiedono modificazioni post-traduzionali che il batterio non riesce a compiere.

I primi studi con E. coli come organismo modello

L’unione della biochimica e della genetica rese E. coli una ricca risorsa per la scoperta di nuove informazio-ni. Il famoso “test di fluttuazione” di Salvador Luria e Max Delbruck nel 1943 dimostrò che E. coli muta spon-taneamente per diventare resistente al batteriovirus a e trasmette questa resistenza al fago alla nuova progenie, rendendo quindi E. coli un sistema modello per com-prendere la natura e la funzione dei geni. La scoper-ta da parte di Joshua Lederberg e Edward Tatum che E. coli va incontro a una sorta di incrocio e crossing over (coniugazione del DNA mediata dal plasmide F) rende possibile lo scambio del DNA e i saggi di complemen-tazione e rende E. coli un valido modello per la geneti-ca. Nel 1952, Alfred Hershey e Martha Chase usarono E. coli per dimostrare che il DNA è il materiale genetico

del fago T2 (vedi Capitolo 2, Come è stato sCoperto). Nel 1958, Matthew Meselson e Frank Stahl selezionarono E. coli per i loro studi, per dimostrare che la replicazione del DNA avviene con un meccanismo semiconservativo (vedi Figura 11.1). Nello stesso anno, Arthur Kornberg e i suoi collaboratori pubblicarono i risultati sulla purifi-cazione e la caratterizzazione della prima DNA polime-rasi scoperta (vedi Capitolo 11, Come è stato sCoperto).

Francis Crick e Sydney Brenner usarono la genetica di E. coli per stabilire la tripla natura del codice genetico nel 1961. Nel 1966 il codice genetico era stato descritto da Marshall Nirenberg, Heinrich Matthaei, Gobind Khorana e i loro collaboratori, usando oligonucleotidi sintetici ed estratti di E. coli (vedi Capitolo 17). Il lavoro di François Jacob e Jacques Monod con gli studi dettagliati dell’ope-rone lac aveva aperto un’era completamente nuova della ricerca sulla regolazione genica (vedi Capitolo 20 e Capi-tolo 5, Come è stato sCoperto). L’identificazione di plasmi-di in E. coli e delle tecniche per maneggiarli ci ha portato nell’era della tecnologia del DNA ricombinante. I plasmi-di continuano a essere degli strumenti meravigliosi per le biotecnologie, dal valore ancora incommensurabile (ve-di Capitolo 7).

Ciclo vitale

Come la maggior parte dei batteri, E. coli si riproduce per scissione binaria (Figura A.1). Man mano che la cel-lula cresce, percepisce quando ha raggiunto la dimen-sione giusta per iniziare la replicazione. I cromosomi duplicati si distribuiscono ai poli opposti della cellula. La citochinesi divide la cellula a metà, formando due cellule figlie, ciascuna delle quali contiene un cromo-soma identico. L’intero processo richiede solamente 20 minuti circa a 37 °C, la temperatura corporea media dei mammiferi. Quindi in appena 24 ore su una piastra Pe-tri contenente un mezzo completo si forma una colonia grande e visibile, con milioni di batteri identici. Grosse quantità di E. coli possono essere cresciute anche in una coltura liquida in un giorno.

Tecniche genetiche

Per una descrizione completa di molte di queste tecniche vedi Capitolo 7.

Mutagenesi La frequenza di mutazione in E. coli può es-sere aumentata con sostanze chimiche o con la luce UV. Le cellule mutanti possono essere selezionate in base al fenotipo oppure ricercate mediante piastratura delle re-pliche su mezzi di coltura diversi.

Janice Haney Carr/CDC

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Plasmidi E. coli possiede molti plasmidi naturali che pos-sono portare del DNA estraneo nella cellula. Questi pla-smidi sono utili ai ricercatori per far esprimere delle pro-teine, come vettori navetta, o per costruire e sequenzia-re grossi genomi.

Introduzione di DNA Mediante trasformazione chimica o con l’elettroporazione, E. coli può essere reso in grado di accettare del DNA estraneo. Le cellule trasformate con un plasmide contenente un gene per la resistenza all’an-tibiotico possono essere selezionate e mantenute aggiun-gendo l’antibiotico al mezzo di coltura.

Knockout genico I plasmidi privi di un’origine di replica-zione ma contenenti un gene che conferisce resistenza a un antibiotico possono essere selezionati per essere inte-grati in un cromosoma batterico. L’integrazione di norma viene ottenuta con la ricombinazione omologa, utile per la delezione genica, o knockout.

Complementazione Questa tecnica viene spesso utilizza-ta per dimostrare che una mutazione si trova in un gene particolare e consiste nell’aggiunta di un gene wild-type che ristabilisca la funzione. L’analisi di complementazio-ne delle cellule mutanti può essere effettuata con plasmi-di che contengono una copia wild-type del gene d’interes-se. L’analisi di complementazione di mutazioni sconosciu-te spesso utilizza una libreria di plasmidi genomici. I clo-

ni positivi (cellule che sopravvivono in condizioni in cui il mutante non sopravvive) possono poi essere sequenziati per identificare il gene di complementazione.

Espressione di una proteina ricombinante La crescita ve-loce e non costosa di E. coli fa di questo organismo il vei-colo più ampiamente usato per l’espressione e la purifica-zione di proteine estranee. Queste in genere sono espresse da geni posti su plasmidi presenti in un elevato numero di copie. L’espressione è indotta usando elementi di rego-lazione derivanti da promotori ben noti di E. coli e di fagi.

E. coli come organismo modello ai nostri giorni

Macchine multiproteiche Gli studi biochimici e struttura-li stanno oggi descrivendo i dettagli atomici di strutture e processi di trasferimento dell’informazione che un tempo erano sconosciuti. Tra questi ci sono la struttura e la fun-zione dell’apparato di replicazione del DNA, delle protei-ne di riparazione e ricombinazione del DNA, della rego-lazione dell’RNA polimerasi e della struttura e della chi-mica del ribosoma. Queste strutture e processi multipro-teici si trovano sia nei batteri che negli eucarioti, ma sono esemplificati nella semplice cellula di E. coli.

Studi citologici I processi possono essere visualizzati nel-le cellule viventi di E. coli grazie all’uso di proteine di fu-sione fluorescenti. Per esempio, studi recenti di questo ti-po hanno permesso di rilevare le proteine coinvolte nella replicazione del cromosoma e il loro movimento lungo il cromosoma durante la replicazione.

Tecnologia del DNA ricombinante E. coli detiene una po-sizione centrale nella tecnologia del DNA ricombinante. I suoi plasmidi sono ampiamente usati come vettori na-vetta per amplificare e mantenere le librerie di DNA di al-tri organismi. E. coli è ancora uno dei veicoli più utilizzati per l’espressione e la purificazione di proteine estranee.

Biologia dei sistemi Il suo genoma piuttosto piccolo fa di E. coli un sistema interessante in cui tentare studi di biologia dei sistemi. Sono stati costruiti chip di DNA per esaminare la risposta di ogni trascritto in molte condizio-ni diverse. La funzione di circa il 35% dei geni di E. coli è ancora sconosciuta e una raccolta genomica di knockout dei geni di questo batterio sta permettendo di assegnare una funzione a questi geni e di identificare nuove reti di interazioni geniche.

Replicazione del DNA

Citochinesi Separazionedei filamenti di DNA

Formazionedelle cellule

figlie

Il ciclosi ripete

DNA

E. coli

FIGURA A.1 Il ciclo vitale di Escherichia coli.

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Lievito gemmante, Saccharomyces cerevisiae

Saccharomyces cerevisiae è un fun-go ascomicete microbico, usato per secoli dagli uomini per fare il pane, la birra e il vino. General-mente gli scienziati lo chiamano lievito gemmante, ma è detto an-che lievito del pane, lievito di bir-

ra o semplicemente lievito. Il lievito ha molte caratteristi-che che lo rendono adatto come organismo modello. È un organismo unicellulare aploide, si riproduce velocemen-te nei terreni liquidi, forma colonie clonali sulle piastre di agar e può essere conservato congelato. Come per E. coli, queste caratteristiche fanno del lievito un eccellente or-ganismo modello per studiare la genetica e la biochimica di processi vitali fondamentali, come la replicazione, la trascrizione e la traduzione. Però, a differenza di E. coli, il lievito è un eucariote dotato di tutti gli organelli intracel-lulari, come i mitocondri e il nucleo, ha il DNA compatta-to nella cromatina e una struttura citoscheletrica. Quin-di S. cerevisiae è un modello adatto per studiare meccani-smi unici degli eucarioti, come il controllo del ciclo cellu-lare, la regolazione delle proteine mediante fosforilazio-ne, la struttura cromosomica e la funzione mitocondriale.

Il genoma di S. cerevisiae è lungo solamente 12 Mbp e contiene circa 6000 geni. Contiene anche omologhi di molti geni umani responsabili di malattie e questo lo ren-de un modello per la comprensione delle funzioni di ba-se dei prodotti genici coinvolti in alcune malattie; inol-tre questi omologhi indicano come alcune malattie uma-ne derivino dalla distruzione di processi vitali piuttosto semplici e fondamentali. Però, il lievito unicellulare non serve come modello di sviluppo e le molte malattie uma-ne che derivano da mutazioni che provocano difetti dello sviluppo non possono essere studiate nel lievito, limitan-done l’utilità nella ricerca medica.

La natura aploide del lievito rende possibili alcuni utili studi di mutazione. Il lievito viene anche facilmente tra-sformato con il DNA esogeno. Il DNA si integra frequente-mente nel cromosoma per ricombinazione omologa, ren-dendo possibile la costruzione di ceppi knockout per un gene specifico. La facilità della genetica, unita alla facili-tà di crescita, fa di S. cerevisiae, come di E. coli, un organi-smo modello che combina perfettamente gli studi gene-tici con quelli biochimici.

I primi studi con il lievito come organismo modello

Il lievito è stato un organismo modello per più di cen-to anni e, di fatto, ha dato origine alla biochimica mo-derna. Louis Pasteur dimostrò che il lievito fermenta lo

zucchero ad alcool e CO2, e stabilì che la fermentazione è una forza vitale che non può essere separata dagli or-ganismi viventi. Nel 1897, Eduard Buchner notò casual-mente che un estratto di cellule di lievito fermentava e chiamò la sostanza fermentante “zimasi”. Studi succes-sivi dimostrarono che la zimasi era di fatto una misce-la di molti enzimi differenti. Il suffisso –asi è usato per molti nomi di enzimi anche oggi.

Ciclo vitale

Il lievito gemmante può esistere sia allo stato aploide che diploide (Figura A.2). Entrambe le cellule aploidi e diploi-di si possono riprodurre asessualmente per gemmazione. Il sesso in S. cerevisiae è determinato dai prodotti del ge-ne del locus del tipo sessuale (MAT), per il quale esistono due alleli, a e a (vedi Figura 13.22). Aploidi di tipi sessua-li diversi possono essere incrociati per formare dei diploi-di piastrandoli insieme. Il lievito diploide a/a può essere convertito allo stato aploide in terreni che lo inducono a sporulare, andando incontro a meiosi per produrre quat-tro spore aploidi contenute in un asco. La tetrade di spore può essere dissezionata con un micromanipolatore e cia-scun fenotipo aploide può essere analizzato dopo che le spore sono cresciute formando delle colonie.

Tecniche genetiche

Mutagenesi Gli studi mutazionali in S. cerevisiae sono semplificati dalla sua capacità di crescere come aploi-de. Il lievito può essere replicato su piastra per studiare i fenotipi mutanti per la capacità di crescere su fonti di carbonio differenti e per cercare la presenza di geni le-tali condizionali (per esempio geni che, se mutati, per-mettono all’organismo di crescere solamente a partico-lari temperature).

Complementazione Il lievito aploide può essere incrocia-to per produrre cellule diploidi per l’analisi di complemen-tazione dei mutanti aploidi. Le mutazioni nei geni essen-ziali possono essere mantenute portandoli allo stato di-ploide. Quando un diploide con una mutazione in un ge-ne essenziale va incontro a sporulazione, due delle quat-tro spore non saranno vitali. L’isolamento di tutti e quattro i prodotti della meiosi in un asco è utile per l’analisi della ricombinazione durante la meiosi.

Introduzione del DNA Il DNA può essere introdotto in S. cerevisiae per abrasione chimica o fisica della spessa pa-rete cellulare. Il DNA lineare, con un marcatore selezio-nabile ed estremità omologhe al cromosoma, s’integra fa-

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cilmente nel genoma per ricombinazione omologa. Que-sta configurazione può portare le estremità a ricombinare con le sequenze a loro omologhe nel cromosoma di lievi-to, sostituendo il gene d’interesse con un marcatore sele-zionabile e distruggendo il gene.

Marcatori selezionabili La selezione nel lievito è effettua-ta principalmente con gli auxotrofi, ceppi che sono privi di un gene che codifica un enzima di una via della biosintesi degli amminoacidi e quindi richiedono quell’amminoaci-do per crescere. Le cellule vengono fatte crescere in mez-zi definiti privi di quell’amminoacido ora essenziale. Sola-mente le cellule che hanno acquisito il marcatore e quindi sono in grado di sintetizzare l’amminoacido a partire da materiale grezzo sopravviveranno. Per la selezione posso-no anche essere usati marcatori di resistenza ai farmaci.

Plasmidi Il DNA può anche essere mantenuto nel lievito come plasmide circolare, usando una fra le tante origini cromosomiche note come ARS (autonomously replicating sequence, sequenza di replicazione autonoma). Gli YAC (yeast artificial chromosome, cromosomi artificiali di lievi-to) possono mantenere inserti molto grandi (da 300 kbp a 1 Mbp), e questo è utile nei progetti di sequenziamento

del genoma (vedi Figura 7.7). Inoltre, S. cerevisiae è dota-to di un plasmide naturale di 2 m che può essere usato per mantenere nella cellula il DNA esogeno.

Il lievito come organismo modello ai nostri giorni

Meccanismi fondamentali di trasmissione dell’informa-zione La struttura semplice e unicellulare, la capacità di crescere in grandi quantità per studi biochimici e la faci-lità della manipolazione genetica, tutto ciò rende il lievito ideale per lo studio di meccanismi dettagliati dei proces-si fondamentali, quali la replicazione, la regolazione ge-nica, la riparazione del DNA, la trascrizione, la traduzio-ne e la ricombinazione.

Il ciclo di divisione cellulare Quando il lievito si divide, la gemma è visibile al microscopio così come i cambiamenti di forma nelle diverse fasi del ciclo cellulare. L’accumulo di cellule mutate, bloccate nella fase gemmante, è stato usato come fenotipo tramite il quale identificare diversi mutan-ti del ciclo cellulare (cdc), utili per la dissezione genetica e biochimica del ciclo cellulare. Gli uomini hanno omolo-ghi di molti dei geni del ciclo cellulare scoperti nel lievito.

Le vie di trasduzione del segnale Il lievito è un model-lo per lo studio delle vie di trasduzione del segnale, come quelle coinvolte nelle risposte di accoppiamento ai fero-moni prodotti da cellule di tipi sessuali opposti.

Ricombinazione meiotica Dato che S. cerevisiae produce un asco con quattro spore derivanti da una sola cellula, i ricercatori possono seguire gli eventi che avvengono du-rante la meiosi. Questo ha portato a modelli molecolari dettagliati della ricombinazione meiotica.

Biologia dei sistemi Uno degli scopi della biologia dei si-stemi consiste nel comprendere la maggior parte delle in-terazioni genetiche, fisiche e molecolari dei 6000 geni di lievito. Allo stesso modo lo studio delle interazioni geneti-che tra i knockout di questi geni sta portando alla scoperta di nuove vie. Gli approcci proteomici sono stati usati per le prime volte nel lievito. È stato determinato il numero del-le copie intracellulari di quasi tutte le proteine di lievito su tutto il genoma. Sono state determinate anche le inte-razioni proteina-proteina e proteina-RNA a livello globa-le, usando le tecniche del doppio ibrido e del triplo ibrido (vedi Capitolo 7) e la spettrometria di massa dei comples-si proteici. Gli studi di biologia cellulare sono facilitati da una libreria di marcatori proteici fluorescenti posti, nel genoma di lievito, in ogni cornice di lettura aperta. Inol-tre, il lievito è usato come sistema di espressione proteica per lo studio di geni esogeni.

FIGURA A.2 Il ciclo vitale di Saccharomyces cerevisiae.

Asco diS. cerevisiae

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Tetrade di spore

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Gemmazioneaploide(mitosi)

Gemmazioneaploide(mitosi)

Sporulazione(meiosi)

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Incrocio

Gemmazionediploide(mitosi)

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Muffa del pane, Neurospora crassa

La muffa del pane, Neurospo-ra crassa, è un fungo ascomice-te filamentoso. È stato uno dei primi microrganismi eucarioti-ci utilizzato per studi genetici. All’incirca il 75% di tutti i fun-ghi è ascomiceto; la restante

parte è data dai basidiomiceti (funghi). Circa il 90% de-gli ascomiceti è filamentoso (ovvero multinucleato, co-me spiegato meglio di seguito), mentre il resto è costi-tuito da lieviti unicellulari. Il genoma di N. crassa (spes-so detto semplicemente Neurospora) è dato da circa 43 Mbp e 11 000 geni, paragonabile al moscerino della frut-ta per complessità genomica.

La lotta tra funghi filamentosi e batteri ha prodotto importanti antibiotici, inclusa la penicillina. Queste mo-lecole organiche complesse non si trovano da nessuna al-tra parte in natura e, in accordo con ciò, più del 40% dei geni di Neurospora non ha una controparte simile in nes-sun altro organismo studiato. La nicchia ecologica occu-pata dai funghi filamentosi comprende molti tipi di ma-teriali biologici in decomposizione. Questo può spiegare perché Neurospora può crescere su fonti di carbonio e azo-to insolite, il che probabilmente si riflette nella presenza di altri geni insoliti.

Una caratteristica unica di Neurospora è la disposi-zione delle spore prodotte dalla meiosi di un solo nu-cleo diploide nell’apposito involucro (asco). Le spore sono disposte linearmente nell’ordine in cui sono sta-te prodotte con le divisioni meiotiche. Con la possibili-tà di separare le spore precisamente e di studiarle sin-golarmente, i ricercatori hanno un modello ideale per l’analisi della ricombinazione meiotica. Neurospora è in-teressante anche per lo studio di numerosi meccanismi di silenziamento genico, alcuni dei quali esistono anche negli eucarioti pluricellulari.

I primi studi con Neurospora come organismo modello

All’inizio Neurospora è stato un modello importante per il suo stato aploide, la sua crescita veloce, la produzione di milioni di spore per colonia e la facilità di coltura su ter-reni semplici e definiti. Negli anni Quaranta, la capacità di sintetizzare tutte le biomolecole essenziali a partire da terreni di coltura dalla composizione nota ha velocemen-te portato Neurospora alla ribalta, come modello ideale in cui studiare la genetica delle vie metaboliche conservate in tutte le cellule. Un’importante nota storica è stato l’uso di Neurospora da parte di George Beadle e Edward Tatum negli studi che hanno portato all’ipotesi “un gene-un po-

lipeptide”. Questo lavoro ha dato l’avvio a una nuova era della genetica molecolare e all’uso dei microrganismi in studi di genetica (vedi Figura 2.23).

Ciclo vitale

Il ciclo vitale asessuato di Neurospora inizia con le spore aploidi rilasciate dai microconidi e dai macroconidi (Figu-ra A.3, in alto). Quando la spora aploide germina, dall’e-stremo in crescita si allunga una proiezione tubolare che porta alla formazione di un micelio, contenente le ife ra-mificate. La crescita avviene mediante la replicazione e divisione dei nuclei aploidi e non è accompagnata dalla formazione di setti cellulari. La crescita è veloce, fino a 10 cm in un solo giorno. Sulle piastre Petri, la rete compatta di filamenti produce una colonia. Di fatto questa rete di ife in una colonia è essenzialmente una sola grande cel-lula continua, con molti nuclei aploidi. La colonia aploi-de sporula formando i sacchi dei conidi e una colonia può produrre milioni di spore.

Due diversi alleli del gene del tipo sessuale, MATA e MATa, controllano il ciclo sessuale di Neurospora. Le spore contengono l’allele MATA o MATa e il contatto tra le colonie dei diversi tipi sessuali porta alla fusione della parete cellulare seguita dalla fusione dei nuclei aploidi. I nuclei diploidi ottenuti vanno velocemente incontro a divisioni meiotiche e ogni nucleo diploide produce quattro spore aploidi in un asco (Figura A.3, in basso). Le spore aploidi vanno incontro a un’altra di-visione mitotica, producendo otto spore disposte secon-do la loro origine cellulare, e s’impilano in fila all’inter-no di un asco lungo e sottile. Più aschi sono contenuti in una struttura detta peritecio. Ogni spora nel peritecio è aploide e può formare un’altra colonia di Neurospora. Ci vogliono circa 3-4 settimane per passare da spora, a ifa aploide, a nuclei diploidi, e per tornare indietro alla produzione di spore.

Tecniche genetiche

Mutagenesi Neurospora può essere mutagenizzata trat-tando le spore con radiazioni ionizzanti. Le spore irradia-te vengono fatte germinare in un terreno completo e la-sciate sporulare, producendo una grande quantità di spo-re. Le spore possono essere poi analizzate per la presen-za di mutazioni.

Introduzione del DNA Neurospora assume facilmente il DNA del plasmide esogeno grazie al meccanismo di tra-sformazione. Il DNA deve integrarsi nel genoma per poter essere ereditato stabilmente. L’antibiotico igromicina può

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essere usato per selezionare la Neurospora con un transge-ne. A differenza del lievito, l’inserzione del DNA in Neu-rospora avviene raramente per ricombinazione omologa; l’inserzione è più spesso casuale e senza alcun bersaglio.

Knockout genico Il modo per produrre uno specifico knockout in Neurospora è insolito. Con un processo a quanto pare specifico di questo organismo, una cellula con un gene duplicato, quando viene incrociata va in-contro a un processo detto RIP (repeat-induced point mu-

tation; mutazione puntiforme indotta dalla ripetizione). La RIP avviene nei nuclei aploidi delle cellule premitoti-che; il DNA ripetuto viene cercato e distrutto mediante l’introduzione di transizioni da GC a AT, su entram-be le copie del gene duplicato. Questo processo porta di fatto a un ceppo knockout.

Sporulazione Non appena i cromosomi di Neurospora se-gregano durante la meiosi, le cellule figlie si dispongono linearmente su un asse lungo. La frequenza di crossing over può essere usata per mappare la distanza di un locus allelico mutante dal centromero.

Neurospora come organismo modello ai nostri giorni

Ricombinazione meiotica Come abbiamo visto, Neuro-spora, a partire da un solo evento meiotico, impacchetta le proprie spore con una disposizione (nell’asco) che ri-specchia l’ordine di segregazione cromosomica durante la meiosi. Questa caratteristica rende Neurospora un siste-ma interessante per gli studi di ricombinazione da cros-sing over durante la meiosi.

Ritmi circadiani Neurospora segue un ritmo circadiano giornaliero nella formazione delle spore dei conidi. Que-ste sono visibili a occhio nudo e, quindi, il fenotipo di un comportamento ritmico può essere studiato nelle piastre Petri o in tubi graduati, lunghe provette in cui si può mi-surare la crescita rapida delle ife. Perché esista questo rit-mo in Neurospora non è chiaro, ma è un modello utile per la comprensione delle basi molecolari del comportamen-to ritmico.

Meccanismi di silenziamento Neurospora è dotata di al-meno tre meccanismi di silenziamento diversi, che pro-babilmente si sono evoluti come difese genomiche con-tro il DNA invasore, come i trasposoni e i virus. Il silen-ziamento meiotico è un processo tramite il quale un gene non appaiato, rilevato durante la meiosi, viene silenziato. L’inibizione detta “quelling” avviene nelle cellule aploidi e rivela le sequenze duplicate. La RIP rivela le sequenze duplicate subito prima della meiosi, mutando da GC ad AT entrambe le copie della sequenza duplicata. Il silen-ziamento meiotico e la RIP sembrano essere meccanismi specifici di Neurospora, mentre il quelling sembra essere correlato all’interferenza da RNA.

FIGURA A.3 Il ciclo vitale di Neurospora crassa. [Fonte: (Micelio) da Neurospora: Contributions of a Model Organism by Roland Davis. © 2000 Oxford University Press, Inc. Fotografia per gentile concessione di Matthew L. Springer, University of California, San Francisco. (Germinazione) M. G. Roca et al., Eukaryot. Cell 4: 911-919, 2005. (Asco singolo) Per gentile concessione di Namboori B. Raju, Stanford University. (Peritecio) Per gentile concessione di Louise Glass.]

Asessuato (aploide)

Sessuato (diploide)

Il contatto tra colonie MATA e MATα produce cellule diploidi

Meiosi 12n n

aaaaAAAA

Meiosi 2

Sviluppo dell’asco

Mitosi

Peritecio con più aschi

Micelio

Macroconidi (multinucleati)e microconidi (uninucleati)

Dispersione

Germinazione

Singolo asco con 8 spore aploidi

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Nematode, Caenorhabditis elegans

I piccoli microrganismi unicel-lulari, come E. coli e il lievito, so-no modelli di incredibile succes-so per lo studio a livello cellulare della chimica fondamentale dei processi vitali, ma per studiare

la complessità dello sviluppo e del sistema nervoso servo-no modelli pluricellulari. Nel 1960, Sideny Brenner si re-se conto che era il momento di porsi delle domande sul sistema nervoso e su come un organismo pluricellulare si formi a partire da una sola cellula. Brenner decise di usa-re come modello per studiare questi argomenti un verme nematode, un piccolo metazoo traslucido.

Caenhorabditis elegans è un membro della famiglia Rhabditidae dei nematodi, ma, a differenza di altri mem-bri della famiglia, non è patogeno o parassita di altri ani-mali. C. elegans è una buona scelta come modello di svi-luppo animale perché cresce velocemente e, in funzione della temperatura, si può sviluppare da uovo ad adulto sessualmente maturo in 21/2-31/2 giorni. I vermi sono facili da crescere su piastre di agar con E. coli come fonte di nu-trimento, e possono perfino essere congelati per una con-servazione a lungo termine. Gli ermafroditi di C. elegans si possono autofecondare, una caratteristica che permette di ottenere velocemente mutanti omozigoti a partire da una popolazione di vermi mutagenizzati. I maschi, che si for-mano in piccola percentuale, possono accoppiarsi con gli ermafroditi, formando dei ceppi con nuove combinazioni di mutanti, un aspetto essenziale di qualunque organismo modello genetico. Inoltre, C. elegans è trasparente, e que-sto permette di vedere ogni cellula durante lo sviluppo. Anche se l’ermafrodita contiene solamente 959 cellule so-matiche, il nematode è molto complesso ed è dotato di un sistema nervoso, di muscoli, di sistemi digestivi e riprodut-tivi e mostra una serie di comportamenti utili per gli studi di genetica neurologica. Ciascun verme produce centinaia di discendenti, permettendo la ricerca di mutanti per tut-ti i tipi di cambiamenti morfologici e comportamentali.

I primi studi con C. elegans come organismo modello

Per porre le fondamenta degli studi sullo sviluppo di un organismo pluricellulare, Brenner e altri hanno mappa-to la posizione di tutte le 959 cellule presenti nel verme ermafrodita, ricostruendo immagini tratte da fettine di tessuto. Durante lo sviluppo, ciascuna cellula migrato-ria si muove verso una posizione precisa nell’animale. Ulteriori studi hanno portato i ricercatori a scoprire che circa il 12% delle cellule muore sempre durante lo svi-luppo e che la morte cellulare è programmata genetica-

mente. Oggi sappiamo che la morte cellulare program-mata è importante per lo sviluppo di organismi superio-ri, tra cui l’uomo, e che difetti in questo processo posso-no portare allo sviluppo del cancro.

Uno dei primi esempi di C. elegans come modello di svi-luppo è dato dagli studi sulla vulva. Lo sviluppo di questo organo di 22 cellule è stato studiato intensamente, perché le sue singole cellule sono facilmente visibili al microsco-pio. Le ricerche per identificare i difetti nello sviluppo del-la vulva sfruttano il fatto che le uova fecondate nell’utero devono essere deposte nella vulva per poi schiudersi al di fuori del corpo. Se la vulva ha difetti di sviluppo, le uova non possono essere depositate e si schiudono all’interno. Il microscopio evidenzia molti vermi interni alla madre (a volte si parla di “un sacco di vermi”). Utilizzando questo evidente fenotipo mutato, i ricercatori hanno identifica-to molti geni che controllano lo sviluppo della vulva, tra cui geni appartenenti a una via di fosforilazione conser-vata che controlla la crescita cellulare. Gli omologhi di al-cuni di questi geni nei mammiferi codificano soppressori tumorali e oncogeni.

La morte cellulare programmata nello sviluppo di C. elegans porta alla morte di una delle due cellule della progenie che derivano dalla divisione cellulare durante di-versi stadi di sviluppo. Questo meccanismo è essenziale in diversi stadi dello sviluppo affinché la progenie cellu-lare sopravvissuta si sviluppi correttamente. In C. elegans ci sono numerosi esempi di morte cellulare programma-ta, molti dei quali avvengono durante lo sviluppo del si-stema nervoso. La morte cellulare programmata è impor-tante anche nello sviluppo embrionale umano, come, per esempio, nella rimozione di tessuto tra le dita.

Ciclo vitale

In C. elegans ci sono due sessi, ermafrodita e maschio. Gli ermafroditi sono dotati di due copie del cromosoma X. Una piccola percentuale di cellule germinali dell’er-mafrodita (dallo 0,05% all’1,0%) va incontro a una non- disgiunzione dei cromosomi X durante la meiosi, forman-do dei gameti detti gameti X-nulli, e quindi una progenie (maschile) X0. Gli ermafroditi sono molti di più dei ma-schi e quindi la maggior parte della progenie è prodot-ta per autofecondazione, la quale in genere dà origine a 200-300 uova fecondate che vanno incontro a un ciclo vi-tale a più stadi (Figura A.4). Dopo l’embriogenesi, che ri-chiede circa 12 ore a 25 °C, le uova si schiudono, produ-cendo delle larve lunghe 80 mm. La larva iniziale contiene 558 cellule. Lo sviluppo procede attraverso quattro stadi larvali (da L1 a L4) separati da mute. La muta finale por-ta a vermi adulti sessualmente maturi. L’intero processo

Per gentile concessione di Wormatlas (www.wormatlas.org).

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richiede circa 52 ore a 25 °C. Gli adulti vivono approssi-mativamente 15 giorni. In condizioni di stress, le larve L2 possono entrare in una fase dormiente, la larva “dauer” che può sopravvivere per diversi mesi, aspettando che le condizioni migliorino.

Tecniche genetiche

Mutagenesi I vermi possono essere mutagenizzati con trattamenti chimici o irradiazioni. I vermi mutanti posso-no essere osservati direttamente al microscopio, per cerca-re la presenza di alterazioni fenotipiche che determinano un comportamento o uno sviluppo aberrante, l’incapacità di alcune cellule di andare incontro a morte cellulare pro-grammata, un’aspettativa di vita modificata, l’incapacità delle larve di entrare nello stadio dauer.

Autofecondazione e fecondazione incrociata L’autofe-condazione porta da un solo ermafrodita a circa 300 di-scendenti e permette di ottenere velocemente, a partire da singoli vermi mutanti, alleli mutanti recessivi. Anche se i maschi vengono prodotti solo raramente, questi for-niscono un’opportunità di produrre nuovi ceppi genetici incrociandoli con un ermafrodita.

Introduzione di DNA Negli studi di trasformazione, del DNA ricombinante lineare viene iniettato direttamen-te nella gonade prima che si formino le uova. Rari even-ti d’integrazione portano a ereditare stabilmente più transgeni. Raramente si ha un’integrazione per ricombi-nazione omologa.

Knockout genico La distruzione per mezzo di un traspo-sone sopprime la funzione di un gene. Negli organismi do-tati di trasposoni attivi, le mutazioni insorgono per eventi

di inserimento casuale di un trasposone. L’integrazione del DNA in un gene d’interesse può essere cercata median-te PCR usando un primer interno al trasposone e un altro primer che ibrida con il gene in esame.

Interferenza da RNA L’interferenza da RNA, originaria-mente scoperta nel nematode, può essere usata per silen-ziare la funzione di un gene introducendo RNA a doppio filamento omologo al gene in esame (vedi Capitolo 22).

C. elegans come organismo modello ai nostri giorni

Vie di trasduzione del segnale La morte cellulare pro-grammata e lo sviluppo della vulva utilizzano vie di tra-sduzione del segnale che sono utili modelli per le vie di segnalazione umane. Gli studi eseguiti sullo sviluppo di C. elegans continuano a rivelare caratteristiche importan-ti di questi processi.

Malattie umane C. elegans ha molti geni omologhi a geni umani responsabili di malattie, compresi quelli che appar-tengono alla via del segnale dell’insulina, così come i geni coinvolti nelle malattie cardiache, renali e neurologiche. Lo studio di questi geni dovrebbe portare a comprendere le basi delle malattie umane.

Invecchiamento Gli studi genetici della larva dauer hanno portato a identificare una serie di geni che, quando ven-gono attivati nell’adulto, aumentano significativamente la durata della vita del verme. La presenza di omologhi di questi geni in altri animali ha ovvie implicazioni nello stu-dio dell’invecchiamento.

Controllo dell’espressione genica basato sull’RNA Gli studi sull’interferenza da RNA (scoperti per la prima volta nel nematode) hanno portato a identificare dei miRNA coinvolti nell’espressione genica. Infatti, è noto che i miRNA possono regolare l’espressione genica sia nelle piante che negli animali.

Neurosviluppo Il sistema nervoso di C. elegans rappre-senta l’organo più grosso dell’animale e comprende più di un terzo delle sue cellule (302 neuroni e 56 cellule glia-li). A differenza delle connessioni neuronali dei vertebra-ti, altamente ramificate, la connettività dei neuroni in C. elegans è piuttosto semplice, con circa 5000 sinapsi e 2000 giunzioni neuromuscolari. Le anomalie comporta-mentali sono facili da osservare e possono essere mappate con precisione su specifiche reti neuronali. La conoscenza della connettività neuronale completa permette ai ricerca-tori di studiare come viene guidata la crescita dell’assone e come si formano le sinapsi. Inoltre, C. elegans ha molte classi di neuroni differenti che permettono studi genetici sul differenziamento neuronale.

Uovo

25˚C

Adulto

L1(12 h)

L4(9 h)

L2(7 h)

L3 (7 h)

Dauer

FIGURA A.4 Il ciclo vitale di Caenorhabditis elegans. [Fonte: (Uovo) Center for Cell Dynamics. (L1-L4 e Dauer) ristampato per gentile concessione di Wormatlas (www.wormatlas.org). (Adulto) Per gentile concessione di Ian Chin-Sang, PhD, Queen’s University, Kingston, Ontario.]

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Arabetta comune, Arabidopsis thaliana

Arabidopsis thaliana è un’angio-sperma, una dicotiledone della famiglia della senape (Brassica-ceae) che comprende i più fami-liari broccoli, cavolo e rapanel-lo. Arabidopsis è considerata ge-neralmente un’erbaccia e non ha importanza economica, ma le sue caratteristiche la rendo-no speciale come modello spe-

rimentale. Arabidospis è piuttosto piccola; pertanto pos-sono essere fatte crescere molte piante in uno spazio ri-stretto. Ha un ciclo vitale breve, circa 5-6 settimane dal se-me al fiore e ogni pianta è capace di autoimpollinazione, producendo migliaia di semi per ampi studi di mappatura genetica. Inoltre, il genoma di Arabidopsis ha una dimen-sione di meno del 5% del genoma del mais (2500 Mbp) e di meno dell’1% di quello del grano (16 000 Mbp). Molti laboratori nel mondo studiano Arabidospis e molti centri di stoccaggio pubblici conservano scorte di semi di linee mutanti e varianti naturali di Arabidopsis dette ecotipi, co-sì come risorse genomiche.

Arabidopsis rappresenta un modello per quel che ri-guarda fisiologia, sviluppo, genetica e struttura di tutte le piante. È anche un modello di come le piante interagi-scono con l’ambiente e di come percepiscono la lunghez-za del giorno, il freddo, l’aridità e la presenza di sale e di come rispondono ai patogeni. Potremmo aspettarci che ci siano molte differenze tra le piante e gli animali nella ge-netica dei programmi di sviluppo. Però gli studi sullo svi-luppo della corona (whorl) del fiore mostrano uno stret-

to collegamento con gli animali. La corona del fiore è for-mata da quattro anelli concentrici (Figura A.5). L’anello esterno (whorl 1) è costituito da quattro sepali; il whorl 2 da quattro petali, il 3 da sei antere e quello interno da due carpelli che si fondono, formando il pistillo. Lo studio delle piante con mutazioni omeotiche ha mostrato un’al-terazione nell’identità dei whorl. Per esempio, in un mu-tante, i carpelli si ritrovano nel whorl 1 al posto dei sepa-li. Questo comportamento genetico ricorda le mutazioni nei geni omeotici in Drosophila, in cui gli arti si estendo-no da segmenti del corpo scorretti. Inoltre, come in Dro-sophila, i geni omeotici di Arabidopsis codificano fattori di trascrizione che agiscono tramite la formazione di gra-dienti di concentrazione nell’embrione in via di sviluppo (vedi Capitolo 22).

I primi studi con Arabidopsis come organismo modello

Arabidopsis è stato aggiunto piuttosto di recente al grup-po di organismi modello, ed è diventato un modello af-fermato solamente negli anni Ottanta. Nel 1907, Friedrich Laibach ha identificato il numero di cromosomi di Arabi-dopsis e nel 1940 ha proposto di usare questa pianta come organismo modello. Con l’aiuto di Albert Kranz, Laibach ha raccolto e organizzato molti ecotipi, che hanno contri-buito alla collezione attuale di 750 ceppi di Arabidopsis. Il nascere di una comunità scientifica dedita alla ricerca su Arabidopsis divenne chiaro con la pubblicazione di un bol-lettino nei primi anni Sessanta, e con la prima Conferen-za Internazionale su Arabidopsis tenutasi nel 1965. Negli anni Ottanta, Arabidopsis era uno tra i numerosi modelli vegetali tra i quali era anche compreso il mais, un model-lo genetico ben consolidato. Con lo sviluppo della trasfor-mazione mediata dal T-DNA (vedi più avanti) nel 1986, Arabidopsis è diventato velocemente il modello principa-le per la ricerca vegetale.

Ciclo vitale

Arabidopsis ha un ciclo vitale comune delle piante (Figu-ra A.6). Come in molte angiosperme, sia le cellule germi-nali maschili che quelle femminili risiedono nello stesso fiore e l’autofecondazione (autoimpollinazione) avviene facilmente. Le piante possono andare incontro anche a una fecondazione incrociata (impollinazione incrociata). Ciascuna pianta produce molti fiori che insieme possono produrre più di 10 000 semi. Il ciclo vitale completo, dalla germinazione del seme al nuovo raccolto di semi, richie-de da 5 a 6 settimane, con lo sviluppo di radici, foglie, fio-ri, e alla fine i semi.

Petali

Petali(Whorl 2)

Stami(Whorl 3)

Carpelli(Whorl 4)

Sepali(Whorl 1)

Antera

StigmaPistillo (carpelli) Stilo

FIGURA A.5 Anatomia del perigonio del fiore di Arabidopsis thaliana. [Fonte: Per gentile concessione del Prof. Dr. Sabine Zachgo.]

Nigel Cattlin/Alamy

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Tecniche genetiche

Mutagenesi Le piante possono essere mutagenizzate trattando i semi con radiazioni ionizzanti o mutageni chimici. Le piante che sono omozigoti recessivi per i ge-ni mutati possono essere facilmente ottenute con l’au-tofecondazione.

Complementazione Arabidopsis fiorita può essere auto-fecondata o incrociata con altre piante con tecniche simi-li a quelle usate da Gregor Mendel, in cui le antere vengo-no tagliate, permettendo quindi il controllo dell’impolli-nazione e l’incrocio genetico (vedi Capitolo 2).

Introduzione del DNA La trasformazione con il DNA ri-combinante è mediata dal T-DNA (DNA di trasferimen-to) di Agrobacterium tumefaciens, che normalmente s’in-serisce nei cromosomi in modo casuale. A. tumefaciens è un batterio gram-negativo che causa tumori nelle pian-te. Contiene un plasmide di 200 kbp che induce il tumo-re (Ti), il quale include geni che facilitano il trasferimen-to replicativo del DNA in una cellula vegetale. Una volta introdotto nella cellula vegetale, il plasmide integra un particolare segmento del suo DNA, il T-DNA, nel geno-ma della pianta. Quando nel T-DNA si trova del DNA ricombinante, anche questo viene inserito nel genoma.

Knockout genico La ricombinazione omologa di DNA transgenico, determinando un knockout genico, avvie-ne solo raramente nelle piante e normalmente non vie-

ne usata negli studi dei vegetali. Però sono disponibili va-ste collezioni di mutanti di Arabidopsis sequenziati e nei centri di stoccaggio è possibile ordinare inserzioni speci-fiche in singoli geni.

Interferenza da RNA Una funzione genica in Arabidop-sis può essere eliminata con efficacia utilizzando l’RNAi (vedi Capitolo 22).

Arabidopsis come organismo modello ai nostri giorni

Evoluzione della pianta I quasi 750 differenti ceppi di Arabidopsis sono molto diversi per sviluppo e forma (per esempio per la forma della foglia, il tempo di fioritura, la setosità e la resistenza alle malattie) e sono stati usati per spiegare l’evoluzione delle caratteristiche e le risposte del-la pianta all’ambiente.

Sensibilità alla luce Le piante hanno molte risposte diver-so alla luce e Arabidopsis è un modello genetico per alcu-ne di queste. Una tipica risposta è quella di passare dalla produzione di foglie a quella di fiori. Arabidopsis fiorisce quando la lunghezza del giorno aumenta ed è un model-lo per la sensibilità alla luce del giorno. Inoltre, una ridot-ta luce nel periodo di germinazione dei semi porta a una crescita alterata a causa di una modificazione di sviluppo programmata che porta a piccole piante con un sistema radicale ridotto. Arabidopsis è stata usata come modello per comprendere la genetica che controlla come la luce influenzi questo sviluppo precoce. Un altro processo sen-sibile alla luce in Arabidopsis in studio è il modo in cui la pianta evita l’ombra.

Ritmi circadiani Come potremmo aspettarci per organi-smi con uno stile di vita immobile e dipendenti dalla luce, le piante mostrano forti ritmi circadiani. Arabidopsis è un modello eccellente per studiare le basi genetiche dei ritmi circadiani e la natura del misterioso “oscillatore ritmico”.

Resistenza della pianta ai patogeni Le piante sono do-tate di un’ampia gamma di strategie per sopravvivere alle condizioni di stress, come l’invasione di patogeni, e Ara-bidopsis è un modello per lo studio dei patogeni e la dife-sa contro di essi. Tra queste difese ci sono le molecole an-timicrobiche, lo sviluppo di barriere fisiche e l’induzione della morte cellulare programmata.

Genetica di sviluppo delle piante Come organismo plu-ricellulare, Arabidopsis ha un’ampia varietà di organi e ti-pi tissutali, ciascuno dotato di una propria genetica di svi-luppo. Le aree di studio dello sviluppo comprendono la crescita della foglia, la formazione della corona dei fiori, dei semi e delle radici, lo sviluppo del tessuto vascolare, l’embriogenesi e il piano di sviluppo del fiore.

FIGURA A.6 Il ciclo vitale di Arabidopsis thaliana. [Fonte: C. Douglas et al., Plant Cell 13: 1499-1510, 2001. Copyright © 2001, American Society of Plant Biologists.]

Giorno 0Seme

Giorno 1Germinazione

Giorno 2Comparsa

dell’ipocotilee dei cotiledoni

Giorno 3Sviluppo

della radice

Giorno 7Sviluppo

della foglia

Giorno 11

Giorno 23Gemma il primo fiore

Giorno 30Infiorescenza

Giorno 40

Giorno 45Sviluppo del seme

e senescenza

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Moscerino della frutta, Drosophila melanogaster

Siamo tutti abituati a considera-re il moscerino della frutta co-me un fastidio cosmopolita, ma Drosophila melanogaster ha una storia lunga 100 anni come im-portante organismo modello per

studi di genetica e dello sviluppo. Il corpo del moscerino della frutta è diviso in segmenti diversi che formano tre sezioni principali: la testa, il torace e l’addome. Le sezioni corporee sono racchiuse in una dura cuticola di chitina, secreta dalle cellule epidermiche sottostanti, e sono ric-che di particolari anatomici (indentazioni, peli) che ser-vono come marcatori fenotipici per gli studi di genetica.

I primi studi con Drosophila come organismo modello

Nel 1908 Thomas Hunt Morgan cercava un organismo idoneo per gli studi di genetica animale. A quel tempo i finanziamenti per la scienza erano ridotti e quindi al-la fine decise di concentrarsi sulla Drosophila, in quan-to economica e facile da crescere. Nel 1910, dopo due anni di studi senza successo, Morgan trovò un maschio con una mutazione spontanea che causava occhi bian-chi (questa mosca normalmente ha gli occhi rossi). Studi eleganti e dettagliati di quest’unico mutante hanno di-mostrato che i geni si trovano sui cromosomi, che ogni gene ha due alleli, che gli alleli si distribuiscono in ma-niera indipendente durante la meiosi e che i geni po-sti su cromosomi diversi si assortiscono in maniera in-dipendente. Queste e altre scoperte importanti hanno rafforzato le leggi di Mendel nel contesto fisico dei geni localizzati sui cromosomi (vedi Capitolo 2).

Il moscerino della frutta è stato anche il primo orga-nismo per il quale si è ottenuta una mappa genetica. Al-fred Sturtevant, uno studente del laboratorio di Morgan, mappò la distanza relativa tra i geni lungo i cromosomi in funzione delle loro frequenze di ricombinazione per cros-sing over. Calvin B. Bridges portò ancora più avanti que-sti studi identificando la posizione esatta dei geni lungo i cromosomi politenici. Questi cromosomi giganti, posti nelle ghiandole salivari del moscerino della frutta, sono costituiti da gruppi di cromosomi impacchettati insieme e sono caratterizzati da schemi di bandeggio unici quan-do vengono colorati (Figura A.7). Bridge identificò più di 5000 bande disposte secondo uno schema tipico. Non si sa perché si formino i cromosomi politenici, ma potrebbero essere collegati al ruolo della ghiandola salivare di secre-zione dell’involucro della pupa durante la metamorfosi. Molte mutazioni basate sulla ricombinazione sono state identificate con bande mancanti o con posizioni in cui i

cromosomi si erano invertiti permettendo di mappare i geni su un cromosoma, così come di stabilire la posizione dei geni sui cromosomi.

Ciclo vitale

Le mosche hanno un breve ciclo vitale diploide (12 gior-ni) (Figura A.8). Il sesso nelle mosche è determinato dal numero di copie di cromosoma X, non dal cromosoma Y (XX è femmina e il raro X0 è maschio), anche se il cromo-soma Y è necessario alla produzione dello sperma. All’in-circa un giorno dopo l’accoppiamento, la femmina inizia a deporre centinaia di uova. Le divisioni nucleari nell’em-brione sono le più rapide di qualunque altro organismo

Per gentile concessione di Marcos Teixeira de Freitas

FIGURA A.7 Cromosoma politenico d’insetto. [Fonte: S. F. Werle et al., Can. J. Zool. 82: 118-129, 2004, Fig. 2. © 2004, NRC, Canada.]

Maschio

Femmina

Ciclo vitale di Drosophila

melanogaster

Pupa

Prepupa

3° stadio larvale

2° stadio larvale

1° stadio larvale

Embrione

FIGURA A.8 Ciclo vitale di Drosophila melanogaster. [Fonte: Prof. Dr. Christian Klambt, Westfalische Wilhelms-Universitat Munster, Institut fur Neuor- und Verhaltensbilogie.]

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pluricellulare e le uova si schiudono in un giorno circa. Il baco passa attraverso tre stadi larvali, separati da mu-te che richiedono circa 5 giorni. Le larve contengono i di-schi imaginali di tessuto destinati a trasformarsi nelle ap-pendici della mosca adulta (come gli occhi, le antenne, le zampe, le ali, le altere, cioè ali modificate che funziona-no come stabilizzatori del volo) e le parti della bocca. Le ghiandole salivari del terzo stadio larvale secernono l’in-volucro della pupa, in cui la metamorfosi avviene in 31/2-41/2 giorni fino alla mosca adulta. Le mosche vivono ap-prossimativamente 30 giorni.

Tecniche genetiche

Mutagenesi Le mosche possono essere mutagenizzate esponendole alle radiazioni ionizzanti o nutrendole con sostanze chimiche mutagene. Le mutazioni che portano a cambiamenti nel colore dell’occhio, nella forma dell’ala o di parti del corpo possono essere identificate mediante l’osservazione visiva.

Introduzione di DNA Per inserire il DNA ricombinante viene usato un processo noto come trasformazione dell’e-lemento P, di norma usato per studiare gli effetti dell’e-spressione proteica sugli elementi di controllo della tra-scrizione. L’elemento P è un trasposone di 3 kbp che può portare una sezione di DNA ricombinante tra le sue ripe-tizioni terminali al posto della trasposasi e del repressore da esso codificati (vedi Capitolo 14). Il DNA dell’elemento P ricombinante viene iniettato nell’uovo fecondato, insie-me a un plasmide che codifica una trasposasi. L’inserimen-to è casuale e il plasmide che codifica il gene della traspo-sasi viene perso durante le divisioni cellulari, impedendo in questo modo la reintroduzione del trasposone in altri punti nel genoma.

Cromosomi bilanciatori Alleli letali recessivi possono essere mantenuti stabilmente nei moscerini della frutta quando sono appaiati a un cromosoma bilanciatore, un cromosoma che non può ricombinare con il suo omologo per la presenza di molte inversioni interne che impedisco-no l’allineamento completo durante la meiosi. I cromoso-mi bilanciatori sono letali quando sono omozigoti, quin-di l’unica progenie che sopravvive è eterozigote per il ge-ne letale recessivo e il bilanciatore.

Mosaici genetici Con l’induzione della ricombinazione mitotica mediante irradiazione con raggi X, nel mosce-rino della frutta adulto si possono formare dei mosaici genetici, porzioni di tessuti geneticamente alterati. I mo-saici sono particolarmente utili quando si studiano i geni letali. I mosaici genetici dei geni letali possono formarsi

nell’adulto anche grazie all’uso di una ricombinasi di lie-vito inducibile dal calore (detta FLP) ingegnerizzata nel genoma. L’induzione del calore comporta un’elevata fre-quenza di ricombinazione mitotica nei tessuti riscaldati, formando dei mosaici genetici. Anche se le alterazioni ge-netiche possono essere letali per gli embrioni, non neces-sariamente uccidono l’adulto, dato che la loro espressio-ne è localizzata solamente in alcune cellule.

Knockout genici È difficile ottenere dei knockout genici in Drosophila perché le tecniche di ricombinazione omo-loga non sono ancora perfette. Esistono, però, delle pro-cedure in due passaggi in cui un gene è inserito a caso, se-guito dall’espressione delle proteine che determinano l’e-scissione del gene. Una volta escisso, il frammento di DNA lineare può andare incontro alla ricombinazione omologa con il gene wild-type.

Interferenza da RNA L’RNAi può essere usata per dimi-nuire efficacemente il prodotto di uno specifico gene in-vece che eliminare realmente il gene.

Drosophila come organismo modello ai nostri giorni

Malattie umane Il genoma di Drosophila, di circa 170 Mbp, è all’incirca venti volte più piccolo del genoma di topo e di quello umano, eppure codifica approssimativamente lo stesso numero di famiglie geniche. All’incirca il 60% dei geni noti per essere coinvolti in malattie umane ha degli omologhi nel moscerino della frutta. Per esempio, gli stu-di dei geni embrionali letali in Drosophila hanno permes-so di spiegare la base genetica di difetti della nascita uma-na. Altri modelli di malattia sono i difetti immunologici, il diabete, il cancro, il morbo di Huntington, di Alzheimer e di Parkinson.

Piano di sviluppo del corpo La localizzazione dell’mRNA materno nelle uova porta a un’espressione genica localiz-zata che stabilisce gli assi antero-posteriore e dorso-ven-trale in Drosophila. Questi geni controllano il piano di svi-luppo corporeo e hanno i loro corrispondenti negli ani-mali più complessi. Quindi il moscerino serve come siste-ma piuttosto semplice per comprendere la formazione del piano corporeo (vedi Figura 16.24 e Capitoli 21 e 22).

Comportamento Drosophila fornisce un modello per la comprensione della base cellulare e molecolare di alcu-ni tipi di comportamento. Le anomalie di comportamen-to del moscerino della frutta comprendono cambiamenti nell’apprendimento e nella memoria, nella ricerca del ci-bo, del riposo, e in altri comportamenti, e nell’alcoolismo.

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Topo domestico, Mus musculus

Il topo domestico, Mus muscu-lus, è stato collezionato e alle-vato dagli “amanti” dei topi per centinaia di anni, e alcuni dei ceppi puri, sviluppati da questi, sono usati oggi come standard per gli studi scientifici. Il topo domestico è il modello di mam-

mifero principale ed è più simile agli uomini di quanto ci piaccia ammettere (vedi Figura 1.12). Il genoma del topo ha quasi la dimensione di quello umano e codifica essen-zialmente lo stesso numero di geni; il 99% di questi ha un omologo nell’uomo. Infatti, una gran parte del genoma murino è sintenico con il nostro, ovvero interi blocchi di geni si ritrovano nello stesso ordine in entrambe le specie (vedi Figura 8.4).

Rispetto ad altri organismi modello, lavorare con i to-pi è più complicato sotto ogni aspetto. Sono più grandi, ovviamente, ma hanno anche un tempo di generazione di circa 8-10 settimane e producono, in media, solamen-te da 6 a 8 piccoli per nidiata. Questi numeri sono molto interessanti se confrontati con altri mammiferi, ma po-co se confrontati con altri organismi modello. Le colonie di topo sono anche costose da mantenere e non posso-no essere trattati i numeri necessari per attuare grandi screening genetici, come avviene con altri organismi mo-dello. Però, a differenza del nematode e del moscerino del-la frutta, i topi hanno sistemi biologici senza paralleli in modelli animali inferiori, come il sistema immunitario e l’apparato scheletrico, o sono semplicemente modelli mi-gliori per studi di sistemi complessi come l’apparato car-diovascolare, il sistema endocrino e molti altri. Il topo è un modello per le malattie umane, come il cancro, prati-camente in tutti questi sistemi.

I primi studi sul topo come organismo modello

Gli studi genetici sui topi iniziarono nei primi anni del Novecento, quando la selezione e l’incrocio erano i prin-cipali metodi per ottenere una progenie con i caratte-ri desiderati. Questi primi studi portarono a un model-lo generale che spiegava il colore della pelliccia in tutti gli altri mammiferi con pelo. I topi e i ratti hanno anche una lunga storia negli studi nutrizionali, specialmente per l’identificazione di vitamine e sintomi causati dal-la mancanza di vitamine nella dieta. L’utilizzo dei topi in un modello di malattia umana è stato avviato da Cla-rence Cook Little. Negli anni Venti, mediante incroci tra consanguinei, questi sviluppò un ceppo di topo, il C57BL/6 (comunemente detto Black6), che alla fine di-venne il ceppo di topo usato per determinare la sequen-

za del genoma. Little fondò anche il Jackson Laboratory in Bar Harbor, Maine, un centro di genetica del topo che serve anche come deposito pubblico di modelli murini per la ricerca scientifica.

Ciclo vitale

I cromosomi X e Y determinano il sesso nei topi, come ne-gli uomini. La fecondazione dà origine a una blastocisti contenente alcune cellule non differenziate unite assieme nella massa cellulare interna, la fonte di cellule staminali embrionali. La gestazione dura 19-21 giorni e porta a una nidiata di 3-14 piccoli. La maturità sessuale richiede cir-ca 6 settimane per le femmine e 8 settimane per i maschi, ma l’accoppiamento può avvenire in soli 35 giorni. I topi vivono 1-2 anni e le femmine possono dare 5-10 nidiate, sostanzialmente nel primo anno di vita.

Tecniche genetiche

Mutagenesi Gli incroci tra consanguinei per molte gene-razioni hanno portato a molti ceppi utili di topi mutati. L’aggiunta di sostanze chimiche mutagene al nutrimento facilita lo sviluppo di ceppi mutati.

Introduzione di DNA Il DNA estraneo può essere inietta-to direttamente nel nucleo delle uova fecondate, seguito dall’impianto delle uova nell’ovidotto della femmina rice-vente. L’integrazione casuale avviene con elevata frequen-za. Il DNA ricombinante usato di norma ha un promotore di topo che dirige l’espressione di un gene reporter, come lacZ o GFP (proteina fluorescente verde), in modo che l’e-spressione del transgene possa essere seguita durante lo sviluppo. Circa metà dei topi transgenici contiene DNA ricombinante nella linea germinale e quindi passa il gene ricombinante alle generazioni future.

Knockout genico Il knockout mirato come modello di una malattia murina viene ottenuto a partire dalle cellule sta-minali embrionali (Figura A.9). Le cellule staminali sono estratte dalla massa cellulare interna della blastocisti e fatte crescere in coltura. Le cellule staminali coltivate so-no poi trasformate con del DNA lineare contenente una copia mutata del gene in esame, insieme ai geni per la re-sistenza alla neomicina (neor) e la timidina chinasi (tk). DNA omologo fiancheggia il gene mutato (genemut nella Figura A.9) e il gene neor, in maniera tale che l’integrazio-ne omologa sostituisca il gene wild-type con il gene mu-tato insieme a quello per la neor. Al contrario, il DNA che si inserisce casualmente porta all’integrazione dell’intero frammento di DNA, compresa la tk.

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Per selezionare le cellule con il gene knockout opportuno, sono necessari due passaggi. La selezione per la neor, gra-zie all’uso della neomicina, uccide tutte le cellule che non hanno integrato il DNA trasformante. La selezione contro la tk, con l’uso dell’antivirale ganciclovir, uccide le cellu-le che hanno integrato del DNA per ricombinazione non

omologa, perché queste cellule contengono la tk, e la ti-midina chinasi trasforma il ganciclovir in una tossina che uccide queste cellule. Solamente le cellule che contengo-no i knockout genici prodotti dalla ricombinazione omo-loga sopravvivono a entrambe le selezioni. Le cellule sta-minali ingegnerizzate vengono iniettate in un embrione ospite wild-type allo stadio di blastocisti. Questo porta al-la formazione di un embrione che è una chimera dell’o-spite wild-type e delle cellule ingegnerizzate donatrici. Le chimere risultanti vengono incrociate per trasmettere la modificazione genetica attraverso la linea germinale. I to-pi eterozigoti della F1 (prima generazione) vengono poi in-crociati per ottenere una progenie F2 wild-type, eterozi-gote e omozigote, nell’atteso rapporto mendeliano 1:2:1. Accoppiamenti selezionati portano a topi knockout omo-zigoti. Sono state sviluppate tecniche per conservare, tra-mite crioconservazione di sperma e di cellule uovo, ceppi di topo preziosi e difficili da ottenere.

Il topo come organismo modello ai nostri giorni

Malattie umane Il topo è un modello importante per lo studio delle malattie umane. I modelli delle malattie pos-sono essere ottenuti tramite accoppiamento tra consan-guinei o producendo knockout di noti geni responsabili di malattie. I modelli murini di malattie umane compren-dono il cancro, l’arteriosclerosi, l’invecchiamento, l’iper-tensione, le malattie metaboliche, le malattie del sistema immunitario, il diabete di tipo 1 e tipo 2, la sindrome di Down, il morbo di Alzheimer, il glaucoma, l’osteoporosi, l’obesità, l’epilessia, la malattia Lou Gehrig (la sclerosi la-terale amiotrofica), il morbo di Huntington, le malattie del sangue e molte altre.

Mappatura dei geni mutati I geni mutati possono essere identificati più velocemente nel topo rispetto ai geni mu-tanti negli uomini. Ceppi di topo molto simili (come Mus musculus e Mus spretus) possono essere incrociati per pro-durre ibridi che generalmente presentano sequenze di-verse in posizioni polimorfiche, permettendo ai ricerca-tori di usare l’analisi di associazione per sviluppare map-pe genetiche dettagliate e localizzare un gene responsa-bile di una malattia.

Comportamento Esistono modelli murini per certi tipi di comportamento, come l’alcoolismo, la dipendenza da dro-ghe, disturbi ansiosi e comportamento aggressivo.

Sviluppo del mammifero I topi transgenici sono usati per studiare la posizione e la modalità di espressione di par-ticolari geni in vari momenti dello sviluppo. Inoltre, esi-stono modelli per studiare alcune malattie dello sviluppo umano, come il labbro leporino e la palatoschisi.

FIGURA A.9 Costruzione di un topo knockout.

Blastocisti

Estrattodi cellule staminali

Trasformazione

Uso della neomicinaper selezionare la neor

Integrazioneomologa

Nessunaintegrazione

Integrazionenon omologa

Celluledella massa

interna(cellule staminali)

neorgenemut neorgenemut tk

Integrazioneomologa

Nessunaintegrazione

Integrazionenon omologa

neorgenemut neorgenemut tk

neorgenemut tk

Uso del ganglocivirper selezionare contro la tk

Iniezione nell’embrione

Incrocio della progenie per ottenere un topo omozigote recessivo

Eterozigote knockout

Integrazioneomologa

Integrazionenon omologa

neorgenemut neorgenemut tk