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I Profeti םם ם םם ם ם ם םπροφήται Nozioni generali 1. Quando pensiamo ai profeti di Israele pensiamo istintivamente ai grandi profeti: Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele. Questi ci si affacciano immediatamente alla mente perché sono i profeti che ci hanno lasciato degli scritti consistenti: Isaia 66 capitoli, Geremia 52 capitoli, Ezechiele 48 capitoli, Daniele 14 capitoli. Questi quattro profeti sono chiamati “profeti maggiori”. Accanto ad essi, altri dodici profeti ci hanno lasciato degli scritti; scritti di lunghezza inferiore, per cui sono chiamati “profeti minori”, e sono Osea, Gioèle, Amos, Abdìa, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonìa, Aggeo, Zaccaria, Malachìa. 2. Questi sedici profeti (quattro più dodici) sono i profeti “scrittori”, ma in Israele ci furono molti altri profeti. Il fenomeno profetico in Israele fu un fenomeno vasto e prolungato nel tempo, iniziato molto prima che entrassero in azione i profeti scrittori. Già al tempo dell’Esodo ci viene attestata l’azione dello Spirito di Dio che scese su settanta uomini nell’accampamento degli Ebrei nel deserto, i quali profetarono (Num 11,24-30). Ci fu un primo stadio del movimento profetico in Israele caratterizzato da esperienze e fenomeni singolari, in parte 1

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I Profetiנביאים

προφήται

Nozioni generali

1. Quando pensiamo ai profeti di Israele pensiamo istintivamente ai grandi profeti: Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele. Questi ci si affacciano immediatamente alla mente perché sono i profeti che ci hanno lasciato degli scritti consistenti: Isaia 66 capitoli, Geremia 52 capitoli, Ezechiele 48 capitoli, Daniele 14 capitoli. Questi quattro profeti sono chiamati “profeti maggiori”. Accanto ad essi, altri dodici profeti ci hanno lasciato degli scritti; scritti di lunghezza inferiore, per cui sono chiamati “profeti minori”, e sono Osea, Gioèle, Amos, Abdìa, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonìa, Aggeo, Zaccaria, Malachìa.

2. Questi sedici profeti (quattro più dodici) sono i profeti “scrittori”, ma in Israele ci furono molti altri profeti. Il fenomeno profetico in Israele fu un fenomeno vasto e prolungato nel tempo, iniziato molto prima che entrassero in azione i profeti scrittori. Già al tempo dell’Esodo ci viene attestata l’azione dello Spirito di Dio che scese su settanta uomini nell’accampamento degli Ebrei nel deserto, i quali profetarono (Num 11,24-30).

Ci fu un primo stadio del movimento profetico in Israele caratterizzato da esperienze e fenomeni singolari, in parte anche strani, in qualche caso addirittura stravaganti. Si trattò piuttosto di fenomeni pseudo-profetici o para-profetici , che interessarono persone particolari. Esse, sotto la spinta di uno spirito imprevedibile, compivano gesti strani e assumevano comportamenti fuori del normale (cfr 1Sam 10,5-6; 1Sam 19,18-24). Ciò era molto più accentuato e segnato da stravaganze nei culti e nei riti pagani (cfr 1Re 18,25-29). Non si trattava ancora di attività profetica vera e propria.

3. La vera profezia iniziò con Samuele. Siamo al tempo di Saul (1030 circa a.C.). Di lui ci parla 1Sam cap.3 che narra la sua vocazione e che ci dice di lui che fu riconosciuto dal popolo profeta vero del Signore (1Sam 3,19-21). Nei capitoli seguenti si raccontano i suoi interventi profetici.

Siamo nei primi tempi della monarchia. Nei secoli X – IX – VIII (dal 1000 al 760 a.C.) troviamo in azione alcuni profeti che possiamo chiamare “profeti di corte”; profeti che non ci hanno lasciato degli scritti, e che hanno svolto la loro missione in stretto riferimento alla casa regnate, sia nel Regno di Giuda che nel regno di Israele; ora supportando e confermando l’azione del re, ora criticandola e contestandola.

Ricordiamo Natan al tempo di Davide (2Sam 7,1-17; 2Sam 12,1-14); Achìa al tempo di Geroboamo I, il primo re del Regno del Nord (1Re 11,29-32); Ieu al tempo di Basa (909-

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886 a.C.), re del regno del Nord (1Re 16,1-4). Ricordiamo i due grandi profeti Elia ed Eliseo al tempo del re Acab (874-853 a.C.) nel regno del Nord. Elia fu il grande difensore del primato assoluto di JHWH contro il dilagare dell’idolatria, contestatore deciso e severo dei comportamenti del re e della sua sposa, Gezabele, principessa pagana originaria di Tiro (1Re 18 – 19; 1Re 21,1-24).

4. Dal 760 a.C. in poi compaiono in Israele i profeti “scrittori”, che ci lasciarono degli scritti. Possiamo dividerli in tre gruppi in base ad un criterio cronologico:

a) I profeti pre-esilici (dal 760 al 597 a.C.) Sono Amos e Osea, che profetizzano nel Regno del Nord e rimproverarono la casa regnate e le classi ricche del popolo per le ingiustizie sociali, i soprusi; rimproverano il popolo per il cedimento all’idolatria, e parlano della volontà di perdono di JHWH. Sono Isaia e Michea (nel 700 a.C.), Sofonìa, Naum, Abacuc (nel 600 a.C.), che profetizzano nel Regno del Sud. E poi Geremia, sul finire dell’indipendenza del Regno del Sud; profetizza a Gerusalemme dal 627 al 585 a.C.).

b) I profeti del tempo dell’esilio (597-538 a.C.). Sono i due grandi profeti Ezechiele e il Deuteroisaia, che sostengono la speranza degli esuli a Babilonia e assicurano loro il ritorno in patria. Più il Tritoisaia.

c) I profeti del post-esilio (dal 538 al III secolo a.C.) che intervengono a stimolare il popolo e i rimpatriati da Babilonia a ricostruire il tempio (Aggeo e Zaccarìa); che richiamano il popolo ad un culto fervoroso e sincero (Malachìa); che annunciano il giorno di JHWH, il gran giorno dell’intervento di Dio nella storia (Gioèle).Un posto a sé merita il libro del profeta Giona che vuole contestare la pretesa della comunità ebraica di essere lei sola la comunità dei salvati.

Una notazione va fatta circa i cosiddetti “figli dei profeti” che compaiono attorno alle varie figure dei profeti, e che ne sono i discepoli, i seguaci, gli epigoni. Essi si riunivano in gruppo e in specie di confraternite per conservare e portare avanti l’insegnamento del profeta loro maestro (2Re 2,1-18; 2Re 4,38; Am 7,14).

5. Il nome “profeta” (προφήτης) non vuole dire necessariamente e solo “uomo che predice il futuro”. Questa è stata “una” delle funzioni e delle caratteristiche dei profeti biblici. Ma “profeta”, parola che deriva dal greco προ-φημι (pro-femì) e significa “parlare al posto di”, indica un uomo che è stato inviato da Dio a parlare in nome suo e a portare al popolo il suo messaggio; messaggio che si può riferire al futuro, ma anche, e ancor più, al presente, e può avere richiami e riferimenti anche al passato.

6. Le caratteristiche principali dei profeti di Israele sono:

a) La chiamata divina. Non è il profeta che decide di sua iniziativa di essere profeta; anzi il profeta non ci aveva mai pensato (Am 7,14), o addirittura non lo avrebbe voluto (Ger 1,6; Ger 20,7-9; Gio 1), ma è Dio che sceglie e quasi "requisisce" il profeta.Ricordiamo alcune grandi vocazioni: 1Sam 3; 1Re 19,19-21; Am 7,14; Is 6; Is 61,1-3; Ger 1,4-10; Ez 1-3. Dio è molto libero nel chiamare: chiama chi vuole e chiama imperiosamente: Samuele è della tribù di Efraim, Eliseo della tribù di Issacar, Geremia ed Ezechiele sono di tribù sacerdotale; Isaia appartiene alla nobiltà di Gerusalemme mentre Amos è mandriano e contadino; Isaia è dotato di un carattere forte e sicuro, Geremia invece è timido ed introverso; Giona è caparbio, Osea è più docile; Samuele e Geremia sono giovani, mentre gli altri profeti sono più adulti; Geremia è celibe, Osea - Isaia - Ezechiele sono sposati; in genere i profeti

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esercitano la loro missione nel proprio paese, ma Amos, che è del Regno del Sud, viene inviato a profetizzare nel Regno del Nord.

b) L'esperienza profonda di Dio. Il profeta, al momento della sua vocazione, fa un'esperienza particolare e profonda di Dio, sperimentandolo come il “sovrano”, il “Signore”, il “dominatore” della sua vita e della storia del popolo e del mondo. Per cui il Signore viene avvertito dal profeta come Colui che tiene in mano tutte le cose; Colui che ha una parola da dire e da pronunciare su ogni realtà, perchè ogni realtà gli è sottomessa e gli appartiene. Egli può giudicare la vita personale degli uomini, la vita sociale dei popoli, il modo di vivere la fede, le scelte del re...

7. La Bibbia dà vari nomi ai profeti, che sono importanti per capire come gli Ebrei percepissero e sentissero i profeti stessi. Sette nomi esprimono la dimensione verticale del profeta ( cioè la sua relazione con Dio), e uno la sua dimensione orizzontale ( la sua relazione con gli uomini):

- “ nabì’ ” (נביא) = chiamato. E' di gran lunga il termine più usato: ricorre 184 volte. Esprime l'origine della missione profetica, che è una missione che viene da Dio e non dal profeta (1Sam 3,20).

- “ro’èh” (ראה) = veggente, colui che vede le cose di Dio, i suoi misteri, i suoi disegni. Ha un occhio penetrante che vede in profondità le cose del Signore (1Sam 9,9).

- “chozèh” (חזה) , sinonimo di “ro’èh” (2Sam 24,11).- “ ’ish ’elohìm" (איש אלהים ) = uomo di Dio, uomo che appartiene a Dio e vive nella sua

sfera divina (1Re 13,1).- “ ’ish haruàch” ( הרוח ( אש = uomo dello spirito, uomo che vive nella sfera e sotto

l’influsso dello spirito (Os 9,7).- “male’ak JHWH ( מלאך יהוה ) = messaggero di JHWH, suo inviato e portavoce (Ag 1,13).- “ ‘ebed JHWH ” ( אבד יהוה ) = servo di JHWH, uomo che fa la sua volontà e gli obbedisce

(2Re 10,10).- “sophèh” ( צפה ) = guardiano, sentinella dei fratelli; uomo che deve prendersi cura di loro,

avvertirli e riportarli sulla via giusta qualora avessero deviato dalla strada del Signore (Ez 3,17).

Come si vede, i nomi che si riferiscono al profeta in quanto uomo in relazione con Dio sono molto più abbondanti e numerosi dell'unico nome (guardiano, sentinella) dato al profeta in quanto uomo degli uomini. Ciò sta a dire che il profeta è soprattutto l'uomo di Dio, l'uomo che vive in profonda relazione con lui; e in base a questa relazione può essere l'uomo utile agli uomini.

8. I profeti esplicarono la loro missione attraverso la parola e attraverso gesti simbolici. La predicazione ebbe grande parte nella loro attività profetica. Troviamo nei loro scritti oracoli di accusa (Is 1,10-20), di minaccia (Is 1,2-9), di esortazione (Am 5,4-7), di salvezza (Is 40,1-11).Ma anche i gesti simbolici ebbero grande peso nella loro attività di profeti. Si vedano i testi interessanti di Is 20; Ger 13,1-11; Ger 19; Ger 27; Ez 12,1-11).

9. I profeti furono:a) gli uomini "della crisi". Elia contesta il re (1Re 18,17); Amos critica i ricchi avidi e ingiusti

(Am 5,10-13); Isaia critica il culto vuoto (Is 1,10-20); il libro di Giona critica la visione

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ristretta e nazionalistica di Israele che non vuole la salvezza di tutti i popoli; Aggeo critica la pigrizia del popolo nelle cose di Dio (Ag 1)...

b) gli uomini "della tradizione". Ricordano spesso quello che Dio ha fatto per il popolo (Am 2,9-12; Am 3,1-2; Mi 6,1-5; Os 11,1-4) e richiamano di continuo gli Israeliti agli impegni dell'alleanza stipulata al Sinai.

c) gli uomini "della speranza". Aiutarono Israele a non perdersi d'animo e a sperare sempre in una salvezza futura (durante l’esilio a Babilonia: Ez 34; Ez 36; Ez 37; Is 52; Is 54; durante la persecuzione di Antìoco IV Epìfane: il profeta Daniele), e a sperare in un Messia-salvatore (Is 11,1-9; Mi 5,1-3; Ma 3,1-5).

10. Nell’Antico Testamento accanto ai veri profeti compaiono anche i “falsi profeti”. I criteri per riconoscere i veri profeti sono:

-la chiara coscienza del profeta di essere chiamato e inviato da Dio, di parlare a nome suo e non per interesse personale, per sete di denaro o di autoaffermazione (Mi 3,5);

-lo sforzo di vivere con coerenza, in conformità con la parola annunciata (Ger 15,10-11);-l’impegno ad essere fedele a Dio anche a prezzo della vita (Ger 11,18-23; Ger 20,7-12);-l’essere in linea con la tradizione e la vera fede (Deut 13,2-6).

11. I libri dei profeti non sono usciti dalle loro mani così come noi oggi li abbiamo. Possiamo pensare che i profeti abbiano scritto qualche cosa (cfr Ger 36), ma che certamente altri brani degli attuali loro libri siano stati scritti dai loro discepoli immediati o distanti nel tempo; discepoli che hanno condiviso la loro fede e la loro spiritualità. Il loro lavoro consistette nello stendere testi biografici sul maestro (ad es. Am 7,10-17), nel rielaborare alcuni oracoli cercando di attualizzarli (si veda Is 14,22-23).

Infine, in epoca post-esilica, i testi vennero strutturati dai redattori finali non secondo un criterio cronologico, ma stilistico e tematico Troviamo così raccolte di oracoli rivolti al proprio di Israele (Am 3 – 9; Is 1 – 12) o alle nazioni straniere (Am 1 – 2; Is 13 – 23); messaggi di consolazione e di salvezza (Ger 30 – 33); visioni sul futuro (Ez 40 – 48); sezioni narrative (Is 36 – 39; Ger 36 – 45).

12. Ignazio Larranaga descrive il profeta così: "Il profeta è un uomo posseduto da Dio; non per questo, però, è separato dal mondo. Strettamente legato alla storia dei suoi contemporanei, vive con intensità gli eventi del suo tempo. Testimone dell'assoluto di Dio, è dotato di uno sguardo acuto e penetrante. Dinanzi a lui le facciate crollano, le combinazioni degli uomini perdono il loro aspetto spettacolare e scoprono la loro meschinità. Un fuoco lo penetra, una forza interiore lo spinge; è necessario che annunzi, a tempo e fuori tempo, il messaggio di cui è latore. Ha in sè una evidenza della presenza di Dio e dello sguardo di Dio sul mondo, e accusa profondamente la mancanza di chiaroveggenza in coloro che lo circondano. Diresti che è un vedente che circola nel regno dei ciechi. Per il profeta la verità discende dall'alto, a lui è come data, qualcosa che gli viene imposto e a cui non può resistere."

13. Ci sono ancora profeti oggi?Mosè nel deserto del Sinai esclamò: “Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e

volesse il Signore dare loro il suo spirito!”. Questo desiderio di Mosè diventò promessa di Dio nel libro del profeta Gioele: “Così dice il Signore: io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni. Anche sopra gli schiavi e sulle schiave, in quei giorni, effonderò il mio spirito (Gl 3,1-2).Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo, fu il grande e definitivo profeta che portò all’umanità la pienezza della Parola di Dio (Ebr 1,1-2), fu ripieno di Spirito Santo (Lc 4,1; Lc 4,16-19) e comunicò lo Spirito Santo all’umanità (Gv 3,34).

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Ogni credente col Battesimo viene “immerso” nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, e viene reso partecipe della dignità sacerdotale, regale e profetica di Gesù. Ogni cristiano è profeta, abilitato a trasmettere la Parola di Dio ai fratelli; ha il grande compito e la responsabilità di annunciare Dio al mondo con la parola e con la vita. L’autenticità e la misura della profezia è collegata e dipende dalla misura della fede che si possiede.

Il profeta amos

Amos è il più antico dei profeti "scrittori", cioè tra quelli che ci hanno lasciato degli scritti. Egli svolse la sua attività profetica verso il 765 circa a.C. Era di Tekòa (Am 1,1), un villaggio a 18 km. a sud di Gerusalemme; pur essendo del Regno di Giuda venne inviato da Dio a profetizzare nel Regno del Nord. Dio è sovrano nelle sue decisioni. Nel Regno del Nord regnava Geroboamo II (783-743 a.C.), re che assicurò al paese un tempo di pace e di tranquillità politica, che favorì il benessere economico, il commercio, l'arricchimento della gente. Ad arricchire però furono solo pochi; il popolo restò nella povertà e nella miseria, oppresso dai ricchi e da chi teneva in mano le leve del potere. Il progresso economico non andò avanti di pari passo col progresso spirituale e morale, anzi i peccati in Israele crebbero e diventarono più gravi.

Amos era un contadino e un mandriano, come dice egli stesso nel racconto della sua vocazione (Am 7,14-15). Mai si sarebbe immaginato di diventare profeta: egli non era "un profeta nè figlio di profeta", cioè non apparteneva neppure alla cerchia dei simpatizzanti e dei seguaci di un profeta. Fu Dio a chiamarlo.

Queste notizie egli le dà in un contesto polemico e di autodifesa contro le accuse del sacerdote Amasìa, capo dei sacerdoti del santuario di Betèl, che in malo modo lo ingiuria e gli ordina di tornare nel Regno del Sud (Am 7,10-13). Amasìa gli dice: Tu, Amos, non puoi venire qui in un santuario del Regno del Nord, tu che sei del Sud, e per di più in un santuario controllato dal re, e parlare contro di lui! Torna là da dove sei venuto! Ma Amos risponde: Non posso. E' Dio che mi ha chiamato come suo profeta e mi ha mandato qui.

In un altro brano (Am 3,3-8) Amos parla della sua vocazione ed esprime lo stesso concetto, cioè che fu Dio a chiamarlo, e che quindi egli non può fare a meno di parlare in suo nome. La sua missione è pertanto legittima; e in un certo senso anche necessaria e irresistibile. Lo fa con una serie di immagini che possono essere riunite in due gruppi: il primo gruppo (vv 3-5) è dominato dal nesso effetto-causa (là dove c'è un effetto, a monte c'è una causa); e il secondo gruppo (vv 6-8) è dominato dal nesso causa-effetto (là dove c'è una causa c'è anche necessariamente un effetto). Quindi se Amos profetizza, è perchè Dio lo ha chiamato; e se Dio lo ha chiamato, Amos non può non profetizzare.

Amos è chiamato comunemente "il profeta della giustizia", in quanto il contenuto più forte della sua profezia è una requisitoria severa e dura contro le ingiustizie sociali, contro le oppressioni dei ricchi sui poveri, dei potenti sui deboli; contro le varie forme di imbroglio e di frode che portano ad arricchirsi ingiustamente. Molti passi presentano tale messaggio.

- Am 2,6-8: Il profeta colpisce l'oppressione dei forti sui deboli che arriva a calpestare e ad umiliare profondamente la dignità delle persone indifese (il povero venduto come

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schiavo; la ragazza a servizio di famiglia violentata dai padroni; il debitore insolvente privato, come pegno, anche delle cose più necessarie ).

- Am 3,9-15: I ricchi e i potenti accumulano ricchezze con la violenza e la rapina, e si costruiscono case e palazzi sontuosi (con sale rivestite d'avorio); si costruiscono la doppia casa, la casa d'inverno e la casa d'estate, badando solo a se stessi. Dio non può restare indifferente davanti a tutto ciò, e interverrà. Anche i pagani (la città filistea di Asdòd e l'Egitto) devono sapere e conoscere questi misfatti di Israele!

- Am 4,1-3: Perfino le donne, che dovrebbero essere il simbolo della sensibilità, della comprensione e della compassione verso i poveri e i deboli, si danno a gesti di ingiustizia, di oppressione e di violenza; a una vita godereccia e festaiola, segnata dallo spreco. Si tratta delle donne della nobiltà e dell'alta borghesia (vivono "sul monte di Samaria", cioè nella capitale del Regno del Nord, la città di Samaria; e vengono chiamate "vacche di Basàn": Basàn era una regione in Transgiordania famosa per il suo allevamento di bestiame; là si trovava il bestiame di prima qualità. E' evidente il disprezzo di Amos per tali donne).

- Am 5,10-13: I potenti e coloro che presiedono alla vita civile nei villaggi, e attendono alla riscossione delle tasse, esigono dalla gente più del dovuto, più di quanto essa possa ragionevolmente dare. Con il di più essi si costruiscono "case in pietra squadrata", cioè case di lusso (mentre le case dei poveri erano costruite in materiale ben più scadente), e si acquistano sempre nuovi appezzamenti di terreno e nuove vigne (diventando latifondisti). Quando poi i poveri si lamentano e, alla porta della città (ove avvenivano le operazioni di riscossione delle tasse), "parlano secondo verità"( cioè dicono quanto realmente possono dare quale contributo), vengono fatti oggetto di odio e di insulto. Anche i giudici sono parziali, e non giudicano secondo giustizia; si lasciano corrompere da compensi e bustarelle, e in tribunale assolvono il colpevole che ha pagato, condannando il povero perchè povero.

- Am 6,1-7: La ricchezza è fonte di falsa sicurezza e di insensibilità verso i poveri e i bisognosi. Ma il Signore interverrà a giudicare. Neanche le città potenti di Calnè, di Amat e di Gat sono rimaste in piedi per sempre!...

- Am 8,4-8: Il commercio e il mondo degli affari è profondamente corrotto. I commercianti, pur di guadagnare e arricchire, ricorrono ad ogni sorte di frode; àlterano i pesi e le misure, sofisticano i prodotti ("vendendo col grano anche gli scarti di esso"); sono duri nell'imporre il prezzo quando acquistano la merce dai produttori poveri e indifesi ("voi calpestate il povero", facendo alto e basso come volete); si mostrano insofferenti del sabato e della festa di novilunio, giorni di riposo che rallentano i loro affari e i loro guadagni. Il Signore interverrà a punire.

Oltre che colpire le ingiustizie sociali, Amos rimprovera ad Israele anche il suo modo di celebrare il culto. Non perchè sia un culto celebrato contrariamente alle norme e alle leggi (anzi Israele è ineccepibile e osservante al massimo delle norme e delle leggi cultuali), ma perchè è un culto privo della vita, cioè un culto non accompagnato dall'osservanza dei comandamenti nella vita di tutti i giorni.

- Am 4,4-5: Il profeta chiama addirittura"peccato" l'andare del popolo ai santuari di Betèl e di Gàlgala per offrire colà i sacrifici in onore di JHWH. I fedeli sono generosissimi nel presentare le offerte (offrono sacrifici di animali, le decime del raccolto, focacce lievitate in ringraziamento; tutto come la legge prescrive, e anzi di più: compiono infatti anche "offerte spontanee", non richieste, benchè non con l'umiltà e la discrezione dovute); ma il Signore non

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gradisce tale culto. E' un "peccare", perchè è un rito vuota, un culto insincero e comodo; il culto sincero e autentico è quello che si accompagna con l'osservanza dei comandamenti nella quotidianità.

- Am 5,4-7: Il profeta mette in contrapposizione il "cercare JHWH" con il "rivolgersi ai santuari di Betèl, Gàlgala e Bersabea". Nel testo ebraico "cercare” JHWH e "rivolgersi” a Betèl sono resi con lo stesso verbo ("daràsh" דרש ). Il cercare JHWH indica l'obbedienza al Signore con l'osservanza dei comandamenti; il rivolgersi a Betèl indica invece il culto e le celebrazioni sacre svolte nei santuari. Il primo "cercare" dà vita e salvezza; il secondo "cercare" invece non assicura nessun futuro e benessere vero.- Am 5,21-27: Anche in questo testo il profeta condanna il culto religioso che è pura celebrazione. Il culto offerto a JHWH nei santuari è perfetto (tale perfezione viene espressa con l'enumerazione di sette elementi di culto: feste, riunioni, olocausti, doni, vittime grasse, canti, suono delle arpe); ma altrettanto perfetto e pieno è il rifiuto di tale culto da parte di JHWH (anch'esso è espresso con sette atteggiamenti di contrarietà: io detesto, respingo, non gradisco, non gradisco, non guardo, lontano da me, non posso sentire).Dio invece indica che cosa gradirebbe: "Scorra come acqua il diritto, e la giustizia come un torrente perenne". Nel tempo del deserto gli Ebrei offrivano meno sacrifici,ma erano più obbedienti a Dio; e ciò gli era più gradito.

In una serie di cinque visioni Amos annuncia l'intervento punitivo di Dio (Am 7,1-9; 8,1-3; 9,1-4). Non sarà un intervento punitivo nel senso di castigo vòlto a sterminare, perchè la prospettiva finale del libro è una prospettiva di restaurazione e di salvezza. Dio comunque non può restare indifferente e non intervenire di fronte al male degli uomini: egli deve mostrare la sua disapprovazione e richiamare, anche con le maniere forti, alla conversione.

Le cinque visioni vanno dal meno al più (la prima e la seconda prevedono ancora la possibilità che Dio trattenga il suo intervento punitore; non così le tre seguenti).Tali visioni annunciano un castigo di Dio che storicamente si è concretizzato nella conquista del Regno del Nord da parte dell'Assiria e nella conseguente deportazione (721 a.C.). Probabilmente il profeta non aveva le cose davanti a sè così chiare; egli però annuncia che una calamità dovrà abbattersi sul popolo.

Gli ultimi versetti del libro di Amos (Am 9,11-15) contengono una promessa di restaurazione e di salvezza per il popolo d'Israele: Dio restaurerà il regno, ridarà ancora una situazione di prosperità materiale, e farà riabitare il suo popolo nella patria recuperata. Dio è sempre pronto a ridare i suoi doni all'uomo che si converte e torna a lui. La sua ultima parola resta e rimane una parola di salvezza.

Questi versetti sono stati aggiunti in un secondo tempo al libro di Amos, al tempo dell’ultima edizione del libro; essi suppongono il tempo dell’esilio a Babilonia.

IL PROFETA OSEA

Osea vive nel Regno del Nord e profetizza pochi anni dopo Amos; inizia verso il 750 a.C. Sul trono siede ancora il re Geroboamo II, lo stesso che regnava al tempo di Amos. Osea ha un temperamento sensibile, emotivo, tenace negli affetti. Sposa una donna, Gomer, che poi lo tradisce; ma egli le resta fedele e le rimane legato in maniera irrinunciabile. La cerca, la

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richiama a sè, paga il riscatto per riaverla; la "risposa" in un patto nuziale nuovo e pieno d'amore.

Riflettendo sulla propria storia, Osea capisce che la sua esperienza è molto simile a quella che JHWH sta vivendo con Israele: anche JHWH, sposo amoroso del popolo d'Israele, è continuamente abbandonato da esso, che come una sposa infedele se ne va dietro ad altri amori e dietro ad altri amanti. Ma JHWH rimane fedele al suo popolo, ed è sempre disposto a riprenderlo con sè e a "risposarlo" di nuovo.

Osea è il primo profeta che introduce nella Bibbia il tema dell'amore sponsale di Dio per l'uomo e che canta il rapporto Dio-uomo e uomo-Dio sotto l'immagine e la simbologia dell'amore nuziale. Tale tema sarà poi ripreso più volte negli altri libri della Bibbia: ad es. Is 1,21; Ger 2,1-3; Ger 3,1-13; Ez 16; Ez 23; Is 54,1-10; Is 61,10 - 62,12; Mt 25,1-13; Mc 2,18-20 e par.; Gv 1,27; Gv 2,1-11; Gv 3,27-30; 2Cor 11,2; Ef 5,22-33; Apoc 21,2.9; Apoc 22,17.

Il libro di Osea si divide chiaramente in tre parti: tre parti che sono ciascuna un processo che Dio intenta al suo popolo. In ciascuna di esse (Os 1 -3; Os 4 - 11; Os 12 -14) ritorna, in posizione enfatica e di rilievo, il termine classico della lingua ebraica per indicare il processo, il litigio giudiziale: la parola "rib" ( ריב ) : Os 2,4 "accusate vostra madre"; Os 4,1 "Il Signore ha un processo con gli abitanti del paese"; Os 12,3 "Il Signore è in lite con Giuda". E' una serie di tre processi, o meglio un unico processo ripresentato tre volte, con cui il Signore tende a richiamare il suo popolo e farlo ravvedere dai suoi peccati.

Infatti il processo è di tipo "bilaterale" e non "triangolare". Nel processo "triangolare" sono tre i protagonisti che entrano in gioco: l'accusatore, l'accusato e il giudice. L'accusatore chiama l'accusato davanti al giudice e chiede giustizia; e il giudice, una volta riconosciuto colpevole l'accusato, deve applicare la legge ed emettere una sentenza di condanna. Non può rimandare assolto il colpevole (1Re 3,16-28). Non così invece nel processo di tipo "bilaterale", in cui intervengono solo le due parti: l'accusatore e l'accusato. In questo processo l'accusato, nel caso che riconosca la propria colpevolezza, può essere assolto e perdonato dall'accusatore (Sal 50).

Di questo tipo è qui il processo di Dio con Israele: Dio vuole portare Israele al riconoscimento delle proprie colpe per poterlo perdonare e ri-stringere a sè in una nuova relazione d'amore.

La prima parte del libro di Osea (Os 1 - 3).

Questa prima parte è particolarmente curata dal punto di vista letterario: presenta una struttura chiastica molto evidente.

A) Os 1,2-3a parla del rapporto tra Osea e Gomer. B) Os 1,3b-8 parla dei loro figli. C) Os 2,4-24 è il grande processo. B') Os 2,25 parla di nuovo dei figli di Osea e Gomer.A') Os 3,1-5 parla una seconda volta del rapporto tra Osea e Gomer.

Come si vede A e A' si corrispondono per contenuto; così pure B e B'; e al centro c'è C.

- Nei punti A e A' si parla di Gomer che è venuta meno alla fedeltà coniugale e che si è prostituita dietro ad altri amanti. Per questo viene chiamata prostituta (alla lettera "donna di prostituzione"), sia nel senso che Osea già l'abbia conosciuta come tale fin dall'inizio, sia nel senso, forse più probabile, che Gomer si sia prostituita dopo. In ogni caso Gomer successivamente al matrimonio è mancata di fedeltà. Ciò appare chiaro da Os 3,1 ove si legge:

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"Ama una donna che è amata da un altro ed è adultera”. Gomer è mancata di fedeltà ad Osea e si è resa adultera nei suoi confronti, lasciandosi amare da altri uomini. Questa interpretazione si impone perchè possa stare in piedi il parallelismo Osea-Gomer e JHWH-Israele, in cui Israele è mancato di fedeltà al patto col Signore dopo averlo stabilito al Sinai.

Il fatto che si dica che fu Dio a ordinare ad Osea di sposare "una donna di prostituzione (Os 1,2), significa che Osea capì a un certo punto della sua vicenda matrimoniale ( dopo l'abbandono e il ritorno di Gomer) che Dio era stato presente e aveva agito nella sua storia con un disegno..

I figli di Osea e di Gomer vengono chiamati "figli di prostituzione" (Os 1,2) nel senso che erano figli di colei che tutti conoscevano come "la prostituta" (non nel senso che fossero nati da adulterio, perchè erano realmente figli di Osea e di Gomer, come risulta subito da Os 1,3 ss.).

- Nei punti B e B' si parla dei tre figli di Osea e Gomer. Essi ricevono tre nomi simbolici che in B (Os 1,4-9) stanno ad indicare la sofferenza e il castigo che Dio sta per far ricadere sul popolo d'Israele.

Il primo figlio viene chiamato "Izreèl" (che significa "Dio semina" ed è il nome della fertile pianura di Esdrelon): esso deve indicare l'invasione e la devastazione di tale pianura da parte degli Assiri (Os 1,4-5), ad espiazione anche della terribile strage operata da Ieu, in quella pianura, circa un secolo prima, contro la casa reale di Acab ( cfr 2Re 10).

La secondogenita viene chiamata "Non-amata", per indicare che Dio non amerà più Israele; ritirerà da lui il suo amore (Os.1,6). .

E il terzogenito viene chiamato "Non-mio-popolo", per indicare che l'alleanza con Dio verrà spezzata. "Voi non siete ( più) mio popolo, e io non ( sono più) Io Sono per voi" (così va tradotto Os 1,9b). E' il contrario esatto della formula classica dell'alleanza, che dice: "Voi siete mio popolo e io sono il vostro Dio".

Questi tre nomi sono in crescendo: esprimono una situazione sempre più dolorosa e sempre più grave.

In B’ (Os 2,25) invece Dio cambia i nomi di questi tre figli, indicando la sua volontà di perdono e la sua opera di restaurazione del popolo di Israele (1Pt 2,10 riprende questo passo).

- Al punto C troviamo il grande processo di Dio con Israele (Os 2,4-24). Anch'esso è composto con una struttura chiastica, che fa di questa pagina un gioiello anche dal punto di vista letterario.

Anzi i chiasmi sono due.

Primo chiasmoa) Israele, donna che Dio minaccia di denudare (vv 4-6). b) Israele si aspetta i suoi beni da falsi amanti (v 7). c) Dio sbarra la strada ad Israele, che rientra in sè e decide di tornare a Dio(vv 8-9). b') Sarà Dio a dare ad Israele i beni che egli si aspetta da falsi amanti (v 10).a') Israele, donna che Dio minaccia di denudare (vv 11-12).

Secondo chiasmoe) Israele, regione che Dio sta per devastare e far percorrere da animali selvatici (v 14). f) Israele offre culto ai Baal pagani (v 15). g) Dio richiama a sè Israele e gli fa gustare la gioia del primo fidanzament(v 16-17). f') Israele non rende più culto ai Baal pagani (vv 18-19).e') Israele, regione che Dio restaura e riscatta dalla devastazione (v 20)

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Come si vede i punti corrispondenti (a-a'; b-b'; e-e'; f-f') si richiamano tra loro.I punti c e g sono i perni del primo e del secondo chiasmo. Il v 13 è il perno di tutta la composizione.

Questi tre perni presentano i tre momenti tipici di ogni esperienza di allontanamento e di ritorno a Dio: 1) l'amarezza e la delusione del peccato, con la decisione di far ritorno al Signore (vv 6-7); 2) il momento dell'aridità e della mancanza sia delle false gioie del peccato che della vera gioia del rapporto con Dio che ancora non si prova e non si sente: è il momento della solitudine (v 13); 3) il momento dell'incontro col Signore nella gioia e nella serenità piena e completa (vv 16-17).

Il processo presenta il popolo d'Israele profondamente colpevole: innumerevoli volte egli si è allontanato da Dio suo sposo e gli è mancato di fedeltà. Però si è anche pentito e si è lasciato richiamare dal Signore (v 9. vv 16-17). Allora il processo che umanamente parlando avrebbe dovuto sfociare in una piena e totale condanna del popolo peccatore, termina invece con un canto di nozze e con un nuovo vincolo d'amore.

- Ai vv 21-22 Dio dice: "Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa...ti farò mia sposa ". Il testo ebraico usa per tre volte il verbo "'aràs" ( che ritorna nell'Antico ( ארש Testamento altre otto volte, e sempre per indicare il matrimonio di una giovane che non è mai appartenuta a nessun uomo. Quindi Dio riprendendo con sè Israele lo riprende come se Israele non si fosse mai allontanato da lui e non si fosse mai prostituito; come se Israele fosse una donna "vergine". Così Dio fa nuovo il peccatore, quando lo perdona!

- Inoltre Dio versa ad Israele la sua dote sponsale. E la dote consiste "nella giustizia ;cioè in rapporti giusti e di fraternità del popolo all'interno di sè ( משפט ) "e nel diritto ( צדק )"nella benevolenza ( ) amore paterno) e nell'amore = חסד amore materno)" di Dio = רחמים per Israele; "nella fedeltà ( אמת ) cioè nella stabilità del nuovo patto che Israele non violerà più; e "nella conoscenza di IHWH" (cioè nella comunione con lui). Così Dio è generoso con il peccatore che richiama a sè.

Il processo dunque si volge a favore di Israele.

La seconda parte del libro di Osea (Os 4 - 11).

Anche la seconda parte del libro di Osea è un processo (cfr la parola "riv" ( ריב ) che torna all'inizio di essa: Os 4,1). I capi d'accusa sono numerosi e gravi.

- In Os 4,1-3 vengono elencate tre cose che Israele non fa e dovrebbe fare (sincerità - amore del prossimo - conoscenza di Dio); e sette cose che Israele fa e non dovrebbe fare (giurare - mentire - uccidere - rubare - commettere adulterio - fare strage - versare sangue su sangue).Il richiamo ai dieci comandamenti è abbastanza chiaro ed evidente. Israele non osserva la legge del decalogo.

- In Os 4,4-10 vengono rimproverati i sacerdoti e i profeti, cioè le guide spirituali del popolo. Esse non vivono secondo il Signore e sono motivo di traviamento e di rovina anche per il popolo, che dovrebbero invece guidare verso il bene.

- Os 4,11-14 rimprovera l'idolatria.- Os 5,1-4 rimprovera i sacerdoti e le guide politiche di Israele. Esse non trattengono

il popolo dai luoghi pagani di culto, quali Mizpa, il Tabor e Sittìm.

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- Gli altri capitoli (Os 7 - 10) contengono molti altri capi d'accusa contro Israele e varie profezie di sofferenze e calamità che si stanno per abbattere su di lui.

Israele si dice pronto a "tornare" a Dio (Os 6,1-6), ma la sua disponibilità è solo nell'ambito del culto, e il suo impegno è puramente velleitario ( "come una nube del mattino, come la rugiada che all'alba svanisce"). Dio si attende un cambiamento di vita: "Amore voglio e non sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti". Dio dice di desiderare che Israele viva fraternamente all'interno di sè, e che viva in comunione obbediente con lui. Questo gli sta a cuore più che l'offerta di sacrifici e di olocausti al tempio (cfr Mt 9,10-13).

Al cap. 11 si ha la conclusione del processo, che anche questa volta sfocia in un gesto di perdono e di accoglienza amorevole di Dio nei confronti di Israele peccatore.

Israele "è duro a convertirsi" (Os 11,7), si sottrae di continuo ai richiami e alle cure di JHWH (Os 11,2) che come un padre lo cerca, lo nutre, gli insegna a camminare, lo sorregge, lo prende in braccio e lo alza fino alla propria guancia con amore (Os 11,1-4).Il cap.11 di Osea presenta l'immagine di Dio-Padre nei confronti di Israele. Questa immagine è strettamente parallela all'immagine di Dio-Sposo nel primo processo (Os 1 - 3).

Proprio per questa sua paternità Dio non può rinnegare Israele suo figlio ed è disposto, nonostante tutto, ad amarlo ancora. Egli non può trattarlo come le città peccatrici della Pentapoli ( Admà, Zeboìm, città vicine a Sodoma e Gomorra, distrutte dal fuoco divino: Gen 14,8; Gen 19,25); ma sente di dover perdonare. "Egli è Dio e non un uomo" (Os 11,9), e quindi con un amore e una pazienza ben più grandi e più robusti di quelli dell'uomo."Non darò sfogo alla mia ira; non verrò nella mia ira" è la conclusione del processo.

Così anche questo secondo processo termina col trionfo dell'amore vincente di Dio sul peccato dell'uomo.

La terza parte del libro di Osea (Os 12 - 14).

Anche la terza parte del libro di Osea è un processo (cfr la parola "rib" ( che( ריב ritorna all'inizio di essa: Os 12,3). Anche questo processo contiene vari capi d'accusa mossi da Dio ad Israele (cfr ad es. Os 12,1-2. 12; Os 13,1-2) e vari annunci di minaccia, ma alla fine si conclude col perdono di Dio al suo popolo.

Os 14,2-9 è un appello vibrante di Dio ad Israele perchè ritorni a lui e si converta di tutto cuore. In questo appello è presente l'infinito amore di Dio che non è mai stanco di riproporsi al suo popolo e di donarsi a lui come la prima volta.

Il Signore promette di "guarire l'infedeltà" di Israele e di "amarlo di vero cuore" (Os 14,5). Il significato esatto del termine ebraico "nedabàh" ( נדבה ), tradotto in italiano con "di vero cuore", è "spontaneamente", "di mia iniziativa", "senza che tu te lo meriti". Dunque Dio ama Israele di amore gratuito, ed è disposto a riprenderlo con sè anche se peccatore e indegno. Molto belle sono pure le promesse di restaurazione in Os 14,6-7.

Dunque anche il terzo processo si conclude con l'assoluzione offerta all'uomo, e con il trionfo dell'amore misericordioso di Dio su ogni sua infedeltà e peccato.Osea è il profeta dell'amore vincente di Dio!

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Il profeta Isaia

Isaia è il grande profeta del Regno di Giuda nell'VIII secolo; è di poco posteriore ad Amos, e in parte contemporaneo di Osea. Svolge il suo ministero a Gerusalemme dal 740 al 700 a.C. Della data d'inizio del suo ministero siamo sicuri, perchè in Is 6,1 egli pone la sua vocazione proprio nell'anno della morte del re Ozia, il quale -come sappiamo dalla storia- morì nel 740 a.C. Prese parte con grande decisione ai momenti importanti della vita politica del Regno di Giuda; intervenne presso il re e presso i nobili, invitandoli a confidare nel Signore e a non ricorrere a facili ma false sicurezze umane (per questo è chiamato "il profeta della fede"); portò la parola del Signore al popolo richiamandolo dalle sue infedeltà alla legge e all'alleanza. Era sposato e aveva almeno due figli (di essi viene dato il nome in Is 7,3 e 8,3); era uomo di particolari capacità e doti. Il suo libro si distingue per eleganza di forma e per vigorìa di contenuto.

Non tutti i 66 capitoli dell'attuale "Libro di Isaia" possono essere attribuiti a lui, ma solo i primi 39. Infatti il "Libro di Isaia" si compone di tre grandi parti:

-i primi 39 capitoli sono del profeta Isaia vissuto nell'VIII secolo: hanno per sfondo storico la situazione del Regno di Giuda negli anni 740 - 700 a.C.;

-i capitoli 40-55 sono di un profeta posteriore di quasi due secoli (detto "Deutero-Isaia"): hanno per sfondo storico la situazione del popolo di Giuda esule a Babilonia (550 circa a.C.);

-i capitoli 56 - 66 infine sono di un terzo profeta (o più profeti) vissuto all'indomani del ritorno degli esuli da Babilonia (538 a.C. in poi), chiamato "Trito-Isaia". Infatti lo sfondo storico è diverso dai due precedenti.

Gli interventi profetici di Isaia possono essere divisi in tre fondamentali gruppi: interventi politici; interventi morali; e interventi messianici.

La vocazione di Isaia (Is 6,1-8).

Il profeta ambienta la propria vocazione nel tempio di Gerusalemme. Dovette trattarsi di una esperienza religiosa profonda, che lo segnò e lo requisì per il ministero profetico al servizio del Signore.

- Isaia fece esperienza del Dio trascendente e distante dall'uomo (il Dio "diverso" e "altro" da noi). Lo vede "seduto su un trono alto ed elevato", circondato da "serafini" ("serafìm" שרפים in ebraico significa "esseri brucianti"; quindi un cerchio di fuoco separa Dio dall'uomo); i serafini si coprono la faccia e lo proclamano tre volte "santo" ("santo" in ebraico si dice "qadòsh" קדוש e significa "ritagliato fuori", diverso da...); Isaia si sente "impuro" davanti a lui e indegno di stare alla sua presenza.

-M insieme Isaia percepisce Dio come "il Dio vicino", il Dio immanente, che è accanto all'uomo: "i lembi del suo manto riempiono il tempio"; la sua gloria "riempie tutta la terra"; egli fa vibrare gli stipiti delle porte del tempio. Quindi Dio è vicino e presente.

-Dio è per Isaia il Dio "Signore", il "Re maestoso" che tutto può, che lo chiama e fa irruzione nella sua vita; che purifica il suo cuore e lo rende adatto alla missione.

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Il racconto della vocazione utilizza lo schema classico delle vocazioni: a) Dio si presenta e chiama; b) il chiamato sperimenta e mette avanti la sua indegnità e inadeguatezza; c) Dio interviene a rassicurare e a sostenere. Una volta purificato dai carboni ardenti, Isaia è in grado di rispondere con generosità e piena disponibilità alla missione del Signore.

Gli interventi "politici" di Isaia.

Nella storia del Regno di Giuda dell'ultima metà del secolo VIII si registrano due momenti importanti e difficili, che vedono Isaia presente ed attivo.

1) Il primo momento è quello della guerra siro-efraemitica (735 a.C.). Sul trono di Assiria era salito da qualche anno il re Tiglat Pilèzer III, il quale aveva iniziato una politica espansionistica ai danni di vari stati del Medio Oriente. Anche il Regno di Siria e di Israele erano minacciati, per cui i due rispettivi re avevano pensato ad una grande lega che coinvolgesse anche Tiro, Sidone, il Regno di Giuda ed altri stati per resistere al re invasore. Ma Acaz, re di Giuda, non volle aderire alla lega. Egli preferì mantenersi neutrale, così da ottenere un occhio di riguardo da parte di Tiglat Pilèzer III. Ciò non piacque ai re di Siria e d'Israele, i quali marciarono insieme contro Gerusalemme con i loro eserciti per costringere con la forza Acaz ad accettare ciò che non aveva voluto accogliere con le semplici proposte.

"Gli Aramei si sono accampati in Efraim", dice Is 7,2: cioè l'esercito di Siria (=Aram) si è accampato nel Regno d'Israele (detto anche Efraim) e, congiunto all'esercito di Israele, sta marciando contro Gerusalemme. L'intento è di deporre dal trono il re di Giuda Acaz, porre fine alla dinastia davidica, e mettere sul trono, al suo posto, un re siro, Tabeèl.

a) La profezia dell'Emmanuele (Is 7,1-17). Acaz ha paura di fronte ai due re che stanno marciando contro di lui, e pensa di ricorrere all'aiuto di Tiglat Pilèzer III. Ma il profeta Isaia lo sconsiglia e tenta di dissuaderlo da tale proposito, perchè il re sarebbe, sì, venuto in aiuto, ma avrebbe imposto al regno di Giuda un tributo e avrebbe cominciato a far pesare su di esso il suo dominio. Gli propone invece la fiducia nel Signore. Dio sarebbe intervenuto a salvare il suo popolo; Acaz deve avere fede!

Ma Acaz non accetta: l'aiuto del Signore non gli dà sufficiente sicurezza; Tiglat Pilèzer III gliene dà di più. E pertanto non accetta la proposta di Isaia di chiedere a Dio un segno della sua presenza e della sua assistenza ("Non chiederò un segno al Signore, non voglio tentare Dio": Is 7,12. Sembra un atteggiamento di grande rispetto verso Dio, e invece è l'ammanto religioso e pio dell'atteggiamento di Acaz di non volersi affidare al Signore e di non volerlo inserire nella sua situazione).

Allora Isaia stesso promette un segno in nome di Dio: "Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele". Tale figlio, l'Emmanuele, sarà Ezechia, il figlio di Acaz stesso e della sua sposa. Questo figlio che nascerà, sarà il segno che Dio è con il suo popolo e che il Signore assiste Acaz e il Regno di Giuda; infatti questo bambino sarà l'erede, la garanzia che la dinastia di Davide non sarà interrotta sul trono di Giuda, ma continuerà. Sarà il segno che Dio è con il suo popolo ("Emmanuele" עמנו אל = Dio con noi).

Tale bambino non è, direttamente, il Messia, perchè non poteva essere dato ad Acaz, come segno che Dio era con lui in quel momento difficile, un segno che sarebbe avvenuto 700 anni dopo! Inoltre il testo ebraico dice: "la 'almàh" העלמה concepirà e partorirà un figlio. Ora "'almàh" in ebraico significa " donna, anche sposata, che non ha avuto ancora il suo primo bambino". Non significa "vergine". Per dire "vergine" l'ebraico ha un altro termine: "betulàh" .Quindi la " 'almàh" non è una "vergine": è la sposa di Acaz .בתולה

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Mt 1,22-23 applicherà questa profezia a Gesù e a sua madre Maria, vergine, citando Isaia nella versione greca dei LXX che traduce "'almàh" con "parthènos" παρθένος = vergine; e darà al testo di Is 7,14 un senso "indirettamente messianico". Ezechia in tal modo diventa "tipo" di Gesù; e l'intervento salvifico di Dio, al tempo di Acaz, col donare un figlio, diventa simbolo, "tipo" e anticipazione del grande intervento salvifico di Dio che darà il Messia, il vero "Dio con noi". Così il testo di Is 7,14 raggiunge il suo senso "pieno".

Di Ezechia si dice (ai vv 15-17) che avrà un primo periodo di vita caratterizzato da ristrettezze e difficoltà ("mangerà panna e miele", il cibo dei poveri); ma che in breve tempo il regno di Israele e di Siria saranno occupati (da Tiglat Pilèzer III), e il Regno di Giuda conoscerà un'epoca di benessere e di tranquillità.

b) Le acque di Siloe (Is 8,5-10). Acaz rifiutando di fidarsi del Signore e ricorrendo all'aiuto di Tiglat Pilèzer III ha preferito affidarsi ai sostegni e alle soluzioni umane, che secondo la ragione davano sicurezza e speranza certa di salvezza. Ma la potenza assira cui egli si è rivolto si rivolterà a sua volta contro di lui, e dopo averlo soccorso, lo sottometterà a tributo e lo asservirà a sè.

L'immagine usata per esprimere questa realtà è quella delle acque di Siloe messe a confronto con le acque abbondanti e travolgenti dell'Eufrate, fiume dell'Assiria. Le acque di Siloe "che scorrono piano piano" sono immagine della presenza e dell'aiuto di Dio nelle difficoltà, un aiuto sommesso, leggero, che sembra insufficiente e venir meno da un momento all'altro (proprio come le acque di Siloe che fluivano in quella piscina, nella parte sud di Gerusalemme, lentissimamente, in quanto il dislivello dalla sorgente del Ghìhon che la alimentava era di soli 32cm., mentre l'acquedotto era lungo 533 metri). Un aiuto però sicuro e fedele, perchè le acque di Siloe non cessavano mai di arrivare e non lasciavano mai Gerusalemme all'asciutto.

L'uomo però è portato a fidarsi più delle soluzioni umane che cerca lui (=le acque dell'Eufrate), che sembrano forti e risolvitrici; ma che in realtà sono nocive e contrarie al vero bene dell'uomo stesso (v 8).

c) L'annuncio della liberazione del Regno d'Israele (Is 8,23 - 9,6). Tiglat Pilèzer III è avanzato con i suoi eserciti ed ha invaso il Regno di Israele portando devastazione e oppressione: come una fitta notte è caduta sulla terra abitata dalle tribù di Zàbulon e di Nèftali (cioè il nord della Palestina, la Galilea), chiamata anche "via del mare" (perchè attraverso quella regione passava la cosiddetta "via del mare" che metteva in comunicazione la Mesopotamia con l'Egitto costeggiando -lungo la Palestina- il Mediterraneo); chiamata anche "curva di goìm", perché proprio lì, in Galilea, la grande via di comunicazione faceva un'ampia curva, ed era abitata in abbondanza da pagani (=goìm").

A quella regione (=il Regno di Israele) viene annunciata una salvezza e la restaurazione. Viene annunciata come una grande luce che splende nella notte e rischiara "il popolo che camminava nelle tenebre". Sarà una salvezza certa, che certamente verrà: essa viene infatti annunciata come già avvenuta (ai vv 1-3 i verbi sono al passato). Tale liberazione dall'oppressione sarà apportatrice di immensa gioia, espressa con due immagini tolte l'una dall'ambiente agricolo (la mietitura),e l'altra dall'esperienza militare (la spartizione del bottino dopo la vittoria).

Al v 3 ci si richiama ad un'antica esperienza di salvezza e di liberazione, quando quelle stesse regioni furono liberate dalle incursioni madianite (Giud 6-7). Il riferimento è a tale antico avvenimento (del 1100 circa a.C.) probabilmente perchè toccò quelle stesse regioni, e perchè in quell'occasione la vittoria fu completo dono di Dio. Cosi sarà anche per la nuova salvezza che verrà. Al v 4 si accenna alla radicalità di tale salvezza: ogni segno di guerra e di violenza sarà eliminato.

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Al v 5 la salvezza si incentra su un personaggio particolare, un bambino (è Ezechìa, il figlio del re Acaz, l'erede al trono di Giuda), che è pegno di restaurazione e di liberazione anche per il Regno di Israele.

Mt 4,12-16 applicherà questo testo a Gesù nel suo inizio di ministero, quando egli comincerà a predicare a Cafàrnao. In Gesù che proprio dalla Galilea inizia il suo ministero di salvezza Matteo vede l'avverarsi dell'antica profezia. Precisamente dalla terra di Zàbulon e di Nèftali comincia a brillare la luce vera su tutto il mondo. Per cui l'intervento di salvezza a favore del Regno di Israele annunciato da Is 9 è "tipo" e simbolo dell'intervento di salvezza di Gesù Messia a favore di tutta l'umanità, ed Ezechìa ("il bambino nato per noi") diventa "tipo" e simbolo del Messia, a cui convengono molto meglio i titoli di "Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace" dati ad Ezechìa secondo il protocollo di corte che si componeva in occasione dell'incoronazione del re.

2) Il secondo momento difficile della vita politica del Regno di Giuda in cui il profeta Isaia interviene è quello dell'invasione del Regno da parte dell'esercito assiro di Sennacherib e dell'assedio di Gerusalemme (701 a.C.).

Sennacherib tenta la conquista di Gerusalemme. Ha ormai invaso tutto il territorio di Giuda, e ha scavato trincee attorno alla città santa. Il re Ezechìa ha paura e pensa di appoggiarsi e ricorrere all'aiuto dell'Egitto, il quale però non si muove con sufficiente sveltezza e non offre il soccorso sperato. Nel frattempo però, in modo quasi miracoloso, Gerusalemme viene risparmiata dalla rovina: l'esercito assiro, ormai accampato attorno a Gerusalemme, improvvisamente si ritira ("l'angelo del Signore scese e percosse nell'accampamento degli Assiri 185.000 uomini", dice 2Re 19,35-36: forse un'epidemia? o forse difficoltà insorte improvvisamente su altri fronti dell'impero assiro che richiesero lo spostamento immediato delle truppe in altre regioni?).

a) Gerusalemme miracolosamente salvata (Is 29,1-12). Una prima parte del brano (vv 1-5) descrive la situazione disperata di Gerusalemme assediata. "Arièl" era il אריאל nome della parte superiore dell'altare degli olocausti nel tempio, ove c'era il fuoco che bruciava le vittime offerte a Dio: Gerusalemme (chiamata "Arièl") è come un altare degli olocausti, è come un olocausto che sta per essere consumato. E' come una donna prostrata nella polvere che solo possiede ormai un tenuissimo filo di voce per chiedere pietà e sta per essere trafitta.

Ma ecco che il Signore viene a salvare Gerusalemme (è la seconda parte del brano: vv 6-8): gli elementi descrittivi della sua venuta sono quelli caratteristici delle teofanie (fuoco, fulmini, tuoni, tempesta). L'esercito nemico resta senza successo, "a bocca asciutta".

Gli abitanti di Gerusalemme assistono ad un evento che non sanno capire e comprendere, tanto grande e sbalorditivo esso è (terza parte del brano: vv 9-12). Sono simili a "ubriachi" che non hanno perfetto contatto con la realtà che li circonda; sono simili a persone che non sanno leggere e interpretare "il libro" della storia e degli avvenimenti umani. La salvezza accordata da Dio è davvero meravigliosa!

A questo evento di salvezza si ispira il Salmo 48.

b) Contro il ricorso all'Egitto (Is 30,1-7). Il profeta Isaia, coerente col suo messaggio di sempre, critica e contesta al re Ezechìa e ai notabili di Gerusalemme il loro ricorso all'Egitto per chiedere aiuto di fronte all'avanzare dell'esercito di Sennacherib. Essi mancano di fede! Si appoggiano ad alleanze e a sostegni umani, anzichè fidarsi unicamente del Signore e del sostegno che egli è disposto ad offrire.

Nel brano si fa menzione delle due città oltre il confine egiziano (Tànis e Canès) ove sarebbero avvenuti i colloqui diplomatici; si parla con immagini vivaci (=leoni, vipere, draghi volanti) dei pericoli del viaggio attraverso il deserto e, con amara ironia, delle ricchezze

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abbondanti date e spese per nulla all'Egitto che non avrebbe portato soccorso (l'Egitto è chiamato con il nome mitologico di "Ràab", indicante un mostro terribile e di forza immane, ma che non si sarebbe mosso per soccorrere Giuda: è detto "Ràab l'ozioso").

Concludendo gli interventi politici, diciamo che Isaia nel suo ministero ha sempre esortato Giuda e il suo re ad avere fede in Dio e a cercare salvezza in lui, anzichè in alleanze e soluzioni umane diverse da quelle di Dio e "da Dio non suggerite" (Is 30,1). Grande invito anche per l'uomo d'oggi, e di sempre, nelle proprie difficoltà. Dal Signore viene la salvezza dell'uomo, e da quegli aiuti che Dio suggerisce e indica; non già da quelli che l'uomo con la sua sola ragione e i suoi personali progetti cerca e inventa.

Gli interventi "morali" di Isaia.

Isaia nella sua missione profetica richiamò spesso e con forza il popolo di Giuda alla comunione e alla fedeltà a Dio. L'alleanza stipulata con JHWH non poteva essere dimenticata e disattesa, quasi non fosse mai avvenuta! Essa poneva delle chiare esigenze all'israelita che voleva camminare con il suo Signore.

a) Un popolo stolto che pecca e non capisce (Is 1, 2-9). Israele è paragonato a un bue, a un asino, e nel confronto ha la peggio. Israele si è allontanato da Dio più di quanto un giumento si allontani dal suo padrone. Israele è un figlio ribelle, che non vuol saperne di suo padre! La cosa è così grave che merita di essere portata davanti a tutto il creato: "Udite cieli, ascolta terra": il cielo e la terra sono chiamati a testimoni di questa cosa così straordinaria. Cielo e terra hanno qualcosa da condividere con l'uomo; sono legati a lui da una profonda solidarietà, nel bene e nel male (cfr Rom 8,19-23).

Un richiamo ad uscire da questa infedeltà deve venire anche dalla situazione di invasione e di devastazione che il Regno di Giuda sta soffrendo (vv 5-8), probabilmente ad opera di Sennacherib. Tutto Giuda è invaso, come un corpo che è completamente piagato e terribilmente ferito; anche Gerusalemme, la testa del corpo, è malata e sta soffrendo.

b) Il vero culto gradito a Dio (Is 1,10-20). Isaia raggiunge in questo brano una rara forza ed efficacia. Si tratta di una "lite", di un "processo" che Dio intenta al suo popolo. Al v 18 compare il verbo "jakàch" ,(discutiamo=) יכח che in ebraico significa propriamente "intentare un processo" contro qualcuno ( sinonimo di "rib").

Tale processo è un processo "bilaterale", vòlto a richiamare il popolo a conversione e a salvezza (cfr i processi bilaterali del libro di Osea). Ai vv 11-15 abbiamo la requisitoria: vengono messi avanti i vari capi d'accusa, che sono gravissimi: Israele è perfetto nel suo culto al tempio e osserva tutte le norme rituali richieste; ma la sua vita è difforme dalla volontà di Dio e dalla legge dell'alleanza. Dio non può accettare un culto privo della vita. Viene elencata una lunga serie di gesti di culto (sacrifici, olocausti, grasso di giovenchi, sangue di tori e di agnelli, incenso, preghiere, feste...), cui fa riscontro un'altrettanto lunga serie di atteggiamenti di rifiuto da parte di Dio (che m'importa, sono sazio, non gradisco, chi richiede da voi, smettete, non posso sopportare...). Ai vv 16-17 vengono presentate le cose che Dio desidera da Israele: una serie di nove imperativi incalzanti e stringenti ("lavatevi, purificatevi, togliete il male, cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia...).

Il processo termina con l'offerta da parte di Dio del perdono e della salvezza. "Su, venite e discutiamo": è il decimo imperativo, che anzichè essere di giudizio e di condanna è un invito ad avvicinarsi al Signore e a rifare l'alleanza con lui. Dio è disposto a perdonare tutti i peccati del popolo! Anche se "fossero come scarlatto" e "rossi come la porpora" (la porpora

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è una sostanza ottenuta da particolari molluschi, che colora tenacemente di sè i tessuti immersi in essa) diventeranno bianchi come neve, come la lana". Non potrebbe essere più buono il Signore!

c) Contro il decadimento del senso del pudore delle donne di Gerusalemme (Is 3,16-24). Tra i sintomi più eloquenti del disfacimento di una società è da annoverare la perdita del senso di riserbo da parte della donna, quando questa, rinunciando al suo naturale compito di ingentilire i costumi ed elevare gli animi, offre se stessa come esca alle passioni. Nella prima parte del brano (v 16) è criticata dal profeta la civetteria e l'opera di seduzione messa in atto dalle donne di Gerusalemme; e nella seconda parte (vv 18-23) vengono enumerati ben 21 oggetti tipici del guardaroba femminile, artificiosamente suddivisi e ritmati in gruppi di sostantivi maschili e femminili (sette gruppi di tre!), che in ebraico danno un effetto sonoro del tutto particolare, e che servono al profeta per ironizzare sulla cosa. Dio punirà tale atteggiamento vanitoso e immodesto delle donne di Gerusalemme.

d) Il canto della vigna (Is 5,1-7). Sotto l'immagine di una vigna ben curata e trattata con ogni attenzione, che dà frutti acerbi, il popolo di Israele viene rimproverato dal Signore per i suoi peccati e per le sue infedeltà all'alleanza. Più volte la vigna è impiegata come immagine ad indicare il popolo di Israele (Is 27,2-5; Ger 2,21; Ez 15; Ez 19,10-14; Sal 80,9-19; Mc 12,1-12 e par.). Efficace e commovente è il contrasto tra la cura estrema che l'agricoltore (Dio) usa alla vigna, e i frutti acerbi che essa dà. "Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che non abbia fatto? e perchè ha dato uva selvatica?" (v 4). Dio ha compiuto con infinito amore tutto quello che poteva compiere per la sua vigna! Ma essa è stata ingrata (cfr Mi 6,1-5).

e) Rimproveri vari (Is 5,8-24). In questo brano vengono rivolti al popolo vari rimproveri per la sua cattiva condotta. Essi sono introdotti e come ritmati da una serie di sei "guai" (v 8. 11. 18. 20. 21.22).Il profeta rimprovera:

- i ricchi che arricchiscono ingiustamente, sfruttando i poveri (vv 8-10); - i gaudenti e i crapuloni (vv 11-17); - gli empi che si beffano di Dio (vv 18-19); - i pervertitori del senso morale (v 20); - coloro che si credono sapienti (v 21); - coloro che non rendono giustizia all'innocente (vv 21-24).

Gli interventi "messianici" di Isaia.

Una terza serie di testi del Libro di Isaia contengono ed esprimono le speranze e le attese del profeta (e del popolo) di una restaurazione futura che avrebbe portato salvezza perfetta e duratura. Tali attese sono incentrate intorno alla figura di un personaggio misterioso, dai lineamenti non ancora ben definiti, ma che sarebbe stato il liberatore e il salvatore atteso.

a) L'umanità riunita e in pace sul monte del Signore (Is 2,1-5). Questo passo annuncia una situazione di assoluta novità e di salvezza. "Alla fine dei giorni...", cioè nel tempo che Dio vorrà, e quando a lui piacerà,verrà donata all'uomo una nuova realtà. Essa sarà caratterizzata da due fondamentali elementi: il riconoscimento da parte di tutti gli uomini della signoria di Dio, e la pace universale tra i popoli.

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Tutti i popoli riconosceranno che il Signore è il Signore, e andranno a lui, sul suo santo monte, per ricevere insegnamenti e indicazioni: "per camminare nei suoi sentieri" e per vivere secondo le sue leggi.

Come conseguenza di questo andare a Dio nascerà tra i popoli un legame di comprensione e di unità, che farà di tutte le genti un popolo solo: "forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci", e vivranno nella pace.

Cristo, iniziatore della nuova realtà, il Regno di Dio, è stato l'uomo per eccellenza della signoria del Padre e della fraternità universale. La Chiesa nata da lui dev'essere il popolo nuovo in cui regna pienamente il Signore e in cui la Babele della dispersione antica si trasforma nell'unità perfetta dei figli di Dio.

b) Il germoglio del tronco di Iesse (Is 11,1-9). Questo brano è da tutti gli esegeti riconosciuto come un oracolo messianico. Isaia preannuncia un Messia, ripieno dello Spirito di JHWH, che porterà sulla terra (su tutta la terra!) una situazione di giustizia, di fraternità e di pace che non sarà solo degli uomini tra loro ma che riguarderà anche il rapporto degli uomini con la natura e con il cosmo. Verrà ripristinata l'armonia piena del "paradiso terrestre".

A compiere ciò sarà un davìdide, un discendente di Iesse padre di Davide (v 1); su lui riposerà lo Spirito di JHWH, quello Spirito che aveva mosso i Giudici, i re, i profeti e aveva dato loro la forza nelle imprese, la saggezza nel reggere il regno, l'intelletto,la scienza, il timore di Dio nel portare al popolo la Parola del Signore. Il Messia avrà la somma di tutti questi doni dello Spirito. Egli porterà nel mondo la "giustizia" (vv 3-5), intendendo per giustizia l'atteggiamento tipico del re di provvedere a chi è misero, oppresso, povero, svantaggiato rispetto agli altri nella società. Instaurerà la pace: una pace universale, fra tutti gli uomini, e tra l'uomo e la natura, in cui neppure il serpente sarà più nocivo (richiamo evidente al serpente di Gen 3,1ss.).

IL PROFETA GEREMIA.

Geremia è detto il profeta "perseguitato", perchè più di tutti gli altri profeti fu osteggiato e contrastato, fino ad essere imprigionato e cercato a morte.Visse un secolo circa dopo Isaia, e svolse il suo ministero profetico per circa quarant'anni: dal 627 al 587 e oltre.

L'inizio del suo ministero è indicato con esattezza nelle prime righe del Libro, che precisano: "A Geremia fu rivolta la parola del Signore al tempo di Giosìa, figlio di Amon, re di Giuda, l'anno decimoterzo del suo regno". Giosìa cominciò a regnare sul trono di Gerusalemme nel 640 a.C., per cui " l'anno decimoterzo" del suo regno corrisponde al 627.

Era di Anatòt, un villaggio a circa 6 km. a nord-est di Gerusalemme; era di famiglia sacerdotale, e quindi sacerdote egli stesso (Ger 1,1). Quando ricevette la vocazione a profeta era giovane (Ger 1,6): poteva avere 20-25 anni di età. Il suo temperamento era mite, timido, schivo, carico di sentimento e amante della vita semplice e ritirata; ma per volontà del Signore dovette profetizzare e prendere parte al turbinìo di avvenimenti dolorosi e tragici che si abbatterono sul Regno di Giuda in quel periodo, fino alla sua caduta. L'attività di profeta di

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Geremia può essere divisa in quattro periodi, chiaramente distinti tra loro dagli avvenimenti politici che si succedettero.

La vocazione di Geremia (Ger 1,4-10).

Il libro di Geremia è un libro altamente autobiografico, che contiene un' abbondante serie di notizie circa la vita e l'attività del profeta (è forse il libro più autobiografico fra tutti i libri profetici, anche se le notizie non sono disposte in perfetto ordine); per cui la figura di Geremia ci appare davanti con contorni molto chiari e precisi.

Geremia racconta la sua vocazione con lo schema tipico dei racconti di vocazione, in tre tempi: la chiamata di Dio; il senso di smarrimento e di inadeguatezza del chiamato; e l'assicurazione di Dio che egli sarà con lui.

Notevole è la percezione di Geremia che la sua vocazione affonda nell'eternità di Dio, e parte da un disegno di conoscenza e d'amore che precede la sua nascita e il suo concepimento. Dio lo ha " plasmato" ("jasàr" יצר ), come un vasaio plasma il suo vaso al tornio e lo modella con cura (tale verbo ricorre in Gen 2,7; Is 29,16; Is 45,9-12; Ger 18,1-6). Dio lo ha "consacrato", e come requisito, per una missione ("consacrare" nel testo ebraico è "qadàsh" קדש, che significa "ritagliare", "separare da", "riservare per").L'obiezione che Geremia mette in campo è la sua giovane età. Nella società ebraica di allora erano gli anziani ad avere diritto di parlare in assemblea; e non i giovani. Dunque la giovane età di Geremia era un impedimento alla sua missione profetica.Ma il Signore gli assicura la sua assistenza e con un gesto simbolico lo abilita ad essere profeta (cfr. i serafini che purificano le labbra impure di Isaia: Is 6,6-7). Dio esprime la missione di Geremia con una doppia immagine: quella di un albero che deve essere sradicato e piantato, e quella di una casa che deve essere demolita ed edificata. Il v 20 contiene tali immagini disposte in forma chiastica: sradicare - demolire-edificare - piantare (le parole "per distruggere ed abbattere", a detta di molti commentatori, sono una glossa).

Il primo periodo della missione di Geremia (627-609 a.C.).

Il primo periodo dell'opera profetica di Geremia è caratterizzato dalla chiamata a conversione del popolo di Giuda che si è pervertito dietro i culti pagani e si è dato a comportamenti contrari all'alleanza.

Tale richiamo era quanto mai necessario, perchè da tempo la casa regnante aveva aperto la porta a culti e riti pagani in misura così grave e profonda, che tutto il popolo ne era stato colpito e danneggiato. Il secondo libro dei Re (2Re 21) racconta dell'empio re Manasse ( 687-642 a.C.) che aveva ristabilito il culto pagano sulle colline, aveva praticato e favorito la divinazione, la magia,il ricorso ai negromanti e agli indovini; era addirittura arrivato ad erigere altari e statue agli dèi pagani nei cortili del tempio di Gerusalemme, profanando la casa del Signore. Il suo figlio Amon (642-640 a.C.) non era stato da meno e aveva seguito gli esempi del padre. Ciò aveva comportato un forte degrado religioso e morale in tutto il popolo.

Un'altra caratteristica del primo periodo di ministero profetico di Geremia fu l'appoggio e il sostegno che egli ricevette nella sua missione dal sovrano regnante, il pio Giosìa (640-609 a.C.), che, ben diverso dal padre Amon e dal nonno Manasse, iniziò nel 622 una grande riforma religiosa e morale.

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Nel 622 a.C. a Gerusalemme, in una stanza attigua al tempio, fu ritrovato un rotolo, che vi era stato da tempo depositato, su cui era riportato il libro del Deuteronomio (2Re 22,3-10).

Tale rotolo, composto nel Regno del nord verso il 750 a.C., era stato portato al sud in occasione, probabilmente, della caduta del Regno di Israele ad opera degli Assiri (721 a.C.), ed era finito in un angolo nascosto del tempio senza essere più preso in mano. Ma una volta ritrovato, diede occasione al re Giosìa di avviare una profonda riforma religiosa in mezzo al popolo (2Re 23). Tale riforma religiosa fu un forte sostegno all'opera profetica di Geremia, che in questo periodo svolse la sua missione senza particolari difficoltà e con qualche successo.

Nel brano Ger 2,1 - 4,4 troviamo un esempio molto bello della predicazione di Geremia in quegli anni. Esso si compone di una forte requisitoria di Dio contro il suo popolo, seguita dall'invito pressante alla conversione e al ritorno a lui.

La requisitoria (Ger 2,1 - 3,5) è incorniciata entro due espliciti riferimenti al rapporto sponsale tra Dio e il popolo di Giuda. Il popolo è chiamato "la fidanzata" di JHWH, colei con la quale il Signore aveva stretto una relazione di particolare affetto ed amore, quando il popolo era appena uscito dall'Egitto e si trovava ancora nel deserto (Ger 2,1-3). E in Ger 3,1 si ricorre di nuovo all'immagine sponsale, parlando del popolo come della "sposa" di JHWH; una sposa che è stata infedele al suo sposo, ma che il Signore è ancora disposto a riprendere con sè. Essa non avrebbe nessun diritto di essere riaccolta, perchè fu lei ad allontanarsi di sua iniziativa da Dio, e per di più si è data ad altri amori; mentre la legislazione ebraica permetteva solo a una donna "ripudiata" , e che non fosse poi appartenuta ad altri uomini, di essere ripresa dal suo primo marito. Ma l'amore di Dio supera infinitamente ogni legislazione ed ogni limite dell'amore umano!La requisitoria pertanto non è contro un popolo qualsiasi che non ha mai avuto nessuna relazione con JHWH, ma è contro "il suo" popolo, quello che ha stretto e vissuto con lui un rapporto di sponsalità.

Il genere letterario del brano è quello del "processo"; infatti in Ger 2,9 appare il verbo "rib" רב = intentare un processo. Si tratta di processo "bilaterale", vòlto a riportare il popolo sulla retta via e a condurlo a salvezza.I capi d'accusa sono gravi e numerosi:

a) il popolo si è allontanato da Dio senza motivo (Ger 2,5a). Si veda Mi 6,3; Is 5,4.b) Giuda ha seguito ciò che è vano ed è diventato esso stesso vanità (Ger 2,5b).c) Giuda ha dimenticato la sua storia passata e i tanti interventi d'amore di Dio a suo ri- guardo (Ger 2,6).d) ha rovinato i doni che il Signore gli ha dato (Ger 2,7-8).e) si è comportato peggio di tutti gli altri popoli (Ger 2,9-17).f) ha cercato alleanze umane e sostegno nelle creature anzichè in Dio (Ger 2,18-19).g) si è dato ai culti idolatrici (Ger 2,20-30).h) ha dimenticato JHWH (Ger 2,31-33).i) ha compiuto ingiustizie e violenze contro i poveri (Ger 2,34-37).

Ma Dio è disposto a perdonare il popolo di Giuda e a riprenderlo con sè come sua sposa. Nei versetti Ger 3,12 - 4,4 ricorre per quattro volte il verbo "ritorna" שוב (Ger 3,12. 14. 22; Ger 4,1), quale invito pressante e amoroso di Dio rivolto al suo popolo perchè rifaccia con lui l'alleanza.

Ger 5,1-17 è un oracolo di minaccia e di castigo. Si articola in alcune parti ben precise, secondo lo schema di un giudizio, anche se non ricorre il termine “riv” ריב .

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C’è dapprima l’ordine di Dio, giudice, di fare un’ispezione in Gerusalemme per accertare la situazione. Dio invia i suoi ispettori e si dichiara disposto a perdonare a tutta la città se sarà trovato in essa un solo giusto (Ger 5,1). Si confronti questo testo con Gen 18,22-32. L’ispezione dà come risultato che in tutta Gerusalemme non c’è nessun giusto (Ger 5,2-5). Allora il giudice conclude che Gerusalemme dovrà essere punita e che la punizione che egli le infliggerà sarà giustificata (Ger 5,6-9). Il giudice poi dà ordine di intervenire e di punire il popolo (Ger 5,10-14). Infine il giudice prende di petto direttamente il colpevole e pronuncia su di lui la sentenza (Ger 5,15-17).

Ger 7,16-20; Ger 7,30 - 8,3; Ger 10,1-16 presentano forti rimproveri al popolo che si è dato all’idolatria. Si parla del culto offerto alla "Regina del cielo" (probabilmente la dea pagana Astarte, dea della fecondità); si parla di sacrifici umani offerti al dio Mòlek in una valle vicina a Gerusalemme; del culto al sole, alla luna, agli astri... Con particolare sottile ironia si ridicolizza sugli dèi pagani che sono fatti di legno e di metallo; vengono fissati con chiodi su dei supporti perchè non cadano; sono simili a degli spaventapasseri nei campi, e devono essere trasportati, nei cortei, dai loro devoti, altrimenti non si muovono e restano fermi. Ben diverso da essi è JHWH !

(Notiamo che questi tre testi potrebbero essere stati composti anche nel secondo periodo di attività profetica di Geremia, quando sul trono di Giuda siederà il re Iòiakim, che a differenza del padre Giosìa aveva permesso nuovamente il diffondersi dei culti pagani).

Ger 13,1-11 racconta l'azione simbolica della cintura lasciata per un certo tempo nell'acqua del fiume Eufrate, finchè diventò marcia: essa sta ad indicare le infedeltà del popolo che avrebbe dovuto aderire a Dio come una cintura buona, e invece si è deteriorata con i propri peccati.

Il secondo periodo della missione di Geremia (609-597 a.C.).

Nel 609 a.C. il re Giosìa muore in battaglia a Meghiddo, nel tentativo di sbarrare il passo al faraone Necao, diretto contro Babilonia. Viene scelto a suo sucessore il figlio Iòacaz, secondogenito di Giosìa, preferito dal popolo al primogenito Ioiakìm, che era uomo superbo e altero. Ma il faraone Necao, dopo soli tre mesi, depone Iòacaz e mette sul trono di Giuda Ioiakìm, che sarà, nella sua politica, filo-egiziano. Di fronte al re di Babilonia che estende progressivamente il suo dominio verso il Regno di Giuda, Ioiakìm tiene un atteggiamento di opposizione e di resistenza. Tale linea politica viene contestata da Geremia, che vede solo nell'atteggiamento di sottomissione e di resa al re di Babilonia una possibilità di sopravvivenza, per quanto dolorosa. Il profeta predica la fiducia e l'abbandono in Dio, al posto di una resistenza ad oltranza fondata sulle forze umane e sugli aiuti egiziani.

Ger 7,1-15; Ger 26,1-24. Geremia contesta le false sicurezze del re e del popolo, i quali pensano di essere inattaccabili e invincibili per il solo fatto che Gerusalemme è la città di JHWH, e il tempio è la dimora del Signore. Dio vuole la conversione della vita e l'abbandono in lui, e non già la facile sicurezza di chi riposa tranquillo sul fatto materiale di possedere nella propria città il tempio di Dio. Geremia predice la distruzione del tempio, come già era accaduto in antico al santuario di Silo.

Ger 7,21-28 critica il culto celebrato al tempio che non è gradito a Dio perché privo

dell’osservanza dei comandamenti e dell’ascolto della voce del Signore.

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Con un gesto simbolico, l'anfora spezzata nella valle di Ben-Hinnòn nei pressi di Gerusalemme, predice la caduta della città (Ger 19).

Ciò attira su Geremia un'ondata di avversione e di sdegno da parte del re, dei capi politici e religiosi, e del popolo: Geremia viene arrestato, giudicato, sottratto al linciaggio del popolo, messo in prigione fino al giorno seguente. Per sua fortuna ha anche chi lo difende (Ger 20,1-3; Ger 26, 7-24).

Geremia continua a profetizzare la caduta di Gerusalemme ad opera di Nabuccodònosor, quale conseguenza delle tante infedeltà alla legge del Signore (Ger 25,1-13), e per questo viene cercato a morte da un gruppo di Giudei e dai suoi compaesani di Anatòt, che ordiscono contro di lui una congiura; solo perchè avvisato in tempo riesce a sottrarsi e a mettersi in salvo (Ger 11,9. 18-21).

Il re Ioiakìm, contro cui Geremia ripetutamente alza la voce (Ger 22,13-19), ad un certo punto gli proibisce di andare al tempio e partecipare alle celebrazioni religiose. Geremia allora pensa di dettare a Baruc, suo segretario, un messaggio da leggere al popolo in occasione di una festa che stava per essere celebrata. Appena letto il messaggio, il rotolo su cui esso era scritto viene requisito e portato in visione al re, il quale lo taglia con un coltello in tante strisce e lo getta a bruciare nel fuoco (Ger 36).

L'ostilità e la persecuzione si fanno sempre più pesanti. Geremia non riesce a sopportarle. Egli si lamenta col Signore ed esprime a lui tutta la sua sofferenza, accusandolo di avergli messo sulle spalle un carico più pesante di quanto egli possa portare, e di averlo ingannato quando all'inizio, nel giorno della sua vocazione, gli aveva affidato la missione di profeta. In cinque brani ricchi di sentimento e di emotività Geremia dà libero sfogo al suo cuore oppresso dal dolore: sono le cosiddette "Confessioni di Geremia".

Ger 12,1-8. Di fronte ai suoi compaesani di Anatòt che lo cercano a morte, Geremia si sente in diritto di porre un quesito a Dio: come mai lui giusto viene ingiustamente perseguitato e, in generale, gli uomini buoni devono spesso molto soffrire, mentre gli empi e i cattivi spesso prosperano e hanno successo? E' un problema che poi anche il libro di Giobbe riprenderà. La risposta data da Dio non svela il mistero di questo arcano stato di cose: Dio si limita a dire a Geremia di farsi coraggio, perchè avrà prove ancora maggiori da sopportare; e se ora viene meno per le difficoltà presenti, cosa farà in quelle future che saranno ancora più grandi? ("Se correndo con i pedoni ti stanchi, come potrai gareggiare con i cavalli? Se non ti senti sicuro in una regione pacifica, che farai nella boscaglia del Giordano?").

Ger 15,10-21. Il profeta si sente osteggiato e questa ostilità gli fa chiedere a Dio la vendetta sui suoi nemici. Quando Dio lo chiamò, il giorno della sua vocazione, il profeta rispose con entusiasmo e con gioia alla parola di Dio, ma poi Dio da torrente abbondante d'acqua gli è diventato torrente in secca. Dio si era impegnato ad aiutarlo e a soccorrerlo, ma poi si era come ritirato. L'immagine richiama i torrenti di Palestina che nella stagione delle piogge sono ricchi d'acqua e scendono vorticosi per le valli strette e ripide incassate tra i monti, ma poi nella stagione calda inaridiscono completamente e si seccano. Ma il Signore gli risponde invitandolo a "ritornare a lui", a risceglierlo come all'inizio, nonostante le difficoltà incontrate e che tuttora lo tormentano. Allora Dio lo farà forte, e i suoi avversari dovranno tornare a lui e riconoscerlo come vero profeta.

Ger 17,14-18. E' un'altra invocazione d'aiuto in un momento di difficoltà.

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