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Capitolo V

Cosmologia

La cosmologia era un tempo una dottrina filosofica e teologica, oggi è a pie-no titolo una specialità scientifica. Questa ha prodotto un modello standard diUniverso1, chiamato ΛCDM (dove Λ indica una costante cosmologica e CDMuna componente di materia oscura fredda), che verrà presentato in questo e nelsuccessivo capitolo; questo modello riproduce bene tutte le evidenze osserva-tive su grande scala, al costo di richiedere l’introduzione di un settore oscuro, edi sollevare diversi problemi fondamentali. La cosmologia infatti pone ancorauna volta problemi nuovi, non solo dal punto di vista osservativo e strumentale,ma anche epistemologico. Dal punto di vista osservativo, gli sforzi formidabiliper osservare oggetti sempre più deboli e lontani, sfruttando tutte le lunghezzed’onda disponibili della radiazione elettromagnetica e gravitazionale, stannodando risultati entusiasmanti. Oggi riusciamo ad osservare galassie e quasarfino a distanze corrispondenti a tempi in cui l’età dell’Universo era il ∼5 %dell’età attuale, mentre il fondo cosmico nelle microonde ci permette di osser-vare l’Universo appena ∼380,000 anni dopo il big bang. Queste osservazionipermettono di vincolare in modomolto preciso i parametri del modello; si parlaoramai di cosmologia di precisione.Dal punto di vista epistemologico, la cosmologia presenta delle interessan-

tissime peculiarità. In astrofisica l’impossibilità di fare esperimenti con le stelleo con le galassie è compensata dall’abbondanza di oggetti osservabili, che inqualchemodo possono essere considerati realizzazioni dello stesso sistema fisi-co in condizioni ed età diverse. L’Universo invece è per definizione un eventounico, osservabile da una sola posizione (che assumiamo essere non privile-giata); possiamo osservarne direttamente l’evoluzione nel tempo, ma con l’e-sclusione dei primi ∼380,000 anni, che sono per molti versi i più interessanti.

1Analogamente a quanto si fa con la Via Lattea, si usa chiamare Universo, maiuscolo, quello incui viviamo, riservando la dizione di universo, minuscolo, a generici modelli.

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192 Introduzione all’Astrofisica

Per questo motivo, alcuni aspetti teorici della cosmologia si ritrovano al limitetra teoria scientifica e speculazione, in quanto sono impossibili da verificareosservativamente. Inoltre, forse nessuna scienza come la cosmologia per esse-re compresa richiede il contributo di tantissime evidenze indipendenti, che dasole possono risultare poco convincenti ma combinate con le altre produconoargomenti forti.Dato che la luce ha una velocità finita, le galassie o i quasar vengono vi-

sti da noi non al tempo attuale ma al tempo di emissione della luce. Andandosempre più lontano potremmo spingerci ad osservare le primissime fasi del-l’Universo, immediatamente successive al big bang. Per questo, anche se ilnostro Universo fosse infinito, ne possiamo osservare solo una porzione limi-tata, corrispondente alla distanza che la luce ha percorso dalle primissime fasidell’Universo fino ad adesso. In altre parole, le nostre osservazioni sono limita-te da un orizzonte cosmologico (o orizzonte delle particelle): due zone diversedel nostro Universo che distano più dell’orizzonte non possono essersi ancorascambiate nessun tipo di informazione, perché non ce n’è stato il tempo. Di fat-to, sfruttando la radiazione elettromagnetica non possiamo spingere le nostreosservazioni oltre il fondo cosmico nelle microonde, poiché fino a ∼380,000yr dopo il big bang l’Universo è molto denso e completamente ionizzato e,analogamente all’interno delle stelle, opaco alla radiazione. Questo definisceil nostro orizzonte visibile.

5.1 La scala delle distanze cosmiche e la legge di Hubble-Lemaitre

Abbiamo già visto come le distanze degli oggetti astrofisici siano determinateattraverso una serie di indicatori di distanza organizzati in una scala di calibra-zioni. Le stelle variabili, soprattutto le Cefeidi, sono il gradino della scala chepermette di andare oltre la Galassia. Grazie alle Cefeidi riusciamo a stimare ladistanza delle galassie più vicine, fino a qualche decina di Mpc. Questi indica-tori, calibrati all’interno della Galassia o delle galassie vicinissime (per le qualisi riesce ad osservare il diagramma HR delle stelle), vengono detti indicatoriprimari.Gli indicatori secondari di distanza sono calibrati sulle galassie vicine, la

cui distanza è determinata tramite gli indicatori primari. Si basano principal-mente sulle relazioni strutturali delle galassie (Sez. 4.4. I più importanti sono iseguenti:

i) Per le spirali viene sfruttata la relazione Tully–Fisher tra la luminosità ela velocità di rotazione del disco galattico.

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V. Cosmologia 193

ii) Per le ellittiche si usa il piano fondamentale, la relazione che lega bril-lanza superficiale, raggio effettivo e dispersione di velocità.

iii) Ancora per le ellittiche, distanze accurate si ottengono tramite il metododelle fluttuazioni di brillanza superficiale: se in un pixel di un CCD cadela luce contribuita da N stelle, la fluttuazione tra pixel e pixel sarà

√N .

Siccome N ∝ d2, questa relazione può essere usata come indicatore didistanza.

Un discorso a parte meritano le supernove di tipo Ia, che sono un’ottimacandela standard, o meglio standardizzabile: la loro luminosità al picco non èesattamente costante, ma correla con la curva di luce in modo tale che è pos-sibile ricavarla dalle osservazioni. Queste supernove sono rare, tanto da nonessere utilizzabili per stimare la distanza di grandi campioni di galassie, e so-no difficili da osservare, in quanto la loro identificazione richiede un continuomonitoraggio del cielo. D’altra parte sono così luminose da essere visibili finoa distanze cosmologiche. Ne parleremo diffusamente in seguito.Già prima di capire la natura extra-galattica delle nebulose, era stato notato

un fatto peculiare: i loro spettri mostrano quasi sempre uno spostamento versoil rosso, ma molto raramente verso il blu. In altri termini la popolazione dellenebulose risultava in media allontanarsi da noi (dalla Via Lattea). Nel dibattitotra Shapley e Curtis, questa evidenza venne utilizzata dal primo come argomen-

Figura 5.1. Diagramma di Hubble originale, che riporta in ascissa la distanza dellegalassie, in milioni di pc, e in ordinata la velocità di recessione, in km s−1.

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194 Introduzione all’Astrofisica

to contrario alla natura extra-galattica delle nebulose: il disco galattico esercitaqualche forma ignota di repulsione nei loro confronti, il che ha senso solo sele nebulose sono interne alla Galassia. Come già accennato, la discussione furisolta da Hubble, il quale misurò la distanza di Andomeda (M31) tramite lestelle Cefeidi. Il passo successivo da parte di Hubble fu quello di stimare ladistanza di un campione più grande di galassie. Nel 1929 venne resa pubblicauna correlazione, anticipata da Lemaitre nel 1927, tra la distanza della galassiae la sua velocità di recessione (Fig. 5.1):

v = cz = H0d (5.1)

Questa è nota come legge di Hubble, ma per riconoscere il ruolo dell’astronomobelga l’International Astronomical Union ha recentemente deciso di chiamarlalegge di Hubble-Lemaitre. In questa formula la velocità di recessione v è ancheespressa in termini del redshift z = Δλ/λ. La costante H0 è detta costante diHubble. La Fig. 5.2 mostra lo stesso diagramma ottenuto da una compilazionedi dati di SN Ia nei primi anni 2000; l’area in rosso corrisponde alle distanzecampionate ai tempi di Hubble e Lemaitre.La scoperta della recessione delle galassie, già prevista da Friedmann e Le-

maitre, era destinata a sconvolgere completamente la cosmologia dell’epoca.Infatti, l’esperienza della fisica quantistica aveva insegnato l’importanza dellasimmetria dei sistemi fisici. Questa visione era legata anche ad un pregiudi-zio “estetico”, di cui Einstein e Dirac erano maestri, secondo il quale la chiaveper trovare una teoria fondamentale era quella di farsi ispirare da principi diestetica matematica: la teoria più elegante è quella più promettente. Applicatoall’Universo, questo pregiudizio suggeriva un principio di massima simmetria,detto principio cosmologico perfetto. Un universo massimamente simmetricoè tale che, una volta mediate le irregolarità locali, la distribuzione della materiaè indipendente dalla posizione (omogeneità), dalla direzione (isotropia) e dal-l’istante temporale (staticità). Ma se l’Universo si espande, non è simmetriconella componente temporale.L’espansione dell’Universo va intesa come un’espansione dello spazio stes-

so: due osservatori (opportunamente lontani) in caduta libera si allontanano traloro per effetto di questa espansione. Questa è facile da visualizzare in 2D comel’espansione di una membrana di gomma, come potrebbe essere un palloncinoche si gonfia; in questo caso bisogna fare lo sforzo mentale di immaginarsi inun mondo bidimensionale, cioè di dimenticarsi dell’esistenza di una terza di-mensione. In 3D l’espansione può essere visualizzata come la lievitazione diuna torta, naturalmente infinita. Con una differenza importante: non esiste unospazio esterno, Euclideo e statico, in cui l’Universo si espande (come nel caso

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della torta); per esempio, se l’Universo è infinito rimane tale anche quando siespande o si contrae.L’espansione dell’Universo non implica l’esistenza di un osservatore privi-

legiato, che vede tutte le galassie allontanarsi radialmente. Infatti, la velocitàcon cui due galassie si allontanano tra di loro cresce con la distanza, qualsia-si sia il punto preciso in cui ci poniamo. Questo è semplice da dimostrare(vedi la Fig. 5.3): se A vede B e C allontanarsi a velocità vAB = H0rAB evAC = H0rAC , la velocità con cui B vede A allontanarsi sarà naturalmentevBA = −vAB = H0rBA, mentre la velocità di C rispetto a B sarà vBC =vAC − vAB = H0(rAC − rAB) = H0rBC .Il principio Copernicano di non centralità dell’osservatore trova in questo

caso una rinnovata formulazione nel cosiddetto principio cosmologico:

i) Nell’Universo non esistono osservatori privilegiati. In altre parole, unavolta mediate le fluttuazioni locali, l’Universo appare omogeneo e iso-tropo su grande scala da qualsiasi punto venga osservato.

Figura 5.2. Diagramma di Hubble ottenuto nei primi anni 2000 da una compilazionedi distanze e redshift di SN Ia. La zona in rosso in basso a sinistra corrisponde allaregione campionata originariamente da Hubble.

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196 Introduzione all’Astrofisica

In altre parole si postula che l’Universo sia su grande scala massimamente sim-metrico nelle dimensioni spaziali. Osservatori situati in punti diversi, che os-servino allo stesso istante, misureranno in media gli stessi valori dei i parametricosmologici, come la densità di materia, la temperatura della radiazione di fon-do, la costante di Hubble e così via. Il principio cosmologico può essere testatoosservativamente sulla distribuzione delle galassie, ma il test è tutt’altro chefacile. Molto più facile è dimostrare l’isotropia dell’Universo tramite il fondocosmico nelle microonde, che verrà descritto nella Sez. 5.4.La costante di Hubble H0 ha le dimensioni dell’inverso di un tempo. Que-

sto implica l’esistenza di un tempo caratteristico, in contraddizione con l’as-sunzione di staticità: l’Universo osservato ad istanti diversi appare diverso. Inparticolare, definiamo il tempo di Hubble come l’inverso di H0:

tHubble = 1/H0 (5.2)

Facendo opportune ipotesi sulle componenti che permeano l’Universo, ne pos-siamo tracciare l’espansione all’indietro nel tempo. Come vedremo nella pros-sima sezione, andando indietro di un tempo∼ tHubble troviamo che la densità intutto l’Universo va all’infinito. L’istante in cui questo accade viene chiamatobig bang, l’età dell’Universo si misura a partire da questo.

A

B

CrAB

rA

C

vAB

rBC

vAC

vBC

vBA

Figura 5.3. L’espansione dell’Universo non implica l’esistenza di un centro diespansione: se l’osservatore A vede B e C allontanarsi seguendo la legge diHubble-Lemaitre, B vede A e C allontanarsi nello stesso modo.

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Non è corretto affermare che al big bang l’Universo era concentrato “in unpunto”. In altre parole, il big bang non è un’esplosione che avviene “in unpunto” dell’Universo: l’Universo stesso inizia ad espandersi da quell’istante.Notare anche che l’Universo se è infinito rimane sempre tale a tutti gli istantisuccessivi al big bang. Per cercare di capire la natura geometrica di questaespansione è utile lasciare da parte l’esistenza di una singolarità iniziale e tenereconto che la fisica che conosciamo comincia ad essere valida (ottimisticamente)10−43 s “dopo il big bang”. L’istante del big bang, t = 0, va inteso comel’istante a cui l’estrapolazione della fisica nota produce una singolarità.Oltre a fornire una stima dell’età dell’Universo, la legge di Hubble-Lemaitre

dà la possibilità di misurare in modo “economico” la distanza degli oggetti ex-tragalattici. Basta infatti misurare uno spettro e riconoscere alcune righe diassorbimento o emissione per avere il redshift di una galassia, e attraverso lalegge di Hubble-Lemaitre la distanza. In effetti la legge di Hubble-Lemaitrevale in senso stretto solo nell’ipotesi in cui le galassie non abbiano altri moti aldi là dell’espansione cosmologica. Vedremo nel seguito che questo non è vero,ma i moti “peculiari” delle galassie sono indipendenti dalla distanza e relati-vamente modesti, raramente superano i 1000 km s−1. Quindi, per le galassiesufficientemente lontane (cz � 1000, z � 0.003) la distanza data dalla leggedi Hubble-Lemaitre risulta accurata.La costante di Hubble regola quindi le dimensioni spaziali e temporali del-

l’Universo. La sua misura è di grande importanza, e si basa principalmentesulla determinazione diretta di velocità di recessione e distanza di grandi cam-pioni di galassie o supernove. Il problema osservativo principale non sta tantonella misura di un grande numero di galassie, quanto nella calibrazione degliindicatori di distanza, che induce errori sistematici.Data la difficoltà nel misurare le distanze delle galassie, non risulta sorpren-

dente che il suo valore sia rimasto per anni al centro di un acceso dibattito. Lacostante di Hubble viene di solito misurata in km s−1 Mpc−1, ed il suo valoreha oscillato per anni tra 50 e 100. Per non dovere attendere la misura precisadella costante di Hubble, i cosmologi l’hanno parametrizzata come segue:

H0 = h× 100 km s−1 Mpc−1 (5.3)

Il valore del tempo di Hubble è quindi:

tHubble = 9.78× 109 h−1 yr (5.4)

Per anni la comunità dei cosmologi si è divisa tra due correnti, una (capeg-giata da de Vaucouleurs e poi più tardi da Tully e collaboratori) in favore di unvalore alto della costante di Hubble, con h ∼ 0.8 − 1, ed un’altra (capeggiata

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198 Introduzione all’Astrofisica

da Sandage e Tammann) in favore di h ∼ 0.5. La differenza tra le due stime eradovuta essenzialmente ad una diversa calibrazione degli indicatori di distanza,e spesso all’uso di indicatori poi rivelatisi inaffidabili. Anche in questo campo isatelliti Hypparcos e Hubble (non per caso dedicato all’astronomo) hanno datoun contributo importante nel raffinare la calibrazione della scala di distanze.Oggi, con la cosmologia di precisione, il valore della costante di Hubble si

può determinare con un errore del 2%. Con la calibrazione più recente delleCefeidi fatta con Hubble Space Telescope e usando le SNe Ia si ottiene:

H0 = 74.0± 1.4 km s−1 Mpc−1 (5.5)

Una misura indipendente ed ancora più precisa della costante di Hubble vie-ne dall’analisi delle fluttuazioni del fondo cosmico nelle microonde, che verràdescritto nella Sez. 5.4. Il metodo ha il grande vantaggio di essere completa-mente indipendente dalla scala delle distanze cosmiche, e di potere raggiunge-re precisione elevata; la sua correttezza dipende dalla correttezza del modellocosmologico utilizzato per riprodurre i dati. Con i risultati finali del satellitePlanck si ottiene:

H0 = 67.4± 0.5 km s−1 Mpc−1 (5.6)

con un errore relativo dello 0.8%. Questi due valori sono in tensione a 4.4σ;in linea di principio, questa tensione potrebbe essere dovuta ad errori di ca-librazione ancora da identificare. Alternativamente, questa potrebbe essere ilsegnale di nuova fisica: la prima delle due misure infatti è basata su osservazio-ni di oggetti locali dal punto di vista cosmologico2; la seconda misura si basasul fondo cosmico delle microonde, che come vedremo costituisce il nostroorizzonte visibile, e la consistenza delle due misure dipende dalla validità delmodello cosmologico, basato sulla fisica nota. Va anche detto che nessuna delleestensioni ovvie del modello cosmologico sembra produrre questa differenza.Malgrado l’evoluzione nella misura della costante di Hubble, l’uso di h

rimane. Le distanze sono quindi date spesso in h−1 Mpc, cioè relative adH0 = 100 km s−1 Mpc−1, e in modo simile le luminosità (in h−2 L�), lamassa delle galassie (in h−1 M�)3, le densità (in h2 M� Mpc−3), e così via.A volte queste quantità sono riferite ad h70, cioè ad un valore della costante diHubble di 70 km s−1 Mpc−1.

2Il valore alto della costante di Hubble è stato confermato da misure indipendenti basatesull’effetto di lente gravitazionale.3Ricordiamo che le masse delle galassie sono stimate come ∝ rv2/G, e v non dipende dallacostante di Hubble.

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V. Cosmologia 199

Per conoscere l’età dell’Universo non basta sapere il tempo di Hubble; comevedremo nella prossima sezione, è necessario sapere come si espande l’Univer-so, e questo dipende da quante sorgenti di massa-energia esso contiene. In casiplausibili, l’età dell’Universo è simile o poco minore del tempo di Hubble, ilrapporto tra i due tempi può variare tra 2/3 a poco più di 1. Per h che va da 0.5ad 1 otteniamo un’età dell’Universo che va da ∼6.5 a ∼20 Gyr. Naturalmentevorremmo che quest’età fosse maggiore dell’età di qualsiasi astro osservato,poiché gli oggetti astrofisici nascono dopo il big bang.In questo senso risulta di estrema importanza la stima dell’età degli am-

massi globulari, i quali sono tra gli oggetti più antichi che conosciamo. Questastima viene naturalmente dalla misura del MSTO, il punto in cui le stelle sidistaccano dalla sequenza principale, e dipende dalla validità dei modelli distruttura stellare applicati al caso di stelle di bassa metallicità (Sez. 2.6). Nelperiodo in cui era più accesa la discussione tra le correnti H0 = 50 e 100 kms−1 Mpc−1, l’età degli ammassi globulari veniva stimata di∼ 15−20 Gyr. Sequindi h = 0.5 l’età dell’Universo risultava marginalmente compatibile conquella degli ammassi globulari, mentre se h = 1 il modello cosmologico en-trava in crisi. Oggi la miglior stima dell’età dell’Universo (data di nuovo dallemisure del satellite Planck, Sez. 5.4) è 13.805± 0.023 Gyr, mentre l’età degliammassi globulari più antichi si va assestando su 13 Gyr. Il problema dell’etàdell’Universo si può dire superato.

5.2 I modelli di Friedmann-Robertson-Walker

Già dai tempi della nascita dell’astronomia scientifica, l’applicazione dei prin-cipi astrofisici ad un universo infinito poneva dei problemi, ben illustrati dalcosiddetto paradosso di Olbers. Se l’universo fosse eterno, infinito e statico,e fosse riempito uniformemente di stelle, ogni linea di vista finirebbe prestoo tardi per intersecare la superficie di una stella. Di conseguenza, il cielo lanotte non sarebbe buio, ma luminoso e caldo più o meno come la superficiedel Sole (che è una stella media). Detto in altri termini, l’intensità della lucedecresce come r−2, ma se le stelle entro un raggio r crescono come r2 i dueandamenti si compensano, e il cielo notturno dovrebbe mostrare una brillanzasuperficiale simile a quella del disco del Sole4. Questo provocherebbe effet-ti tanto disastrosi quanto irrealistici. È proprio l’espansione dell’Universo adisinnescare questo paradosso, spostando la radiazione delle stelle molto lon-

4Questo paradosso ha un’interpretazione termodinamica abbastanza semplice: un universoeterno ha avuto tutto il tempo per raggiungere l’equilibrio termodinamico.

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200 Introduzione all’Astrofisica

tane verso il rosso e, soprattutto, ponendo un limite all’Universo osservabile,l’orizzonte cosmologico.La forza di gravità, contrariamente alle altre forze fondamentali, è una forza

a lungo range, ovvero una forza che, in mancanza dell’analogo gravitazionaledella “carica negativa”, non può essere schermata in alcun modo. Ripetendol’argomento di prima, se la forza di gravità decresce come r−2 ma la massa (incondizioni di omogeneità) cresce come r2, tutto l’Universo esercita attrazio-ne gravitazionale su ogni sua particella. L’evoluzione dell’Universo è quindideterminata dall’attrazione gravitazionale che la materia esercita su sé stessa,rallentando l’espansione.Purtroppo è impossibile costruire un modello consistente di Universo a par-

tire dalla legge della gravitazione universale di Newton. Infatti il potenzialegravitazionale Φ(r) si ottiene dall’equazione di Poisson:

∇2Φ(r) = 4πGρ(r) (5.7)

dove ρ(r) è la densità di materia. Per una densità di materia omogenea, ilpotenziale gravitazionale è (a meno di costanti e con opportune condizioni alcontorno) Φ(r) ∝ r2, in chiara violazione del principio cosmologico, a menoche non sia ρ(r) = 0. Un’altro modo di vedere la questione è il seguente:in un Universo isotropo il campo gravitazionale g, essendo vettoriale, deveessere nullo per simmetria, infatti se non fosse nullo definirebbe una direzioneprivilegiata. L’unico modo di avere un universo Newtoniano consistente con ilprincipio cosmologico è di averlo completamente vuoto.La cosmologia scientifica nasce dall’applicazione dell’equazione di Ein-

stein all’Universo, considerato come uno spazio-tempo dinamico. Come giàaccennato in precedenza, prima della scoperta dell’espansione dell’UniversoEinstein era convinto che questo dovesse essere (su grande scala) massimamen-te simmetrico nello spazio e nel tempo. Ma l’applicazione della sua equazionedella relatività generale non sembrava dargli ragione: il sistema non ammette-va soluzioni costanti nel tempo. Alla scoperta dell’espansione dell’Universo,Einstein si arrese all’evidenza e si dedicò allo studio dei modelli in espansio-ne. Nel frattempo Friedmann e Lemaitre avevano già trovato e studiato dellesoluzioni non statiche delle equazioni di Einstein. Questi studi furono successi-vamente ripresi da Robertson eWalker, che esaminarono in dettaglio la metricadegli universi in espansione o in collasso. I modelli di universo oggi utilizzatiprendono quindi il nome di modelli di Friedmann-Robertson-Walker.Malgrado quanto detto sopra, è possibile ricavare (con una procedura che

ha valore puramente didattico) le equazioni di Friedmann a partire dalla di-namica Newtoniana, a patto di prendere in prestito un risultato della relatività

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V. Cosmologia 201

generale. Questo è basato sul teorema di Birkhoff, ed è una generalizzazionerelativistica del teorema di Gauss. Per i nostri scopi possiamo formularlo co-me segue: in condizioni di simmetria sferica (valide per una distribuzione dimateria omogenea ed isotropa), l’evoluzione all’interno di una sfera di raggior non è influenzata dalla materia al di fuori di r.Consideriamo una sfera di raggio r e densità ρ, in espansione secondo la

legge di Hubble-Lemaitre, e chiamiamo t0 l’istante a cui la osserviamo. Unagalassia di massa m posta al raggio r obbedisce alla legge di conservazionedell’energia: E = mv2/2−GmM/r = costante. Per l’ipotesi di omogeneità,la galassia va considerata come un semplice tracciante della dinamica del siste-ma. Il moto della galassia dipende dalla sua energia totale: seE > 0 la galassianon è legata e si allontana indefinitamente, mentre se E < 0 la galassia finisceper collassare al centro della sfera. Se v = Hr eM = ρ× 4πr3/3, possiamodefinire una densità critica a cui E = 0:

ρc =3H2

8πG(5.8)

Notare come questa densità non dipenda da r. In altre parole, se ρ > ρc l’Uni-verso è destinato a collassare su sé stesso, se ρ ≤ ρc l’Universo si espande in-definitamente. PerH = 100 h km s−1 Mpc−1 il valore numerico della densitàcritica è

ρc = 2.778× 1011 h2 M� Mpc−3 (5.9)

Espressa in g cm−3 si tratta di appena 1.9 × 10−29 h2; eppure vedremo chetutta la materia dell’Universo non riesce a raggiungere questa densità, ma siferma al 31%.Avendo definito una densità di riferimento, è comodo esprimere tutte le

densità cosmologiche in funzione di questa. Per una componente che ha unacerta densità ρ definiamo il parametro di densità Ω come:

Ω =ρ

ρc=

8πG

3H2ρ (5.10)

Utilizzeremo il simbolo ΩM per indicare il parametro di densità di materia altempo attuale.Inoltre, è conveniente definire un fattore di scala, che descrive come l’U-

niverso si espande. Se la nostra sfera ha raggio r0 ad un certo tempo t0, cheidentifichiamo col tempo attuale, il fattore di scala a(t) è:

a(t) =r

r0(5.11)

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202 Introduzione all’Astrofisica

Il fattore di scala risulta determinato a meno di una normalizzazione arbitraria.Risulta utile normalizzarlo ad 1 al tempo attuale t0: a(t0) = 1.Notiamo che la costante di Hubble èH = v/r. In termini del fattore di sca-

la, si haH = da/dt×1/a. Ma questa è una funzione del tempo: la costante diHubble non è costante nel tempo. Questo è naturale: la gravità, essendo attrat-tiva, rallenta l’espansione, e quindiH non può rimanere costante. Chiamiamoparametro di Hubble la quantità:

H(t) =1

a

da

dt(5.12)

riservando il nome di costante (nello spazio) di Hubble per il valore di Hal tempo attuale t0, H0 = H(t0). Notare che anche ρc (Eq. 5.8), essendoproporzionale ad H2, dipende dal tempo.L’energia E della galassia di massa m al tempo t0 si può scrivere come

E = mH20r

20(1 − ΩM)/2. Durante l’espansione la massa entro il raggio r a

cui si trova la galassia rimane costante, perchè la legge di Hubble-Lemaitreimpedisce che le traiettorie di elementi di massa diversi possano attraversarsi.Sfruttando la conservazione dell’energia e la costanza della massa, e usando ledefinizioni date sopra, con un po’ di algebra si ottiene:

�H

H0

�2

=ΩMa3

+1− ΩM

a2(5.13)

Questa è la seconda equazione di Friedmann per l’evoluzione dell’Universo5,ed è valida nel caso in cui l’Universo sia dominato dalla materia, la qualeesercita una pressione trascurabile ai fini cosmologici.La seconda equazione di Friedmann è facile da risolvere nel caso ΩM =

1, utilizzando un ansatz per cui il fattore di scala evolve come una legge dipotenza del tempo. Nel caso generale si ottiene un’equazione simile a quelladella cicloide, risolvibile quindi analiticamente. Si trovano tre tipi diversi disoluzione (rappresentati in Fig. 5.4 insieme ad altri):

i) Se ΩM < 1 l’universo non è legato, e si espande in eterno, seguendo unalegge simile alla cicloide ma con funzioni trigonometriche iperboliche.

ii) Se ΩM = 1 l’universo è critico, o di Einstein-de Sitter. In questo casoa(t) = (t/t0)

2/3, e l’espansione è ancora eterna.iii) Se ΩM > 1 la soluzione è quella di una cicloide, per cui l’universo è

legato e ricollassa su sé stesso in un Big Crunch.

5La seconda equazione di Friedmann si ottiene dalle componenti spaziali dell’equazione di Ein-stein, mentre la prima, che presenteremo nella prossima sezione senza dimostrarla, si ottienedalla componente temporale.

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V. Cosmologia 203

Troviamo quindi che, in presenza di sola materia, ΩM è l’elemento chiave perdeterminare il destino ultimo dell’Universo: espansione eterna o ricollasso inuna singolarità. Secondo la chiave di lettura della lotta tra termodinamica egravità, introdotta parlando della fine delle stelle, l’espansione infinita segne-rebbe la vittoria definitiva della termodinamica (c’è tutto il tempo per stabilirel’equilibrio termodinamico), mentre il collasso segnerebbe la vittoria definitivadella gravità.A questo punto siamo in grado di calcolare l’età dell’Universo in modo più

preciso di quanto fatto in precedenza. Se la gravità rallenta l’espansione dell’U-niverso, ne consegue che le galassie nel passato recedevano più velocementedi come fanno adesso. In questo caso il tempo di Hubble t0 = tHubble = H−1

0 ,valido nell’ipotesi di velocità di espansione costante, sovrastima l’età dell’U-niverso: questo, espandendosi più in fretta nel passato, ha fatto prima a rag-giungere le dimensioni attuali (Fig. 5.4). Questa sovrastima sarà maggiore sel’espansione è più rallentata, e quindi se la densità totale di materia è maggio-re. Di conseguenza, più bassa è la densità dell’Universo, più grande è l’età delnostro Universo a parità di costante di Hubble; per ΩM � 1 si ha t0 � tHubble.Per ΩM = 1 si ha che a(t) = (t/t0)

2/3, da cui si ottiene:

�� �� � � � �� �� ��� ��������

���

���

���

���

���

�������

�����������

���

������� ����

�������� ����

�������� ������

�������� ����

���

Figura 5.4. Evoluzione del fattore di scala per diversi universi, vincolati ad averea(t0) = 1 e H(t0) = H0 misurata.

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204 Introduzione all’Astrofisica

H(t) =1

a

da

dt=

2

3t0

�t

t0

�−1

(5.14)

Ponendo H(t0) = H0 otteniamo t0 = 2tHubble/3.La trattazione Newtoniana ci permette di ricavare la seconda equazione di

Friedmann, ma non ci permette di capire la struttura globale del nostro Uni-verso. Secondo la relatività generale, la gravità è dovuta alla curvatura del-lo spazio-tempo causata dalla presenza di massa-energia. La differenza fon-damentale tra la gravità Newtoniana e quella relativistica sta nel fatto che lospazio-tempo non è un palcoscenico rigido in cui le particelle si muovono eser-citando una mutua forza di attrazione, ma una variabile dinamica, che vienedistorta dalla materia e determina il moto della materia stessa. Applicata all’U-niverso, la relatività generale si pone il problema di determinarne la geometriaglobale.La nostra capacità di visualizzare uno spazio curvo è purtroppo limitata a

superfici (2D) immerse in uno spazio esterno (3D) Euclideo e statico. Di con-seguenza cercheremo di sfruttare questa nostra capacità per descrivere spazicurvi. Vale la pena di ricordare che la geometria di uno spazio è del tuttoindipendente dal suo essere immerso (o meno) in uno spazio Euclideo di di-mensionalità maggiore; la geometria dello spazio si determina completamentea partire da misure fatte al suo interno.

Chiuso

Aperto

Chiuso

Piatto

Figura 5.5. Geometria ed evoluzione del fattore di scala per universi chiusi, aperti epiatti.

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V. Cosmologia 205

Uno spazio curvo è caratterizzato da un raggio di curvatura. Consideriamotre esempi di superfici curve (Fig. 5.5):

i) La superficie di una sfera è caratterizzata da un raggio di curvatura Rpositivo, che non è altro che il raggio della sfera. Possiamo accorgercidi essere su una superficie sferica (come la Terra) per esempio misuran-do π: per circonferenze di raggio simile a R otterremo dei valori minoridi 3.14. Per esempio, se prendiamo l’equatore terrestre come circonfe-renza, il suo raggio sarà uguale a mezzo meridiano, per cui misuriamoπ = 2. Analogamente, per un triangolo rettangolo non vale il teoremadi Pitagora, in quanto l’ipotenusa al quadrato è minore della somma deiquadrati dei cateti. Infine, la somma degli angoli interni di un triangoloè maggiore di π radianti.

ii) Un piano è caratterizzato da un raggio di curvatura infinito; stare su unpiano è come essere su una sfera di raggiomolto maggiore della più gran-de distanza che siamo in grado di compiere. Per il piano π = 3.14 . . ., lasomma degli angoli interni di un triangolo è uguale a π radianti, e vale ilteorema di Pitagora. In un piano la geometria è Euclidea.

iii) Non è possibile fare un esempio di superficie con curvatura costante eglobalmente negativa immersa in uno spazio Euclideo, ma è possibile vi-sualizzare una superficie in cui la curvatura è localmente negativa. Con-sideriamo una sella, ovvero un punto che è un massimo lungo una dire-zione ed un minimo lungo la direzione perpendicolare. In questo casola misura di π dà valori maggiori di 3.14, il quadrato di un ipotenusa èmaggiore della somma dei quadrati dei cateti, e la somma degli angoliinterni di un triangolo è minore di π radianti.

Le soluzioni dell’equazione di Friedmann, viste in precedenza, hanno inrelatività generale un significato geometrico preciso:

i) Se ΩM < 1 l’Universo è aperto, caratterizzato da curvatura negativa.ii) Se ΩM = 1 l’Universo è piatto, ovvero Euclideo, con curvatura infinita.iii) Se ΩM > 1 l’Universo è chiuso, caratterizzato da curvatura positiva e da

un volume totale infinito.

Nel caso Newtoniano i vari universi corrispondono alla stessa classe di so-luzioni con energie diverse, e se non è possibile passare da un tipo di univer-so all’altro è solo per la conservazione dell’energia; aggiungendo o togliendoenergia si può passare da una soluzione all’altra. Nel caso relativistico, le tresoluzioni corrispondono a classi di soluzioni diverse con geometrie diverse, enon c’è modo di passare da una geometria ad un’altra per evoluzione gravita-zionale. Per esempio, un universo chiuso, che è un analogo 3D della superficie

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206 Introduzione all’Astrofisica

di una sfera, ha un volume finito, mentre gli universi piatti e aperti hanno unvolume infinito.Secondo la relatività generale, la legge di Hubble-Lemaitre non descrive un

semplice allontanarsi delle galassie tra di loro, ma è causata dal fatto che tuttolo spazio si espande. Questo implica la necessità di una reinterpretazione delredshift cosmologico. Un fotone viene emesso ad una lunghezza d’onda λemal tempo t, quando il fattore di scala era a(t), e viene rivelato dal un telescopioal tempo attuale t0, quando a(t0) = 1. La sua lunghezza d’onda è soggettaall’espansione, per cui al momento della rivelazione sarà:

λossa(t0)

=λema(t)

(5.15)

Il redshift cosmologico risulta quindi essere:

(1 + z) =a(t0)

a(t)=

1

a(t)(5.16)

dove abbiamo fatto di nuovo uso della normalizzazione a(t0) = 1. Il redshiftquindi non è dovuto all’effetto Doppler, ma è un effetto puramente gravitazio-nale dovuto dell’espansione dell’Universo, analogo al redshift gravitazionalenei pressi di un buco nero.L’espansione dell’Universo non influenza materia e radiazione in modo

uguale. La densità di massa-energia della materia, se questa non è ultrarelativi-stica, decresce semplicemente come a(t)−3, cioè viene semplicemente diluitadall’espansione:

ρm = ρm0(1 + z)3 (5.17)

Le particelle relativistiche come i fotoni oltre all’effetto di diluizione subisconouna perdita di energia, ∝ a(t)−1, dovuta al redshift cosmologico. Si ha quin-di che la densità di massa-energia di una componente di fotoni (espressa percomodità in termini di massa per unità di volume6) evolve come segue:

ργ = ργ0(1 + z)4 (5.18)

Dal punto di vista termodinamico, questa evoluzione non viola la legge diconservazione dell’energia, anzi è una conseguenza della prima legge della ter-modinamica, ovvero della terza equazione di Friedmann, che esprime la con-

6Se ρc2 rappresenta la densità di energia di una componente, la quantità ρ ha le dimensioni diuna densità di massa, identificabile come tale per una componente di particelle massive e nonrelativistiche.

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V. Cosmologia 207

servazione dell’energia. Supponiamo che l’Universo sia permeato di una com-ponente di densità di energia ρc2 e pressione P . Per un tale sistema adiabati-co dU + PdV = 0; considerando un volume che si espande con l’Universo,V ∝ a3, e ponendo U = ρc2V , si ottiene (esprimendo il differenziale comederivata temporale):

dt+ 3H

�ρ+

P

c2

�= 0 (5.19)

Per P = 0 (materia) si ottiene d(ρma3)/dt = 0, che implica ρm ∝ a−3, mentreper P = ργc

2/3 (radiazione) si ottiene d ln ργ/dt + 4 d ln a/dt = 0, ovveroργ ∝ a−4.Come vedremo nella Sez. 5.5, nei primi istanti l’Universo era dominato da

particelle ultrarelativistiche in equilibrio termico (l’energia termica era moltomaggiore della massa a riposo di quasi tutte le particelle), che si comportano atutti gli effetti come radiazione. È utile quindi modificare l’equazione di Fried-mann (Eq. 5.13) in modo da descrivere l’evoluzione di un universo dominatodalla radiazione. Ripercorrendo i passaggi fatti in precedenza, notiamo che lamassa M racchiusa entro la sfera di raggio r corrisponde alla massa-energiadei fotoni,M = ρradV . Poiché ρrad ∝ a−4, mentre V ∝ a3, si ha che la mas-saM “diminuisce” col tempo per effetto dell’espansione: M = M1/a, doveil pedice 1 indica le quantità riferite ad un opportuno tempo t1 (non ha sensoriferire il tutto al tempo attuale t0, dove questa equazione non vale). Imponen-do la conservazione dell’energia e manipolando algebricamente l’equazione siottiene:

�H

H1

�2

=Ω1

a4+

1− Ω1

a2(5.20)

Notiamo che per amolto piccolo, il termine di curvatura al secondomembrodell’Eq. 5.20 risulta trascurabile. In questo caso l’Universo è approssimativa-mente piatto (Ω � 1), per cui l’equazione diventa:

�H

H1

�2

� 1

a4(5.21)

La soluzione di questa equazione dà a(t) = (t/t1)1/2, ρrad ∝ t−2. Se la ra-

diazione è composta da fotoni che, essendo in equilibrio termico, hanno unospettro di corpo nero, si ha che ρradc2 = aT 4

rad (dove qui a è la costante diStefan-Boltzmann), per cui Trad ∝ t−1/2, ovvero Trad ∝ a−1.

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208 Introduzione all’Astrofisica

Un’altra conseguenza dell’espansione dell’Universo sta nella non univocitàdella definizione di distanza delle sorgenti cosmologiche. Consideriamo unasorgente osservata al redshift z; al tempo attuale questa si sarà allontanata danoi a causa dell’espansione. Possiamo definire un sistema di coordinate sfe-riche comoventi, che si espande con l’universo, tale che (in un universo omo-geneo) le galassie stanno sempre nella stessa posizione. Definiamo r(z) comela distanza di coordinate che c’è tra noi e la galassia, definita utilizzando il si-stema di coordinate comoventi. La relazione tra la distanza di coordinate e ladistanza fisica dipende dalla geometria; nel caso di un universo piatto la di-stanza di coordinate è uguale alla distanza fisica tra noi e la galassia, misurataa tempo costante, detta distanza comovente dC. Queste due distanze non sonomisurabili in pratica.La stima delle distanze extragalattiche viene fatta tramite candele o regoli

standard. Per una candela standard, per esempio una supernova, se f è il flussomisurato ed L la luminosità intrinseca, definiamo distanza di luminosità dL ladistanza per la quale vale la relazione:

f =L

4πd2L(5.22)

L’espansione dell’Universo ha un duplice effetto sui fotoni: incrementandonela lunghezza d’onda ne degrada l’energia, e contemporaneamente ne rallenta ilritmo di arrivo. Il flusso di una sorgente risulta quindi inferiore di un fattore(1 + z)2 rispetto a quello che si misurerebbe in assenza di espansione. Risultainfatti f = L/[4π(1 + z)2r(z)2] e

dL = (1 + z)r(z) (5.23)

Si definisce distanza di diametro dD la distanza per la quale vale la relazioneΔθ = D0/dD. Come illustrato in Fig. 5.6, il regolo emette al tempo t unfotone che l’osservatore riceve al tempo attuale t0; nel frattempo l’espansioneha allontanato il regolo di un fattore a(t0)/a(t) = (1 + z), ma l’espansionelascia invariati gli angoli, per cui il regolo appare più grande (più vicino) dicome apparirebbe in assenza di espansione. Si ricava:

dD = r(z)/(1 + z) (5.24)

Va notato che la figura 5.6 è valida solo a piccole distanze dall’osservatore,la traiettoria dei fotoni infatti è influenzata dall’espansione dell’Universo, maquesto aspetto è al di là dei nostri interessi.Se l’Universo decelera, la legge di Hubble-Lemaitre a distanze grandi, e

quindi ad epoche precedenti, sarà diversa da quella attuale. In altre parole,

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V. Cosmologia 209

per un campione di galassie lontane il grafico della distanza di luminosità con-tro il redshift (il diagramma di Hubble) mostrerà una pendenza non costante.Approssimando la vera relazione con una serie di Taylor, ci aspettiamo che ildiscostamento dalla relazione lineare sia per redshift moderati:

dL = H−10 c

�z − 1− q0

2z2 + . . .

�(5.25)

Il parametro q0 così definito viene chiamato parametro di decelerazione, ed èlegato alla derivata seconda del fattore di scala:

q0 = −d2a

dt2(t0)

�da

dt(t0)

�−2

(5.26)

d

ct

a(t) a(t0)

t

t0

Figura 5.6. Calcolo della distanza di diametro. L’osservatore è a riposo nel sistema diriferimento, la posizione occupata dal regolo è descritta dalla linea spessa, che evolvecol tempo come il fattore di scala. In questo grafico i fotoni viaggiano su linee inclinatedi 45◦; questo è vero solo a piccole distanze dall’osservatore, il grafico ha quindi unavalidità limitata.

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210 Introduzione all’Astrofisica

La decelerazione dell’Universo dipende dalla quantità di materia in essocontenuta; non è quindi sorprendente il risultato che si ottiene dai modellidi Friedmann-Robertson-Walker per universi dominati dalla materia: q0 =ΩM/2. Unamisura della deviazione delle galassie lontane dalla legge di Hubble-Lemaitre ci permetterebbe quindi di stimare quanta materia c’è nell’Univer-so. Questo programma osservativo è ostacolato dalla difficoltà nel misurare ledistanze delle galassie lontane.Questo problema può essere in linea di principio aggirato sfruttando la tec-

nica dei conteggi di galassie: andando a flussi sempre più bassi il numero digalassie osservate, nell’ipotesi di distribuzione omogenea e di funzione di lu-minosità costante, dipende dal volume sotteso dal campo osservato, e quindida q0. Nel caso di un Universo piatto, vale la stessa legge che avevamo trovatoper le stelle della Galassia, N(f > f0) ∝ f

−3/20 (Sez. 4.2). Ma le deviazio-

ni rispetto a questa legge possono essere dovute alla geometria non piatta o aun’evoluzione della funzione di luminosità delle galassie. Infatti, le galassieche vediamo ad alto redshift sono significativamente più giovani di quelle vi-cine, e sono quindi diverse. Questi effetti di evoluzione galattica, che verrannodescritti nel prossimo capitolo, danno un errore sistematico che domina il se-gnale della misura di q0. Con i quasar la situazione è ancora peggiore, perchéla loro evoluzione è ancora più marcata di quella delle galassie. Il miglior mo-do per misurare q0 consiste nello sfruttare le supernove Ia lontane, che sonocandele standard.

5.3 Le supernove lontane e l’energia oscura

Nel tentativo di ottenere un universo statico, che obbedisse al principio cosmo-logico perfetto, Einstein tentò di manipolare la sua equazione aggiungendo untermine, perfettamente consistente dal punto di vista matematico, contenenteuna costante, che chiamò costante cosmologica. Questa costante, indicata conil simbolo Λ, quando ha segno positivo crea una forma di repulsione. Si otte-neva in questo modo una soluzione statica a patto che la densità di materia, lacurvatura e la costante Λ avessero valori legati tra di loro, in modo da compen-sare esattamente l’attrazione gravitazionale della materia su sé stessa. Perché letre quantità dovessero essere in quella relazione risultava non motivato; inoltre,la soluzione così ottenuta era instabile, nel senso che una perturbazione ancheinfinitesima avrebbe finito per amplificarsi e fare allontanare sempre di più lasoluzione da quella statica. Quando fu scoperta la legge di Hubble-Lemaitre,Einstein affermò che con la costante cosmologica aveva preso la più grandecantonata della sua vita.

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V. Cosmologia 211

Può una costante del genere, matematicamente consistente, avere un qua-lunque significato fisico? Un universo in espansione, dominato da materia o daradiazione, tende a decelerare (d2a/dt2 < 0) per effetto dell’attrazione gravita-zionale che la massa/energia esercita su sé stessa; per contrastare questa dece-lerazione ci vuole un termine, una sorta di “antigravità”, che provochi un’ac-celerazione dell’espansione dell’universo. La derivata seconda del fattore discala viene determinata dalla prima equazione di Friedmann:

1

a

d2a

dt2= −4πG

3

�ρ+ 3

P

c2

�(5.27)

Questa equazione si può facilmente ottenere derivando la seconda equazione diFriedmann, Eq. 5.13, ed utilizzando la terza equazione di Friedmann, Eq. 5.19,per semplificare alcuni termini. La prima equazione di Friedmann ci mostrache la causa dell’accelerazione non è solo la materia-energia, ma anche la pres-sione. Questo è caratteristico della relatività generale: nella Sez. 2.7 abbiamovisto che è il termine di pressione responsabile per il collasso delle stelle inbuchi neri. Un valore negativo del termine ρ + 3P/c2 avrebbe come risulta-to quello di accelerare l’espansione dell’universo. Non conosciamo particelleche abbiano massa o energia negativa, per cui ρ > 0, ma è possibile ottene-re pressioni negative in ambito quantistico. Si può dimostrare inoltre che untermine di costante cosmologica è indistinguibile da un fluido omogeneo cheabbia un’equazione di stato peculiare: P = −ρc2. Quindi la repulsione causa-ta da una costante cosmologica può essere vista come l’effetto di una pressionenegativa.Dalla teoria delle particelle elementari sappiamo che una coppia di lastre di

metallo immerse nel vuoto vincolano gli stati quantici del campo elettromagne-tico, e sono quindi in grado di alterarne lo stato fondamentale. L’energia dellostato fondamentale sarà minore se le lastre vengono avvicinate, perché dimi-nuisce il numero di stati quantici eccitabili. Siccome una variazione di energiacorrisponde ad una forza, le lastre saranno attratte per effetto di questa “pola-rizzazione del vuoto”. Questo viene chiamato effetto Casimir, ed è stato veri-ficato sperimentalmente. L’effetto Casimir, che dipende solo dall’esistenza delcampo elettromagnetico quantistico, genera quindi un’attrazione tra due lastredi metallo che può essere interpretata come una pressione negativa. L’energiadel vuoto quantistico, generando pressione negativa, entra nelle equazioni diEinstein come un termine di costante cosmologica, e potrebbe quindi fornirel’antigravità che cerchiamo.Otteniamo un limite superiore per Λ imponendo che la densità totale di

massa-energia (inclusa quella di vuoto) non sia molto maggiore del valore della

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212 Introduzione all’Astrofisica

densità critica; se così non fosse, l’Universo sarebbe in espansione ad un ritmoaccelerato tale da impedire la formazione delle galassie. Possiamo esprimerequesto limite come ΩΛ <∼ 1, dove il parametro ΩΛ dà il rapporto tra la densitàdi energia in costante cosmologica (divisa per c2) e la densità critica.Dalla teoria delle particelle elementari si può calcolare il valore atteso del-

la costante cosmologica, dato un campo quantistico. Si tratta di sommare sututti i modi di oscillazione di tutti i campi, concedendo ad ognuno di essi un’e-nergia hν/2. L’integrale ovviamente diverge, perché il numero dei modi dioscillazione di un campo infinito è infinito. Ma sappiamo che le nostre teoriequantistiche non possono valere a tutte le energie. Possiamo per esempio tron-care l’integrale all’energia di Planck EPl = MPlc

2 � 1.22 × 1019 GeV, dovela massa di Planck èMPl =

��c/G � 2.18 × 10−5 g; a queste energie non

possiamo descrivere la gravità come una forza classica. Otteniamo qualcosacomeΩΛ ∼ 10120. Confrontando il valore ottenuto dall’energia di vuoto con illimite superiore dato dalla cosmologia, otteniamo un risultato sorprendente: ilprimo supera il secondo per ben 120 ordini di grandezza! Probabilmente il di-saccordo più disastroso mai trovato tra teoria ed osservazione. È chiaro che lafisica delle particelle che non conosciamo deve fornire dei termini che rendonoquell’integrale nullo (o quasi).Dal punto di vista cosmologico, il problema principale non consiste nel di-

mostrare che la costante cosmologica non è 120 ordini di grandezza più grandedi quello che dovrebbe essere (l’evidenza osservativa ci basta), ma nel fatto seessa possa o meno essere diversa da zero. Infatti, per ottenere un valore di unacostante che non sia nullo ma sia enormemente più piccolo del valore “natura-le” è necessario che i parametri della teoria siano regolati in modo tanto fine(fine tuning) quanto innaturale. A questo punto è di gran lunga più naturalepensare che la costante cosmologica sia nulla, anche se non capiamo perché.Una spiegazionemolto interessante della piccolezza innaturale della costan-

te cosmologica, a cavallo tra la filosofia e la cosmologia scientifica, viene datadal principio antropico. Fu Dirac a notare una strana coincidenza numerica:il rapporto tra forza elettrostatica e forza gravitazionale tra un protone ed unelettrone, elevato al quadrato, è circa uguale al numero di particelle contenu-te nel nostro Universo osservabile. Questa equivalenza potrebbe essere unastrana coincidenza, ma potrebbe sottointendere una legge fondamentale dellafisica che ancora ci sfugge. Ma mentre il primo numero (rapporto tra forzaelettrica e gravitazionale) è costante nel tempo, il secondo (numero di parti-celle osservabili) cambia nel tempo: più passa il tempo, più particelle entranonel nostro orizzonte. La nuova legge fondamentale implicherebbe quindi lavariazione della forza di gravità o di quella elettromagnetica. Questa variazio-

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V. Cosmologia 213

ne è oggi esclusa dalle osservazioni. Dicke propose una soluzione ben diversaper questa coincidenza: l’uguaglianza di Dirac risulta valida nell’epoca in cuile stelle bruciano idrogeno in elio, che è l’epoca in cui viviamo. Ma questonon è un caso: l’esistenza di esseri biologici come noi richiede che le stelleabbiano già sintetizzato abbastanza carbonio, ossigeno ed elementi pesanti dapermettere l’esistenza di un pianeta solido con atmosfera e acqua, in cui si possasviluppare la vita biologica basata sul carbonio. Molto prima di questo perio-do non potremmo esistere perché non sono stati prodotti abbastanza metalli,successivamente le stelle si spengono e l’Universo va verso la morte termica.Questa spiegazione “antropica” ispirò alcuni cosmologi ad introdurre il co-

siddetto principio antropico, che, nella sua forma “debole”, richiede che unateoria cosmologica per essere accettabile debba produrre un universo in cui èpossibile la vita biologica, e quindi la presenza di un osservatore. Perché que-sto avvenga è necessario che l’universo contenga abbastanza materia “barioni-ca’ (protoni, neutroni ed elettroni7 ) a densità sufficientemente alta da formarestelle, e che duri abbastanza a lungo in modo che si generino stelle di secondagenerazione (cioè di composizione non primordiale, arricchite di metalli), at-torno alle quali si possano formare pianeti ricchi di metalli, ed in essi la vita.Se il valore delle costanti della natura non è fissato dalla fisica ma è assegnatosecondo una certa distribuzione di probabilità, la condizione di ospitare la vitabiologica selezionerà particolari combinazione di “costanti della natura”.Tornando alla costante cosmologica, gli universi in cui essa assume il suo

valore “naturale” non sono idonei ad ospitare la vita, poiché si espandono trop-po in fretta, impedendo la formazione delle galassie e quindi di qualsiasi stella.Questo giustifica un valore molto basso diΛ senza bisogno di fine tuning. Que-sti argomenti sono spesso stati accolti in modo ostile: se i modelli cosmologicipredicono un’ampia distribuzione dei valori possibili delle costanti, assoluta-mente non osservabile, si perde del tutto il potere predittivo e la possibilità ditestare osservativamente i modelli.Vi è una qualche evidenza osservativa a favore di una costante cosmologi-

ca? Fino al 1998 fa la risposta sarebbe stata “no”, a parte per un aspetto a primavista secondario. Alcune argomentazioni teoriche, basate sulla teoria dell’in-flazione che descriveremo nel seguito, portano a pensare che l’Universo siapiatto. Questo “pregiudizio teorico” rischiava nei primi anni ’90 di andare incrisi su tre fronti:

i) l’età dell’Universo per un possibile valore alto della costante di Hubble

7Nel gergo cosmologico la materia ordinaria viene genericamente indicata come “barioni”, in-cludendo anche gli elettroni che sono di fatto leptoni. Il motivo è che quando la materia è nonrelativistica, la densità di energia è∼ mc2, per cui i leptoni sono trascurabili rispetto ai barioni.

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214 Introduzione all’Astrofisica

appariva in contrasto con l’età degli ammassi globulari (per ΩM = 1abbiamo t0 � 6.5h−1 Gyr);

ii) alcune misure dinamiche di ΩM davano un valore di ∼0.3;iii) le misure di fluttuazioni nella distribuzione spaziale delle galassie erano

in disaccordo con la misura delle fluttuazioni del fondo cosmico (questiaspetti saranno discussi nella prossima sezione e nel prossimo capitolo).

Tutti questi problemi venivano risolti o assumendo un’universo aperto oppuresupponendo che l’Universo fosse sì piatto, ma pervaso al 70% di un terminedi costante cosmologica, qualsiasi cosa essa fosse. In questo caso t0 � 9h−1

Gyr, ΩM può essere minore di uno perchè ΩM + ΩΛ = 1, e la predizionedelle fluttuazioni torna in accordo coi dati. La proposta non era stata accoltacon molta convinzione perché sembrava un tentativo artificiale di salvare unpregiudizio teorico.La costante cosmologica sembrava quindi una delle più grosse sciocchez-

ze mai inventate: introdotta da Einstein per salvare il suo pregiudizio estetico,era stata accantonata alla scoperta dell’espansione dell’Universo. Reintrodottadai cosmologi teorici come termine di energia di vuoto, risultava in disaccordocon il limite osservativo per 120 ordini di grandezza, a meno di non metterlaa zero per motivi ignoti o di appellarsi ad argomenti incerti basati sul princi-pio antropico. Infine, era stata reintrodotta con valori ad-hoc sostanzialmenteper salvare il pregiudizio teorico sulla piattezza dell’Universo, che appariva incontrasto con l’evidenza osservativa. Molte persone rimasero soprese quandosi dimostrò, nel 1998, che il ∼70% della massa-energia dell’Universo (oggi) èsotto forma di costante cosmologica.La dimostrazione venne dal diagramma di Hubble delle supernove di tipo Ia

lontane osservate da due gruppi indipendenti. Questo è mostrato in Fig. 5.7 intermini di modulo di distanza (Eq. 1.6); nel pannello interno vengono mostratele differenze, rispetto alle predizioni di un modello vuoto, per i dati (mediati subin di redshift) e per vari modelli. Le supernove hanno magnitudini apparentisuperiori a quelle che ci si aspetta in un universo con ΩM = 1, la differenzaammonta in termini di luminosità a circa mezza magnitudine. Questo vuol direche le supernove sono più lontane di quanto ci si aspetti, e che quindi l’Uni-verso si è espanso di più di quanto faccia per ΩM = 1. Siccome l’attrazionegravitazionale della materia è responsabile per il rallentamento dell’espansionecosmica, questo vuol dire cheΩM < 1. Ma perfino un universo vuoto,ΩM = 0,in cui d2a/dt2 = 0, non riesce a riprodurre la minore luminosità apparente del-le supernove fino a z ∼ 1. Questo vuol dire che l’espansione dell’universo èaccelerata; in altri termini il parametro di decelerazione q0 è negativo. Per ave-re un’espansione accelerata c’è bisogno di una sorgente che causi repulsione;

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V. Cosmologia 215

ovvero di un termine di costante cosmologica. La scoperta è stata premiata conil Nobel per la fisica, nel 2011, agli astronomi Perlmutter, Schmidt e Riess.Una possibile spiegazione alternativa potrebbe essere data dal fatto che le

SNe lontane si comportano diversamente da quelle vicine (modello Evolution∼z nella Fig. 5.7), ma non ci sono forti evidenze a favore di questa ipotesi. Op-pure la presenza di polvere intergalattica potrebbe fare apparire le supernovepiù deboli di quanto siano veramente (il corrispondente modello nella figuraè chiamato high-z gray dust); ma il comportamente delle SNe a z > 1 portaad escludere questa possibilità. Inoltre, la presenza di un termine di costantecosmologica viene oggi confermata dall’analisi delle fluttuazioni del fondo co-smico nelle microonde (Sez. 5.4) e della struttura a grande scala tracciata dallegalassie. A quanto pare, viviamo in un Universo che ha appena iniziato unafase di espansione accelerata, e per il quale ΩM = 0.315 e ΩΛ = 0.685. È im-portante notare che la presenza di un termine di costante cosmologica rompe lacorrispondenza tra geometria e fato dell’universo (Fig. 5.5); un universo chiuso

0.5 1.0 1.5 2.0z

30

35

40

45

μ

HST DiscoveredGround Discovered

0.0 0.5 1.0 1.5 2.0z

-0.5

0.0

0.5

�(m

-M) (

mag

)

w=-1.2, dw/dz=-0.5w=-0.8, dw/dz=+0.5

Empty (Ω=0)ΩM=0.29, ΩΛ=0.71

ΩM=1.0, ΩΛ=0.0

high-z gray dust

pure acceleration: q(z)=-0.5

~ pure deceleration: q(z)=0.5

Evolution ~ zBinned Gold data

Figura 5.7. Diagramma di Hubble per le supernove lontane, in termini di redshift e dimodulo di distanza. Il pannello interno mostra la differenza tra il modulo di distanzamisurato e quello previsto per un universo vuoto; le misure sono mediate su intervallidi redshift, e sono mostrate le predizioni per diversi modelli cosmologici.

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216 Introduzione all’Astrofisica

si può espandere in eterno, e un universo aperto può collassare se la costantecosmologica assume un valore negativo.Questa scoperta ha dato nuovo impulso alla ricerca teorica sulla natura della

costante cosmologica. Oggi si preferisce parlare di energia oscura, una com-ponente che si comporta in modo simile ad una costante cosmologica e chepotrebbe essere spiegata fisicamente in almeno due modi. La maggior partedell’energia dell’Universo potrebbe essere immagazzinata in un campo quanti-stico scalare, detto “quintessenza”, il quale non è in una configurazione di equi-librio ma evolve lentamente verso l’equilibrio. In queste condizioni il camponon può oscillare, dando così origine a particelle osservabili. Alternativamen-te, la teoria corretta della gravità non sarebbe la relatività generale; piuttosto,calcolando il limite di basse energie di una teoria più generale, che descrivetutte le interazioni fondamentali, si otterrebbe la relatività generale incluso untermine che si comporta, in prima approssimazione, come una costante cosmo-logica. Sono in corso diversi esperimenti per determinare l’equazione di statodell’energia oscura con grande accuratezza e a vari redshift, nella speranza dimisurare deviazioni da P = −ρc2; ne accenneremo nel prossimo capitolo.

5.4 Il fondo cosmico nelle microonde

L’espansione dell’Universo implica una fase iniziale in cui il fattore di scala eramolto piccolo, e quindi la densità molto elevata. In quelle condizioni la mate-ria era molto calda e completamente ionizzata, anche se in espansione moltoveloce. È ragionevole aspettarsi che tutte le specie di particelle in grado di inte-ragire significativamente, fotoni inclusi, fossero in equilibrio termodinamico.La situazione era in qualche modo analoga a quella degli interni stellari, dovela radiazione è in equilibrio termodinamico (locale in questo caso) con la mate-ria. Di conseguenza nei primi istanti della sua vita l’Universo era opaco, e nonpossiamo sperare di misurare alcuna radiazione elettromagnetica provenienteda quelle epoche.Successivamente l’espansione raffreddò il plasma cosmologico, ed elettro-

ni e nuclei si combinarono in atomi, disaccoppiandosi finalmente dai fotoni.È possibile osservare questo mare di fotoni primordiali sotto forma di fondocosmico, caratterizzato da un elevato grado di isotropia. Quale fosse la den-sità di fotoni a quei tempi dipende da molti dettagli del primo Universo, malo spettro doveva essere di corpo nero. Una prima stima, prodotta da Alphere Gamow sulla base dei primi calcoli di nucleosintesi primordiale (Sez. 5.6),dava un valore di∼5 K per la temperatura del fondo osservato al tempo attuale.

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V. Cosmologia 217

Nel 1965 Penzias e Wilson, due tecnici dei Bell Laboratories che stavanostilando un inventario delle sorgenti di rumore nelle telecomunicazioni, mi-surarono un fondo di radiazione nelle microonde che appariva assolutamenteisotropo. Confrontandosi con Dicke e Peebles, che nel frattempo stavano co-struendo un’antenna per rivelare la radiazione di fondo, capirono di avere mi-surato le ultime vestigia di quel mare di fotoni che aveva dominato l’Universoper alcune centinaia di migliaia di anni. La scoperta fu premiata nel 1978 conil premio Nobel a Penzias e Wilson, mentre Peebles ha appena ricevuto (nel2019) il premio Nobel per il suo contributo alla cosmologia. Questo CosmicMicrowave Background (CMB) ha uno spettro di corpo nero con una tempe-ratura Tγ0 = 2.73 K, ed è il corpo nero più accurato che si trovi in natura: laFig. 5.8 mostra il fit ottenuto con i dati del satellite COBE (che descriveremoa breve), le barre di errore sono così piccole da essere inferiori allo spessoredella linea usata nel grafico.Come abbiamo visto nella Sez. 5.2, la densità di energia di una componente

Figura 5.8. Spettro del CMB secondo le osservazioni di COBE. La linea mostra ilfit dei punti osservativi, le barre di errore sono minori dello spessore della linea nerausata per il fit.

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218 Introduzione all’Astrofisica

di fotoni evolve come (1+z)4. Si può dimostrare che l’espansione non cambiala forma dello spettro della radiazione, che rimane sempre di corpo nero. Poi-ché per una radiazione termica la densità di energia è aT 4, è facile dimostrareche (vedi anche la Sez. 5.2) la temperatura del CMB evolve come:

Tγ = Tγ0(1 + z) (5.28)

La densità di materia a sua volta evolve come (1 + z)3 (Sez. 5.2). Di con-seguenza, il rapporto tra densità di radiazione e di materia cresce col redshift,ργ/ρm ∝ (1+z): ad alto redshift l’Universo era dominato dalla radiazione. Ladensità di energia in radiazione è oggi ργ0 = aT 4

γ0/c2 � 4.7× 10−34 g cm−3

(per comodità la esprimiamo in termini di densità di massa equivalente), corri-spondente a Ωγ � 2.5×10−5 h−2. Se oggi ργ0/ρm0 � 2.5×10−5 (ΩMh

2)−1,questo vuol dire che, per ΩM = 0.315, ΩΛ = 0.685 e h = 0.674 al redshiftz � 5570 le densità di energia in materia e in radiazione erano uguali. Questoevento è detto equivalenza, ed il redshift a cui avviene è indicato come zeq. Pri-ma dell’equivalenza la densità di massa-energia è dominata dalla radiazione,dopo l’equivalenza è dominata dalla materia. Questo calcolo trascura la presen-za di una componente di neutrini cosmici, legati alla sintesi degli elementi leg-geri (Sez. 5.6), che ha una densità di circa il 60% di quella dei fotoni; in questocaso il redshift di equivalenza risulta (risultati di Planck) zeq = 3402± 26.Se la densità di energia dei fotoni evolve come (1 + z)4, la loro densità in

numero evolve come quella della materia, cioè come (1 + z)3. Ne consegueche, in assenza di reazioni nucleari capaci di creare fotoni, il rapporto tra nu-mero di barioni e di fotoni rimane costante. Possiamo calcolare questa quantitàall’epoca attuale; la densità in numero di fotoni nγ0 = 412 cm−3 si ottiene dal-le leggi del corpo nero e dal valore Tγ0 = 2.73 K, mentre la densità in numerodi barioni si ottiene dividendo la corrispondente densità di massa, esprimibilecome Ωbρc, per la massa del protone mp. Il risultato si scrive usualmente intermini del fattore Ωbh2:

η ≡ nbnγ

� 2.68× 10−8Ωbh2 (5.29)

Da questo calcolo, e dal valore diΩbh2 � 0.0224 che verrà discusso in seguito,emerge che η � 5.97 × 10−10: ci sono circa due miliardi di fotoni del CMBper ogni barione. Va anche notato che i fotoni del CMB sono anche molto piùnumerosi dei fotoni di origine astrofisica.Quando la temperatura diventa sufficientemente bassa, l’idrogeno può ri-

combinarsi (l’elio si ricombina a temperatura un po’ più alta, sottraendo peròsolo una piccola frazione di elettroni). A quel punto, chiamato ricombinazio-

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V. Cosmologia 219

ne (anche se sarebbe più corretto chiamarlo “combinazione”) la sezione d’urtotra barioni e radiazione crolla e il tempo medio tra due scattering diventa mol-to maggiore dell’età dell’Universo, che diviene finalmente trasparente. La ri-combinazione è un processo graduale anche se rapido; nelle tipiche condizionidell’ISM, l’idrogeno si ricombina a temperature di ∼104 K, ma il grande nu-mero di fotoni del CMB rende probabile la presenza di fotoni ionizzanti, conenergie > 13.6 eV, anche a temperature più basse e quindi impedisce all’idro-geno neutro di accumularsi finchè la temperatura non crolla a circa 3000 K. IlCMB ci dà un’istantanea dell’Universo alla ricombinazione, più precisamentealla superficie di ultimo scattering tra fotone ed elettrone. Per i parametri co-smologici già citati in precedenza si ha che la superficie di ultimo scattering èin media a zrec = 1089.92± 0.25, circa 380,000 anni dopo il big bang.Il CMB è la radiazione primordiale che ci giunge dalla ricombinazione, af-

fievolita da un fattore ∼1000 in redshift. L’interesse nei suoi confronti è mol-teplice. La sua presenza conferma in modo convincente la teoria del big bangcaldo, secondo la quale il primo Universo era un luogo estremamente denso,caldo ed energetico (nel senso che le particelle erano estremamente energeti-che). La sua temperatura, che viene misurata oggi con una grande precisione,ci dà informazioni sulla storia termica dell’Universo. Il suo spettro ci confer-ma che l’Universo giovane era in equilibrio termodinamico. Ma soprattutto, lamisura delle sue fluttuazioni di temperatura dà informazioni preziosissime suimodelli di formazione delle strutture cosmiche.Se l’Universo fosse perfettamente omogeneo ed isotropo, non ci sarebbero

le galassie e noi non saremmo qui a parlarne. Su piccola scala, l’Universo mo-stra grandi disomogeneità, che diventano sempre più piccole mano mano chela scala si allarga, fino a giungere sulle grandissime scale ad una condizione diomogeneità in accordo con il principio cosmologico. La scala più grande chevediamo corrisponde alla radiazione del CMB, che ci giunge dai 4π steradiantidel cielo. Al momento della ricombinazione, radiazione e materia barionicasono accoppiate, e quindi soggette alle stesse perturbazioni. Su grandi sca-le, appena più piccole dell’orizzonte visibile, queste perturbazioni induconofluttuazioni nella temperatura del CMB, pari a:

δT

T=

1

3

δΦ

Φ(5.30)

dove δΦ/Φ è la fluttuazione del potenziale gravitazionale. La misura del-le fluttuazioni di temperatura del CMB ci dà quindi una misura diretta del-le perturbazioni primordiali; queste successivamente crescono per instabilitàgravitazionale fino a formare le strutture cosmiche a noi note.

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220 Introduzione all’Astrofisica

Negli anni ’80 iniziò la grande corsa alla misura delle fluttuazioni del CMB:queste costituivano un test fondamentale per la teoria del big bang caldo. Mi-surare le fluttuazioni del fondo cosmico è un problema formidabile dal punto divista strumentale, si tratta di misurare differenze di temperatura dell’ordine delµK. Questo rende necessario l’uso di palloni o di satelliti, dato che l’atmosferaassorbe e quindi disturba la radiazione millimetrica (alle frequenze più basseè possibile osservare il CMB anche da terra). Inoltre, la Galassia emette ra-diazione alle stesse lunghezze d’onda, anche se con uno spettro molto diverso:emissione FIR da polvere ed emissione radio di sincrotrone. Per sottrarre que-sta radiazione è necessario misurare la temperatura del fondo in diverse bande,per poi combinare i segnali in modo opportuno così da sottrarre qualsiasi con-tributo che abbia uno spettro diverso da quello di un corpo nero a 2.73 K. I primiesperimenti, su pallone, non riuscirono a rivelare le fluttuazioni del CMB, maprodussero un limite superiore di δT/T < 10−4.L’universo formato da barioni e da fotoni però, per produrre la struttura a

grande scala osservata nella distribuzione delle galassie, richiedeva δT/T ∼10−3 − 10−4. Infatti, perturbazioni di questa ampiezza hanno il tempo, dallaricombinazione ad oggi, di crescere fino a formare la struttura a grande scala(Sez. 6.2). Le misure del CMB mandavano quindi in crisi il modello barionicodell’Universo. A questa crisi si sommavano le evidenze del basso valore diΩb ottenuto dalla nucleosintesi primordiale (Sez. 5.6), e della presenza di unacomponente di materia “oscura” ottenuta dalle curve di rotazione delle galassiea spirale (Sez. 4.4). Se, come vedremo meglio in seguito, i barioni non pos-sono essere più del ∼16% della massa dell’Universo, l’Universo è dominatodalla materia oscura, in forma di un’ignota particella che non interagisce conla radiazione elettromagnetica.La presenza di materia oscura permette di conciliare la struttura a grande

scala con il basso valore delle fluttuazioni di temperatura del CMB. Infatti, laradiazione, che ha un termine di pressione molto importante, non permette allefluttuazioni di crescere. La materia barionica, anche quando diventa gravita-zionalmente dominante, rimane accoppiata alla radiazione fino alla ricombina-zione; le fluttuazioni hanno quindi occasione di crescere solo a partire da zrec.La materia oscura invece, non interagendo con i fotoni, permette alle fluttua-zioni di crescere a partire dall’equivalenza, dove zeq > zrec. Le fluttuazioni ditemperatura misurano le perturbazioni “congelate” del plasma fotoni-barioni azrec, ma i barioni, una volta disaccoppiati dalla radiazione, possono “cadere”nelle buche di potenziale della materia oscura, che nel frattempo hanno avutotempo di crescere da zeq. Di conseguenza, a parità di fluttuazioni di materiaa z = 0, ci aspettiamo nel caso di materia oscura fluttuazioni di temperatura

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V. Cosmologia 221

Figura 5.9. Mappa delle fluttuazioni di temperatura misurate dal satellite COBE.

del CMB più basse di un fattore ∼38. Questi concetti verranno ripresi nellaSez. 6.2.Fu il satellite COBE (COsmic Background Explorer) nel 1992 a misurare

per primo le fluttuazioni del fondo cosmico, su scale angolari di 7◦, ottenendo:δT/T � 1.8× 10−5 (Fig. 5.9). La misura di COBE segnò la terza rivoluzionenella cosmologia moderna, dopo la misura dell’espansione dell’Universo e larivelazione del CMB (e in attesa dell’evidenza di espansione accelerata). An-che questa scoperta, insieme alla misura di precisione dello spettro di corponero del CMB, è stata premiata nel 2006 con il Nobel a Mather e Smoot.La misura delle fluttuazioni su una scala molto grande è solo il primo passo

in un campo, la cosmologia di precisione, che è giunto alla alla piena maturi-tà in questi anni. Abbiamo già introdotto la nozione di orizzonte cosmologicocome la distanza a cui due osservatori possono scambiarsi informazione, datal’età dell’Universo. All’epoca della ricombinazione, l’orizzonte cosmologicoera piccolo, corrispondente ad un angolo di ∼1◦. Le fluttuazioni misurate daCOBE sono quindi genuinamente primordiali, visto che si riferiscono a regionipiù grandi dell’orizzonte di allora. A scale più piccole di∼1◦ intervengono pro-cessi causali molto importanti, che determinano la forma specifica dello spettrodelle fluttuazioni di temperatura. Questo si ottiene come segue. Una volta ot-tenuta una mappa di temperatura del cielo (o di una sua parte), si scomponequesto campo di fluttuazioni in armoniche sferiche:

8Il fattore 3 diventa un fattore 10 seΩM = 1, che come abbiamo visto era il valore di riferimentonegli anni ’80 tra i cosmologi teorici.

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222 Introduzione all’Astrofisica

Figura 5.10. Predizioni per lo spettro delle fluttuazioni di temperatura del CMB infunzione del multipolo �, confrontate con i dati finali dell’esperimento Planck.

δT

T(θ,φ) =

m

a�mY m� (θ,φ) (5.31)

Chiamiamo spettro di potenza delle fluttuazioni C� il valore quadratico medio(su m ed in un piccolo intervallo di �) dei coefficienti a�m. Questo ci dicequanto sono grandi in media le fluttuazioni sulla scala angolare θ ∼ 1/l.Lo spettro delle fluttuazioni viene predetto dai modelli cosmologici, e di-

pende da alcuni parametri, i cui principali sono:

i) ΩM, la densità di materia totale (oscura più barionica) a z = 0;ii) Ωb, la densità di materia barionica a z = 0;iii) ΩΛ, la densità di massa-energia in forma di costante cosmologica a z =

0;iv) ΩK = 1 − ΩM − ΩΛ, detta densità di curvatura perché determina la

geometria dell’Universo (se ΩK = 0 l’Universo è piatto)9;v) h, la costante di Hubble;vi) l’indice spettrale ns delle fluttuazioni primordiali (vedi Sez. 6.2);vii) un’opportuna normalizzazione dello spettro delle perturbazioni.

La Fig. 5.10 mostra lo spettro delle fluttuazioni di temperatura predetto dalmodello cosmologico best-fit in funzione del multipolo �, sovrapposto ai datiosservativi di cui parleremo tra breve. Notiamo come questa curva contengamolta informazione; una misura accurata dello spettro almeno fino ad � ∼2000

9Alla materia e alla costante cosmologica andrebbero aggiunti radiazione e neutrini, che peròhanno densità di massa trascurabili.

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V. Cosmologia 223

è capace quindi di vincolare i parametri cosmologici in modo molto preciso. Sinota la presenza di picchi, detti picchi acustici. Questi sono generati dalle ondeacustiche che si propagano nel plasma di barioni e fotoni accoppiati. Questeoscillazioni si propagano alla velocità cs del suono in un plasma ionizzato, cheè pari a c/

√3.

Analogamente alla definizione di orizzonte cosmologico, possiamo definirel’orizzonte sonoro alla ricombinazione come ds = cstrec, cioè la distanza cheun’onda sonora riesce a percorrere dal big bang fino alla ricombinazione. Sipuò dimostrare che la posizione del primo picco acustico misura l’angolo sot-teso dall’orizzonte sonoro alla ricombinazione. Dati i parametri cosmologici,la lunghezza dell’orizzonte sonoro si può facilmente calcolare, e quindi usarecome regolo standard. L’angolo sotteso dall’orizzonte sonoro, ovvero l’angoloa cui misureremo il primo picco, dipende soprattutto dalla geometria globaledell’Universo, ovvero da Ωtot = 1− ΩK: se l’Universo è piatto, ci aspettiamoil picco centrato su � ∼ 200, mentre se l’Universo è aperto l’angolo sottesodall’orizzonte sonoro sarà minore e il primo picco si sposterà a � maggiori. Ipicchi secondari, corrispondenti ad oscillazioni armoniche, sono importanti siaperché sono assenti in alcuni scenari cosmologici alternativi, sia perché per-mettono di vincolare Ωb; il rapporto tra la prima oscillazione armonica e lesuccessive dipende infatti in modo critico dalla densità di barioni.Dopo i risultati di COBE, molti progetti furono dedicati alla misura sempre

più accurata delle fluttuazioni del fondo cosmico. Il primo picco acustico fuosservato per la prima volta inmodo convincente dall’esperimento Boomerang,

Figura 5.11. Mappa delle fluttuazioni della temperatura del CMBmisurata dal satellitePlanck.

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224 Introduzione all’Astrofisica

su pallone aerostatico, mentre le misure più complete sono state fornite primadal satellite NASA WMAP e poi dal satellite ESA Planck; quest’ultimo haprodotto la migliore mappa di temperatura su tutto il cielo (Fig. 5.11), con unarisoluzione di 5 arcominuti. La Fig. 5.10 mostra lo spettro delle fluttuazioniangolari di temperatura misurato da Planck; i picchi acustici sono determinatiin modo molto accurato, e la loro posizione risulta perfettamente compatibilecon un Universo piatto. Sono chiaramente visibili i picchi secondari fino alsettimo. Queste misure hanno permesso di giungere alle seguenti conclusioni(basate sui risultati definitivi della missione):

i) Le fluttuazioni del CMB sono ben riprodotte dal modello ΛCDM basatosumateria oscura fredda, che definiremomeglio nella Sez. 6.2, e costantecosmologica.

ii) Dalla posizione del primo picco acustico si ottiene la stima più precisamai ottenuta per la densità totale dell’Universo:

ΩK = 1− Ωtot = 0.001± 0.002. (5.32)

iii) Si ottiene inoltre una stima della densità di materia barionica:

Ωbh2 = 0.02237± 0.00015 (5.33)

iv) Risultano del tutto esclusi i modelli con ΩM = 1, mentre il modellodi best-fit ha parametri ΩM = 0.315 ± 0.007 e ΩΛ = 0.685 ± 0.007,compatibile con i risultati delle SNe lontane.

v) Come già discusso, la costante di Hubble risulta H0 = 67.4 ± 0.5 kms−1 Mpc−3, in tensione con la determinazione basata sugli indicatori didistanza.

Un risultato molto interessante della misura delle fluttuazioni del CMB èla misura dell’indice spettrale delle fluttuazioni primordiali. Questa quantitàverrà definita nella Sez. 6.2, adesso ci limitiamo a notare che la predizionepiù “naturale” dello spettro di perturbazioni primordiali, corrispondente ad unrumore bianco nelle perturbazioni del potenziale, darebbe un indice spettralens uguale ad uno. Con Planck si ottiene:

ns = 0.9649± 0.0042 (5.34)

significativamente diverso dal valore naturale. Questa evidenza ci dà informa-zioni molto preziose sull’Universo primordiale.La luce del CMB ci arriva con un piccolo grado di polarizzazione, che con-

tiene molte informazioni; lo studio dello spettro di potenza delle componenti

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V. Cosmologia 225

polarizzate è la nuova frontiera delle misure del CMB. Questa polarizzazionepermette da una parte di sondare il comportamento delle sorgenti che influen-zano il CMB dopo la ricombinazione (“foregrounds”); permette per esempio divincolare la reionizzazione dell’idrogeno che avviene a redshift z ∼ 8, di cuiparleremo nella Sez. 6.5. Una parte di questo segnale, difficilissima da misura-re, permette invece di rivelare un’eventuale fondo cosmico di onde gravitazio-nali. Come vedremo in seguito, questo fondo di onde gravitazionali potrebberivelare particolari cruciali per la fisica dei primissimi istanti dell’Universo.

5.5 Il primo Universo

Seguiamo adesso l’evoluzione dell’Universo a partire dal big bang. È utilericordare che non possiamo fare nessuna osservazione diretta di quelle epoche.Tuttavia la configurazione di Universo che osserviamo dipende in modo criticoda quello che è accaduto nei primi istanti, e questo ci permette di vincolare inmodo indiretto alcune predizioni del modello cosmologico.Come già accennato in precedenza, non possiamo partire da t = 0: in quel-

l’istante la densità dell’Universo risulta infinita, e così la sua temperatura; con-sidereremo il big bang come l’estrapolazione della fisica che conosciamo al-l’istante in cui il fattore di scala diventa a = 0, estrapolazione che porta aconseguenze chiaramente non fisiche. Per energie E > 1.22 × 1019 GeV perparticella ha luogo l’epoca della gravità quantistica, la quale termina (formal-mente) al tempo di Planck, tPl =

�G�/c5 � 5.39× 10−44 s dopo il big bang.

Sono state sviluppate teorie che tentano di descrivere l’Universo in queste con-dizioni, con conclusioni a volte affascinanti ma in nessun modo vincolabilidalle osservazioni.Ad energie più basse, tra 1019 e ∼1016 GeV, si ritiene che tre forze fon-

damentali (elettromagnetica, nucleare forte e debole) siano unificate secondouna Teoria della Grande Unificazione (Grand Unification Theory, GUT). Sonostate proposte diverse GUT, ma le loro predizioni riguardano energie che so-no completamente al di fuori di quelle accessibili in laboratorio, ben superioriperfino ai raggi gamma di energia più alta. Una conclusione sembra inevita-bile, a quelle energie le particelle erano soggette a simmetrie maggiori delleparticelle a noi note oggi. Per esempio, esistevano due sole forze fondamentali(gravità e forza unificata), e possibilmente vigeva la supersimmetria tra bosonie fermioni.L’elevato grado di simmetria della GUT non si riscontra nella fisica attuale.

Infatti, ad energie più basse di quelle in cui vige la GUT assistiamo alla rotturaspontanea delle simmetrie. Questo processo viene ben illustrato dal seguen-

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226 Introduzione all’Astrofisica

te esempio (Fig. 5.12). Consideriamo un sistema φ soggetto ad un potenzialeV (φ), dipendente dalla temperatura T , che ha un minimo a φ = 0 ed è sim-metrico attorno a quel punto. Il sistema potrà oscillare liberamente attorno aφ = 0, la simmetria impedisce di distinguere tra φ positivi e φ negativi. Que-sta configurazione può essere quella di un campo quantistico (per semplicitàscalare); i modi normali di oscillazione corrisponderanno allora alle particel-le elementari che il campo può generare. Supponiamo adesso che, quando latemperatura diminuisce, il potenziale evolva in modo da presentare due mini-mi simmetrici a valori −φ0 e φ0. Il campo si sposterà dalla sua posizione diequilibrio precedente e si porrà in uno dei due nuovi minimi. Tutto il sistema èsimmetrico rispetto a φ, e con esso la probabilità di cadere in un minimo piut-tosto che nell’altro. Però il campo deve scegliere in quale minimo andare, e laposizione finale non è simmetrica rispetto a φ.Nel caso dei campi quantistici, la posizione del minimo corrisponde al-

la configurazione di vuoto. Quando il potenziale efficace del campo evolvecreando nuovi minimi, il campo decide (a caso) di andare in una delle duenuove configurazioni di equilibrio, che sono equivalenti ma non uguali. Lanuova configurazione di vuoto non sarà più simmetrica rispetto ad x; la sim-

��

�� ��

�� ��

�� ��

Figura 5.12. Meccanismo di rottura spontanea delle simmetrie: il potenziale di uncampo φ evolve con la temperatura, passando da un minimo in φ = 0 a due minimi inposizione simmetrica; il passaggo del campo a uno dei due nuovi minimi determina larottura spontanea della simmetria.

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V. Cosmologia 227

metria si è rotta. La conseguenza pratica di una rottura spontanea di simmetriaè che alla fine ci troviamo con particelle diverse, con un grado meno elevatodi simmetria. Nel caso dell’unificazione elettro-debole, che è verificata dagliesperimenti, la configurazione finale vede la particella soggetta a due forze,elettromagnetica e nucleare debole, con caratteristiche diverse da quelle chevigono ad alte energie. Contemporaneamente, gli elettroni acquistano massagrazie al meccanismo di Higgs.Un esempio un po’ meno esotico di rottura spontanea di simmetria è il se-

guente: se riscaldiamo un ferromagnete magnetizzato, l’energia termica ran-domizza i momenti magnetici degli atomi del metallo, che così si smagnetizza.Quando il materiale si raffredda, i momenti magnetici tendono a riallinearsi tradi loro; la configurazioni con momenti allineati corrisponde ad un nuovo mini-mo di energia. Qualsiasi direzione va bene (simmetria), ma gli atomi devonodeciderne una particolare; la simmetria viene spontaneamente rotta. In puntidiversi del ferromagnete gli atomi potranno decidere di allinearsi lungo direzio-ni diverse; questo creerà dei domini in cui i momenti magnetici sono allineatisecondo una certa direzione, e delle superfici di discontinuità tra i domini, doveil campo magnetico cambia direzione.Analogamente al caso del ferromagnete, un campo quantistico rompe la

simmetria in modi diversi in punti diversi dello spazio. Alla rottura di unasimmetria la configurazione di vuoto sarà la stessa all’interno di un dominio,ma cambierà da dominio a dominio, creando discontinuità alle interfacce. Lediscontinuità così create vengono chiamate difetti topologici. La topologia deidifetti (muri, stringhe, monopoli), dipende dal tipo (gruppo) di simmetria rotto.Ad ogni rottura spontanea di simmetria corrisponde una transizione di fase,

causata dal fatto che la materia si comporta in modo diverso prima e dopola rottura. L’epoca che vede la rottura delle simmetrie viene infatti chiamataepoca delle transizioni di fase. L’energia tipica a cui si rompono le simmetriedella GUT è attorno ai ∼1015 GeV, corrispondente a ∼10−37 s dopo il bigbang. Durante queste transizioni di fase si creano immancabilmente difettitopologici, i quali hanno la caratteristica di immagazzinare energia. Nei primianni ’80, il calcolo della densità di energia in alcuni di questi oggetti davarisultati insensati: l’Universo odierno avrebbe dovuto essere completamentedominato da monopoli, che in realtà non vediamo. Dove sono finiti?Mettiamo adesso a fuoco alcuni problemi fondamentali del modello del big

bang caldo. L’Universo oggi ci appare piatto. Ma durante la sua evoluzione,qualsiasi piccola deviazione dalla piattezza è destinata ad amplificarsi fino adarrivare ad un Big Crunch o ad un universo praticamente vuoto (Fig. 5.4). Perottenere un universo approssimativamente piatto, ponendo le condizioni ini-

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228 Introduzione all’Astrofisica

ziali su ΩM all’epoca di Planck, abbiamo due possibilità: (1) imponiamo dasubito che l’universo sia piatto; ma perché questa geometria particolare? (2)imponiamo che l’universo sia all’epoca attuale quasi piatto; in questo caso lecondizioni iniziali devono essere specificate con una precisione di circa unaparte su 1060 (fine tuning), il che è innaturale. C’è un motivo dinamico per lapiattezza dell’Universo?Il fondo cosmico nelle microonde ci appare estremamente isotropo su 4π

steradianti; questo indica che tutto l’Universo che oggi è visibile fosse terma-lizzato già alla ricombinazione, il che implica uno scambio molto elevato diinformazione. Tuttavia, l’orizzonte cosmologico alla ricombinazione sottendeun arco di appena ∼1◦, che vuol dire che parti del fondo cosmico a distanzeangolari maggiori non avevano mai scambiato informazioni. Come mai zonedell’Universo che alla ricombinazione non erano in contatto causale ci risulta-no avere la stessa temperatura con una precisione migliore di ∼10−5? Questoviene chiamato il problema dell’orizzonte.Quale meccanismo ha generato le fluttuazioni primordiali, che osserviamo

nel CMB e che hanno dato origine a tutte le strutture cosmiche, e in ultimaanalisi a noi stessi?Esiste una teoria che dà una spiegazione naturale a tutti questi problemi:

scomparsa dei difetti topologici, problema della piattezza, problema dell’oriz-zonte, origine delle fluttuazioni primordiali. Per discuterla dobbiamo ripren-dere il concetto di orizzonte. L’orizzonte delle particelle definisce la massimadistanza raggiunta da un segnale che parte a t = 0 e viaggia alla velocità dellaluce; ignorando l’opacità dei primi istanti, possiamo visualizzare questo oriz-zonte come la distanza della galassia più lontata che possiamo osservare. Maosservare non vuol dire scambiare informazione inmodo reciproco, cosa neces-saria per esempio per raggiungere la termalizzazione. Introduciamo il concettodi orizzonte di Hubble, come la distanza massima a cui le particelle riescono ascambiare informazione in modo reciproco.Se l’espansione cosmica è decelerata dalla gravità, come accade quando

dominano materia o radiazione, in un sistema di coordinate comoventi con l’e-spansione (in cui un volume fissato contiene sempre la stessa quantità di massa-energia), l’orizzonte di Hubble guadagna sempre terreno, con la conseguenzache sempre nuove regioni di spazio entrano in contatto causale reciproco. Seinvece l’espansione è accelerata, come accade quando per qualche motivo do-mina un termine di costante cosmologica, l’orizzonte comovente di Hubble sirimpicciolisce, e zone che erano in contatto causale si ritrovano isolate.Per risolvere i problemi esposti sopra l’universo deve passare attraverso una

fase di espansione accelerata, detta inflazione, che ne gonfi il fattore di scala

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di almeno un fattore e60. La fine dell’epoca della GUT sembra un momentopropizio per una fase di inflazione, che può essere causata da una transizio-ne di fase. Se questo è avvenuto, tutto l’Universo osservabile oggi è stato, inepoca remota, in equilibrio termodinamico, e questo spiega in modo naturaleperché il CMB è così isotropo; l’orizzonte di Hubble è diminuito drasticamentedurante l’inflazione, isolando zone che erano già alla stessa temperatura. L’in-flazione diluisce a morte qualsiasi tipo di difetto topologico presente; in effettiqualsiasi specie di particella esistente in precedenza scompare, e tutte le parti-celle successive vengono rigenerate alla fine dell’inflazione da un meccanismochiamato reheating, ancora molto discusso, dove il campo quantistico che hacausato l’inflazione, l’inflatone, si riaccoppia a tutti gli altri campi, decadendoin tutte le particelle del nostro Universo osservabile. L’inflazione “diluisce”anche il termine di curvatura ΩK, ovvero rende enorme, ben più grande dell’o-rizzonte visibile, un eventuale raggio di curvatura iniziale, per cui alla fine diun periodo di inflazione l’Universo risulta (quasi) piatto, qualsiasi fossero lecondizioni iniziali, e questo spiega la piattezza dell’Universo. Infine, l’infla-zione viene causata dalla rottura di simmetria di un campo quantistico, il qualepresenterà fluttuazioni dovute al principio di indeterminazione di Heisenberg.Nel caso di espansione accelerata, queste fluttuazioni possono diventare “clas-siche”, ovvero delle vere e proprie fluttuazioni del potenziale gravitazionale,secondo un processo (molto discusso anche questo) detto decoerenza quan-tistica. Reheating e decoerenza quantistica sono attualmente punti aperti nelparadigma dell’inflazione, e quindi del modello cosmologico.La critica che di solito si muove alla teoria dell’inflazione è la sua carenza

di predizioni verificabili. Dato che l’inflazione si basa su una transizione difase che avviene nel contesto di una fisica non nota, non esiste una teoria del-l’inflazione, ne sono state proposte più di un centinaio. Ciononostante, ci sonoalcune predizioni comuni a gran parte delle teorie d’inflazione:

i) l’Universo è (quasi) piatto,ii) l’indice spettrale primordiale ns è minore di uno, ∼ 0.90− 0.99,iii) si può generare un fondo cosmico di onde gravitazionali.

La misura di ΩK = −0.011±0.013 e, soprattutto, di ns = 0.9649±0.0042 ri-sultano attualmente le più forti verifiche osservative dell’inflazione. Come giàaccennato nella Sez. 5.4, il fondo di onde gravitazionali potrebbe essere rivela-to dalle prossime misure di polarizzazione del CMB. Una rivelazione darebbeun formidabile supporto al paradigma dell’inflazione e permetterebbe di esclu-dere moltissime delle teorie proposte. La cosmologia di precisione sta quindirendendo l’inflazione qualcosa di più solido di una interessante speculazio-ne; d’altra parte, dal 1998 un’espansione accelerata non appare più un evento

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esotico, dato che è quello che sta accadendo nell’epoca attuale. Va detto chela predizione più naturale dell’inflazione sarebbe ΩM = 1, e il modello conΩM = 0.315 e ΩΛ = 0.685 solleva due problemi. Bisogna regolare le con-dizioni iniziali per ottenere questi parametri a t0: questo potrebbe richiedereancora fine tuning. Bisogna anche capire perché viviamo proprio nell’epoca acui le due densità di energia sono confrontabili. Qui la risposta potrebbe esseredata dal principio antropico applicata ad un’idea di multiverso: nella moltitudi-ne di universi possibili e realizzati (ben oltre l’orizzonte), la richiesta di avere lecondizioni per lo sviluppo della vita seleziona quelli in cui il termine di costantecosmologica entra in gioco solo dopo che si sono formate le galassie.

5.6 Bariogenesi e nucleosintesi primordiale

Ad energie più basse, ∼1014 GeV (t ∼ 10−35 s), la simmetria della GUT èrotta e permangono solo simmetrie più ridotte: la simmetria elettrodebole e lasimmetria di colore. Il modello standard delle interazioni fondamentali preve-de allora la presenza di 3 famiglie di particelle di spin 1/2 e dei bosoni vettori(spin 1) che originano le forze elettrodebole (bosoni W±,0 e B) e nucleareforte (gluoni). Ciascuna famiglia di particelle contiene leptoni, al momentonon massivi e soggetti solo alla forza elettrodebole, e quark, massivi e sog-getti a entrambe le forze. Queste particelle, essendo fortemente accoppiate,sono in equilibrio termodinamico e costituiscono il cosiddetto brodo termicoprimordiale.Le alte temperature, a cui valgono la simmetria di colore e elettrodebole,

sono superiori alla massa di molte delle particelle del modello standard. Sonoquindi possibili reazioni che portano a creazione di coppie fermione – anti-fermione, assieme alle loro reazioni inverse. In condizioni di equilibrio ognispecie del brodo termico ha circa la stessa densità in numero, con una piccoladipendenza dalla statistica (Fermi-Dirac o Bose-Einstein). Di conseguenza, cidoverebbe essere un numero particelle uguale al numero di antiparticelle. Sela simmetria particella/antiparticella fosse totale, all’epoca attuale resterebbe-ro solo fotoni, più i neutrini che si disaccoppiano dal brodo termico ad energiemolto maggiori della loro massa. Se così fosse, la materia barionica sarebbeassente e noi non saremmo qui a parlarne. Occorrerà allora che sussista unaasimmetria tra numero di particelle e antiparticelle. Tale asimmetria si misuradal rapporto di barioni su fotoni η = nb/nγ (Eq. 5.29), già introdotta nellaSez. 5.4. Ciò significa che nel brodo primordiale ogni due miliardi di anti-quark di un certo tipo esistevano due miliardi di corrispondenti quark più uno.I teorici delle interazioni fondamentali hanno cercato la causa di questa minima

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violazione della simmetria per coniugazione di carica, chiamata bariognenesi,ma una soluzione certa e concorde non è stata ancora individuata. Di solito siassume che la bariogenesi sia avvenuta ad energie di∼1015 GeV (t ∼ 10−36 s),e che (per la neutralità di carica) sia stata accompagnata da una corrispondenteleptogenesi per gli elettroni.È possibile dimostrare che l’inverso di η è proporzionale alla densità di en-

tropia per barione presente oggi nell’Universo. Quindi, la maggior parte del-l’entropia dell’Universo risiede oggi nei fotoni del CMB. Questa densità co-movente di entropia si conserva durante l’espansione, i soli momenti in cuientropia può essere prodotta nel cosmo primordiale sono associati alle transi-zioni di fase. L’unica transizione di fase che deve ancora avvenire al di sottodi 1014GeV è la transizione elettrodebole, la quale non può portare ad un si-gnificativo incremento dell’entropia. Quindi l’entropia oggi presente nel CMBe nel fondo neutrinico deve derivare dalle transizioni di fase nei primi istantidell’Universo.A 100 Gev, 10−10 s dopo il big bang, la simmetria della forza elettrodebo-

le si rompe. Questa rottura di simmetria prescrive l’intervento dei bosoni diHiggs, rivelati nel Large Hadron Collider di Ginevra nel 2012, che sono parti-celle scalari (spin 0) e che sono responsabili per la massa dell’elettrone. Questarottura spontanea dovrebbe produrre difetti topologici lineari, detti stringhe co-smiche, che sono però destinate a decadere in breve tempo. Dopo questo even-to l’Universo contiene tutte le particelle previste dal modello standard a basseenergie: le tre famiglie di quark, le tre famiglie di leptoni (elettroni, muoni,tauoni e i relativi neutrini), gluoni, fotoni e bosoni dell’interazione debole, piùla particella di materia oscura che non fa parte del brodo termico e che con-tribuisce alla densità di massa-energia in modo trascurabile. I fermioni sonopresenti in coppia particella-antiparticella finché la loro massa è inferiore allatemperatura, altrimenti le coppie si annichilano lasciando indietro solamentel’eventuale eccesso di materia prodotto dalla bariogenesi.Il successivo passaggio fondamentale verso l’universo attuale si compie con

il confinamento dei quark in adroni. La forza nucleare forte è molto diversa daquella elettrostatica, invece di diminuire come r−2 aumenta con la distanza r.La transizione della materia da plasma di quark e gluoni a plasma adronicosi compie si compie quando l’espansione cosmica rende eccessiva la distanzatra quark. La temperatura a cui ciò avviene si calcola essere Tqh ∼ 170MeV.Questo confinamento ha preso il nome di transizione quark–adroni, ed è statoconsiderato l’ultima delle transizioni di fase; i risultati più recenti indicano chequesta non è una vera transizione di fase, piuttosto un processo graduale comela ricombinazione dell’idrogeno. Al di sotto di Tqh sopravvive per breve tempo

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232 Introduzione all’Astrofisica

una piccola componente di mesoni π di massa ∼140 MeV, mentre i barioni(massa ∼900 MeV) che si producono sono composti dal piccolo eccesso diquark creato dalla bariogenesi.Prima di conoscere bene la natura delle forze nucleari forti, era stata ipotiz-

zata l’esistenza di un’epoca adronica, in cui, accanto ai fotoni e ai leptoni eranopresenti nel brodo termico particelle adroniche, protoni, neutroni e pioni e leloro antiparticelle. Di fatto, gli adroni non danno mai un contributo dominantealla densità di energia, l’epoca che segue il confinamento dei quark è l’epocaleptonica, in cui la densità di massa-energia è dominata dalle coppie elettroni-positroni (leptoni µ e τ si annichilano ad energie più alte) e dai neutrini, a cui siaggiungono i fotoni; protoni e neutroni, non-relativistici in questa fase, dannoun contributo trascurabile, ma sono in equilibrio con il brodo termico.In questa epoca avviene un evento importante: i neutrini, che fino a quel

momento erano stati in equilibrio termodinamico con il resto della materia, ad∼ 1 MeV (0.7 s) si disaccoppiano, costituendo un fondo cosmico analogo aquello dei fotoni ma di temperatura più bassa (oggi ∼ 2.0 K). A ∼ 0.5Mev (5s) si annichilano le coppie elettrone-positrone in eccesso, lasciando un residuodi e−. Qui l’epoca leptonica finisce, e inizia l’epoca radiativa, dove la densitàdi massa-energia dell’Universo è dominata dai fotoni, in equilibrio termico conbarioni ed elettroni residui. Questa epoca dura fino all’equivalenza.L’inizio dell’epoca radiativa è il momento in cui avviene la nucleosintesi

primordiale, detta anche nucleosintesi del big bang. La motivazione principaledella nucleosintesi primordiale sta nel valore dell’abbondanza dell’elio: abbia-mo visto come l’eliosismologia (Sez. 2.4) ci fornisca una misura precisa dellafrazione di massa in elio nel Sole, Y = 0.249. L’abbondanza primordiale sipuò ottenere notando che l’abbondanza di 4He nelle stelle, misurato tramiterighe di assorbimento, diminuisce linearmente con la metallicità della stella;un’estrapolazione a metallicità nulle dà Yprim = 0.24. La nucleosintesi stellarenon produce elio (bruciato in elementi più pesanti oppure mantenuto all’internodelle stelle più piccole), per cui la nucleosintesi di questo elemento, così comedegli elementi più leggeri fino al 7Li, deve essere primordiale.Per la sua semplicità, e per la sua capacità di riprodurre l’abbondanza de-

gli elementi leggeri, la nucleosintesi primordiale rappresenta uno dei pilastrifondamentali della teoria del big bang caldo. Partiamo dall’inizio dell’epocaleptonica; dopo la loro sintesi avvenuta nella transizione quark-adroni, pro-toni e neutroni rimangono in equilibrio termodinamico con elettroni, fotoni eneutrini. Le reazioni che permettono questo equilibrio sono le seguenti:

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n → p+ e− + ν̄ (5.35)

ν + n � p+ e− (5.36)

e+ + n � p+ ν̄ (5.37)

Il rapporto tra numero di neutroni e numero di protoni viene regolato dall’e-quazione di Boltzmann:

Nn

Np= exp

�−(mn −mp)c

2

kT

�(5.38)

Come abbiamo appena visto, a 1 MeV (0.7 s), quando T ∼ 1010 K, i neutri-ni si disaccoppiano, rendendo queste reazioni improbabili con l’eccezione deldecadimento β; in questo momento il rapporto tra protoni e neutroni si congelaal valore Nn/Np ∼ 0.2. La temperatura al momento del disaccoppiamentodei neutrini dipende dal loro numero, e quindi dal numero di famiglie di parti-celle elementari, dato che abbiamo una coppia neutrino–antineutrino per ognifamiglia; questa dipendenza si propaga a Nn/Np. Successivamente i neutro-ni possono decadere, ma il tempo scala di decadimento β, di ∼15 minuti, è∼103 volte l’età dell’Universo a questa epoca. I neutroni hanno quindi il tem-po di combinarsi con i protoni liberi; come nel ciclo PP delle stelle (Sez. 2.3),le reazioni hanno come risultato più stabile i nuclei di 4He. Una prima stimadel numero di nuclei di 4He si può ottenere supponendo che tutti i neutroni sicombinino in nuclei di elio; considerando 10 p per ogni 2 n, si ottiene 1 nucleodi 4He ogni 12 nucleoni, cioè Y � 0.33, non molto diverso dal valore 0.24misurato per l’elio primordiale.La prima reazione che avviene è quella della produzione del deuterio. In

condizioni di equilibrio:

p+ n � 21H + γ (5.39)

Rispetto al ciclo PP, la presenza di neutroni liberi rende questa reazione mol-to più conveniente della reazione protone-protone. L’energia che si libera inquesta reazione di fusione è di 2.2MeV. Però il piccolissimo valore di η, ovve-ro il grande numero di fotoni per barione, rende molto probabile avere fotonidi energia superiore ai 2.2 MeV, anche a temperatura relativamente basse. Diconseguenza il deuterio prodotto non si accumula finché la temperatura nonscende sotto il T � 100 keV (t � 130 s). Questo ritardo nell’inizio della nu-cleosintesi è chiamato il collo di bottiglia del deuterio; è chiaro che la frazionedi neutroni persi per decadimento β non è trascurabile.

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234 Introduzione all’Astrofisica

La nucleosintesi primordiale studia l’abbondanza dei nuclei generati nei pri-mi∼5 minuti dell’Universo, prima cioè che temperatura e densità diventasserocosì basse da rendere ulteriori fusioni improbabili. In quelle condizioni riesco-no a formarsi elementi leggeri, comeD, 3He, 4He e 7Li. L’abbondanza finaledi questi elementi dipende in modo sensibile da due parametri:

i) l’abbondanza dei barioni, misurata in funzione del numero di fotoni,

η =nbnγ

� 2.68× 10−8(Ωbh2) (5.40)

ii) il numero di specie di neutrini.

Se il numero dei barioni è alto, i nuclei di D hanno un’alta probabilità difondersi per formare nuclei di 4He; analogo discorso vale per i nuclei di 3He.L’abbondanza diD dipende quindi in modo sensibile da η, comemostrato nellaFig. 5.13. Di conseguenza, una misura delD primordiale determina valore del

Figura 5.13. Determinazione dell’abbondanza cosmica di barioni tramite il confrontotra le predizioni della nucleosintesi primordiale e i dati delle abbondanze cosmiche de-gli elementi. Notare come la predizione dell’abbondanza di 4He dipenda dal numerodi famiglie di neutrini Nν .

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parametro cosmologicoΩbh2. IlD è sostanzialmente distrutto dalla nucleosin-tesi stellare, per cui la sua abbondanza primordiale può essere misurata diretta-mente in ambienti chimicamente poco evoluti. Stime ottenute nel sistema sola-re (dai meteoriti), dai raggi cosmici, dall’assorbimento del mezzo interstellarenei dintorni solari, dallo studio del Sole, nonché dai sistemi di assorbimento adalto redshift (Sez. 6.5), indicano che D/H , l’abbondanza relativa del deuteriorispetto all’idrogeno, è ∼ 2 − 4 × 10−5, da cui η ∼ 4 − 7 × 10−10. L’ar-gomento si può rafforzare utilizzando l’3He, nonché gli elementi più pesanti.Attualmente una buona stima per Ωbh2 è

Ωbh2 = 0.023± 0.002 (5.41)

Questa stima è in ottimo accordo con quella ottenuta dalle fluttuazioni del CMB(Sez. 5.4), che ha però un errore più piccolo.Questa stima diΩb è estremamente importante. Perh = 0.674,Ωb = 0.049,

cioè il ∼ 16% della materia totale dell’Universo, se ΩM = 0.315. Se questoè vero, vuol dire che l’84% della materia non è sotto forma barionica, il cheè consistente con l’analisi delle fluttuazioni del CMB. La nucleosintesi risultatutt’ora una delle più forti evidenze in favore di una componente di materiaoscura non barionica.L’abbondanza di 4He dipende sensibilmente dal numero di specie di neutri-

ni; questo determina la temperatura di disaccoppiamento degli stessi, e quindiil rapporto tra neutroni e protoni. Il valore stimato per l’abbondanza di 4He èY � 0.25, e quindi per η > 4× 10−10 si ottiene un buon fit solo per 3 speciedi neutrini (Fig. 5.13). La cosmologia aveva prodotto questa predizione primadei grandi esperimenti di fisica delle alte energie.Alla fine dei suoi primi minuti di vita, l’Universo è pieno di nuclei leggeri,

elettroni, fotoni, neutrini e materia oscura. La componente dominante rimanequella dei fotoni, prodotti in abbondanza alla bariogenesi. Dopo ∼40000 annila radiazione si è già affievolita, ed inizia l’epoca del dominio della materia(siamo naturalmente all’equivalenza), mentre dopo ∼380,000 anni l’Univer-so si (ri)combina, ed inizia l’epoca in cui possiamo fare osservazioni dirette.Infine, a t ∼10 Gyr, inizia l’ultima fase, l’epoca del dominio della costantecosmologica (o dell’energia oscura).La tabella qui sotto riassume la storia dell’Universo appena esposta.

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236 Introduzione all’Astrofisica

Tabella 5.1. Fasi principali della storia termica dell’Universo.

Epoca t (s) E (GeV) T (K) EventiGravitàquantistica 5.4 · 10−44 1.2 · 1019 1032 fine dell’epoca

10−37 1015 1028 rotture di simmetria,Transizioni inflazionedi 10−36 1015 1028 bariogenesifase 10−35 1014 1027 fine GUT

10−10 100 1015 rottura elettrodebole10−4 170 MeV 3 · 1012 conf. quark-adroni

Leptonica 5 · 10−3 130 MeV 1.5 · 1012 annichilazione π+π−

0.7 1 MeV 1010

5 0.5 MeV 5 · 109 annichilazione e+e−

Radiazione 2-3 min 0.1 MeV 109 nucleosintesi prim.4 · 104 yr 2-3 eV 104 equivalenza

Materia 3.8 · 105 yr 0.7 eV 3000 ricombinazione10 Gyr 10−3 eV 3.6 dominio di Λ

Λ 13.8 Gyr 7 · 10−4 eV 2.73 oggi

5.7 Esercizi

1. Calcolare il tempo di Hubble t0 = 1/H0 in yr, con H0 = 100 h km s−1

Mpc−1. Quanto vale per h = 0.674?2. Supponiamo che le stelle nell’Universo siano distribuite in modo omo-

geneo, e che la loro densità cosmica si possa stimare ipotizzando una densità digalassie di 10−2 Mpc−3, ognuna ospitante 1010 stelle come il Sole. Calcolarela distanza tipica l alla quale una linea di vista interseca la superficie di unastella. Come si confronta con un orizzonte cosmico di ∼10 miliardi di anniluce?3. Quanto deve essere grande una sfera omogenea, di densità uguale al-

la densità media dell’Universo per contenere la massa totale della Via Lattea,∼1012 M�?4. Considerando che un termine di costante cosmologica implica una den-

sità di energia costante uΛ = c2Λ/8πG, come dobbiamo cambiare la dimo-strazione della seconda equazione di Friedmann presentata nella Sez. 5.2 pertenere conto della costante cosmologica?