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Spazi affini ed euclidei 12 novembre 2009 1 Spazi affini Richiamiamo alcune nozioni sulla nozione di spazio affine Definizione 1. Si dice spazio affine di dimensione n su di un campo K una terna AG(n, K)=(A, V, α) ove: 1. A è un insieme, 2. V è uno spazio vettoriale di dimensione n sul campo K e 3. α : A × A V una applicazione tale che: (a) per ogni P A e v V esiste un unico elemento Q A tale che α(P, Q)= v; (b) assegnati P, Q, R A si ha α(P, Q)+ α(Q, R)= α(P, R). In generale, con leggero abuso di notazione, scriveremo P AG(n, K) per indicare un punto P A. Teorema 2. Osserviamo che, per ogni P A fissato l’applicazione α induce una biiezione α P = α(P, ·): A V . Dimostrazione. Sia v V . Per definizione di spazio affine esiste un punto X A tale che α(P, X)= α P (X)= v; pertanto X è una preimmagine di v e l’applicazione α P : A V è suriettiva. D’altro canto, se esistessero X, Y A tali che α P (X)= α P (Y )= v, allora avremmo α(P, X)= α p (X)= v = α P (Y )= α(P, Y ), da cui X = Y , per definizione di α. Pertanto α P è anche iniettiva. 1

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Spazi affini ed euclidei

12 novembre 2009

1 Spazi affiniRichiamiamo alcune nozioni sulla nozione di spazio affine

Definizione 1. Si dice spazio affine di dimensione n su di un campo K unaterna AG(n,K) = (A, V, α) ove:

1. A è un insieme,

2. V è uno spazio vettoriale di dimensione n sul campo K e

3. α : A×A→ V una applicazione tale che:

(a) per ogni P ∈ A e v ∈ V esiste un unico elemento Q ∈ A tale che

α(P,Q) = v;

(b) assegnati P,Q, R ∈ A si ha

α(P,Q) + α(Q,R) = α(P, R).

In generale, con leggero abuso di notazione, scriveremo P ∈ AG(n,K) perindicare un punto P ∈ A.

Teorema 2. Osserviamo che, per ogni P ∈ A fissato l’applicazione α induceuna biiezione αP = α(P, ·) : A→ V.

Dimostrazione. Sia v ∈ V. Per definizione di spazio affine esiste un puntoX ∈ A tale che α(P, X) = αP(X) = v; pertanto X è una preimmagine di v el’applicazione αP : A→ V è suriettiva. D’altro canto, se esistessero X, Y ∈ A

tali che αP(X) = αP(Y) = v, allora avremmo

α(P, X) = αp(X) = v = αP(Y) = α(P, Y),

da cui X = Y, per definizione di α. Pertanto αP è anche iniettiva.

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Teorema 3. Per ogni coppia di punti P,Q ∈ A si ha

α(P,Q) = −α(Q,P), α(P, P) = 0.

Dimostrazione. Osserviamo innanzi tutto che

α(P, P) = α(P, P) + α(P, P).

Pertanto α(P, P) = 0. D’altro canto

α(P,Q) + α(Q,P) = α(P, P),

da cui segue α(P,Q) = −α(Q,P).

Definizione 4. Sia P ∈ A un punto e t ∈ V. L’unico punto Q ∈ A tale che

α(P,Q) = t

è detto traslato di P secondo il vettore t e si scrive come

Q = P + t. (1)

Si noti che la funzione sopra definita è una applicazione + : A× V → A enon è una operazione in A. Osserviamo che, in termini di vettori la (1) puòriscriversi per ogni fissato O ∈ A come

α(O,Q) = α(O,P) + α(P,Q) = α(O,P) + t, (2)

e in questo caso la somma è effettivamente quella dello spazio vettoriale V.

Definizione 5. Si dice punto medio fra due punti P,Q ogni punto R tale che

α(P, R) = α(R,Q).

Teorema 6. Il punto medio di due punti, se esiste, è unico.

Dimostrazione. Osserviamo che se esiste almeno un punto R con le proprietàrichieste, da α(P, R)+α(R,Q) = α(P,Q) si deduce 2α(P, R) = α(P,Q). Pertanto,

R = P +1

2α(P,Q),

e, chiaramente, tale punto è unico.

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Osserviamo che se la nostra geometria è definita su di un campo dicaratteristica 2, ovvero un campo K in cui per ogni x ∈ K,

x+ x = 0,

allora il punto medio di P e Q non esiste. In tutti gli altri casi la costruzioneè applicabile.

Definizione 7. Si dice sottospazio affine di (A, V, α) ogni insieme B tale chel’immagine di α ristretta a B × B sia un sottospazio vettoriale W di V. Inparticolare, W sarà detto giacitura di B, mentre la dimensione di B è definitacome

dim B = dimW.

Il seguente teorema è conseguenza immediata della definizione fornita.

Teorema 8. Sia (A, V, α) uno spazio affine, e B un suo sottospazio. Allora(B,W, α ′) ove α ′ è la restrizione di α a B×B e W è l’immagine di α ′ è ancheesso uno spazio affine.

Definizione 9. Uno sottospazio affine di (A, V, α) di dimensione

1. 1 è detto retta;

2. 2 è detto piano;

3. 3 è detto solido;

4. dim A − 1 è detto iperpiano.

Teorema 10. Sia P ∈ A e W ≤ V . Allora, esiste un unico sottospazio affine B

passante per P e avente giacitura W. Tale spazio è detto spazio per P paralleloa W.

Dimostrazione. Consideriamo l’insieme

B = {Q ∈ A : α(P,Q) ∈W}. (3)

Poiché 0 ∈W, si ha P ∈ B. D’altro canto Q,R ∈ B implica

α(Q,R) = α(Q,P) + α(P, R) = α(P, R) − α(P,Q),

per cui la restrizione di α a B×B è un sottospazio di W. Dall’esistenza, ∀w ∈W di Q ∈ A tale che α(P,Q) = w segue che la giacitura di B è effettivamentetutto W. L’esistenza del sottospazio richiesto dal teorema segue.

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Se vi fossero due sottospazi B e B ′ per P con B 6= B ′, potremmo supporresenza perdere in generalità che B 6⊆ B ′. Pertanto, vi sarebbe almeno unpunto Q ∈ B \ B ′. Poiché Q ∈ B, v = α(P,Q) ∈ W; d’altro canto, per ognivettore assegnato v ∈W esiste esattamente un punto Q ′ in V tale che

α(P,Q ′) = v.

Dal fatto che la giacitura di B ′ è W segue che Q ′ ∈ W, contro l’ipotesi. Nededuciamo B = B ′.

Osserviamo che l’applicazione α che compare nella (3) è quella definitasu tutto lo spazio AG(n,K); essa non è quella che dota B uno spazio affine,in quanto αP per P ∈ B non è in generale una biiezione B→ V. In effetti, sidimostra che l’immagine di α ′ = α|B×B è proprio W.

Teorema 11. Per due punti distinti P,Q di uno spazio affine A passa una eduna sola retta.

Dimostrazione. Sia B una retta passante per P e per Q e indichiamo con Wla sua giacitura. Osserviamo che α(P,Q) ∈W, per definizione di sottospazioaffine. Inoltre α(P,Q) 6= 0. Poiché W ha dimensione 1, ne segue che α(P,Q) èun generatore di W. L’unicità della retta segue dal teorema 10.

Definizione 12. Siano B,C due sottospazi affini di A di giaciture rispettiva-mente B e C. Si dice che B è parallelo a C (in simboli B ‖ C) se

B ⊆ C oppure C ⊆ B

Conseguenza immediata della definizione e del Teorema 10 è il seguenterisultato.

Teorema 13. Sia r una retta di (A, V, α). Per ogni P ∈ A esiste un’unica rettas tale che P ∈ s e r ‖ s.

Lemma 14. Siano B e C due sottospazi affini di giaciture rispettivamente X eY e supponiamo B ∩ C 6= ∅. Se X ⊆ Y, allora B ⊆ C.

Dimostrazione. Fissiamo P ∈ B ∩ C. Allora,

B = {Q : α(P,Q) ∈ X} ⊆ {Q : α(P,Q) ∈ Y} = C.

La tesi segue.

Definizione 15. Sia P ⊆ A. Si dice chiusura affine P dell’insieme P il piùpiccolo sottospazio affine contenente P.

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Teorema 16. Sia P = {P0, P1, . . . , Pt} ⊆ A e poniamo per 1 ≤ i ≤ t

pi = α(P0, Pi).

Allora, per ogni 0 ≤ j ≤ t,

P = {Q : α(Pj, Q) ∈ 〈p1,p2, . . . ,pt〉} .

Dimostrazione. Sia W la giacitura di P. Poniamo W = 〈p1,p2, . . . ,pt〉. Siaora D lo spazio affine passante per P0 e avente giacitura W. Poiché pi ∈ W,abbiamo Pi ∈ D per ogni i. Conseguentemente,

P ⊆ D.

Osserviamo che, poiché fatto Pi ∈ P segue

pi = α(P0, Pi) ∈W.

Pertanto W ⊆W. Dal fatto che P0 ∈ D ∩ P e dal Lemma 14 si deduce

D ⊆ P.

Incidentalmente, osserviamo che P coincide con lo spazio passante per unqualsiasi suo punto e avente giacitura W; pertanto la tesi discende dalTeorema 10.

Definizione 17. Un insieme P = {P0, P1, . . . , Pt} ⊆ A è detto indipendentese dim P = t. Alternativamente, si dice che in questo caso i punti sono inposizione generale (rispetto i sottospazi affini).

È facile dimostrare il seguente teorema, che caratterizza la nozione didimensione affine.

Teorema 18. Un sottospazio affine B ha dimensione t se, e solamente se, essocontiene sottoinsiemi di t+ 1 punti indipendenti ma nessun sottoinsieme dit+ 2 punti indipendenti. In particolare, B è generato da ogni suo sottoinsiemedi t+ 1 punti indipendenti.

2 Riferimenti affiniDefinizione 19. Si dice riferimento affine per lo spazio affine (A, V, α) unacoppia ordinata Γ = (O,B) ove O ∈ A e B = {b1, . . . ,bn} è una base ordinatadi V.

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Siano (A, V, α) uno spazio affine e Γ = (O,B) un suo riferimento.

Definizione 20. Sia P ∈ A. Si dicono coordinata affine di P rispetto Γ lan–upla

(p1, p2, . . . , pn)

delle componenti del vettore α(O,P) rispetto la base B.

Osserviamo che, in generale, α(O,P) = −α(P,O); pertanto, da

α(O,P) =

n∑i=1

pibi, α(O,Q) =

n∑i=1

qibi

segue

α(P,Q) = α(P,O) + α(O,Q) =

n∑i=1

(qi − pi)bi.

Consideriamo ora un sottospazio W < V e un punto P ∈ A. Sia

W = {w1,w2, . . . ,wt}

una base di W. Consideriamo il sottospazio affine W passante per P e aventegiacitura W. Per ogni punto Q ∈W si ha

α(P,Q) = α(P,O) + α(O,Q) ∈W.

Pertanto, per ogni Q esiste t ∈W tale che

α(O,Q) = α(O,P) + t.

con t ∈W, ovvero

α(O,Q) = α(O,P) +

t∑i=1

αiwi

con αi ∈ K. Pertanto i punti in W sono tutti traslati di P secondo vettori inW; viceversa, osserviamo che per ogni t ∈W esiste un unico punto Q tale che

α(P,Q) = α(P,O) + α(O,Q) = t.

Poiché la giacitura di W è W, ne segue che Q ∈ W. Abbiamo dunquedimostrato il seguente teorema.

Teorema 21. Lo spazio affine passante per P e parallelo a W è l’insieme ditutti i traslati di P secondo i vettori di W.

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Nel seguito denoteremo il vettore α(P,Q) con il simbolo Q−P. Osserviamoche

α(P,Q) + α(Q,R) = (Q− P) + (R−Q) = (R− P) = α(P, R).

Indicheremo inoltre l’unico punto Q tale che α(P,Q) = v come

Q = P + v.

Supponiamo ora che

wi =

n∑j=1

wijbj

e che P abbia coordinate (p1, p2, . . . , pn). Allora, il generico punto Q ∈W è deltipo

(q1, q2, . . . , qn) = (p1, p2, . . . , pn) +

t∑j=1

αj(w1j, w2j, . . . , wnj),

ovvero q1 = p1 + α1w11 + . . .+ αtw1tq2 = p2 + α1w21 + . . .+ αtw2t...qn = pn + α1wn1 + . . .+ αtwnt

(4)

con αi ∈ K. Osserviamo che dati dei punti P0, P1, . . . , Pt , le equazioni delsottospazio affine che essi generano si ottengono come base dell’insieme dellesoluzioni del sistema lineare omogeneo in αi e β

α1p00 + α2p

10 + . . .+ αnp

n0 + α0 = 0

α1p01 + α2p

11 + . . .+ αnp

n1 + α0 = 0

...α1p

0t + α2p

1t + . . .+ αnp

nt + α0 = 0

.

In particolare, i punti P0, P1, . . . , Pt sono indipendenti se, e solamente se, talespazio vettoriale ha dimensione n − t. In altre parole, i t + 1 assegnaticorrispondono a t+ 1 condizioni lineari omogenee sullo spazio vettoriale didimensione n + 1 di tutte le equazioni in n + 1 incognite αi sul campo K. Ipunti sono indipendenti se, e solamente se, tali condizioni sono linearmenteindipendenti.

Esempio 22. Consideriamo lo spazio affine AG(4,R) e supponiamo che sivogliano determinare le equazioni del sottospazio B passante per i punti

P0=(2, 2, 0, 0)T P1=(0,−2, 2, 0)T

P2=(1, 0, 1, 0)T P3=(2, 1,−1, 1)T .

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Per quanto visto prima, dobbiamo studiare il sistema

Aξ = 0 (5)

ove

A =

2 2 0 0 1

0 −2 2 0 1

1 0 1 0 1

2 1 −1 1 1

, ξ =

α1α2α3α4α0

.Svolgendo i calcoli, si ottiene che una base per lo spazio delle soluzioni di (5)è data dall’insieme

{(−1, 1, 1, 2, 0), (−3, 1,−1, 0, 4)}.

Tale insieme corrisponde ad un insieme di generatori per l’annullatore del-l’insieme {P0, P1, P2, P3}. Questo significa che le equazioni del sottospazio B

saranno {−x+ y+ z+ t = 0

−3x+ y− z = −4

Osserviamo che i 4 punti assegnati non sono indipendenti, in quanto dim B =

4 − 2 = 2. Avremmo potuto notare quest’ultimo fatto anche scrivendo B informa parametrica come nella (4). Infatti il punto generico di B ha coordinate

x

y

z

t

= P0 + β1(P1 − P0) + β2(P2 − P0) + β3(P3 − P0) =

2

2

0

0

+ β1

0

−2

2

0

2

2

0

0

+ β2

1

0

1

0

2

2

0

0

+ β3

2

1

−1

1

2

2

0

0

=

2

2

0

0

+β1

−2

−4

2

0

+β2

−1

−2

1

0

+β3

0

−1

−1

1

=

2

2

0

0

+(2β1+β2)

−1

−2

1

0

+β3

0

−1

−1

1

=

=

2

2

0

0

+ µ

−1

−2

1

0

+ β3

0

−1

−1

1

.Pertanto, i punti di B dipendono da solamente 2 parametri indipendenti e,conseguentemente, la dimensione della giacitura risulta essere proprio 2.

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Osserviamo che, nel caso affine, non vi è simmetria fra lo spazio dellecondizioni lineari (che ha dimensione n+ 1) e lo spazio vettoriale soggiacenteAG(n,K) (che ha dimensione n). Vedremo in seguito come ovviare a questoinconveniente.

Prima di concludere il presente paragrafo, osserviamo che se le equazionidi un sottospazio affine B sono quelle del sistema lineare (matriciale)

AX = B, (6)

allora i vettori w nella giacitura W di B sono tutti e soli quelli che soddisfanoil sistema lineare omogeneo associato

AX = 0. (7)

Infatti, se P,Q sono due punti di B (in coordinate), allora AP = B e AQ = B;pertanto, posto P − Q = α(P,Q), si ha A(P − Q) = 0. Viceversa, se P è unpunto di B e v un vettore tale che Av = 0, si ottiene

A(P + v) = AP +Av = AP = B,

da cui P+v ∈ B. Osserviamo comunque che vi è una differenza fondamentalefra l’equazione (6) e l’equazione (7): la prima, infatti, lega fra loro le coordina-te di punti di B; la seconda consente di determinare le componenti di vettoridi W, ove W è la giacitura di B stesso.

3 Cambiamenti di riferimento affineSiano Γ = (O,B) e Γ ′ = (O ′,B ′) due riferimenti affini per il medesimospazio AG(n,K). Sia P ∈ AG(n,K). Indichiamo con P il vettore colonna dellecoordinate di P rispetto Γ e con P il vettore colonna delle coordinate di Prispetto Γ ′. Osserviamo innanzi tutto che per ogni P ∈ AG(n,K) si ha

α(O ′, P) = α(O ′, O) + α(O,P) = α(O,P) − α(O,O ′).

Pertanto, chiamata T la matrice di cambiamento di base che ha per colonne ivettori della base B ′ scritti come colonne rispetto la base B si ha

P = T−1(α(O ′, P)) = T−1(α(O,P) − α(O,O ′)) = T−1P − T−1O ′

Ove con O ′ si sono indicate le coordinate di O ′ rispetto il riferimento Γ .In pratica, ogni cambiamento di riferimento affine ha la forma

P = AP + B

ove A ∈ GLn(K) è la matrice di cambiamento di base da B a B ′ e B èun vettore colonna di Kn, contenente le coordinate della vecchia origine Orispetto il nuovo riferimento Γ ′.

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4 AffinitàDefinizione 23. Sia (A, V, α) uno spazio affine Ogni trasformazione φ : A→A tale che

α(φ(P), φ(Q)) = φ(α(P,Q))

ove φ è una trasformazione lineare V → V è detta affinità di (A, V, α).

In generale, l’immagine di una affinità φ è un sottospazio B di A. Chiara-mente, se φ è invertibile, allora φ è una biezione.

Teorema 24. Sia φ : A→ A un’affinità e supponiamo che

B = {P + w : w ∈W}

sia un sottospazio affine di AG(n,K). Allora

φ(B) = {φ(P) + w ′ : w ′ ∈ φ(W)}.

Dimostrazione. Sia Q ∈ B; chiaramente φ(Q) ∈ φ(B). Poiché φ(P) ∈ φ(B),abbiamo che

α(φ(P), φ(Q)) = φ(α(P,Q))

appartiene alla giacitura di φ(B); pertanto φ(W) ⊆W ′, ove W ′ è la giacituradi φ(B). Sia ora w ′ ∈W ′. Allora il punto

Q ′ = φ(P) + w ′

appartiene a φ(B) e, conseguentemente, esiste un Q ∈ B tale che φ(Q) = Q ′.Pertanto,

w = α(φ(P), φ(Q)) = φ(α(P,Q)),

da cui si deduce W ′ ⊆ φ(W). In particolare φ(B) è lo spazio passante perφ(P) e parallelo a φ(W). La tesi discende ora dal Teorema 10.

Teorema 25. Sia φ una affinità di (A, V, α) e supponiamo che sia assegnatoun riferimento affine Γ . Allora, posto X = (x1, x2, . . . , xn)

T si ha in coordinate

φ(X) = AX+ B

ove B = (b1, b2, . . . , bn)T è un vettore che dipende solamente da φ.

Dimostrazione. Sia A la matrice di φ e siano X, Y ∈ A. Allora

φ(Y) − φ(X) = φ(Y − X) = AY −AX

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da cuiφ(X) = AX−AY + φ(Y).

Posto Y = O e B = φ(O)

φ(X) = AX+ B.

Osserviamo che una affinità invertibile si scrive in componenti rispetto unfissato riferimento esattamente come un cambiamento di riferimento affine. Idue concetti però devono essere tenuti distinti:

1. un cambiamento di riferimento non altera le proprietà geometriche, masemplicemente il modo in cui le coordinate di un punto sono calcolate;in particolare, un cambiamento di riferimento è una trasformazioneKn → Kn (esso non agisce nemmeno sullo spazio vettoriale V sottostantela geometria affine in considerazione).

2. una affinità è una trasformazione A→ A che modifica i punti; inciden-talmente, le coordinate risultano alterate.

Teorema 26. Una affinità φ di AG(n,K) è univocamente determinata dalleimmagini di n+ 1 punti P0, P1, . . . , Pn in posizione generale.

Dimostrazione. Poiché i punti P0, . . . , Pn sono in posizione generale, i vettori

bi = α(P0, Pi)

con 1 ≤ i ≤ n formano una base B del sottospazio vettoriale V giacitura diAG(n,K). Supponiamo esistano due affinità φ, ψ tali che

Qi = φ(Pi) = ψ(Pi).

Allora, in particolareφ(bi) = ψ(bi),

e dunque φ = ψ. Sia ora R ∈ AG(n,K) e poniamo r = α(P0, R). Osserviamoche

α(Q0, φ(R)) = α(φ(P0), φ(R)) = φ(r) =

= ψ(r) = α(ψ(P0), ψ(R)) = α(Q0, ψ(R));

pertanto, ψ(R) = φ(R) per ogni R ∈ AG(n,K) e, conseguentemente, φ =

ψ.

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5 Spazi euclideiDefinizione 27. Uno spazio affine (A, V, α) è detto spazio metrico se esisteuna funzione d : A×A→ R tale che, per ogni P,Q ∈ A:

1. d(P,Q) = d(Q,P);

2. d(P,Q) ≥ 0 e d(P,Q) = 0 se, e solamente se, P = Q;

3. d(P,Q) ≤ d(P, R) + d(R,Q).

Esempio 28. Sia (A, V, α) uno spazio affine e supponiamo che Γ sia un suofissato riferimento. La funzione d : A×A→ R data da

d(P,Q) = |{i : pi 6= qi}|

è una distanza. Essa è detta distanza di Hamming.

Definizione 29. Si dice spazio euclideo ogni spazio affine (A, V, α) ove V èuno spazio vettoriale euclideo (i.e. dotato di prodotto interno).

Indicheremo in generale lo spazio euclideo di dimensione n sul campo Kcon il simbolo EG(n,K). Ci limiteremo in queste note a considerare i casi

1. K = R e il prodotto interno è un prodotto scalare;

2. K = C e il prodotto interno è un prodotto Hermitiano.

In generale, ogni punto di EG(n,R) si può vedere come punto di EG(n,C);inoltre il prodotto Hermitiano di EG(n,C), ristretto a EG(n,R) è un prodottoscalare. Si dice pertanto che EG(n,R) è una sottogeometria di EG(n,C); vice-versa, si dice che EG(n,C) è la complessificazione di EG(n,R). Osserviamocomunque che EG(n,R) non è un sottospazio affine di EG(n,C).

Il significato della nozione sopra introdotta è che assegnato un ente inEG(n,R) può aver senso vedere come tale oggetto si comporti nel momento incui lo si consideri nel più grande ambiente fornito da EG(n,C). Ad esempio,la curva reale di equazione

x2 + y2 = −1

non ha punti in EG(2,R), ma è studiabile in EG(2,C).

Definizione 30. Sia (A, V, α) uno spazio euclideo, e siano P,Q ∈ A. Si dicedistanza euclidea di P da Q il numero reale positivo

d(P,Q) =√〈α(P,Q), α(P,Q)〉 = ||α(P,Q)||2.

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Per le proprietà della norma, la distanza euclidea soddisfa la Definizione27. Pertanto, ogni spazio euclideo è effettivamente uno spazio metrico.

Osserviamo che sottospazi affini di uno spazio euclideo sono automatica-mente spazi euclidei rispetto la struttura indotta.

Definizione 31. Sia B un sottospazio affine avente giacitura B e conside-riamo P ∈ A. Si dice proiezione ortogonale di P su B il punto T ∈ B taleche

α(P, T) ∈ B⊥.

Teorema 32. La proiezione ortogonale di P su B è unica.

Dimostrazione. Supponiamo che esistano due punti T, T ′ ∈ B tali che t =

α(P, T) e t ′ = α(P, T ′) siano entrambi in B⊥. Allora

α(T, T ′) = t ′ − t.

Poiché T, T ′ ∈ B, si ha α(T, T ′) ∈ B. D’altro canto t, t ′ ∈ B⊥, da cui α(T, T ′) ∈ B⊥.Segue α(T, T ′) = 0, da cui T = T ′.

In generale, scriveremo la proiezione di P su B con il simbolo T = ΠB(P).

Teorema 33 (Teorema di approssimazione). Sia P ∈ A. Allora, per ogniB ∈ B si ha

d(P,ΠB(P)) ≤ d(P, B).

Dimostrazione. La dimostrazione è analoga a quella del teorema di approssi-mazione per la proiezione di vettori su spazi vettoriali.

Lemma 34. Siano b e t due vettori di V . Allora, la proiezione ortogonale di tin direzione b è il vettore

Πb(t) =〈t,b〉〈b,b〉b.

Dimostrazione. Abbiamo⟨t −〈t,b〉〈b,b〉b,b

⟩= 〈t,b〉− ||b||22

〈t,b〉||b||22

= 0.

Sia A uno spazio euclideo e Γ = (O,B) un riferimento affine. Per ognipunto P ∈ B è possibile introdurre due diverse coordinate: possiamo infatticalcolare i coefficienti pi tali che

α(O,P) =∑i

pibi

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b

p1p1

p2

p2P

b1

b2

Figura 1: Coordinate covarianti e controvarianti

esattamente come nel caso puramente affine, oppure possiamo determinare ivalori

pi =〈α(O,P),bi〉〈bi,bi〉

=〈Πbi

(α(O,P)),bi〉||bi||22

I valori pi sono detti coordinate controvarianti del punto, mentre i pi sonodetti coordinate covarianti.

Teorema 35. Siano P,Q ∈ EG(n,K) e supponiamo che per ogni i si abbiapi = qi. Allora, P = Q.

Dimostrazione. Per ipotesi,

0 = pi − qi = 〈α(O,P),bi〉− 〈α(O,Q),bi〉 = 〈α(O,P) − α(O,Q),bi〉 .

Poniamo α(O,P) − α(O,Q) = h. Osserviamo che per ogni r ∈ V si ha

〈h, r〉 =

n∑i=1

ri 〈h,bi〉 = 0

Da ciò si deduce h = 0, cioè α(O,P) = α(O,Q). Conseguentemente, P =

Q.

Definizione 36. Sia (A, V, α) uno spazio euclideo. Un riferimento affineΓ = (O,E) è detto riferimento euclideo se E è una base ortonormale di V.

Teorema 37. Sia Γ un fissato riferimento euclideo. Allora, per ogni punto P eper ogni indice 1 ≤ i ≤ n si ha

pi = pi.

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Dimostrazione. Sia E = {e1, . . . ,en} una base ortonormale di V. Allora, perogni vettore t = α(O,P) si ha

t =

n∑i=1

〈t,ei〉ei =

n∑i=1

piei.

Segue pi = pi.

Definizione 38. Si dice coseno dell’angolo ϑ fra due vettori reali t, u ilnumero

cos ϑ =〈t,u〉

||t||2||u2||.

Osserviamo che, per la disuguaglianza di Schwartz,

| cos ϑ| ≤ 1,

per ogni ϑ.

6 Distanza fra sottoinsiemiDati un punto P e un sottospazio affine B ≤ A è possibile definire la distanzadi P da B come

d(P,B) := d(P,ΠB(P)). (8)

Tale quantità è ben definita grazie al Teorema 32, che garantisce l’esistenzae unicità della proiezione ortogonale di P su B. Notiamo che d(P,B) = 0

se, e solamente se, P ∈ B. Per il Teorema 33 di approssimazione la (8) puòriscriversi come

d(P,B) = minQ∈B

d(P,Q). (9)

A partire dalla (9), possiamo introdurre la più generale nozione di distanzafra due sottoinsiemi B,C ⊆ A come il numero reale positivo

d(B,C) := minB∈BC∈C

d(B,C).

Si noti che tale minimo esiste sempre, anche se non è detto che vi sia un’unicacoppia di punti B ∈ B e C ∈ C che lo realizza. In ogni caso abbiamo d(B,C) = 0

se, e solamente se, B ∩ C 6= ∅.

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6.1 Distanza punto–iperpianoSia B un iperpiano di EG(n,R) Premettiamo una definizione.

Definizione 39. Sia ω un iperpiano di EG(n,K) e supponiamo che W siala sua giacitura. Si dice direzione normale a ω il sottospazio vettoriale1–dimensionale W⊥.

Fissiamo un riferimento ortonormale Γ = (O,B) e supponiamo che l’equa-zione di B rispetto a Γ sia

B : f(x) = α1x1 + α2x2 + · · ·+ αnxn − α0 = 0. (10)

Chiaramente il vettore n = (α1, α2, . . . , αn) è non nullo; inoltre esso risul-ta perpendicolare a tutti i vettori della giacitura di B. Infatti, se w =

(w1, . . . , wn) = α(R,Q) = Q− R con R,Q ∈ B, allora

〈w,n〉 =∑i

αi(qi − ri) = (f(Q) + α0) − (f(R) + α0) = 0.

Pertanto n identifica una direzione normale a B.Consideriamo ora un punto P avente coordinate P = (p1, p2, . . . , pn) ri-

spetto Γ . Vogliamo calcolare d(P,B); a tal fine determiniamo il vettorev = α(P,ΠB(P)). Innanzi tutto, osserviamo che v deve essere parallelo an. Consideriamo dunque la retta ` per P avente direzione n e calcoliamonel’intersezione Q con B; tale punto sarà proprio la proiezione ortogonale di Psul sottospazio. L’equazione parametrica di ` è

x1 = p1 + tα1

x2 = p2 + tα2...

...xn = pn + tαn.

(11)

Mettendo a sistema con f(X) = 0 si ottiene che il punto ΠB(P) deve averecoordinate corrispondenti alla soluzione in t di

α1(p1 + α1t) + α2(p2 + α2t) + · · ·+ αn(pn + αnt) − α0 = 0. (12)

In particolare dalla (12) si deduce∑i=1n

(αipi + α2i t) − α0 = f(p) + t||n||22 = 0, (13)

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da cuit = −

f(P)

||n||22. (14)

Sostituendo la (14) nella (11) si ottengono come coordinate per v = α(P,ΠB(P))

rispetto a Γ

vi = −f(P)

||n||22αi.

Tenuto conto dell’ortonormalità di B, la norma di v è data da

||v||2 =

√√√√ n∑i=1

v2i =

√f(P)2

||n||42

∑i

α2i =

√f(P)2

||n||22.

Pertanto, si ottiene come misura della distanza

d(P,B) =|f(P)|

||n||2. (15)

6.2 Distanza fra 2 rette e retta di minima distanzaSiano ora ` e m due rette di EG(3,R). Supponiamo che le rispettive equazioniparametriche siano date da

` :

x = p1 − v1t

y = p2 − v2t

z = p3 − v3t

m :

x = q1 +w1u

y = q2 +w2u

z = q3 +w3u.

Osserviamo che in componenti il vettore che congiunge un punto U di ` conun punto V di m è

V −U = Q− P + wu+ vt.

Dobbiamo minimizzare ψ(u, t) = ||V −U||22. Un calcolo diretto mostra

ψ(u, t) = ||Q−P||22+2u 〈Q− P,w〉+2t 〈Q− P,v〉+u2||w||22+t2||v||22+2tu 〈v,w〉 .

Calcolando il gradiente e sostituendo la definizione di V −U si ottiene

∇ψ = 2 (〈V −U,w〉 , 〈V −U,v〉) . (16)

Pertanto, la distanza minima si realizza quando V −U è ortogonale contem-poraneamente a ` e ad m. Distinguiamo ora due casi:

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1. le rette ` e m sono parallele; allora, il sistema dato dalla (16) ha rango 1e si trovano∞1 possibili soluzioni; geometricamente, si ha che per ognipunto P ∈ ` passa un piano π ortogonale sia ad ` che adm; l’intersezionedi π con m è la proiezione di P su m e realizza la distanza minima;

2. le rette ` e m hanno direzione diversa; allora il sistema descritto dalla(16) ha rango 2 e si trova un’unica soluzione in t ed u; geometricamentequesto corrisponde ad osservare che vi è un’unica retta, diciamo nortogonale sia ad ` che ad m e che le interseca entrambe; tale retta èdetta retta di minima distanza.

7 Prodotto vettorialeSia ora V uno spazio euclideo 3–dimensionale dotato di prodotto scalare eB = (i, j,k) una sua base ortonormale orientata.

Definizione 40. Data una coppia di vettori v = (v1, v2, v3),w = (w1, w2, w3)

diciamo prodotto vettoriale di v e w il vettore ottenuto calcolando il seguentedeterminante formale

v×w =

∣∣∣∣∣∣i j kv1 v2 v3w1 w2 w3

∣∣∣∣∣∣ .Teorema 41. Valgono le seguenti proprietà:

1. v×w = −w× v;

2. v×w = 0 se, e solamente se, v e w sono linearmente indipendenti;

3. v×w è ortogonale sia a w che a w;

4. ||v ×w||2 = ||v||2||w||2| sin ϑ|, ove ϑ è l’angolo fra v e w mentre | sin ϑ| =√1− cos2 ϑ.

Dimostrazione. Le prime due proprietà sono una diretta conseguenza delleproprietà dei determinanti.

Per quanto riguarda la terza, osserviamo che per ogni c = c1i+ c2j+ c3k ∈V,

〈c,v×w〉 = c1

⟨i, i∣∣∣∣ v2 v3w2 w3

∣∣∣∣⟩−c2

⟨j, j∣∣∣∣ v1 v3w1 w3

∣∣∣∣⟩+c3

⟨k,k

∣∣∣∣ v1 v2w1 w2

∣∣∣∣⟩ =

c1

∣∣∣∣ v2 v3w2 w3

∣∣∣∣− c2∣∣∣∣ v1 v3w1 w3

∣∣∣∣+ c3∣∣∣∣ v1 v2w1 w2

∣∣∣∣ =∣∣∣∣∣∣c1 c2 c3v1 v2 v3w1 w2 w3

∣∣∣∣∣∣ .18

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Come caso particolare c = v oppure c = w si ha la terza proprietà. Perquanto concerne la quarta proprietà, osserviamo che

||v||22||w||22 − 〈v,w〉2 = (∑i

v2i )(∑i

wi)2 − (∑i

viwi)2 =∑

i

v2i

∑j

w2j − (∑i

viwi)(∑j

vjwj) =∑i,j

v2iw2j −∑i,j

vivjwiwj =∑i<j

v2iw2j +∑i

v2iw2i +∑i>j

v2iw2j

(∑i<j

viwivjwj +∑i

v2iw2i +∑i>j

viwivjwj

)=∑

i<j

v2iw2j +∑i<j

v2jw2i − 2

∑i<j

viwivjwj =∑i<j

(v2iw2j − 2viwivjwj + v

2jw

2i ) =∑

i<j

(viwj − vjwi)2 = ||v×w||22.

Da questo segue la tesi.

In generale, il prodotto vettoriale non è invariante rispetto trasformazioniortogonali. In effetti, vale il seguente teorema.

Teorema 42. Sia A una qualsiasi trasformazione lineare di V; allora,

(Av)× (Aw) = (detA)(AT )−1(v×w).

Dimostrazione. Sia u ∈ V un generico vettore. Innanzi tutto, osserviamo che

〈Av×Aw, Au〉 =⟨AT (Av×Aw),u

⟩. (17)

D’altro canto, per ogni u ∈ V, si ha anche

〈Av×Aw, Au〉 =

det

AuAvAw

= det

Au

vw

= detAdet

uvw

= 〈(detA)(v×w),u〉 . (18)

Siccome u è un vettore generico, deduciamo dalla (17) e dalla (18),

AT (Av×Aw) = detA(v×w) (19)

da cui, poiché A è invertibile, segue la tesi.

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8 IsometrieDefinizione 43. Sia EG(n,K) uno spazio euclideo. Si dice isometria ognitrasformazione affine ξ : EG(n,K) → EG(n,K) tale che per ogni P,Q ∈EG(n,K) si abbia

d(P,Q) = d(ξ(P), ξ(Q)).

È immediato vedere che ogni isometria ξ deve essere una trasformazioneinvertibile; infatti, se ξ non fosse iniettiva, avremmo due punti P,Q con P 6= Q

e ξ(P) = ξ(Q). Questo comporterebbe

0 = d(ξ(P), ξ(Q)) = d(P,Q) 6= 0,

una contraddizione. In effetti possiamo dimostrare qualche cosa di più.

Teorema 44. Fissato un riferimento euclideo Γ , ogni isometria ξ di EG(n,K)

si scrive comeξ(X) = QX+ B

ove Q è una matrice unitaria.

Dimostrazione. Per il Teorema (25), ogni affinità (e quindi anche ogni isome-tria) si rappresenta in coordinate nella forma

ξ(X) = AX+ B,

ove A è una matrice n × n. Osserviamo che per definizione di distanzaeuclidea

〈X− Y, X− Y〉 = ||X− Y||22 =

||ξ(X) − ξ(Y)||22 = 〈AX−AY,AX−AY〉 = 〈A?A(X− Y), X− Y〉 .

Pertanto,

〈A?A(X− Y), X− Y〉− 〈X− Y, X− Y〉 = 〈(A?A− I)(X− Y), X− Y〉 = 0

per ogni vettore X − Y ∈ V (ove V è la giacitura di EG(n,K)). Se ne deduceA?A− I = 0, ovvero che A è una matrice unitaria.

Teorema 45. Siano t, u due vettori reali e γ una isometria. Allora il cosenodell’angolo θ individuato da t e u coincide col cosendo dell’angolo individuatoda γ(t) e γ(u). In particolare t e u sono ortogonali se, e solamente se, γ(t) eγ(u) lo sono.

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Dimostrazione. Osserviamo che esiste una matrice unitaria A che descrivel’azione di γ sullo spazio vettoriale V; pertanto

〈γ(b), γ(u)〉 = 〈Ab, Au〉 = 〈A?Ab,u〉 = 〈b,u〉 .

La tesi segue ora dalla definizione di isometria.

Definizione 46. Tutte le isometrie della forma ξ(X) = AX+B in cui detA = 1

sono dette dirette; quelle per cui detA = −1 sono chiamate inverse.

8.1 Isometrie del pianoSi vogliono caratterizzare tutte le isometrie di EG(2,R). Utilizziamo il Teo-rema 44 e osserviamo che una matrice reale è unitaria se, e solamente se,essa è ortogonale. In particolare l’insieme di tutte le matrici ortogonali 2× 2è dato da quelle matrici

A =

(a11 a12a21 a22

)tali che

a211 + a221 = 1, a212 + a222 = 1, (20)

ea11a12 + a21a22 = 0. (21)

Dalla (20), vediamo che possiamo sempre trovare ϑ,ϕ ∈] − π, π] tali che

a11 = cos ϑ, a12 = sinϕ, a21 = sin ϑ, q22 = cosϕ

Pertanto, dalla (21) abbiamo

cos ϑ sinϕ+ sin ϑ cosϕ = 0,

ovverosin(ϑ+ϕ) = 0.

Da quest’ultima relazione si deduce ϕ = −ϑ oppure ϕ = π− ϑ. Tenuto contoche

sin(π− ϑ) = sin ϑ, sin(−ϑ) = − sin ϑ

ecos(π− ϑ) = − cos ϑ, cos(−ϑ) = cos ϑ

Si ottiene che la matrice A ha la forma

Rϑ =

(cos ϑ − sin ϑsin ϑ cos ϑ

)21

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oppure

Mϑ =

(cos ϑ sin ϑsin ϑ − cos ϑ

).

Osserviamo cheMϑ = Rϑ

(1 0

0 −1

).

ϑ

sin ϑ

cos ϑ

− sin ϑ

cosϑ

Figura 2: Azione della matrice Rϑ

Forniamo ora una prima descrizione di alcune isometrie del piano:

1. una isometria del tipo τB(X) = X+B è detta traslazione di vettore B; taletrasformazione lascia inalterata la giacitura di qualsiasi sottospazioaffine di EG(2,R) e, per B 6= 0, è priva di punti fissi;

2. una isometria del tipo ρθ(X) = A1(θ)X è detta rotazione attorno l’originedel riferimento. Essa per θ 6= 0 fissa solamente il punto O di coordinate(0, 0, . . . , 0). Osserviamo che, in generale,

A1(ϑ)A1(µ) = A1(ϑ+ µ).

In particolare, tutte le rotazioni attorno l’origine del riferimento (equi-valentemente, tutte le matrici ortogonali 2× 2 a coefficienti reali con de-terminante +1) sono un gruppo, il gruppo speciale ortogonale SO(2,R).

3. l’isometria σ(X) =

(1 0

0 −1

)X è detta riflessione di asse x2 = 0. Essa

fissa tutti e soli i punti di coordinate (x1, 0).

22

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ϑ

sin ϑ

cos ϑ

sin ϑ

− cos ϑ

Figura 3: Azione della matrice Mϑ

Traslazioni e rotazioni sono isometrie di tipo diretto. Possiamo dimostrare orache la generica isometria del piano si può sempre scrivere come composizionedi un numero finito di traslazioni, rotazioni attorno l’origine e riflessionirispetto l’asse x2 = 0. Infatti, consideriamo la generica isometria

ξ(X) = QX+ B

Distinguiamo due casi:

1. se detQ = 1, allora esiste un ϑ tale che Q = A1(ϑ); pertanto possiamoscrivere

ξ(X) = (τBσϑ)(X).

2. se detQ = −1, allora esiste un ϑ tale che Q = A1(ϑ)

(1 0

0 −1

); pertanto,

ξ(X) = (τb · σϑ · µ)(X).

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Definizione 47. Due isometrie β e γ sono dette coniugate se esiste un’iso-metria δ tale che

β = δ−1γδ.

Usando la precedente definizione possiamo introdurre le nozioni di rotazionee riflessione arbitrarie.

Definizione 48. Si dice

1. rotazione ogni isometria coniugata ad una isometria della forma

ρθ = RθX,

con Rθ ∈ SOn(R);

2. riflessione ogni isometria coniugata a

σ(X) =

(1 0

0 −1

)X.

In particolare, una rotazione di un angolo θ attorno il punto P si scrivecome

(τPρθτ−P)(X) = A(X− P) + P = AX+ (I−A)P.

Teorema 49. Sia µ una riflessione. Allora, esiste una retta r tale che ∀P ∈ r,

µ(P) = P.

Tale retta è detta asse di µ.

Dimostrazione. Per definizione di riflessione, esiste una isometria γ tale cheµ = γσγ−1. Poiché γ è una affinità invertibile, l’immagine della retta diequazione t : y = 0 secondo γ è a sua volta una retta, diciamo r. Per ogniP ∈ r abbiamo Q = γ−1(P) ∈ t; d’altro canto σ agisce come l’identità su t, percui

γσγ−1(P) = γσ(Q) = γ(Q) = P.

La tesi segue.

Vale il seguente teorema.

Teorema 50. Sia µ una riflessione di asse r e sia P ∈ EG(2,R). Indichiamocon Q la proiezione ortogonale di P su r. Allora,

α(P,Q) = α(Q,µ(P)).

In particolare, ogni riflessione è univocamente individuata dal suo asse.

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Dimostrazione. Innanzi tutto, osserviamo che Q ∈ r implica µ(Q) = Q. Scri-viamo ora µ = γσγ−1. Siano P ′ = γ−1(P), Q ′ = γ−1(Q). Per il Teorema 45,ogni isometria preserva l’ortogonalità. Pertanto il vettore α(P ′, Q ′) = (p ′1, p

′2)

è ortogonale al vettore e1 = (1, 0). Questo significa p ′1 = 0 e

σ(α(P ′, Q ′)) = (0,−p ′2) = −α(P ′, Q ′) = α(Q ′, P ′).

Dunque

α(µ(P), Q) =

µ(α(P,Q)) = γσγ−1(α(P,Q)) = γ(α(Q ′, P ′)) = α(γ(Q ′), γ(P ′)) = α(Q,P).

La tesi segue.

8.2 Isometrie dello spazio 3–dimensionaleConsideriamo ora il caso 3–dimensionale. Adatteremo le definizioni prece-dentemente viste.

Definizione 51. Una isometria della forma

ϕ(X) = A(X− B) + B

con A ∈ SO(3,R) è detta rotazione di centro il punto di coordinate B.

Teorema 52. Ogni matrice A ∈ SO(3,R) ammette 1 come autovalore. Inoltre,se A 6= I, la molteplicità di 1 come autovalore è 1.

Dimostrazione. La matrice A è reale ortogonale e di ordine dispari; pertantoessa ammette sempre almeno un autovettore reale con autovalore ±1. D’altrocanto, A, vista come matrice complessa risulta diagonalizzabile; ne segue cheessa o:

1. ha tre autovalori reali di modulo 1 e il cui prodotto è 1; pertanto almenouno di essi deve essere +1; se tutti e tre gli autovalori sono positivi,allora A è la matrice identica; se due sono −1, allora la molteplicitàgeometrica di 1 è 1.

2. ha un autovalore reale e due autovalori complessi coniugati della formaeiϑ e e−iϑ. Il prodotto di tali autovalori complessi è pari ad 1; per-tanto il restante autovalore reale deve essere 1; chiaramente esso hamolteplicità 1.

La tesi segue.

25

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Conseguenza del teorema precedente è che esiste sempre uno uno spaziovettoriale V1 fissato da A.

Definizione 53. Sia ϕ una rotazione non identica di centro B associata allamatrice A ∈ SO(3,R). Si dice asse di ϕ la retta passante per B e parallela aV1.

Teorema 54. Sia ϕ una rotazione, r il suo asse e P ∈ r. Allora ϕ(P) = P.

Dimostrazione. Poiché P appartiene all’asse di ϕ si ha

P = B+ v,

con v ∈ V1. Ne segue,

ϕ(P) = A(P − B) + B = A(B+ v − B) + B = v + B = P.

In generale si può dimostrare che ogni matrice di A ∈ SO(3,R) si puòsempre scrivere come prodotto A = BCD di tre matrici della forma

B =

cosφ sinφ 0

− sinφ cosφ 0

0 0 1

, C =

1 0 0

0 cos θ sin θ0 − sin θ cos θ

,D =

cosψ sinψ 0

− sinψ cosψ 0

0 0 1

.I tre angoli (φ, θ,ψ) sono detti angoli di Eulero della rotazione. In particolaresi ottiene

A =

cosφ cosψ− sinφ sinψ cos θ sinφ cosψ cos θ+ cosφ sinψ sinφ sin θ− cosφ sinψ cos θ− sinφ cosψ cosφ cosψ cos θ− sinφ sinψ cosφ sin θ

sinψ sin θ − cosψ sin θ cos θ

.Euristicamente, la decomposizione A = BCD si dimostra facendo vedere che

1. ogni rotazione è univocamente individuata dal suo asse e da un angoloφ;

2. una direzione può descriversi mediante due angoli ψ e θ.

Le traslazioni sono definite nel caso 3–dimensionale esattamente comenel caso piano. Per quanto concerne le riflessioni, mostriamo direttamentecosa accade in dimensione n.

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Definizione 55. Sia EG(n,C) uno spazio euclideo e supponiamo che π siaun iperpiano fissato. Si dice riflessione di asse π la trasformazione affineµ che associa ad ogni P ∈ EG(n,C) il punto P ′ determinato dalla seguenteequazione

α(P,Ππ(P)) = α(Ππ(P), P′)

ove con Ππ(P) si è indicata la proiezione ortogonale di P su π.

Teorema 56. Ogni riflessione è una isometria.

Dimostrazione. Sia W = {w1,w2, . . . ,wn−1} una base ortonormale della gia-citura W di π e consideriamo il riferimento affine Γ = (O,B) ottenuto com-pletando W a base della giacitura di tutto lo spazio euclideo EG(n,K) me-diante un versore in wn ∈ W⊥. Chiaramente, µ fissa tutti i punti di π. Siaora P = (p1, p2, . . . , pn−1, pn)

T ∈ EG(n,K) scritto in componenti rispetto ilriferimento fissato. Allora,

Ππ(P) = (p1, p2, . . . , pn−1, 0)T .

Pertanto,α(P,Ππ(P)) = (0, 0, . . . , 0, pn)

T

e dunque

P ′ = Ππ(P) − α(P,Ππ(P)) = (p1, p2, . . . , pn−1,−pn)T .

Mostriamo ora che per ogni P,Q ∈ EG(n,K) si ha d(P,Q) = d(µ(P), µ(Q)).Infatti, passando in coordinate

d(P,Q)2 = ||α(P,Q)||22 = ||Q− P||22 =

n∑i=1

|qi − pi|2 =

n−1∑i=1

|qi − pi|2 + |pi − qi|

2 = ||µ(Q) − µ(P)||22 = d(µ(P), µ(Q))2.

La tesi è pertanto verificata.

9 Normali e assiTeorema 57. Siano P,Q due punti fissati con P 6= Q. Allora, l’insieme ditutti i punti X ∈ EG(n,R) tali che d(P, X) = d(Q,X) è un iperpiano ω. Inoltre,il punto medio M di P e Q appartiene ad ω e il vettore α(P,Q) identifica ladirezione normale ad ω.

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Dimostrazione. Fissiamo un riferimento euclideo. Poiché

||α(P, X)||22 = ||α(Q,X)||22,

passando in coordinate, e tenuto conto della bilinearità del prodotto internodi Rn si ottiene

n∑i=1

(pi − xi)2 =

n∑i=1

(qi − xi)2,

da cui si deduce

n∑i=1

((pi − xi) + (qi − xi)) ((pi − xi) − (qi − xi)) =

n∑i=1

((pi + qi − 2xi)(pi − qi)) = 0.

In particolare, si vede che i punti di ω sono tutti e soli quelli che soddisfanol’equazione lineare

n∑i=1

xi(pi − qi) =1

2

n∑i

(p2i − q2i );

ω è dunque un iperpiano. Se M è il punto medio fra P e Q, si ha

α(P,M) = α(M,Q),

da cuid(P,M)2 = ||α(P,M)||22 = ||α(M,Q)||22 = d(Q,M)2,

cioè M ∈ ω.Sia ora W la giacitura di ω. Poniamo v = α(P,Q) = (q1−p1, . . . , qn−pn)

T

e consideriamo due punti X, Y ∈ ω. Sia w = α(X, Y) = (y1−x1, y2−x2, . . . , yn−

xn)T ∈W. Abbiamo

〈w,v〉 =

n∑i=1

(yi − xi)(qi − pi) =

n∑i=1

yi(qi − pi) −

n∑i=1

xi(qi − pi) =1

2(p2i − q2i ) −

1

2(p2i − q2i ) = 0.

Pertanto, α(P,Q) 6= 0 è un generatore di W⊥.

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Definizione 58. Si dice iperpiano assiale individuato da due punti P,Q ∈EG(n,K) l’insieme di tutti i punti R ∈ EG(n,K) appartenenti all’iperpianopassante per il punto medio fra P e Q e avente direzione normale generatada α(P,Q).

Osserviamo che se K = R, per il Teorema 57, l’iperpiano assiale coincidecon il luogo di tutti i punti equidistanti da P e da Q; quando K = C ciò perònon è più vero.

In generale, comunque assegnato un iperpiano ω di EG(n,K) aventeequazione

n∑i=1

βixi = β0 (22)

è sempre possibile trovare un vettore

b = (β1, β2, . . . , βn)

tale che la giacitura di ω sia proprio lo spazio vettoriale

W = {x ∈ V : 〈x,b〉 = 0}.

In effetti, possiamo scrivere anche le coordinate dei punti dell’iperpianomediante prodotti interni, infatti l’equazione (22) si può sempre scrivereanche come ⟨

(x1, x2, . . . , xn, 1), (β1, . . . , βn,−β0)⟩

= 0.

10 ConicheIn questo paragrafo introdurremo la nozione di coniche come luoghi di puntiin un piano euclideo EG(2,R).

Definizione 59. Siano

1. F un punto di EG(2,R), detto fuoco

2. ` una retta di EG(2,R) con F 6∈ `, detta direttrice;

3. e ≥ 0 un numero reale, detto eccentricità.

Una conica è l’insieme dei punti P ∈ EG(2,R) tali che

d(P, F)

d(P, `)= e. (23)

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Definizione 60. Una conica è detta:

1. ellisse se 0 ≤ e < 1;

2. parabola se e = 1;

3. iperbole se e > 1.

Fissiamo ora un riferimento euclideo opportuno; possiamo supporre senzaperdere in generalità che

1. la direttrice ` sia la retta x = 0;

2. il fuoco F abbia coordinate (k, 0);

3. il punto P abbia coordinate generiche (x, y).

Allora, la condizione diviene

e =d(P, F)

d(P, `)=

√(x− k)2 + y2

|x|.

Elevando al quadrato si vede che tale condizione è equivalente a

(1− e2)x2 − 2kx+ y2 + k2 = 0. (24)

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