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Universit` a degli Studi di Roma Tor Vergata Facolt`a di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali Corso di Laurea Magistrale in Fisica Il legame degli ioni Cu(II) e Zn(II) con il peptide β -amiloide Uno studio con spettroscopia di assorbimento dei raggi X Relatori: Prof.ssa Silvia Morante Dott. Francesco Stellato Candidato: Emiliano De Santis Sessione di laurea 01 Giugno 2015 Anno Accademico 2013/2014

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Universita degli Studi di Roma Tor VergataFacolta di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali

Corso di Laurea Magistrale in Fisica

Il legame degli ioni Cu(II) e Zn(II) con il peptide

β-amiloide

Uno studio con spettroscopia di assorbimento dei raggi X

Relatori:

Prof.ssa Silvia Morante

Dott. Francesco Stellato

Candidato:

Emiliano De Santis

Sessione di laurea 01 Giugno 2015

Anno Accademico 2013/2014

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Indice

1 Le proteine 1

1.1 Descrizione chimica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1

1.2 Livelli strutturali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6

1.3 Il folding delle proteine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

1.4 Misfolding e patologia correlate . . . . . . . . . . . . . . . . . 14

2 La malattia di Alzheimer 17

2.1 Descrizione clinica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

2.2 Eziologia della malattia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

2.3 Morfologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20

2.3.1 Placche senili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

2.3.2 Ammassi neurofibrillari . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22

2.4 Il peptide β − Amiloide . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

2.4.1 Biosintesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

2.4.2 Struttura primaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

2.4.3 Struttura secondaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

2.4.4 Interazione tra il peptide Aβ e gli ioni metallici . . . . 27

2.4.5 Complessi Cu− Aβ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29

2.4.6 Complessi Zn− Aβ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29

3 Spettroscopia XAS 31

3.1 Assorbimento dei raggi X . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31

3.2 Descrizione semiclassica dell’interazione tra radiazione e materia 35

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INDICE

3.2.1 Calcolo dell’elemento di matrice nell’approssimazione

di dipolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38

3.3 Equazione EXAFS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43

3.3.1 Derivazione euristica in approssimazione di singolo scat-

tering . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43

3.3.2 Contributi di multiplo scattering . . . . . . . . . . . . 46

3.4 Apparato sperimentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48

3.4.1 Radiazione di sincrotrone . . . . . . . . . . . . . . . . . 48

3.4.2 Ottiche e rivelatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51

3.4.3 Misura del coefficiente di assorbimento . . . . . . . . . 55

3.4.4 Misure in trasmissione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56

3.4.5 Misure in fluorescenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58

4 Analisi dei dati 61

4.1 Spettroscopia EPR sul complesso Cu/Zn− Aβ1−16 . . . . . . 62

4.2 Descrizione dei campioni sottoposti a XAS . . . . . . . . . . . 66

4.3 Preparazione dei campioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67

4.4 Acquisizione del segnale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70

4.5 Estrazione della χ(k) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73

4.6 Analisi regione EXAFS: teoria . . . . . . . . . . . . . . . . . 77

4.7 Analisi qualitativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81

4.7.1 Confronto dei campioni aventi diverse concentrazioni

relative peptide/metalli, preparati usando la stessa pro-

cedura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81

4.7.2 Confronto dei campioni aventi la stessa concentrazioni

relativa peptide/metalli ma preparati seguendo proce-

dure diverse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84

4.7.3 Conclusioni dell’analisi qualitativa . . . . . . . . . . . . 87

4.8 Analisi quantitativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88

4.8.1 Analisi alla soglia del Cu . . . . . . . . . . . . . . . . . 88

i) Spettri uguali al Cu in buffer . . . . . . . . . . . . . . . . . 89

ii) Combinazioni lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91

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INDICE

iii) Analisi della regione EXAFS . . . . . . . . . . . . . . . . 94

iv) Analisi della regione EXAFS dello spettro del Cu in buffer 111

4.8.2 Analisi alla soglia dello Zn . . . . . . . . . . . . . . . . 113

i) Combinazioni lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 114

ii) Analisi della regione EXAFS . . . . . . . . . . . . . . . . 116

iii) Analisi della regione EXAFS dello spettro dello Zn in buffer122

5 Conclusioni e prospettive future 124

Lista degli acronimi 128

Bibliografia 130

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Abstract

In questa tesi viene presentato uno studio sul meccanismo con cui ioni Cu2+ e

Zn2+ competono per il legame con il peptide beta-amiloide (Aβ). Tale mec-

canismo e potenzialmente rilevante per la patogenesi del morbo di Alzheimer.

Nel cervello dei malati di Alzheimer e stata infatti osservata la presenza di

aggregati di peptide Aβ, noti come placche amiloidi, in cui sono presenti

ioni Cu2+ e Zn2+ a elevata concentrazione. Il ruolo giocato da tali metal-

li nel processo di aggregazione e nella conseguente formazione delle placche

e tuttora poco chiaro ed e oggetto di approfondita indagine da parte della

comunita scientifica.

Lo studio presentato in questa tesi utilizza la spettroscopia di assorbi-

mento dei raggi X (XAS) per determinare la struttura del sito di legame

degli ioni Cu2+ e Zn2+ con il peptide Aβ variando le concentrazioni re-

lative di metalli e peptide. Viene inoltre analizzata l’influenza sul legame

ione-peptide dell’ordine in cui gli ioni metallici sono aggiunti alla soluzione

contenente il peptide. I campioni sono stati preparati e caratterizzati con la

tecnica EPR, che e in grado di fornire informazioni sul sito di legame degli

ioni Cu2+, ma non Zn2+, dal gruppo del Prof. Saxena presso l’universita di

Pittsburgh. Le misure XAS sono state effettuate presso la beamline BM30B

dell’European Synchrotron Radiation Facility (Grenoble, Francia). Gli spet-

tri acquisiti sono stati sottoposti ad analisi sia qualitativa (regione XANES)

quantitativa (regioneEXAFS). Per quest’ultima sono stati utilizzati modelli

strutturali presenti in letteratura.

L’analisi dei dati sperimentali ha mostrato chiaramente che l’ordine con

cui vengono aggiunti i metalli alla soluzione ha un’influenza significativa sul

modo di legame. Si e osservato infatti che, aggiungendo prima lo Zn alla

soluzione contente il peptide il legame con il Cu e impedito. Quando invece

viene aggiunto prima il Cu il legame con lo Zn non e impedito, ma il modo

di coordinazione di quest’ultimo e modificato.

Con l’analisi quantitativa condotta sulla regione EXAFS degli spettri,

abbiamo potuto dimostrare che sia Cu che Zn legano il peptide tramite

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residui di istidina e che il modo di coordinazione di ciascun metallo e influen-

zato dalla concentrazione dell’altro.

Lo studio qui presentato sfrutta pertanto appieno la possibilita offerta

dalla tecnica XAS di acquisire informazioni sulla struttura locale intorno ad

un selezionato assorbitore (uno dei due ioni metallo) e completa in modo

significativo le misure EPR limitate dal diamagnetismo dello ione Zn2+.

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Ringraziamenti

Desidero innanzitutto ringraziare i miei relatori, la Professoressa Silvia Morante

ed il Dottor Francesco Stellato per i preziosi insegnamenti e per le numerose

ore dedicate alla mia tesi.

Inoltre vorrei esprimere la mia sincera gratitudine a tutti i membri del

gruppo di Biofisica di Tor Vergata che sono stati sempre disponibili e che

mi hanno aiutato nella stesura della tesi con suggerimenti, critiche ed osser-

vazioni.

Infine, ho desiderio di ringraziare con affetto i miei genitori ed i miei

amici per il sostegno ed il grande aiuto che mi hanno dato ed in particolare

per essermi stati vicino ogni momento di questo lungo e difficile percorso.

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Capitolo 1

Le proteine

1.1 Descrizione chimica

Gli organismi viventi sono formati da molecole organiche, prevalentemente

complesse e di grandi dimensioni (macromolecole), risultanti quasi esclusiva-

mente dalla combinazione di quattro elementi, carbonio (C), idrogeno (H),

ossigeno (O) e azoto (N), ai quali si associano meno frequentemente fosforo

(P ), zolfo (S) e altri elementi in tracce [Albert, 2008 ]. Le molecole organiche

possono essere suddivise in quattro gruppi fondamentali: glucidi, lipidi, pro-

teine e acidi nucleici [Nelson, 2002 ]. I composti appartenenti ai primi due

gruppi hanno prevalentemente funzioni di trasporto e immagazzinamento

dell’energia, (i lipidi, inoltre, sono tra i costituenti principali delle membrane

cellulari), gli acidi nucleici trasportano l’informazione genetica, le proteine in-

fine svolgono numerosi ruoli, tra cui la catalizzazione delle reazioni chimiche,

la protezione immunitaria, la produzione e la trasmissione di impulsi nervosi,

etc..

Le proteine sono polimeri lineari, le cui unita monomeriche vengono de-

nominate amminoacidi (o aminoacidi). Ogni aminoacido (aa) e costituito da

una parte costante, composta da un gruppo aminico, NH2, un gruppo car-

bossilico, COOH, un atomo di idrogeno, H, e un atomo di carbonio, Cα, e

da una parte variabile, chiamata catena laterale o residuo (R), che e diversa

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CAPITOLO 1. LE PROTEINE

da aminoacido ad aminoacido (Figura 1.1).

Figura 1.1: Struttura di un generico amminoacido. L’atomo di carboniocolorato in grigio viene convenzionalmente chiamato Cα mentre quellocolorato in verde C ′.

Una peculiare proprieta degli aminoacidi e la loro conformazione stere-

ochimica. Essendo il carbonio, Cα, cui sono legati i gruppi funzionali, un

carbonio chirale, gli amminoacidi possono presentarsi nelle due forme L (le-

vogira) e forma D (destrogira) (Figura 1.2). Gli aminoacidi prodotti dagli

organismi viventi sono tutti della forma L.

Figura 1.2: Amminoacido generico nelle forme L e D.

In soluzione e a pH neutro, gli aminoacidi si presentano sotto forma di

ioni dipolari (o zwitterioni), con il gruppo amminico protonato (−NH3+) e

il gruppo carbossilico dissociato (−COO−).

Le proteine di tutte le specie viventi sono costituite (quasi esclusivamente)

da 20 tipi di aminoacidi che differiscono tra loro per dimensioni, carica, ca-

pacita di formare legami e reattivita chimica delle loro catene laterali. Nel-

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CAPITOLO 1. LE PROTEINE

la Figura 1.3 sono riportate le strutture dei 20 aminoacidi piu comuni in

natura.

Gli aa si legano tra loro, formando catene polipeptidiche, tramite un

legame covalente tra il gruppo carbossilico di un aminoacido e il gruppo

aminico dell’aminoacido che segue. Tale legame si chiama appunto legame

peptidico (Figura 1.4 a)). Nella formazione del legame peptidico viene

rilasciata una molecola di H2O. Ovviamente, poiche la reazione di polime-

rizzazione avviene in ambiente acquoso, l’equilibrio della reazione e spostato

verso l’idrolisi, per cui la biosintesi proteica richiede un apporto di energia.

Figura 1.3: Struttura chimica dei 20 amminoacidi piu comuni in natura.

Il legame peptidico (Figura 1.4 b)) ha per il 60 % natura di legame singolo

e per il 40 % natura di legame doppio. Questo determina che la rotazione

intorno al legame peptidico sia sostanzialmente impedita e che i quattro ato-

mi che definiscono l’angolo torsionale giacciano su un piano. Ad ogni aa

sono quindi associati, lungo la catena principale, due gradi di liberta torsio-

nali con i quali sono definite le rotazioni rispettivamente intorno al legame

Cα − C ′ (carbonio carbonilico), indicato normalmente con φ, e intorno al

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CAPITOLO 1. LE PROTEINE

Figura 1.4: a) Formazione del legame peptidico; b) Legame peptidico etorsioni permesse.

Figura 1.5: Catena polipetidica estesa, sono mostrati i valori tipici degliangoli di legame e delle lunghezze.

legame Cα −N (azoto aminico), ψ. A ciascun aminoacido si puo quindi as-

sociare una coppia di angoli diedri. Il valore assunto da tutti gli angoli diedri

lungo una catena polipeptidica determina in modo univoco la conformazione

tridimensionale assunta dalla catena principale.

Molte combinazioni di angoli φ e ψ non sono pero permesse a causa

degli impedimenti sterici fra gli atomi della catena principale (e/o quelli

delle catene laterali). Le conformazioni stericamente proibite sono quelle per

cui due atomi vengono a trovarsi a una distanza inferiore alla somma dei loro

raggi di van der Waals (Figura 1.5).

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CAPITOLO 1. LE PROTEINE

Riportando su un grafico bidimensionale i valori di φ e ψ e delimitando le

regioni di valori permessi si ottengono i cosiddetti grafici di Ramachandran

[Ramachandran, 1963 ], dal nome dello studioso che li ha ideati.

La Figura 1.6 a mostra il grafico di Ramachandran per l’aa Alanina. I

grafici relativi agli altri aa, salvo alcune eccezioni, sono praticamente identici

a quello dell’Alanina. Per gli aa Valina, Isoleucina e Treonina le regioni pre-

messe sono piu ristrette di quello dell’Alanina. Il plot di Ramachandran per

la Glicina (Figura 1.6 b) presenta una zona permessa piu ampia rispetto

all’Alanina ed e centro-simmetrico, riflettendo il fatto che la Glicina e l’u-

nico amminoacido a non essere asimmetrico. La Prolina, infine, con la sua

struttura rigida data dalla catena laterale ciclica, rende possibili solo poche

conformazioni in una porzione limitata del grafico (Figura 1.6 c). La pre-

senza dell’anello sulla catena laterale limita il valore dell’angolo φ intorno ai

−60 rendendo il grafico “quasi monodimensionale”.

Figura 1.6: a) Grafico di Ramachandran per l’aa L-Alanina. b) Grafico diRamachandran per l’aa L-Glicina. c) Grafico di Ramachandran per l’aaL-Prolina. In tutte le figure le aree in blu scuro indicano le conformazionipremesse, ossia quelle che non comportano sovrapposizioni steriche tra gliatomi; le regioni in blu piu chiaro indicano conformazioni permesse, chepero si trovano al limite estremo della stabilita per contatti non favorevolitra atomi. Le zone in azzurro rappresentano invece conformazioni perme-sse, solo in presenza di una certa flessibilita degli angoli di legame. Infinele aree in grigio chiaro rappresentano le conformazioni proibite.

1.2 Livelli strutturali

Nelle proteine si definiscono quattro livelli strutturali.

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CAPITOLO 1. LE PROTEINE

La struttura primaria e definita dall’ordine in cui gli aa si susseguono nella

catena polipeptidica. In alcuni casi piccole variazioni nella struttura primaria

(singole mutazioni, inserzioni o delezioni) possono alterare drammaticamente

la funzionalita di una proteina1.

La struttura secondaria e determinata dalla presenza di porzioni della

proteina in cui siano individuabili regolarita strutturali. Le due strutture

secondarie piu comuni sono l’α− elica e i foglietti β (β-sheet).

La piu semplice organizzazione regolare che una catena polipeptidica puo

assumere, tenendo conto della planarita dei legami peptidici (ma anche della

possibile rotazione degli altri legami singoli) e una struttura elicoidale.

Nell’α − elica (Figura 1.7) i gruppi R dei residui amminoacidici sono

rivolti verso l’esterno. Un giro dell’elica si estende per circa 5.4 A nella

direzione dell’asse. I valori tipici degli angoli φ e ψ nell’ α − elica sono

intorno a −57 e −472 . Ogni giro dell’elica contiene 3.6 residui. Questi valori

possono essere leggermente diversi tra elica e elica e anche tra una regione e

l’altra dello stesso tratto di α− elica.

La struttura α−elica viene stabilizzata da legami idrogeno che si formano

tra l’atomo di idrogeno legato all’azoto della catena principale e l’atomo di

ossigeno carbonilico del quarto amminoacido successivo nella direzione del-

l’estremita amminica (Figura 1.9 a). In una α − elica lunga n residui, si

possono instaurare al massimo n−4 legami idrogeno nell’elica. I quattro grup-

pi N −H all’estremita N-terminale e i quattro gruppi C = O all’estremita C

terminale non possono partecipare ai legami idrogeno nell’elica in quanto non

esistono un giro precedente (nel caso dell’N-terminale) e un giro successivo

(nel caso dell’C-terminale) che forniscano i partner necessari alla formazione

del legami. In questi casi, quando possibile, la struttura viene essere resa piu

stabile dai legami idrogeno che si instaurano tra questi gruppi ed altri non

appartenenti all’elica (“capping box”) [Aurora, 1998 ].

1Si pensi ad esempio al caso della mutazione dell’acido glutammico in valina che portaal misfolding dell’emoglobina, causa dell’anemia falciforme [Berg, 2002 ].

2I valori degli angoli diedri indicati valgono nella convenzione per cui le strutture cis etrans sono identificate rispettivamente dagli angoli φ=ψ=0° e φ=ψ=180°.

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CAPITOLO 1. LE PROTEINE

Un foglietto β (o β-sheet) e formato da due o piu catene β unite mediante

legami idrogeno. Ogni catena del foglietto puo essere pensata come un’elica

contenente due residui per giro (Figura 1.8). Le varie catene di β − elicadisposte l’una accanto all’altra, formano una struttura che nel suo insieme

presenta una serie di pieghettature. L’aspetto pieghettato dei filamenti deriva

dal legame chimico tetraedrico che si instaura presso i Cα3 . I gruppi R di

amminoacidi adiacenti sporgono dalla struttura a zig-zag in direzioni opposte,

creando un’alternanza “sopra-sotto” rispetto al piano su cui giace il foglietto.

Nel β-sheet i legami idrogeno si formano tra regioni adiacenti di tratti

della catena polipeptidica che possono anche trovarsi lontani nella sequenza

lineare del polipeptide o addirittura in catene polipeptidiche diverse (Figura

1.9 b).

Le catene polipeptidiche adiacenti di un foglietto β possono essere pa-

rallele o antiparallele (possono cioe avere lo stesso orientamento ammino-

carbossi-terminale del peptide o un orientamento opposto). Le due strutture

sono abbastanza simili tra loro, anche se passo dell’elica e piu corto per la

conformazione parallela (6.5A contro 7A per l’antiparallela). Nelle strutture

β tipiche gli angoli diedri assumono i valori φ = −119 e ψ = +113 per la

conformazione parallela e φ = −139 e ψ = +135 per quella antiparallela.

Questi valori possono variare sensibilmente nelle proteine producendo varia-

zioni strutturali. Nella Figura 1.6 a sono indicate le regioni del grafico di

Ramachandran i cui angoli diedri sono compatibili con le strutture α e β.

La struttura terziaria e definita dalle coordinate spaziali di tutti gli atomi

che compongono la proteina, essa coincide cioe con la sua struttura tridimen-

sionale. La struttura tridimensionale di una proteina e stabilizzata da diversi

tipi di legami chimici: i ponti disolfuro4 , i legami idrogeno e le interazioni

elettrostatiche e di van der Waals.

3Se una catena laterale punta verso l’alto, dal momento che l’angolo di legame e pari acirca 109.5, il legame al C ′ deve per forza puntare verso il basso.

4Un ponte disolfuro (S − S) si forma quando un atomo di zolfo di un amminoacidoCisteina forma un singolo legame covalente con un secondo atomo di zolfo di un’altraCisteina presente sulla stessa proteina.

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CAPITOLO 1. LE PROTEINE

Figura 1.7: Struttura α− elica.

Figura 1.8: Struttura β − elica.

Figura 1.9: Sono rappresentati i legami idrogeno in un tratto di α − elica(a) e in un tratto di struttura β (b). In rosso sono rappresentati gli atomidi ossigeno, in blu gli atomo di azoto e in bianco gli atomi di idrogeno.

In alcune proteine sono presenti domini, che possono corrispondere o meno

a catene polipeptidiche non covalentemente legate tra loro. Il modo in cui tali

catene si dispongono nello spazio una rispetto all’altra costituisce la strut-

tura quaternaria della proteina. Nel caso di subunita non covalentemente

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CAPITOLO 1. LE PROTEINE

legate, queste sono stabilizzate da legami idrogeno, interazioni idrofobiche o

elettrostatiche.

Figura 1.10: I quattro livelli strutturali delle proteine.

1.3 Il folding delle proteine

Data una sequenza amminoacidica, una proteina puo teoricamente assumere

un numero pressoche infinito di strutture tridimensionali, ma solo una o

poche di esse hanno attivita biologica. Queste sono le conformazioni na-

tive, ovvero quelle che permettono il corretto funzionamento della proteina

[Nelson, 2002 ].

Il folding (ripiegamento, avvolgimento) e il processo attraverso il quale le

proteine assumono la loro struttura nativa. Questo processo puo avvenire sia

contestualmente alla sintesi proteica che una volta che questa sia terminata.

Soltanto una volta che hanno assunto la struttura tridimensionale nativa le

proteine sono in grado di svolgere la loro funzione fisiologica.

Un tempo si riteneva che tutta l’informazione necessaria ad ottenere il cor-

retto ripiegamento della catena polipeptidica fosse contenuta nella struttura

primaria. A questa idea contribuı il famosissimo esperimento di Christian

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CAPITOLO 1. LE PROTEINE

Anfinsen [Anfinsen, 1973 ]. L’esperimento consisteva nella denaturazione e

rinaturazione della ribonucleasi A. La ribonucleasi A e un enzima secreto dal

pancreas che idrolizza alcuni acidi ribonucleici ingeriti con la dieta. Essa e

costituita da una singola catena polipeptidica di 124 aa con quattro ponti

disolfuro. Agenti chimici come l’urea e il β-mercaptoetanolo, in soluzioni con-

centrate, sono in grado di denaturare la ribonucleasi. Il β-mercaptoetanolo

rompe i quattro ponti disolfuro generando otto residui di cisteina (Cys), men-

tre l’urea agisce sulle interazioni idrofobiche. La denaturazione e accompa-

gnata da una perdita completa dell’attivita catalitica. Anfinsen osservo che

l’enzima denaturato, una volta eliminati dalla soluzione il β-mercaptoetanolo

e o’urea mediante dialisi, riacquisiva l’attivita catalitica iniziale.

L’esperimento ha rafforzato l’ipotesi che l’informazione necessaria per rag-

giungere la corretta conformazione nativa di un polipeptide sia tutta contenu-

ta nella sua sequenza di amminoacidi. Lavori successivi hanno dimostrato

che questo e vero solo per un numero ristretto di proteine.

Sulla base di questa idea, pero, verso la fine degli anni sessanta Cyrus

Levinthal formulo quello che va appunto sotto il nome di Paradosso di Le-

vinthal. Egli calcolo che una catena polipeptidica di media lunghezza, dato

l’enorme numero di gradi di liberta, dovrebbe provare, per trovare lo sta-

to conformazionale a energia libera piu bassa, un numero proibitivo di stati

conformazionali5.

Il paradosso di Levinthal puo essere superato ammettendo che il folding

di una proteina non avviene attraverso un cammino randomico bensı e sotto-

posto ad un controllo di tipo cinetico, ovvero esistono particolari percorsi di

5Si consideri una catena polipeptidica composta da 100 residui amminoacidici. Si ipo-tizzi che in tale proteina ci siano 2100 angoli torsionali, φ e ψ, ognuno dei quali ha treconfigurazioni stabili. Sotto queste ipotesi, per la proteina si hanno 32∗100 ' 10100 con-figurazioni possibili (il numero e fortemente sottostimato, in quanto sono stati consideratisoltanto i gradi di liberta della catena principale e sono completamente ignorati quelli re-lativi alle catene laterali degli aa). Se la proteina puo esplorare una conformazione diversaogni 10−13s (tempo tipico in cui un singolo legame cambia orientazione), il tempo richiestoper esplorare tutte le conformazioni possibili e T = 10100 ∗ 10−13s ' 1087s, un numeroenormemente grande se confrontato con l’eta stimata dell’universo (Tuniv = 13.7 miliardidi anni = 4.3 ∗ 1017s) [Voet, 2006 ].

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CAPITOLO 1. LE PROTEINE

folding che conducono dalla struttura casuale e lineare alla struttura nativa

e funzionale [Pisapia, 2007 ].

Da un punto di vista termodinamico, lo stato nativo della proteina, cos-

tituisce un minimo nel profilo dell’energia libera di Gibbs (∆G), la quale

e legata alle variazioni del contributo entalpico ∆H ed entropico ∆S dalla

seguente legge della termodinamica:

∆G = ∆H − T ×∆S. (1.1)

dove T e la temperatura espressa in gradi kelvin.

Sebbene il meccanismo di folding sia in gran parte sconosciuto, esistono

alcuni modelli plausibili. In uno di essi si ipotizza che il processo di ri-

piegamento avvenga in modo “gerarchico”. Prima si formano le strutture

secondarie. Le interazioni ioniche che interessano gruppi carichi spesso vicini

nella sequenza lineare della catena polipeptidica possono svolgere un ruolo

importante nel determinare questi primi ripiegamenti. L’organizzazione di

strutture locali e seguita da interazioni ad ampio raggio, per esempio tra due

tratti di α− elica che vengono a trovarsi vicine.

Un modello alternativo prevede che inizialmente il ripiegamento sia fa-

vorito dalla formazione di uno stato compatto mediata da interazioni idrofo-

biche tra residui non polari. La conformazione che risulta da questa specie di

“collasso idrofobico” puo avere un elevato contenuto di struttura secondaria,

ma una struttura terziaria poco compatta, mancante di rigidita e pertanto

particolarmente dinamica come se si trovasse allo stato liquido; per questo

motivo lo stato collassato spesso viene indicato come globulo fuso (molten

globule).

Matematicamente, il profilo energetico conformazionale di una proteina

e disegnato associando, per mezzo di una funzione f , ad ogni punto nel-

lo spazio delle configurazioni, X6, un valore Reale, Xf−→ R. Con questa

rappresentazione si puo ipotizzare che la proteina raggiunga il suo stato na-

6Ogni punto rappresenta l’insieme di coordinate che definiscono una data strutturatridimensionale.

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CAPITOLO 1. LE PROTEINE

tivo seguendo, energeticamente, un funnel, letteralmente imbuto. In questo

modello si deve supporre che nel profilo dell’energia libera la rugosita (la dif-

ferenza in energia tra minimi e massimi) sia piccola rispetto alla differenza di

energia libera tra stato folded e stato unfolded. In questa rappresentazione la

larghezza dell’imbuto, che diminuisce insieme all’energia libera, rappresenta

l’entropia del sistema o in altri termini indica che il sistema, al diminuire

dell’energia libera ha un numero sempre minore di stati accessibili.

Nella Figura 1.11 il ∆G e rappresentato dalla profondita dell’imbuto

mentre l’entropia conformazionale e associata alla larghezza del funnel.

Gli stati non ripiegati (unfolded), situati sull’orlo dell’imbuto, sono carat-

terizzati da un elevato grado di entropia conformazionale e da un’energia rel-

ativamente alta. Man mano che il processo di ripiegamento procede l’imbuto

si stringe. Piccole depressioni lungo le pareti esterne dell’imbuto rappresen-

tano stati intermedi, metastabili, che possono rallentare e a volte arrestare

il processo di ripiegamento. Nel punto piu basso dell’imbuto l’insieme degli

intermedi ripiegati si riduce ad una singola conformazione nativa (o ad un

piccolo gruppo di conformazioni native).

Gli imbuti possono avere una vasta gamma di forme determinate dalla

complessita del processo di ripiegamento, dall’esistenza di intermedi metasta-

bili e dalla tendenza di alcuni intermedi a organizzarsi in aggregati di proteine

non correttamente ripiegate.

La stabilita termodinamica di una proteina e dovuta a vari contributi

(Figura 1.12). Le principali interazioni che governano il folding sono:

Interazioni elettrostatiche (e di Van der Waals)

Legami idrogeno

Effetto idrofobico

La formazione di ponti disolfuro

Etc.

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CAPITOLO 1. LE PROTEINE

Figura 1.11: Termodinamica del processo di folding rappresentato in formadi imbuto tridimensionale di energia libera. Durante il processo di ri-piegamento, lo spazio delle configurazioni accessibile si riduce. In questomodello si ipotizza che la struttura nativa sia situata in fondo all’imbuto,nel minimo dell’energia libera.

Figura 1.12: Interazioni chimiche coinvolte nel folding.

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CAPITOLO 1. LE PROTEINE

Le interazioni cosiddette di non–legame, hanno importanza non solo nel

folding proteico ma anche in molti processi biologici quali ad esempio la

replicazione del DNA, il riconoscimento specifico di substrati da parte di

enzimi, il riconoscimento di molecole segnale ecc. Al folding di una proteina,

per esempio, contribuiscono pochi legami salini, diverse centinaia di legami

idrogeno e diverse migliaia di interazioni di Van der Waals.

Nel considerare i vari contributi energetici che stabilizzano una proteina

non si puo prescindere dal fatto che la proteina e immersa in un solvente, che

e costituito principalmente da acqua. Le proprieta fisiche del solvente sono

pertanto estremamente importanti per la stabilita della proteina.

1.4 Misfolding e patologia correlate

Essendo il folding un processo piuttosto complicato, non e impossibile che

una proteina raggiunga una configurazione “sbagliata”. In alcuni casi la

proteina durante il processo di folding rimane intrappolata in un minimo

locale dell’energia libera, per uscire dal quale deve superare una barriera

di potenziale. In questa configurazione la proteina non puo svolgere la sua

funzione biologica in quanto la sua struttura tridimensionale finale non e

quella nativa.

Per alcune proteine il profilo dell’energia libera presenta un minimo ener-

geticamente simile a quello relativo alla conformazione nativa. E possibile che

questi polipeptidi possano acquisire una configurazione tridimensionale alter-

nativa, diversa da quella nativa, altrettanto stabile [Merlini, 2003 ]. Questa

configurazione “misfolded” e prona a formare aggregati. Si pensa che questi

stati misfolded, si vengano a trovare in equilibrio dinamico7 con gli stati na-

tivi [Voet, 2006 ]. Le cause che fanno prevalere una struttura piuttosto che

l’altra sono ancora sconosciute e sono oggetto di molti studi.

7La costante di equilibrio tra la specie folded, F , e quella misfoled, M , nella reazione

F ↔ M , e data dalla seguente espressione Keq = [M ][F ] = e−

∆G′0

RT , dove ∆G′0 e l’energia

libera di Gibbs standard relativa al misfolding.

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CAPITOLO 1. LE PROTEINE

Tra i possibili fattori implicati nel misfolding di una proteina ci sono il

pH, la temperatura, l’interazione con solventi e la presenza di altre pro-

teine che interagiscono con essa. Il corretto ripiegamento, per proteine molto

lunghe, e spesso un processo guidato dall’azione di molecole assistenti, chia-

mate “chaperones” molecolari. I “chaperones” hanno il compito di occupare

le regioni idrofobiche esposte della proteina, in modo da evitare che, per ef-

fetto di interazioni idrofobiche, essa possa aggregarsi e precipitare. In altre

parole, i “chaperones” agiscono in modo da impedire alla proteina, durante

il processo di folding, di intraprendere un percorso di ripiegamento errato.

Quando questo processo non e portato correttamente a termine, la pro-

teina puo essere soggetta ad un misfolding che in alcuni casi puo condurre

all’insorgere di patologie. Le patologie connesse al misfolding prendono il

nome di “disordini conformazionali proteici” (PCD’s, dall’inglese Protein

Conformational Disorders). Alcune di queste patologie sono semplicemente

correlabili al fatto che le proteine non sono piu in grado di esercitare la

loro funzione se strutturate scorrettamente, molte altre sono associate al-

la formazione extracellulare di aggregati tossici fibrillari, chiamati amiloidi.

Le malattie derivanti dalla presenza di aggregati amiloidi prendono colletti-

vamente il nome di amiloidosi (Tabella 1.1). Tra le piu comuni forme di

amiloidosi ci sono il morbo di Alzheimer, l’encefalopatia spongiforme trasmis-

sibile, il morbo di Huntington, il morbo di Parkinson, il diabete tipo II, il

morbo di Creutzfeldt-Jakob e la sclerosi laterale amiotrofica.

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CAPITOLO 1. LE PROTEINE

Patologia Sistema amminoacidico aggregatoMalattia di Alzheimer Peptide β-amiloide

Encefalopatia Spongiforme Proteina prionicaMorbo di Parkinson α-sinucleinaDiabete di tipo II Amilina

Carcinoma della tiroide ProcalcitoninaAmiloidosi atriale Peptide natriuretico atriale

Sclerosi Laterale Amiotrofica Superossido DismutasiCorea di Huntington Glutamina

Amiloidosi sistemica primaria ImmunoglobulinaAmiloidosi sistemica secondaria Proteina A amiloide

Amiloidosi sistemica senile Transtiretina wild-typePolineuropatia familiare I Transtiretina mutantePolineuropatia familiare II Apolipoproteina A1

Febbre familiare mediterranea Proteina A amiloideAmiloidosi da emodialisi β2-microglobulina

Amiloidosi ereditaria finlandese Gelsolina mutanteAmiloidosi del lisozima LisozimaAmiloidosi da insulina Insulina

Tabella 1.1: Elenco delle amiloidosi conosciute.

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Capitolo 2

La malattia di Alzheimer

2.1 Descrizione clinica

Il morbo di Alzheimer (Alzheimer′s Disease : AD) e una patologia neu-

rodegenerativa, progressiva e irreversibile, che colpisce il cervello. Essa rap-

presenta la piu comune forma di demenza, intesa come progressiva riduzione

delle funzioni cognitive. La malattia colpisce le aree cerebrali che control-

lano funzioni come la memoria, il pensiero e la parola. Questa forma di

demenza prende il nome dal neurologo tedesco Alois Alzheimer (1864-1915)

che nel 1907 ne descrisse per primo le caratteristiche [Stelzmann, 1995 ]. Il

tessuto cerebrale dei soggetti da lui osservati presentava una riduzione in nu-

mero delle cellule nervose e la presenza di placche, dette senili, visibili anche

a occhio nudo. Successivamente, mediante l’utilizzo di procedure di osser-

vazione microscopica, Alzheimer evidenzio su alcune porzioni di cervello la

presenza di ammassi proteici non degradabili e insolubili che furono ritenuti

responsabili della compromissione della funzionalita cerebrale.

L’esordio della malattia e subdolo, nel senso che spesso i sintomi iniziali

vengono scambiati per normale invecchiamento. Con il progredire della pa-

tologia, pero, l’individuo ha difficolta a svolgere le normali funzioni quoti-

diane, dimentica facilmente (in particolare eventi recenti e nomi di persone),

sviluppa difficolta di linguaggio, tende a perdersi e puo anche mostrare distur-

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CAPITOLO 2. LA MALATTIA DI ALZHEIMER

bi comportamentali. In alcuni soggetti colpiti da AD, nelle fasi piu avanzate,

possono anche manifestarsi allucinazioni, disturbi dell’alimentazione, incon-

tinenza, difficolta nel camminare e comportamenti inappropriati in pubblico.

Il declino progressivo delle funzioni intellettive porta, a un conseguente peg-

gioramento della vita di relazione del malato dovuto alla perdita di controllo

sulle proprie reazioni comportamentali ed emotive. Negli stadi finali del-

la malattia sopraggiunge la perdita di autonomia. In molti casi la morte

subentra per una o piu complicanze legate al deperimento psico-fisico del

malato.

Il decorso della malattia e molto variabile anche se in genere si asses-

ta su 8-15 anni. Quando si ipotizza la presenza di una possibile malattia

di Alzheimer, la diagnosi viene di solito confermata tramite specifiche va-

lutazioni comportamentali e test cognitivi, spesso seguiti dalla diagnostica

per immagini, in particolare imaging a risonanza magnetica (NMR), tomo-

grafia a emissione di positroni (PET ) e tomografia assiale computerizzata

(TAC). Nella Figura 2.1 e mostrato un confronto tra le immagini PET

dell’encefalo di un soggetto sano e di persone affette da AD in due diver-

si stadi della malattia. Per una diagnosi definitiva e tuttora necessaria la

biopsia del tessuto cerebrale.

Figura 2.1: Confronto di immagini PET dell’encefalo tra un soggetto sano(a sinistra) e soggetti affetti da AD nei suoi stadi preliminare (al centro)ed avanzato (a destra).

Attualmente i trattamenti terapeutici utilizzati offrono piccoli benefici

sintomatici e possono parzialmente rallentare il decorso della patologia; non

sono ancora stati identificati trattamenti che ne arrestino o invertano il decor-

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CAPITOLO 2. LA MALATTIA DI ALZHEIMER

so. A livello preventivo, sono state proposte diverse modificazioni degli stili di

vita personali come potenziali fattori protettivi nei confronti della patologia,

ma non vi sono adeguate prove di una correlazione certa tra queste raccoman-

dazioni e la riduzione effettiva della degenerazione. Stimolazione mentale, es-

ercizio fisico ed una dieta equilibrata sono state proposte sia come modalita

di possibile prevenzione, sia come modalita complementari di gestione della

malattia.

2.2 Eziologia della malattia

Le cause che portano all’insorgenza dell’AD non sono ancora ben comprese.

Importanti fattori di rischio sono l’eta e il corredo genetico, ma anche la

storia medica (traumi cerebrali, ipertensione, etc.), lo stile di vita e i fattori

ambientali. La probabilita di sviluppare l’AD dipende da una combinazione

di questi fattori di rischio [Alzheimer’s Association, 2014 ].

L’eta e comunque il fattore di rischio piu significativo. In particolare, dopo

i 65 anni la probabilita di sviluppare l’AD raddoppia ogni 5 anni. Inoltre,

questo rischio puo essere dovuto a fattori associati all’invecchiamento come

ad esempio la pressione alta, modifiche a livello delle cellule nervose, del DNA

e della struttura cellulare, oltre che all’indebolimento dei naturali sistemi di

riparazione a cui l’organismo va incontro negli anni.

Il 99% dei casi di AD e “sporadico”, cioe si manifesta senza eredita-

rieta tra le diverse generazioni [Bekris, 2010 ]. Tuttavia esistono alcune

forme di AD, denominate “familiari”, in cui la malattia si manifesta in

piu persone appartenenti allo stesso nucleo familiare ed e dovuta ad una

mutazione genetica. In alcuni casi, si tratta addiritura di forme trasmesse

con modalita definita di tipo “autosomico dominante”, per cui la mutazione

e ereditata dal 50% dei figli. Nelle forme familiari genetiche, coloro che

ereditano la mutazione hanno una probabilita molto elevata di sviluppare i

sintomi della malattia in eta adulta. Le mutazioni finora identificate nella

AD familiare riguardano geni che codificano per le proteine Presenilina −

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CAPITOLO 2. LA MALATTIA DI ALZHEIMER

1 (PSEN1), Presenilina − 2 (PSEN2), Apolipoproteina E (APOE) e

Proteina Precursore di β − Amiloide (APP ) [Bettens, 2013 ].

2.3 Morfologia

A livello macroscopico si puo osservare nell’AD un grado variabile di atrofia

corticale, caratterizzata da ingrandimento dei solchi parietali, piu accentua-

to nei lobi frontali e temporali. Questa atrofia viene compensata da un in-

grossamento delle cavita ventricolari secondario alla perdita di parenchima1

(Figura 2.2). In particolare, negli stadi avanzati della malattia, le strutture

del lobo temporale mediale, tra cui l’ippocampo, la corteccia entorinale e

l’amigdala si atrofizzano in modo severo, a causa del loro coinvolgimento gia

nelle prime fasi della patologia.

Figura 2.2: - Sezione coronale di encefalo: differenze tra encefalo normaleed encefalo affetto da AD.

Il cervello dei malati di Alzheimer presenta anche alterazioni microscopiche

conosciute come placche senili (o neuritiche) e ammassi neurofibrillari intra-

cellulari, che rappresentano le basi della diagnosi istologica (Figura 2.3).

Tali lesioni cerebrali si riscontrano anche nel cervello di persone anziane che

non presentano disturbi delle facolta mentali, ma il loro numero e molto

minore rispetto a quelle dei malati di AD.

1Termine che indica genericamente il tessuto proprio di un organo, distinguendolo intal modo dal tessuto connettivo di sostegno, che viene definito stroma.

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CAPITOLO 2. LA MALATTIA DI ALZHEIMER

Figura 2.3: Rappresentazione schematica di un confronto fra neuroni sani eneuroni con le caratteristiche patologiche di AD.

2.3.1 Placche senili

Figura 2.4: Rappresentazione schematica di un confronto fra neuroni sani eneuroni con le caratteristiche patologiche di AD.

Le placche senili contengono depositi extracellulari di peptide β−Amiloide(Amyloid − β Peptide, Aβ ), che all’interno di tali placche si presenta soli-

tamente in forma di fibrille. Queste ultime sono particolarmente numerose

nella sostanza grigia del neo-cortex e dell’ippocampo, ma si osservano an-

che nel talamo e nel cervelletto, e piu raramente nella sostanza bianca degli

emisferi cerebrali.

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CAPITOLO 2. LA MALATTIA DI ALZHEIMER

Diversi studi di microscopia elettronica [Makin, 2005 ], [Eichner, 2011 ],

[Viles, 2012 ], hanno mostrato che le fibrille nelle placche amiloidi hanno un

diametro medio compreso tra 7 nm e 10 nm e possono essere lunghe fino a

qualche micron. Il processo di formazione delle placche amiloidi e piuttosto

complesso. I peptidi Aβ vengono sintetizzati in ambiente intracellulare e

si diffondono nello spazio extracellulare dove i frammenti di Aβ solubili si

aggregano formando piccole fibrille amiloidi. Le fibrille appena formate si

depositano nel tessuto cerebrale, dando origine a strutture altamente ordi-

nate che costituiscono i nuclei delle tipiche placche associate alla malattia.

Alla base della formazione delle placche c’e un cambiamento conformazionale

del peptide Aβ che consiste nella formazione di una struttura β molto es-

tesa, la quale favorisce l’aggregazione di piu peptidi che si dispongono l’uno

accanto all’altro per formare un lungo foglietto β antiparallelo. Le cause che

inducono questo cambiamento conformazionale ad oggi non sono state anco-

ra del tutto chiarite. In alcuni dei modelli proposti si ipotizza una relazione

tra la concentrazione di alcuni ioni metallici e il processo di aggregazione

[Morante, 2014 ].

2.3.2 Ammassi neurofibrillari

Figura 2.5: Ammassi neurofibrillari.

Gli ammassi neurofibrillari sono fasci di filamenti elicoidali localizzati nel

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CAPITOLO 2. LA MALATTIA DI ALZHEIMER

citoplasma dei neuroni. Essi rappresentano probabilmente lo stadio finale nel

processo fisiopatologico cellulare costituito da numerose differenti fasi. Tali

ammassi sono situati di regola nei neuroni corticali e nelle cellule piramidali

dell’ippocampo, nell’amigdala, e nella parte basale dell’encefalo anteriore.

Sono insolubili e resistenti alla proteolisi in vivo, come dimostrato dal fatto

che rimangano visibili in forma di ammassi per lungo tempo dopo la morte

del neurone.

Dal punto di vista ultrastrutturale gli amassi risultano composti da fila-

menti elicoidali appaiati (FEA). La componente di base dei FEA e data da

forme anomale iperfosforilate della proteina tau, una proteina assonica asso-

ciata ai microtubuli che favorisce il loro assemblaggio. Il preciso meccanismo

di formazione degli ammassi non e stato ancora completamente descritto, ed

e ancora dibattuto se gli ammassi siano un fattore causale primario o giochino

un ruolo piu periferico nel progredire della malattia.

2.4 Il peptide β − Amiloide

2.4.1 Biosintesi

Il peptide Aβ ha origine dal taglio proteolitico di una proteina nota come pro-

teina precursore dell’amiloide (Amyloid Precursor Protein, APP ). L’APP

e una glicoproteina di membrana abbondantemente espressa in una ampia

varieta di tessuti. Nell’uomo e codificata dal gene APP , localizzato sul brac-

cio 17 del cromosoma 21. Esistono diverse isoforme di APP derivanti da

splicing alternativo. La forma predominante nel cervello umano e l’APP695,

contenente 695 aa. Il ruolo di questa proteina non e ancora del tutto chiaro,

ma sembra importante nel regolare la sopravvivenza dei neuroni, lo sviluppo

degli assoni e la plasticita sinaptica [Priller, 2006 ], [Turner, 2003 ]. L’APP

e soggetta, in condizioni fisiologiche, a due pathway di processamento, uno

non amiloidogenico e uno amiloidogenico [Nunan, 2000 ] (Figura 2.6).

Nella via non-amiloidogenica il taglio proteolitico viene effettuato dagli

enzimi α − secretasi e γ − secretasi. L’enzima α − secretasi taglia tra i

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CAPITOLO 2. LA MALATTIA DI ALZHEIMER

Figura 2.6: E mostrata la sequenza amminoacidica dei peptidi amiloidi; isiti nominati α e β indicano i punti di taglio enzimatico operati rispettiva-mente dagli enzimi α−secretasi e β−secretasi; il sito γ40 indica il puntodi taglio enzimatico che origina i peptidi amiloidi Aβ1−40, dal taglio sulsito γ42 si sviluppano invece i peptidi Aβ1−42.

residui K687 e L688, generando un frammento solubile rilasciato nell’ambi-

ente extracellulare, l’sAPPα, ed un frammento C-terminale che resta an-

corato alla membrana, l’αAPP − CTF . Quest’ultimo frammento viene poi

utilizzato come substrato dalla γ − secretasi che genera un frammento sol-

ubile, il peptide p3 corrispondente alla regione 17 − 40/42 della sequenza

Aβ. Nella via amiloidogenica, invece, il taglio viene operato dagli enzimi

β−secretasi e γ−secretasi. L’enzima β−secretasi agisce tagliando l’APP

a livello del residuo D672, generando il frammento βAPP −CTF . Quest’ul-

timo viene poi attaccato dalla γ − secretasi che taglia in posizioni diverse

a livello dell’estremo C-terminale della sequenza Aβ. Il risultato e la for-

mazione di frammenti Aβ di lunghezza variabile tra 39 e 43 aminoacidi, di

cui i piu abbondanti sono Aβ40 e Aβ42, rispettivamente composti da 40 e 42

aa. In condizioni fisiologiche la concentrazione di Aβ42 secreto e circa il 10%

di quella di Aβ40.

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CAPITOLO 2. LA MALATTIA DI ALZHEIMER

2.4.2 Struttura primaria

Nella Figura 2.7 e riportata la struttura primaria del peptide Aβ nella forma

composta da 42 aa.

Figura 2.7: Struttura primaria del peptide Aβ.

A pH fisiologico ci sono sei residui carichi negativamente (D12 , E3, D7,

E11, E22, D23) e tre residui carichi positivamente (R5, K16, K28); la carica

netta del peptide e pertanto -3.

Dal punto di vista dell’idropaticita, il peptide presenta due regioni idrofi-

liche, rispettivamente le porzioni (1−16) e (22−28), e una regione altamente

idrofobica situata in prossimita del C terminale, (29− 42). La presenza con-

temporanea di residui idrofobici e residui idrofilici rende il peptide Aβ una

molecola anfipatica. Queste caratteristiche molecolari fanno sı che gli Aβ,

immersi in soluzioni acquose, siano proni a formare aggregati.

2.4.3 Struttura secondaria

La struttura secondaria del peptide, influenzata dall’eventuale presenza di

metalli, e strettamente correlata con il comportamento del peptide in solu-

zione e con la propensione all’aggregazione dello stesso. La caratterizzazione

delle strutture aggregate di tipo amiloide e stata studiata negli ultimi an-

ni utilizzando metodologie biofisiche diverse. Le principali tra queste sono

la microscopia a forza atomica (AFM), microscopia elettronica, dicroismo

circolare (CD), spettroscopia infrarossa in trasformata di Fourier (FTIR) e

risonanza magnetica nucleare (NMR), oltre a tecniche simulative classiche

2Il pedice nuemerico indica la posizione dell’aminoacido lungo la catena polipeptidica,varia da 1 a 42 partendo con la numerazione dal residuo all’N terminale (D1, Asp1) efinendo con il residuo al C-terminale (A42, Ala42)

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CAPITOLO 2. LA MALATTIA DI ALZHEIMER

e ab initio. Di seguito sono riportate le conclusioni di alcuni degli studi pre-

senti in letteratura nei quali vengono descritte le caratteristiche di struttura

secondaria del peptide Aβ.

Molti studi concordano sul fatto che i monomeri di Aβ possano esistere in

un grande numero di conformazioni quasi isoenergetiche, che si possono con-

vertire l’una nell’altra. Mediante la dinamica molecolare replica exchange

si e potuto campionare lo spazio conformazionale dei monomeri di Aβ osser-

vando che il profilo dell’energia libera e piuttosto piatto, ovvero le differenze

in energia tra le diverse conformazioni sono molto piccole [Yang, 2008 ]. pH,

temperatura e forza ionica possono fortemente influenzare la conformazione

finale assunta dal peptide. Simulazioni all atom con solvente esplicito hanno

mostrato che i peptidi Aβ1−40 e Aβ1−42 sono principalmente costituiti da ran-

dom coil e turns non strutturati, ma hanno una certa propensione a formare

eliche (di tipo α o 310) nella loro regione centrale, quella cioe compresa tra

gli aa Y10 e F20 [Lyn, 2012 ]. Nello stesso lavoro si e dimostrata la presen-

za di strutture β − hairpin (a forcina) nel peptide Aβ1−42. Le β − hairpinsono presenti prevalentemente tra i residui V34 −G35, G35 −G36 e V39 − V40.

Nel peptide Aβ1−40 le β − hairpin si formano con frequenza minore. Uno

studio NMR, effettuato sull’Aβ a pH fisiologico in una soluzione acquosa

contenente 50mM di NaCl [Vivekanandan, 2011 ] mostra, in accordo con la

dinamica molecolare, che nella regione centrale del peptide si forma un’el-

ica 310 tra i residui H13 e D23. Gli autori osservano inoltre che, a causa

della clusterizzazione dei residui idrofobici, il C-terminale collassa sull’eli-

ca. Gli spettri FTIR [Minicozzi, 2008 - IJQC ] di Aβ1−28, Aβ5−23, Aβ1−40

e Aβ17−40, acquisiti in assenza di metalli evidenziano la presenza dei picchi

tipici di strutture secondarie β (k = 1630cm−1). Lo stesso studio sul campio-

ne Aβ1−16, ha mostrato un picco a k = 1654 cm−1, compatibile invece con la

struttura α− elica. Si e osservato che l’aggiunta di ioni Cu2+ determina un

cambiamento conformazionale da struttura β a struttura α negli spettri dei

campioni Aβ1−28 e Aβ1−40, mentre lo stesso cambiamento conformazionale

non viene osservato nel caso dei campioni Aβ5−23 e Aβ17−40. Nessun cambi-

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CAPITOLO 2. LA MALATTIA DI ALZHEIMER

amento conformazionale viene osservato nel campione Aβ1−16 in presenza di

Cu. Lo stesso studio effettuato in presenza di ioni Zn2+ non ha evidenziato

nessun cambiamento della struttura secondaria.

2.4.4 Interazione tra il peptide Aβ e gli ioni metallici

Nel cervello sono normalmente presenti concentrazioni piuttosto elevate di

metalli di transizione, tra cui rame (Cu), zinco (Zn) e ferro (Fe). Questi

metalli hanno ruoli cruciali in molte funzioni cellulari tra le quali la catalisi

enzimatica, la stabilita strutturale delle proteine e il trasporto dell’ossigeno.

D’altra parte gli ioni metallici liberi possono risultare altamente tossici per le

cellule. E’ necessario quindi che un sistema biologico controlli con efficienza

la concentrazione, il trasporto e lo storage dei metalli [Roberts, 2012 ]. E

stato dimostrato che un’alterata concentrazione di metalli ha un impatto

non irrilevante nello sviluppo di alcune malattie neurodegenerative associate

alla vecchiaia, incluso l’AD [Wang, 2012 ].

Durante i normali processi di neurotrasmissione dei segnali nel cervello

vengono rilasciati Zn e Cu in concentrazioni pari rispettivamente a ≈ 300µM

e ≈ 30µM . Il rilascio di questi ioni e considerato una delle principali cause

del processo di precipitazione (che inizia nelle sinapsi) che conduce alla for-

mazione di aggregati amiloidi. Studi di micro Particle-Induced X-ray Emis-

sion (PIXE) hanno infatti mostrato che le concentrazioni di questi ioni

nelle placche amiloidi sono piuttosto elevate e raggiungono valori di circa

≈ 0.4mM per il Cu e ≈ 1mM per lo Zn [Lovell, 1998 ].

I primi studi sui complessi ioni metallici-Aβ hanno dimostrato che la pre-

senza di Cu2+ e Zn2+ puo favorire la formazione di aggregati del peptide, sen-

za pero distinguere tra i vari tipi di aggregati. In particolare non si riuscivano

a distinguere gli aggregati amorfi dalle fibrille amiloidi [Viles, 2012 ]. Con

l’utilizzo di fluorofori specifici per la rivelazione delle fibrille amiloidi, tra cui

ad esempio la tioflavina (ThT), e stato possibile determinare quali condizioni

chimico-fisiche facciano prevalere un tipologia di aggregati su un’altra.

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CAPITOLO 2. LA MALATTIA DI ALZHEIMER

Una prova del fatto che gli ioni metallici possano avere un ruolo determi-

nante nell’insorgenza dell’AD e suggerita dal lavoro di Cherny et al. (2001)

nel quale si mostra come alcuni chelanti di Cu2+ e Zn2+ possono essere usati

per solubilizzare gli aggregati di Aβ presenti nei cervelli di topi transgenici3

con conseguente rallentamento dello sviluppo della malattia [Cherny, 2001 ].

Studi piu recenti [Garai, 2007 ], [Chen, 2011 ], [Pedersen, 2011 ], [Nasica-

Labouze, 2015 ] hanno mostrato che la presenza di metalli di transizione e

associata a cambiamenti nella morfologia degli aggregati, nella cinetica di

aggregazione e nella struttura secondaria del peptide Aβ. Si e visto, in-

oltre, che gli effetti indotti dalla presenza di ioni sono metallo-specifici e che

dipendono dalla loro concentrazione [Viles, 2012 ].

I risultati sperimentali [Faller, 2013 ], [Innocenti, 2010 ] [Sarell, 2010 ]

[Viles, 2012 ], suggeriscono che ioni Cu2+ e Zn2+ possono sia favorire che

inibire la formazione di fibrille e non e quindi chiaro se essi debbano es-

sere considerati un fattore di rischio o viceversa passano giocare un ruolo

protettivo nello sviluppo della malattia di Alzheimer.

E’ percio fondamentale studiare a livello atomico-molecolare le diverse

modalita con cui questi metalli legano il peptide e come esse influenzino

la formazione di aggregati dal punto di vista della loro morfologia e della

citotossicita. Sono state impiegate varie tecniche sperimentali4 e simulative

con lo scopo di caratterizzare l’interazione del peptide con gli ioni metallici.

Di seguito sono riportati alcuni modelli di coordinazione degli ioni metallici

nei complessi Cu−Aβ e Zn−Aβ, di estrema rilevanza ai fini di questa tesi.

2.4.5 Complessi Cu− Aβ

La maggioranza dei lavori scientifici sull’argomento suggerisce che nel peptide

Aβ il sito di legame con i metalli sia situato nella regione N-terminale, mentre

si presume che la regione C-terminale non abbia nessun ruolo in questo.

3La modifica genetica consiste nell’introdurre le mutazioni responsabili delle formefamiliari di AD.

4Tra le piu usate ci sono EPR, NMR, CD e XAS.

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CAPITOLO 2. LA MALATTIA DI ALZHEIMER

In particolare, in Minicozzi et al. [Minicozzi, 2008 - JBC ] al fine di

identificare il sito di legame degli ioni Cu2+ e Zn2+, si sono studiati frammenti

di diversa lunghezza del peptide Aβ1−40. Il confronto tra gli spettri XAS

delle diverse porzioni del peptide ha mostrato che il sito di legame per il

Cu risiede nella porzione Aβ1−16. Numerosi studi concordano sul fatto che

le tre istidine presenti in questa regione siano tutte incluse nella sfera di

coordinazione del Cu, mentre l’identita degli altri residui coinvolti e ancora

controversa. In alcuni lavori viene proposto l’ossigeno dell’aa Tyr10 [Stellato,

2006 ], in altri l’N-terminale della catena principale [Karr, 2005 ], [Syme,

2004 ], [Silva, 2013 ], in altri ancora il gruppo carbossilato di Asp1 [Karr,

2007 ]. Ligandi aggiuntivi usati per completare la sfera di coordinazione

possono essere identificati negli atomi di ossigeno appartenenti alle molecole

d’acqua nella quale il peptide e in soluzione [Faller, 2009 ].

La modalita di legame del Cu con il peptide risulta inoltre essere alta-

mente dipendente dal pH [Syme, 2004 ]. Sono stati proposti vari modelli

di coordinazione, i quali differiscono tra loro principalmente nel numero di

istidine che legano al Cu. In particolare si pensa che a pH fisiologico ci possa

essere una miscela di stati nei quali il Cu si leghi alternativamente ad uno,

due o tre residui di istidina.

2.4.6 Complessi Zn− Aβ

La letteratura e abbastanza concorde nel ritenere che il sito di legame dello

Zn, come quello del Cu, risieda nella regione N-terminale idrofilica [Mini-

cozzi, 2008 ], [Tsvetkov, 2010 ]. E’ stato proposto, tra gli altri, un modello

dove lo Zn si lega alle tre istidine [Danielsson, 2007 ] e all’Asp1, mediante il

gruppo carbossilato e/o l’azoto N-terminale. Altri possibili ligandi potreb-

bero essere l’ossigeno di una molecola di H2O e/o del residuo Glu11 [Feller,

2009 ]. Studi NMR hanno proposto varie geometrie di coordinazione dello

Zn con il peptide Aβ, sia intramolecolari che intermolecolari5 , che coinvolgo-

5In questi casi gli ioni Zn si legano contemporaneamente a piu peptidi Aβ,promuovendo la formazione di polimeri.

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CAPITOLO 2. LA MALATTIA DI ALZHEIMER

no un numero diverso di istidine [Syme, 2006 ], [Danielsson, 2007 ]. L’ipotesi

che esistano una varieta di coordinazioni e stata confermata anche da studi

di spettroscopia XAS. Quest’ultima propone, tra gli altri, un modello in

cui lo ione Zn e coordinato a quattro residui di istidina [Minicozzi, 2008 -

JBC ]. Poiche ogni peptide Aβ contiene tre istidine, il modello richiede che

lo ione sia legato a ponte tra due peptidi formando cosı un dimero. Questo

modello e consistente con gli esperimenti di fluorescenza e di spettroscopia

ultravioletto visibile (V IS − UV ) condotti dal gruppo di Toungu [Toungu,

2008 ] dove viene mostrato che lo Zn, al contrario del rame, e in grado di pro-

muovere l’aggregazione dei peptidi Aβ con formazione di specie polimeriche.

Il possibile ruolo dello Zn nei processi di aggregazione e stato indagato uti-

lizzando varie tecniche (NMR, CD, FTIR e XAS), e si e mostrato tramite

FTIR e NMR che il frammento Aβ13−21 presenta una struttura secondaria

di foglietto β, nella quale i vari peptidi paralleli vengono arrangiati in fibrille

[Dong, 2006 ]. Dong suggerisce un modello nel quale residui His13 apparte-

nenti a due diversi peptidi sono in grado di chelare lo ione Zn, promuovendo

la formazione di fibrille. Lo stesso modello e stato avanzato con uno studio

complementare di spettroscopia XAS e simulazioni di dinamica molecolare

ab initio [Giannozzi, 2011 ].

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Capitolo 3

Spettroscopia XAS

3.1 Assorbimento dei raggi X

Figura 3.1: Legge di Lambert Beer.

La spettroscopia XAS (X-Ray Absorption Spectroscopy) e una tecnica

sperimentale che consente di ricavare informazioni strutturali a livello atom-

ico dalla misura del coefficiente di assorbimento di un campione in funzione

della lunghezza d’onda della radiazione, nella regione dei raggi X, incidente

su di esso. Quando un fascio di fotoni attraversa un campione di spessore d,

la sua intensita I0 decresce seguendo la legge esponenziale data dalla

I(E) = I0e−µ(E)d (3.1)

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

ove I(E) e l’intensita della radiazione trasmessa, µ(E) il coefficiente di

assorbimento del sistema in esame e d e lo spessore del campione in analisi.

I raggi X appartengono a quella porzione dello spettro elettromagnetico

in cui la lunghezza d’onda e compresa tra 0.01 A e 100 A. Essi interagiscono

con la materia principalmente mediante due meccanismi, l’effetto fotoelettri-

co e lo scattering (elastico o inelastico) [Mobilio, 2003 ]. Per la maggior parte

delle applicazioni della spettroscopia XAS, l’energia dei fotoni incidenti e

compresa tra 1 keV e 30 keV [Fornasini, 2003 ]. In questo intervallo di en-

ergia il contributo principale al coefficiente di assorbimento µ(E), introdotto

nell’equazione (3.1), e attribuibile all’effetto fotoelettrico (Figura 3.2 a).

In questo processo, un fotone di energia opportuna (maggiore dell’energia di

soglia, E0), e in grado di ionizzare un elettrone da un livello energetico interno

(elettrone di core) di un atomo assorbitore lasciando una lacuna nello stato

di core. L’elettrone nello stato eccitato puo quindi decadere mediante due

vie: l’emissione di raggi X di fluorescenza e l’effetto Auger [Landau, 2004 ]

(Figura 3.2 b).

Figura 3.2: a) Effetto fotoelettico: i raggi X sono assorbiti e un elettronedi core viene promosso nel continuo; b) Decadimento dello stato eccitato:raggi X di fluorescenza (sinistra), effetto Auger (destra).

Per ogni specie atomica esistono differenti energie di soglia, corrispondenti

alla ionizzazione delle varie shells elettroniche. L’energia di soglia con valore

piu elevato e la soglia K, che corrisponde all’energia di fotoionizzazione del

livello 1s, seguono in ordine decrescente le soglie L1, L2, L3 relative rispetti-

vamente ai livelli 2s, 2p1/2 e 2p3/2 (Figura 3.3 b), si hanno infine le soglie

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

M , N , O, e P relative alle shells elettroniche piu esterne. Per atomi con nu-

meri atomici sufficientemente elevati, i valori in energia del fotone ionizzante

per le varie soglie K sono ben separati gli uni dagli altri (Figura 3.3 c).

Definendo opportunamente l’intervallo di energie su cui raccogliere i dati di

assorbimento e possibile quindi selezionare un particolare atomo assorbitore.

Figura 3.3: a) Sezione d’urto di assorbimento dei raggi X del Germanioin funzione dell’energia del fotone incidente. Con una linea continua erappresentato l’effetto fotoelettrico, con una linea spezzata lo scatteringcoerente, con una linea punteggiata lo scattering incoerente;b) Coeffi-ciente di assorbimento in funzione dell’energia; c) Energia di legame deilivelli di core K, L3 e M5 in funzione del numero atomico Z.

Dall’analisi della forma dello spettro e possibile ricavare diverse infor-

mazioni sulla struttura locale intorno all’assorbitore, tra cui geometria e nu-

mero di coordinazione, stato di ossidazione, distanze di legame, disordine

statico e vibrazionale.

Nel caso di un atomo assorbitore isolato, fatta eccezione per i picchi osser-

vati in corrispondenza delle energie di ionizzazione delle varie shells, l’anda-

mento del coefficiente di assorbimento in funzione dell’energia e una funzione

monotonamente decrescente. Nei sistemi a molti atomi, invece, il coefficiente

di assorbimento non decresce monotonamente dopo l’energia di soglia, ma

presenta un andamento oscillante.

Le prime osservazioni della modulazione d’intensita degli spettri di assor-

bimento di radiazione X risalgono al 1918 [Kossel, 1920 ], successivamente il

fisico tedesco Ralph Kronig getto le basi teoriche della spettroscopia XAS

in un articolo del 1931 [Kronig, 1931 ] dove spiega l’origine delle oscillazioni.

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

L’elettrone emesso dall’atomo che assorbe il fotone X puo essere descritto

come un’onda sferica uscente centrata nell’assorbitore. Quando quest’onda

incontra gli atomi circostanti, essi si comportano come atomi scatteratori

e l’onda viene riflessa, dando luogo ad un’interferenza con l’onda uscente

stessa (Figura 3.4). La sezione d’urto dipende dalla natura chimica, dalla

geometria e dal numero degli atomi circostanti.

Figura 3.4: Interferenza di onda uscente e onda diffusa.

Figura 3.5: In ascissa e riportata l’energia del fotone incidente, in ordinatail coefficiente di assorbimento in unita arbitrarie. Sono mostrate le dueregioni di interesse: la regione XANES e la regione EXAFS.

Come mostrato in Figura 3.5 lo spettro XAS viene normalmente diviso

in due regioni:

XANES (X-ray Absorption Near-Edge Spectroscopy) che si estende

da qualche decina di eV prima della soglia a 50-100 eV dopo la soglia.;

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

EXAFS (Extended X-ray Absorption Fine Structure Spectroscopy)

che si estende per circa un migliaio di eV dopo la soglia. ;

3.2 Descrizione semiclassica dell’interazione

tra radiazione e materia

E possibile descrivere la modulazione del coefficiente di assorbimento µ(E)

usando un approccio semiclassico, in cui la radiazione viene descritta come

un campo classico e la materia viene trattata come un sistema quantistico.

In meccanica quantistica non relativistica l’evoluzione temporale della

funzione d’onda φ di una particella di massa m soggetta a un potenziale

esterno V (r) e regolata dalla ben nota equazione di Schrodinger:

i

~∂

∂tΨ = H0Ψ = (

~p2

2m+ V (~r))Ψ (3.2)

ove ~p e l’operatore impulso.

Quando la particella in esame e carica, l’interazione con il campo elettro-

magnetico e ottenuta applicando la sostituzione minimale:

~p −→ ~p− e~A

c(3.3)

dove e e la carica della particella, c la velocita della luce nel mezzo ed ~A

il potenziale vettore.

L’hamiltoniana del sistema assume la forma

H = H0 +H ′ (3.4)

dove H0 e l’hamiltoniana imperturbata e trascurando i termini quadratici

in ~A , H ′ = emc~A · ~p e l’hamiltoniana d’interazione con il campo elettromag-

netico.

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

Si puo includere l’effetto della presenza di H ′ sul sistema usando la teoria

delle perturbazioni dipendenti dal tempo. La probabilita di transizione tra

uno stato iniziale Ψi e uno stato finale Ψf nell’unita di tempo e data dal

seguente elemento di matrice τif

τif =2π

~|〈Ψi|H ′|Ψf〉|2δ(Ef − Ei − ~ω) =

=2π

~(e

mω)2|〈Ψi| ~A · ~p|Ψf〉|2δ(Ef − Ei − ~ω) =

=2π

~(eE0

mω)2|〈Ψi|ei

~k·~re · ~p|Ψf〉|2δ(Ef − Ei − ~ω)

(3.5)

dove ~ω e l’energia della radiazione incidente ed Ef ed Ei sono le energie

rispettivamente dello stato finale ed iniziale. Nell’ultimo passaggio della (3.5)

sono state inserite le espressioni per il potenziale vettore ~A = − c ~Eω

e per il

vettore campo elettrico ~E = E0ei~k·~re , dove E0 e il modulo del vettore, c la

velocita della luce, e e il versore del campo elettrico e k il vettore d’onda.

Dall’equazione (3.5) e possibile ricavare un’espressione per la potenza

di radiazione W assorbita dalla materia per unita di volume: essa si ot-

tiene moltiplicando la probabilita di transizione per la rispettiva energia ~ωe sommando su tutti i possibili stati finali f.

dW

dV=

∑f

~ωτif =∑f

2π1

ω(eE0

m)2|〈Ψi|ei

~k·~re · ~p|Ψf〉|2δ(Ef −Ei− ~ω) (3.6)

E necessario ora trovare una connessione tra l’espressione microscopica

appena trovata e le quantita classiche macroscopicamente misurabili, quali il

coefficiente di assorbimento, la costante dielettrica e l’indice di rifrazione.

A tale scopo, si consideri un cilindro di radiazione di base dσ ed altezza

dl centrato in x al tempo t la cui energia e data da

∆U(x(t)) = u(x)dσdl (3.7)

u(x) e la densita associata alla radiazione.

L’elemento di volume si muove lungo l’asse x con velocitac

n(n e il l’indice

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

di rifrazione del mezzo); dopo un certo tempo dt, esso si trova in una posizione

x(t+ dt)

x(t+ dt) = x(t) +c

n(t+ dt) (3.8)

e l’energia ∆U(x) in esso contenuta risulta, dalla legge di Lambert-Beer,

∆U(x(t+ dt)) = ∆U(x(t))e−µ(ε)(x(t+dt)−x(t)) = u(x)e−µ(ε)(x(t+dt)−x(t))dσdl

(3.9)

La potenza dissipata dW dal cilindro nell’unita di tempo dt si puo es-

primere come:

dW = −∆U(x(t+ dt)−∆U(x(t))

dt=

= −e−µ(ε)(x(t+dt)−x(t)) − 1

dtu(x)dσdl =

= −1− µ(ε)[x(t+ dt)− x(t)] +O(∆x2)− 1

dtu(x)dσdl =

=µ(ε)[x(t+ dt)− x(t)] +O(∆x2)

dtu(x)dσdl =

≈ µ(ε)c

nu(x)dσdl

(3.10)

Sapendo che la densita di energia associata al campo elettromagnetico e

u(x) =[E0(x)]2

4π(3.11)

e dividendo per il volume del cilindro si puo scrivere

dW

dV=

[E0(x)]2

c

nµ(E) (3.12)

L’espressione ottenuta in (3.12) e l’equivalente macroscopico della grandezza

calcolata quantisticamente nella (3.6).

Confrontando le due equazioni si ottiene un’espressione per il coefficiente

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

di assorbimento µ(E)

µ(E) = µ(~ω) =4πn

cE20

dW

dV=

8π2e2n

m2ωc

∑f

|〈Ψi|ei~k·~re · ~p|Ψf〉|2δ(Ef − Ei − ~ω)

(3.13)

Nell’elemento di matrice della (3.13) l’onda piana associata al campo elet-

tromagnetico puo essere sviluppata in serie di potenze

ei~k·~r ≈ 1 + i~k · ~r + ... (3.14)

Quando la lunghezza d’onda caratteristica degli stati iniziale e finale e

piccola rispetto alla lunghezza della radiazione e sufficiente utilizzare l’ap-

prossimazione di dipolo; lo sviluppo in serie si ferma quindi al primo termine

µ(E)dip =8π2e2n

m2ωc

∑f

|〈Ψi|e · ~p|Ψf〉|2δ(Ef − Ei − ~ω) (3.15)

L’approssimazione di dipolo risulta valida per studiare gli atomi leggeri men-

tre perde validita quando si ha a che fare con atomi pesanti. In questo caso e

opportuno considerare anche il secondo termine della (3.14) (approssimazione

di quadrupolo) e l’espressione per il coefficiente di assorbimento diviene:

µ(E)quad =8π2e2n

m2ωc

∑f

|〈Ψi|i~k~re · ~p|Ψf〉|2δ(Ef − Ei − ~ω) (3.16)

3.2.1 Calcolo dell’elemento di matrice nell’approssimazione

di dipolo

E utile manipolare la (3.15), ricavata in precedenza, in modo da scriverla in

una forma piu facilmente interpretabile. Riscrivendo l’operatore impulso ~p

come

~p = md~r

dt=m

i~[H,~r] =

m

i~(H~r − ~rH) (3.17)

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

e ricordando che 〈Ψi| e |Ψf〉 sono autostati dell’hamiltoniana si ha

m

i~〈Ψi|H~r − ~rH|Ψf〉 =

m

i~(Ei − Ef )〈Ψi|~r|Ψf〉 =

mωifi〈Ψi|~r|Ψf〉 (3.18)

ottenendo

µ(E)dip = 4π2α~∑f

|〈Ψi|e · ~r|Ψf〉|2δ(Ef − Ei − ~ω) (3.19)

dove e stata introdotta la costante di struttura fine α = e2

~c .

Introducendo ora la densita degli stati ρf , definita in modo tale che

ρf (E)dE sia il numero di stati finali di energia compresa tra E e E + dE, si

ottiene l’espressione, nota come regola d’oro di Fermi, per il coefficiente di

assorbimento

µ(E)dip = 4π2α~ω|〈Ψi|e · ~r|Ψf〉|2ρ(Ef )|Ef=Ei+~ω (3.20)

In linea di principio il processo di assorbimento puo coinvolgere tutti gli

elettroni dell’atomo assorbitore rendendo il calcolo dell’elemento di matrice

piuttosto complicato. Per semplicita ci si puo limitare allo studio di processi

elastici, nei quali il solo elettrone di core cambia stato, mentre gli stati dei

rimanenti N − 1 elettroni rimangono sullo stato quantico iniziale (elettroni

passivi); sotto questa ipotesi e possibile fattorizzare le funzioni d’onda iniziale

e finale dello stato nel seguente modo

〈Ψi| = 〈Φi|〈Υ(N−1)i |

|Ψf〉 = |Φf〉|Υ(N−1)f 〉

(3.21)

dove Υ(N−1) e la funzione d’onda degli N − 1 elettroni passivi.

Poiche l’hamiltoniana d’interazione agisce solo sull’elettrone attivo, la

(3.20) puo essere scritta come

µ(E)dip = 4π2α~ωS20 |〈Φi|e · ~r|Φf〉|2ρ(Ef )|Ef=Ei+~ω (3.22)

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

dove S20 = |〈Υ(N−1)

i |Υ(N−1)f 〉|2 e l’integrale di sovrapposizione tra le funzioni

d’onda degli orbitali passivi.

Nella rappresentazione delle coordinate, le funzioni d’onda Φi(~r) e Φf (~r)

sono autostati dell’hamiltoniana

H = − ~2m

~∇2 − Ze2

r+ V (~r) (3.23)

il primo termine e il contributo cinetico, il secondo termine e dovuto al poten-

ziale coulombiano d’interazione con il nucleo e l’ultimo termine rappresenta

il potenziale esterno in cui e immerso il nucleo.

Nello stato iniziale Φ(~r), l’elettrone e legato al nucleo tramite l’inter-

azione coulombiana e in prima approssimazione il potenziale esterno puo

essere trascurato. L’equazione di Schrodinger del sistema e dunque

H|Φi〉 = (− ~2m

~∇2 − Ze2

r)|Φi〉 = Ei|Φi〉 (3.24)

dove la soluzione radiale per lo stato fondamentale e la funzione d’onda

di un atomo idrogenoide

Φi(~r) = Ne−Zra0 (3.25)

Per l’elettrone nello stato finale e invece trascurabile il potenziale coulom-

biano; l’equazione di Schrodinger corrispondente e

H|Φf〉 = (− ~2m

~∇2 − V (~r))|Φf〉 = Ef |Φf〉 (3.26)

A questo punto conviene scrivere lo stato finale |Φf〉 come sovrapposizione

di un’onda piana |K〉 e di un termine perturbativo |Rest〉

|Φf〉 = |K〉+ |Rest〉 (3.27)

L’onda piana soddisfa

H0|K〉 = Ef |K〉 (3.28)

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

Utilizzando le equazioni (3.27) e (3.28) si puo scrivere

(H0 + V (~r))|Φf〉 = Ef |Φf〉

(H0 + V (~r))|K〉+ (H0 + V (~r))|Rest〉 = Ef |K〉+ Ef |Rest〉

Ef |K〉+ V (~r)|K〉+ (H0 + V (~r))|Rest〉 = Ef |K〉+ Ef |Rest〉

(3.29)

Semplificando il termine Ef |K〉 che compare sia a destra che a sinistra del

segno di uguale si ottiene

V (~r)(|K〉+ |Rest〉) + (H0 − Ef )|Rest〉 = 0 (3.30)

ovvero

V (~r)|Φf〉+ (H0 − Ef )|Rest〉 = 0 (3.31)

Invertendo la relazione precedente si ricava la relazione

|Rest〉 = (Ef −H0)−1V (~r))|Φf〉 (3.32)

che inserita nella (3.27) da infine

|Φf〉 = |K〉+ (Ef −H0)−1V (~r))|Φf〉 (3.33)

L’ultima equazione puo essere risolta in maniera iterativa; definendo

l’operatore di Green libero G0 = (Ef −H0)−1 si ha:

|Φf〉(0) = |K〉

|Φf〉(1) = |K〉+G0V (~r)|K〉

|Φf〉(2) = |K〉+G0V (~r)|K〉+G0V (~r)G0V (~r)|K〉

.........

|Φf〉(n) = |K〉+n∑j=1

(G0V (~r))j|K〉

(3.34)

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

All’ordine n, gli elementi di matrice Mif = |〈Φi|e · ~r|Φf〉| della (3.22)

scritti in termini di G0 assumono la forma

Mif = 〈Φi|e · ~r|Φf〉 = 〈Φi|e · ~r|K〉+n∑j=1

〈Φi|e · ~r(G0V (~r))j|K〉 ≡ A0 +n∑j=1

Aj

(3.35)

Nella (3.22) compare |Mif |2, che si puo scrivere

|Mif |2 = |A0 +n∑j=1

Aj|2 = |A0|2 + |n∑j=1

Aj|2 + 2Re(A0

n∑j=1

A∗j) (3.36)

Se si e interessati allo studio di eventi di singolo scattering, si puo arrestare

lo sviluppo in serie al secondo ordine ottenendo la seguente espressione per

il modulo quadro dell’elemento di matrice

|Mif |2 = |A0|2 + 2Re(A0A∗1) (3.37)

Il primo termine tiene conto dell’assorbimento dell’atomo isolato, i termini

successivi, essendo generati dalla presenza degli atomi scatteratori, sono i

responsabili delle oscillazioni nello spettro XAS.

Qualora si volessero includere nello studio eventi di multiplo scattering,

sarebbe necessario introdurre termini di ordine superiore nello sviluppo del-

l’elemento di matrice. In questi casi la sezione d’urto sara data dalla somma

su tutti gli eventi di scattering a cui il fotoelettrone e soggetto e si avra quindi

σtot = σ0 +∑i

σi +∑ij

σij +∑ijk

σijk + ...... (3.38)

Una trattazione piu rigorosa degli eventi di multiplo scattering e riportata

nel prossimo paragrafo.

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

3.3 Equazione EXAFS

3.3.1 Derivazione euristica in approssimazione di sin-

golo scattering

La spettroscopia EXAFS e le sue relazioni con la struttura locale di un

materiale possono essere comprese intuitivamente in un approccio euristico

ben descritto in letteratura [Newille, 2004 ] e ripreso di seguito.

Per il coefficiente di assorbimento vale la regola d’oro di Fermi (3.22)

µ(E) ∝ |〈Φi|Hint|Φf〉|2 (3.39)

che, in approssimazione di singolo scattering, grazie all’equazione (3.37),

assume la forma:

µ(E) ∝ |A0 + A1|2 = |〈Φi|Hint|K〉+ 〈Φi|Hint(G0V (~r))|K〉|2 =

= |〈Φi|Hint|K〉|2|1 +〈Φi|Hint(G0V (~r))|K〉|〈Φi|Hint|K〉|2

|2 =

= µ0(E)[1 + χ(E)]

(3.40)

Nella (3.40) µ0(E) rappresenta l’assorbimento dell’atomo isolato e χ(E)

detta funzione di struttura, tiene conto della presenza degli altri atomi.

Il termine di interazione Hint, come detto in precedenza, e proporzionale

a ei~k·~r.

Usando questa rappresentazione fisica, si sviluppa una semplice descrizione

matematica per arrivare all’equazione EXAFS nella sua forma standard.

La funzione d’onda del fotoelettrone Φ(k, r) si puo esprimere come un’on-

da sferica

Φ(k, r) =eikr

kr(3.41)

Quest’onda percorre una distanza r fino all’atomo vicino, viene diffusa

e ripercorre la stessa distanza r, sempre come onda sferica, fino a tornare

dall’atomo assorbitore. In seguito alle considerazioni fatte, passando nello

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

Figura 3.6: Illustrazione dell’assorbimento dei raggi X a seguito dell’effettofotoelettico per un atomo isolato. La probabilita di assorbimento presentaun forte picco quando l’energia del fotone X e quella corrispondente all’en-ergia E0 di ionizzazione dell’elettrone di core. A seguito del processo diassorbimento viene creato un fotoelettrone che si propaga come un’onda,il cui vettore d’onda e proporzionale a

√E − E0.

Figura 3.7: Illustrazione dell’assorbimento dei raggi X a seguito dell’effet-to fotoelettico per un atomo non isolato. Il fotoelettrone creato scat-tera con gli atomi vicini per poi tornare sull’atomo assorbitore, modu-lando l’ampiezza della funzione d’onda associata. Questa modulazione diampiezza e causa delle oscillazione presenti nel segnale EXAFS.

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

spazio dei vettori d’onda si puo esprimere χ(k) come:

χ(k) =µ(k)− µ0(k)

µ0(k)∝ eikr

kr[2kf(k)eiδ(k)]

eikr

kr(3.42)

dove f(k) e il fattore di scattering dell’atomo vicino e la fase δ(k) tiene

conto del fatto che l’elettrone si muove in un potenziale non costante. En-

trambi questi fattori dipendono dal numero atomico Z dell’atomo scattera-

tore, quindi permettono alla XAS di essere sensibile alla specie chimica.

Considerando solo la parte reale della (3.42) si ottiene la seguente espres-

sione per la funzione di struttura

χ(k) =f(k)

kr2sin [2kr + δ(k)] (3.43)

Fino a questo punto la trattazione e stata fatta per una coppia di atomi

(assorbitore e scatteratore), mentre nella realta bisogna sommare su tutti

gli atomi scatteratori. In generale molti sistemi reali hanno piu di un tipo

di atomi vicini. In questi casi la funzione di struttura fine totale diventa

semplicemente una somma dei contributi provenienti dai vari diffusori:

χ(k) =∑j

Nje−2k2σ2

j fj(k)

kr2j

sin[2krj + δj(k)] (3.44)

dove N e il numero di coordinazione e σ2 tiene conto del disordine termico

e statistico nelle distanze di legame per una coppia di atomi vicini dello stesso

tipo (fattore di Debye-Waller).

Bisogna infine tener conto del fatto che lo stato eccitato ha un tempo

di vita finito. Questo fa sı che al posto dell’onda sferica si utilizzi un’onda

sferica smorzata:

Φ(k, r) =eikre

−2rλ(k)

kr(3.45)

dove con λ si intende il cammino libero medio del fotoelettrone.

Un’ulteriore modifica all’equazione puo esser apportata ricordando l’e-

sistenza degli elettroni dell’atomo assorbitore che non intervengono diretta-

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

mente nel processo di fotoionizzazione. Per tenere conto di questo contributo,

nell’equazione (3.44) bisogna introdurre il termine moltiplicativo S20 , chiam-

ato in letteratura “fattore di riduzione da elettroni passivi” [Rehr, 1978 ]. Se

questi elettroni vengono considerati completamente passivi, il loro contributo

allo stato iniziale e quello finale e lo stesso, l’overlap tra le funzioni d’onda da

quindi un valore unitario, giustificando l’omissione fatta in precedenza. In

realta, il contributo allo stato finale e leggermente diverso, perche quando il

fotoelettrone viene espulso dall’atomo assorbitore, gli altri elettroni vedono

una carica positiva del nucleo maggiore e ‘rilassano’ quindi in uno stato diver-

so da quello iniziale. L’effetto di questi elettroni passivi e quello di attenuare

il segnale EXAFS ed S20 assume tipicamente dei valori che vanno da 0.7 a

1.0. In definitiva, includendo le ultime considerazioni fatte e ridefinendo il

fattore di scattering f(k) = A(k)2π~2 , si ottiene la forma standard dell’equazione

EXAFS:

χ(k) =S2

0

2π~2

∑j

NjAj(k)e−2k2σ2j e−

2rjλ(k)

kr2j

sin[2krj + δj(k)] (3.46)

E importante notare come questa espressione mostri che la tecnica XAS

sia una tecnica locale. Infatti, vista la dipendenza del segnale da r−2 e da

e−2rλ(k) , il segnale decresce molto rapidamente con la distanza, consentendo di

indagare soltanto una zona di circa 5− 10 A intorno all’atomo assorbitore.

3.3.2 Contributi di multiplo scattering

La teoria standard usata per analisi strutturali XAS e basata sul formalismo

del multiplo scattering. Tener conto dei contributi di multiplo scattering

consente infatti di ottenere informazioni quantitative, oltre che sul tipo di

atomi scatteratori e sulla loro distanza dall’atomo assorbitore, anche della

geometria secondo la quale tali atomi sono disposti.

E particolarmente utile includere i contributi di multiplo scattering nel-

l’analisi di uno spettro XAS quando si studia il legame tra un peptide e

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

Figura 3.8: Rappresentazione pittorica dei possibili processi di scattering.

Figura 3.9: a) Struttura chimica dell’istidina; b) Percorsi di multiploscattering tra il metallo e l’anello imidazolico dell’istidina.

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

un metallo; difatti, i residui amminoacidici che formano le proteine sono

principalmente composti da atomi leggeri (C, O, N , H) le cui ampiezze di

back scattering, in approssimazione di singolo scattering, sono difficilmente

distinguibili le une dalle altre.

Nelle metalloproteine l’istidina, grazie alle caratteristiche acido/base del-

l’anello imidazolico, e l’amminoacido che e maggiormente coinvolto con il

legame con ioni metallici [Sundberg, 1974 ]. La presenza di questo resid-

uo amminoacidico legato ad un metallo e facilmente individuabile grazie alla

grandezza del contributo di multiplo scattering (effetto di focusing) dato dal-

la planarita del legame e alla quasi linearita tra lo ione metallico ed alcuni

atomi dell’anello [Strange, 1987 ]. In Figura 3.9 e mostrata la struttura del-

l’istidina e i possibili cammini di multiplo scattering che si hanno tra l’atomo

emettitore e l’imidazolo.

3.4 Apparato sperimentale

3.4.1 Radiazione di sincrotrone

L’informazione strutturale presente negli spettri XAS e contenuta nelle mod-

ulazioni del coefficiente di assorbimento; per poterle rilevare e necessario che

il coefficiente di assorbimento sia misurato con una buona precisione ed e

quindi importante avere un buon rapporto segnale-rumore [Newville, 2004 ].

Per ottenere dati buoni in un tempo ragionevole (minuti o ore) e necessario

dunque utilizzare un fascio di raggi X molto intenso in uno spettro energetico

sufficientemente ampio. La radiazione piu adatta a questo tipo di misure e

pertanto la luce di sincrotrone.

Tale radiazione e prodotta dal moto accelerato di particelle cariche. Quan-

do elettroni o positroni vengono accelerati fino a velocita prossime a quella

della luce e fatti muovere lungo una traiettoria non rettilinea essi emettono

radiazione elettromagnetica in direzione tangenziale alla traiettoria [Jackson,

1975 ].

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

La luce di sincrotrone venne osservata per la prima volta nel 1946 da

Blewett al betatrone da 100 MeV dei laboratori General Electric di New

York. Anni piu tardi, Madden e Codling utilizzarono l’elettrosincrotrone di

180 MeV del National Bureau of Standards (Washington) per studi sui gas

rari e furono i primi a dimostrare l’alta potenzialita spettroscopica della luce

di sincrotrone. Dagli anni ’60 si sono rapidamente moltiplicati i progetti

di utilizzazione della radiazione di sincrotrone nei campi della fisica atomica,

della fisica dello stato solido e della biologia. Dall’uso parassitario di elettros-

incrotroni ed anelli di accumulazione costruiti primariamente per lo studio

delle particelle elementari, si e passati, negli anni ’80, allo sviluppo di mac-

chine acceleratrici specificamente dedicate e dotate di vari dispositivi mag-

netici per migliorare le caratteristiche del fascio fotonico emesso [Balzarotti,

1994 ].

Sono diversi gli aspetti che determinano la qualita di un fascio di raggi

X prodotto da una specifica sorgente. Questi aspetti vengono combinati in

una singola quantita, chiamata brillanza, che e utile per classificare le diverse

sorgenti di luce di sincrotrone [Nielsen, 2011 ]. In primis, e necessario consid-

erare il numero di fotoni emessi per unita di tempo. Bisogna, inoltre, tenere

in considerazione la collimazione del fascio, la sua dimensione e l’intervallo

di energia nel quale sono emessi i fotoni. Alcune sorgenti di raggi X, infatti,

possono produrre spettri piuttosto piatti mentre altre presentano picchi a

specifiche energie dei fotoni. Per convenzione si definisce, a tale scopo, una

larghezza di banda (B.W.) dello 0.1% della frequenza centrale1 . Mettendo

insieme questi contributi, la brillanza si definisce come:

B =Numero di fotoni emessi per secondo

Area della sorgente × Divergenza angolare del fascio × 0.1%B.W.(3.47)

Nella Figura 3.10 e riportata la brillanza in funzione dell’energia per

alcune sorgenti di sincrotrone.

Nei sincrotroni di nuova generazione, i pacchetti di elettroni, dopo essere

1Ad esempio per fotoni di energia pari a 10 keV si considerano tutti i fotoni di energiacompresa tra 9095 e 10005 eV.

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

Figura 3.10: Brillanza di alcune sorgenti di radiazione di sincrotrone. Icolori servono a identificare le diverse generazioni di acceleratori.

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

stati precedentemente accelerati linearmente nel linac, vengono introdotti in

un anello, lo storage ring. Nello storage ring, dove e mantenuta una con-

dizione di ultra alto vuoto, gli elettroni vengono accelerati da campi elettrici

e vengono mantenuti in una traiettoria curvilinea da appositi campi magneti-

ci curvanti (bending magnet). L’energia persa viene reintegrata attraverso

il passaggio in cavita conduttive (RF cavities). La radiazione viene emessa

tangenzialmente alla traiettoria del pacchetto di elettroni, lungo la direzione

della velocita istantanea. In alcune porzioni dell’anello sono presenti bat-

terie di magneti che costituiscono gli wigglers e gli ondulatori, che hanno la

funzione di incrementare la brillanza della radiazione (Figura 3.11).

Figura 3.11: Confronto dell’intensita di radiazione emessa tra magneticurvanti, wiggler ed ondulatori.

I fotoni cosı prodotti sono fatti passare attraverso una serie di componenti

ottici fino ad arrivare al campione da analizzare (Figura 3.12).

3.4.2 Ottiche e rivelatori

Allo scopo di intercettare la radiazione emessa, che viaggia in linea retta, le

beam-lines vengono costruite tangenzialmente all’anello (Figura 3.13).

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

Figura 3.12: Rappresentazione schematica di una beam-line.

Figura 3.13: Rappresentazione schematica di un sincrotrone: storage ring ebeam-lines.

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

Esse sono composte dalle ottiche preparatorie del fascio (monocroma-

tori, filtri, collimatori, lenti, shutters), dall’apparato di misura (campione e

rilevatori) e dalle componenti di schermatura per la sicurezza degli utenti

[Fornasini, 2003 ] (Figura 3.14).

Figura 3.14: Le beam-lines sono composte dalle ottiche, dall’areasperimentale e dalla cabina di controllo.

Il sincrotrone produce un fascio di fotoni con una larghezza di banda

piuttosto ampia. L’utilizzo di monocromatori permette di selezionare la fre-

quenza della radiazione incidente. I monocromatori piu diffusi sono quelli a

cristallo in cui l’energia del fascio viene selezionata dall’angolo di incidenza

della radiazione. Il cristallo del monocromatore e posizionato in modo tale

che solo la componente di energia desiderata venga diffratta, in accordo con

la Legge di Bragg.

2d sin θ = nλ (3.48)

dove d e la distanza tra i piani cristallografici, θ e l’angolo di incidenza,

λ e la lunghezza d’onda della radiazione ed n e un numero intero.

La scansione in energia puo essere dunque ottenuta ruotando il cristal-

lo intorno ad un asse parallelo ai piani di Bragg e perpendicolare alla di-

rezione del fascio incidente. Guardando l’equazione (3.48) si puo notare

che, oltre all’armonica fondamentale λ = 2 sin θ, sono selezionate anche le

armoniche superiori (n > 1), le quali costituiscono fonte di rumore per la

spettroscopia. Un modo per aggirare quest’inconveniente consiste nell’uti-

lizzo di due monocromatori identici leggermente disallineati, come mostrato

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

in Figura 3.15. La radiazione rifessa dal primo cristallo, viene diffratta

in un intorno finito dell’angolo di Bragg θ e l’ampiezza di questo intorno

(detta frequenza di Darwin) decresce al diminuire della lunghezza d’onda λ.

Aggiustando l’angolo del secondo cristallo si puo dunque selezionare la sola

lunghezza d’onda fondamentale ed escludere le armoniche superiori.

Figura 3.15: Schema di funzionamento di un monocromatore a cristalliindipendenti.

La focalizzazione e la collimazione del fascio sono ottenute attraverso l’u-

tilizzo di specchi da raggi X, per mezzo della riflessione totale. La riflessione

avviene solo per un angolo di incidenza minore di un angolo critico. Quest’ul-

timo e inversamente proporzionale all’energia e per energie elevate, come nel

caso dei raggi X usati per le misure XAS, l’angolo critico risulta molto picco-

lo. Scegliendo opportunamente l’angolo di incidenza del fascio sullo specchio,

e possibile riflettere solo la frequenza fondamentale eliminando componenti

di lunghezza d’onda multiplo di quella voluta [Fornasini, 2003 ].

Altri elementi indispensabili in una beam-line sono i rivelatori; essi trasfor-

mano l’intensita di radiazione in un segnale elettrico. La radiazione viene

assorbita dal materiale del rivelatore causando la foto-ionizzazione degli ato-

mi del materiale stesso; queste eccitazioni vengono poi tradotte in segnali

elettrici.

Esistono vari tipi di rivelatori usati in spettroscopia XAS; tra i piu co-

muni ci sono i rivelatori a gas quali le camere a ionizzazione ed i rilevatori

allo stato solido.

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

Le camere a ionizzazione consistono in due elettrodi separati da un gas.

Applicando una differenza di potenziale tra i due elettrodi si genera un cam-

po elettrico: il sistema cosı diventa un condensatore ad armature piane. In

assenza di raggi X il gas si comporta da isolante, mentre quando la radi-

azione passa attraverso la camera i fotoni vengono assorbiti dal gas generan-

do coppie elettrone-ione. Gli elettroni, sotto l’azione del campo elettrico, si

muovono verso l’anodo, mentre gli ioni positivi si dirigono verso il catodo:

la corrente cosı generata viene misurata ed amplificata integrandola su un

intervallo di circa 0.1-10 secondi. In questo modo il piccolo segnale in cor-

rente viene trasformato in un segnale di tensione proporzionale al numero di

coppie create.

Tra i rivelatori allo stato solido vengono solamente utilizzati quelli che

sfruttano le proprieta dei semiconduttori. La radiazione proveniente dal

campione eccita la formazione di una coppia elettrone-buca nella zona di

svuotamento di una giunzione PN (regione di spazio priva di carica che si

viene a formare attorno alla superficie di contatto dei due semiconduttori

drogati P e N). L’elettrone e la buca, accelerate da una differenza di poten-

ziale tra le giunzioni del semiconduttore, trasducono la radiazione in corrente

elettrica, che puo essere misurata direttamente.

Sebbene il meccanismo di funzionamento delle due tipologie di rivelatori

sia il medesimo, il vantaggio dei semiconduttori sta nel fatto che l’energia nec-

essaria per produrre una coppia lacuna-elettrone (che e dell’ordine di qualche

elettronvolt) e significativamente minore rispetto a quella che occorre per ion-

izzare una molecola di gas (circa 30 eV) [Leo, 1990 ]. Questa caratteristica

rende il rilevatore a stato solido piu sensibile.

3.4.3 Misura del coefficiente di assorbimento

In accordo con l’equazione (3.1), il coefficiente di assorbimento µ(E) e pro-

porzionale al rapporto tra l’intensita del flusso I0 incidente sul campione e

l’intensita del flusso I uscente da esso.

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

Al fine di misurare µ(E) sono possibili diverse configurazioni sperimentali.

La scelta tra esse dipende principalmente dalle caratteristiche del campione

in analisi, tra cui il valore dell’energia di soglia dell’atomo considerato, la

concentrazione e lo spessore del campione e dal tipo di informazione che si

vuole ottenere dall’analisi (studi di bulk o di superficie). Qui di seguito sono

presentate le configurazioni usate piu di frequente.

3.4.4 Misure in trasmissione

Figura 3.16: Schema della geometria sperimentale di trasmissione.

Il flusso incidente e quello uscente possono essere misurati direttamente

da due detector posti dietro e davanti al campione. Generalmente si usano a

tale scopo camere a ionizzazione, con elettrodi piani paralleli distanti qualche

decina di centimetri (Figura 3.16). L’efficienza delle camere a ionizzazione

puo essere ottimizzata nelle varie regioni spettrali variando la composizione

e la pressione del gas contenuto al loro interno.

L’intensita della radiazione trasmessa e data come al solito dalla legge di

Lambert-Beer (3.1).

In un generico campione biologico, le molecole di interesse per lo stu-

dio spettroscopico sono generalmente disciolte in una soluzione tampone;

l’assorbimento e dovuto quindi sia al soluto che al solvente,

µt(E) = µst(E) + µsv(E) (3.49)

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

ove µst e µsv sono rispettivamente i coefficienti di assorbimento del soluto

e del solvente.

L’equazione (3.1) prende la forma

I(E) = I0e−[µst(E)+µsv(E)]d (3.50)

La concentrazione del soluto va scelta in modo da massimizzare l’accu-

ratezza della misura, ossia il rapporto ∆µstµst

. Di seguito cerchiamo di esprimere

l’accuratezza della misura in funzione del rapporto di diluizione.

Statisticamente, l’errore commesso nella misura di I e

|∆I| ≈√I → I

|∆I|≈√I (3.51)

La variazione dell’intensita trasmessa a seguito della variazione del coef-

ficiente di assorbimento ∆µst del soluto e

|∆I| = I0e−[µst+µsv ]∆µstd = Id∆µst (3.52)

da cui si ottieneI

|∆I|=

1

∆µstd(3.53)

Se si vuole ottenere un rapporto tra radiazione incidente e radiazione

trasmessa di un decimo II0

= 1e2

= 110

deve imporsi

µtd ≈ 2→ d ≈ 2

µt(3.54)

Utilizzando ora le condizioni (3.54), (3.53) e (3.51) si ottiene

I

|∆I|=µt2

1

∆µst≈√I =

√I0e−2 =

√I0

e(3.55)

da cui segueµst|∆µst|

=2√I0

e

µstµt

(3.56)

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

Definendo sezione d’urto di assorbimento il coefficiente σ che mette in

relazione il numero di assorbitori n ed il coefficiente di assorbimento µ, vale

la

µ = σn (3.57)

Nell’ipotesi che la sezione di assorbimento delle molecole di soluto, σst,

sia dello stesso ordine di grandezza di quello delle molecole del solvente, σsv,

si puo esprimere il rapporto di diluizione R come

R ≡ nstnsl

=µstµsl

(3.58)

A questo punto si puo riscrivere la (3.56) in termini di R

µst|∆µst|

=2√I0

eR (3.59)

Dalla (3.59) si nota in maniera esplicita come l’accuratezza della misura

del segnale migliora con l’aumentare del rapporto di diluizione, ovvero con

la concentrazione del campione.

3.4.5 Misure in fluorescenza

Figura 3.17: Schema della geometria sperimentale di fluorescenza.

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

Nelle misure in geometria di fluorescenza l’intensita della radiazione inci-

dente viene misurata con una camera a ionizzazione, mentre la radiazione di

fluorescenza viene misurata tramite l’utilizzo di rilevatori a stato solido posti

perpendicolarmente alla direzione della radiazione incidente (Figura 3.17).

Questo tipo di rilevatori si preferisce alle camere a ionizzazione in misure di

fluorescenza, poiche la loro maggiore sensibilita permette di distinguere con

migliore precisione la radiazione propriamente di fluorescenza dalla diffusione

della radiazione incidente. L’intensita di fluorescenza e data dalla

If = I0(1− e−[µt(E)+µt(Ef )]d)εΩ

µst(E)

µt(E) + µt(Ef )(3.60)

dove I0(1− e−[µt(E)+µt(Ef )]d) e l’intensita di radiazione assorbita dal cam-

pione, ε e una costante di proporzionalita connessa all’efficienza del rivelatore

ed alla probabilita che una linea di fluorescenza venga misurata, Ω e l’angolo

solido sotteso dal rilevatore, mentre E ed Ef sono rispettivamente l’ener-

gia dell’elettrone assorbito e di quello emesso per fluorescenza. Nell’ipotesi

di un campione poco concentrato e relativamente spesso vale la seguente

disequazione

[µt(E) + µt(Ef )]d 1 (3.61)

che introdotta nella (3.60), nell’approssimazione in cui µt(E) = µt(Ef ) =

µt(E), ci conduce a

If = I0εΩ

µst2µt

= I0εΩ

nst2nt

= I0εΩ

R

2(3.62)

nell’ultimo passaggio e stato introdotto il rapporto di diluizione R in

accordo con la (3.58).

Poiche l’intensita di fluorescenza e proporzionale al numero di fotoni as-

sorbiti If ∝ µt e ricordando che l’errore statistico sull’intensita va come√I

(3.51), si ricava

µt|∆µt|

=If|∆If |

=

√I0ε

Ω

R

2(3.63)

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CAPITOLO 3. SPETTROSCOPIA XAS

La relazione (3.63) esprime l’accuratezza della geometria di fluorescenza

in termini del rapporto di diluizione R. Nella Figura 3.18 e riportata a con-

fronto l’accuratezza delle geometrie di trasmissione, (3.59), e di fluorescenza,

(3.63), in funzione di R. Per il grafico delle funzioni sono stati utilizzati valori

realistici delle costanti (ε = 0.4 e Ω = 0.1) mentre I0 e stato posto unitario.

Risulta abbastanza evidente che la geometria di fluorescenza e preferibile nel

caso di campioni molto diluiti (R < 10−2).

Figura 3.18: Accuratezza nelle geometrie di trasmissione e di fluorescenzain funzione del rapporto di diluizione R.

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Capitolo 4

Analisi dei dati

Come mostrato nel capitolo 2, una delle alterazioni piu frequenti nel cervello

dei malati di AD e costituita dalla formazione di placche amiloidi in cui sono

presenti ioni Cu2+, Zn2+ e Fe3+ in concentrazioni elevate. Ad oggi il ruolo

di questi metalli nella formazione delle placche non e stato chiarito.

La spettroscopia XAS, come descritto nel capitolo 3, consente di studi-

are campioni in ogni stato di aggregazione e puo quindi essere applicata allo

studio di complessi peptide-Aβ-metallo in soluzione. La selettivita chimica e

il fatto che la tecnica sia sensibile solo alla struttura locale in un intorno pic-

colo dell’atomo assorbitore (ordine a corto range) la rendono particolarmente

efficiente in quei casi, come quello qui discusso, in cui i sistemi di interesse

sono in soluzione.

In questo lavoro di tesi la XAS e stata utilizzata con lo scopo di chiarire a

livello atomico come l’interazione degli ioni Cu2+ e Zn2+ , simultaneamente

presenti in soluzione con il peptide Aβ, possa indurre modifiche strutturali

sul peptide ed eventualmente influenzare il processo di aggregazione. Al fine

di poter indagare in maniera diretta il modo di coordinazione di ciascuno

ione metallico con il peptide, i campioni sono stati studiati sia alla soglia del

Cu che alla soglia dello Zn.

L’esperimento oggetto di questa tesi trae ispirazione dai recenti risultati

ottenuti in un lavoro del 2013 [Silva, 2013 ] del Prof. Saxena del Dipartimento

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

di Chimica dell’Universita di Pittsburgh (Pennsylvania, USA). Nel suddetto

lavoro si mostra mediante l’EPR che la presenza di ioni Zn2+ ha influenza

sui modi di coordinazione del complesso Cu2+-Aβ. Per avere un confronto

diretto con i risultati ottenuti con l’EPR, i campioni analizzati in questa tesi

sono stati preparati nel laboratorio del Prof. Saxena usando la medesima

soluzione tampone, lo stesso pH e gli stessi rapporti di concentrazione di

peptide Aβ e di ioni metallici utilizzati per lo studio EPR. Il prossimo

paragrafo riassume le conclusioni del lavoro EPR.

4.1 Spettroscopia EPR sul complesso Cu/Zn−Aβ1−16

E’ opportuno ricordare che la tecnica EPR e in grado di studiare la struttura

intorno a un centro paramagnetico. Nel caso specifico questo comporta che

le informazioni strutturali ottenibili dall’EPR siano relative solo all’intorno

dello ione Cu2+. Lo Zn2+ infatti e silente all’EPR e i suoi effetti strutturali

sono deducibili solo in modo indiretto. Nel lavoro del 2013 [Silva, 2013 ] il

gruppo di Saxena studia il meccanismo con cui gli ioni Cu2+ e Zn2+ com-

petono per il legame con il peptide Aβ. I risultati EPR suggeriscono che

a pH fisiologico siano contemporaneamente presenti due principali modi di

coordinazione dello ione Cu2+, noti come Componente I e Componente II.

Nella Componente I (Figura 4.1) il Cu si lega simultaneamente a due

delle tre istidine presenti nel peptide. L’EPR e in grado di individuare

quali coppie di istidine sono coordinate al Cu. Su questa base nella Com-

ponente I sono individuabili tre subcomponenti, ovvero: subcomponente IA

(His6-His13) IB (His6-His14) e IC (His13-His14). Gli altri ligandi del Cu

in Componente I sono l’azoto del gruppo N-terminale e l’ossigeno del gruppo

carbossile dell’aa Asp1. In Componente II invece, il Cu risulta legato ad

un atomo di azoto di una sola istidina, all’ossigeno del gruppo carbossilico

e all’azoto del gruppo aminico dell’Ala2 e all’N-terminale. Anche in questo

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

caso sono state individuate tre subcomponenti a seconda di quale delle tre

istidine si lega allo ione (Figura 4.2).

Figura 4.1: Componente I: sketch delle tre subcomponenti.

Figura 4.2: Componente II: sketch delle tre subcomponenti.

Competizione degli ioni Cu2+ e Zn2+ nel legame con il

peptide Aβ

Per rivelare una eventuale competizione tra ioni Cu2+ e Zn2+ per il legame

con il peptide Aβ sono stati effettuati esperimenti ESR ad onda continua

(Continuous-Wave ESR, CW-ESR). I campioni sono costituiti da una solu-

zione di Aβ1−16 alla concentrazione di 1.25 mM sciolto in buffer NEM (N-

EthylMaleimide) 100mM a pH 7.4 e in presenza di 1.25 mM di CuCl2. Alla

soluzione vengono aggiunte aliquote variabili di ZnCl2 per ottenere concen-

trazioni finali di Zn2+ pari a 0.0, 1.25 e 5.0 mM. I tre campioni cosı ottenuti

saranno da ora in poi indicati in equivalenti (eq)1 di Aβ1−16, ovvero 1:1:0

(0.0mM Zn2+), 1:1:1 (1.25 mM Zn2+) e 1:1:4 (5 mM Zn2+).

1Un equivalente corrisponde alla concentrazione di 1.25 mM.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

La Figura 4.3 riassume i risultati ottenuti da Saxena. Si puo notare che

nella figura sono mostrate le caratteristiche dello spettro che sono attribuibili

alle due componenti di coordinazione.

Figura 4.3: Spettri CW-ESR acquisiti a pH=7.4.

Come si vede, passando da 0 a 1 eq di Zn2+, l’intensita del segnale totale

integrato diminuisce del 25%. Passando al campione in cui sono presenti

quattro equivalenti di Zn2+ il segnale diminuisce di un ulteriore 15%. Questo

comportamento e attribuibile ad una parziale sostituzione del Cu2+ legato

al peptide con lo Zn2+. Si puo notare in particolare che l’aggiunta di Zn2+

altera solo le caratteristiche relative alla Componente I, mentre l’intensita

del segnale della Componente II risulta molto simile sia in presenza che in

assenza dello Zn2+.

Allo scopo di capire in che modo il segnale del Cu decresca in presenza

dello Zn sono stati effettuati ulteriori studi CW-ESR, nei quali viene man-

tenuto costante il rapporto tra la concentrazione di peptide e di Cu mentre

viene cambiata la concentrazione dello Zn, in un intervallo che va da 0 eq a

4 eq. Nella Tabella 4.1.

In assenza di Zn, prevale la Componente I che contribuisce per circa il

65% al segnale. Quando le concentrazioni di Cu2+ e Zn2+ sono in proporzione

1:1, la Componente I contribuisce a circa il 50% del segnale. Nel caso in cui

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

la proporzione sia 1:4 il contribuito della Componente I diminuisce fino al

35%.

E’ noto che a pH 8.7 e presente solo la Componente II. Nella Figura 4.4

sono confrontati gli spettri in assenza di Zn2+ e in proporzione 1:1 a pH=7.4

e 8.7. Come si vede a pH 8.7 la presenza di Zn non ha effetto, confermando

cosı che lo Zn agisce solo sulla Componente I.

Figura 4.4: Spettri CW-ESR dei complessi Cu−Aβ (linea nera) e Cu/Zn−Aβ (linea grigia). Nella figura a sinistra (a)) il pH della soluzione e 7.4,nella figura a destra (b)) il valore del pH e 8.7.

Equivalenti di Zn aggiunti Componente I (%) Componente II (%)0 65 35

0.5 58 420.75 56 44

1 53 472 40 604 35 65

Tabella 4.1: Percentuale di Componente I e Componente II in presenza di

diversi equivalenti di Zn2+. Il pH e 7.4.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

4.2 Descrizione dei campioni sottoposti a XAS

Nome Aβ : Cu : Zn Soglia K Ordine di Colore deglidel campione di acquisizione addizione spettri

Cu Zn

S1 1:1:1 X X Simultaneamente VerdeS2 1:1:4 X X Simultaneamente Grigio chiaroS3 1:0:1 X Solo Zn2+ Verde acquaS4 0:0:8 X Zn in buffer -S5 0:0:0 X X No metalli -S6 1:1:0 X Solo Cu2+ ViolaS7 0:1.6:0 X Cu in buffer BluS8 0:0:1.6 X Zn in buffer BluS9 1:1:1 X X Prima Cu2+ ArancioneS10 1:1:1 X X Prima Zn2+ Grigio scuroS11 1:1:4 X X Prima Cu2+ RossoS12 1:1:4 X X Prima Zn2+ Bordeaux

Tabella 4.2: Nella prima colonna sono riportati i nomi assegnati aivari campioni. Nella seconda colonna sono indicate, in equivalentidi peptide, le concentrazioni relative ione-peptide (un equivalentecorrisponde alla concentrazione di 1.25 mM). Nella terza colonnae indicata la soglia K alla quale viene acquisito lo spettro XAS.Nella quarta colonna si descrive la procedura di preparazione delcampione. Nell’ultima colonna e indicato il colore con cui verrannorappresentati gli spettri dei campioni in tutta l’analisi.

Nella Tabella 4.2 sono elencati i campioni analizzati nell’esperimento

oggetto di questa tesi. I campioni S1, S2 e S6 sono identici a quelli utilizzati

negli esperimenti EPR: le concentrazioni di peptide e metalli sono nelle

stesse proporzioni (Aβ − Cu − Zn = 1 : 1 : 1, Aβ − Cu − Zn = 1 : 1 : 4 e

Aβ − Cu− Zn = 1 : 1 : 0) e la preparazione ha seguito la stessa procedura.

Questi campioni sono stati analizzati, alla soglia del Cu, con l’intento

di riprodurre quanto osservato mediante l’EPR sul modo di coordinazione

del Cu con il peptide Aβ. Gli stessi campioni vengono anche analizzati alla

soglia dello Zn per ottenere informazioni dirette sul modo di coordinazione

di quest’ultimo ione metallico, non ottenibili dall’EPR. Poiche la nostra

tecnica, contrariamente all’EPR, lo consente, abbiamo studiato, alla soglia

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

dello Zn, anche il campione contenente Aβ : Cu : Zn in proporzione 1 : 0 : 1

(S3), in assenza di Cu.

Inoltre, per verificare l’ipotesi che l’ordine in cui i metalli vengono ag-

giunti alla soluzione possa avere un’influenza sul modo in cui questi legano

il peptide, abbiamo preparato anche campioni2 in cui viene aggiunto prima

il Cu2+ (S9 e S11) o prima lo Zn2+ (S10 e S12). Per tutti e quattro sono

registrati spettri a entrambe le soglie, Cu e Zn.

Lo spettro di riferimento e naturalmente quello relativo al campione in

cui e presente solo lo ione metallo in soluzione nello stesso tampone in cui e

disciolto il peptide (S7, Cu in buffer e S8, Zn in buffer)3 . Il campione S5, il

tampone in cui non vengono sciolti ioni metallici, e registrato per escludere

la presenza di contaminanti.

Nella trattazione che segue, al fine di indicare senza ambiguita la soglia

alla quale e misurato lo spettro, si usera a seguito del nome del campione un

suffisso, Cu per indicare che l’acquisizione e stata effettuata alla soglia del

Cu ed Zn per indicare l’acquisizione alla soglia dello Zn.

4.3 Preparazione dei campioni

I peptidi Aβ1−164 utilizzati per gli esperimenti presentati in questa tesi sono

stati acquistati dalla ditta rPeptide di Bogart (Georgia, USA). Il NEM usato

per il tampone, il solfato di Zinco (ZnSO4)ed il solfato di Rame (CuSO4)

sono stati comprati dalla ditta Sigma-Aldrich di Stain Louis (Missouri, USA).

La prima fase della preparazione dei campioni e stata effettuata dal grup-

po del Prof. Saxena nel laboratorio presso l’universita di Pittsburgh. E’

stata preparata una soluzione contenente 2.5 mM di peptide Aβ disciolto in

2I dettagli della preparazione sono dati nel successivo paragrafo.3Nel campione S4, che per completezza abbiamo inserito nella tabella, la concentrazione

di Zn era troppo elevata e provocava la saturazione del rivelatore.4La struttura primaria del peptide e DAEFRHDSGYEVHHQK.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

NEM 100mM a pH di 7.45 , in 50% di glicerolo6 . La soluzione cosı ottenuta

e stata quindi divisa in aliquote di 50µl ciascuna. Sono inoltre state preparate

soluzioni dei sali CuSO4 o ZnSO4 in tampone, con una concentrazione fi-

nale di ioni metallici pari a 10mM. Le provette contenenti i diversi campioni

sono state congelate ad una temperatura di -18°C e spedite al sincrotrone di

Grenoble.

Nel laboratorio di Grenoble sono stati da noi preparati i campioni da

analizzare per le misure XAS.

Le concentrazioni finali di ioni metallici, indicate in Tabella 4.2, sono

ottenute aggiungendo alle soluzioni contenenti i peptidi le opportune quantita

di tampone e di metalli nell’ordine previsto.

Per assicurare un sufficiente tempo di incubazione, le soluzioni conte-

nenti un singolo metallo (oppure entrambi quando sono aggiunti contempo-

raneamente) sono state preparate 15 ore prima della misurazione. Durante

l’incubazione i campioni sono tenuti a 4°C. Il secondo ione metallico, quan-

do previsto, e aggiunto alla soluzione contenente il peptide e il primo ione,

qualche minuto prima di effettuare le misure.

Per la misura si prelevano usando una micropipetta 40µl di soluzione

che vengono depositati in un porta-campioni di materiale plastico chiuso da

due finestre di kapton (Figura 4.5). Questa fase e molto delicata, poiche e

necessario accertarsi che non ci siano impurita sulla superficie delle finestre

o all’interno del porta-campioni e che la soluzione sia omogenea (assenza di

grumi o bolle d’aria).

Una volta conclusa questa verifica il campione e rapidamente congelato

immergendolo in azoto liquido. Durante l’acquisizione degli spettri, per lim-

itare danni da radiazione e stabilizzare lo spettro, i campioni sono tenuti ad

una temperatura di 13 K in un criostato ad elio liquido (Figura 4.6).

5Si e raggiunto il pH richiesto aggiungendo alla soluzione un’opportuna quantita diacido solforico (H2SO4).

6Il glicerolo viene usato come crioproteggente.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Figura 4.5: Porta-campioni.

Figura 4.6: Nella figura il cilindro arancione e il criostato a He al quale ecollegato il porta-campioni.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

4.4 Acquisizione del segnale

Figura 4.7: Camera sperimentale vista dell’esterno.

Gli spettri XAS sono stati acquisiti alla beamline BM30B dell’Euro-

pean Synchrotron Radiation Facility (Grenoble, Francia) [Proux, 2005 ]. La

BM30B e dotata delle caratteristiche ideali per le nostre esigenze. Essa

dispone di un criostato all’elio liquido e consente di modificare facilmente

e rapidamente l’energia dei fotoni incidenti per passare dalla soglia K dello

Zn a quella del Cu e viceversa. L’anello di accumulazione, durante il nostro

esperimento, opera in modalita 7/8 + 1 bunch a un’energia di 6 Gev e una

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

corrente di 200mA. L’energia del fascio e selezionata usando un monocro-

matore a doppio cristallo di Si con risoluzione di ≈ 0.5 eV [Proux, 2006 ]. Il

fascio incidente sul campione copre un’area di 300×200µm2. Gli spettri sono

acquisiti in geometria di fluorescenza, poiche questa fornisce il miglior rap-

porto segnale/rumore per basse concentrazioni dell’assorbitore come quelle

presenti nei nostri campioni.

L’intensita della radiazione incidente, I0, e misurata con una camera a

ionizzazione, mentre per misurare l’intensita della radiazione di fluorescenza

emessa del campione, I, si utilizza un rilevatore a stato solido al Ge composto

da 30 elementi. Una volta posizionato il campione all’interno del criostato a

He, la camera sperimentale viene chiusa e si autorizza l’apertura dello shut-

ter. A questo punto si deve verificare che il fascio incida sul campione e che

quest’ultimo non presenti evidenti disomogeneita. A tale scopo il campione

viene mosso rispetto al fascio utilizzando appositi motori potendo cosı mis-

urare l’intensita di fluorescenza a energia fissata (monocromatore fermo) in

punti diversi del campione. Tale procedura permette di selezionare quelle

regioni del campione che mostrano maggiore omogeneita e concentrazione

dell’assorbitore, ovvero quelle in cui il numero di conteggi e il piu elevato

possibile e non varia eccessivamente da punto a punto.

Una volta selezionate le regioni da utilizzare per acquisire i vari spettri,

si impostano i parametri dello scan: intervallo di energia e passo δE. Per le

acquisizioni alla soglia del Cu, abbiamo acquisito in una regione dello spettro

compresa all’incirca tra i 65 eV al di sotto dell’energia di soglia e i 630 eV

dopo la soglia, invece per le acquisizioni alla soglia K dello Zn abbiamo

acquisito in una regione dello spettro compresa circa tra i 110 eV al di sotto

dell’energia di soglia e i 780 eV dopo la soglia7 .

Considerando che le diverse regioni (pre-soglia, soglia, post-soglia) che

compongono uno spettro XAS hanno diversa importanza e contengono in-

formazioni diverse, per minimizzare il tempo di misura, si e deciso, come

di consueto in questi tipi di misure, di utilizzare diversi valori per il passo

7Per le acquisizione alla soglia del Cu stato necessario accorciare l’intervallo di misurapost soglia per escludere dagli spettri il contributo della soglia dello Zn.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

energetico di campionatura nelle diverse regioni. La regione pre-soglia viene

utilizzata soltanto per la sottrazione del fondo con una regressione lineare e

sono quindi sufficienti pochi punti sperimentali. Il passo in questa regione

e quindi di 3eV. La regione di soglia invece puo contenere importanti in-

formazioni strutturali e per una buona analisi e necessaria un’acquisizione

con elevata risoluzione: si usa percio un δE = 0.5 eV. Nella regione EXAFS

(dopo-soglia) infine si imposta un passo di acquisizione leggermente maggiore

di quello usato nella regione di soglia.

L’acquisizione di uno spettro richiede nel nostro caso circa 40 minuti.

Campione Numero di spettri acquisiti

S1 Cu 10S1 Zn 10S2 Cu 12S2 Zn 11S3 Zn 10S4 Zn 2S6 Cu 9S7 Cu 7S8 Zn 10S9 Cu 9S9 Zn 9S10 Cu 9S10 Zn 10S11 Cu 9S11 Zn 9S12 Cu 9S12 Zn 10

Tabella 4.3: Spettri acquisiti

Al fine di migliorare il rapporto segnale rumore, per ogni campione sono

stati acquisiti vari spettri, che sono poi stati mediati. Per limitare gli effetti

del danno da radiazione ogni spettro e stato acquisito su una diversa porzione

del campione. Per fare la media sono stati selezionati gli spettri che non

apparivano significativamente diversi l’uno dall’altro. Nella Tabella 4.3 e

riportato il numero n di spettri mediati per ciascun campione.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

4.5 Estrazione della χ(k)

Per l’estrazione del segnale EXAFS abbiamo utilizzato il software ATHENA

[Ravel, 2005 ]. Per prima cosa si controlla il rapporto II0

separatamente per

ciascuno dei 30 canali del rivelatore e si scarta il segnale di quei canali che

presentano evidenti problemi. Mediamente per ogni spettro si scartano 7 o

8 canali. Il segnale dai canali “buoni” e quindi mediato e sottoposto alla

successiva analisi.

Per mediare i vari spettri acquisiti e confrontare spettri di campioni di-

versi e necessario operare una procedura di normalizzazione in modo che

lo spettro sia indipendente dalle condizioni sperimentali quali lo spessore e

la concentrazione del campione, la distanza dal rivelatore, il settaggio del

rivelatore e dell’amplificatore, etc.

Per prima cosa si deve determinare l’energia di soglia, E0. In genere

questa viene fatta coincidere con l’energia corrispondente al massimo della

derivata prima della µ(E) (Figura 4.8).

Figura 4.8: Spettro non normalizzato del campione S1 Cu. Il cerchio rossoindica la posizione della soglia, E0.

Si procede poi con la normalizzazione che consiste nel rimuovere dal-

lo spettro due contributi, il pre-soglia, e il post-soglia. Per determinare il

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

contributo del pre-soglia viene operata una regressione lineare in un inter-

vallo tra 80 e i 25 eV prima di E0. Il fit ottenuto viene quindi sottratto a

tutto lo spettro. Si individua poi l’andamento della funzione di post-soglia

approssimandola con un polinomio, generalmente di 2° grado, che interessa

la zona tra i 150 e i 600 eV dopo E0 (Figura 4.9). Si normalizza quindi

lo spettro imponendo che il salto, ∆µ(E), tra la regione pre-soglia e quella

dopo-soglia sia uguale ad 1. Si ottiene in tal modo la funzione normalizzata

µ(E) mostrata in Figura 4.10.

Per calcolare la χ(E) dell’equazione (3.40) e necessario infine sottrarre

dal coefficiente di assorbimento l’assorbimento dovuto all’atomo isolato, che

viene approssimato da un fit effettuato sulla regione post-soglia (indicato

nella Figura 4.11 come background). Comunemente, a tale scopo, si utiliz-

zano quattro o cinque spline per approssimare la regione post soglia (Figura

4.11). A questo punto si ottiene, eseguendo una trasformazione dallo spazio

dell’energia a quello dei vettori d’onda, la funzione χ(k) definita nella (3.42),

χ(k) =µ(k)− µ0(k)

µ0(k)(4.1)

che verra utilizzata in seguito per effettuare l’analisi dei dati (Figura 4.12).

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Figura 4.9: Spettro non normalizzato del campione S1 Cu. Sono mostrati ifit di pre-soglia e post-soglia.

Figura 4.10: Spettro normalizzato del campione S1 Cu.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Figura 4.11: Spettro del campione S1 Cu. In rosso e mostrato il fit dibackground.

Figura 4.12: Funzione χ(k) del campione S1 Cu. Per migliorare la visual-izzazione delle oscillazioni ad alti valori dell’energia, la χ(k) e pesata ink3.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

4.6 Analisi regione EXAFS: teoria

L’analisi quantitativa delle χ(k) dei vari campioni presentati in questa tesi e

stata effettuata usando il software Excurve98. Tale programma consente di

trovare il modello strutturale teorico che meglio riproduce gli spettri EXAFS

sperimentali. Poiche in generale il segnale decresce di intensita al crescere di

k, si puo decidere di moltiplicare il dato sperimentale per kn, con n=1,2,3.

Con questo accorgimento si amplificano i contributi ad alti k [Binsted, 1992 ].

Lo spettro teorico viene determinato includendo i contributi di singolo e di

multiplo scattering calcolati su una struttura circostante l’atomo assorbitore

che viene definita dall’utente. La struttura e descritta definendo una o piu

shell di coordinazione. Una shell rappresenta un certo numero di atomi diffu-

sori della stessa specie che si trovano alla stessa distanza dall’atomo emetti-

tore. I parametri geometrici che definisco la iesima, shell sono la molteplicita,

ni, la distanza dall’atomo assorbitore, ri, e i fattori alla Debye-Waller (DW ),

σi. Il software consente di variare questi parametri in modo da massimizzare

l’accordo tra la χFit(k), ottenuta dal modello teorico e la χExp(k) sperimen-

tale. Il miglior accordo tra gli spettri viene cercato minimizzando la funzione

chiamata fit index che e definita come

Φ =N∑i=1

ω2i [χ

Exp(ki)− χFit(ki)]2 (4.2)

dove l’indice i corre su tutti gli N punti sperimentali ki e ωi e definito

dalla seguente espressione

ωi =kni∑N

j=1 knj |χExp(kj)|

(4.3)

n e un numero intero che varia tra 0 e 3 e corrisponde al peso in k dato

allo spettro. Durante il processo di raffinamento dei parametri del modello,

Excurve permette all’utente di valutare la bonta del fit con un fattore di

qualita, R, calcolato mediante la formula

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

R =N∑i=1

ωi[χExp(ki)− χFit(ki)]× 100 (4.4)

dove ωi e lo stesso definito in (4.3). Per un confronto qualitativo tra dato

sperimentale e modello teorico, il software consente inoltre di visualizzare le

trasformate di Fourier (FT) dei segnali sperimentale e teorico, ottenute dalla

χ(k) tramite la seguente espressione:

F (r) =

∫ Kmax

Kmin

χ(k)W (k)kne2ikrdk (4.5)

La funzione W (k) e una funzione finestra che viene utilizzata per ridurre

gli effetti spuri dovuti al fatto che la funzione χ(k) e definita soltanto in

un intervallo finito in k. Quantitativamente, l’ampiezza dei picchi osservati

nella FT da informazioni sul numero di atomi contenuti in ogni shell e sul

loro DW. Il modulo di F (r) e caratterizzato dalla presenza di alcuni picchi

centrati intorno alle distanze di ogni shell di coordinazione (o di cammini di

MS). E importante notare che la posizione dei picchi osservati nella FT non

corrisponde alla distanza fisica degli atomi scatteratori; questo e dovuto alla

presenza del termine di phaseshift, Φ, nell’equazione dell’EXAFS (3.46). In

genere per questo tipo di campioni, lo spostamento e quantificabile in qualche

decimo di A (0.2-0.5 A) in direzione di valori di R inferiori.

La struttura logica del programma di analisi puo essere schematicamente

descritta come segue:

1. Lettura dello spettro sperimentale. Il dato sperimentale deve essere

inserito come funzione di E−E0. E necessario definire alcuni parametri

per la corretta lettura dello spettro:

(a) Frequenza dei punti: si puo decidere se leggere tutti i punti spe-

rimentali o soltanto uno ogni n (con n=2,3,. . . ). La scelta di un

n > 1 rende piu veloce la simulazione, e quindi puo essere preferita

nelle fasi preliminari dell’analisi, mentre e opportuno porre n=1

nel seguito.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

(b) Si seleziona l’atomo assorbitore.

(c) Intervallo di energia: si puo decidere quale intervallo di energia

considerare per l’analisi. La scelta dell’energia massima dipende

dalle caratteristiche dello spettro e per avere un buon fit e oppor-

tuno considerare soltanto la parte dello spettro dove il rapporto

segnale/rumore e buono.

(d) Peso in k: si sceglie il valore n con cui pesare la funzione in modo

tale che le oscillazioni siano tutte della stessa ampiezza

2. Definizione dell’atomo assorbitore e del suo intorno locale.

Si deve definire un cluster ed elencare tutte le specie atomiche che ne

fanno parte, specificando quale e l’atomo assorbitore e quali sono gli

scatteratori.

3. Calcolo delle fasi e dei potenziali per il sistema.

I potenziali sono calcolati nell’approssimazione di muffin-tin. Il pro-

gramma calcola quindi in modo approssimato la densita elettronica e

la integra su tutta la sfera di Wigner-Seitz, in modo da ottenere il

numero di elettroni “apparenti”, che deve essere vicino al numero di

elettroni effettivamente presenti. Per ciascun atomo, viene inoltre cal-

colato il potenziale V0, che corrisponde alla parte costante interatomica

del potenziale nell’approssimazione di muffin-tin; tale valore deve essere

lo stesso per tutti gli atomi del cluster. In caso contrario e opportuno

imporre che questa condizione sia verificata consentendo piccole varia-

zioni dei raggi di muffin-tin. Dopo aver ottenuto i potenziali, i phase-

shifts relativi a ciascun atomo sono calcolati utilizzando il metodo di

Hedin-Lundquist [Roy, 2001 ].

4. Definizione del modello strutturale.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Si definiscono le coordinate spaziali, eventualmente importandole diret-

tamente da un file PDB8 , ed il fattore di DW per ciascuna delle shell

presenti nel sistema. Qualora si sia a conoscenza della presenza con-

temporanea di piu strutture di coordinazione dell’atomo assorbitore, il

software consente di costruire modelli nei quali sono presenti contem-

poraneamente piu cluster e dove la percentuale di occupazione di ogni

cluster e opportunamente pesata.

5. Procedura di minimizzazione.

Il bestfit, mediante minimizzazione della differenza tra spettro teorico

e sperimentale, si ottiene variando alcuni parametri scelti dall’utente.

Come si e detto, i parametri geometrici per ciascuna shell sono il nu-

mero e il tipo di atomi, la loro distanza e i relativi fattori di DW . Un

ulteriore parametro e lo shift dell’energia di soglia,∆E. Nel caso che

nel sistema in esame siano presenti piu di un cluster e inoltre possibile

fittare anche la percentuale di contributo di ogni cluster. In generale,

il numero dei parametri che puo essere raffinato deve essere in ogni

caso minore del numero Nind di parametri indipendenti che si hanno a

disposizione. Nind dipende dal range in k e in r che si sta considerando,

e si calcola mediante la formula

Nind =2

π(kmax − kmin)(rmax − rmin) (4.6)

Per limitare il numero dei parametri da fittare, e possibile vincolare allo

stesso valore parametri relativi ad atomi diversi (ad esempio i fattori

di DW di atomi posti a distanze simili) o imporre che alcuni insiemi

di atomi definiti come unita9 si spostino rigidamente. Quest’ultima

8Il Protein Data Bank (PDB) e un archivio per dati di struttura in 3-D di proteine eacidi nucleici. Questi dati, ottenuti soprattutto mediante diffrazione ai raggi X o tramitespettrografia NMR sono depositati da ricercatori di tutto il mondo, sono di pubblicodominio e sono accessibili gratuitamente.

9L’aa istidina, ad esempio, e composto da 10 atomi e contribuisce con 3*10=30 gradidi liberta; utilizzando il “constrained refinement” la molecola e trattata come un corporigido e sono sufficienti soltanto 6 parametri (3 coordinate e 3 angoli) per definire la sua

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

opzione e indicata come “constrained refinement” [Keung, 2000 ] [Has-

nain, 2001 ] ed e particolarmente utile quando si ha a che fare con

molecole biologiche come gli aminoacidi, in cui la struttura di alcuni

gruppi e nota e rigida.

4.7 Analisi qualitativa

In questo paragrafo e mostrata l’analisi qualitativa effettuata sulle regioni

XANES degli spettri XAS. Gli spettri acquisiti ad una determinata soglia

K (Zn oppure Cu) sono confrontati dapprima raggruppando gli spettri re-

lativi ai campioni preparati mediante la stessa procedura (Figura 4.13 e

Figura 4.14), poi si confrontano gli spettri dei campioni aventi la stessa

concentrazione relativa peptide:metalli e preparati seguendo procedure di-

verse. In ogni figura, per agevolare l’interpretazione dei dati, viene anche

visualizzato lo spettro del tampone senza peptide.

4.7.1 Confronto dei campioni aventi diverse concen-

trazioni relative peptide/metalli, preparati usan-

do la stessa procedura

Dall’analisi qualitativa effettuata sugli spettri di Figura 4.13, si puo no-

tare che, indipendentemente dalla procedura di preparazione e dalla concen-

trazione relativa di peptide-metalli, tutti gli spettri sono significativamente

diversi dallo spettro del buffer-Zn; questo suggerisce che in tutti i casi analiz-

zati una percentuale di Zn e legata al peptide Aβ. Si puo inoltre notare che,

a parita di procedura di preparazione, aumentando la concentrazione di Zn

lo spettro tende a diventare piu simile a quello del buffer. Questo compor-

tamento e indicativo del fatto che all’aumentare della concentrazione di Zn

una percentuale significativa di ioni Zn2+ non e legata al peptide, ma libera

in soluzione.

posizione nello spazio.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Soglia Zn

Figura 4.13: Confronto tra gli spettri acquisiti alla soglia dello Zn. In ognipannello sono raggruppati i campioni preparati con la stessa procedu-ra: a) metalli aggiunti simultaneamente b); Zn aggiunto prima c) Cuaggiunto prima. Entrambi i metalli sono sempre contemporaneamente;presenti nel campione. Gli spettri dei campioni sono colorati seguendo laconvenzione indicata in Tabella 4.2.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Soglia Cu

Figura 4.14: Confronto tra gli spettri acquisiti alla soglia del Cu. In ognipannello sono raggruppati i campioni preparati con la stessa procedura: a)metalli aggiunti simultaneamente; b) Zn aggiunto prima; c) Cu aggiuntoprima. Entrambi i metalli sono sempre contemporaneamente presenti nelcampione. Gli spettri dei campioni sono colorati seguendo la convenzioneindicata in Tabella 4.2.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Poiche entrambi i metalli sono presenti in soluzione e stato possibile ac-

quisire spettri alle soglie sia dello Zn che del Cu. In Figura 4.14 sono

mostrati gli spettri degli stessi campioni di Figura 4.13 alla soglia del Cu.

Si puo osservare che, a differenza di quanto accade alla soglia dello Zn, i cam-

pioni preparati aggiungendo il Cu alla soluzione dopo aver fatto incubare il

peptide insieme allo Zn, sono identici a quello del buffer-Cu. Questa indi-

ca che quando nella procedura di preparazione prima viene aggiunto Zn e,

dopo un certo periodo di incubazione, il Cu, quest’ultimo non e in grado di

legarsi al peptide Aβ. Inoltre, si puo osservare che l’ordine con cui vengono

aggiunti i metalli (Figura 4.14: pannelli b) e c)) ha una notevole influenza

sulla forma dello spettro. In particolare e interessante notare che, in caso di

addizione simultanea degli ioni, quando lo Zn e quattro volte piu concentrato

del Cu, il primo ‘vince’ la competizione nel legame con il peptide. Infatti,

nel pannello a), lo spettro del campione S2 Cu (Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 4) e

molto simile allo spettro del Cu nel buffer, mentre nel pannello c) (quando

il Cu viene aggiunto prima dello Zn), lo spettro corrispondente alla concen-

trazione 1:1:4 (S11 Cu) e identico a quello dove la concentrazione e 1:1:1

(campione S9 Cu). Quest’ultima evidenza suggerisce che, anche se lo Zn

prevale sul Cu nel legame con il peptide quando i metalli sono aggiunti con-

temporaneamente alla soluzione, esso non e in grado di scalzare il Cu una

volta che questo e legato.

4.7.2 Confronto dei campioni aventi la stessa concen-

trazioni relativa peptide/metalli ma preparati se-

guendo procedure diverse

Nelle Figure 4.15 (soglia K dello Zn) e 4.16 (soglia K del Cu) sono parago-

nati gli stessi spettri delle Figure 4.13 e 4.14 confrontando pero gli spettri

relativi ai campioni aventi le stesse concentrazioni relative peptide/metalli.

Nel pannello a) sono presentati i campioni aventi la concentrazione Aβ :

Cu : Zn = 1 : 1 : 1; nel pannello b) sono mostrati i campioni con concen-

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Figura 4.15: Confronto degli spettri acquisiti alla soglia dello Zn, aventila stessa concentrazione relative peptide/metalli ma preparati seguendoprocedure differenti. Nel pannello a) sono mostrati i campioni con con-centrazione Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 1 nel pannello b) sono mostrati icampioni con concentrazione Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 4. I colori seguono laconvenzione indicata in Tabella 4.2.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Figura 4.16: Comparazione degli spettri acquisiti alla soglia del Cu, aventila stessa concentrazione relativa di peptide/metalli ma preparati seguendoprocedure differenti. Nel pannello a) sono mostrati i campioni con con-trazione Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 1 ne pannello b) sono mostrati i campionicon contrazione Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 4. I colori seguono la convenzioneindicata in Tabella 4.2.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

trazione relativa 1:1:4. Questa visualizzazione alternativa degli spettri risulta

utile nell’evidenziare eventuali differenze attribuibili alle diverse procedure di

preparazione.

Alla soglia dello Zn (Figura. 4.15) aggiungendo simultaneamente i met-

alli (linea verde chiaro) o prima lo Zn (linea verde scura) si ottengono spettri

molto simili tra loro, mentre una sostanziale differenza nella forma e nel-

l’ampiezza dello spettro e visibile quando il Cu e aggiunto prima (linea nera).

Quest’ultima differenza e piu marcata nei campioni in cui le proporzioni tra le

concentrazioni sono 1:1:1 (pannello a)), mentre e meno evidente nei campioni

con proporzioni 1:1:4 (pannello b)).

4.7.3 Conclusioni dell’analisi qualitativa

L’indagine effettuata sulla regioneXANES degli spettri suggerisce le seguen-

ti conclusioni qualitative:

L’ordine con cui i metalli sono aggiunti alla soluzione contenente il

peptide ha sempre un’influenza sul modo di legame; apparentemente

si ha un effetto piu marcato quando lo Zn viene aggiunto prima del

Cu, poiche in questa situazione sembra che il successivo legame con il

Cu sia impedito. Viceversa, quando il Cu viene aggiunto alla soluzione

prima il legame con lo Zn non e completamente inibito.

L’effetto della diversa concentrazione relativa tra peptide e metalli e

piu difficile da capire, tuttavia appare chiaro che la presenza di ioni Zn

sia in grado di modificare il modo di coordinazione del Cu, e viceversa.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

4.8 Analisi quantitativa

L’analisi quantitativa effettuata sugli spettri dei campioni acquisiti alla soglia

del Cu e a quella dello Zn e presentata qui di seguito in due sezioni distinte.

4.8.1 Analisi alla soglia del Cu

Nome Aβ : Cu : Zn Ordine di addizione Colore degli Tipo didel campione dei metalli spettri analisi

S1 Cu 1:1:1 Simultaneamente Verde LCS2 Cu 1:1:4 Simultaneamente Grigio chiaro LCS6 Cu 1:1:0 Solo Cu2+ Viola EXAFS/LCS7 Cu 0:1.6:0 Cu in buffer Blu EXAFSS9 Cu 1:1:1 Prima Cu2+ Arancione EXAFSS10 Cu 1:1:1 Prima Zn2+ Grigio scuro CS11 Cu 1:1:4 Prima Cu2+ Rosso EXAFSS12 Cu 1:1:4 Prima Zn2+ Bordeaux C

Tabella 4.4: Nella prima colonna sono riportati i nomi dei campioni.Nella seconda sono indicate, in equivalenti di peptide, le concen-trazioni di metalli e peptide (un equivalente corrisponde alla con-centrazione di 1.25 mM). Nella terza colonna si descrive la proce-dura di preparazione del campione. Nella quarta colonna e indicatoil colore con cui verranno rappresentati gli spettri dei campioni nel-l’analisi. Nell’ultima colonna e indicato il tipo di analisi effettuato:EXAFS (analisi quantitativa completa), LC (combinazione linearesugli spettri sperimentali) e C (confronto con lo spettro del buffer).

I risultati esposti nel paragrafo dedicato all’analisi quantitativa degli spet-

tri acquisiti alla soglia del Cu suggeriscono di suddividere l’analisi quantita-

tiva nelle seguenti classi:

i) Gli spettri S10 Cu ed S12 Cu appaiono molto simili allo spettro del Cu

in buffer (S7 Cu). Per l’analisi di questi spettri si e ritenuto opportuno

effettuare un semplice confronto con lo spettro del buffer.

ii) Come mostrato nella Tabella 4.4, ci sono triplette di campioni identici

nei rapporti di concentrazione peptide:metalli che differiscono soltan-

to per la procedura di preparazione dei campioni. Nello specifico,

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

S1 Cu=S9 Cu=S10 Cu ed S2 Cu=S11 Cu=S12 Cu. Per alcuni di

questi campioni si e deciso di verificare l’ipotesi che la metodologia di

preparazione possa avere influenza sulla capacita del peptide di legare

gli ioni metallici. Si e quindi tentato di riprodurre gli spettri sperimen-

tali come una combinazione lineare tra lo spettro del buffer e quello di

un campione corrispondente, dal punto di vista della concentrazione,

preparato seguendo una diversa procedura. La differenza tra gli spettri

ottenuti dalla combinazione lineare e quelli teorici e stata minimizzata

al variare delle percentuali di Cu2+ legato e libero nel buffer. Questo

tipo di analisi non viene effettuata sui campioni S10 Cu e S12 Cu,

dal momento che per questi campioni gli spettri sono sostanzialmente

identici al buffer e sono stati analizzati nella sezione i).

iii) Per i campioni S9 Cu, S11 Cu e S6 Cu vengono effettuati dei fit nella

regione EXAFS utilizzando il software Excurve98. Per i fit di questi

campioni si e supposto che le strutture di coordinazione del Cu siano le

stesse ricavate dalle misure EPR. Pertanto, il modello quantitativo e

costruito utilizzando i modi di coordinazione del Cu descritti da Saxena

come componente I e componente II.

iv) Viene infine presentata un’analisi quantitativa della regione EXAFS

sullo spettro del Cu2+ in buffer.

i) Spettri uguali al Cu in buffer

L’analisi preliminare qualitativa sulla regione XANES, descritta nel para-

grafo 4.7, ha mostrato che i campioni S10 Cu e S12 Cu, preparati aggiun-

gendo alla soluzione contenente Aβ prima lo Zn2+ e poi il Cu2+, sono molto

simili allo spettro relativo al Cu2+ in Buffer (S7 Cu).

Nelle Figure 4.17 e 4.18 si confrontano gli spettri nelle regioni XANES

e EXAFS dei campioni S10 Cu e S12 Cu e lo spettro di S7 Cu (Cu in

buffer). Nei grafici, la linea dorata rappresenta la differenza tra lo spettro

considerato e il buffer.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Figura 4.17: Confronto tra le XANES (sinistra) e le EXAFS (destra)del campione S10 Cu (Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 1) con il buffer(S7 Cu).

Figura 4.18: Confronto tra le XANES (sinistra) e le EXAFS (destra)del campione S12 Cu (Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 4) con il buffer(S7 Cu).

Per entrambi i campioni nella regione XANES la funzione residuo e

molto prossima allo zero. Nella regione EXAFS, la funzione residuo non

e completamente piatta, ma la sua ampiezza e compatibile con il livello di

rumore. Alla luce di queste considerazioni, si puo affermare che gli spettri

dei campioni analizzati sono identici a quelli del buffer e si puo pertanto

concludere che nei campioni corrispondenti non vi sono ioni Cu2+ legati al

peptide.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

ii) Combinazioni lineari

E’ possibile effettuare un’analisi di tipo quantitativo sugli spettri in modo da

stabilire (e quantificare) l’eventuale presenza di strutture di coordinazione

diverse all’interno di uno stesso campione. Per far questo si tenta di ripro-

durre lo spettro di un dato sperimentale come combinazione lineare, con pesi

opportuni, di altri due spettri nei quali si suppone di conoscere l’intorno

strutturale dell’atomo assorbitore.

L’ipotesi che si vuole verificare nel caso qui in esame e che l’effetto del

diverso ordine di addizione di metalli alla soluzione contenente il peptide sia

quello di modificare la quantita di Cu2+ legato al peptide e di conseguenza

quella di Cu2+ libero in buffer.

Sotto tale ipotesi e infatti possibile esprimere lo spettro di un campione

preparato aggiungendo i due metalli simultaneamente come combinazione

lineare dello spettro del buffer e del campione preparato aggiungendo prima

il Cu e poi lo Zn, che si suppone contenga meno Cu libero in buffer.

Si e tentato quindi di riprodurre gli spettri sperimentali dei campioni

S1 Cu ed S2 Cu, preparati aggiungendo simultaneamente i metalli alla so-

luzione contenente Aβ, usando una combinazione lineare tra lo spettro del

Cu in buffer, S7 Cu, e quello del campione avente lo stesso rapporto di con-

centrazione tra peptide-metalli, ma preparato aggiungendo prima il Cu2+ e

poi lo Zn2+ (campioni S9 Cu ed S11 Cu). Lo spettro del campione S1 Cu

e stato quindi riprodotto usando per basi gli spettri dei campioni S9 Cu

(Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 1, Cu prima) ed S7 Cu, mentre quello del campione

S2 Cu e stato riprodotto usando come basi S11 Cu (Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 4,

Cu prima) e S7 Cu. Le combinazioni lineari sono state effettuate sia nella

regione XANES che nella regione EXAFS.

Nelle Figure 4.19 e 4.20 viene mostrato il fit di combinazione lineare

in verde chiaro mentre in oro e mostrato il residuo, cioe la differenza tra

lo spettro e il fit ottenuto. Nelle Tabelle 4.5 ed 4.6 sono riportati i pesi

ottenuti.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Figura 4.19: Fit del campione S1 Cu (Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 1),ottenuto dalla combinazione lineare dei campioni S9 Cu e S7 Cu.

S9 Cu S7 Cu

µ(E) 1 0

χ(k) 0.89 0.11

Tabella 4.5: Valori dei pesi dei vettori di base nella combinazionelineare per il campione S1 Cu.

La combinazione lineare effettuata sullo spettro del campione S1 Cu

mostra che lo spettro e riprodotto in modo soddisfacente usando come base

gli spettri dei campioni S9 Cu ed S7 Cu. I valori dei pesi ottenuti e la

qualita del fit mostrano che gli spettri dei campioni S1 Cu ed S9 Cu sono

molto simili tra loro e che la percentuale di buffer contenuta in questi cam-

pioni e circa la stessa, eventualmente leggermente maggiore nel campione

S1 Cu rispetto al campione S9 Cu.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Figura 4.20: Fit del campione S2 Cu (Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 4),ottenuto dalla combinazione lineare dei campioni S11 Cu e S7 Cu.

S11 Cu S7 Cu

µ(E) 0.42 0.58

χ(k) 0.44 0.56

Tabella 4.6: Valori dei pesi dei vettori di base nella combinazionelineare per il campione S2 Cu.

La combinazione lineare effettuata sullo spettro del campione S2 Cu

mostra che lo spettro e riprodotto in modo soddisfacente usando come base

gli spettri dei campioni S11 Cu ed S7 Cu. I valori dei pesi ottenuti sug-

geriscono che nel campione S2 Cu sia presente del Cu2+ libero in soluzio-

ne in percentuali molto maggiori rispetto a quanto presente nel campione

S11 Cu. Nel paragrafo successivo si mostreranno pertanto i risultati dei

fit quantitativi effettuati sugli spettri dei campioni preparati aggiungendo

il Cu2+ prima dello Zn2+, in quanto sono quelli che contengono la minor

percentuale di Cu2+ in buffer.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

iii) Analisi della regione EXAFS

Come illustrato nel paragrafo 4.6, il passaggio cruciale per ottenere un buon

accordo tra il dato sperimentale e quello teorico consiste nella costruzione di

un modello di partenza quanto piu possibile vicino al sistema in esame. A

tale scopo, quando si ha a che fare con metallo–proteine per le quali si ha una

stima del numero e del tipo di ligandi coinvolti, e utile consultare una banca

dati strutturale, al fine di costruire modelli iniziali realistici. Per i campioni

studiati alla soglia del Cu, partendo dai risultati EPR ottenuti dal gruppo

di Saxena [Shin, 2011 ], [Silva, 2013 ], [Silva, 2015 ], sono stati costruiti dei

modelli che avessero un modo di coordinazione del Cu2+ compatibile con

quello delle Componenti I e II osservate nell’EPR.

Dato che l’EPR non fornisce indicazioni precise sulla distanza dei ligandi,

si e consultato il database Mespeus [Hsin, 2008 ], che contiene le strutture di

piu di 1000 proteine legate a ioni metallici, per costruire modelli di partenza

che avessero grandezze caratteristiche10 compatibili con quelle di alcune pro-

teine estratte in maniera casuale dal database e contenenti Cu coordinato ad

un numero variabile di residui di istidina. Si e inoltre misurato il parametro di

BVS (Bond Valence Sum)11 [Liu, 1993 ], normalmente utilizzato per valutare

l’attendibilita di un modello.

E opportuno ricordare che la tecnica EPR e sensibile solo al Cu2+ legato

al peptide, pertanto i modelli ricavati dall’EPR non tengono conto dell’even-

tuale Cu2+ libero in soluzione. Al fine di massimizzare l’accordo tra il dato

sperimentale e quello calcolato dal modello, per una data concentrazione di

peptide:metalli si e scelto di effettuare i fit sui campioni che contenessero una

10Sono stati misurati le distanze di legame, gli angoli tra i piani degli anelli imidazolicidelle istidine e gli angoli tra i piani identificati da tre atomi dell’anello di un’istidina eda altri due atomi appartenenti all’anello e lo ione Cu. I valori delle grandezze misuratesono stati confrontati con quelli di altre proteine estratte in maniera casuale dal databasee nelle quali il Cu fosse coordinato ad almeno un residuo di His.

11La misura del BVS e un metodo semiempirico che permette di stimare lo stato diossidazione degli atomi conoscendone la struttura circostante o viceversa, noto il numero diossidazione di uno ione permette di valutare la bonta di un certo modello di coordinazione.Nel caso di Cu2+ e Zn2+, una struttura e considerata realistica se ha un valore di BVScompatibile con 2 (± 0.2).

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

percentuale minore di Cu in buffer. Quindi alla luce dell’analisi delle combi-

nazioni lineari, per i rapporti di concentrazione Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 1 e

Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 4 si e scelto di effettuare i fit sugli spettri sperimentali

dei campioni nei quali il Cu2+ e stato aggiunto prima dello Zn alla soluzione

contenente il peptide (S9 Cu e S11 Cu).

Una volta definite le strutture di partenza per le due componenti, per

ogni campioni analizzato si e proceduto a effettuare tre diversi fit, uno ipo-

tizzando la presenza della sola Componente I, uno della sola Componente

II e uno nel quale sono presenti entrambe. Per i fit nei quali sono presenti

entrambe, si sono impostate le percentuali delle due componenti in accordo

con i risultati EPR relative ai campioni con pari concentrazione relativa di

metalli:peptide. Come parametri liberi del fit sono stati prese in tutti i casi le

distanze di legame, i fattori di DW e gli angoli che definiscono l’orientazione

del piano dell’anello imidazolico dell’istidina, ovvero quello definito dal met-

allo, dall’atomo di N legato ad esso e dall’atomo di N non legato al metallo e

quello definito dal piano dell’istidina e da un piano su cui giacciono il metallo

e due atomi di C dell’istidina. In tutte le minimizzazioni gli amminoacidi

sono stati trattati come unita rigide. Per l’aa His e stato considerato soltanto

l’anello imidazolico, mentre per l’aa Ala sono stati considerati un atomo di N

e un atomo di C appartenenti alla catena principale. Le parti restanti degli

aa non sono state prese in considerazione, poiche tutti gli atomi di queste

regioni si trovano verosimilmente a distanze maggiori di 5 A dal Cu2+, al di

la del limite di sensibilita della tecnica.

Nel valutare la bonta di un fit, il primo criterio di scelta e quello quantita-

tivo basato sul valore di R. Tuttavia, abbiamo prestato attenzione anche alle

caratteristiche dello spettro calcolato teoricamente, ritenendo ad esempio im-

portante una corretta riproduzione dell’andamento dello spettro sperimentale

a bassi valori di k, e meno importante la riproduzione dell’andamento ad alti

k, essendo questa regione dello spettro caratterizzata da un peggiore rapporto

segnale/rumore. Inoltre nella regione a bassi k [Strange, 1987 ] sono presen-

ti alcuni battimenti tipicamente associati alla presenza di residui di istidina

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

legati all’atomo assorbitore. L’origine di questa caratteristica e attribuibile

principalmente all’effetto focusing dei cammini di multiplo scattering dovuti

alla geometria dell’anello imidazolico dei residui di istidina legati al Cu2+ e

alla complanarita dell’anello con l’atomo metallico assorbitore.

Nella Figura 4.21 sono disegnati i modelli di partenza utilizzati per

l’analisi degli spettri nella regione EXAFS.

Come descritto in precedenza in Componente I il Cu2+ e coordinato con:

2 N appartenenti a due diversi residui di His

1 N del gruppo N-terminale

1 O di una molecola di H2O

In Componente II il Cu2+ e coordinato con:

1 N appartenente ad un residuo di His

1 N del gruppo N-terminale

1 N della catena principale del residuo Ala2

1 O di una molecola di H2O

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Figura 4.21: Modelli strutturali per le Componente I (a)) e per laComponente II (b)). Gli atomi di C sono in verde, di O in rosso,di N in blu. Il Cu e rappresentato al centro in viola.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Nelle figure che seguono sono riportati i grafici dei migliori fit ottenuti

usando come modello di coordinazione intorno al Cu2+ solo la Componente

I, solo la Componente II e una combinazione di queste detta Cluster. Le

percentuali delle due componenti sono indicate con α (CompI) e β = 1 − α(CompII). In tutte le figure lo spettro sperimentale e rappresentato con una

linea continua e lo spettro calcolato con una linea tratteggiata. I colori dei

vari grafici usano la convenzione di Tabella 4.4. Per completezza, in ogni

figura, viene anche indicato il valore R come misura quantitativa dell’accordo

con il dato sperimentale.

Per ognuno dei campioni analizzati sono fornite inoltre tre tabelle, relative

rispettivamente alla Componente I, alla Componente II e al il sistema a due

Cluster. In tali tabelle sono mostrati i parametri che definiscono la geometria

della struttura intorno all’ atomo assorbitore. Vengono riportati:

Tipo e numero degli aa coordinati (prima e seconda colonna);

Distanza dall’assorbitore (terza colonna) dell’atomo coordinato;

Corrispondente valore del fattore di DW (quarta colonna).

Gli errori riportati sono statistici e sono ricavati dalla matrice di correlazione

costruita dal programma Excurve alla fine della procedura di fit. Nell’ultima

riga di ciascuna tabella sono riportati il valore dello shift dell’energia di soglia

∆E0, il valore di R ottenuto per il fit ed il valore del parametro di BVS.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Figura 4.22: Miglior fit ottenuto per il campione S9 Cu (Aβ : Cu :Zn = 1 : 1 : 1) usando la Componente I (in alto), la ComponenteII (al centro) e il cluster a due componenti (in basso).

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Campione S9 Cu - Componente I

Atomo Molteplicita Distanza Debye Wallercoordinato r ± δ r (A) σ2 ± δσ2 (A2)

O 1 1.92 ± 0.01 0.003 ± 0.001OAsp 1 1.93 ± 0.02 0.003 ± 0.001NHis 1 1.98 ± 0.02 0.003 ± 0.001NHis 1 2.00 ± 0.03 0.002 ± 0.001NAsp 1 2.31 ± 0.01 0.003 ± 0.001

∆E0 = (2.2 ± 0.7) eV R = 27 % BVS=2.1

Tabella 4.7: Parametri strutturali della Componente I per il campioneS9 Cu(Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 1).

Campione S9 Cu - Componente II

Atomo Molteplicita Distanza Debye Wallercoordinato r ± δ r (A) σ2 ± δσ2 (A2)

O 1 1.92 ± 0.01 0.003 ± 0.001NAla 1 1.92 ± 0.01 0.003 ± 0.001NHis 1 1.93 ± 0.03 0.003 ± 0.001OAsp 1 2.04 ± 0.01 0.003 ± 0.001NAsp 1 2.35 ± 0.02 0.003 ± 0.001

∆E0 = (2.2 ± 0.7) eV R = 28 % BVS=2.2

Tabella 4.8: Parametri strutturali della Componente II per il campioneS9 Cu(Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 1).

Campione S9 Cu : Cluster (0.53CompI + 0.47CompII)

Atomo Molteplicita Distanza Debye Wallercoordinato r ± δ r (A) σ2 ± δσ2 (A2)

Componente I

O 1 1.92 ± 0.01 0.002 ± 0.001NHis 1 2.02 ± 0.02 0.002 ± 0.001NHis 1 2.03 ± 0.02 0.002 ± 0.001OAsp 1 2.07 ± 0.01 0.002 ± 0.001NAsp 1 2.30 ± 0.01 0.002 ± 0.001

Componente II

O 1 1.89 ± 0.02 0.002 ± 0.001NAla 1 1.89 ± 0.02 0.002 ± 0.001OAsp 1 1.92 ± 0.01 0.002 ± 0.001NHis 1 1.96 ± 0.02 0.002 ± 0.001NAsp 1 2.34 ± 0.02 0.002 ± 0.001

∆E0 = (1.9 ± 0.6) eV R = 28 % BVS=2.1

Tabella 4.9: Parametri strutturali del cluster a due componenti per ilcampione S9 Cu(Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 1).

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

I fit effettuati sul campione S9 Cu sono in buon accordo con il dato speri-

mentale. Si puo osservare che il battimento presente sulla prima oscillazione

della χ(k) e ripreso meglio nei fit della componente I e del Cluster, mentre

nel fit ottenuto prendendo come struttura di partenza quella relativa alla

Componente II, l’accordo in questa regione dello spettro e leggermente peg-

giore. Essendo questa caratteristica dello spettro associata alla presenza di

istidina, questa osservazione e consistente con i dati EPR, secondo i quali in

tale campione e presente una percentuale maggiore di Componente I (nella

quale il Cu e legato a due His) rispetto alla Componente II (nella quale il Cu

e legato a una sola His).

Un’analisi analoga e quindi effettuata sullo spettro del campione S11 Cu.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Figura 4.23: Miglior fit ottenuto per il campione S11 Cu (Aβ : Cu :Zn = 1 : 1 : 4) usando la Componente I (in alto), la ComponenteII (al centro) e il cluster a due componenti (in basso).

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Campione S11 Cu - Componente I

Atomo Molteplicita Distanza Debye Wallercoordinato r ± δ r (A) σ2 ± δσ2 (A2)

OAsp 1 1.89 ± 0.01 0.002 ± 0.001NHis 1 1.93 ± 0.02 0.002 ± 0.001NHis 1 2.00 ± 0.02 0.002 ± 0.001O 1 2.04 ± 0.02 0.002 ± 0.001

NAsp 1 2.32 ± 0.01 0.002 ± 0.001

∆E0 = (3.9 ± 0.8) eV R = 26 % BVS=2.1

Tabella 4.10: Parametri strutturali della Componente I per il campioneS11 Cu (Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 4).

Campione S11 Cu - Componente II

Atomo Molteplicita Distanza Debye Wallercoordinato r ± δ r (A) σ2 ± δσ2 (A2)

O 1 1.91 ± 0.01 0.004 ± 0.001NAla 1 1.91 ± 0.01 0.004 ± 0.001NHis 1 1.93 ± 0.03 0.004 ± 0.001OAsp 1 2.03 ± 0.01 0.004 ± 0.001NAsp 1 2.35 ± 0.02 0.004 ± 0.001

∆E0 = (3.3 ± 0.8) eV R = 27 % BVS=2.2

Tabella 4.11: Parametri strutturali della Componente II per ilcampione S11 Cu (Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 4).

Campione S11 Cu : Cluster (0.35CompI + 0.65CompII)

Atomo Molteplicita Distanza Debye Wallercoordinato r ± δ r (A) σ2 ± δσ2 (A2)

Componente I

OAsp 1 1.95 ± 0.01 0.002 ± 0.001NHis 1 1.96 ± 0.02 0.002 ± 0.001NHis 1 2.07 ± 0.01 0.002 ± 0.001O 1 2.09 ± 0.01 0.002 ± 0.001

NAsp 1 2.30 ± 0.01 0.002 ± 0.001

Componente II

NAla 1 1.90 ± 0.01 0.003 ± 0.001O 1 1.90 ± 0.01 0.003 ± 0.001

OAsp 1 1.92 ± 0.01 0.003 ± 0.001NHis 1 1.96 ± 0.01 0.003 ± 0.001NAsp 1 2.33 ± 0.01 0.003 ± 0.001

∆E0 = (2.7 ± 0.6) eV R = 27 % BVS=2.2

Tabella 4.12: Parametri strutturali del cluster a due componenti peril campione S11 Cu (Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 4).

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Si osserva che l’accordo tra il dato sperimentale ed il fit effettuato as-

sumendo le percentuali di componente I e II previste dall’EPR per il campio-

ne con le stesse concentrazioni, ma con i metalli aggiunti simultaneamente,

e piu che soddisfacente. Si riportano infine i risultati dei fit effettuati sul

campione S6 Cu, che e quello preparato in assenza di Zn.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Figura 4.24: Miglior fit ottenuto per il campione S6 Cu (Aβ : Cu :Zn = 1 : 1 : 0) usando la Componente I (in alto), la ComponenteII (al centro) e il cluster a due componenti (in basso).

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Campione S6 Cu - Componente I

Atomo Molteplicita Distanza Debye Wallercoordinato r ± δ r (A) σ2 ± δσ2 (A2)

OAsp 1 1.88 ± 0.02 0.004 ± 0.001O 1 1.96 ± 0.02 0.004 ± 0.001

NHis 1 1.98 ± 0.04 0.004 ± 0.001NHis 1 1.99 ± 0.04 0.004 ± 0.001NAsp 1 2.31 ± 0.04 0.004 ± 0.001

∆E0 = (3.9 ± 0.6) eV R = 34 % BVS=2.2

Tabella 4.13: Parametri strutturali della Componente I per il campioneS6 Cu (Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 0).

Campione S6 Cu - Componente II

Atomo Molteplicita Distanza Debye Wallercoordinato r ± δ r (A) σ2 ± δσ2 (A2)

O 1 1.93 ± 0.01 0.002 ± 0.001NAla 1 1.93 ± 0.01 0.002 ± 0.001NHis 1 1.96 ± 0.02 0.002 ± 0.001OAsp 1 2.03 ± 0.01 0.002 ± 0.001NAsp 1 2.35 ± 0.01 0.003 ± 0.001

∆E0 = (3.7 ± 0.5) eV R = 28 % BVS=2.1

Tabella 4.14: Parametri strutturali della Componente II per ilcampione S6 Cu (Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 0).

Campione S6 Cu : Cluster (0.65CompI + 0.35CompII)

Atomo Molteplicita Distanza Debye Wallercoordinato r ± δ r (A) σ2 ± δσ2 (A2)

Componente I

OAsp 1 1.87 ± 0.02 0.002 ± 0.001O 1 1.91 ± 0.03 0.002 ± 0.001

NHis 1 1.99 ± 0.02 0.002 ± 0.001NHis 1 2.08 ± 0.01 0.002 ± 0.001NAsp 1 2.30 ± 0.02 0.002 ± 0.001

Componente II

OAsp 1 1.91 ± 0.02 0.003 ± 0.001O 1 1.97 ± 0.01 0.003 ± 0.001

NAla 1 1.97 ± 0.01 0.003 ± 0.001NHis 1 2.08 ± 0.02 0.003 ± 0.001NAsp 1 2.33 ± 0.02 0.003 ± 0.001

∆E0 = (0.9 ± 0.6) eV R = 30 % BVS=2.2

Tabella 4.15: Parametri strutturali del cluster a due componenti peril campione S6 Cu (Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 0).

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Come si puo osservare dalla Figura 4.24, nei fit proposti per il campio-

ne S6 Cu non c’e un accordo soddisfacente tra dato sperimentale e spettro

teorico nella regione a bassi valori di k. Una possibile spiegazione e che anche

in questo campione sia presente una percentuale non trascurabile di buffer.

Per verificare questa ipotesi, non avendo altri campioni con la stessa concen-

trazione relativa metallo:peptide di S6 (Aβ : Cu : Zn :=1:1:0), si e deciso

di confrontare il campione S6 Cu con il campione S9 Cu (il piu simile per

concentrazione relativa metalli:peptide Aβ : Cu : Zn :=1:1:1) e con il buffer.

Figura 4.25: Confronto tra lo spettro dei campione S1 Cu, S6 Cu eS7 Cu, nelle regione XANES(sinistra) ed EXAFS (destra)

Dal confronto mostrato in Figura 4.25 si evince che la forma dello spettro

del campione S6 e intermedia tra quella dello spettro di S9 Cu e quella dello

spettro del buffer; e quindi sensato tentare una combinazione lineare per

riprodurre il campione S6 Cu usando per basi i campioni S9 Cu e S7 Cu

(Figura 4.26). La combinazione lineare ci mostra che nel campione S6 Cu

e contenuta una percentuale di buffer pari al circa il 55% (Tabella 4.16).

107

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Figura 4.26: Fit del campione S6 Cu Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 0,ottenuto dalla combinazione lineare dei campioni S9 Cu e S7 Cu.

S9 Cu S7 Cu

µ(E) 0.46 0.54

χ(k) 0.44 0.56

Tabella 4.16: Valori dei pesi dei vettori di base nella combinazionelineare per il campione S6 Cu.

Tale percentuale di buffer e stata sottratta allo spettro sperimentale del

campione S6 Cu. Lo spettro cosı ottenuto e indicato come S6 Cu∗. Si

sono quindi nuovamente fatti i fit usando le strutture di Componente I di

Componente II e del Cluster contenente entrambe le componenti.

I fit sono mostrati nelle Figura 4.27. Come si puo notare, l’aver sot-

tratto il contributo del metallo disciolto in buffer ha permesso di ottenere un

migliore accordo nella regione a bassi valori di k.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Figura 4.27: Miglior fit ottenuto per il campione S6 Cu∗ (Aβ : Cu :Zn = 1 : 1 : 0) usando la Componente I (in alto), la ComponenteII (al centro) e il cluster a due componenti (in basso).

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Campione S6 Cu∗ - Componente I

Atomo Molteplicita Distanza Debye Wallercoordinato r ± δ r (A) σ2 ± δσ2 (A2)

OAsp 1 1.88 ± 0.02 0.004 ± 0.001O 1 1.96 ± 0.02 0.004 ± 0.001

NHis 1 1.99 ± 0.04 0.004 ± 0.001NHis 1 1.99 ± 0.04 0.004 ± 0.001NAsp 1 2.31 ± 0.04 0.004 ± 0.001

∆E0 = (3.9 ± 0.6) eV R = 37 % BVS=2.2

Tabella 4.17: Parametri strutturali della Componente I per il campioneS6 Cu∗ (Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 0).

Campione S6 Cu∗ - Componente II

Atomo Molteplicita Distanza Debye Wallercoordinato r ± δ r (A) σ2 ± δσ2 (A2)

O 1 1.93 ± 0.01 0.002 ± 0.001NAla 1 1.93 ± 0.01 0.002 ± 0.001NHis 1 1.96 ± 0.02 0.002 ± 0.001OAsp 1 2.03 ± 0.01 0.002 ± 0.001NAsp 1 2.35 ± 0.01 0.004 ± 0.001

∆E0 = (3.7 ± 0.5) eV R = 36 % BVS=2.1

Tabella 4.18: Parametri strutturali della Componente II per ilcampione S6 Cu∗ (Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 0).

Campione S6 Cu∗ : Cluster (0.35CompI + 0.65CompII)

Atomo Molteplicita Distanza Debye Wallercoordinato r ± δ r (A) σ2 ± δσ2 (A2)

Componente I

OAsp 1 1.87 ± 0.02 0.002 ± 0.001O 1 1.91 ± 0.03 0.002 ± 0.001

NHis 1 1.99 ± 0.02 0.002 ± 0.001NHis 1 2.08 ± 0.01 0.002 ± 0.001NAsp 1 2.30 ± 0.02 0.002 ± 0.001

Componente II

OAsp 1 1.91 ± 0.01 0.003 ± 0.001O 1 1.97 ± 0.01 0.003 ± 0.001

NAla 1 1.97 ± 0.01 0.003 ± 0.001NHis 1 2.08 ± 0.01 0.003 ± 0.001NAsp 1 2.33 ± 0.01 0.003 ± 0.001

∆E0 = (0.9 ± 0.6) eV R = 35 % BVS=2.2

Tabella 4.19: Parametri strutturali del cluster a due componenti peril campione S6 Cu∗ (Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 0).

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Presi nel loro complesso, i risultati dei fit effettuati sui campioni acquisiti

alla soglia del Cu mostrano pertanto che il modo di coordinazione del Cu e

influenzato dalla presenza dello Zn. Inoltre, a parita di concentrazione di ioni

metallici, l’ordine nel quale questi sono aggiunti alla soluzione ha un effetto

notevole. In particolare, se il Cu e aggiunto dopo lo Zn non riesce a legarsi

al peptide, mentre se e aggiunto contemporaneamente si lega, ma una certa

percentuale rimane libera in soluzione.

iv) Analisi della regione EXAFS dello spettro del Cu in

buffer

Per cercare di riprodurre lo spettro del Cu2+ in buffer (S7 Cu), sono state

provate diverse strutture di coordinazione iniziali, nelle quali il Cu e coor-

dinato ad un numero diverso di atomi di O, di S (contenuti nel CuSO4)

e molecole di glicerolo. Nella Figura 4.28 viene mostrata la struttura di

partenza dalla quale si e ottenuto il miglior accordo tra lo spettro speri-

mentale e quello teorico che e mostrato in Figura 4.29. Nella struttura

considerata lo ione Cu2+ e coordinato in prima shell, ad una distanza di cir-

ca 2 A, con 4 atomi di ossigeno appartenenti a quattro molecole di glicerolo

ed in seconda shell di occupazione, ad una distanza di circa 3 A, e legato a

due atomi di ossigeno appartenenti alle molecole di H2O. Della molecola di

glicerolo sono stati considerati soltanto tre atomi (due C e un O); i restanti

atomi (un C e due O) sono stati trascurati, in quanto essendo troppo distanti

dal Cu non contribuiscono in modo significativo al segnale. Nei fit e stato

usato nuovamente il constrained refinement e le molecole di glicerolo sono

state trattate come unita rigide.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Figura 4.28: Struttura proposta per il Cu in buffer. Gli atomi di Csono in verde, di O in rosso. Lo Zn e rappresentato al centro inviola.

Figura 4.29: Miglior fit ottenuto per il campione S7 Cu.

Campione S7 Cu: Cu in buffer

Atomo Molteplicita Distanza Debye Wallerr ± δ r (A) σ ± δσ (A)

OGlyc 4 1.96 ± 0.01 0.004 ± 0.001OH2O 2 3.07 ± 0.02 0.004 ± 0.001

∆E0 = (−0.4 ± 0.3) eV R-Factor = 23 % BVS=1.9

Tabella 4.20: Parametri strutturali per il campione S7 Cu.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

4.8.2 Analisi alla soglia dello Zn

Nome Aβ : Cu : Zn Ordine di addizione Colore degli Tipo didel campione dei metalli spettri analisi

S1 Zn 1:1:1 Simultaneamente Verde EXAFSS2 Zn 1:1:4 Simultaneamente Grigio chiaro LCS3 Zn 1:0:1 Solo Cu2+ Verde Acqua EXAFSS8 Zn 0:0:1.6 Cu in buffer Blu EXAFSS10 Zn 1:1:1 Prima Zn2+ Grigio scuro EXAFS

Tabella 4.21: Nella prima colonna sono riportati i nomi assegnati aivari campioni. Nella seconda colonna sono indicate, in equivalen-ti di peptide, le concentrazioni relative tra i metalli ed il peptide(un equivalente corrisponde alla concentrazione di 1.25 mM). Nellaterza colonna si descrive la procedura di preparazione del campione.Nella quarta colonna e indicato il colore con cui verranno rappresen-tati gli spettri dei campioni in tutta l’analisi. Nell’ultima colonna eindicato il tipo di analisi effettuato: EXAFS (analisi quantitativacompleta) e LC (combinazione lineare sugli spettri sperimentali).

L’analisi presentata qui di seguito e organizzata nel modo seguente:

i) Come nel caso dell’analisi effettuata sui campioni acquisiti alla soglia del

Cu, si e innanzi tutto tentato di riprodurre gli spettri sperimentali dei

campioni preparati aggiungendo simultaneamente i metalli alla soluzio-

ne contente Aβ come combinazione lineare tra lo spettro del buffer e

quello del campione con la stessa concentrazione di metalli, ma prepara-

to aggiungendo alla soluzione prima lo Zn2+ e poi il Cu2+. La differenza

tra gli spettri ottenuti dalla combinazione lineare e quelli teorici e stata

minimizzata facendo variare la quantita di Zn2+ legato al peptide e di

quello libero nel buffer come dei parametri liberi.

ii) Per i campioni S1 Zn, S3 Zn ed S10 Zn sono stati effettuati i fit EXAFS

utilizzando il software Excurve98. Per tali fit sono stati provati tre

diversi modelli strutturali nei quali lo ione Zn2+ si lega ad un numero

diverso di residui di istidina (da 1 a 3) e a diversi numeri di atomi di

O (da 3 a 1).

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

iii) Viene presentata infine un’analisi quantitativa della regione EXAFS

sullo spettro dello Zn in buffer.

i) Combinazioni lineari

Analogamente a quanto fatto per gli spettri acquisiti alla soglia del Cu, si

e tentato di riprodurre gli spettri sperimentali dei campioni preparati ag-

giungendo simultaneamente i metalli alla soluzione contente il peptide Aβ

effettuando una combinazione lineare avente come elementi di base lo spet-

tro del buffer e quello del campione corrispondente, dal punto di vista del-

la concentrazione, preparato aggiungendo prima lo Zn2+ e poi il Cu2+. Il

campione S1 Zn e stato riprodotto usando per basi i campioni S10 Zn

(Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 1 prima Zn poi Cu) e S8 Zn (Zn in buffer).

Il campione S2 Zn e stato riprodotto usando per basi i campioni S12 Zn

(Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 4 prima Zn poi Cu) e S8 Zn. Le combinazioni linea-

ri sono state effettuate sia nella regione XANES che nella regione EXAFS

ed i pesi ottenuti nelle due regioni sono compatibili tra di loro. Nelle figure

seguenti viene mostrato il fit di combinazione lineare in verde chiaro mentre

in oro e mostrato il residuo, cioe la differenza tra lo spettro e il fit ottenuto.

Nelle Tabelle 4.22, 4.23 sono riportati i pesi ottenuti.

Figura 4.30: Fit del campione S1 Zn (Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 1),ottenuto dalla combinazione lineare dei campioni S10 Zn e S8 Zn.

v

114

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

S10 Zn S8 Zn

µ(E) 0.97 0.03

χ(k) 1 0

Tabella 4.22: Valori dei pesi dei vettori di base nella combinazionelineare per il campione S1 Zn (Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 1).

Dalla combinazione lineare effettuata sul campione S1 Zn si evince la

quantita di Zn2+ libera in buffer e la stessa contenuta nel campione S10 Zn.

Il non perfetto accordo osservato tra lo spettro di S1 Zn e quello ottenuto

dalla combinazione lineare suggerisce pero che in tale campione la parte di

Zn2+ legata possa avere una geometria di coordinazione leggermente diversa

rispetto a quella del campione S10 Zn, usato per base.

Figura 4.31: Fit del campione S2 Zn (Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 4),ottenuto dalla combinazione lineare dei campioni S12 Zn e S8 Zn.

S12 Zn S8 Zn

µ(E) 0.77 0.23

χ(k) 0.74 0.26

Tabella 4.23: Valori dei pesi dei vettori di base nella combinazionelineare per il campione S2 Zn (Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 4).

I risultati ottenuti dalla combinazione lineare effettuata sul campione

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

S2 Zn suggeriscono che in esso ci sia una frazione maggiore di Zn2+ libero

in soluzione rispetto a quella presente nel campione S12 Zn.

ii) Analisi della regione EXAFS

Per l’analisi effettuata alla soglia dello Zn sono stati costruiti tre diversi

modelli di coordinazione che prevedono lo ione Zn2+ legato ad un numero

crescente di residui istidina ed a diversi numeri di atomi di ossigeno. Nel

primo modello, Model #1 (Figura 4.32 a)), lo ione Zn2+ e legato ad un

atomo di N appartenente all’anello imidazolico dell’aa istidina ed a tre atomi

di O; nel Model #2 (Figura 4.32 b)), lo Zn2+ e coordinato a due atomi di

N appartenenti agli anelli imidazolici di due residui di istidina e a due atomi

di O. Infine nel Model #3 (Figura 4.32 c)), lo Zn2+ e legato a tre atomi di

N appartenenti agli anelli imidazolici di tre residui di istidina e ad un atomo

di O.

In tutti i fit si e utilizzata la modalita “constrained refinement” descritta

nel paragarafo 4.6 e gli amminoacidi sono stati trattati come unita rigide.

Per l’aa His e stato considerato soltanto l’anello imidazolico, mentre non e

stata presa in considerazione la restante parte dell’aa, poiche tutti gli atomi

di questa regione si trovano a distanze maggiori di 5 A dall’assorbitore e non

contribuiscono al segnale in maniera significativa.

Figura 4.32: Strutture proposte nell’analisi per il Modello #1 (a), peril Modello #2 (b) e per il Modello #3 (c). Gli atomi di C sono inverde, di O in rosso, di N in blu. Lo Zn e rappresentato al centroin viola.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Di seguito sono riportati, per ogni campione analizzato, i grafici dei

migliori fit ottenuti a partire dai diversi modelli considerati e le tabelle

contenenti i valori dei parametri strutturali dei modelli.

Figura 4.33: Miglior fit ottenuto per il campione S1 Zn (Aβ : Cu :Zn = 1 : 1 : 1) usando il Model #1.

Figura 4.34: Miglior fit ottenuto per il campione S1 Zn (Aβ : Cu :Zn = 1 : 1 : 1) usando il Model #2.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Campione S1 Zn - Model #1

Atomo Molteplicita Distanza Debye Wallerr ± δ r (A) σ ± δσ (A)

O 3 1.94 ± 0.01 0.006 ± 0.001NHis 1 2.04 ± 0.01 0.006 ± 0.001

∆E0 = (−2.3 ± 0.5) eV R-Factor = 28 % BVS=2.0

Tabella 4.24: Parametri strutturali del Model #1 per il campioneS1 Zn (Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 1)

Campione S1 Zn - Model #2

Atomo Molteplicita Distanza Debye Wallerr ± δ r (A) σ ± δσ (A)

O 2 1.91 ± 0.01 0.002 ± 0.001NHis 1 2.04 ± 0.02 0.002 ± 0.001NHis 1 2.06 ± 0.02 0.002 ± 0.001

∆E0 = (−2.3 ± 0.5) eV R-Factor = 28 % BVS=2.0

Tabella 4.25: Parametri strutturali del Model #2 per il campioneS1 Zn (Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 1)

Per il campione S1 Zn risulta difficile discriminare tra il Modello #1 ed

il Modello #2. Entrambi sono in discreto accordo con i dati sperimentali e

possiedono un valore di R molto simile tra loro. Una possibile spiegazione di

questo fatto e la probabile presenza simultanea di entrambi i modelli strut-

turali. Questa osservazione e consistente con l’analisi effettuata sullo stesso

campione alla soglia del Cu. Si e visto infatti che nel campione S1 Cu il

Cu2+ e legato nel 53% dei casi in Componente I e nel restante 47% in Com-

ponente II. Ricordando che il modello della Componente I prevede il Cu2+

legato a due istidine e quello di Componente II prevede il Cu2+ legato ad

un’istidina, si ha che in media il Cu e legato a 1.53 istidine delle 3 presenti.

Per complementarieta restano quindi 3-1.53=1.47 istidine libere per legare lo

Zn2+.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Figura 4.35: Miglior fit ottenuto per il campione S3 Zn (Aβ : Cu :Zn = 1 : 0 : 1) usando il Model #3.

Campione S3 Zn - Model #3

Atomo Molteplicita Distanza Debye Wallerr ± δ r (A) σ ± δσ (A)

O 1 1.88 ± 0.01 0.003 ± 0.001NHis 1 1.99 ± 0.02 0.003 ± 0.001NHis 1 2.03 ± 0.01 0.003 ± 0.001NHis 1 2.04 ± 0.01 0.003 ± 0.001

∆E0 = (−1.2 ± 0.4) eV R-Factor = 25 % BVS=2.0

Tabella 4.26: Parametri strutturali del Model #3 per il campioneS3 Zn (Aβ : Cu : Zn = 1 : 0 : 1)

Per il campione S3 Zn, il Modello #3 e quello che riproduce meglio il

dato sperimentale. Questo e spiegabile considerando che in questo campione

il Cu2+ e assente e lo Zn2+ e presente in concentrazione equimolare rispetto

al peptide, quindi gli ioni Zn2+ hanno a disposizione per il legame tutte le

tre His presenti nel peptide.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Figura 4.36: Miglior fit ottenuto per il campione S10 Zn (Aβ : Cu :Zn = 1 : 1 : 1) usando il Model #1 (in alto), il Model #2 (al centro)e il Model #3 (in basso).

Anche per il campione S10 Zn, il Modello #3 e quello che riproduce

meglio il dato sperimentale. Questo e consistente con l’analisi effettuata alla

soglia del Cu che ha mostrato che in tale campione non vi e Cu2+ legato al

peptide. Ci sono pertanto 3 His libere per il legame con lo ione Zn2+.

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Campione S10 Zn - Model #1

Atomo Molteplicita Distanza Debye Wallerr ± δ r (A) σ ± δσ (A)

O 3 1.94 ± 0.01 0.006 ± 0.001NHis 1 2.02 ± 0.01 0.006 ± 0.001

∆E0 = (−0.2 ± 0.5) eV R-Factor = 34 % BVS=2.0

Tabella 4.27: Parametri strutturali del Model #1 per il campioneS10 Zn (Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 1)

Campione S10 Zn - Model #2

Atomo Molteplicita Distanza Debye Wallerr ± δ r (A) σ ± δσ (A)

O 2 1.93 ± 0.01 0.004 ± 0.001NHis 1 2.03 ± 0.01 0.004 ± 0.001NHis 1 2.05 ± 0.02 0.004 ± 0.001

∆E0 = (−0.6 ± 0.6) eV R-Factor = 30 % BVS=1.9

Tabella 4.28: Parametri strutturali del Model #2 per il campioneS10 Zn (Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 1)

Campione S10 Zn - Model #2

Atomo Molteplicita Distanza Debye Wallerr ± δ r (A) σ ± δσ (A)

O 1 1.88 ± 0.01 0.003 ± 0.001NHis 1 1.99 ± 0.02 0.003 ± 0.001NHis 1 2.01 ± 0.01 0.003 ± 0.001NHis 1 2.02 ± 0.01 0.003 ± 0.001

∆E0 = (1.4 ± 0.6) eV R-Factor = 28 % BVS=2.0

Tabella 4.29: Parametri strutturali del Model #3 per il campioneS10 Zn (Aβ : Cu : Zn = 1 : 1 : 1)

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

Presi nel loro complesso, i risultati dei fit effettuati sui campioni acquisiti

alla soglia dello Zn mostrano pertanto che il modo di coordinazione dello Zn

e influenzato dalla presenza del Cu. Inoltre, i risultati confermano quanto

osservato nell’analisi effettuata alla soglia del Cu, infatti l’ordine nel quale gli

ioni metallici sono aggiunti alla soluzione ha un effetto notevole sulla forma

degli spettri e quindi nel modo di coordinazione dello ione con la proteina.

In particolare, a concentrazioni equimolari tra peptide e metalli, se nella

soluzione viene aggiunto lo Zn prima del Cu, ogni ione Zn2+ si lega al peptide

con tre residui di istidina, mentre se lo Zn e aggiunto simultaneamente al Cu,

una certa percentuale di Zn2+ rimane libera in soluzione.

iii) Analisi della regione EXAFS dello spettro dello Zn

in buffer

Figura 4.37: Struttura proposta per lo Zn in buffer. Gli atomi di Csono in verde, di O in rosso, di S in giallo. Lo Zn e rappresentatoal centro in viola.

Si presenta infine l’analisi della regione EXAFS dello Zn in buffer. Per

cercare di riprodurre lo spettro dello Zn in buffer sono state provati diversi

modelli e strutture di coordinazione nei quali lo ione metallico e coordinato

ad un numero diverso di atomi di O, di S (presenti nella soluzione in quanto

contenuti nello ZnSO4) e di molecole di glicerolo. Nella Figura 4.37 viene

mostrata la struttura di partenza dalla quale si e ottenuto il miglior accordo

122

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CAPITOLO 4. ANALISI DEI DATI

tra lo spettro sperimentale e quello teorico (come mostrato in Figura 4.38).

Nella struttura considerata lo ione Zn2+ e coordinato in prima shell, ad una

distanza di circa 2 A, con 4 atomi di ossigeno, due dei quali appartenenti al

glicerolo e gli altri a molecole di H2O. In seconda shell, ad una distanza di

circa 3 A, vi sono un atomo di O dell’acqua e un atomo di S. Nei fit e stato

usato “constrained refinement” e le molecole di glicerolo sono state trattate

come unita rigide.

Figura 4.38: Miglior fit ottenuto per il campione S8 Zn.

Campione S8 Zn: Zn in buffer

Atomo Molteplicita Distanza Debye Wallerr ± δ r (A) σ ± δσ (A)

OH2O 2 2.01 ± 0.01 0.003 ± 0.001OGlicerolo 2 2.12 ± 0.01 0.003 ± 0.001SZnSO4 1 2.95 ± 0.01 0.003 ± 0.001NHis 1 3.02 ± 0.03 0.003 ± 0.001

∆E0 = (−7.1 ± 0.5) eV R-Factor = 31 % BVS=1.8

Tabella 4.30: Parametri strutturali per il campione S8 Zn

123

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Capitolo 5

Conclusioni e prospettive

future

La malattia Alzheimer e una patologia neurodegenerativa, progressiva e irre-

versibile che colpisce le aree cerebrali che controllano funzioni come la memo-

ria, il pensiero e la parola. Questo morbo rappresenta la piu comune forma

di demenza ed e una delle principali cause di morte naturale nei paesi civi-

lizzati. Ad oggi i meccanismi patogenetici dell’AD sono ancora poco chiari

e non esiste una cura in grado di arrestarne il decorso. Di conseguenza i

trattamenti terapeutici utilizzati offrono soltanto pochi benefici sintomatici.

Nell’analisi post mortem dei tessuti celebrali di pazienti affetti da Alzhei-

mer, sono state osservate alterazioni macroscopiche, definite placche amiloi-

di, che contengono depositi extracellulari insolubili di peptide beta-amiloide

(peptide-Aβ) in complesso con ioni di metalli di transizione (principalmente

Cu+2 e Zn+2). Alla base della formazione di tali placche c’e un cambiamento

conformazionale del peptide che consiste nella formazione di una struttura β

molta estesa, la quale favorisce l’aggregazione di piu peptidi. Le cause che

inducono questo cambiamento conformazionale a tutt’oggi non sono ancora

chiare e tra i modelli proposti molti ipotizzano una relazione tra la presenza

di ioni metallici, che competono tra di loro nel legame con il peptide, ed il

processo di aggregazione. Questo tipo di competizione tra gli ioni metallici

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CAPITOLO 5. CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE

e stato osservato anche nel caso della proteina prionica (PrP ). Aggregati

di PrP sono presenti nel cervello dei malati di encefalopatia spongiforme

trasmissibile (TSE).

Il fatto che PrP eAβ presentino entrambe un’elevata affinita per il legame

con ioni metallici, alcuni simili motivi strutturali transmembrana e propen-

sione all’aggregazione, ha indotto la comunita scientifica a ritenere che en-

trambe le proteine possano essere coinvolte nel processo di omeostasi dei

metalli nel cervello e che possa esistere un meccanismo di cross-regolazione

per la concentrazione di alcuni ioni metallo.

La spettroscopia XAS, essendo sensibile alla struttura locale intorno

all’atomo assorbitore, consente di studiare campioni in ogni stato di ag-

gregazione e puo quindi essere applicata allo studio di complessi peptide-

Aβ-metallo in soluzione.

In questo lavoro di tesi la spettroscopia XAS e stata utilizzata per cer-

care di chiarire, a livello atomico, come l’interazione degli ioni Cu+2 e Zn+2,

simultaneamente presenti in soluzione con il peptide Aβ, possa indurre mo-

difiche strutturali sul peptide ed eventualmente influenzarne il processo di

aggregazione. I campioni sono stati preparati all’Universita di Pittsburgh

dal gruppo del Prof. Saxena e le misure sono state effettuate presso la beam-

line BM30B dell’European Synchrotron Radiation Facility (Grenoble, Fran-

cia), dove sono stati acquisiti gli spettri di campioni contenti diverse concen-

trazioni relative di peptide e metalli e preparati seguendo procedure diverse.

Al fine di indagare una possibile influenza dell’ordine con cui gli ioni metallo

sono aggiunti al sistema sulla modalita di legame di questi con il peptide,

si e deciso di seguire tre diverse metodologie di preparazione. Ad un dato

rapporto tra le concentrazione di peptide Aβ:Cu:Zn, alcuni campioni sono

stati preparati aggiungendo simultaneamente entrambi gli ioni alla soluzione

contenente il peptide, mentre gli altri sono stati preparati aggiungendo prima

uno ione metallico, poi, dopo un opportuno tempo di incubazione, il secondo.

Per poter indagare in maniera diretta il modo di coordinazione di ciascuno

ione con il peptide, gli spettri dei campioni sono stati acquisiti alla soglia sia

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CAPITOLO 5. CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE

del Cu che dello Zn (quando gli ioni erano entrambi presenti).

Alla luce dei risultati ottenuti si puo affermare che l’ordine con cui i

metalli sono aggiunti alla soluzione contenente il peptide ha un’influenza

notevole sul loro modo di legame con il peptide. In particolare si e osservato

l’effetto e piu evidente quando lo Zn viene aggiunto prima del Cu, poiche il

primo impedisce il legame con il secondo. Al contrario, quando il Cu viene

aggiunto alla soluzione prima dello Zn, esso modifica il modo in cui questo

si lega all’Aβ senza inibirne il legame.

L’analisi quantitativa effettuata sulla regione EXAFS degli spettri e sta-

ta basata sui recenti risultati ottenuti con la spettroscopia EPR dal gruppo

del Prof. Saxena. Va sottolineato comunque che l’EPR e in grado di fornire

informazioni soltanto sul modo di coordinazione del Cu, mentre la XAS

consente di studiare sia l’intorno strutturale del Cu che quello dello Zn.

Per l’analisi degli spettri acquisiti alla soglia del Cu si e pertanto proceduto

costruendo dei modelli di partenza che riproducessero i modi di coordinazione

del Cu indicati dal gruppo di Saxena come componente I e componente II.

Questi differiscono sostanzialmente per il numero di residui istidina legati

allo ione metallico (due nella componente I ed uno nella componente II). Per

l’analisi degli spettri acquisiti alla soglia dello Zn si e analogamente proce-

duto costruendo modelli nei quali lo ione Zn2+ e legato a un numero diverso

di residui istidina.

I risultati da noi ottenuti dall’analisi delle regioni EXAFS sono com-

plessivamente in buon accordo con quelli dell’EPR e mostrano che la pre-

senza di ioni Zn2+ in concentrazioni diverse altera il modo di coordinazione

del Cu2+. Tuttavia nell’EPR la frazione di ioni Cu2+ che resti eventual-

mente libera in soluzione non contribuisce in nessun modo al segnale. Nella

spettroscopia XAS invece tutto il metallo presente nel campione, indipen-

dentemente dal fatto che questo sia legato o meno al peptide, contribuisce al

segnale totale. Per tale motivo nella tesi e stata presentata anche un’analisi

effettuata allo scopo di riprodurre gli spettri sperimentali come combinazione

lineare dello spettro del metallo sciolto nel buffer, in assenza del peptide, e di

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CAPITOLO 5. CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE

quello di altri campioni, con le stesse concentrazioni relative metalli:peptide,

preparati utilizzando una procedura diversa.

I risultati di questa analisi mostrano che, in presenza di un eccesso di Zn, i

campioni preparati mettendo prima il Cu hanno una percentuale di Cu libero

in soluzione significativamente minore rispetto a quelli dove i due metalli sono

aggiunti contemporaneamente. Tale osservazione conferma ulteriormente il

fatto che Cu2+ e Zn2+ competono per gli stessi siti di legame nella proteina.

In conclusione, il lavoro presentato in questa tesi ha mostrato che:

L’ordine con il quale vengono aggiunti i metalli alla soluzione conte-

nente il peptide ha una notevole influenza sul modo di coordinazione

degli stessi;

Cu2+ e Zn2+ competono per il legame con il peptide e si legano en-

trambi ad un numero variabile di residui di istidina.

I risultati dei nostri esperimenti aiutano quindi a gettare luce sul com-

plesso meccanismo che regola il legame dei peptidi amiloidi con i metalli.

E’ interessante notare come, a differenza di quanto osservato ad esempio nel

caso della PrP , lo Zn sembra essere in questo caso piu efficace del Cu nel

legare la proteina.

Naturalmente e auspicabile proseguire con lo studio di questi sistemi uti-

lizzando il maggior numero possibile di tecniche di biologia strutturale a dis-

posizione, incluse quelle computazionali. Limitandosi alla XAS, comunque,

un esperimento di sicuro interesse e quello nel quale, mettendosi in condizioni

estreme in termini di pH e di concentrazione di metalli, si ‘forzi’ il modo di

coordinazione degli ioni metallici in modo tale che sia presente solo una delle

due componenti descritte in precedenza. Infatti e noto come a pH basico sia

presente soltanto la Componente II, mentre a pH acido solo la Componente

I. Studiando gli spettri di questi campioni si potrebbero quindi ricavare dei

modelli piu accurati per le due singole componenti e poi utilizzare gli stessi

per lo studio dei campioni dove sono presenti contemporaneamente entrambe

le componenti.

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Lista degli acronimi

Aa Amminoacido/ Amminoacidi

Aβ Peptide β Amiloide

AD Alzheimer Disease

AFM Atomic Force Microscopy

APOE Apolipoproteina E

APP Proteina Precursore dell′Amiloide

Asp Acido Aspartico

C Cabonio

CD Dicroismo Circolare

CJD MalattiadiCreutzfeldt− JakobCu Rame

CuSO4 Solfatorameico

CW − ESR Continuous Wave Electron Spin Resonance

Cys Cisteina

DNA Acido Desossiribonucleico

EPR Electron Paramagnetic Resonance

ESEEM Electron Spin Echo Envelope Modulation

ESR Electron Spin Resonance

EXAFS Extended X − ray Absorption F ine StructureEq Equivalente

Etc Eccetera

Fe Ferro

FEA Filamenti Elicoidali Appaiati

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FTIR Fourier Transform Infrared Spectroscopy

Glu Acido Glutammico

H Idrogeno

His Istidina

HY SCORE HY perfine Sublevel CORRElation

N Azoto

NaCl Clorurodisodio

NMR Nuclear Magntic Resonance

Pcd Protein Conformational Disease

PET Positron Emission Tomography

HY SCORE HY perfine Sublevel CORRElation

NEM N − EthylmaleimideNMR Nuclear Magntic Resonance

O Ossigeno

P Fosforo

Pcd Protein Conformational Disease

PET Positron Emission Tomography

PrP Proteina prionica

PSEN1 Presenilina− 1

PSEN2 Presenilina− 2

S Zolfo

sAPPα Proteina Precursore dell′Amilioide Solubile α

sAPPβ Proteina Precursore dell′Amilioide Solubile β

XANES X − ray Absorption Near Edge StructureXAS X −Ray Absorption SpectroscopyTAC Tomografia Assiale Computerizzata

Tht T ioflavina

TSE EncefalopatiaSpongiformeTrasmissibile

Tyr T irosina

Zn Zinco

ZnSO4 Solfato di Zinco

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