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ΣΜΙΛΗ / SMILE

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σµίλη, ΣΜΙΛΗ: in greco antico significa coltello.

Si traslittera smile, SMILE. Smile, in inglese, è il sorriso. Coltello o sorriso. Coltello e sorriso.

Nello stesso tempo.

ΣΜΙΛΗ / SMILE non è una testata giornalistica e non ha periodicità fissa. ΣΜΙΛΗ / SMILE è diffusa on line come file .pdf gratuito. ΣΜΙΛΗ / SMILE non ha né un direttore né una redazione.

La collaborazione a ΣΜΙΛΗ / SMILE è solo su invito. L’orientamento culturale è gestito da Fabio Giovinazzo.

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Il logo e il progetto grafico di ΣΜΙΛΗ / SMILE sono stati realizzati da Massimo Sannelli. L’immagine di copertina e la serie Bang sono di Fabio Giovinazzo.

Il manifesto di Bang è di Massimo Sannelli. La vignetta, Svastik, è di FELG.

I collages finali sono di Bob Quadrelli.

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ISIS TV AND THE LITTLE PRAYER Fabio Giovinazzo

a scena racconta l’appagamento dello Stato ipnotico, il futuro non è abbastanza prossimo. Due candele hanno sgocciolato le torri di New York, quindi il presidente Bush continua a leggere The Pet Goat dal momento che Bin Laden ha ottenuto il permesso dalla CIA. Let’s run!

La permanenza in cima a Nizza è ricca di esseri umani disintegrati e di spazzatura politica: il figlio perverso alla guida di un diabolico teorema ha falciato di rosso la Promenade des Anglais. La guerra non è finita! Lo svantaggio è in quel mondo di natura politica che non mette in scena alcuna forma di orgoglio, il pareggio appare impossibile da realizzare perché molti figli del popolo sopravvivono mangiando fette di pregevole ignoranza. L’indagine viene dilaniata con troppi coltelli, bisogna rendersene conto!

Accendete la luce nel cervello: l’ISIS fa scendere in campo eroi già sconfitti, poiché la morte ha sempre generato sollievo nei tanti Achille della Storia. Uccidi! Uccidi! Assolutamente fuoricampo, gestisce meccanismi reclamizzati da uno schema che cede alle regole del Già visto! Ovvero il sangue di alcuni giovani curdi finisce per gettare sporcizia sull’autobus israeliano in Bulgaria, un datore di lavoro accetta – non spontaneamente – di regalare la scatola del pensiero a quella bandiera islamica ora piú che mai svergognata: i loro cuori non aprono alla democrazia (quanti bambini morti a Beslan!) e il discorso politico che fanno si lascia di nuovo esplodere all’areoporto di Bruxelles, Will you die for me? L’ISIS ha questo meraviglioso potere che afferma sulla necessità di realizzare quanti piú morti possibile, ovvio. Anche se questa missione genera la scelta di buttare nella mischia dell’orrore il messaggio di una religione fin troppo guasta. Non esiste frase in aspettativa: stanco e annoiato, Allah accetta la proposta indecente di un gruppo fallocratico, subendo l’inserimento di un’ideologia perversa su per il diversamente anale.

Il sangue con epicentro il teatro Bataclan è kitsch: in senso

L

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evidente i fondamentalisti islamici non amano il rock, poiché in esso le molteplici variazioni possono far apparire sexy una melodia nient’affatto vagabonda. Piú cose si sanno fare e meglio è, ma l’ISIS adora ignorare questo film. La trama che sviluppa influenza negativamente la pittura di un mondo che sbadiglia troppo. Liberté, Egalité, Fraternité: again and again. Per fare valido terrorismo occorre saper cacciare e portare a casa le migliori fantasie.

Questi figli dell’estremismo prendono appunti e buttano schizzi di terrore sulla carta. Successivamente, si arrendono al banale senso di euforia e trascrivono quelle idee su canali troppo facili da seguire.

L’eiaculazione appare davvero precoce: Allah è affannato dal momento che non gli viene data la possibilità di mostrare una capacità registica innovativa.

Il jihād è cinico, infame e violento – continuando a strizzare l’occhio al capitolo cinematografico – ma non avvince, non sorprende: crudeltà in misura notevole rappresentata con dose di genialità sopravvalutata. E con targa

TELL ALL THE PEOPLE THAT YOU

SEE

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CUATRO POEMAS Isabel Jimeno

SIENTO

u ausencia en carne viva. El instante enloquece,

toco fondo, vivo. Hay un incendio en mi cuerpo. Hago de mi insomnio un manicomio de horas que vagan por salas de espera. Quiero ver otra vez el alba en tus ojos.

SI ENTRAS EN MI ALMA

i entras en mi alma, no tengas miedo de la intemperie

que allí encontrarás. Mi alma puede ser apacible como un mar en calma bajo el sol de primavera. Puede ser una rosa y también la espina. Ser oscura y bella, como una noche de tormenta.

T

S

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INFANCIA

on zapatos de agua, era bello correr bajo la lluvia, cobijarme feliz

con las alas mojadas bajo los pórticos. Era bello subir a los árboles, confundirme entre las ramas y las hojas, aprender música en la escuela de los pájaros. Era bello saber volar, saltar sin miedo a la caída. Imitar la agilidad felina y tocar los contornos de la luna. Hablar con la noche y con sus criaturas. Sentirme pájaro, agua, hoja, rama, gato,noche, luna, pétalo, aire, música.

INSOMNE

n mirlo sonámbulo canta. Vago de noche, soporto la pesada piedra

de las horas, el reloj del silencio. Me aferro al vestido de la brisa con las garras de una tigresa nostálgica. Contemplo desde los tejados la poética de las calles desiertas, su lenguaje de hojas secas, su repertorio de ausencias. Vago de noche, canto la soledad de las cosas y vuelo con alas cobalto para danzar con mi sombra.

C

U

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FOTOGRAFIE DI FABIO GIOVINAZZO

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“GODITI LO SPETTACOLO” Max Manfredi parla del suo Faustus

Manfredi, le propongo un punto di partenza conclusivo. Quindi,

l’esperienza delle cose già vissute può a tratti suggerire modalità di approccio non trascurabili per il futuro: come sta reagendo il pubblico davanti al suo Faustus? M.M. È troppo presto per dirlo. Ho avuto però notizia di sensazioni e

pareri, richiesti e non richiesti. Su molti di essi sono d’accordo, gli altri sono comunque interessanti per capire quale aria tira e come rendere lo spettacolo più incisivo. Naturalmente, fatto salvo il sempre possibile intervento della grazia divina, preferisco sentire chi è competente e/o chi mi è simpatico.

È quasi una successione di eventi che ritardano ogni prevedibilità. Lei è

d’accordo che in questa sua pièce alberga senza dubbio uno sberleffo verso la regola già scritta? M.M. Sberleffo verso qualsiasi regola, e dolorosissima coscienza della

necessità di regole e, insieme, dell’impossibilità di un canone che non sia a sua volta discutibile. Se posso fare una boutade che non piacerà ai matematici, questo è un Faustus di Gödel.

La proporzione tra la natura sovrumana e l’aspetto trash, il

dissezionamento malinconico, l’impronta goliardica. Pensa che nel suo Faustus si obbedisca inconsciamente al mito del labirinto? M.M. Se per labirinto s’intende una visione non gerarchica, non

tolemaica, quasi microfisica del teatro, sí, certo. “Nel laberinto entrai, né veggo ond’esca”, come dice Petrarca. E chi ne esce?

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Un wormhole spaziotemporale nell’ambiguo e falsamente rassicurante spaziotempo del teatro. Se legge Marlowe, quanto di labirintico troverà negli eloqui faustiani!

La sua è stata anche una ricerca storica, forse una caccia al tesoro.

Esplorando la poesia del tempo remoto, ha avvertito in lei una sorta di frontiera specifica da non oltrepassare? M.M. No, nessun guardiano della soglia, magari. Qui non è Westworld,

anche se gli automi si trovano sempre dappertutto. La letteratura si fa prostituire allegramente, come Elena di Grecia evocata dalla tomba. Ma poi lascia l’amaro dell’inchiostro in bocca. Ma soprattutto, sei tu che evochi lei o lei che evoca te? E poi non si tratta di un tempo, come dice, “remoto” o arcaico, che ho esplorato nei testi. Si parte comunque dall’epoca della stampa, quando uscí il primo libro tedesco sul tema di Faust, e si arriva fino ai grandi poeti dell’Ottocento e del Novecento, per sfizio mio e fulminee, evidenti, più che arbitrarie, associazioni d’idee. Lí il limite l’ho posto io, con la poesia mi son fermato agli inizi del Novecento, poi ho detto l’alt. Ma non l’ho posto alle musiche, che vedono Bach, Monteverdi, ma anche, sempre a frammenti, icone più o meno riuscite del pop anche italiano di qualche anno fa.

In conclusione: la metamorfosi sembra nutrire un profondo affetto per

questa pièce: preoccupazione per un messaggio che rischia di non essere compreso? M.M. Si sa che gli spiritosoni di una volta dicevano “ho il terrore di

essere compreso”. Comprendere o essere compresi, per me è un falso problema. Lo dicono anche Mefistofele e Faustus nella pièce, traducendo quasi alla lettera Marlowe: “Dimmi, cosa vuol dire tutto questo? Niente, goditi lo spettacolo”. Tutto si potrà dire di questa mia pièce, ma non che possa (attenzione, “possa”, non “debba”) essere struggente e comica insieme, e – questa la relativa novità rispetto ai modelli. Anche qui, la chiave è l’ironia romantica. Qualcosa di molto antico, quindi, e insieme di molto moderno. Può piacere o non piacere, questo sí. Riconosco questo diritto legale.

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