Il sistema integrato della Moda, un settore al femminile · 2004-01-19 · Milano-Roma ......

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Ε Ρ Μ Η Σ Il sistema integrato della Moda, un settore al femminile gennaio 2004 Lorenzo Birindelli, Marco Ricchetti [email protected] [email protected] Hermes lab srl Milano-Roma www.hermeslab.it [email protected]

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Ε Ρ Μ Η Σ

Il sistema integrato della Moda, un settore al femminile

gennaio 2004

Lorenzo Birindelli, Marco Ricchetti

[email protected]

[email protected]

Hermes lab srl

Milano-Roma

www.hermeslab.it

[email protected]

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Sommario

1 MODA E MANIFATTURA DELLA MODA ..............................................................................3 1.1 Industrie del vestiario e industrie della moda .......................................................................3 1.2 Le tre componenti del sistema moda....................................................................................4 1.2.1 Le industrie della moda.........................................................................................................................4 1.2.2 I servizi per la moda ................................................................................................................................4 1.2.3 Il trade della moda .................................................................................................................................6

2 OCCUPAZIONE AL FEMMINILE NELLE INDUSTRIE DELLA MODA: .............................................7 2.1 Una panoramica dei dati statistici..........................................................................................7 2.2 Le imprenditrici..........................................................................................................................12 2.3 I riflessi sulle politiche................................................................................................................13

3 IL LAVORO NEI SERVIZI DELLA MODA..............................................................................14 3.1 Un primo tentativo di stima dell’ordine di grandezza dell’occupazione nei servizi per

la moda......................................................................................................................................14 3.2 Alcuni profili dei lavori nei servizi per la moda....................................................................17

4 LE ASPETTATIVE DELLE DONNE LAUREATE VERSO IL LAVORO NELLA MODA............................20

5 SPECIALIZZAZIONE E STRATEGIE IN UN MERCATO AL FEMMINILE.........................................23

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1 MODA E MANIFATTURA DELLA MODA

1.1 Industrie del vestiario e industrie della moda La produzione di vestiti e accessori è diffusa praticamente in tutto il mondo; è una delle attività più antiche della storia.

Una attività che è stata declinata in modi molto diversi per materie prime utilizzate, processi di lavorazione, codici estetici e manufatti. In tutti i paesi esiste un bagaglio specifico di tecniche, esperienze e saperi produttivi applicato nella produzione di filati e tessuti, della pelle e di altre materie prime e nella confezione di abiti, scarpe e accessori.

A questo patrimonio professionale sono legate alcune delle manifestazioni più caratteristiche della identità culturale di paesi ed etnie, come i kimono e i sari. La produzione di filati, tessuti ed abiti, anche quando raggiunge un elevato grado di raffinatezza tecnica non è, tuttavia, sufficiente a configurare quel complesso apparato di attività di produzione e di servizi al quale pensiamo quando si parla di industria della moda.

Alle conoscenze tecniche e alle più raffinate tradizioni manifatturiere, l’industria della moda aggiunge una forte carica progettuale in grado di creare continuamente una grande varietà di prodotti e si caratterizza per la capacità di percepire, su orizzonti internazionali, lo spirito del tempo nella sua mutevolezza; ai consumatori, insieme ai semplici vestiti, l’industria della moda offre una piattaforma esistenziale nella quale possono riconoscersi, manifestare la propria identità e mantenerla al passo coi tempi. Parafrasando una celebre battuta di Charls Revson, fondatore della Revlon Corporation, si può dire che “in fabbrica produciamo abiti, ma nei negozi vendiamo speranza”.

E’ proprio la combinazione tra il bagaglio di conoscenze tecniche organizzative, la capacità di prefigurare i desideri dei consumatori e l’ampio uso di strumenti di comunicazione che distingue l’industria della moda dalla semplice produzione di filati, tessuti, pellame, abbigliamento e accessori.

Da un punto di vista merceologico, l’industria della moda non si identifica con la lavorazione di una determinata gamma di materie prime (fibre tessili, pellame ecc.) o con uno specifico insieme di tecniche di produzione (concia, tessitura, taglio, cucitura, maglieria ecc.) ma con la capacità di generare prodotti con un forte contenuto culturale e in sintonia con i desideri dei consumatori di una parte rilevante dei mercati internazionali.

Nell’industria della moda si realizza un complesso intreccio fra materiale ed immateriale, attività manifatturiere, attività servizi, industria culturale in cui il valore economico dell’informazione veicolata dall’abito può essere pari o superiore a quello del supporto che la trasporta.

La moda è un prodotto industriale ibrido, risultato della combinazione di elementi materiali e immateriali. i prodotti di moda sono beni materiali a contenuto culturale, analoghi per certi versi all’industria del cinema, a quella dalla musica leggera, o del software1.”

Fatto 100 il prezzo pagato dal pubblico per un vestito maschile i costi imputabili alle fibre si stima non raggiungano il 3-4%. Per i tessuti si arriva al 10%, di questo 10% in ogni caso circa

1 G. Malossi “Il motore della Moda”. in G. Malossi (a cura di), Il Motore della Moda, The Monacelli Press, NY, 1998

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un terzo e’ costituita da costi relativi a funzioni moda (ricerca stilistica, partecipazione a fiere, campionature ecc.). Nella fase di confezione di un abito e della sua vendita, il costo più elevato è quello derivante dalla assenza o dalla erroneità delle informazioni riguardanti i gusti e i comportamenti dei consumatori che provocano gli invenduti ed il fenomeno dei saldi2.

1.2 Le tre componenti del sistema moda La rilevanza assunta da componenti non strettamente industriali spinge a preferire, per definire il settore verticalmente integrato della moda, la definizione sistema della moda a quello di industria della moda. Il sistema della moda combina tre diverse componenti: le industrie manifatturiere che realizzano materialmente i prodotti; le attività di servizio che contribuiscono a conferire valore immateriale ai beni, le attività di trade.

1.2.1 Le industrie della moda La componente industriale e quella meno problematica da definire, tuttavia più che di una specifica industria si tratta di un insieme di industrie o spezzoni di industrie in cui convergono la filiera tessile, e quella della pelle, ma che, a rigore dovrebbe includere altre componenti, come le montature per occhiali, la gioielleria e l’oreficeria, altri accessori come gli orologi ecc. Per semplicità e tradizione si considereranno qui soltanto le due componenti quantitativamente più importanti: le filiere del tessile e della pelle.

1.2.2 I servizi per la moda Quando dalla manifattura si passa a considerare l'insieme delle diverse attività appartenenti alla categoria dei servizi che contribuiscono a creare il valore del prodotto moda, l’attenzione si concentra su pochi centri d'eccellenza, soprattutto Milano e Firenze, che contendono la posizione di capitale mondiale della moda a città come New York e Parigi.

Tracciare i confini delle attività di servizio la cui esistenza dipende strettamente dalla forza del sistema moda distinguendoli da quelli che qualunque metropoli moderna offre al sistema economico-industriale della regione in cui si trova, indipendentemente dal settore di specializzazione, presenta non poche difficoltà.

Difficoltà ancora maggiori si incontrano nel misurare la dimensione economica di attività che si presentano disperse in mille rivoli, e dove interagiscono professionalità che mal si adattano alle esistenti classificazioni statistiche, e per le quali l’unico punto in comune sembra essere quello di essere prestate in unità produttive micro-dimensionali, spesso con forme di lavoro indipendente.

La mappa delle attività e dei servizi che contribuiscono a creare il prodotto moda può essere tracciata secondo due diverse dimensioni. La prima concerne il grado di fungibilità dei servizi acquistati dalle imprese del settore, secondo una scala suddivisa tra:

• specializzati per la moda. Sono i servizi utilizzati esclusivamente (o quasi esclusivamente) dalle imprese del sistema moda, per i quali si

2 A. Balestri e M. Ricchetti, “La razionalità della macchina della moda” in G. Malossi (a cura di), Il Motore della Moda, The Monacelli Press, NY, 1998

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può dire che l’offerta è generata pressoché esclusivamente dalla loro esistenza. Esempi sono le show rooms, studi di stile, stampa specializzata, agenzie di modelle per le sfilate, organizzazione di fiere specializzate ecc.;

• a forte prevalenza della moda. Sono servizi intensamente utilizzati anche da altri settori, ma ai quali la significativa quota di domanda proveniente dal sistema moda conferisce una particolare connotazione: sono esempi di questo tipo la stampa per quanto riguarda le riviste femminili, la gestione degli spazi urbani per l’organizzazione di eventi, fotografi, società di analisi dei trend culturali ecc.;

• generali. Servizi che ogni sistema metropolitano offre alle industrie presenti nella regione: spazi espositivi, trasporti e centri per la logistica, reti di telecomunicazioni, servizi finanziari, consulenza, spazi di produzione culturale, ecc.;

La seconda dimensione riguarda i contenuti del servizio. Si possono qui distinguere quattro assi principali su cui collocare l’offerta di servizi:

• i servizi creativi e tecnici di progettazione dei prodotti; • la comunicazione e l’editoria; • le attività legate al trade, e più in generale, al rapporto con i clienti; • i servizi di consulenza gestionali ed organizzativi.

Figura 1 . La mappa dei servizi per la moda

Fonte: Hermes lab, 2001

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1.2.3 Il trade della moda I canali distributivi sono una componente molto importante nella realizzazione del valore incorporato nei prodotti di moda. La peculiare importanza del settore distributivo per la moda deriva dalla rilevanza delle componenti immateriali di comunicazione ed immagine incorporate nei prodotti che richiedono un medium adeguato per essere trasferite al consumatore. La funzione di comunicazione svolta dal punto vendita è in effetti talmente critica che le imprese produttrici di moda hanno cominciato a cercarne il controllo diretto:

• per rilevare più direttamente le oscillazioni dei gusti dei consumatori;

• per poter comunicare con il consumatore senza filtri, attraverso le vetrine, il lay-out del negozio, il servizio, l’assortimento.

I negozi sono quindi un luogo in cui si sovrappongono attività di Trade e Comunicazione in cui sono cruciali il visual design,e più in generale la progettazione dell’ambiente del negozio, fino alla stessa progettazione degli stabili in cui i negozi si trovano. Un indicatore indiretto della rilevanza del punto vendita nella determinazione del successo di un prodotto è dato dai costi sostenuti per l’impianto di un negozio di moda che sono generalmente superiori, spesso multipli rispetto a quelli di un negozio di altri settori.

A parità di superficie, inoltre le differenze dei canoni di locazione o della rendita immobiliare di un negozio in un normale centro commerciale e quelli di una prestigiosa boutique in Via Montenapoleone a Milano o in Via della Vigna Nuova a Firenze rientrano tra le funzioni moda; la localizzazione in determinate aree commerciali costituisce un forte strumento di comunicazione che mette i clienti in condizione di individuare alcuni punti di riferimento selettivi all’interno della grande mappa delle decine di migliaia di opzioni che hanno di fronte quando decidono di acquistare un nuovo vestito.

Fonte: Centro Einaudi-SISIM, 2001

Tabella 1 I costi di impianto e i tempi di rinnovo di alcuni format distributivi nei settori del sistema moda-accessori

Settore Target Periodo di rinnovo del

concept (anni)

Format distributivo

(mq di superf.)

Costo/mq ( milioni di lire

Abbigliam.esterno basso 5 120-200 0,8 - 1,2 Abbigliam. esterno medio 3 120-200 1,5 - 2,5 Abbigliam.esterno alto 3 120-200 7 e oltre

Abbigliamento medio 6-8 oltre 1.000 0,6 - 0,8 Articoli sportivi medio 3 400-800 1,5 - 2,0

Profumeria medio 5 100-200 2,0 - 3,0 Ottica medio 5 300-400 3,5 - 4,5

Calze/Costumi medio 4 40-60 1,0 - 1,2 Intimo medio 4 50-100 1,0 - 1,2

Gioielleria medio 5 60-100 (centro commerci.

3,0 - 4,0

Calzature medio 4 100-200 1,0 - 1,5

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2 OCCUPAZIONE AL FEMMINILE NELLE INDUSTRIE DELLA MODA:

2.1 Una panoramica dei dati statistici Nel 2002, incrociando i dati ISTAT della Rilevazione sulle forze di lavoro con quelli dei Conti economici nazionali (Tabella 2) si ottiene un totale di oltre 550 mila donne con loro unica o principale occupazione nei comparti “industriali” del sistema moda3 .

Si tratta quindi di una quota assai consistente, nonostante il ridimensionamento che ha interessato il settore, almeno in termini di occupazione industriale diretta. Nel complesso (donne e uomini) gli occupati sono diminuiti tra il 1993 ed il 2002 di 180 mila unità, un calo del 17% , concentrato soprattutto nelle Confezioni (-110 mila).

In proporzione, il calo dell’occupazione femminile (-18%) è molto vicino a quello medio. Il risultato è abbastanza notevole perché il settore con la più alta incidenza di occupazione femminile è proprio quello delle Confezioni, cioè il comparto che ha subito il ridimensionamento più rilevante. Ciò appare dovuto alla buona tenuta dell’occupazione femminile nel Tessile, che nonostante una flessione resta nel 2002 quasi esattamente sugli stessi livelli del 1993.

Tabella 2 Donne occupate nelle Industrie della moda. Dati in migliaia. Anni 1993, 1995, 2001 e 2002

1993 1995 2001 2002TESSILI 226 237 235 224CONFEZIONI 331 307 257 243CALZATURE, PELLI-CUOIO 123 118 101 95INDUSTRIE DELLA MODA 675 656 584 555

Fonte: elaborazione Hermes lab su dati ISTAT (Rilevazione sulle forze di lavoro e Conti economici nazionali) .

Il Tessile e, in misura ancora più marcata, le Confezioni di articoli di abbigliamento (Figura 1) sono gli unici settori manifatturieri in cui nel 2002 (ma si tratta di un dato stabile nel tempo) la quota di occupazione femminile) è maggiore di quella maschile (58% e 76% circa, rispettivamente). Il terzo comparto in questa speciale graduatoria è anch'esso interno alla parte industriale del sistema moda: si tratta di Calzature, pell-cuoio, dove la quota di occupazione femminile si attesta sul 47%.

Come si può vedere dalla figura in nessun altro comparto manifatturiero la percentuale di donne supera il 40%. Per i tre comparti delle Industrie della moda considerati nel loro insieme, la quota relativa dell’occupazione femminile supera il 60% e rappresenta oltre un terzo di tutta l'occupazione femminile del sistema manifatturiero.

3 I dati di base per genere sono stati estratti dal campione della Rilevazione sulle Forze di Lavoro (media annua) a cura del Servizio ISTAT che realizza l’indagine. Nell’insieme, i dati sull’occupazione de settore di tale fonte rappresentano una percentuale non inferiore al 90% della stima degli occupati di Contabilità nazionale.

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Figura 2 Quota percentuale di occupazione femminile nei settori dell’industria manifatturiera italiana. Anno 2002

% DI OCCUPAZIONE FEMMINILE. Anno 2002

75,6

57,4

47,0

37,5

34,7

34,7

33,2

31,4

31,4

29,9

28,9

28,6

27,9

26,2

25,3

19,0

18,6

18,1

17,7

15,9

15,8

14,3

13,2

0 10 20 30 40 50 60 70 80

CONFEZIONI

TESSILI

CALZATURE, PELLI-CUOIO

TABACCO

ALIMENTARI

EDITORIA E STAMPA

APP. MEDICALI E DI PRECISIONE

GOMMA E MATERIE PLASTICHE

APP. RADIOTV E PER LE COMUNIC.

MOBILI E ALTRE

M. PER UFFICIO, ELABORATORI

MACCHINE ED APP. ELETTRICI

CHIMICA E FIBRE

LAV. MINERALI NON METALL.

CARTA

PRODOTTI IN METALLO

MACCHINE ED APP. MECCANICI

AUTOVEICOLI

RICICLAGGIO

RAFFINAZIONE PETROLIO

ALTRI MEZZI DI TRASPORTO

METALLI E LORO LEGHE

INDUSTRIA DEL LEGNO

Fonte: elaborazione Hermes lab su dati della rilevazione ISTAT sulle forze di lavoro.

Come si può osservare nella Tabella 3 la percentuale di occupazione femminile nei comparti delle Industria della moda non varia di molto nel tempo. Nel Tessile, dove la variazione è più consistente il peso relativo dell’occupazione femminile è di 2,5 punti percentuali superiore nel 2002 rispetto al 1993; nello stesso intervallo di tempo la quota si riduce di poco più di un punto e dell’1,8, rispettivamente, nelle Confezioni ed in Calzature, pelli-cuoio.

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Tabella 3 Quota percentuale di occupazione femminile nei settori dell’industria manifatturiera italiana. Anni 1993, 1995, 2001 e 2002

1993 1995 2001 2002TESSILE 54,9 56,2 57,8 57,4 CONFEZIONI 76,8 77,1 75,7 75,6 CALZATURE, PELLI-CUOIO 48,8 49,5 47,7 47,0 INDUSTRIE DELLA MODA 61,6 62,1 61,0 60,6 TOTALE MANIFATTURIERE 29,8 30,3 30,7 30,4

Fonte: elaborazione Hermes lab su dati della rilevazione ISTAT sulle forze di lavoro.

La quota relativa di occupazione femminile (Tabella 4) nelle Industrie della moda è molto elevata specie fra i dipendenti, con una punta di oltre l’80% nelle Confezioni. Si tratta di un dato strutturale che riguarda tutti gli anni considerati. Tra i dipendenti, sono quelli a tempo determinato ad avere una più forte incidenza di lavoratrici, anche se solo nel Tessile, la caratterizzazione “femminile” del lavoro dipendente a tempo determinato si presenta molto netta. Una quota relativamente elevata di occupazione femminile nel tempo determinato caratterizza peraltro l’insieme della manifattura.

Tabella 4 Quota percentuale relativa di occupazione femminile per condizione professionale. Anni 1993 e 2002

INDIPENDENTI TOTALEA tempo

indeterminatoA tempo

determinatoTotale

dipendenti

TESSILE 42,3 59,3 68,4 59,8 57,4CONFEZIONI 55,1 81,0 83,1 81,1 75,6CALZATURE, PELLI-CUOIO 36,8 48,8 52,8 49,0 47,0INDUSTRIE DELLA MODA 46,1 63,2 69,5 63,6 60,6TOTALE MANIFATTURIERE 24,8 30,9 41,0 31,6 30,4

TESSILE 46,7 56,2 63,7 56,3 54,9CONFEZIONI 56,5 82,8 83,0 82,8 76,8CALZATURE, PELLI-CUOIO 37,1 51,6 63,1 51,9 48,8INDUSTRIE DELLA MODA 48,3 64,4 73,5 64,7 61,6TOTALE MANIFATTURIERE 25,1 30,5 40,5 30,9 29,8

DIPENDENTI

Anno 1993

Anno 2002

Fonte: elaborazione Hermes lab su dati dell’Indagine ISTAT sulle forze di lavoro.

Le donne delle Industrie della moda pesano relativamente molto anche nel lavoro indipendente: nella Manifattura per ogni lavoratrice indipendente vi sono 3 occupati indipendenti maschi; nelle Industria della moda il rapporto è molto più alto (9 a 10 nel

10

1993, 8 a 9 nel 2003). In termini relativi, tale quota resta comunque inferiore di 15-20 punti percentuali alla corrispondente quota calcolata per il lavoro dipendente. In altri termini, anche se il lavoro autonomo (e quindi, almeno in certa misura, la componente imprenditoriale) risente del maggiore “tasso di femminilità” del settore, la propensione al lavoro autonomo rimane più elevata per gli uomini che per le donne.

Nella successiva Tabella 5 riportiamo la composizione dell’occupazione per genere e condizione professionale (indipendenti, dipendenti a tempo indeterminato ed a tempo determinato). In tutti e tre i comparti delle Industrie della moda, nel 2002 come nel 1993 (ed anche nel 1995 e nel 20014), la componente di maggior peso relativo è quella dell’occupazione dipendente femminile a tempo indeterminato. Nel complesso delle Industrie della moda tale componente rappresenta stabilmente circa la metà dell’occupazione complessiva.

Sempre in tutti e tre i casi. (e per tutti gli anni considerati) l’incidenza del lavoro femminile dipendente a tempo determinato è superiore alla media manifatturiera. Nelle Confezioni, risulta particolarmente elevata la quota del lavoro indipendente femminile, che supera regolarmente quella del lavoro indipendente maschile.

Il lavoro a tempo determinato appare in crescita in tutti i comparti, sia nella componente maschile sia in quella femminile, seguendo lo stesso trend dell’industria manifatturiera. Invece, a differenza dalla media manifatturiera (dove rimane sostanzialmente stabile), si riduce in tutti i comparti il peso della componente del lavoro indipendente femminile. Anche il peso della componente del lavoro indipendente maschile si riduce nelle Industrie della moda, ma per effetto quasi esclusivamente di quanto accade per Calzature, pelli-cuoio.

4 Non riportati nella Tabella 5.

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Tabella 5 Composizione dell’occupazione per genere e condizione professionale. Anni 2002 e 1993

TOTALE

Uomini Donne Uomini Donne Uomini Donne

TESSILE 7,9 5,8 33,2 48,5 1,5 3,1 100,0 CONFEZIONI 9,6 11,7 14,1 60,1 0,8 3,7 100,0 CALZATURE, PELLI-CUOIO 10,6 6,1 40,4 38,5 2,1 2,3 100,0 INDUSTRIE DELLA MODA 9,0 7,7 29,0 49,8 1,4 3,1 100,0 TOTALE MANIFATTURIERE 13,0 4,3 53,4 23,9 3,2 2,2 100,0

TESSILE 7,8 6,8 36,6 46,9 0,7 1,2 100,0 CONFEZIONI 9,9 12,8 12,7 61,1 0,6 2,9 100,0 CALZATURE, PELLI-CUOIO 13,1 7,7 37,3 39,8 0,7 1,3 100,0 INDUSTRIE DELLA MODA 10,0 9,3 27,8 50,4 0,7 1,9 100,0 TOTALE MANIFATTURIERE 13,3 4,5 55,3 24,3 1,5 1,0 100,0

Anno 2002

Anno 1993

INDIPENDENTI DIPENDENTIA tempo

indeterminatoA tempo

determinato

Fonte: elaborazione Hermes lab su dati dell’Indagine ISTAT sulle forze di lavoro.

Tabella 6 Incidenza percentuale del tempo parziale per genere. Anni 1993, 1995, 2001 e 2002

1993 1995 2001 2002

TESSILE 7,1 8,4 12,3 12,8 CONFEZIONI 7,5 7,7 10,7 12,1 CALZATURE, PELLI-CUOIO 8,7 7,5 9,7 6,7 INDUSTRIE DELLA MODA 7,6 7,9 11,2 11,5 TOTALE MANIFATTURIERE 8,1 9,6 12,5 12,9

TESSILE 1,5 1,4 1,4 2,4 CONFEZIONI 2,0 1,7 3,0 3,4 CALZATURE, PELLI-CUOIO 1,1 1,7 1,6 2,3 INDUSTRIE DELLA MODA 1,5 1,6 1,8 2,5 TOTALE MANIFATTURIERE 1,3 1,5 1,6 1,9

Uomini

Donne

Fonte: elaborazione Hermes lab su dati dell’Indagine ISTAT sulle forze di lavoro.

L’incidenza dell’occupazione part-time è nelle Industrie della moda ben superiore al dato medio manifatturiero (nel 2002, 7,9% contro 5,2%; lo scarto risulta abbastanza stabile nel

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tempo). Anche osservando i dati distinti per genere (Tabella 6) si conferma con un’eccezione (l’occupazione femminile in Calzature, pelli-cuoio) per le Industrie della moda la stessa tendenza al crescente ricorso al part-time dell’industria manifatturiera. Sempre dall’esame dei dati della Tabella 6 risulta come tale maggior incidenza dipende in gran parte da un effetto di composizione, vale a dire dalla maggior presenza femminile nel settore. Le donne del sistema moda industriale presentano infatti una propensione al tempo parziale minore di quella media manifatturiera.

Una situazione opposta caratterizza invece l’occupazione maschile, dove, pur nel quadro di una diffusione del part-time piuttosto limitata, l’incidenza dello stesso è superiore alla media della Manifattura. Tale situazione, che fino al 2001 interessava soprattutto le Confezioni appare estendersi nel 2002 anche agli altri due comparti.

2.2 Le imprenditrici Sarebbe però fuorviante limitare l’osservazione ai tradizionali indicatori di composizione dei lavoratori dipendenti e indipendenti per genere. In questo settore si trova concentrata anche una forte componente dell’imprenditoria femminile.

In quali altri settori quando si parla dei grandi personaggi che hanno fondato e formato l’industria in Italia si citano imprenditrici con frequenza non troppo diversa da quella con cui si citano imprenditori maschi?

Le donne imprenditrici hanno avuto un ruolo importante sia nel prèt-à-porter che nell’alta moda, si pensi solo per citare le prime che vengono alla mente, nell’alta moda le sorelle Fontana, na vera e propria schiera nel prèt-à-porter u: da Luisa Spagnoli grande imprenditrice umbra, pioniera dell’integrazione tra industria e distribuzione, che ha fatto da incubatore per gran parte delle imprese di abbigliamento del centro Italia, a Olga Cisa Asinai, Silvana Spadafora, alle Fendi, a Laura Biagiotii, Alberta Ferretti che invece negli anni ’60 partendo dalla distribuzione approdò alla produzione manifatturiera, Giuliana Marchini Gerani, Wanda Milletti Ferragamo che assunse la gstione dell’azienda dopo la morte di Salvatore Ferragamo, guidando la diversificazione dell’azienda dagli accessori al prèt-à-porter, Mariuccia Mandelli, Donatella Girombelli, Anna Molinari, ecc.

L’elevata presenza femminile tra gli imprenditori della moda si riflette anche nelle statistiche.

Secondo i dati di Movimprese-Infocamere, l’insieme delle industrie della moda è l’unico settore in cui le imprenditrici (oltre 33.500, pari al 52%) sono più degli imprenditori. Nel tessile (che include una parte della maglieria e della calzetteria), le imprenditrici sfiorano il 60%, contro una media dell’industria manifatturiera del 23% (Tabella 7).

La differenza con gli altri settori manifatturieri è molto elevata. Si consideri che, nell’insieme del manifatturiero, moda esclusa la quota delle imprenditrici arriva solo al 16%. e che il primo settore per presenza femminile dopo la moda è quello della chimica e materie plastiche in cui la quota delle imprenditrici supera di poco il 30%.

Ma nemmeno nel settore del commercio e dei servizi si trovano quote così elevate di imprenditorialità femminile. I comparti che più si avvicinano sono quello del commercio al dettaglio (dove le imprenditrici pesano complessivamente per il 40%), gli alberghi e ristoranti (40%) e i servizi pubblici,sociali e personali diversi dall’istruzione e dalla sanità gli unici che che raggiungono (58%) i livelli dell’industria della moda.

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Tabella 7 . L’imprenditoria femminile: I titolari delle imprese iscritte al registro delle Camere di Commercio per genere. Settembre 2003

Settore Titolari donne Titolari maschi % titolari donne TESSILE 9 533 6 939 58%CONFEZIONI 19 520 14 467 57%CALZATURE, PELLI-CUOIO 4 516 9 610 32%TOTALE INDUSTRIE DELLA MODA 33 569 31 016 52%TOTALE MANIFATTURIERE 80 305 274 627 23%- Di cui: Legno (esclusi mobili) 2 479 35 860 6%Editoria e stampa 3 325 10 232 25%Chimica, gomma e plastica 1 815 3 919 32%Lavoraz.minerali non metallif. 3 371 11 822 22%Siderurgia 131 1 095 11%Lavorazione metalli 3 922 55 369 7%Meccanic 1 141 18 984 6%Elaboratori elettronici 171 1 135 13%Macchine elettriche 2 057 7 634 21%Telecomunicazioni. 501 3 907 11%Meccanica di precisione 1 208 16 758 7%Mezzi di trasporto 346 3 233 10%Altre 8 143 32 562 20%Fonte: elaborazione Hermes lab su dati Infocamere-Movimprese.

2.3 I riflessi sulle politiche La forte caratterizzazione femminile del settore ha fatto si che politiche per l’industria che siano rivolte specificamente all’occupazione o all’imprenditorialità femminile hanno un effetto maggiore nella moda che negli altri settori.

Questa forte presenza femminile ha avuto riflessi anche sulle formule di politica per il settore. Negli anni ’70, periodo in cui l’industria tessile italiana ha attraversato una decisiva fase di modernizzazione, la politica pubblica per il settore si è articolata in 3 aree di intervento: l’introduzione di un IVA ridotta per favorire i consumi, la difesa dalle importazioni con l’Accordo Multifibre e la riduzione dei costi con la fiscalizzazione degli oneri sociali per le lavoratrici, misura apparentemente generale, ma i cui effetti sul tessile erano di gran lunga maggiori che per le altre imprese. Ragione per cui la Corte di Giustizia Europea la bocciò.

Anche il sistema delle relazioni sindacali è stato fortemente influenzato dalla presenza femminile, che ha fatto di questo settore quello in cui si sono realizzate le maggiori sperimentazioni e innovazioni in tema di orari, e flessibilità del lavoro, part-time. Nel CCNL tessile, ad esempio lo strumento della banca delle ore è stato costruito più sul modello di quello prevalente nel settore bancario che in altri settori manifatturieri come il meccanico o il chimico, proprio per la caratterizzazione femminile del lavoro.

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3 IL LAVORO NEI SERVIZI DELLA MODA

3.1 Un primo tentativo di stima dell’ordine di grandezza dell’occupazione nei servizi per la moda

Benché abbia una grande rilevanza della generazione del valore dell’intero settore, il settore dei servizi per la moda è ancora in larga parte inesplorato dal punto di vista dei suoi contorni economici ed occupazionali. L’entità di questo mercato può solo essere stimata con larga approssimazione e solo per alcune figure che con più facilità sono catturate dall’incrocio delle diverse fonti di informazione esistenti, fonti che molto spesso non hanno natura di rilevazione statistica e quindi vanno utilizzate con molta cautela. Prima di poter dare una valutazione del peso delle donne in queste attività e’ quindi necessario avventurarsi nel difficile esercizio di stimare le dimensioni di questo mercato del lavoro. Un punto di partenza cruciale per ogni tentativo di stima almeno di un ordine di grandezza di questo fenomeno in Italia è la città di Milano in cui si concentra una parte molto consistente di questa attività in Italia oltre che l’attenzione di alcuni studi5 e di diverse inchieste giornalisticheche hanno prodotto un insieme non sistematico di dati.

Tabella 8 Le imprese della moda sistema moda operanti a Milano Tipo di Attività n.di imprese

SERVIZI SPECIALIZZATI NELLA MODA Trade della moda 867 -Showroom 758 -Boutique (negozi di stilisti e negozi di prestigio)(*) 109 Comunicazione 299 -Uffici PR e Stampa 55 -Agenzie di P.R. e agenzie di stampa 140 -Agenzie Modelle 78 -Location (spazi e locali per namifestazioni) 26 Servizi di consulenza 145 -Consulting 72 -Altri servizi 73 Associazioni e organizzazioni di rappresentanza sindacale 29 Totale 1.499

SERVIZI GENERALI CON FORTE PRESENZA DELLA MODA Pubblicità 2.128 Designers e stilisti (moda arredamento oreficeria e altri beni personali) (**) 568 Studi fotografici 656 TOTALE SPECIALIZZATI E GENERICI 4.283 (*) fonte Camera Nazionale della Moda Italiana, secondo la rivista Fashionil n. È più elevato(254) (**) fonte Censimento intermedio 1996 Fonte: adattato ed ampliato, da: Bolocan Goldstein, M. e Caprarella (2003) 5 Si vedano ad esempio: Hermes Lab (2001), Pasqui, G. E Bolocan Goldstein (2003); Bolocan Goldstein M.Caprarella L. (2003); Provincia di Milano (2002).

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Tradurre questi dati in cifre sull’occupazione è molto complesso e richiederebbe una estesa ricerca sul campo, ancor più complesso è estenderli a tutto il territorio nazionale. Gli osservatori concordano sul fatto che la gran parte dell’occupazione nei servizi della moda è costituita da lavoratori indipendenti che spesso svolge attività non a tempo pieno o con forte stagionalità. A ciò si aggiunge, almeno secondo l’opinione di alcuni osservatori l’elevata presenza di lavoratori stranieri. Nel caso forse più estremo, quello delle modelle e modelli, secondo gli osservatori del settore, negli ultimi anni per gli italiani si è inasprita la concorrenza straniera. Nelle ultime collezioni 2003 donna il 90% delle modelle era di nazionalità estera, l’80% per quanto riguarda le collezioni maschili.

I pochi dati disponibili su scala nazionale riguardano alcune specifiche professioni e sono ad un livello di disaggregazione insufficiente a separare con precisione il settore della moda. Sono tuttavia utili a fornire indicazioni sull’ordine di grandezza del fenomeno.

Al Censimento Industria, Commercio e Servizi, in Italia si sono dichiarati come operanti nel campo del design e dello styling di prodotti tessili, abbigliamento, calzature, gioielli e mobili 4.430 imprese che complessivamente occupano 8.278 addetti. Di questi il 65.7% svolge una attività lavorativa indipendente.

Come era lecito attendersi, la dimensione media delle imprese è dunque molto bassa, inferiore ai 2 addetti. Delle 4.430 imprese italiane 3.304 sono formate da una sola persona, solo 6 hanno più di 50 addetti (di cui 5 si trovano a Milano) e 78 hanno più 10 addetti (di cui 13 a Milano).

Anche per le PR, una professione dalla elevata connotazione femminile, una precisa definizione del numero di quanti operano nel campo della moda è estremamente difficoltosa, essendo svolta principalmente da professionisti ed operatori indipendenti, con pochi addetti che operano in agenzie pubbliche a servizio completo.

I dati del censimento ci forniscono qualche indicazione sul numero dei PR indipendentemente dal settore in cui operano. Si tratta cioè di una platea ben più vasta di quella attiva nel solo sistema moda. In Italia sono stati censiti 5991 PR, di questi il 38% opera in Lombardia e il 28%, pari a 1.710 addetti nella città di Milano. La seconda regione per numerosità di PR è il Lazio con 691 addetti, regione in cui si deve supporre che una quota particolarmente elevata operi nel campo dei rapporti con le istituzioni dello Stato.

Un’altra fonte di informazione che offre uno scorcio utile anche se ancora una volta non centrato unicamente sul sistema moda é l’Inps che pubblica i dati dei collaboratori e dei lavoratori parasubordinati, che per la categoria Moda, Sport e Spettacolo sono circa 21.500, di cui oltre 11.000 donne. Poco più di 4.000 hanno meno di 24 anni di cui 2.600 sono donne.

Nessuna informazione ufficiale è invece disponibile sulla ricaduta occupazionale delle attività fieristiche e delle sfilate, a partire dal luccicante ma poco misurato mondo delle modelle. Le attività fieristiche più importanti si concentrano in quattro città. Al primo e secondo posto,come numero di fiere oltre che per importanza delle singole fiere ospitate si trovano Milano e Firenze, seguite da Bologna e Fiernze.

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Tabella 9

Per quanto riguarda le sfilate, solo a Milano Collezioni Donna oltre 300 designer o organizzano eventi di presentazione per circa 30.000 buyer internazionali5 e in città trova sede un elevatissimo numero di show room. Le sfilate vere e proprie sono circa 90. Allestire una sfilata comporta un investimento di almeno 250-300 mila euro. Per ogni sfilata occorrono da 15 a 30 modelle, ma dietro ognuna di loro c’è una squadra di musicisti, registi, addetti alle luci, truccatori, trasportatori, parrucchieri. Centinaia di persone per centinaia di eventi nella sola settimana milanese, migliaia nel corso dell’anno.

Un dato che si incontra costantemente nei vari e disomogenei insiemi di dati, nonché nell'opinione degli osservatori e degli esperti è quello della prevalenza delle donne sugli uomini in gran parte di queste professioni e sttiviltà lavorative.

In via del tutto esplorativa, combinando informazioni giornalistiche, elenchi delle associazioni, i dati disponibili dei censimenti, i dati forniti dall’INPS sui lavoratori parasubordinati si può stimare che la quota delle donne oscilli tra il 60% e il 65% del totale. Con una prevalenza delle classi di età fino a 24 anni.

Combinando questi dati si arriva ad una stima di un ordine di grandezza di 10mila per il numero di donne coinvolte, non necessariamente a tempo pieno o prevalente nelle attività dei servizi per la moda.

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Una cifra consistente anche se di molto inferiore a quella rappresentata dalle donne che lavorano nei negozi specializzati in prodotti della moda che toccano le 120mila unità.

Del numero di lavoratrici nei servizi per la moda tra la metà e i due terzi (da 5.000 a 7.000 addetti) si concentra a Milano e un ulteriore 10% in altre aree della Lombardia (a Como6 e Vigevano7 ad esempio si concentra un significativo numero di designer e stilisti). Si può con approssimazione stimare che Firenze rappresenti circa 1/6 della cifra milanese, mentre la posizione di Roma (la terza città della moda in Itala) è più difficilmente stimabile.

3.2 Alcuni profili dei lavori nei servizi per la moda Un esempio, anche se estremo, del carattere multiforme e poco classificabile delle professioni della moda viene da un articolo pubblicato su una rivista femminile di grande diffusione: “Sono imprevisti e sorprendenti i lavori della moda: nascono da un’idea originale, risolvono emergenze che sembrerebbero senza soluzione, rispondono a quel desiderio di qualità sempre più alta che è diventato una specie di magnifica ossessione.”8

• un collezionista di abiti d’epoca che ha raccolto 20.000 capi scrupolosamente catalogati e che fungono da banca dati dello stile e del costume per stilisti, creativi, produttori di videoclip, immagini, pubblicazioni ecc;

• un esperto di locations che ha raccolto un’altra ricchissima banca dati, questa volta di case, giardini, luoghi carichi di atmosfera, ma che è anche in grado, attraverso una rete di tour operators, di organizzare il trasferimento sul posto delle troupes cinematografiche o dei fotografi e di concordare con i proprietari delle aree i prezzi per la cessione dei diretti di immagine e di vagliare con le agenzie di pubblicità il costo opportunità di ogni location;

• un artigiano in grado di realizzare pezzi unici di oggetti da utilizzare nelle sfilate (stetson di plexiglass, manichini, corsetti in metallo, parrucche-scultura);

• la curatrice dello House Organ (uno strumento di comunicazione che ha ormai raggiunto una notevole diffusione) di una delle più importanti maison dello stilismo italiano,.

I quattro “nuovi professionisti della moda” intervistati dall’autrice dell’articolo citato sono sopra le righe: creativi, eccentrici e, tuttavia, sono un esempio dei nuovi lavori della moda, spesso precari e legati a professionalità meno estreme: dall’indotto delle sfilate, a quello del turismo straniero dello shopping nelle vie dalla moda milanese o presso gli spacci delle grandi marche.

6 Hermes lab, La lombardia e la filiera tessile abbigliamento di qualità, Vol.I, dattiloscritto, studio svolto pe Associazione Matrice Tessile, Regione Lombardia, Unioncamere Lombardia (1999)

7 Diomedea, “il Futuro del distretto stilistico-calzaturiero di Vigevano”, 2001

8 Giusi Ferré, Le nuove professioni della moda, Elle, 1999

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I filoni di attività che potremmo definire emergenti9 sono:

• l’area della ricerca, con l’elaborazione di concetti, di tendenze e stili. Tra questi: il cool hunter, ovvero il ricercatore di tendenza che opera per uffici stile, società di consulenza, divisioni marketing di grandi aziende e svolge una attivitò di monitoraggio delle tendenze emergenti nelle città di tutto il mondo per quanto riguarda moda, stile e fenomeni culturali; i concepts lab, studi e società di ricerca che individuano e sintetizzano secondo modelli interpretativi, immagini, modelli concettuale le tendenze dei guisti, dei comportamente e della ciltura dei consumatori.

• l’area dell’immagine, e promozione dalla realizzazione di una vetrina all’allestimento di un evento. Tra questi visual merchandiser, e lo store designer il cui compito e di progettare e realizzare le vetrine e l’ambiente interno dei negozi;

Tra le attività con una forte connotazione stagionale ci sono quelle legate alle manifestazioni della moda (fiere e sfilate) come il driver che accompagna modelle, buyers e visitatori durante la settimana delle sfilate o le vestieriste, ovvero quelle persone che, durante la sfilata, fra un’uscita e l’altra porgono i capi di abbigliamento alle modelle o ai modelli, per sveltirne la vestizione e posizionare gli accessori. In gran parte tali professioni richiamano studenti, naturalmente di bella presenza, e sono molto connotate a livello di genere: mentre il driver è professione prettamente maschile, la vestierista, avendo a che fare con le nudità, soprattutto delle modelle, è esclusivamente femminile. La gamma delle professioni che rispetto a quelle citate sono stabilmente codificate e hanno generato anche la costituzione di associazioni e organismi sindacali è pero ampia.

Tra le più importanti vi sono lo stilista/designer, il fashion editor e ovviamente la modella.

• Designers e stilisti Nell’immaginario collettivo lo (o la) stilista incarna al massimo grado il mondo della moda. Nella realtà, il ruolo dello stilista richiede una forte interazione con altre professioni determinanti per la riuscita del prodotto. La definizione di stilista copre una vasta gamma di attività e posizioni sul mercato può operare come freelance, all’interno di un impresa manifatturiera o in una società di consulenza.

• Stylist/Fashion editor . Una delle figure a più alta crescita negli ultimi anni. Combina il ruolo redattore di moda, che organizza, pianifica e realizza con un team di altri professionisti gli editoriali e i servizi fotografici che andranno pubblicati nella rivista per cui lavora. Si occupa quindi della scelta del tema e della location, della selezione dei capi e dei loro abbinamenti, nonché di formare – in stretta collaborazione con il fotografo – l’équipe che lavorerà al servizio, composta generalmente da una/o o più modelle/i, da un truccatore e parrucchiere, dall’assistente del fotografo e da qualche altra figura

9 Il profilo delle professioni emergenti è in parte rilevante ricavato da: Grana M. E Ottaviano C., Professioni della moda e percordi formativi, Etas 2002; Balestri A. E Picchio N., Lavorare nella Moda, Edizioni Il sole 24 ore, 2000; De Benedittis M. Creare, produrre e comunicare: le mille professioni della moda, in Provincia di Milano 2002

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addetta soprattutto al reperimento degli accessori per la location. Infine stende materialmente il servizio, che consiste in sostanza di una serie di fotografie accompagnate da veloci didascalie. In misura crescente, lo stylist ha finito per affiancare lo stilista in occasione delle sfilate o di altri eventi di presentazione delle collezioni, curando l'immagine della collezione, abbinando i capi di abbigliamento e completandoli con particolari e accessori.

• P.R. e agenzie di comunicazione.

• Le modelle e le Agenzie. L’ambito delle sfilate e della pubblicità è uno

dei più appariscenti dell’intera filiera della moda, ma se modelle e modelli sono la punta visibile dell’iceberg, attorno a loro ruotano una serie di professioni indispensabili, prime fra tutte quella del booker e quella del casting director. Il booker è i l’agente delle modelle e dei modelli: lavora all’interno di un’agenzia, ma ha un ruolo che va oltre la semplice funzione di intermediazione fra cliente e rappresentato, segue la carriera dei modelli dalla costruzione del primo book di fotografie alle sfilate più prestigiose. Il booker è praticamente il “tutore” di un modello o di una modella. Il casting director è una figura di intermediazione fra il cliente e l’agenzia di modelle il cui ruolo è di selezionare il volto o fisico adatto al progetto comunicativo del cliente. Le modelle e i modelli sono il prodotto di questo processo produttivo, hanno il compito di valorizzare con il loro portamento, le loro espressioni e i loro gesti i capi di abbigliamento e gli accessori di una collezione, durante sfilate, servizi fotografici destinati a produrre cataloghi per le aziende o redazionali per le riviste di moda, campagne pubblicitarie o presentazioni negli showroom . Generalmente i modelli sono liberi professionisti rappresentati da una sola agenzia, che trattiene una percentuale sui compensi che il professionista riesce a ottenere in un ingaggio.

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4 LE ASPETTATIVE DELLE DONNE LAUREATE VERSO IL LAVORO NELLA MODA

Una recente ricerca realizzata dalla Camera nazionale della Moda e da Women&Fashion ha indagato le aspettative che giovani donne (laureate) aspiranti ad accedere al settore moda hanno nei confronti del lavoro nel settore delle moda.

I risultati dell’indagine mostrano che le attese sono molto elevate. Con aspettative di un lavoro creativo, gratificante e anche strumento di crescita.

Richieste di indicare quali siano gli elementi caratterizzanti il lavoro nel mondo della moda l’assoluta prevalenza delle opinioni è andata all’elemento “creatività “ segnalato da oltre il 90% delle intervistate

Oltre il 40% segnala tre risposte creatività, senso estetico e flessibilità.

A fronte di queste aspettative elevate, le intervistate sono però convinte della mancanza di corrispondenza tra la propria formazione e le possibilità lavorative. L’opinione comune delle giovani intervistate è quindi che la formazione scolastica non basti, e occorra del valore aggiunto individuale.

Coerentemente con le aspettative espresse, l’opinione delle intervistate è che le competenze necessarie per lavorare nella moda siano nella sfera della creatività della capacità di comunicazione del sapere lavorare in gruppo del senso estetico. O meglio sia necessaria una combinazione di queste capacità.

Il quadro che ne emerge è quindi focalizzato decisamente sul lato “abilità” rispetto al lato “competenze”.

Infatti, specializzazione, conoscenza del mondo del lavoro, conoscenze informatiche e linguistiche, pur raccogliendo il 30% delle segnalazioni risultano in qualche misura non un aspetto caratterizzante ma un accessorio rispetto all’importanza della richiesta di abilità. Da segnalare in particolare che nessuna ha segnalato come competenza necessaria quella che si matura come “conoscenza del mondo del lavoro”.

Sul fronte dei comportamenti che il lavorare nel modo della moda richiede, flessibilità, adattamento, disinvoltura, impegno sono risultati i più segnalati. Seguono alcuni aspetti tra i più comuni tra quelli che disegnano l’immaginario del mondo della moda: ambizione, la capacità di decisione e la grinta.

Quali siano i fattori positivi (i vantaggi) del lavoro nella moda rispetto ad altri è illustrato dalla Tabella 10, che mostra come l’aspetto più valutato è lo sviluppo del sistema di relazioni e delle competenze, seguito dall’apertura cultural.

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Tabella 10 I vantaggi del lavoro nel mondo della moda?

stimolo allo sviluppo di conoscenze e competenze 20% mobilità geografica e apertura culturale 19%

possibilità di trovare un lavoro interessante 17% sviluppo dell'iniziativa personale 13%

maggiore compatibilità tra interessi personali e lavoro 12% stimolo al cambiamento personale e professionale 11%

pari opportunità tra donne e uomini 6% opportunità di entrare a fare parte di un mondo elitario 3%

nessuno 0% Totale 100%

Fonte: CNMI- Women&Fashion

Tabella 11 Gli svantaggi del lavoro nel mondo della moda?

Difficoltà d'accesso 41% competitività eccessiva 17%

Richiesta di competenze non chiaramente definite 12% esclusione per mancanza prerequisiti 9%

stress, ansia 7% poche tutele 4%

poco spazio per affetti e famiglia 4% troppa specializzazione 3% necessità di spostarsi 2%

Nessuno 0% Totale 100%

Fonte: CNMI- Women&Fashion La quasi totalità delle intervistate, oltre il 90% ha indicato la difficoltà di accesso quale svantaggio principale. Un altro dato significativo è rappresentato dalla segnalazione contemporanea di difficoltà d’accesso/competitività eccessiva che è stata segnalata dal 40% delle intervistate e difficoltà d’accesso/ richieste di competenze non definite segnalata dal 25%.

Ma qual’è l’effettiva consapevolezza di quali siano I lavori della moda dei contenuti delle professioni della moda ? Alle intervistate veniva chiesto di indicare le figure professionali conosciute nel settore della moda. Primo dato interessante che il 40% non ha segnalato nessuna figura, il restante 60% ha segnalate quelle riportate nella Tabella 12.

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Tabella 12 . La conoscenza delle professioni della moda, numero di risposte AREA PROGETTAZIONE fotografo 1 Make up artist 1 manager designer 1 modelle 1 stilista 24 truccatore 1 visagista 1 figurinista 2 grafico 3 vetrinista 3 responsabile ricerca 1 responsabile accessori 2 scenografo 1 designer 3 grafici 1 totale 46 AREA MARKETING E COMUNICAZIONE addetti al marketing 9 agenzia modelle 3 addetto pubbliche relazioni 8 brand manager 3 gestore organizzazione sfilate 4 Public relations manager 8 responsabile comunicaz 6 resp ufficio stampa 4 art director 4 totale 45 AREA COMERCIALIZZAZIONE buyer 7 direttore punto vendite 1 visual merchandiser 5 responsabile acquisti 1 sales manager 2 responsabile commerc 2 standista 1 commessa 1 venditore 3 totale 23 AREA PRODUZIONE account 1 costumiste 2 modellista 7 parrucchiere 1 product manager 3 ricamatore 1 sarto 6 watcher 1 totale 22

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5 SPECIALIZZAZIONE E STRATEGIE IN UN MERCATO AL FEMMINILE

La distinzione maschile/femminile (o uomo/donna) ha dato forma e regola l’attività dei settori che producono beni di consumo per la persona: l’abbigliamento, le calzature, la pelletteria, la bigiotteria, la cosmesi. E’ una dicotomia che permea il modo in cui sono organizzati i processi produttivi; condiziona le politiche aziendali; contraddistingue i linguaggi della pubblicità; definisce numerosi profili professionali, vecchi e nuovi. Ed è alla base del modo stesso in cui le loro produzioni si presentano sui mercati.

In tutti questi settori, la difformità di genere ha dimostrato una capacità di resistenza, se non una impermeabilità, alle grandi correnti di fondo che stanno spingendo la nostra società verso la parificazione tra i sessi: la deriva dell’informalità, la globalizzazione, l’omologazione delle reti distributive, l’impennata dei fatturati negli asettici bazar virtuali, la costante avanzata di marchi costruiti a tavolino; correnti che confinano in secondo piano immagini costruite pazientemente sulla manualità, saperi pratici e relazioni commerciali coltivate in lunghi decenni di attività.

Se il processo produttivo pende più dal lato femminile che maschile, anche il mercato presenta una forte caratterizzazione di genere.

Quantitativamente, il mercato della moda continua ad essere soprattutto femminile. Negli Stati Uniti, dei 238 miliardi di dollari spesi annualmente dalle famiglie americane in abbigliamento ed accessori, solo il 35,7% (pari alla in ogni caso ragguardevole cifra di 85 miliardi di US$) riguarda prodotti per il mercato maschile.Solo di poco superiore a quella americana, 38%, pari a 2.000 miliardi di Yen, ma solo per ragioni di definizione statistica (i dati giapponesi escludono le calze e l’underwear, dove maggiore è il peso dell’abbigliamento femminile) è la quota dell’abbigliamento maschile nella spesa delle famiglie giapponesi.

Anche in Italia, se si considerano le tipologie di prodotto esplicitamente riferibili al consumatore maschile e femminile (escludendo cioè i prodotti unisex, come ad esempio i jeans o le sneakers) la quota della spesa in abbigliamento femminile (62%) è superiore a quella in abbigliamento maschile (38%).

La prevalenza del mercato femminile ha riflessi che vanno molto al di la della distinzione merceologica o sociologica, influenza l’intero sistema produttivo, l’organizzazione delle imprese e le potenzialità di sviluppo e di localizzazione geografica della produzione.

Il fatto di appartenere a (o di produrre per) questa o quella metà del mercato condiziona la attività economiche e i sentieri di sviluppo delle imprese oltre che le scelte professionali dei lavoratori del settore.

Femminile e maschile (mercato uomo e mercato donna) hanno rappresentato un solido sistema di coordinate che definisce due emisferi diversi per tempi e modi delle fasi di creazione e progettazione del prodotto, per processo produttivo, per caratteristiche chiave che definiscono la qualità del prodotto e rendono quel particolare abito capace di soddisfare bisogni, desideri e sogni del consumatore.

Alla radice della dicotomia tra industria dell’abbigliamento maschile e femminile vi sono elementi che possono essere ben esemplificati dai diversi comportamenti dei consumatori nell’atto dell’acquisto.

Se consideriamo il più maschile dei prodotti del vestiario:l’abito o il completo giacca-pantaloni al momento dell’acquisto il consumatore guarda principalmente (solo pochi

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anni fa esclusivamente) alla vestibilità: In seguito vengono valutati la qualità del tessuto (leggerezza, morbidezza) e quella della confezione (accuratezza delle cuciture, della costruzione del capo, l’esattezza geometrica degli accostamenti dei quadri o delle righe del tessuto). Le scelte relative al modello, al colore del tessuto, agli accessori riguardano soltanto varianti minime e sono spesso suggerite o guidate dal negoziante.

Il quadro cambia in modo significativo quando si considera la scelta di un capo di vestiario femminile. La prima valutazione riguarda l’insieme delle caratteristiche visive del prodotto, modello, colore, tessuto o combinazione di tessuti, la scelta è fatta in relazione all’abbinamento con diversi accessori. In secondo piano passano la vestibilità, la qualità delle finiture, l’accuratezza della taglia, non è un caso se il numero di taglie nell’abbigliamento femminile tipicamente non supera le 3-6 e spesso ciascun produttore presenta una sua propria interpretazione della taglia, inoltre, praticamente, non esistono differenze per le stature.

Nell’abbigliamento femminile l’offerta è molto più differenziata che in quello maschile, il contenuto moda è l’elemento fondamentale, che condiziona molto più che nell’abbigliamento maschile il processo di progettazione.

L’attività di progettazione di una nuova linea di abbigliamento maschile si impernia sulle sottili variazioni da apportare alla figura per soddisfare le tendenze della stagione successiva, un allungamento o accorciamento della giacca o dei risvolti, una maggiore o minore imbottitura delle spalle, lo spostamento verso l’alto o verso il basso dei bottoni ecc.

Dopo che le variazioni della figura sono decise comincia il lavoro di selezione dell’assortimento di tessuti, che in genere è molto ampio. Vengono prodotti quindi alcuni prototipi nelle principali varianti di tessuto da inserire nei campionari, mentre per la maggior parte delle varianti di tessuto viene predisposta solo una pezza da mostrare ai compratori (o grazie al CAD vengono elaborate immagini del capo con le diverse varianti).

Diverso è l’approccio per la progettazione dell’abbigliamento femminile, dove il product manager responsabile dello sviluppo della linea lavora all’orientamento generale dello stile e dei temi nella stagione successiva: colori , filati, tessuti, modelli, accessori vengono sviluppati con un approccio unitario. Le varianti di tessuto per modello spesso si limitano al colore e sono in ogni caso in numero ridotto, mentre cresce la numerosità dei modelli. Il rischio di insuccesso di un capo aumenta con l’ampliarsi dei campionari.

Anche il processo produttivo risente di queste differenze. Nell’abbigliamento femminile il ciclo di produzione è meno lungo e complesso, di quello dell’abbigliamento maschile, ma la frequenza delle collezioni annue che ogni impresa presenta è di molto superiore così come molto superiore è l’esigenza di flessibilità a cui le imprese fanno fronte con un ricorso al decentramento produttivo e al terzismo di molto superiore.

Mentre il settore dell’abbigliamento maschile è dominato da relativamente poche grandi imprese, quello femminile è molto frammentato, caratterizzato dalla presenza di molte imprese piccole, agili e flessibili e presenta una maggiore turnover di marchi ed etichette.

Sono le imprese in cui la ricerca di nuove soluzioni organizzative e di integrazione con le attività di comunicazione e trade sono più intense. In sintesi, è nelle imprese dell’abbigliamento femminile che si realizza in modo più compiuto quella fusione di elementi materiali ed immateriali che caratterizza il sistema moda.

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Ci sono tutti gli ingredienti necessari perché le imprese, i modelli organizzativi, la struttura dell’industria stessa prendano strade diverse fino a coinvolgere, come si vedrà le scelte localizzative, tra Paesi e addirittura tra diverse regioni in uno stesso contesto economico e sociale.

Riguardo a quest’ultimo punto, è sorprendente per la sua rilevanza è la specializzazione per genere della geografia della produzione che presenta una forte caratterizzazione anche all’interno di singoli Paesi, tra aree omogenee dal punto di vista dei fondamentali economici. L’industria tessile abbigliamento italiana, che, come è noto, si concentra sul territorio in una serie di centri che in alcuni casi si sono specializzati nella produzione di capi per la donna e in altri per l’uomo. Questa dicotomia si estende anche al tessile (produzione di semilavorati), un esempio particolarmente evidente quello dei due principali distretti italiani del tessile laniero, Prato e Biella, il primo specializzato nelle lanerie, per abbigliamento femminile, la seconda nelle drapperie, per abbigliamento maschile.

Anche la tendenze alla globalizzazione delle filiere produttive è avanzata con velocità diverse, più rapidamente nell’abbigliamento maschile che in quello femminile.

Se si misura la specializzazione dei 10 Paesi che si trovano ai vertici della classifica dei maggiori esportatori mondiali di vestiario nell’esportare abbigliamento maschile o femminile (Figura 3) si ottiene una interessante risultato: l’Europa domina la pattuglia degli specializzati in abbigliamento femminile, con una graduatoria che va dalla Francia all’Italia passando per Regno Unito e Germania, quasi a ripercorrere le tappe della storia del prèt-à-porter.

L’appartenenza a questo gruppo di Turchia e Corea merita qualche riflessione supplementare. La Turchia, oltre ad essere una importante “appendice” dell’industria tessile tedesca, oscilla da quasi un secolo tra l’essere, culturalmente, politicamente ed economicamente, la frontiera dell’Europa verso l’Asia e l’essere la frontiere dell’Asia verso l’Europa. La Corea, d’altro canto, indubbiamente asiatica, è il più avanzato economicamente tra i Paesi di Nuova Industrializzazione di quel continente, con livelli di reddito pro capite e salari che prima del crack finanziario del 1997 erano in ritardo rispetto a quelli europei solo di una decina d’anni.

Tra gli specializzati nell’uomo troviamo i Paesi a basso costo che negli ultimi 20 anni hanno realizzato le politiche di penetrazione delle esportazioni più aggressive: Cina, Thailandia e Indonesia, nonché, sorpresa !, gli Stati Uniti che, anzi risultano essere i più specializzati nell’uomo. Ma cosa unisce le fabbriche tessili dell’Alabama, del South Carolina e della California con quelle del Guandong in Cina, di Sampran in Tailandia o Bandung in Indonesia?

Più di quanto si pensi: negli USA come in Cina, Tailandia ed Indonesia le imprese sono prevalentemente di grande e grandissima dimensione. L’industria americana ha programmaticamente scelto di rinunciare alle produzioni in serie produttive piccole, imprevedibili ed a forte contenuto moda (un perfetto identikit dell’abbigliamento femminile), produzioni che ha quasi interamente delocalizzato presso le imprese maquilladoras del centro-america e dei Paesi NAFTA. Ha cioè puntato sulle produzioni per le quali la standardizzazione e i grandissimi numeri, in imprese organizzate in modo molto efficiente, permettono di contenere i costi (grazie a ciò che gli economisti chiamano economie di scala e di esperienza) e competere con i grandi produttori asiatici. Tutto il contrario di quanto ha fatto la maggior parte delle imprese del sistema moda italiano, dove, non solo la struttura produttiva è particolarmente adatta all’abbigliamento

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femminile, ma in generale anche nell’abbigliamento maschile vengono esaltati i fattori propri della piccola impresa, qualità sartoriale, specializzazione di nicchia ecc.

Figura 3 . La specializzazione internazionale per genere

KOREA

FRANCE

INDONESIA

UK

THAILAND

USA

TURKEYGERMANY

ITALY

CHINA

SPECIALIZZAZIONE

UOMO

DONNA

VALORE COMPLESSIVO DELL'EXPORTMINORE MAGGIORE

LA SPECIALIZZAZIONE UOMO/DONNA

DEI PRIMI 10 ESPORTATORI MONDIALI

DI VESTIARIO

SCALA LOGARITMICA

Fonte: elaborazioni Hermes lab su dati ONU-COMTRADE

Questi dati suggeriscono che si possono ricondurre, a grandi linee, a una distinzione dei mercati per genere anche alcune grandi scelte strategiche dei sistemi produttivi nazionali:

• il modello americano, delle grandi corporations, secondo il quale l’abbigliamento femminile e in ogni caso quello ad elevata variabilità, realizzato in piccola serie prende la strada dei paesi a basso costo mentre quello in grande serie, prevalentemente maschile ha maggiori chances di restare nei paesi ad elevato costo de lavoro;

• il modello europeo, interpretato soprattutto dal Made in Italy, secondo il quale a maggiore variabilità, imprevedibilità e contenuto moda corrisponde una maggior capacità competitiva e che si basa sulla coesistenza e sinergia di grandi imprese e sistema dei distretti industriali.