Nikos Kazantzakis - L'Ultima Tentazione

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Nikos Kazantzakis L'ULTIMA TENTAZIONE Titolo originale Ό τελευταίος πειρασμός La dernière tentation Traduzione di Marisa Aboaf e Bruno Amato Copyright © 1959 Eleni N. Kazantzakis ©1987 Edizioni Frassinelli Edizione CDE spa – Milano su licenza della Edizioni Frassinelli Dall'indimenticabile autore di Zorba il Greco, un romanzo grandioso e di profondo impatto emotivo che racconta l'amore e la passione di un uomo: Gesù di Nazareth. Figlio di un falegname, l'uomo Gesù vorrebbe amare una donna e avere una famiglia, ma la voce di Dio risuona dirompente nel suo animo, lo arma di una forza superiore a quella di mille eserciti, gli impone rinunce e sofferenze. Il conflitto interiore dell'uomo, la lotta tra carne e spirito, l'istinto a ribellarsi e il desiderio irrinunciabile di unirsi a Dio vengono qui evocati in un affresco narrativo che celebra il supremo sacrificio di Cristo. Sulla croce, ormai moribondo, Gesù ha una visione di come sarebbe stata la sua vita se non avesse seguito il richiamo di Dio. È l'ultima tentazione, appunto, quella che Cristo respinge morendo per l'intero genere umano. NIKOS KAZANTZAKIS Nikos Kazantzakis, nato nel 1883 a Creta, è considerato uno dei più grandi scrittori del nostro tempo. È morto in Germania nel 1957. In sovraccoperta: un'immagine dal film "L'ultima tentazione di Cristo" di Martin Scorsese (foto Ag. Olympia) grafica: Lidia Guibert Ferrara 1

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Nikos KazantzakisL'ULTIMA TENTAZIONE

Titolo originale

Ό τελευταίος πειρασμόςLa dernière tentation

Traduzione di Marisa Aboaf e Bruno Amato

Copyright © 1959 Eleni N. Kazantzakis©1987 Edizioni Frassinelli

Edizione CDE spa – Milanosu licenza della Edizioni Frassinelli

Dall'indimenticabile autore di Zorba il Greco, un romanzo grandioso e di profondo impatto emotivo che racconta l'amore e la passione di un uomo: Gesù di Nazareth. Figlio di un falegname, l'uomo Gesù vorrebbe amare una donna e avere una famiglia, ma la voce di Dio risuona dirompente nel suo animo, lo arma di una forza superiore a quella di mille eserciti, gli impone rinunce e sofferenze. Il conflitto interiore dell'uomo, la lotta tra carne e spirito, l'istinto a ribellarsi e il desiderio irrinunciabile di unirsi a Dio vengono qui evocati in un affresco narrativo che celebra il supremo sacrificio di Cristo. Sulla croce, ormai moribondo, Gesù ha una visione di come sarebbe stata la sua vita se non avesse seguito il richiamo di Dio. È l'ultima tentazione, appunto, quella che Cristo respinge morendo per l'intero genere umano.

NIKOS KAZANTZAKISNikos Kazantzakis, nato nel 1883 a Creta, è considerato uno dei più grandi scrittori del nostro tempo. È morto in Germania nel 1957.

In sovraccoperta: un'immagine dal film "L'ultima tentazione di Cristo" di Martin Scorsese (foto Ag. Olympia)

grafica: Lidia Guibert Ferrara

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Nikos KazantzakisL'ULTIMA TENTAZIONE

(Ό τελευταίος πειρασμός)La dernière tentation

Traduzione di Marisa Aboaf e Bruno Amato

Prefazione

La doppia essenza di Cristo è sempre stata, per me, un mistero pro-fondo e impenetrabile, come l'appassionato desiderio degli uomini, così umano e così sovrumano, di arrivare fino a Dio o con più esattezza, di ritornare a Dio e di identificarsi con Lui. Questa nostalgia così misteriosa e così reale allo stesso tempo m'infliggeva profonde ferite.

Fin dalla gioventù la mia angoscia dominante, sorgente di tutte le mie gioie e di tutte le mie amarezze, è stata appunto questa: la lotta spietata e incessante fra la carne e lo spirito.

Dentro di me sentivo le forze tenebrose del Maligno, antiche, tanto vec-chie o più vecchie dell'uomo, e le forze luminose di Dio, antiche, vecchie, più vecchie dell'uomo; la mia anima era il campo di battaglia sul quale questi due eserciti si affrontavano.

Era un'angoscia pesante. Amavo il mio corpo e non volevo vederlo perdersi; amavo la mia anima e non volevo vederla avvilirsi. Lottavo per conciliare tali forze cosmiche contrarie per far sentir loro che non erano nemiche, che, anzi, erano unite sia per godere sia per farmi godere della loro armonia.

Ogni uomo è un uomo-dio, carne e spirito. Ecco perché il mistero di Cristo non è solamente un mistero particolare, ma tocca tutti gli uomini. In ogni uomo si combatte la lotta fra Dio e l'uomo stesso, lotta insepa-rabile dal loro ansioso desiderio di riconciliazione. La maggior parte delle volte tale, lotta è incosciente e dura poco: un'anima debole non ha la forza di resistere per molto alla carne; si appesantisce, diventa essa stessa carne e la lotta finisce. Ma fra gli uomini responsabili, fra coloro che giorno e notte mantengono gli occhi fissi sul proprio dovere, questa lotta fra carne e spirito divampa senza mercé e può durare sino alla morte.

Più potenti sono l'anima e la carne, più feconda è la lotta e più intensa l'armonia finale. Dio non ama le anime deboli né le carni senza consisten-

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za. Lo spirito vuol poter lottare contro una carne potente, piena di resi-stenza. È un uccello carnivoro che non smette mai d'aver fame, che divora la carne e che, assimilandola, la fa sparire.

Lotta fra carne e spirito, ribellione e resistenza, riconciliazione e sotto-missione e infine ciò che è la meta suprema di questa lotta, l'unione con Dio, ecco il cammino ascendente che ha preso Cristo e che ci invita, a nostra volta, a prendere, seguendo le tracce insanguinate dei suoi passi.

Come arrivare noi pure a questa vetta suprema in cui, figlio maggiore della salvezza, è arrivato Cristo? Per poterlo seguire bisognerà avere una conoscenza profonda della sua lotta e vivere la sua angoscia: come egli ha superato le insidie terrene, come ha sacrificato le piccole e le grandi gioie dell'uomo e com'è salito, di sacrificio in sacrificio, di prodezza in prodezza, fino alla vetta delle sue prove, la Croce.

Non ho mai seguito con altrettanto terrore il cammino insanguinato verso il Golgota, non ho mai vissuto con simili intensità, comprensione e amore la Vita e la Passione di Cristo come durante i giorni e le notti du-rante i quali ho scritto L'ultima tentazione.

Scrivendo questa confessione dell'angoscia e della grande speranza degli uomini, ero così commosso che i miei occhi si riempivano di lacrime. Non avevo mai sentito con altrettanta dolcezza, con altrettanta sofferenza, il sangue di Cristo cadere, goccia a goccia, nel mio cuore.

Cristo, infatti, per salire fino alla vetta del sacrificio, sulla croce, sulla vetta dell'immaterialità, fino a Dio, è passato attraverso, tutte le prove dell'uomo che lotta.

Ecco perché la sua sofferenza ci è così familiare, perché la dividiamo con lui e perché la sua vittoria finale ci appare come la nostra vittoria futura. Tutto ciò che Cristo aveva di profondamente umano ci aiuta a capirlo, ad amarlo e a seguire la sua Passione come se fosse la nostra. Se in lui non ci fosse il calore di tale elemento umano, non potrebbe mai giungere ai nostri cuori con tanta sicurezza e tenerezza, né potrebbe di-ventare il modello della nostra vita.

Lottiamo, lo vediamo lottare come noi e prendiamo coraggio. Vediamo che non siamo soli al mondo e che egli lotta al nostro fianco.

Ogni istante della vita di Cristo è una lotta e una vittoria. Ha trionfato sull'irresistibile incanto delle semplici gioie umane, ha trionfato sulla tentazione; trasformava in continuazione la carne in spirito e continuava la sua ascensione: è arrivato sulla vetta del Golgota ed è salito sulla Croce.

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Ma la battaglia non è finita lì: sulla Croce lo attendeva la Tentazione, l'Ultima Tentazione. In un rapido baleno, il Maligno ha spiegato davanti agli occhi spenti del Crocifisso la perfida visione di una vita pacifica e felice. Aveva preso, così almeno gli era parso, il cammino piano e facile dell'uomo, si era sposato, aveva avuto dei bambini, gli uomini lo sti-mavano e l'amavano; e ora, da vecchio, era seduto davanti alla sua casa, ricordava le passioni della sua gioventù e sorrideva, soddisfatto. Come aveva fatto bene! Che saggezza l'aver preso la strada dell'uomo e che follia era quella di voler salvare il mondo! Che gioia essere sfuggito alle tribolazioni, al martirio, alla Croce!

Ecco quale fu l'ultima tentazione giunta, in un lampo, a turbare gli ultimi istanti del Salvatore.

Ma, bruscamente, Gesù ha scosso il capo, ha aperto gli occhi e ha visto. No, no, non aveva tradito, lodato sia Dio, non aveva disertato, aveva compiuto la missione confidatagli da Dio, non si era sposato, non era vissuto felice, era arrivato alla vetta del sacrificio, era inchiodato alla Croce.

Chiuse gli occhi soddisfatto. Allora si udì il grido trionfale: «Tutto è compiuto!»

Ossia, ho compiuto il mio dovere, sono stato crocifisso, non ho ceduto alla tentazione.

È per offrire un supremo esempio all'uomo che lotta, per mostrargli che non deve temere la sofferenza, la tentazione e la morte, ed è perché tutto ciò può essere vinto ed è giù stato vinto che è stato scritto questo libro. Cristo ha sofferto e da allora la sofferenza viene santificata; la Tentazione ha lottato fino all'ultimo istante per perderlo e la Tentazione è stata vinta; Cristo è stato crocifisso e da allora la morte è stata vinta.

Ogni ostacolo al suo cammino diventava occasione e misura di una vittoria. Abbiamo ora davanti a noi un esempio che ci apre la strada e ci infonde coraggio.

Questo libro non è una biografia, è una confessione dell'uomo che lot-ta. Scrivendolo, ho fatto il mio dovere. Il dovere dell'uomo che ha com-battuto molto, che ha sofferto molto durante la propria vita e che ha spe-rato molto.

Sono sicuro che ogni uomo libero che leggerà questo libro pieno d'amore amerà Cristo più che mai, meglio che mai.

N. KAZANTZAKIS

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Si alzò un leggero soffio divino; era fresco e fluido e se lo portò via.Sopra la sua testa le stelle intrecciavano le loro orbite, facendo fiorire il

cielo; a terra le pietre fumavano, ancora infuocate dall'ardore del giorno. Sulla terra e in cielo il silenzio era profondo, fatto delle voci eterne della notte, ancor più misteriose del silenzio. Dappertutto la pace e la dolcezza: Dio aveva chiuso gli occhi, la luna e il sole, e si era addormentato. Era molto buio, doveva essere mezzanotte e mentre sognava in estasi - che Pa-radiso quello, che solitudine! - all'improvviso l'aria si alterò, si appesantì; non era più un leggero soffio divino, ma un alito greve e maleodorante, che sembrava agitarsi senza trovare pace. L'aria era diventata densa, carica d'angoscia; si coglievano zaffate tiepide che sapevano d'animali, d'uomini e di fantasmi villosi e insieme un odore pungente di pane appena sfornato, di acre sudore umano e d'olio di alloro con il quale le donne si spalmavano i capelli.

Si fiutava, si sentiva, ma non si vedeva nulla. A poco a poco gli occhi si abituavano: fra le palme folte e scure che s'innalzavano come spruzzi d'ac-qua si riusciva a distinguere un cipresso dal tronco dritto, austero, più scu-ro della notte, e si intravedevano gli ulivi dalle foglie rade che, agitate dal vento, brillavano in quel buio come l'argento; su una collina verdeggiante, addossate le une sulle altre o anche isolate, si scorgevano delle miserabili baracche quadrate, fatte di tenebre, di fango e di mattoni imbrattati di cal-ce. Sulle terrazze, coperti da bianche lenzuola o senza nulla addosso, si po-tevano indovinare dei corpi umani immersi nel sonno.

Non c'era più silenzio e la notte beata e solitaria si riempì d'angoscia. Si percepiva un groviglio di piedi e mani di uomini che non riuscivano a trovar sonno, si udivano sospiri e grida che lottavano disperate, ostinate, per unirsi nel muto abisso pieno della presenza divina. Ma la loro di-sperazione era vana, perché non riuscivano a trovare ciò che volevano ar-dentemente gridare e si disgregavano, perdendosi in deliri incoerenti.

Improvvisamente, proprio nel centro del villaggio, da un terrazzo più alto, partì un urlo acuto, straziante, come di viscere squarciate: «Dio d'Israele, Dio d'Israele, Adonai, fino a quando?» Non era un unico uomo, ma un intero villaggio che sognava e gridava. Dalle ossa dei morti alla ra-dice degli alberi, era la terra d'Israele tutta intera, la terra d'Israele in do-glie, che non poteva partorire e gridava.

Ci fu una lunga pausa di silenzio e, all'improvviso, si udì nuovamente

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quel grido squarciare l'aria, dalla terra al cielo; ma ora non era altro che collera e disperazione. «Fino a quando? Fino a quando?» I cani del vil-laggio si svegliarono e si misero ad abbaiare; sulle terrazze le donne, in preda al terrore, si rannicchiarono fra le braccia degli uomini.

Il giovane addormentato, che stava sognando, udì quell'urlo nel sonno; si agitò e il sogno s'impaurì e cominciò a fuggire. La montagna svanì e apparvero le sue viscere; non era più fatta di pietra, ma di sonno e di ver-tigini e l'orda di colossi che si arrampicava su di essa, selvaggiamente, a passi da gigante, e che altro non era che baffi, barbe, sopracciglia e grosse mani, perse essa pure la propria materia. Le figure si allontanavano, per-dendo i loro contorni e modellandosi in altre forme per poi nuovamente di-sfarsi, come nuvole disperse da un vento impetuoso; presto sarebbero scomparse dalla testa dell'uomo addormentato.

Ma il suo spirito ebbe il tempo di diventare più pesante, s'immerse nuo-vamente nel sonno, la montagna ridivenne compatta, tutta di pietra, le nu-vole si addensarono, tornarono carne e ossa, e si udirono respiri affannosi. Poi del passi veloci: l'uomo dai capelli rossi apparve di nuovo sulla cima della montagna, senza camicia, scalzo, infuocato e, dietro di lui, ancora sprofondata fra i ripidi dirupi, l'orda ansimante dalle mille teste.

Al di sopra, la volta celeste si era riformata, proprio come un tetto ben costruito, con una sola stella che brillava a oriente, come un punto di fuo-co. Il giorno stava spuntando.

Il giovane, disteso sui trucioli, respirava profondamente. Il lavoro della giornata era stato pesante ed egli si riposava; le sue palpebre si socchiusero per un istante, come se la stella del mattino le avesse colpite con il suo bagliore, ma lui non si svegliò, il sogno l'aveva di nuovo completamente pervaso. Sognava. L'uomo dai capelli rossi si era fermato, e il sudore gli colava dalla fronte solcata da rughe profonde, dalle ascelle, dalle gambe. Trasudava collera e stanchezza, stava per lanciare una bestemmia, ma si trattenne. «Fino a quando, Adonai, fino a quando?» mormorò solamente, con disperazione, soffocando la bestemmia. Ma la rabbia era ancora in fer-mento e l'uomo si voltò. Il lungo cammino gli apparve in un lampo davanti agli occhi: le montagne si abbassarono, il sogno scivolò via, gli uomini sparirono e il dormiente vide spiegarsi sulla sua testa, sul basso soffitto di stoppia intrecciata, multicolore e piena di fronzoli come un ricamo fatto nell'aria, come una luce tremolante, la terra di Canahan.

A sud, il deserto d'Idumea fremeva e ondeggiava come il dorso di un leopardo; più lontano, il Mar Morto, compatto e velenoso, soffocava, as-

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sorbiva la luce; ancor più in là, separata dal mondo dal fossato dei coman-damenti di Geova, l'inumana Gerusalemme, sulle cui strade colava il sangue delle vittime di Dio, agnelli e profeti; più lontana ancora, Samaria l'impura, l'idolatra nel mezzo della quale si vedevano un pozzo e una don-na imbellettata che vi attingeva dell'acqua; in fondo, all'estremo nord, so-leggiata, modesta e verdeggiante, la Galilea. Da un estremo all'altro del sogno il Giordano, arteria regale di Dio che scorre e abbevera sia le sterili sabbie sia i giardini, sia Giovanni Battista sia gli eretici di Samaria, sia le prostitute sia i pescatori di Genezareth.

Durante il sonno il giovane si inebriò nel vedere le terre sante e le acque sacre e tese una mano per toccarle. Ma di colpo, nel bel mezzo dell'oscuri-tà ovattata, nella rosea luce dell'aurora, la Terra Promessa, fatta di fres-chezza, di vento e d'antico desiderio umano, si mise a tremare e si spense. E nel momento in cui si stava spegnendo, egli udì delle voci ruggenti e delle bestemmie e vide sorgere nuovamente fra le rocce scoscese e i fichi d'India, trasformata, irriconoscibile, l'orda dalle mille teste. Come si erano intristiti e avvizziti quei colossi! Come si erano rattrappiti, sembrava che le loro barbe sfiorassero il terreno! Erano diventati dei nani, degli gnomi an-simanti e senza fiato; ognuno di essi aveva in mano strani strumenti di tor-tura, alcuni delle cinghie insanguinate con chiodi di ferro, altri coltelli e pungiglioni, altri ancora dei grossi chiodi con la capocchia appiattita. Tre nani dalle gambe corte portavano una croce pesantissima e l'ultimo, il più disgraziato, il guercio, una corona di spine.

L'uomo dai capelli rossi si chinò, li guardò e scosse con disprezzo la grande testa ossuta. L'uomo addormentato l'udì pensare: «Non hanno la fe-de, è per questo che si sono rattrappiti; non hanno la fede, è per questo che io sono al supplizio...»

Si udì un mormorio: «Non vediamo nulla, capitano, solo la notte».«Nulla! Non avete la fede?»«L'abbiamo, capitano, l'abbiamo; è appunto per questo che ti seguiamo,

ma non vediamo nulla.»«Guardate ancora!»La sua mano s'abbatté come una spada, squarciò la nebbia e fece appari-

re la pianura; un lago azzurro brillava e sorrideva, sembrava destarsi allon-tanando la nebbia. In mezzo ai campi, sotto le palme, lungo le rive del lago coperte di ghiaia, simili a grandi nidi colmi di uova, i villaggi e le capanne scintillavano candidi.

«È laggiù che si trova!» disse la guida mostrando un gran villaggio in

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mezzo al verde; tre mulini a vento, poco più su, avevano aperto le loro ali di buon mattino e giravano.

Sul viso dorato e assonnato del giovane si dipinse, di colpo, il terrore. Fece un gesto con la mano per scacciare il sogno che gli si era posato sulle palpebre e non voleva andarsene. Riunì tutte le forze per svegliarsi, è solo un sogno, pensava, bisogna che mi svegli, che me ne liberi. Ma gli gnomi lo circondavano con ostinazione, rifiutavano di andarsene; il Rosso dallo sguardo selvaggio stava adesso puntando un dito minaccioso in direzione del gran villaggio della pianura e parlava loro.

«È laggiù che si trova! È là dentro che vive, che si nasconde. Si veste di stracci, cammina scalzo, fa il falegname, finge di non esser lui per sfuggi-re. Ma l'occhio di Dio l'ha scorto: addosso, figlioli!»

Alzò un piede per prendere lo slancio, ma gli gnomi gli si appesero alle gambe e alle braccia; appoggiò nuovamente il piede per terra.

«Sono tanti gli straccioni e gli scalzi, capitano; sono molti anche i fale-gnami: abbiamo bisogno di un segno che ci dica chi è, com'è, dov'è, per poterlo riconoscere. Altrimenti non ci muoviamo, che sia ben chiaro, capi-tano: non ci muoviamo, siamo troppo stanchi.»

«Lo abbraccerò per dargli un bacio, ecco il segno. Avanti, adesso, an-diamo; fate piano, non gridate. Sicuramente sta dormendo, non vorrei che si svegliasse e ci sfuggisse. In nome del Cielo, figlioli, scagliatevi su di lui!»

«Scagliamoci su di lui, capitano», gridarono all'unisono i nani e si mise-ro in marcia alzando i loro piedoni.

Ma uno di loro, piccolo, guercio, magro e tutto storto, quello che porta-va la corona di spine, si afferrò a un arbusto e gli tenne testa.

«Io non vado in nessun posto!» gridò. «Ne ho abbastanza. Da quante notti, ormai, lo stiamo braccando? Da quanti paesi e da quanti villaggi siamo passati? Provate a contarli: abbiamo visitato tutti i Monasteri degli Esseni nel deserto d'Idumea, abbiamo attraversato la Betania, uccidendo per nulla quel povero Lazzaro, siamo arrivati al Giordano, ma il Battista ci ha cacciati, pare che non sia lui Colui che cerchiamo e ce ne siamo andati. Ci siamo diretti a Gerusalemme: lì abbiamo frugato nel tempio, nei palazzi di Anna, di Caifa, nelle capanne degli Scribi e in quelle dei Farisei: nes-suno! Non vi erano che farabutti, puttane, bugiardi, ladri, assassini e ce ne siamo andati. Abbiamo attraversato al galoppo Samaria la scomunicata, siamo arrivati in Galilea, abbiamo rastrellato Magdala, Cana, Cafarnao, Bethsaida. Abbiamo frugato capanna per capanna, barca per barca e quan-

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do trovavamo il più virtuoso, il più pio, gli gridavamo: 'Sei tu, perché ti nascondi? Alzati, per salvare Israele!' E quello, vedendo gli strumenti che portavamo con noi, era preso dal terrore e si metteva a correre e a urlare: 'Non sono io, non sono io!' e si gettava sul vino, sulle carte, sulle donne, si ubriacava, bestemmiava, si prostituiva, affinché vedessimo che era un pec-catore, che non era Colui che cercavamo, per sfuggire... Perdonami, capita-no, ma è quello che succederà nuovamente. Noi lo cerchiamo invano, poi-ché non lo troveremo: non è ancora nato.»

«Incredulo Tommaso», disse l'uomo dai capelli rossi. Lo afferrò per la nuca e lo sollevò in aria, ridendo. «Incredulo Tommaso, mi piaci!»

Si voltò verso i suoi compagni:«È lui il pungolo; noialtri siamo le bestie da soma. Lasciate che ci

pungoli, che ci impedisca di adagiarci tranquilli».L'uomo imberbe lanciò un grido acuto, aveva male. Il Rosso lo depose a

terra. Si mise a ridere e percorse con lo sguardo quell'accozzaglia dispara-ta.

«Quanti siamo?» disse. «Dodici, uno per ciascuna tribù d'Israele. Dia-voli, angeli, nani, gnomi, tutti i figli e tutti gli aborti di Dio, scegliete e prendete!»

Era di buonumore; i suoi occhi tondi da sparviero luccicavano. Tese la mano e uno alla volta li prendeva per le spalle, ora con collera, ora con tenerezza; li descriveva mentre li teneva sospesi in aria, ridendo.

«Buongiorno a te, taccagno, lingua viperina, artiglio adunco, immortale figlio d'Abramo; e tu, fanfarone, gradasso, mangione; e tu, il devoto pauro-so: non rubi, non vai a letto con la donna d'altri, non ammazzi, perché hai paura; tutte le tue virtù son figlie della paura; e tu, asinello candido che ti lasci pestare a colpi di bastone e che li sopporti; sopporti la fame, la sete, il freddo e la frusta; bestia da soma, senza amor proprio, leccatore d'immon-dizia: tutte le tue virtù son figlie della miseria; e tu, vecchia volpe, che ri-mani all'ingresso della grotta del leone, di Geova, senza mai entrarvi; e tu, ingenua pecorella che segui, belando, un Dio che ti divorerà; e tu, ciar-latano, figlio di Levi, mercante di Dio e che lo vendi a peso; oste di Dio che vendi da bere agli uomini: si ubriacano e aprono la loro borsa e il loro cuore, scaltro maestro; e tu, fanatico asceta dalla testa dura che guardi .te stesso e ti fabbrichi un Dio cattivo, dalla testa dura e che cadi in ginocchio e l'adori perché ti assomiglia; e tu, la cui anima è una bottega di cambio: sei seduto sulla soglia, sprofondi la mano in una borsa, fai la carità al po-vero, presti a Dio, tieni un registro e scrivi: dati tanti soldi per elemosina a

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un tale, nel tal giorno e nella tal ora; e dai ordine che mettano il registro nella tua tomba per poterlo aprire al cospetto di Dio, per fare i conti con Lui e incassare i milioni dell'eternità; e tu, bugiardo, imbonitore, a cui po-co importano tutti i comandamenti di Dio: rubi, dormi con la donna d'altri, assassini e poi scoppi a piangere, ti batti il petto, prendi la tua chitarra e componi una canzone sul tuo peccato; sai bene, vecchio astuto, che Iddio perdona tutto a colui che canta, perché Lui stesso va matto per le canzoni; e tu, pungiglione aguzzo nel nostro didietro, Tommaso; e io, io, testa matta che ho creduto che fosse successo, che ho abbandonato moglie e figli e che cerco il Messia! Tutti insieme, diavoli, angeli, nani, gnomi, siamo indi-spensabili alla nostra grande causa: lanciatevi su di lui, figlioli!»

Si mise a ridere, si sputò nelle mani, fece un passo avanti con i suoi grandi piedi.

«Lanciatevi su di lui, figlioli!» gridò ancora e si precipitò, correndo, per la strada che portava a Nazareth.

Gli uomini e le montagne erano fatte di fumo, sparirono, e le palpebre addormentate si riempirono di un'oscurità senza sogni. Nel sonno infinito altro non si udiva che il rumore di due piedi nudi, immensi e pesanti, che calpestavano il suolo della montagna e che scendevano.

Il cuore del giovane addormentato batteva con violenza. «Arrivano! Ar-rivano!» Udì un grido che lacerò la sua carne: «Arrivano!» Si alzò di scat-to, almeno così credette nel sogno, appoggiò il suo bancone da lavoro con-tro la porta, come un puntello, e vi ammonticchiò sopra tutti i suoi stru-menti: pialle, lime, seghe, mazze, martelli, cacciaviti, e pure una pesante croce che stava costruendo. Si infilò quindi nuovamente fra i trucioli e la segatura e attese.

Una strana calma, inquietante, soffocante, spessa; non si poteva udire né il respiro del villaggio né quello di Dio; l'universo, persino il demonio che non dorme mai erano precipitati in un fosso nero e profondo. Era il sonno, la morte, l'immortalità, Iddio? Il giovane fu assalito dal terrore; vide il pe-ricolo, radunò le forze, si strinse fra le mani la testa che vaneggiava e si svegliò.

Era fradicio di sudore. Ricordava un'unica cosa del suo sogno, che qual-cuno lo inseguiva, ma chi? Una sola persona? Una folla? Degli uomini? Dei demoni? Non ricordava più. Tese l'orecchio, ascoltò; si poteva udire, ora, nel silenzio della notte, il respiro molteplice delle anime e dei corpi. Di tanto in tanto un albero stormiva, un cane guaiva lugubremente, una

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madre, in fondo al villaggio, cullava lentamente il suo piccolo... La notte era piena di mormorii e di sospiri familiari e amati, la terra parlava, Dio parlava; il giovane si tranquillizzò. Per un momento aveva avuto paura, si era creduto solo al mondo.

Di fianco, nella casetta in cui dormivano i suoi genitori, udì il respiro affannoso del vecchio padre; l'infelice non poteva addormentarsi e cercava, storcendola, di aprire e chiudere la bocca, con enormi sforzi, per parlare. Da anni tentava di pronunciare una parola umana, ma rimaneva seduto sul suo letto, paralizzato, senza riuscire a muovere la lingua; sudava, soffriva, gli colava la saliva e ogni tanto, dopo una lotta tremenda, riusciva, sillaba dopo sillaba, ad articolare disperatamente una parola, una sola, sempre la stessa: A-d-o-n-a-i, Adonai, null'altro. Quando pronunciava quel nome per intero, si calmava per un'ora o due; poi lo riprendeva l'angoscia e ricomin-ciava ad aprire e chiudere la bocca.

«È colpa mia... è colpa mia...» mormorò il giovane e i suoi occhi si riempirono di lacrime. «È colpa mia...»

Il figlio udiva nella notte silenziosa la lotta angosciata del padre e l'an-goscia lo invase a sua volta; si mise pure lui, involontariamente, ad aprire e chiudere la bocca e a sudare. Chiuse gli occhi, ascoltò ciò che il vecchio padre faceva per farlo anche lui; sospirava, emetteva assieme a lui grida disperate e inarticolate, e a questo punto ricadde nel sonno.

Nell'istante in cui si addormentava, la casa fu scossa, il bancone rove-sciato, la croce e gli strumenti da lavoro rotolarono a terra, la porta si aprì ed egli vide, ritto sulla soglia, immenso, beffardo, con le braccia spalan-cate, l'uomo dai capelli rossi.

Il giovane gridò e si svegliò.

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Si rizzò, sedette sui trucioli, appoggiò il dorso contro il muro; sulla sua testa pendeva una cinghia con due file di chiodi appuntiti: ogni sera, prima di addormentarsi, si frustava il corpo a sangue, affinché lo lasciasse tran-quillo durante la notte e non si ribellasse. Un leggero tremito si era im-padronito di lui. Non ricordava più quali tentazioni gli fossero apparse du-rante il sonno, ma sentiva che era scampato a un grande pericolo. «Non ne posso più, ne ho abbastanza...» mormorò e alzò gli occhi al cielo con un sospiro. La luce nuova, ancora incerta e pallida, s'infilò fra le fessure della porta; le canne giallastre del soffitto rifletterono una dolcezza strana,

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brillante, preziosa come l'avorio.«Non posso, ne ho abbastanza...» mormorò nuovamente. Serrò i denti

dall'esasperazione. Fissò lo sguardo nel vuoto: tutta la sua vita gli passò davanti agli occhi, il bastone di suo padre che era fiorito il giorno del fidanzamento con sua madre, poi il fulmine che aveva abbattuto e para-lizzato il fidanzato, poi sua madre che lo guardava, lo guardava di continuo e non diceva niente. Lui sentiva, però, il suo muto lamento. Aveva ragione sua madre, i suoi peccati, giorno e notte, erano come altrettanti coltelli nel cuore, e aveva lottato invano, quegli ultimi anni, per vincere la paura: rimaneva essa sola, tutti gli altri demoni li aveva vinti, la povertà, il desi-derio di una donna, la gioia di un focolare, la giovinezza, l'unica che re-stava era la paura e doveva vincerla, esserne capace... in fondo era anche lui un uomo, e l'ora era giunta...

«Se mio padre rimane paralizzato, è colpa mia... Se Maddalena è diven-tata una prostituta, è colpa mia... Se Israele geme ancora sotto il giogo, è colpa mia...»

Un gallo, certamente nella casa vicina di suo zio il rabbino, batté le ali sul tetto e cantò con voce forte, incollerita; certamente ne aveva abba-stanza della notte, era durata troppo e l'animale gridava al sole di apparire.

Appoggiato al muro, il giovane lo ascoltava. La luce cominciava a illu-minare le case, le porte si aprivano, le strade si animavano; dalla terra, da-gli alberi, dalle porte delle case, saliva lentamente il mormorio del mattino: Nazareth si svegliava. Un profondo sospiro giunse dalla casetta vicina, immediatamente seguito dal grido selvaggio del rabbino che svegliava Id-dio e gli ricordava la parola data a Israele. «Dio d'Israele», gridava, «Dio d'Israele, fino a quando?»

Il giovane scosse il capo. «Prega», mormorò, «si prosterna, chiama Id-dio, adesso batterà sul muro affinché io pure m'inchini.» Corrugò la fronte in segno di collera. «Come se Iddio da solo non bastasse, mi ci vogliono anche gli uomini!» disse, colpendo col pugno la parete divisoria per mo-strare al feroce rabbino che era sveglio e che pregava.

Si alzò di colpo; la veste rattoppata gli scivolò dalle spalle scoprendo il suo corpo, esile, abbronzato e coperto di chiazze rosse e blu; raccolse rapi-damente la veste e ricoprì la sua carne nuda, pieno di vergogna.

Dalla finestrella, la pallida luce del mattino cadde su di lui e illuminò delicatamente il suo viso: non era testardaggine, sofferenza, orgoglio. La peluria delle guance era divenuta una barba ricciuta, tutta nera; il naso ar-cuato, le labbra carnose, socchiuse, lasciavano intravedere lo splendore dei

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denti. Non era bello quel viso, ma aveva un fascino segreto, inquietante: era forse per le ciglia, folte, lunghe, che gettavano un'ombra azzurrina su tutto il viso? O era forse per gli occhi, neri come il carbone, pieni di luce e di notte, spaventati e dolci allo stesso tempo? Scintillavano come quelli del serpente, fissavano attraverso le lunghe ciglia procurando un senso di vertigine.

Fece cadere i trucioli che gli erano rimasti appiccicati alle ascelle e alla barba; il suo orecchio aveva individuato dei passi pesanti che si avvicina-vano e che egli riconobbe.

«E ancora lui, ritorna, ma che cosa vuole?» pensò con furia avvicinan-dosi alla porta per udire meglio.

Ma si fermò d'improvviso, spaventato; chi aveva spostato il bancone contro la porta, chi vi aveva ammucchiato la croce e gli strumenti da lavo-ro? Chi? Quando? La notte è piena di spiriti maligni, piena di sogni; dor-miamo ed essi trovano le porte aperte, entrano ed escono e mettono sotto-sopra la nostra casa e la nostra mente.

«Qualcuno è venuto stanotte nel mio sonno», mormorò a. bassa voce, come se temesse che fosse ancora lì e che potesse udirlo. «Qualcuno è venuto, sicuramente Dio, oppure il demonio; chi può mai saperlo? I volti si sovrappongono; talvolta Dio diventa tenebre, talvolta è il demonio a tra-sformarsi in luce e l'anima dell'uomo ne è confusa.» Rabbrividì; dove diri-gersi? C'erano due strade, quale scegliere?

I passi pesanti diventavano sempre più vicini; il giovane gettò uno sguardo angosciato attorno a sé, quasi cercasse un posto in cui nasconder-si, per sfuggire. Temeva quell'uomo; era, nel fondo della sua anima, una vecchia ferita che non poteva rimarginarsi. Quando erano ancora bambini l'altro, che aveva tre anni anni più di lui, l'aveva gettato in terra e l'aveva picchiato. Lui si era rialzato, senza dire niente, ma non era più andato a giocare con gli altri bambini, aveva vergogna, paura. Rannicchiato nel cortile della sua casa, da solo, meditava in che modo, un giorno, avrebbe potuto togliersi di dosso quella vergogna, mostrar loro che era più forte di tutti, capace di vincerli tutti. Dopo tanti anni la ferita era ancora aperta e sanguinava.

«Perché mi perseguita ancora?» mormorò. «Che cosa vuole da me? Non gli aprirò!»

Un calcio fece tremare la porta; il giovane balzò in piedi e, con tutte le sue forze, spostò il bancone e aprì. Sulla soglia c'era un colosso dalla barba rossa e ricciuta, molto agitato, scalzo e senza camicia. Aveva in mano una

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pannocchia di granoturco abbrustolita e la stava mangiando. I suoi occhi frugarono il laboratorio e si posarono sulla croce appesa al muro. Con espressione accigliata l'uomo avanzò ed entrò, accovacciandosi poi in un angolo a sgranocchiare freneticamente la sua pannocchia, senza parlare. Il giovane, con la testa rivolta dall'altra parte, in piedi, guardava attraverso la porta aperta l'angusta stradicciola appena sveglia. Non si era ancora alzata la polvere e c'era un odore di terra bagnata; la luce e il fresco della notte s'erano fermati sulle foglie dell'ulivo proprio lì davanti e tutto l'albero sor-rideva. Il giovane, estasiato, respirava la vita del mattino.

Ma il Rosso si voltò urlando:«Chiudi la porta, devo parlarti!»Quella voce brutale! Il giovane ebbe un sussulto; chiuse la porta, si

sedette sull'orlo del bancone e attese.«Eccomi», disse il Rosso, «è tutto pronto.»Tacque, gettò via la pannocchia, alzò gli occhi azzurri e freddi fissando

lo sguardo sul giovane; il collo grosso e rugoso era teso:«E tu, sei pronto?»Ora la luce si era fatta più intensa e il viso dell'uomo dai capelli rossi si

distingueva chiaramente: tagliato con l'accetta, incoerente, non uno ma due. Quando una metà rideva, l'altra terrorizzava, quando una metà aveva un'espressione di dolore, l'altra rimaneva immobile, come pietrificata. E quando le due metà, per un istante, si riconciliavano, si potevano sentire ancora, in quell'unione. Dio e il demonio, che, irriducibili, lottavano.

Il giovane rimase muto. Il Rosso, rabbioso, lo inchiodò con lo sguardo. Chiese ancora:

«E tu, sei pronto?»Stava già alzandosi per afferrarlo per un braccio, scuoterlo, svegliarlo,

obbligarlo a rispondere; ma non ne ebbe il tempo. Si udì il suono di una tromba, degli uomini a cavallo invasero la stradicciola e, dietro di loro, si udirono, pesanti e regolari, i passi dei soldati romani; il Rosso strinse i pu-gni e, alzandoli verso il soffitto, gridò:

«Dio d'Israele, è giunta l'ora. Oggi, non domani, oggi!»Si voltò verso il giovane.«Sei pronto?» chiese ancora e, senza attendere la risposta, aggiunse:«No, no, non consegnerai loro la croce, te lo dico proprio io! Il popolo

si è riunito, Barabba stesso è sceso dalle montagne con i suoi uomini, distruggeremo la prigione e libereremo lo Zelota e allora il miracolo, non scuotere il capo, il miracolo avverrà. Domandalo a tuo zio il rabbino. Ci ha

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riuniti tutti, ieri, nella sinagoga. Tu perché non sei venuto? Si è alzato e ci ha parlato: 'Il Messia non verrà', gridava, 'non verrà finché rimarremo a braccia conserte. Dio e il popolo devono combattere insieme affinché giun-ga il Messia!' Ecco che cosa ci ha detto, se vuoi saperlo. Dio non basta, il popolo non basta, ci vogliono tutti e due insieme, hai capito?»

Lo prese per un braccio e cominciò a scuoterlo.«Capisci? A che cosa pensi? Avresti dovuto essere lì e ascoltare tuo zio

per chiarirti le idee, disgraziato! Dice che lo Zelota che i Romani infedeli vogliono crocifiggere oggi, è forse Colui che noi stiamo aspettando da generazioni e generazioni; se non lo aiutiamo, se non ci precipitiamo a salvarlo, sappilo, morirà senza rivelare chi è. Se ci precipitiamo a salvarlo, avverrà il miracolo. Che miracolo? Butterà via i suoi stracci e sul suo capo brillerà la corona reale di Davide. Siamo scoppiati tutti a piangere. Il vecchio rabbino ha alzato le braccia al cielo e ha gridato: 'Dio d'Israele, oggi, non domani, oggi!' Abbiamo tutti alzato le braccia, guardato il cielo, gridato, minacciato, singhiozzato: 'Oggi, non domani, oggi!' Capisci, figlio del falegname, o sto parlando inutilmente?»

Il giovane, con gli occhi socchiusi, lo sguardo fisso sul muro di fronte a lui, dove era appesa la cinghia dai chiodi appuntiti, ascoltava attentamente; soffocati dalla voce aspra e minacciosa dell'uomo dai capelli rossi, si udi-vano dalla camera di fianco i suoni strozzati, rauchi, emessi dal vecchio padre che muoveva le labbra senza tregua e che lottava e si sforzava, inva-no, di parlare... Le due voci si mescolavano nel cuore del giovane, che im-provvisamente capì quanto fosse vano e inutile lo sforzo degli uomini.

«Si può sapere a che cosa stai pensando? Capisci che cosa dice il fra-tello di tuo padre, il vecchio Simeone?»

«Il Messia non viene così...» mormorò il giovane; teneva gli occhi fissi sulla croce che aveva appena finito di costruire e sulla quale, dolce e ro-sata, cadeva la luce dell'aurora. «No, il Messia non viene così, non rinnega mai i suoi stracci, non porta una corona da re, il popolo non si precipita a salvarlo. Non lo si salva. Muore con i suoi stracci. Tutti, anche i più fedeli, l'abbandonano. Muore solo, sulla vetta di una montagna solitaria e porta sulla testa una corona di spine.»

Il Rosso si girò, lo guardò con apprensione; metà del viso brillava, l'al-tra metà era tutta scura.

«Come fai a saperlo? Chi te lo ha detto?»Ma il giovane non rispose; saltò giù dal bancone. Ora era pieno giorno.

Raccolse il martello e una manciata di chiodi e si avvicinò alla croce. Ma il

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Rosso fu più veloce: con un balzo arrivò fino alla croce e incollerito si mi-se a darle dei pugni e a sputarvi sopra, come se fosse stata un essere umano. Si girò, i suoi baffi, la barba, le sopracciglia pungevano il viso del giovane.

«Non hai vergogna?» gridò. «Tutti i falegnami di Nazareth, di Cana, di Cafarnao, hanno rifiutato di fabbricare una croce per lo Zelota, e tu?... Non hai vergogna? Non hai paura? Se il Messia arriva e ti trova intento a fab-bricare la sua croce? Perché non hai avuto il coraggio, anche tu, di rispon-dere al centurione: 'Non fabbrico croci per gli eroi d'Israele?'»

Afferrò nuovamente un braccio del falegname che era completamente assente, e gli chiese:

«Perché non rispondi? Che cosa stai guardando?»Gli diede un colpo, lo spinse contro il muro.«Sei un vigliacco», aggiunse con voce sprezzante, «un vigliacco, ecco

cosa sei! Non combinerai mai nulla nella vita.»Una voce penetrante squarciò l'aria. L'uomo dai capelli rossi mollò il

giovane, girò il capo verso la porta e prestò ascolto. Si udì un gran tumul-to; uomini, donne, una gran folla, delle grida: «Il banditore! Il banditore!» La voce penetrante si levò nuovamente:

«Figli e figlie di Abramo, d'Isacco e di Giacobbe! Ordine dell'imperato-re, aprite le orecchie e ascoltate: chiudete botteghe e taverne, non andate a lavorare nei campi. Madri, portate con voi i vostri bambini. Vecchi, pren-dete i vostri bastoni. Venite tutti, zoppi, sordi, paralitici, venite a vedere! Venite a vedere come si torturano coloro che si ribellano al nostro capo, l'imperatore. Che gli sia concessa lunga vita! Venite ad assistere alla morte dello Zelota ribelle e fuorilegge!»

Il Rosso aprì la porta e vide la folla che taceva, sconvolta; vide il bandi-tore in piedi su un grande sasso, era un uomo esile, dal collo lungo e le lunghe gambe. «Sii maledetto, traditore», borbottò, richiudendo rabbiosa-mente la porta. Si voltò verso il giovane; la bile gli era salita fin negli occhi.

«Mi congratulo con te per il figlio di tuo padre, Simone il traditore!» gridò.

«Non è colpa sua, ma mia», disse il giovane preso dal rimorso. «Sono io...»

E subito aggiunse:«È per colpa mia che mia madre l'ha cacciato da casa, per colpa mia... e

lui, adesso...»

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Metà del viso del Rosso, illuminato per un istante dalla compassione, si addolcì.

Il giovane rimase a lungo in silenzio. Le sue labbra si muovevano, ma la lingua pareva annodata. Finalmente riuscì a dire:

«Con la mia vita, Giuda, fratello mio, con la mia vita... Non ho altro».L'uomo dai capelli rossi sussultò; la luce ora entrava nella stanza attra-

verso le fessure della porta e dalla finestrella del soffitto. Gli occhi del gio-vane brillavano, grandi e neri, e la sua voce era colma d'amarezza e di paura.

«Con la tua vita?» fece il Rosso e afferrò il mento del giovane. «Non girare la testa, sei un uomo, vero? Guardami negli occhi; con la tua vita? Che cosa vuoi dire?»

«Nulla.» Abbassò la testa, in silenzio. E di colpo gridò:«Non mi chiedere nulla, non mi chiedere nulla, Giuda, fratello mio!»Giuda prese fra le mani il viso del giovane, lo alzò e lo guardò a lungo

senza fiatare. Poi, dolcemente, lo lasciò. Si diresse verso la porta. Il suo cuore era sconvolto.

Fuori i rumori erano diventati più intensi; si poteva udire il fruscio di piedi nudi e di ciabatte strascicate e l'aria risuonava con il tintinnio dei braccialetti di rame delle donne e dei grossi anelli che portavano alle caviglie. In piedi sulla soglia, il Rosso osservava la folla che si riversava incessantemente dalle stradicciole e che diventava sempre più massiccia. Saliva verso la collina maledetta dove ci sarebbe stato il supplizio. Gli uomini non parlavano. Bestemmiavano fra i denti, sbattevano i bastoni sui ciotoli; altri stringevano in seno, nascosto, un coltello. Le donne urlavano, molte avevano scoperto il capo, si erano sciolti i capelli e già intonavano il canto funebre.

Davanti, capo del gregge, camminava Simeone, il vecchio rabbino di Nazareth. Basso di statura, curvo per gli anni, rattrappito da una brutta tisi: una struttura di ossa rinsecchite tenute insieme da un'anima incrollabile che impediva loro di cedere. Le mani erano scheletriche e, simili agli arti-gli di un uccello, stringevano il bastone sacerdotale, con l'impugnatura de-corata da due serpenti intrecciati. Quel morto vivente aveva l'odore di una città che brucia: si sentiva, vedendo le fiamme nei suoi occhi, che quella vecchia carcassa, ossa, carne e peli, era tutta in fuoco e quando apriva la bocca per gridare: «Dio d'Israele!» del fumo saliva sopra la sua testa. Die-tro di lui venivano in fila, appoggiandosi ai bastoni, gli anziani, dalle so-pracciglia folte, la barba a due punte, l'ossatura solida; seguivano gli uo-

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mini, le donne e, per ultimi, i bambini, ognuno con in mano una pietra e qualcuno anche con una fionda, gettata sulle spalle. Avanzavano tutti assie-me, e producevano un ruggito basso e sordo, come quello del mare.

Appoggiato allo stipite della porta, Giuda osservava uomini e donne e il suo cuore traboccava; sono questi, pensava mentre il sangue gli saliva alla testa, coloro che compiranno il miracolo, assieme a Dio. Oggi, non doma-ni, oggi.

Una donna robusta si staccò dalla folla. Era imponente, aveva il petto scoperto e lo sguardo torvo; si chinò, prese una pietra e la scagliò con for-za contro la porta del falegname, gridando:

«Che tu sia maledetto, crocifissore!»In un baleno, da una parte e dall'altra della strada, risuonarono grida e

bestemmie e i bambini afferrarono le fionde; il Rosso, con un colpo chiuse la porta.

«Crocifissore! Crocifissore!» Il clamore giungeva da ogni parte e la porta rimbombava sotto i colpi delle sassate.

Il giovane, inginocchiato davanti alla croce, piantava dei chiodi, pic-chiava violentemente con il martello, come per coprire il clamore e le be-stemmie che giungevano dalla strada; si sentiva ardere il petto e gli occhi gli lampeggiavano. Freneticamente, picchiava e picchiava, e il sudore gli colava giù dalla fronte.

Il Rosso s'inginocchiò, lo prese per un braccio, con rabbia gli strappò il martello dalle mani; diede un calcio alla croce, che si schiantò sul pavimento.

«La porterai?»«Sì.»«Non hai vergogna?»«No.»«Non te lo permetterò; la farò in mille pezzi.»Gettò uno sguardo attorno e tese una mano per afferrare una mazza.«Giuda, Giuda, fratello mio», disse il giovane lentamente, come se stes-

se pregando. «Non intralciare il mio cammino.»La sua voce era diventata, all'improvviso, profonda, tenebrosa, irricono-

scibile. Il Rosso ne fu turbato. Chiese con dolcezza:«Che cammino?» e attese. Guardava il giovane con emozione. Tutta la

luce ora gli cadeva sul viso e sull'esile torso; le labbra restavano serrate, come per sforzarsi di contenere un grido molto forte.

Il Rosso lo vide fragile e pallido e, nonostante la rabbia, sentì una stretta

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al cuore; gli sembrava che le guance del giovane diventassero ogni giorno più incavate, come se qualcosa lo consumasse. Era stato via solo poco tem-po, per il suo solito giro nei villaggi attorno a Genezareth; lavorava il fer-ro, fabbricava vanghe, vomeri, falci, e ferrava i cavalli. Si era affrettato a tornare a Nazareth perché aveva udito che si sarebbe crocifisso lo Zelota. In che stato l'aveva lasciato, il suo vecchio amico, e in che stato lo ritrova-va! Com'erano diventati grandi i suoi occhi, come s'erano strette le tempie e che cos'era quella tremenda amarezza che circondava la sua bocca?

«Che cosa ti succede? Perché ti stai consumando? Che cosa ti affligge?»Il giovane sorrise debolmente. La risposta era «Dio», ma si trattenne.

Era questo il grido che aveva dentro di sé e non voleva lasciarsi sfuggire.«Lotto», rispose.«Con chi?»«Non lo so, ma lotto.»Il Rosso fissò il giovane nel profondo degli occhi: li interrogava, li sup-

plicava, li minacciava, ma quegli occhi di carbone, inconsolabili, pieni di terrore, non rispondevano.

Di colpo l'anima di Giuda vacillò: mentre si chinava su quegli occhi scuri e muti, vide, o almeno credette di vedere, alberi, in fiore, acque az-zurrine, una folla d'uomini e in mezzo, dietro agli alberi in fiore, le acque e gli uomini, una grande croce nera che occupava tutta la volta celeste.

Spalancò gli occhi, si drizzò di colpo e volle parlare, domandare: «Ma saresti tu... tu...?» Ma le sue labbra rimasero mute; volle stringere a sé il giovane, abbracciarlo, ma la sue braccia, sospese nell'aria, erano come pietrificate.

Allora, quando il giovane lo vide con le braccia aperte, con i capelli ros-si ritti, gli occhi spalancati, lanciò un grido; il sogno terrificante della notte sorse dal fondo della sua anima, tutta quell'orda, i nani, gli strumenti per la crocifissione, le grida: «Scagliatevi su di lui, figlioli!» e il loro capo, l'uomo dai capelli rossi, ora lo riconosceva, era Giuda, il fabbro, che si gettava su di lui, beffardo.

Le labbra del Rosso si mossero. Balbettò:«Ma saresti tu... tu...?»«Io? Chi ?»Il Rosso non rispose. Si mordeva i baffi e lo guardava. Una metà del

viso era di nuovo splendente, l'altra immersa nelle tenebre. Nel suo spirito si mescolavano i segni e i prodigi che circondavano il giovane fin dal giorno della nascita e anche da prima... Il bastone di Giuseppe che, unico

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fra tutti i bastoni dei futuri sposi, era fiorito; il rabbino, che gli aveva dato la bella fra le belle, Maria, consacrata a Dio. Più tardi, il fulmine caduto il giorno del matrimonio, che aveva paralizzato lo sposo prima che potesse toccare la sua donna. E più tardi ancora, si disse che la sposa aveva annu-sato un giglio bianco e che il suo ventre aveva concepito un figlio... E il sogno che lei aveva avuto, pare, la notte in cui partorì: aveva visto il cielo che si apriva e gli angeli che scendevano e si mettevano in fila proprio come gli uccellini sul bordo del tetto della sua umile casa; facevano il nido e cantavano, altri custodivano la sa glia della sua dimora, altri entravano, accendevano il fuoco, scaldavano l'acqua per lavare il nascituro, altri anco-ra preparavano il brodo per la partoriente...

L'uomo dai capelli rossi si avvicinò lentamente, esitante, al giovane e si chinò su di lui; la sua voce, ora, era piena d'emozione, di preghiera e di timore:

«Saresti forse tu... tu...?» chiese ancora una volta senza il coraggio di finire la frase.

Il giovane sussultò, impaurito.«Io? Io?» disse con una risata breve e sarcastica. «Ma non mi vedi? Non

sono capace di parlare, non ho il coraggio di andare alla sinagoga, appena vedo delle persone fuggo, non rispetto, e senza vergogna, i comandamenti di Dio, lavoro il sabato...»

Tirò su la croce che era caduta, la rimise in piedi e afferrò il martello.«E ora, guarda, fabbrico croci e crocifiggo!» disse e si sforzò nuova-

mente di ridere.Il Rosso non disse nulla, era infuriato. Aprì la porta, una nuova folla,

agitata, avanzò dal fondo della strada. Vecchie spettinate, vecchi invalidi, zoppi, ciechi, lebbrosi, tutta la feccia di Nazareth, salivano, ansimando, e si trascinavano verso il colle della crocifissione. L'ora prefissa si avvici-nava. «È tempo che me ne vada», si disse il Rosso, «che mi mescoli alla gente, che ci lanciamo tutti assieme per fermare lo Zelota, e allora ve-dremo bene se è o non è il Redentore!» Ma esitava; improvvisamente sentì su di sé un vento gelido, no, non sarà neppure il crocifisso di oggi, Colui che la razza degli Ebrei attendeva da tanti secoli. «Domani! Domani! Da quanto ormai ce lo ripeti, Dio d'Abramo! Domani! Domani! Domani! Ma quando dunque? Siamo degli uomini, siamo stanchi, ormai!»

Era irritato. Fissò con occhi furenti il giovane che piantava dei chiodi, tutto appoggiato alla croce. «Ma sarà questo?» pensò rabbrividendo. «Sarà dunque questo, proprio lui, il crocifissore? Le vie di Dio sono tortuose,

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oscure; sarà forse questo?»Dietro alle vecchie e agli invalidi, indifferenti, silenziosi, avanzavano i

soldati della pattuglia romana, con i loro scudi, le lance e gli elmi di bron-zo. Spingevano davanti a loro quel gregge umano e guardavano gli Ebrei con disprezzo.

Il Rosso li osservava con occhi selvaggi. Il suo sangue divampò; si girò verso il giovane, come se fosse stata colpa sua, strinse i pugni e gli gridò:

«Me ne vado, fai quello che vuoi, crocifissore; sei un vigliacco, uno scellerato, un traditore, tu, proprio come tuo fratello, il banditore pubblico! Ma Dio lancerà le sue fiamme su di te, come ha fatto con tuo padre, e ti brucerà. Ecco che cosa ti dico. Ricordatene».

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Il giovane rimase solo. Si appoggiò alla croce e si asciugò il sudore dal-la fronte; il suo respiro era affannoso e per un momento tutto gli girò at-torno. Udiva la madre accendere il fuoco e cominciare a cucinare di buon mattino per avere il tempo di correre ad assistere alla crocifissione; tutte le sue vicine erano già andate. Il padre continuava a borbottare e si sforzava di muovere la lingua, ma solo la sua gola pareva fosse viva ed emetteva versi rauchi e striduli. Fuori, la strada era rimasta nuovamente vuota.

E mentre era in piedi, appoggiato alla croce, con gli occhi chiusi, senza pensare a nulla e ascoltando solo i battiti del cuore, sussultò bruscamente per il dolore; sentiva di nuovo l'invisibile uccello da preda affondare pro-fondamente gli artigli nel suo cranio. Mormorò: «È tornato... E tornato...» e si mise a tremare. Sentiva che gli artigli facevano buchi profondi, spez-zandogli le ossa e lacerandogli il cervello. Strinse i denti per non gridare. Si prese la testa fra le mani e si mise a stringerla come se avesse avuto paura che scappasse via. Mormorò: «È tornato... È tornato...» Tremava.

La prima volta aveva solo dodici anni, ed era seduto nella sinagoga, fra gli anziani; li ascoltava spiegare, sudanti e ansimanti, la parola di Dio. Aveva percepito una specie di formicolio proprio in cima alla testa, lento, leggero, dolce, come se qualcuno lo stesse carezzando. Aveva chiuso gli occhi, che dolcezza sconosciuta! Quell'ala lanuginosa che l'aveva sfiorato e l'aveva innalzato sino al settimo cielo doveva essere il Paradiso! Dalle palpebre abbassate, dalle labbra socchiuse per la felicità uscì un sorriso infinito, profondo, che toccava febbrilmente anche la sua carne. Gli anzia-ni, quando notarono quel sorriso mistico che divorava il bambino, capirono

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che Dio se l'era portato via tacquero.Passarono gli anni. Aspettava, aspettava, ma la carezza non ritornava.

Ed ecco che un giorno, era il giorno di Pasqua e la primavera meravigliosa, era andato a Cana, il paese di sua madre, per scegliersi una sposa. Aveva vent'anni, le sue guance erano coperte da una peluria spessa ricciuta, il suo sangue ribolliva, di notte non riusciva più a dormire; sua madre aveva approfittato della febbre della sua giovinezza ed era riuscita a portarlo a Cana, nel suo villaggio, affinché si scegliesse una moglie.

Era in piedi, aveva una rosa rossa in mano e guardava le ragazze del villaggio ballare sotto un gran pioppo dalle foglioline novelle. E mentre le osservava indeciso, desiderandole tutte e non avendo il coraggio di sce-gliere, d'improvviso, udì dietro di sé una risata cristallina come l'acqua fre-sca che sgorga dalle viscere della terra. Si girò e vide Maddalena, l'unica figlia del rabbino fratello di suo padre, dirigersi verso di lui, tutta in ghin-gheri, con anelli di bronzo alle caviglie, braccialetti, orecchini e sandali rossi, i capelli sciolti, ornata e ardita come un veliero spinto dal vento. Lo spirito del giovane ne fu colpito. «È lei che voglio!» gridò «È lei che voglio!» e protese la mano per donarle la rosa. Ma mentre tendeva la ma-no, dieci artigli si conficcarono nella sua testa, due ali batterono freneti-camente su di lui e imprigionarono le sue tempie. Gettò un urlo stridente e cadde in terra, con la schiuma alla bocca. Quell'infelice di sua madre, allora, gli ricoprì il viso con un fazzoletto, lo sollevò fra le braccia e, piena di vergogna, lo portò via.

Da quel giorno fu perso, finito. Nelle notti di luna piena, quando giron-zolava per i campi, oppure nel silenzio della notte di primavera, quando tutto è in fiore e profuma, ogni volta che stava per sentirsi felice, che stava per godere delle più semplici gioie dell'uomo, mangiare, dormire, ridere con gli amici, incontrare una ragazza per strada e pensare: «Mi piace», i dieci artigli si conficcavano in lui e il suo desiderio svaniva.

Mai, tuttavia, quegli artigli si erano piantati in lui con tanta ferocia co-me quel mattino; si accovacciò sotto il bancone con la testa fra le spalle e rimase a lungo così. Il mondo gli crollava attorno, dentro di sé non udiva che un brusio e, sopra la testa, un furioso battito d'ali.

A poco a poco, gli artigli abbandonarono la presa, si schiusero, liberaro-no lentamente prima il suo cervello, poi il cranio, poi la pelle della testa. Di colpo provò un gran sollievo e una grande stanchezza. Scivolò fuori dal suo nascondiglio sotto il bancone e si mise una mano sulla testa; si palpò i capelli pensando di essere pieno di buchi, ma, anche cercando bene, non

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sentì nessuna ferita sotto le sue dita e si calmò. Eppure, togliendo la mano dalla testa, la vide in piena luce e rabbrividì: era coperta di sangue.

«Dio si è scatenato», mormorò, «si è scatenato... Il sangue comincia a colare.»

Alzò gli occhi e si guardò attorno, ma non vide nessuno. Eppure fiutava nell'aria un odore acre d'animale da preda. «È ritornato... è qui vicino a me, sotto i miei piedi, sulla mia testa...» pensò con terrore.

Abbassò il capo e attese. L'aria era muta e immobile, e la luce giocava, pacifica e innocente, riflettendosi sul muro di fronte a lui e sul soffitto di. canne. «Non aprirò bocca, non dirò neppure una parola», decise fra sé e sé. «Forse avrà pietà di me e se ne andrà...»

Ma, appena presa quella decisione, aprì la bocca e parlò. La sua voce era lamentosa:

«Perché farmi sanguinare? Perché infuriarti.? Fino a quando mi perse-guiterai?»

Al principio non accadde nulla, ma improvvisamente qualcuno sopra di lui si mise a parlare; tese l'orecchio, ascoltò. Ascoltava e non smetteva di scuotere violentemente la testa come per dire: «No! No! No!»

Infine a sua volta aprì la bocca e la sua voce non tremava più.«Non posso! Sono analfabeta, fannullone, pigro, amo il buon cibo, il

vino, ridere, voglio sposarmi, avere dei bambini, lasciami in pace!»Tacque e tese l'orecchio:«Che cosa dici? Non capisco!»Appoggiò le mani su ambedue le orecchie per attutire il suono della

voce feroce che parlava sopra di lui. Con il viso contratto, trattenendo il respiro, ascoltava e rispondeva: «Sì, sì, ho paura... Che mi alzi per parlare? Per dire che cosa? Per dirlo come? Sono analfabeta, ti dico che non posso! Che? Il regno dei cieli? Me ne infischio, io, del regno dei cieli; è la terra che mi piace; voglio sposarmi, ti dico, sposare Maddalena, e peggio per me se è una prostituta, è colpa mia se lo è diventata, sono io che la salve-rò... No, non la terra, è Maddalena che voglio salvare; mi basta!... Parla più lentamente perché possa udirti!»

Mise la mano davanti agli occhi perché il soave chiarore che entrava dalla finestrella l'accecava; aveva gli occhi fissi in alto, al soffitto, e aspet-tava. Tratteneva il respiro e prestava orecchio. Mentre ascoltava, il suo viso brillava, astuto, soddisfatto e la luce illuminava le labbra umide che luccicavano; di colpo scoppiò a ridere.

«Sì, sì», mormorò. «Hai capito perfettamente; sì, apposta, lo faccio ap-

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posta; affinché tu mi detesti e vada a cercartene un altro, affinché io mi liberi di te!»

Acquistò fiducia: «Sì, sì, apposta; e per tutta la vita costruirò delle croci perché si crocifigga il Messia scelto da te!»

Mentre pronunciava queste parole prese dal muro la cinghia con i chiodi e se ne cinse il corpo. Guardò la finestrella; il sole, ora, era d'ac-ciaio. Doveva fare in fretta, era proprio a mezzogiorno, quando fa più cal-do, che doveva aver luogo la crocifissione.

S'inginocchiò, passò la spalla sotto la croce e la prese fra le braccia sol-levò un ginocchio per far leva, ma la croce gli parve pesantissima, impos-sibile da sollevare; si trascinò fino alla porta, traballando. Fece due o tre passi ansimando e quasi vi arrivò, ma, improvvisamente, le sue ginocchia cedettero, la testa gli cominciò a girare e cadde bocconi per terra, schiac-ciato dalla croce.

La casetta fu scossa da cima a fondo; si udì un grido di donna, la porta interna si aprì e apparve sua madre, slanciata, la pelle dorata e gli occhi grandi. La prima giovinezza era passata ed essa stava entrando nell'in-quieta e dolce amarezza dell'autunno. I suoi occhi erano cerchiati di blu, la bocca era decisa e ben disegnata, come quella del figlio, ma il mento era più forte. Aveva in capo un fazzoletto di lino viola e i, suoi soli gioielli erano un paio di lunghi orecchini d'argento, che tintinnavano quando si muoveva.

Dietro di lei, quando aprì la porta, apparve il padre, seduto sul letto, a torso nudo, livido, gonfio, con gli occhi sbarrati. Sua moglie gli aveva ap-pena dato da mangiare e stava ancora faticosamente ruminando pane, oli-ve, cipolle; i peli bianchi e ricciuti del suo petto erano pieni di saliva e di briciole. Di fianco a lui, il fatidico bastone che era fiorito il giorno del fi-danzamento; ora era solo legno secco.

La madre entrò, scosse il figlio per terra che si dibatteva sotto la croce e rimase a guardarlo senza precipitarsi a soccorrerlo. Ne aveva abbastanza di vedersela riportare a casa svenuto ogni momento, di vederlo errare nei campi e in luoghi deserti, passare giorni interi senza mangiare, rifiutare di lavorare e restare ore e ore con gli occhi fissi nel vuoto, inerte e come in-cantato. Era solo quando gli veniva ordinata una croce per crocifiggere degli uomini che si metteva al lavoro di tutta lena, giorno e notte, come un forsennato.

Non frequentava più la sinagoga, non voleva più tornare a Cana, né an-dare a nessuna festa, e le notti di plenilunio la sua ragione vacillava e l'in-

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felice madre lo udiva delirare e gridare come se combattesse con un demonio.

Quante volte era andata a gettarsi ai piedi del fratello del marito, il vec-chio rabbino, che aveva il potere di esorcizzare i demoni. Coloro che ne erano posseduti arrivavano da terre lontane ed egli li guariva. Ma quando ancora il giorno prima lei lo aveva implorato di salvarle il figlio, il vecchio aveva scosso il capo e le aveva detto:

«Maria, non è un demonio che tortura tuo figlio, è Dio. E io non posso far nulla.»

«Ma perché lo tortura?» domandò l'infelice madre. Il vecchio sospirò. «Perché lo ama, Maria.»

La madre lo aveva guardato, terrorizzata; era stata sul punto di aprire la bocca per porgli delle domande, ma il rabbino l'aveva fermata: «Questa è la legge di Dio. Non fare domande», aveva detto aggrottando le sopracci-glia e facendole cenno di andarsene.

Erano anni ormai che quel male durava. Maria, anche se era sua madre, ne aveva abbastanza; e ora che lo vedeva bocconi sulla soglia, con il san-gue che gli colava dalla fronte, non fece un gesto. Gemette dal più profon-do del cuore, ma non per il figlio, bensì per il proprio destino. Era stata molto infelice nella vita, con il marito, con il figlio, vedova prima di essere sposata, madre senza aver avuto figli. Invecchiava. Ogni giorno aveva qualche capello bianco in più senza aver conosciuto la giovinezza, il calore di un uomo, la dolcezza e l'orgoglio della donna sposata, la dolcezza e l'orgoglio della madre. A forza di piangere i suoi occhi erano diventati asciutti, tutte le lacrime che Dio le aveva concesso le aveva già versate e ora guardava il marito e il figlio senza potersi neppure disperare. E se talvolta piangeva ancora, lo faceva quand'era sola ed era primavera e guar-dava i campi lontani e sentiva il profumo degli alberi in fiore arrivare fino a lei; ma in quei momenti non piangeva né per il marito né per il figlio, ma per la propria vita perduta.

Il giovane si era rialzato e stava asciugando il sangue con il bordo della veste. Si girò, vide la madre che l'osservava con aria severa e ne fu irritato. Lo conosceva quello sguardo che non gli perdonava nulla, le conosceva quelle labbra strette, amare, ma non ne poteva più, ne aveva abbastanza anche lui di quella casa, di vecchi paralitici, di madri inconsolabili e di piccoli consigli quotidiani: «Mangia, lavora, sposati!»

La madre aprì le labbra serrate:«Gesù», disse in tono di rimprovero, «con chi ancora hai litigato sta-

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mattina presto?»Il figlio si morse le labbra dal timore che gli uscisse una parola dura;

aprì la porta, entrò il sole e, con esso, un vento polveroso, ardente, che ve-niva dal deserto. Si asciugò il sudore e il sangue dalla fronte, rimise la spalla sotto la croce e la sollevò senza pronunciare nemmeno una parola.

La madre raccolse nel fazzoletto i capelli che le si erano sciolti sulle spalle, e fece un passo per avvicinarsi al figlio. Ma quando lo vide in piena luce, sussultò: il suo viso cambiava a ogni istante, come l'acqua di un fiu-me che scorre! Ogni giorno lo vedeva come per la prima volta, scopren-dogli negli occhi una luce sconosciuta, un sorriso, a volte pieni di gioia, a volte di disperazione; quella luce vorace gli sfiorava la fronte, il mento, il collo e lo rodeva. Quel giorno, grandi fiamme nere ardevano nei suoi occhi.

Per un istante fu sul punto di gridargli, spaventata: «Chi sei?», ma si trattenne. «Ragazzo mio», disse, ma le sue labbra tremavano. Tacque e attese, perché non sapeva più se quell'uomo era suo figlio. Si sarebbe gira-to a guardarla, a parlarle? Ma lui non si girò; fece un movimento brusco per mettere a posto la croce sulla spalla e attraversò la soglia senza bar-collare.

La madre, appoggiata allo stipite, lo guardava avanzare d'un passo leg-gero sui ciottoli lungo la salita. Mio Dio, dove trovava tutta quella forza? Era come se al posto della croce ci fossero due ali che lo sollevavano.

«Signore Iddio», mormorò la madre sconvolta, «chi è? Di chi è figlio? Non assomiglia a suo padre, non assomiglia a nessuno, cambia ogni gior-no, non è uno, è molti; ne ho le vertigini.»

Si ricordò di una sera in cui lo teneva contro di sé, nel cortiletto, accan-to al pozzo; era d'estate e sopra di lei la pergola era carica d'uva. Lo stava allattando e, di colpo, si addormentò lasciandosi scivolare in un sogno in-finito. Le sembrò di vedere un angelo del cielo con in mano una stella, si-mile a una lanterna, con la quale illuminava la terra davanti a sé; si sarebbe detto che ci fosse una strada nella notte, piena di luce, sinuosa, come un serpente di fuoco che si consumava e veniva a spegnersi ai suoi piedi... E mentre, affascinata, guardava quello spettacolo chiedendosi dove potesse avere origine quella strada e perché venisse a finire proprio ai suoi piedi, alzò gli occhi e vide che la stella si era fermata proprio sulla sua testa e che all'inizio della strada erano apparsi tre cavalieri cinti da corone d'oro. Quando vide la stella fermarsi, diedero di sperone ai cavalli e balzarono in avanti. Maria, ora, distingueva benissimo i loro visi; quello al centro era un

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adolescente imberbe, dal colorito roseo e capelli biondi; alla sua destra c'era un uomo giallo, con la barba nera a punta e gli occhi a mandorla; alla sua sinistra un negro dai capelli bianchi e ricciuti, anelli di bronzo alle orecchie e denti splendenti. Prima che Maria avesse il tempo di osservarli a suo agio e di coprire gli occhi del figlio perché non fossero abbagliati dalla luce accecante, i tre cavalieri erano già lì, inginocchiati davanti a lei. Il piccolo aveva lasciato il seno e se ne stava ritto sulle ginocchia della madre.

Il primo ad avvicinarsi fu il giovane biondo; si tolse la corona dal capo e la depose umilmente ai piedi del bimbo. Fu poi la volta del negro, che si inginocchiò, estrasse dalla borsa una manciata di rubini e di smeraldi e li sparse con grande tenerezza sul capo del piccolo. E infine l'uomo giallo allungò la mano e dispose ai piedi del bambino una manciata di grandi piu-me di pavone, perché vi giocasse... Ma quello li guardava tutti e tre sor-ridendo, senza tendere le manine per prendere i regali.

Improvvisamente i tre cavalieri sparirono e si fece avanti un pastorello vestito con una pelle di pecora, con in mano una scodella di latte caldo; quando il piccolo lo vide si mise a saltellare sulle ginocchia della madre, chinò la testolina sulla scodella e cominciò a bere quel latte felice e insaziabile...

Appoggiata allo stipite della porta, la madre rivedeva nella mente quel sogno infinito e sospirò. Quante speranze le aveva dato quel figlio unico, quante predizioni avevano fatto coloro che dicevano la buona ventura, con che occhi lo guardava il rabbino stesso, come apriva le Scritture e leggeva i profeti sul capo del piccolo, come cercava sul suo petto, nei suoi occhi, sui suoi piedi per trovare un segno! Ma, ahimè! Con il passar del tempo le sue speranze erano svanite, il figlio aveva preso una cattiva strada, allon-tanandosi sempre più dal cammino degli uomini...

Strinse con forza il fazzoletto, sprangò la porta e s'incamminò lungo la salita per andare anche lei ad assistere alla crocifissione.

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La madre camminava e camminava; aveva fretta di perdersi tra la folla. Udiva le donne gridare seguite dagli uomini, infuriati, sporchi, ansimanti; poi venivano i vecchi e, dietro ancora, gli zoppi, i ciechi, gli infermi. La terra, sotto i passi degli uomini, strepitava mentre si sollevavano nuvole di polvere, l'aria era fetida e il sole, alto nel cielo, cominciava a scottare.

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Una vecchia si girò, vide Maria e lanciò una bestemmia; altre due di-stolsero lo sguardo e sputarono per scongiurare la mala sorte: e una giova-ne sposa rabbrividendo raccolse la sua veste, perché non fosse sfiorata dalla madre del crocifissore. Maria sospirò e nascose il capo nel fazzoletto viola; camminava sola, inciampando nei sassi per la fretta di sparire e per-dersi tra la folla. Sentiva il mormorio della gente attorno a lei, ma le sem-brava che il suo cuore fosse diventato di pietra e avanzava.

«Figlio mio, bambino mio caro», pensava, «figlio mio, fin dove sei giunto!» e mordeva un lembo del fazzoletto per non scoppiare in singhioz-zi.

Raggiunse il corteo nel punto in cui era più compatto, oltrepassò il gruppo degli uomini e si nascose fra le donne; si coprì la bocca con una mano, lasciando vedere solo gli occhi. Nessuno avrebbe potuto ricono-scerla e si calmò.

Improvvisamente udì un gran baccano dietro di sé. Gli uomini spinge-vano da parte le donne per poter passare davanti; erano ormai vicini alla caserma in cui Io Zelota era tenuto prigioniero ed erano impazienti di gettar giù la porta e liberarlo. Maria si fece di lato, si nascose sotto l'arco di una porta e guardò.

Fra barbe unte, capelli grassi e bocche schiumanti, il vecchio rabbino, sulle spalle di un colosso dall'aria feroce, agitava le braccia al cielo, gri-dando. Che cosa diceva? Maria tese l'orecchio e udì:

«Abbiate fiducia nel popolo d'Israele, figlioli: coraggio, avanti, tutti as-sieme; non abbiate paura; Roma non è che fumo. Dio soffierà e lo disper-derà! Ricordatevi dei Maccabei, ricordate come hanno cacciato e schernito i Greci, padroni dell'universo; e allo stesso modo noi pure cacceremo e scherniremo i Romani; non vi è che un Signore delle Potenze ed è il nostro Dio!»

Posseduto da Dio, il vecchio rabbino saltava sulle spalle del colosso; non aveva più la forza di correre, era invecchiato, consumato dai digiuni, le prosternazioni e le grandi speranze. L'enorme montanaro, tenendolo sul-le spalle, lo mostrava alla folla, agitandolo in aria come una bandiera.

«Ehi, Barabba», gridava la gente, «lo farai cadere!» Ma lui sballottava il vecchio con assoluta noncuranza, continuando per la sua strada.

Tutti invocavano Dio a gran voce, il vento sulle loro teste s'infuocò, del-le fiamme confusero cielo e terra e il cervello della gente vacillò. Il mondo fatto di pietre, d'erba e di carne divenne evanescente e dietro apparve l'al-tro mondo, fatto di fiamme e di angeli.

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Giuda si scatenò; allungò le mani e strappò il vecchio rabbino dalle spalle di Barabba, se lo gettò cavalcioni sulle sue e si mise a urlare: «Oggi, non domani, oggi!» Anche il rabbino s'infiammò e si mise a cantare, con voce flebile e morente, il salmo vittorioso; tutta la gente cantò in coro:

«Le nazioni mi hanno assediato; nel nome del mio Dio, le disperdo!»«Le nazioni mi hanno circondato; nel nome del mio Dio, le disperdo!»«Mi hanno circondato come uno sciame di vespe; nel nome del mio

Dio, le disperdo!»Ma mentre cantavano e disperdevano le nazioni nel loro spirito, videro

elevarsi davanti a loro, nel pieno cuore di Nazareth, la grossa costruzione quadrata, con i quattro angoli, le quattro torri, le quattro aquile gigantesche di bronzo: la fortezza del nemico, la caserma.

Dentro, il demonio era dappertutto, in ogni angolo: in cima alle torri or-nate dalle insegne gialle e nere di Roma, con le loro aquile; davanti alle mura, dove il centurione sanguinario di Nazareth, Rufo, sostava con la sua armata; e ancora più giù tra i cavalli, i cani, i cammelli, gli schiavi; e infine nel profondo fossato dove era tenuto lo Zelota, il ribelle, con i capelli lun-ghi, privato di vino e di donne. Questi, con solo un movimento della testa, avrebbe potuto far crollare tutto l'edificio maledetto sopra di lui, con gli uomini, gli schiavi, i cavalli e le torri; è così che Iddio colloca sempre la voce debole e disprezzata della giustizia alle basi del male.

Questo Zelota era l'ultimo discendente della grande stirpe dei Maccabei: il Dio d'Israele aveva teso la sua mano su di lui, lo proteggeva e non lascia-va sparire quella sacra fonte. Il vecchio re Erode, il dannato, aveva cospar-so di pece quaranta ragazzi e li aveva fatti bruciare come torce, di notte, perché avevano distrutto l'aquila dorata che quel re di Giudea, il traditore, aveva collocato sul frontone del Tempio, che, fino ad allora, non era anco-ra mai stato profanato. I congiurati erano quarantuno; ne avevano presi quaranta, lasciandosi sfuggire il capo che era stato messo in salvo dal Dio d'Israele. Si trattava proprio di quello Zelota, ancora adolescente imberbe, discendente della stirpe dei Maccabei.

Da allora, per lunghi anni, aveva vagato fra le montagne e combattuto per liberare la terra santa che Dio aveva donato a Israele. «Adonai è il no-stro solo maestro», proclamava, «non pagate le imposte ai principi del mondo, non lasciate che i loro idoli e le loro aquile insozzino il Tempio di Dio, non sgozzate buoi e pecore per sacrificarli al tiranno, all'imperatore. Non vi è che un solo Dio, il nostro; che un solo popolo, il popolo d'Israele; che un frutto su ogni albero della terra, il Messia.»

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Ma, improvvisamente, il Dio d'Israele aveva ritirato la mano dal suo capo e il centurione di Nazareth, Rufo, l'aveva fatto prigioniero. Alla noti-zia, contadini, operai, possidenti avevano lasciato i loro villaggi, e i pesca-tori accorrevano dal lago di Genezareth, mentre la voce andava di casa in casa, di barca in barca, raggiungendo anche i viaggiatori di passaggio per quelle contrade. «Si crocifigge lo Zelota, è perduto!» si diceva, ma talvolta era il contrario: «Salve, o fratelli, è arrivato il Redentore, prendete dei grandi rami di palme e recatevi, tutti assieme, a Nazareth, per dargli il ben-venuto!»

Il vecchio rabbino si sollevò sulle spalle dell'uomo dai capelli rossi, tese le braccia verso la caserma e cominciò a gridare:

«È là! È là! Il Messia è in piedi nel fosso e aspetta. Chi aspetta? Noialtri, il popolo d'Israele! Avanti, sfondate la porta, liberate il Salvatore, affinché egli ci liberi!»

«In nome del Dio d'Israele!» Barabba urlò selvaggiamente e brandì la sua accetta.

Il popolo ruggì, i coltelli fremettero nei petti in cui erano stati celati, i bambini preparano le loro fionde e tutti si lanciarono, Barabba in testa, contro il portone di ferro. Gli occhi erano accecati dalla grande luce di Dio e non videro aprirsi una bassa postierla e uscirne, con gli occhi pieni di lacrime e livida in volto, Maddalena. Il suo cuore aveva sentito pietà per colui che stava per morire ed essa era scesa, di notte, nel fosso, per dargli l'ultima gioia, la più dolce che questo mondo possa offrire. Ma il condan-nato apparteneva alla selvaggia tribù degli Zeloti e aveva giurato che, fino a quando la terra d'Israele non fosse stata liberata, non si sarebbe tagliato i capelli, non avrebbe bevuto vino né dormito con una donna. Per tutta la notte Maddalena era rimasta seduta di fronte a lui, guardandolo; ma lui guardava oltre, molto lontano, al di là dei neri capelli della donna. Guarda-va Gerusalemme, non quella sottomessa e prostituita, bensì la Gerusalem-me futura, la Santa, con le sue sette porte trionfali da fortezza, i suoi sette angeli guardiani e i settantasette popoli della terra stesi ai suoi piedi con la faccia per terra. Il condannato toccava il fresco petto della Gerusalemme futura e la morte spariva, il mondo s'addolciva, si spianava, riempiva il palmo della sua mano; chiudeva gli occhi, aveva il petto di Gerusalemme nella sua mano e pensava a una sola cosa: a quel Dio, non rasato, privo di vino e di donne, il Dio d'Israele. Per tutta la notte lo Zelota, con Gerusa-lemme sulle sue ginocchia, costruiva dentro di sé, come voleva lui, non fatto d'angeli e di nuvole, bensì d'uomini e di terre, tiepido d'inverno e fre-

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sco d'estate, il regno dei cieli.Il vecchio rabbino vide la sua infelice figliola uscire dalla caserma e

distolse lo sguardo; era la grande vergogna della sua vita, com'era potuta uscire dalle sue viscere, da lui che era puro e timoroso di Dio? Quale de-monio o quale angoscia inguaribile l'avevano fulminata e le avevano fatto prendere il cammino della vergogna? Un giorno era tornata da una festa a Cana e s'era messa a singhiozzare, voleva uccidersi, poi era scoppiata a ri-dere come una matta; si imbellettava, si ornava di gioielli, passeggiava per le strade; poi abbandonò la casa del padre e andò a piantare la sua tenda a Magdala, all'incrocio, proprio dove passano le carovane...

Aveva ancora il petto scoperto, avanzava nella folla senza vergogna, le labbra e le guance avevano perso il belletto, e gli occhi erano torbidi per le lacrime e per aver guardato quell'uomo per tutta la notte. Vide il padre vol-tare la testa, pieno di vergogna, ed ebbe un amaro sorriso; per lei la vergo-gna, il timore di Dio, l'amore del padre e l'opinione degli uomini non ave-vano più alcun valore. La si accusava d'avere in corpo sette demoni; ma non erano demoni, erano sette coltelli conficcati nel cuore. Il vecchio rab-bino si mise nuovamente a gridare affinché gli occhi della folla si volges-sero a lui e non vedessero sua figlia; bastava che Dio l'avesse vista, sareb-be stato Lui a giudicarla.

«Aprite gli occhi al vostro animo, guardate il cielo. Dio è sopra di noi, il cielo si è lacerato e gli eserciti degli angeli avanzano, l'aria è piena d'ali rosse e azzurre.»

Il cielo era infuocato, la folla alzò gli occhi e vide sopra di sé Iddio, ar-mato, che scendeva. Barabba levò la sua accetta e gridò: «Oggi, non doma-ni, oggi!» e il popolo si gettò sulla caserma, s'abbatté sul portone di ferro, armato di sbarre, scale e torce. Ma di colpo il portone si aprì mostrando la figura di due cavalieri in un'armatura di bronzo; se ne stavano immobili, lo sguardo fisso, la pelle dorata dal sole, i muscoli tesi, sicuri di sé.

Speronarono i loro cavalli, levarono le lance e, in un attimo, le strade furono piene di gambe e di schiene che fuggivano, urlando, verso la collina della crocifissione.

Era arida, pietrosa e coperta di spine, quella collina maledetta. Ogni pie-tra nascondeva gocce di sangue secco: ogni volta che gli Ebrei si ribella-vano e chiedevano la libertà, quella collina si copriva di croci e su quelle croci si ritorcevano e gemevano i ribelli. Di notte gli sciacalli venivano a mangiar loro i piedi e il mattino dopo arrivavano i corvi a cavargli gli occhi.

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Sotto la collina il popolo, ansimante, si fermò; altri cavalieri di bronzo s'abbatterono su di loro, volteggiarono, respinsero gli Ebrei e rimasero quindi immobili come una barriera. Era quasi mezzogiorno e la croce non era ancora arrivata; due fabbri che nessuno conosceva, sulla cima della collina, aspettavano con in mano i chiodi e il martello. C'erano, affamati, i cani del villaggio; le facce, girate verso la collina sotto il sole infuocato, bruciavano; occhi di carbone, nasi arcuati, guance scure, tempie ossute, sporche; e le donne, grasse, con le ascelle inzuppate, i capelli unti di sego, si scioglievano al sole emanando un cattivo odore.

Un gruppo di pescatori, dal viso, il petto e le braccia seccati dal sole e dal vento, con grandi occhi da ragazzi meravigliati, erano venuti dal lago di Genezareth per assistere al miracolo: lo Zelota, nel momento in cui i miscredenti l'avrebbero portato alla croce, avrebbe gettato via i suoi stracci e si sarebbe trasformato in un angelo con una spada. Erano arrivati il gior-no innanzi, di sera, con le loro ceste colme di pesci che avevano venduto a basso prezzo ed erano quindi finiti in una taverna dove avevano bevuto, s'erano ubriacati, avevano dimenticato perché erano venuti a Nazareth, s'erano ricordati delle donne e avevano cantato per loro, poi erano venuti alle mani e quindi si erano riconciliati; di buon mattino il Dio d'Israele era ritornato loro in mente, si erano lavati e messi in cammino, mezzo addor-mentati, per andare a vedere il miracolo.

Aspettavano, aspettavano, ne avevano abbastanza; presero qualche ba-stonata sulla schiena e rimpiansero di essere venuti.

«Io sono dell'idea di ritornare alle nostre barche, ragazzi», disse un pe-scatore vigoroso dalla barba grigia e ricciuta e la fronte come il guscio di un'ostrica. «Ricordate ciò che vi dico; crocifiggeranno anche questo e il cielo non si aprirà; la collera del cielo non ha fine, proprio come l'ingiu-stizia degli uomini. Che cosa ne dici, tu, figlio di Zebedeo?»

«Ciò che pure non ha fine è la stoltezza di Pietro», rispose uno di loro, un pescatore dalla barba arruffata e lo sguardo selvaggio, che si mise a ri-dere. «Non per farti arrabbiare, Pietro, ti son venuti i capelli bianchi, ma non ti è ancora venuto il cervello. In un secondo prendi fuoco e ti spegni, come la paglia. Non eri tu, alla fine, che sei venuto a chiamarci, correndo come un pazzo da una barca all'altra, gridando: 'Venite, fratelli, non è cosa di tutti i giorni assistere al miracolo; andiamo a Nazareth per vederlo!' E adesso bastano due colpi di bastone sulla schiena per confonderti e farti cambiare ritornello: 'Venite, figlioli, andiamocene!' Hanno proprio ragione a chiamarti Girandola'!»

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Due o tre pescatori, udendolo, si misero a ridere; un pastore, che puzza-va di capra, alzò il suo bastone e disse: «Non sgridarlo, Giacomo, anche se è una girandola. È il migliore di tutti noi, ha un cuore d'oro».

«Un cuore d'oro, hai ragione, Filippo», dissero tutti, e tesero le mani per adularlo e calmarlo.

Ma Pietro, furioso, ansimava; accettava tutto ciò che volevano, ma non sopportava di esser chiamato Girandola. Forse lo era, il più leggero soffio di vento poteva portarselo via, ma non perché aveva paura, lo faceva bensì perché aveva buon cuore.

Giacomo vide che il viso di Pietro si rabbuiava e ne provò dolore; gli dispiacque di aver parlato così aspramente al compagno più anziano di lui e, per cambiar discorso, disse:

«Dimmi, Pietro, che cosa ne è di tuo fratello Andrea? Sempre nel deser-to del Giordano?»

«Sempre, sempre», rispose Pietro sospirando. «Si è già fatto battezzare, pare, e pure lui mangia cavallette e miele selvatico, come il suo maestro, e che Iddio mi dia del bugiardo se non lo vedremo presto correre nei villaggi gridando anche lui: 'Pentitevi, pentitevi! Il regno dei cieli è qui!' Ma quale regno dei cieli? Ma non c'è più rispetto? Lo domando a voi.»

Giacomo scosse la testa, aggrottò le sopracciglia scure e disse:«Credo che stia succedendo la stessa cosa a mio fratello Giovanni, quel

furbacchione; anche lui è andato nel Monastero, laggiù nel deserto di Genezareth, per farsi monaco; pare che non sia fatto per essere pescatore e mi ha lasciato da solo con due vecchi e cinque barche a sbatter la testa contro il muro.»

«Ma che cosa gli mancava, a quello sciocco? Tutti i beni che il cielo poteva offrire, li aveva, che cosa gli è saltato in mente, proprio nel fior fiore della giovinezza?» chiese Filippo il pastore, mentre segretamente si rallegrava nel constatare che anche i ricchi avevano un tarlo che li rodeva.

«Di colpo si è messo a farsi cattivo sangue», rispose Giacomo. «Tutta la notte si girava e rigirava nel letto, come un adolescente che abbia bisogno di una donna.»

«Eh, be', doveva sposarsi, allora! Di fidanzate né aveva quante ne voleva!»

«Diceva che non voleva una sposa.»«E che cosa allora?»«Il regno dei cieli, anche lui, come Andrea.» I pescatori scoppiarono a

ridere.

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«Che bel piacere!» disse un vecchio pescatore, fregandosi le mani con aria cattiva.

Pietro stava per aprire la bocca per parlare, ma non ne ebbe il tempo; si udirono grida roche: «Il crocifissore! Il crocifissore! Eccolo!»

Le loro facce, sconvolte, si voltarono tutte assieme; in fondo alla strada apparve il figlio del falegname, che si arrampicava, inciampando, ansiman-do, con la croce sulle spalle.

«Il crocifissore! Il crocifissore!» ruggì il popolo. «Ecco il traditore!»I due fabbri videro dall'alto della collina la croce e si drizzarono di col-

po, tutti allegri, bruciati dal sole. Si sputarono sulle mani, presero le van-ghe e cominciarono a scavare una buca; di fianco, su una pietra, avevano appoggiato i grossi chiodi dalla testa appiattita, ne erano stati ordinati tre, ne avevano forgiati cinque.

Uomini e donne avevano formato una catena, tenendosi per mano, af-finché il crocifissore non potesse passare; Maddalena si staccò dalla folla e fissò lo sguardo sul figlio di Maria, che stava salendo. Il suo cuore traboc-cava di dolore. Ricordava i loro giochi, quando erano ancora bambini: lui aveva tre anni e lei quattro; che gioia profonda, indicibile, che gioia inde-scrivibile! Tutti e due sentivano per la prima volta, molto profondamente, oscuramente, che uno di loro era un uomo e l'altra una donna, due corpi, si sarebbe potuto dire, che un giorno erano stati un corpo solo. Un Dio impie-toso li aveva separati e ora le due parti si erano ritrovate e volevano ricon-giungersi, ridiventare un corpo solo. Mentre crescevano sentivano sempre più chiaramente la meraviglia di essere lui un uomo e lei una donna e si guardavano con muto terrore; aspettavano, come due belve, che il loro ap-petito si completasse, che la loro fame raggiungesse il massimo, che giun-gesse l'ora, per gettarsi l'uno sull'altra e per ricongiungere ciò che Dio ave-va separato. E una sera di festa, a Cana, nel momento in cui il suo amato tendeva la mano per darle il pegno del fidanzamento, la rosa, il Dio impie-toso si era gettato su di loro e li aveva separati di nuovo. E da allora...

Gli occhi di Maddalena si riempirono di lacrime. Fece un passo; colui che portava la croce le stava passando davanti.

«Crocifissore!» gridò con voce rauca, strozzata. Tremava.Il giovane si girò. Per un istante solo fissò su di lei i suoi grandi occhi

pieni di dolore; la bocca gli tremava convulsamente, ma abbassò subito la testa e Maddalena non ebbe il tempo di distinguere se era sofferenza, terrore o un sorriso. Ancora china su di lui, ansimante, Maddalena gli parlava:

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«Ma non hai vergogna? Non ti ricordi? Dove sei arrivato?»E le parve di udire subito la sua voce che le rispondeva. «No, no», lei

allora gli gridò, «non è Dio, disgraziato, non è Dio, è il demonio!»Intanto la folla premeva per impedirgli di passare; un vecchio alzò il

bastone e lo picchiò, due bifolchi, che erano scesi dal monte Thabor per assistere loro pure al miracolo, lanciarono i loro uncini e lo inchiodarono sul posto e Barabba agitava minaccioso l'accetta fra le mani. Il vecchio rabbino vide suo nipote in pericolo, si lasciò cader giù dalle spalle dell'uo-mo dai capelli rossi e corse a proteggerlo.

«Basta, figlioli», gridò, «non sbarrate la strada di Dio, è un grande pec-cato! Non impedite che si faccia ciò che è scritto! Che la croce passi, è Dio che la manda, che i fabbri preparino i chiodi, che colui che Adonai ha mandato salga sulla croce, non abbiate paura, abbiate fiducia. Questa è la legge di Dio: bisogna che il coltello entri nella carne fino all'osso, altrimenti non avverrà il miracolo! Ascoltate il vostro vecchio rabbino, fi-glioli, vi dico il vero: se l'uomo non arriva al bordo del precipizio, non gli cresceranno le ali sulla schiena.»

I bifolchi ritirarono i pungoli, i pugni lasciarono cadere le pietre che stringevano, e il popolo si scansò per liberare la strada di Dio. Il figlio di Maria, barcollando, con la croce sulle spalle, passò. Lontano, fra gli ulivi, si udì il canto delle cicale mescolarsi al vento; un cane, affamato, abbaiò di gioia sulla cima della collina; e più in là, in mezzo alla folla, una donna con un fazzoletto viola sul capo gettò un grido e svenne.

Pietro, ora, era in piedi, con la bocca aperta e gli occhi spalancati e guardava il figlio di Maria. Lo conosceva. La casa paterna di Maria, a Cana, era di fronte alla casa paterna di Pietro; i vecchi genitori di lei, Gioacchino e Anna, erano amici d'infanzia dei suoi. Erano sante persone, gli angeli frequentavano regolarmente la loro umile dimora e una volta i vicini videro Dio in persona, travestito da mendicante, varcare di notte la soglia della casa; avevano intuito che era Dio perché la casa di Gioacchino e Anna si era messa a vibrare come se ci fosse stato un terremoto. Nove mesi dopo avvenne il miracolo. La vecchia Anna, a sessant'anni, mise al mondo Maria. Pietro non doveva avere neppure cinque anni, ma ricordava che c'era stata una gran gioia e che tutto il villaggio era accorso, uomini e donne, a fare gli auguri; vi era chi portava latte o farina, chi datteri o miele, chi vesti per la neonata; tutti portavano regali, e la madre di Pietro aveva fatto da levatrice, faceva scaldare l'acqua, vi gettava dentro del sale e lava-va la neonata che piangeva... E ora, ecco il figlio di Maria: passa davanti a

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lui portando la croce e la gente gli sputa addosso e gli getta delle pietre... Mentre lo guardava il suo cuore era sconvolto. Che infelice il destino di quell'uomo, figlio di Maria; senza pietà, il Dio d'Israele l'aveva scelto per fabbricare croci, per crocifiggere i profeti! «È onnipotente», pensava Pietro rabbrividendo, «avrebbe potuto scegliere me, ma l'ho scampata. Ha scelto il figlio di Maria.» All'improvviso il cuore agitato di Pietro si tranquillizzò; provò di colpo una riconoscenza profonda per il figlio di Maria, che aveva preso e caricato sulle sue spalle il peccato.

E mentre Pietro rimuginava tutto ciò, il figlio di Maria, ormai senza fia-to, si fermò.

«Sono sfinito», mormorò, «sono sfinito», e si guardò attorno per cercare una pietra cui appoggiarsi, o qualcuno che lo aiutasse, ma non vide che mi-gliaia di occhi che lo guardavano con odio e dei pugni alzati contro di lui. Gli parve di udire un battito d'ali nel cielo, alzò gli occhi, ma non erano angeli, erano corvi. S'incollerì e, con ostinazione, avanzò risoluto per pro-cedere, per salire sulla collina, ma i sassi smottavano sotto i suoi piedi. Barcollò e scivolò in avanti; Pietro si precipitò su di lui e lo sostenne, gli prese la croce e se la caricò sulle spalle.

«Aspetta, ti aiuterò», gli disse, «sei stanco.»Il figlio di Maria si voltò, lo guardò e non lo riconobbe; tutto quel cam-

mino gli pareva un sogno, la sua schiena era stata improvvisamente solle-vata e ora volava nell'aria, come si vola nei sogni. «Non doveva essere una croce», pensò, «doveva essere un'ala!» Si asciugò il sudore e il sangue dal viso e, con passo deciso, seguì Pietro.

L'aria era come un fuoco che lambiva le pietre.In un simile braciere si potevano udire le teste scoppiare e i cervelli

bollire; in una simile fornace ogni confine fra le diverse cose si muoveva e si spostava: saggezza e follia, croci e ali, Dio e l'uomo.

Qualche donna pietosa cercò di rianimare Maria che aprì gli occhi e vide suo figlio, scalzo, scheletrico; stava per arrivare sulla cima e davanti a lui c'era un uomo che portava la croce. Sospirò, gettò uno sguardo attorno, come per cercare aiuto. Vide gli uomini del villaggio, i pescatori; stava per avvicinarsi a loro, appoggiarsi a loro, quando suonò la tromba, dalla caser-ma, e giunsero nuovi cavalieri sollevando una nuvola di polvere. Il popolo si scansò e, prima che Maria avesse avuto il tempo di salire su una pietra per guardare, i cavalieri avevano già preso posto, con i loro elmi di bronzo, i mantelli rossi, i cavalli fieri e vigorosi che calpestavano la folla.

Con le mani legate dietro la schiena, le vesti lacerate e macchiate di

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sangue, la lunga barba grigia arruffata e i lunghi capelli appiccicati alle spalle dal sudore e dal sangue, lo Zelota ribelle avanzava con gli occhi fissi davanti a sé.

Il popolo, alla sua vista, fu preso da terrore; era un uomo quello o, nascosto sotto gli stracci, un angelo o un demonio che celava fra le sue labbra strette un terribile e inconfessabile segreto? Il vecchio rabbino e il popolo si erano accordati per intonare tutti assieme a voce spiegata, al-l'apparire dello Zelota, il salmo guerriero: «Che i miei nemici siano disper-si!» per infondere coraggio al ribelle. Ma le gole erano chiuse; sentivano fin troppo che quell'uomo non aveva bisogno di coraggio, era al di sopra del coraggio, immobile, inattaccabile e teneva, fra le mani legate, la liber-tà. Lo guardavano con terrore e tacevano.

Il centurione, dalla pelle abbronzata dal sole dell'Oriente, precedeva il ribelle, legato con una fune alla sella del cavallo. Era ormai completamen-te disgustato dagli Ebrei. Erano dieci anni che vedeva croci e crocifissioni, dieci anni che chiudeva loro la bocca con terra e pietre per impedir loro di gridare, ma invano! Se ne crocifiggeva uno ed eccone migliaia a fare la coda, attendendo il loro turno, cantando sfacciatamente uno dei loro salmi su qualche loro re che non ha paura di morire. Avevano un loro Dio sanguinario che beve il sangue dei primogeniti e una loro legge, una bestia con dieci corna, mangiatrice d'uomini. Da dove prenderli? Come sconfig-gerli? Non temevano la morte; e colui che non teme la morte, il centurione vi aveva sovente riflettuto, lì in Oriente, colui che non teme la morte è im-mortale.

Tirò le redini del cavallo e si fermò. Gettò uno sguardo attorno su tutta quella massa di Ebrei, su quei visi incavati dagli occhi furbi e lucenti, le barbe unte, le zazzere grasse... Sputò disgustato; partire, partire, tornare finalmente a Roma, con i suoi bagni, i teatri, gli anfiteatri, e le donne pro-fumate. Si sentì disgustato dall'Oriente, dai suoi odori, dalla sua sporcizia e dagli Ebrei.

La croce era già piantata sulla cima della collina, i fabbri si asciugavano il sudore e il figlio di Maria si era seduto su una pietra a guardare la croce, il popolo e il centurione, guardava, guardava e non vedeva che un mare di teste e, al di sopra, un cielo infuocato.

Pietro gli si avvicinò, si chinò su di lui per parlargli e gli parlò, ma nelle sue orecchie ruggiva un mare in tempesta e non l'udì.

Il centurione fece un cenno con il capo e lo Zelota venne slegato; scrol-lò le spalle e cominciò a spogliarsi. Maddalena scivolò fra i cavalli, aprì le

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braccia e fu sul punto di avvicinarglisi, ma lui, con un gesto della mano, la respinse. Una vecchia donna altera, eretta, silenziosa, si fece strada fra la folla e lo prese fra le braccia; egli si chinò, le baciò ambedue le mani, la tenne a lungo abbracciata, poi girò il capo. La vecchia rimase ancora un momento in piedi, senza parlare, senza piangere, limitandoli a guardarlo.

«Ti benedico», mormorò, e andò ad appoggiarsi di fronte a lui, sulla roccia, con i cani dei fabbri che ansimavano, distesi nella poca ombra.

Il centurione saltò di nuovo in sella al cavallo, affinché tutti lo vedesse-ro e l'udissero; alzò la frusta in direzione della folla per far cessare il clamore e parlò:

«Ebrei; ascoltate le mie parole, è Roma che parla, silenzio!»Segnò con un dito lo Zelota che aveva gettato a terra i suoi stracci e

stava in piedi, al sole, e aspettava.«Quest'uomo che è ora in piedi e nudo davanti all'Impero Romano, ha

voluto tener testa a Roma; ha demolito, durante la sua gioventù, le aquile imperiali, ha raggiunto le montagne, ha cercato di convincere il popolo di raggiungere esso pure le montagne, di ribellarsi: è giunta l'ora, pare, in cui dalle vostre viscere uscirà il Messia che deve distruggere Roma! Tacete, non gridate: è un ribelle, un assassino, un traditore, sono questi i suoi cri-mini. E ora, Ebrei, ascoltate, ve lo chiedo, giudicate voi stessi; che suppli-zio merita?»

Tacque, gettò uno sguardo sulla folla sotto di lui e attese. Il popolo, sconvolto, rumoreggiava; le persone si urtavano, cambiavano di posto, si avventavano verso il centurione, arrivavano fino alle zampe del cavallo e, all'improvviso, tornavano indietro terrorizzate; quindi, come una marea, ricominciavano.

Il centurione si infuriò: diede di sperone al suo cavallo e avanzò fra la folla.

«Io chiedo», tuonò, «per un ribelle, un assassino, un traditore, qual è il supplizio?»

L'uomo dai capelli rossi balzò su, infuriato, non ce la faceva più a con-trollarsi, avrebbe voluto gridare: viva la libertà! Stava per aprire la bocca, ma il suo amico Barabba ebbe il tempo di afferrarlo e di tappargliela.

Per un bel po' non si udì che un rumore simile a quello del mare; nessu-no osava parlare, ma tutti gemevano sordamente, ansimavano, sospirava-no. E di colpo si udì una voce flebile e coraggiosa, che sovrastò quel bru-sio confuso. Tutti si girarono, pieni di felicità e di terrore: il vecchio rab-bino si era nuovamente issato sulle spalle dell'uomo dai capelli rossi, alza-

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va le mani scheletriche come per una preghiera, come per una maledizione, e gridava:

«Qual è il supplizio? La corona reale!»Il popolo rumoreggiò per coprire la sua voce, perché aveva pietà di lui.

Il centurione non udì, mise la mano all'orecchio e urlò:«Che cos'hai detto, vecchio rabbino?»«La corona reale!» ripeté il rabbino con tutta la sua forza. Il suo viso era

pieno di luce, ardeva mentre lui si agitava sulle spalle del fabbro, come se avesse voluto prendere il volo.

«La corona reale!» gridò nuovamente, felice di diventare la voce del suo popolo e del suo Dio e tese le braccia, come se lo stessero crocifig-gendo nell'aria.

Il centurione s'infuriò; scese dal cavallo, staccò la frusta dall'arcione e avanzò in direzione della folla. Camminava con passo pesante, smuoveva le pietre, avanzava in silenzio come un animale tarchiato, robusto, un bufa-lo o un cinghiale. Il popolo rimase quieto, trattenendo il respiro; non si udivano che le cicale negli uliveti lontani e i corvi impazienti.

Fece due passi, poi un altro, e si fermò; la puzza delle bocche spalan-cate e dei corpi sudati, lo colpì in pieno viso. Avanzò ancora, arrivò davan-ti al vecchio rabbino; questi guardava dall'alto delle spalle del fabbro il centurione e tutto il suo essere era raggiante di gioia. L'istante che aveva desiderato appassionatamente per tutta la vita era giunto, essere ucciso lui pure, come i profeti.

Il centurione strizzò gli occhi e l'inchiodò con lo sguardo; fece un gran-de sforzo e trattenne il braccio che già si era levato per sfracellare con un pugno la vecchia testa ribelle. Frenò la sua ira. Roma non aveva interesse a che egli uccidesse il vecchio: quel popolo maledetto e indomabile si sareb-be sollevato e avrebbe ripreso la guerriglia e Roma non aveva interesse a metter di nuovo la mano nel vespaio che erano gli Ebrei. Contenne il suo slancio, arrotolò la frusta attorno al suo braccio e si girò verso il rabbino. Parlò con voce roca:

«La tua persona, vecchio, è rispettabile solo perché io la rispetto; io, Roma, voglio accordarle un valore che essa non ha, ed è per questo che non leverò la mia frusta su di te. Ho udito il tuo giudizio e ora darò il mio».

Si girò verso i due fabbri che erano in piedi ai lati della croce e aspettavano.

«Crocifiggetelo!» gridò.

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«Ho dato il mio giudizio», disse con voce pacata il rabbino, «e tu hai dato il tuo, centurione; ma c'è ancora qualcuno, il più grande, che deve dare il suo.»

«L'imperatore?»«No, Dio.»Il centurione si mise a ridere:«A Nazareth sono io il portavoce dell'imperatore che, sulla terra intera,

è la voce di Dio; Dio, l'imperatore e Rufo hanno dato il loro giudizio».Così disse, srotolò la frusta dal braccio e andò sulla cima della collina

pestando per terra come un forsennato pietre e spini.«Dio te lo renda, maledetto, ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli!» mor-

morò un vecchio, alzando le esili braccia al cielo.I cavalieri di bronzo avevano circondato la croce mentre la folla rumo-

reggiava nervosamente, si alzava sulla punta dei piedi per vedere e trema-va d'angoscia: sarebbe avvenuto il miracolo? Molti scrutavano il cielo per vedere quando si sarebbe aperto, le donne avevano già scorto, nell'aria, ali multicolori; il rabbino, sulle larghe spalle del fabbro, si sforzava di vedere, fra le zampe dei cavalli e i rossi mantelli dei cavalieri, ciò che succedeva lassù, attorno alla croce. Era volto verso la vetta della speranza, verso la vetta della disperazione, guardava e non parlava, aspettava. Lo conosceva il vecchio rabbino, lo conosceva bene il Dio d'Israele; era spietato, aveva le sue leggi, il suo decalogo. Dava la sua parola, questo era vero, e la man-teneva, ma non aveva fretta. Aveva una sua misura e misurava il tempo, mentre le generazioni si succedevano le une alle altre; e quando finalmente la sua parola scendeva sulla terra, disgrazia, tre volte disgrazia per l'uomo che Egli sceglieva per confidargliela! Quante volte, dal principio alla fine delle Sacre Scritture, gli eletti di Dio si facevano uccidere senza che Dio avesse mosso una mano per salvarli! Perché? Perché? Non facevano essi la sua volontà? Oppure la sua volontà era quella che tutti i suoi eletti fossero uccisi? Il rabbino s'interrogava, ma non osava spingere oltre il suo pensie-ro. Dio è un abisso, pensava, un abisso al quale non voglio avvicinarmi!

Il figlio di Maria era ancora seduto in disparte, su una pietra, si abbrac-ciava le ginocchia e guardava. I due fabbri avevano afferrato lo Zelota, delle guardie romane si erano avvicinate, lo tormentavano ridacchiando, bestemmiando e cercavano di appoggiarlo sulla croce. I cani videro quella lotta, capirono e balzarono in piedi.

La vecchia donna altera abbandonò la roccia alla quale era appoggiata; si fece avanti.

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«Coraggio, figlio mio», gridò, «non gemere, non coprirti di vergogna!»«È la madre dello Zelota», mormorò il vecchio rabbino, «della nobile

famiglia dei Maccabei.»Avevano passato una grossa corda doppia sotto le braccia dello Zelota:

vennero appoggiate delle scale sotto le braccia della croce e si cominciò a issarlo lentamente. Era grande e pesante e la croce, per un istante, traballò come se stesse per cadere; il centurione diede un calcio al figlio di Maria, che si alzò titubante, afferrò la mazza e andò a fissare la croce con pietre e puntelli perché non cadesse.

Maria, sua madre, non ce la fece più. Ebbe vergogna di vedere suo fi-glio, il suo amato figlio, far tutt'uno con i crocifissori; con il cuore impie-trito si fece strada a gomitate tra i pescatori di Genezareth che ebbero pietà di lei e fecero finta di non vederla, e continuò a camminare in direzione dei cavalieri, per strappare suo figlio da lì e andarsene.

Una vecchia vicina ebbe pietà di lei, la prese per un braccio e la fermò.«Maria», le disse, «non fare così, dove vai? Ti uccideranno!»«Vado a tirar fuori mio figlio da lì», rispose Maria e scoppiò in sin-

ghiozzi.«Non piangere, Maria», le disse la vecchia. «Guarda l'altra madre che è

laggiù, in piedi, immobile e che vede crocifiggere suo figlio; guardala e fatti coraggio!»

«Non piango solo per mio figlio, vicina, piango anche per quella madre.»

Ma la vecchia, che aveva sofferto molto nella sua vita, scosse il capo dai radi capelli.

«È meglio essere la madre del crocifissore», mormorò, «che quella del crocifisso.»

Maria non udì, era andata avanti per la salita, con gli occhi pieni di lacrime che cercavano il figlio dappertutto; ma il mondo attorno a lei si era appannato anch'esso, si era offuscato e la madre distingueva in una bruma densa i cavalli, le armature di bronzo e, immensa, dalla terra fino al cielo, una croce costruita di fresco.

Un cavaliere si voltò, la vide, alzò la lancia e le fece cenno di andar-sene; la madre si fermò, s'abbassò e vide, al di sotto del ventre dei cavalli, il figlio inginocchiato che dava gran colpi con la mazza, per puntellare la croce con delle pietre.

«Figlio mio», gridò, «Gesù!»La sua voce era così penetrante da coprire ogni tumulto di uomini,

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cavalli e cani, che abbaiavano affamati. Il figlio si girò, vide la madre, il suo viso si offuscò e ricominciò a battere con ancor più furore.

I fabbri, arrampicati su scale di corda, avevano già disteso lo Zelota sulla croce e lo mantenevano legato con delle corde perché non scivolasse; allora presero i chiodi per inchiodargli le mani. Grosse gocce di sangue, calde, schizzarono sul volto del figlio di Maria; fu preso dal panico, lasciò cadere la mazza e si nascose dietro ai cavalli, ritrovandosi di fianco alla madre del condannato.

Tremava, attendeva il rumore della carne lacerata. Tutto il suo sangue si riunì nell'incavo delle palme delle mani, le vene si gonfiarono e batterono violentemente come se volessero scoppiare; gli sembrava di sentire in ogni palmo una goccia rotonda, come la capocchia di un chiodo, che gli faceva male. Si udì nuovamente il grido della madre:

«Figlio mio, Gesù!»Un gemito profondo e sordo risonò sulla croce, una voce selvaggia,

uscita non dalle viscere dell'uomo, ma dalle viscere della terra:«Adonai!»Il popolo l'intese e il suo cuore si spezzò; era esso stesso che aveva

gridato? La terra? O il crocifisso in cui veniva piantato il primo chiodo? Il tutto non era più che una cosa sola, tutti venivano crocifissi, il popolo, la terra, lo Zelota; e ruggivano. Il sangue sgorgò, schizzò i cavalli, una grossa goccia cadde sulle labbra del figlio di Maria, calda, salata e il crocifissore vacillò, ma la madre fece in tempo a prenderlo fra le sue braccia e non cadde.

«Figlio mio», mormorò ancora. «Gesù!»Ora egli aveva gli occhi chiusi: provava nelle mani, nei piedi, nel cuore,

dei dolori insopportabili.La vecchia madre, immobile, guardava il figlio torcersi sui due pezzi di

legno in croce, si mordeva le labbra e taceva; ma quando udì alle sue spal-le il figlio del falegname e sua madre, la collera s'impadronì di lei e si vol-tò. Eccolo l'ebreo apostata che aveva costruito la croce,per suo figlio, ecco la madre che l'aveva messo al mondo. Fu assalita dalla disperazione; che simili figli, dei traditori, vivano e che il mio si divincoli e urli sulla croce! Tese le mani verso il figlio del falegname, si avvicinò e si fermò di fronte a lui; egli alzò gli occhi e la vide, livida, selvaggia, inesorabile. La vide e abbassò il capo. Le labbra della donna si mossero:

«Ti maledico», disse con voce selvaggia e roca, «ti maledico, figlio del falegname, e così come hai crocifisso mio figlio, che un giorno tu pure lo

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sia!»Si girò verso la madre:«E il dolore che ho provato io, Maria, che possa pure tu provarlo!»Poi girò la testa e ricominciò a fissare il figlio.Maddalena teneva abbracciata la parte bassa della croce, toccava i piedi

dello Zelota e piangeva su di lui; i suoi capelli e le sue braccia erano rico-perti di sangue.

I fabbri si dividevano a coltellate le vesti del crocifisso; tirarono a sorte e si presero i suoi stracci. Rimaneva il fazzoletto che aveva portato in testa e che era macchiato da grosse gocce di sangue.

«Diamolo al figlio del falegname», dissero. «Poveretto, anche lui ha fatto un buon lavoro.»

Lo trovarono rannicchiato, seduto al sole, che rabbrividiva; gli gettaro-no lo straccio insanguinato.

«È la tua parte, amico», gli disse uno di loro. «E alla prossima!»L'altro rise.«E arrivederci alla tua, di crocifissione!» disse, dandogli una pacca ami-

chevole sulla schiena.

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«Andiamocene, figlioli», gridò il vecchio rabbino costernato e dispera-to, spalancando le braccia per radunare il suo gregge d'uomini e di donne. «Andiamocene! Devo rivelarvi un gran segreto, coraggio!»

Si misero a correre per le anguste stradicciole; i cavalieri incalzavano alle spalle, si sarebbe sparso ancora del sangue; le donne urlavano e spran-gavano le porte, e per ben due volte il vecchio rabbino cadde mentre corre-va. Si mise nuovamente a tossire e sputò sangue. Giuda e Barabba lo pre-sero in braccio e, ansimando come una muta di cani, giunsero alla sinago-ga e là si rintanarono. Riempirono ogni stanza e persino il cortile; quando furono tutti al sicuro sprangarono la porta della strada.

Appesi alle labbra del rabbino, aspettavano; fra tante delusioni, qual era il segreto che avrebbe svelato l'anziano per calmare il loro cuore? Erano anni ormai che venivano sballottati di disgrazia in disgrazia, di crocifissio-ne in crocifissione. Gli inviati di Dio arrivavano da Gerusalemme, dal Giordano, dal deserto, dalle montagne, cenciosi, incatenati, con la bava alla bocca, e tutti erano stati crocifissi.

Si levò un mormorio di collera; i rami d'albero, le palme che decorava-

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no i muri, le stelle a cinque punte e gli scritti sacri, sul tavolo, con le loro parole in lettere maiuscole, Popolo Eletto, Terra Promessa, Regno dei Cieli, Messia, non potevano più consolarli. La speranza era durata troppo, cominciava a diventare disperazione. L'uomo ha fretta, Dio no e non pote-vano più aspettarlo. Le immagini delle loro speranze, che coprivano i due muri della sinagoga, non riuscivano nemmeno più ad aiutarli.

Un giorno, il rabbino, mentre leggeva Ezechiele, era piombato in un'e-stasi divina, si era messo a gridare, a piangere, a ballare, senza riuscire a calmarsi; la morte del profeta era diventata la sua stessa carne; prese colori e pennelli, si barricò nella sinagoga e, colto da sacro furore, cominciò a stendere sui muri le sue visioni, per calmarsi: un deserto infinito, carni e ossa, montagne di ossa umane e, al di sopra, un cielo scarlatto come il fuoco. Una mano gigantesca saltava fuori dal mezzo di quel cielo e afferra-va il profeta Ezechiele per il collo e lo manteneva sospeso nell'aria. Ma la visione continuava e il rabbino coprì anche l'altra parete: Ezechiele, ades-so, era in piedi, sprofondato fra le ossa fino alle ginocchia e dalla bocca verdastra, dalle labbra socchiuse gli usciva una striscia su cui, in lettere color porpora, era scritto: «Popolo d'Israele, Popolo d'Israele, il Messia è arrivato!»

Le ossa si mettevano in fila, i crani, pieni di denti e di fango, si solleva-vano e quella mano terribile usciva dal cielo e teneva sul suo palmo, novel-la, risplendente, fatta interamente di smeraldi e rubini, la Gerusalemme Nuova.

Il popolo guardava le pitture, scuoteva il capo e mormorava; il vecchio rabbino si era incollerito:

«Perché mormorate ?» gridò loro. «Non credete al Dio dei nostri vec-chi? Un altro ancora è stato crocifisso, il Redentore si è avvicinato di un altro passo; ecco che cosa vuol dire crocifissione, uomini di poca fede!»

Prese un manoscritto dal tavolo e lo srotolò con gesti febbrili. Il sole en-trava dalla finestra aperta; una cicogna scese dal cielo e si posò su un tetto di fronte, come se essa pure avesse voluto ascoltare. Gioiosa, trionfale, la voce si levò da quel petto devastato: «Fate risuonare a Sion la tromba della vittoria! Proclamate a Gerusalemme il messaggio di gioia! Gridate: Geova è giunto fra il suo popolo! In piedi, Gerusalemme, in alto i cuori! Guarda: dall'Oriente all'Occidente il Signore sospinge i tuoi figli. Le montagne si sono appianate, le colline sono scomparse, tutti gli alberi emanano pro-fumi. Gerusalemme, indossa la tua veste di gloria; gioia al popolo d'Israele per i secoli dei secoli!»

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«Quando? Quando?» chiese una voce fra la folla; tutti si girarono; un vecchietto rattrappito come una prugna secca si sollevava sulla punta dei piedi e gridava: «Quando, quando, ordunque, vecchio?»

Il rabbino, in collera, ripiegò il testo delle profezie. «Sei impaziente, Manasse», disse. «Hai fretta?»

«Sì, ho fretta», rispose il vecchio mentre lacrime gli sgorgarono dagli occhi. «Non ho più tempo, sto per morire.»

Il rabbino tese le braccia e gli mostrò Ezechiele sprofondato fra le ossa.«Risusciterai, Manasse, guarda!»«Sono vecchio», ripeté, «sono cieco, non ci vedo più.»Intervenne Pietro. Il giorno stava per finire e quella notte sarebbe

dovuto tornare al lago di Genezareth; per la pesca. Aveva fretta anche lui.«Vecchio, ci hai promesso un segreto, per consolare il nostro cuore.

Qual è il segreto?»Tutti trattennero il fiato: si accalcavano contro il rabbino e quelli del

cortile che riuscivano a entrare, entrarono. Il caldo era soffocante, e l'odore umano intenso; qualcuno versò resina di cedro nell'incensiere per purifi-care l'aria.

Il vecchio rabbino salì su uno scanno, per non soffocare.«Figlioli», disse, asciugandosi il sudore. «Il nostro cuore si è riempito di

croci; la mia barba, da nera è diventata grigia e da grigia è diventata bianca, i miei denti sono caduti e ciò che il vecchio Manasse gridava, l'ho gridato anch'io per anni: 'Fino a quando? O Signore, fino a quando? Morirò dunque senza vedere il Messia?'

«Domandavo, domandavo e una notte è successo il miracolo: Dio mi ha risposto. No, non era quello il miracolo; ogni volta che lo interroghiamo, Dio risponde, ma spesso la carne è greve e le orecchie non sentono. Eppu-re quella notte io udii, fu quello il miracolo.»

«Che cos'hai udito? Dicci tutto, vecchio!» gridò di nuovo Pietro. Si fece strada a forza di gomiti e si fermò di fronte al rabbino. Il vecchio si chinò, guardò Pietro e sorrise:

«Anche Dio è un pescatore, Pietro, come te; esce di notte anche lui per pescare, quando la luna è quasi piena. E quella notte, la luna, tutta tonda, avanzava splendente nel cielo, bianca come il latte, compiacente, compli-ce. Non riuscivo a chiuder occhio, la casa intera mi pareva troppo piccola; mi inoltrai per i sentieri, mi allontanai da Nazareth, mi arrampicai molto in alto, mi distesi su una roccia con gli occhi fissi a sud, verso la santa Geru-salemme. La luna era china su di me e mi guardava come un essere umano

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e mi sorrideva; la guardavo anch'io, la sua bocca, le sue gote, le cavità dei suoi occhi, e sospiravo perché sentivo che lei mi parlava, mi parlava, nel silenzio della notte. E io non potevo udirla... Giù, sulla terra, non si muo-veva neppure una foglia, la pianura in cui il grano non era ancora stato mietuto aveva profumo di pane e dai monti che mi circondavano, il Tha-bor, il Ghelboe e il Carmelo scendevano come dei ruscelli di latte. Io pen-savo: 'Ecco la notte di Dio, questa luna piena dev'essere il viso notturno di Dio, ecco come saranno le notti nella Gerusalemme futura...'

«L'avevo appena pensato quando i miei occhi si riempirono di lacrime; la disperazione, la paura s'impossessarono di me. 'Sono invecchiato', grida-vo, 'dovrò dunque morire senza che i miei occhi abbiano contemplato il Messia?'

«Mi rialzai di botto; il furore divino era nuovamente entrato in me; slacciai la cinta, tolsi le vesti e rimasi al cospetto di Dio come mia madre m'aveva fatto, affinché vedesse che ero invecchiato, che mi ero rinsecchito e rattrappito come le foglie del fico in autunno, come l'uva che gli uccelli hanno becchettato e il cui grappolo secco si dondola nell'aria; affinché mi vedesse, che avesse pietà di me e che facesse svelto!

«E mentre stavo in piedi, nudo, davanti al Signore, sentivo la luce della luna attraversarmi la carne; ero diventato spirito per intero, mi ero unito a Dio e avevo udito la sua voce, non fuori di me, non sopra di me, ma dentro di me, da dove ci giunge la vera voce di Dio. Udii: 'Simeone, Simeone, non ti lascerò morire prima che tu abbia visto e toccato con le tue mani il Messia!' 'Ripetilo, o Signore!' 'Simeone, Simeone, non ti lascerò morire prima che tu abbia visto e toccato con le tue mani il Messia!' Il mio spirito barcollò di gioia; mi misi a battere le mani, a pestare i piedi, a ballare tutto nudo sotto la luna. Quanto durò quella danza? Il tempo di un baleno? Mille anni? Ero sazio, soddisfatto; mi rivestii, mi rimisi la cintura e ridiscesi ver-so Nazareth. I galli appollaiati sui tetti delle case, vedendomi, si misero a cantare, il cielo rideva, gli uccelli si svegliavano, le porte s'aprivano, mi veniva augurato il buongiorno e la mia povera casa scintillava tutta di rubi-ni: in alto e in basso, dalle porte e dalle finestre. Il legno, le pietre, gli uo-mini e gli uccelli attorno a me respiravano la presenza di Dio; e pure il centuriore, il bevitore di sangue umano, si fermò stupito, e mi chiese: 'Che cosa ti succede, vecchio rabbino, sembri una torcia accesa; attento a non appiccare il fuoco a Nazareth!' Ma io non gli risposi, per paura di insozzare la mia voce.

«Sono ormai anni che mantengo questo segreto bel più profondo del

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cuore. Era la mia gioia e lo assaporavo gelosamente, cori orgoglio, per me solo, e aspettavo; oggi, tuttavia, in questo giorno di lutto in cui una nuova croce è stata piantata nel nostro cuore, non ce la faccio più. Ho pietà del popolo e voglio rivelare la felice novella: Egli arriva, non è molto lontano, dev'essersi fermato a qualche pozzo per bere, a qualche forno per mangiare un pezzo di pane, ma non tarderà ad apparire; poiché Dio l'ha detto e ciò che dice non lo rinnega: 'Non morirai, vecchio Simeone, prima di aver vi-sto e toccato con le tue mani il Messia!' Ogni giorno sento che le mie forze se ne vanno sempre più, e più se ne vanno, più s'avvicina il Messia; ho ottantacinque anni, non può tardare ancora!»

Un uomo storpio, guercio e glabro, con il muso magro e appuntito, si alzò. «E se vivrai mille anni, vecchio? E se non morirai mai, vecchio? E già successo anche questo. Enoch ed Elia vivono ancora!» disse, muoven-do gli occhietti loschi e cattivi.

Il rabbino fece finta di non aver udito, ma le sibilanti parole del guercio erano altrettante pugnalate al cuore. Alzò la mano con un gesto imperioso:

«Voglio rimanere solo con Dio, andatevene!»La sinagoga si vuotò, la gente si disperse, il vecchio rabbino rimase so-

lo; sprangò la porta della strada, s'appoggiò contro il muro, dove il profeta Ezechiele era appeso in aria, e sprofondò nelle sue riflessioni. «È Dio», pensava. «È, onnipotente, fa ciò che vuole; e se quel furbacchione di Tom-maso avesse ragione? Disgraziato me se Dio decide che io viva mille anni! E se decide che io non muoia mai? Allora il Messia? È ben vana la spe-ranza della razza d'Israele! Da migliaia d'anni porta il verbo di Dio in seno e lo nutre come una madre nutre il germoglio di vita che essa porta. Ci hai roso fino al midollo, ci siamo consumati, non viviamo che per quel Figlio, il seme d'Abramo è ormai giunto alle doglie, grida, liberalo, o Signore! Tu sei Dio, tu resisti; noi non ne possiamo più, pietà!»

Percorreva avanti e indietro la sinagoga. Era quasi il tramonto, le pitture impallidivano, la sera aveva inghiottito Ezechiele. Il vecchio rabbino os-servava attorno a sé le ombre che scendevano, ripassò nel suo spirito tutto ciò che aveva visto, tutto ciò che gli era successo durante la vita, quante volte e con che ardore era corso dalla Galilea a Gerusalemme, da Geru-salemme nel deserto, inseguendo il Messia. Ma vi era sempre una croce alla fine della sua speranza e tornava a Nazareth, pieno di vergogna. Eppure oggi...

Si prese la testa fra le mani.«No, No», mormorò con terrore, «no, no, non è possibile!»

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Erano ormai giorni e notti che la sua testa stava per scoppiare; una nuo-va speranza era entrata in lui, più grande della sua testa, una follia, un de-monio che lo rodeva. Non era la prima volta; da anni quella follia piantava gli artigli nel suo cervello e se lui la scacciava, essa ritornava. Di giorno non osava avvicinarsi, ma arrivava di notte, nell'oscurità oppure nei sogni. Oggi, però, oggi a mezza giorno... Se fosse stato lui?

S'appoggiò contro il muro, chiuse gli occhi; eccolo, passa di nuovo da-vanti a lui, ansimando, portando la croce e l'aria attorno a lui vibra; è così che essa deve vibrare attorno agli arcangeli... Alza gli occhi; mai il vecchio rabbino ha visto tanto cielo negli occhi di un uomo! «Sarà lui? Signore, Signore, perché mi torturi? Perché non rispondi?»

Le profezie, come lampi, laceravano il suo spirito; di tanto in tanto la sua vecchia testa si riempiva di luce, di tanto in tanto, disperata, era som-mersa dalle tenebre. Il suo ventre si apriva e ne uscivano i patriarchi; la sua razza riprendeva, in lui, la sua interminabile marcia; la razza dalla testa dura, dalle mille piaghe aperte con Mosè, l'ariete con la testa dalle corna ricurve, la sua marcia dalla terra della schiavitù fino alla terra di Cana e ora, dalla terra di Cana fino alla Gerusalemme futura. E in questa nuova marcia non era più Mosè che apriva il cammino, ma un altro, la testa del rabbino scoppiava, un altro, con una croce sulle spalle...

Con un balzo raggiunse la porta della strada e l'aprì; l'aria lo rinfrescò, riprese fiato; il sole si era nascosto, gli uccelli tornavano al loro nido per dormire; le stradicciole si riempivano d'ombra, la terra diventava più fre-sca. Chiuse la porta, si mise alla cinta la pesante chiave, esitò per un mo-mento, poi si decise e, ricurvo, si diresse verso la casa di Maria.

Maria era seduta nel cortiletto della sua casa, su un grande sgabello, e filava. C'era ancora luce, era d'estate e la luce si ritirava piano dalla faccia della terra, non voleva andarsene. La gente e gli animali da soma torna-vano dai campi; le donne accendevano il fuoco per preparare il pasto della sera; il crepuscolo sapeva di legno che brucia. Maria filava e il suo spirito andava e veniva con il fuso, i ricordi e l'immaginazione si confondevano, la sua vita era fatta metà di verità e metà di leggenda. L'umile lavoro quotidiano si susseguiva per anni e anni e, di colpo, come un pavone can-giante e inaspettato, ecco il miracolo che ricopre la sua vita di miseria con le sue lunghe ali dorate.

«Portami dove vuoi, o Signore, fai di me ciò che vuoi; sei tu che hai scelto il mio sposo, che m'hai concesso un figlio, che m'hai fatto soffrire.

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Tu mi dici: grida, e io grido; tu mi dici: taci, e io taccio. Che cosa sono? Una manciata d'argilla nelle tue mani e tu mi formi come vuoi. Fai ciò che vuoi, ma ti rivolgo soltanto una preghiera: Signore, abbi pietà di mio figlio!»

Un piccione bianco volò via dal tetto vicino, sbatté le ali per un istante sul suo capo, poi si posò, facendo la ruota, sui sassolini del cortile e si mise a passeggiare e a girare attorno ai piedi di Maria; spiegava la coda, rove-sciava il collo all'indietro, guardava Maria e i suoi occhietti tondi, nella luce del crepuscolo, scintillavano come rubini. La guardava, le parlava, doveva volerle rivelare un segreto; ah! se il vecchio rabbino fosse stato lì, lui che conosceva il linguaggio degli uccelli, le avrebbe spiegato... Guardò il piccione ed ebbe pietà di lui; smise di filare, lo chiamò con grande dol-cezza e quello, pieno di gioia, le balzò sulle ginocchia. E lì, come se quella fosse stata la meta del suo desiderio, come se quello fosse tutto il segreto, si rannicchiò, richiuse le ali e rimase immobile.

Maria sentì la sua leggerezza e sorrise. «Ah, se Dio potesse sempre scendere con questa leggerezza sull'uomo!» pensò. E pensando a ciò, si ri-cordò del mattino in cui lei e Giuseppe ancora fidanzati si erano arram-picati fino alla vetta del monte Carmelo, la montagna carezzata dalle nu-vole, per pregare l'ardente profeta Elia d'intercedere presso Dio affinché potessero avere un figlio che gli avrebbero consacrato. Dovevano sposarsi la sera stessa ed erano partiti prima dell'alba per ricevere la benedizione del profeta infuocato che trova, nel fulmine, la sua gioia. Il cielo era total-mente terso, l'autunno molto dolce, l'umano formicaio aveva raccolto la frutta, il mosto fermentava nelle giare, i fichi seccavano in collane appese alle travi; Maria aveva quindici anni, lo sposo aveva già la barba grigia e teneva nella sua mano robusta il fatidico bastone fiorito.

Raggiunsero la vetta santa a mezzogiorno; s'inginocchiarono e toccaro-no con la punta delle dita il granito aguzzo e macchiato di sangue. Trema-vano. La roccia sprigionò una scintilla che ferì il dito di Maria. Giuseppe aprì la bocca per gridare, per chiamare il selvaggio padrone della vetta, ma non ne ebbe il tempo. Dal cielo, nuvole cariche di collera e di grandine si scagliarono su di loro e volteggiarono, come una tromba d'acqua ruggente, sul granito aguzzo. E mentre Giuseppe si lanciava per afferrare la fidanza-ta, per andare a rannicchiarsi con lei in qualche grotta, Dio scagliò un ful-mine terribile, il cielo e la terra si confusero, Maria cadde all'indietro e svenne.

Quando riprese i sensi e aprì gli occhi per guardarsi attorno, vide Giu-

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seppe, caduto con la faccia sul granito nero, paralizzato.Maria tese una mano e carezzò il piccione sulle sue ginocchia, delicata-

mente, per non spaventarlo. «Quel giorno Dio s'è lanciato selvaggiamente su di noi», mormorò, «e mi ha parlato selvaggiamente... Ma che cosa mi ha detto?»

Il rabbino, sconvolto dai continui prodigi che la circondavano, glielo aveva chiesto molte volte.

«Cerca di ricordarti, Maria, qualche volta è così, proprio con il fulmine, che Dio parla agli uomini; sforzati di ricordare affinché possiamo scoprire il destino di tuo figlio», le diceva.

«Era il tuono, vecchio, piombava giù dal cielo come un carro di buoi.»«E dietro al tuono, Maria?»«Sì, hai ragione, vecchio. Dietro al tuono Dio parlava, ma non sono riu-

scita a distinguere una parola chiara, scusami.»Carezzava il piccione e si sforzava, dopo trent'anni, di ricordare il ful-

mine e di chiarire la parola nascosta...Chiuse gli occhi; nel cavo della mano sentiva il piccolo corpo caldo del

piccione e il suo cuoricino che batteva. E improvvisamente, senza sapere come, senza capirne il perché, fulmine e piccione non erano più che una cosa sola, il battito del cuore e il tuono, tutto era Dio. Maria lanciò un grido e si alzò di colpo, piena di spavento; per la prima volta, ora, udiva chiaramente la parola nascosta dietro al tuono, nel tubare del piccione.

«Ti saluto, o Maria...» Certamente Dio aveva pronunciato quelle parole. «Ti saluto, o Maria...»

Si girò, vide il marito, appoggiato al muro, aprire e chiudere la bocca; era già sera ed egli lottava e sudava ancora... Gli passò davanti, non gli dis-se nulla e si fermò sulla soglia per vedere se suo figlio veniva; l'aveva visto cingersi il capo e i capelli con un fazzoletto insanguinato del crocifisso, quindi scendere verso valle... Dov'era andato? Perché tardava? Avrebbe passato di nuovo la notte nei campi?

La madre rimase in piedi sulla soglia: vide giungere il vecchio rabbino che s'appoggiava pesantemente al bastone ansimando mentre la brezza della sera gli scompigliava i bianchi capelli.

Maria si scansò con rispetto, il rabbino entrò, prese la mano del fratello e la carezzò, senza parlare; che cosa mai avrebbe potuto dire? Il suo spirito era sommerso dall'oscurità; si girò verso Maria.

«I tuoi occhi brillano, Maria», le disse. «Che cos'hai? E venuto ancora il Signore?»

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«Ho trovato, vecchio», disse Maria, incapace di trattenersi.«Hai trovato? Ma che cosa, per grazia di Dio?» «Ciò che diceva il fulmine.»Il rabbino fece un balzo. «Il Dio d'Israele è grande», gridò alzando le

braccia al cielo. «È appunto per questo che son tornato, Maria, per doman-darti ancora... È che oggi hanno crocifisso una delle nostre speranze e il mio cuore...»

«Ho trovato, vecchio», ripeté Maria. «Stasera, mentre ero seduta e fila-vo e rivedevo nel mio spirito il fulmine, ho sentito in me, per la prima vol-ta, il tuono che si calmava e poi ho udito una voce serena, limpida, la voce di Dio: 'Ti saluto, o Maria!'»

Il rabbino si lasciò cadere su un panchetto e, prendendosi la testa fra le mani, s'immerse nelle sue riflessioni; dopo un po', sollevò di nuovo il capo.

«Null'altro, Maria? Cerca di penetrare nel fondo del tuo animo, per udi-re; dalle parole che usciranno dalla tua bocca dipende forse il destino d'Israele.»

Maria si spaventò nell'udire le parole del rabbino. Il suo spirito fu ri-preso dal tuono, il petto le tremava.

«No», mormorò, infine, sfinita. «No, vecchio... Ha detto anche molte al-tre cose, molte altre cose, ma non riesco a udirle.»

Il rabbino posò la mano sul capo della donna dai grandi occhi.«Digiuna e prega, Maria», disse. «Non disperdere il tuo spirito nelle

cose quotidiane; può forse essere che la luce del fulmine ci illumini? Non riesco a vedere: il tuo viso si muove. Digiuna e prega e udirai... 'Ti saluto, o Maria...', la parola di Dio comincia con bontà, sforzati di udirne il seguito.»

Per nascondere il suo turbamento, Maria si avvicinò agli scaffali in cui si riponevano le brocche, staccò una coppa di bronzo, la riempì d'acqua fresca, prese una manciata di datteri e si chinò per darli al vecchio.

«Non ho né fame né sete, Maria, ti ringrazio; siedi, devo parlarti.»Maria prese il panchetto più basso, si sedette ai piedi del rabbino, girò

la testa e attese.Il vecchio nel suo spirito pesava le parole una per una; ciò che voleva

dire era difficile, una speranza tenue come il filo di un ragno, e non riu-sciva a trovare parole abbastanza velate, abbastanza impalpabili per non dar loro troppo peso, farle diventare certezza. E non voleva neppure spa-ventare la madre.

«Maria», disse infine, «in questa casa si aggira come un leone del

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deserto, un mistero... Non sei come le altre donne, Maria; non lo senti?»«No, non lo sento, vecchio», bisbigliò Maria, «sono come tutte le don-

ne, amo le preoccupazioni e le gioie di tutte le donne, mi piace lavare, far da mangiare, andare alla fonte, chiacchierare piacevolmente con le mie vicine e, di sera, restare seduta sulla mia porta a guardare i passanti. E il mio cuore, come quello di tutte le donne, vecchio, è pieno di dolore.»

«Non sei come tutte le donne, Maria», ripeté il rabbino con voce solenne, e sollevò una mano come per impedire che rispondesse. «E tuo figlio...»

Il rabbino si fermò; trovare le parole era difficile. Guardò in alto nel cielo e prestò orecchio; alcuni uccelli, fra gli alberi, si raggruppavano per andare a dormire, altri stavano svegliandosi, la ruota girava, il giorno scendeva per porre fine alle fatiche degli uomini.

Il rabbino sospirò; come fuggono i giorni, con che rabbia, come uno scaccia l'altro; il giorno si leva, cade la notte, il sole passa, le lune passano, i bambini diventano uomini, i capelli neri diventano bianchi, il Mar Rosso, la terra, le montagne si sbriciolano, e Colui che è atteso ancora non appare!

«Mio figlio», disse Maria con voce tremante. «Mio figlio, vecchio... ?»«Non è come gli altri figli, Maria», rispose deciso il rabbino.Soppesò nuovamente le parole, poi aggiunse: «Talvolta la notte, quando

è solo e crede che nessuno lo veda, ha un ala ne attorno al viso, nell'oscu-rità. Io, che Dio mi perdoni, ho fatto un piccolo buco, in alto, sul muro; salgo su e da lì lo vedo, e spio quello che fa. Perché, te lo dico, ne ho la testa confusa, la mia sapienza non serve a nulla, apro e richiudo le Scrit-ture, non riesco a capire che cosa è, chi è... Lo guardo di nascosto e, nel-l'oscurità, distinguo una luce, Maria, che gli sfiora, gli divora il viso. E per-ciò che ogni giorno diventa più pallido e si consuma; non è una malattia, non è la preghiera né il digiuno; no, è quella luce che lo divora».

Maria sospirò. «Disgraziata la madre che ha un figlio che non è come gli altri...» pensò, ma rimase in silenzio.

Il vecchio si chinò verso la donna, abbassò la voce, le sue labbra brucia-vano.

«Ti saluto, o Maria», disse. «Dio è onnipotente, i suoi disegni sono im-penetrabili, tuo figlio, forse...» Ma l'infelice madre gettò un grido:

«Abbi pietà di me, vecchio! Un profeta? No! No! Se Dio così ha scritto, che lo cancelli! Voglio che sia un uomo come gli altri. Che pure lui fab-brichi, come un tempo suo padre, madie, culle, aratri, utensili per le case e non, come ora, delle croci per crocifiggere gli uomini. Che sposi una brava

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giovane di famiglia onorata, con una dote, che ami portare provviste nella sua casa, che abbia dei figli e che il sabato usciamo tutti insieme a pas-seggio, la nonna, i bambini; i nipotini e che la gente ci ammiri».

Il rabbino si appoggiò con fatica al bastone e si alzò.«Maria», disse severamente, «se Dio ascoltasse le madri, ammuffirem-

mo nel benessere e nella sicurezza; pensa a tutto ciò che abbiamo detto, ora che rimani sola.»

Si voltò verso il fratello per augurargli la buona notte; e lui, con i suoi occhi azzurri diventati sereni, con la lingua fuori, fissava lo sguardo nel vuoto, sforzandosi di parlare. Maria scosse il capo.

«Da stamattina lotta», disse, «e non è ancora riuscito a liberarsi.» Gli si avvicinò e gli asciugò la saliva che colava da quella bocca storta.

Nell'istante in cui il rabbino tendeva la mano per augurare la buonanotte a Maria, la porta si aprì e il figlio apparve sulla soglia. La notte era fonda, non si vedevano i suoi piedi pieni di polvere, coperti di graffi, né le grosse lacrime che gli scavavano dei solchi sulle guance.

Entrò, si guardò velocemente attorno, vide il rabbino e la madre e, vicino al muro, gli occhi vitrei del padre.

Maria fece il gesto di accendere la lampada, ma il rabbino la fermò.«Aspetta», disse, «voglio parlargli.»«Gesù», disse teneramente a bassa voce, affinché la madre non udisse,

«Gesù, figlio mio, fino a quando Gli terrai testa?»Si udì allora un grido selvaggio e la casetta ne fu scossa: «Fino a

quando morirò!»E di colpo, come se tutta la sua forza fosse venuta a mancare, si acca-

sciò in terra; si appoggiò contro il muro, ansimando, senza fiato. Il vecchio rabbino stava ancora per parlargli, si chinò su di lui, ma di colpo fece un salto indietro: come se si fosse avvicinato a un gran fuoco, si era bruciato il viso. «É Dio che lo circonda», pensò, «è Dio e non lascia che nessuno gli si avvicini; bisogna che me ne vada.»

Il rabbino se ne andò, meditabondo, chiudendosi la porta dietro le spal-le. Maria, come temendo una bestia feroce in agguato nell'ombra, non osa-va accendere la luce. In piedi al centro della stanza udiva il marito sin-ghiozzare, perso, e il figlio, accasciato al suolo con il fiato mozzo, respi-rare ansimando di terrore come se soffocasse o venisse soffocato. Ma chi lo soffocava? L'infelice madre, le unghie conficcate nel viso, chiedeva, ri-chiedeva, si lamentava con Dio. «Sono madre», gridava, «non hai pietà di me?» Ma nessuno rispondeva.

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E mentre, immobile e silenziosa, Maria udiva il palpitare di tutte le vene del suo corpo, si udì un grido selvaggio e trionfale: la lingua del paralitico si era sciolta e, sillaba dopo sillaba, l'intera parola finì per uscire dalla boc-ca storta e la casa ne rimbombò tutta: A - DO - NA - I! Appena pronuncia-ta, il vecchio piombò nel sonno come una pietra.

Maria si armò di coraggio e accese la lampada; si avvicinò al camino, s'inginocchiò, alzò il coperchio della pentola d'argilla che stava bollendo per vedere se c'era abbastanza acqua, se bisognava aggiungere sale...

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Il cielo era diventato di un colore lattiginoso, Nazareth dormiva e so-gnava. Sopra la sua testa la stella del mattino vibrava intensamente, i limo-ni e i datteri erano avvolti da un'ombra bluastra e il silenzio era profondo: neppure il gallo nero aveva ancora cantato. Il figlio di Maria aprì la porta, i suoi occhi erano segnati da occhiaie profonde, ma la sua mano non trema-va. Aprì la porta e, senza guardare indietro, senza vedere né la madre né il padre, senza richiudere la porta, abbandonò per sempre la casa paterna. Fece due o tre passi e si fermò: gli era sembrato di udire dei passi pesanti dietro di sé, si voltò, ma non c'era nessuno. Strinse la sua cintura di cuoio con i chiodi, annodò sui capelli il fazzoletto ancora macchiato di sangue e s'inoltrò nelle stradicciole strette e tortuose. Un cane gli guaì vicino, una civetta, sentendo l'avvicinarsi del giorno, svolazzò spaventata sulla tua testa. Passò in fretta davanti alle porte chiuse e s'incamminò verso i campi. I primi uccelli cominciavano già a cinguettare, in un orto un vecchio, attac-cato al braccio di un pozzo, girava. Il giorno cominciava.

Non aveva né sacca, né bastone, né sandali e il suo cammino era lungo: Doveva attraversare Cana, Tiberiade, Magdala, Cafarnao, costeggiare il la-go di Genezareth, arrivare fino al deserto... Aveva sentito dire che da quel-le parti c'era un monastero di uomini semplici e virtuosi, vestiti di bianco. Non mangiavano carne, non bevevano vino, non toccavano donne; prega-vano Dio, aiutavano i poveri di spirito e guarivano le malattie del corpo, conoscevano incantesimi mistici e cacciavano i demoni dall'anima. Quante volte suo zio rabbino, sospirando, gli aveva parlato di quel santo monaste-ro! Era stato monaco laggiù per undici anni, lodando Dio e guarendo gli uomini; ma, ahimè, un giorno si era lasciato prendere dalla tentazione, an-che quella era onnipotente, aveva visto una donna, rinunciato alla vita ca-sta e abbandonato l'abito talare. Si era sposato e aveva generato Maddale-

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na. Dio aveva punito l'infedele come meritava.«È là che andrò, è là che mi riparerò, sotto la sua ala...» mormorò il

figlio di Maria e affrettò il passo.Che gioia! Da quanto tempo l'aveva desiderato, fin dai suoi dodici anni,

abbandonare la casa e i genitori, farla finita con i consigli della madre, i borbottii del padre e le piccole preoccupazioni quotidiane che rosicchiano l'anima! Scuotersi dai piedi la polvere degli uomini e andarsene, rifugiarsi nel deserto. E finalmente si era scosso, lasciando tutto dietro di sé, abban-donando il cammino degli uomini e lasciandosi trascinare in quello di Dio. Era finalmente libero!

Il viso livido e sofferente s'illuminò per un istante Forse gli artigli di Dio l'avevano tormentato per tanti anni solo per condurlo là, dove si stava recando di sua volontà, senza nessuna costrizione. La sua volontà comin-ciava dunque a mescolarsi con quella di Dio? Non era quello il maggiore, il più difficile dovere dell'uomo? Non era quella la gioia?

Si sentì il cuore leggero. Non v'erano più artigli ormai, non v'erano più lotte e grida. Dio era giunto di buon mattino, pieno di compassione, come un lieve soffio d'aria fresca e gli aveva detto: andiamo! Lui aveva aperto la porta e ora che pace, che felicità! «Non ne posso più», disse, «alzerò la te-sta e canterò il salmo della liberazione: 'Tu, mio rifugio, mia protezione, Signore...'» Il suo cuore non era abbastanza grande per contenere la gioia, che traboccava. Camminava nella delicata luce dell'aurora, fra tutte le gra-zie di Dio, gli ulivi, i vigneti, i campi di grano. Il salmo della gioia usciva dal suo petto e saliva fino al cielo. Alzò il capo, aprì la bocca ma, di colpo, gli mancò il fiato: aveva appena udito, in quell'istante e chiaramente, il ru-more di due piedi nudi che correvano dietro di lui. I passi si avvicinavano, rallentò, prestò orecchio; i due piedi nudi rallentarono pure loro. Gli si piegarono le ginocchia, si fermò, i passi si fermarono.

«So chi è», mormorò mettendosi a tremare. «Io so...» Ma si fece forza, si girò bruscamente per avere il tempo di vedere:

nessuno.Dalla parte in cui sorgeva il sole il cielo era diventato viola, non v'era

neppure un alito di vento, le spighe erano mature, piegavano il capo e aspettavano la falce. Nessuno, né uomo, né animale. La pianura si estende-va all'infinito e lontano, in direzione di Nazareth, da una o due case comin-ciava a salire del fumo; le donne si svegliavano.

Si rassicurò un poco. «Bisogna che non perda tempo», pensò, «bisogna che mi metta le gambe in spalla, che giri attorno alla collina là in basso,

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che mi allontani dalla sua vista...» e si mise a correre.Attorno a lui il grano era ad altezza d'uomo. Proprio lì, in quella pianura

di Galilea, erano nati il grano e la vite e qualche ceppo selvaggio ancora si arrampicava sui fianchi della collinetta. Si udì, in lontananza, il cigolio di un carro di buoi. Gli asinelli si drizzavano sulle zampe, annusavano l'aria, agitavano la coda e si mettevano a ragliare. Arrivarono le prime mietitrici, fra risate e chiacchiere; le falci, ben affilate, scintillavano; il sole vide le donne e si precipitò sulle loro braccia, sulle schiene, sulle gambe.

Videro da lontano il figlio di Maria che correva e scoppiarono a ridere.«Ehi, dietro a chi stai correndo?» gli gridarono. «C'è qualcuno che ti

segue?»Ma quando il giovane fu più vicino e lo videro in viso, lo riconobbero.

Tacquero tutte e si strinsero l'una all'altra.«Il crocifissore», mormorarono, «il crocifissore, disgrazia gli venga!

L'ho visto ieri che crocifiggeva...»«Guarda il fazzoletto che ha sulla testa. È macchiato di sangue!»«È la sua parte delle vesti del crocifisso; il sangue dell'innocente ricade

sulla sua testa!»Fuggirono; ma con un nodo in gola, senza più ridere. Il figlio di Maria continuò il suo cammino. Lasciò dietro di sé le mieti-

trici, oltrepassò i campi di grano, arrivò ai vigneti sul fianco della collinet-ta. Vide un fico e volle fermarsi per tagliarne una foglia e odorarla; l'odore delle foglie di fico gli piaceva, gli ricordava l'ascella dell'uomo. Quand'era bambino, chiudeva gli occhi, l'annusava e gli sembrava di essere rannic-chiato in braccio alla madre, mentre poppava il latte. Ma quando si fermò e allungò la mano per cogliere la foglia, fu inondato da un sudore freddo: i due piedi che correvano dietro di lui s'erano anch'essi fermati di colpo. Fu preso dal terrore. Con il braccio ancora alzato girò lo sguardo tutt'attorno, ma non vide che solitudine, Dio, la terra bagnata e gocce d'acqua sulle fo-glie. Una farfalla, nell'incavo di una roccia, cercava di aprire le ali bagnate per volar via.

«Griderò», si disse, «griderò per calmarmi.»Quando rimaneva solo sulla montagna o, in pieno giorno, nella pianura

deserta, era forse troppa la gioia dentro di sé, troppa la tristezza o, più di tutto, la paura? Sentiva che Dio l'assediava da tutte le parti, e allora lancia-va un grido selvaggio, come se avesse voluto fare un salto disperato per fuggire. Talvolta cantava come un gallo, talvolta ululava come uno sciacal-lo affamato, e talvolta come un cane bastonato. Ma ora, nell'istante in cui

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apriva la bocca per gridare, vide la farfalla che cercava di schiudere le ali. Si chinò, la prese delicatamente e la depose su una foglia del fico che il so-le cominciava a carezzare.

«Sorella mia...» mormorò, «sorella mia...» e la guardò con compas-sione.

Lasciò dietro di sé la farfalla che stava riscaldandosi e riprese il cam-mino; udì subito, a qualche passo da lui, il rumore sordo dei piedi nudi sulla terra umida.

All'inizio, venendo da Nazareth, il rumore dei passi pareva giungere da molto lontano, si percepiva appena, ma a poco a poco prendevano corag-gio, si avvicinavano. «Fra un istante», pensava rabbrividendo il figlio di Maria, «mi raggiungeranno.» Poi mormorò: «Mio Dio, mio Dio, fammi ar-rivare presto al monastero, prima che essa abbia il tempo di gettarsi su di me!»

Il sole ora dominava la pianura, picchiava forte sugli uccelli, gli anima-li, gli uomini. Un brusio confuso si levò dalle terre, le capre e le pecore si mossero verso il fianco della collina, il piccolo pastore si mise a suonare il flauto, tutto, intorno, divenne calmo. Presto, quando avrebbe raggiunto il gran pioppo sulla sua sinistra, avrebbe visto l'allegro villaggio che tanto amava, Cana. Quando era ancora un adolescente imberbe e Dio non aveva ancora piantato i suoi artigli su di lui, vi era venuto con la madre per par-tecipare a feste rumorose! Quante volte, anche lui, aveva ammirato le ra-gazze di tutti i villaggi vicini, che ballavano sotto quel gran pioppo dal fo-gliame folto, battendo allegramente i piedi sul suolo. Ma un giorno, quando aveva vent'anni, e stava in piedi, sotto al pioppo, con una rosa in mano...

Rabbrividì. Improvvisamente gli comparve di nuovo davanti colei che aveva amato segretamente, amato mille volte; teneva, nascosti nel petto, a destra il sole e a sinistra la luna e il giorno e la notte gonfiavano e piega-vano la sua tunica diafana...

«Va' via! Va' via! Mi hanno consacrato a Dio e vado a parlare con Lui nel deserto!» gridò. Scappò correndo. Oltrepassò il pioppo, Cana si stese davanti ai suoi occhi, le case basse imbiancate con la calce, le terrazze quadrate, tutte dorate dai covoni di granoturco e le grosse zucche che sec-cavano al sole. Sedute con le gambe ciondoloni sul bordo delle terrazze, le ragazzine intrecciavano ghirlande di peperoni scarlatti, per decorare le case.

Passò con gli occhi bassi davanti a quella trappola di Satana e si af-

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frettò, per non veder nessuno e da nessuno essere veduto. I piedi nudi adesso pestavano violentemente il suolo e s'affrettavano anch'essi.

Il sole era alto nel cielo e si stendeva sul mondo intero: le mietitrici dondolavano le loro falci, cantavano e tagliavano il grano. Le manciate di spighe si trasformavano in un istante in bracciate, in ceste, in covoni che si rizzavano come torri, nelle aie. «Buon raccolto!» augurava frettolosamente il figlio di Maria ai padroni, continuando il suo cammino. Cana era scom-parsa dietro gli ulivi, l'ombra si raccoglieva sotto gli alberi, era quasi mez-zogiorno. E mentre il suo spirito era colmo di gioia nel guardare il mondo nutrirsi di Dio, gli giunse alle narici un gustoso profumo di pane appena uscito dal forno e di colpo si accorse di avere fame e, sentendola, tutto il suo corpo fremette. Da quanti anni non provava quella santa avidità di pane, e adesso....

Annusava l'aria con golosità, seguì il profumo, attraversò un fosso, pas-sò per un'aia, entrò nei vigneti e scoprì, sotto un ulivo rattrappito dal tron-co cavo, una piccola capanna dal cui tetto salivano volute di fumo. C'era una vecchia dal naso a punta e i gesti vivaci, che si agitava attorno al for-no; di fianco a lei un cane nero pezzato spalancava una grande bocca affa-mata, mostrando i denti. Quando udì i passi nel vigneto si gettò sull'intru-so, abbaiando. La vecchia, sorpresa, si voltò e scorse il giovane; i suoi oc-chietti senza ciglia brillarono, sembrava contenta di vedere apparire un uo-mo nella sua solitudine e si fermò con la pala in mano.

«Arrivi in tempo», disse. «Hai fame? Da dove giungi?» «Da Nazareth.»«Hai fame?» chiese ancora la vecchia e si mise a ridere. «Le tue narici

fremono come quelle di un cane da caccia.»«Ho fame, nonna, scusami.»«Perché ti scusi? Non è cosa vergognosa la fame, ragazzo mio, e nep-

pure la sete né l'amore; è Dio che dà tutto questo; avanti, avvicinati, non aver vergogna.»

Ridendo scoprì un unico, prezioso dente.«Qui troverai il pane e l'acqua; l'amore, più lontano, a Magdala.»Prese una pagnotta che aveva appoggiato sulla panca del forno, fra le

altre.«Tieni, questo è il pane che teniamo da parte ogni volta che facciamo

un'infornata. Lo chiamiamo il pane della cicala, è per i viandanti, non è mio, è tuo, taglialo e mangialo.»

Il figlio di Maria si sedette sotto il vecchio ulivo e si mise a mangiare, quietamente. Com'era saporito quel pane, com'era fresca l'acqua e com'era-

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no dolci le due olive che la vecchia gli aveva dato assieme al pane: polpose come mele e coi noccioli piccoli piccoli! Masticava tranquillamente, man-giava, sentiva corpo e anima fondersi dentro di lui e diventare in quello stesso istante una sola cosa, ricevendo contemporaneamente il pane, le oli-ve e l'acqua. La vecchia, appoggiata al forno, l'osservava.

«Avevi fame», gli disse ridendo. «Mangia, sei giovane, hai ancora una lunga strada davanti a te, e molti ostacoli da superare. Devi mangiare per prendere forze, per farcela.»

Gli tagliò un'altra fetta di pane, gli dette altre olive; e poi si riannodò frettolosamente il fazzoletto che le era scivolato dalla testa e che aveva lasciato intravedere il suo cranio pelato.

«Dove vai, ragazzo?» chiese.«Nel deserto.»«Dove? Parla più forte!»«Nel deserto.»La vecchia fece una smorfia con la bocca sdentata e il suo sguardo di-

venne cattivo.«Al monastero?» gridò con una collera improvvisa. «Perché? Che cosa

vai a cercare laggiù? Non hai pietà della tua gioventù?»Il giovane rimaneva in silenzio. La vecchia scosse la testa pelata e sibilò

come un serpente: «Vai a cercare Dio?» chiese con tono sarcastico.«Sì.»La vecchia dette un calcio al cane che stava fra le sue gambe e s'avvi-

cinò al giovane.«Infelice», gridò, «Dio non è nei monasteri, è nelle case degli uomini!

Dove ci sono un uomo e una donna, c'è Dio, e anche dove ci sono bambini, preoccupazioni, litigi, riconciliazioni, anche lì c'è Dio. Non ascoltare ciò che dicono gli impotenti, per loro l'uva è troppo verde, allora certamente... È il Dio di cui ti parlo, quello delle case, non quello dei monasteri, che è il vero Dio, è questo che bisogna adorare, l'altro è per gli impotenti e i pigri!»

La vecchia parlava e, più parlava, più s'infuocava. Parlava, gridava, sca-ricò la sua bile e si calmò. Mise la mano sulla spalla del giovane.

«Scusami, ragazzo mio», disse, «ma avevo un figlio, solido come te. Un bel mattino gli ha dato di volta il cervello, ha aperto la porta e se n'è an-dato. È andato al monastero del deserto, dai guaritori, maledizione a loro, che non guariscano mai più! E l'ho perso. E ora faccia il pane, lo sforno, per dare da mangiare a chi? Ai miei figli forse? Ai miei nipoti? Sono

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rimasta come un ramo secco.»Tacque per un momento, si asciugò gli occhi, quindi riprese:«Per anni ho supplicato Dio, gridavo: perché sono nata? Avevo un fi-

glio, perché me l'hai preso? Gridavo e gridavo, ma non c'era verso che riu-scissi a farmi sentire! Solo una volta, sul monte del profeta Elia, a mezza-notte, ho visto aprirsi il cielo e ho udito una voce tonante che diceva: 'Grida pure, se ti fa piacere!' e il cielo si è richiuso. Da allora non ho più gridato».

Il figlio di Maria si alzò. Tese la mano per salutare la vecchia, ma quella ritirò la sua. Poi si mise di nuovo a sibilare come un serpente:

«È il deserto, allora, è il deserto che tenta anche te? Ma non hai occhi, ragazzo mio? Non vedi il sole, i vigneti, le donne? Vai a Magdala, te lo dico io, troverai ciò che fa per te! Non hai mai letto le Scritture? Io non voglio, dice Dio, non voglio preghiere e digiuni, voglio della carne! E que-sto significa, voglio che mi facciate dei figli!»

«Arrivederci, nonna», disse il giovane, «che Dio ti renda il pane che m'hai donato.»

«Che Dio renda a te pure, ragazzo mio», disse la vecchia, «che Dio ren-da a te pure il bene che m'hai fatto. Era ormai molto tempo che nessun uomo era passato dalla mia capanna; e, se ne passava qualcuno, era vec-chio...»

Egli riattraversò il vigneto, saltò oltre la siepe e si ritrovò sulla strada maestra.

«Non posso vedere della gente», mormorò fra sé e sé, «non voglio; anche il pane che mi offrono è fiele. Non c'è che un cammino per arrivare a Dio ed è quello che ho preso oggi; passa fra gli uomini senza toccarli e sbocca nel deserto. Ah! Ho fretta di arrivare!»

Aveva ancora quelle parole sulle labbra quando, dietro di lui, scoppiò una risata. Trasalì e si girò, una risata senza bocca sconvolgeva l'aria, sibilante, astiosa, aggressiva.

«Adonai!» Il grido uscì dalla sua gola strozzata. «Adonai!» Con i ca-pelli ritti in testa, guardava l'aria che ridacchiava; spaventato, si mise a correre e, subito, udì il calpestio di due piedi nudi che correvano dietro di lui.

«Non ci metteranno molto a raggiungermi... Non ci metteranno molto a raggiungermi», mormorava mentre correva.

Le donne stavano ancora mietendo, gli uomini portavano i covoni sull'aia e più in là altri li mondavano. Soffiava una brezza calda che trasci-

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nava con sé la pula, ricopriva la terra con una polvere d'oro e lasciava i pesanti chicchi di grano ammonticchiarsi sull'aia. I viandanti raccoglie-vano una manciata di grano, se la portavano alle labbra e auguravano ai padroni: «Che l'anno venturo sia altrettanto buono!»

In lontananza, fra due colline, apparve Tiberiade; gloriosa, appena co-struita, idolatra, piena di statue, di teatri e di donne imbellettate. Il figlio di Maria, scorgendola, s'impaurì. Una volta, quand'era ancora un bambino, vi era andato con suo zio rabbino, che era stato chiamato per esorcizzare i de-moni di una patrizia romana. Era il demonio del bagno che la possedeva, usciva tutta nuda nelle strade e rincorreva i passanti. Erano entrati nel suo palazzo; proprio in quel momento, la patrizia aveva avuto una crisi del suo male e correva, completamente nuda, verso la porta della strada, senza che gli schiavi riuscissero a trattenerla. Il rabbino aveva teso in avanti il suo bastone e l'aveva fermata. La donna, vedendo il ragazzo, gli si era gettata addosso e il figlio di Maria aveva lanciato un grido ed era svenuto. Da allora, al solo ricordo di quella impudica città, il suo sangue si ghiacciava.

«E una città maledetta, figliolo», gli diceva il rabbino. «Quando vi pas-serai, passaci svelto, guarda la terra ai tuoi piedi e pensa a Dio; e, credimi, quando andrai a Cafarnao, cerca di deviare da lì.»

L'impudica rideva al sole, la gente entrava e usciva dalle porte, a piedi e a cavallo. Stendardi con le aquile a due teste sventolavano sulle torri, armature di bronzo scintillavano. Un giorno il figlio di Maria aveva visto, stesa su della melma verdastra, fuori dalle porte di Nazareth, la carogna gonfia di una giumenta; nel suo ventre aperto, pieno di visceri misti a spazzatura, andavano e venivano eserciti di scarabei stercorari e su di essa ronzava un nugolo di grosse mosche verdi e dorate e due corvi avevano conficcato il loro becco appuntito nei due grandi occhi dalle lunghe ciglia e bevevano... La carogna riluceva, quasi risuscitata da tutta quella vita che abitava in essa, sembrava si rotolasse nell'erba novella, felice, ebbra di gioia, con le sue quattro zampe ferrate tese verso il cielo.

«Come la carogna della giumenta così è Tiberiade», mormorò il figlio di Maria e non riusciva a staccar gli occhi dalla città; così erano anche Sodoma e Gomorra e così è ancora, l'anima peccatrice dell'uomo...

Un vecchio robusto passò da lì in groppa al suo asino, lo vide e si fermò.

«Perché resti qui con la bocca aperta, ragazzo?» disse. «Non la conosci? È la nostra nuova principessa, Tiberiade la prostituta. I Greci, i Romani, i Beduini, i Caldei, i Boemi, gli Ebrei, le saltano addosso e non riescono a

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domarla. Puoi credere a quanto ti ho detto, non riescono a domarla come due più due fa quattro!»

Tirò fuori dalla sua bisaccia delle noci e gliele offrì.«Hai l'aria di un uomo bravo e povero», disse. «Prendile per sgranoc-

chiarle per strada e augura cose buone al vecchio Zebedeo di Cafarnao.»Aveva una barba bianca a due punte, grandi labbra sensuali, un forte

collo taurino e occhi vivi e neri da rapace. Gli dovevano piacere molto le donne e il bere ed era ben lungi dall'esserne sazio!

Un colosso con il petto e le gambe nudi, tutto peloso, che portava un bastone ricurvo da pastore, passò e, furibondo, senza salutare il vecchio, si voltò verso il figlio di Maria.

«Non sei per caso il figlio del falegname di Nazareth? Non sei tu che fabbrichi croci e ci crocifiggi?»

Due anziane mietitrici, dal campo vicino, l'udirono e s'avvicinarono anch'esse.

«Io», disse il figlio di Maria, «io...» e fece per andarsene.«Dove vai?» disse l'altro afferrandolo per un braccio. «Non te ne andrai

così! Crocifissore, traditore, ti spaccherò il muso!»Ma il vecchio robusto afferrò il bastone del pastore e glielo strappò di

mano.«Filippo, aspetta, ascolta anche me, il vecchio. Dimmi, succede

qualcosa a questo mondo, che non sia volontà di Dio?»«No, vecchio Zebedeo, nulla.»«Ebbene, allora è volontà di Dio che costui fabbrichi croci, per cui

lascialo in pace. Non immischiamoci negli affari di Dio, è un buon consi-glio. Due più due fa quattro.»

Nel frattempo il figlio di Maria si era liberato dalla presa del pastore e se l'era data a gambe, mentre le due vecchie gli gridavano dietro e bran-divano minacciosamente le loro falci.

«Vecchio Zebedeo», fece il colosso, «andiamo tutti e due a lavarci le mani che hanno toccato il crocifissore; andiamo a lavare le nostre labbra che gli hanno parlato.»

«Non complicarti la vita», disse il vecchio. «Andiamocene, mi farai compagnia, ho fretta.. I miei due figlioli non sono in casa, uno è andato, pare, a Nazareth a vedere la crocifissione e l'altro si è recato nel deserto per diventare un santo. Così io sono rimasto solo con le mie barche da pesca. Vieni con me a tirar su le reti che ormai saranno piene di pesci, te ne darò un po' da friggere.»

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Si misero in cammino, il vecchio era di buonumore, e scoppiò a ridere.«Ah», disse, «Dio non deve divertirsi sempre con noi! Ne deve vedere

certo di tutti i colori. I pesci gridano: non ci accecare, o Signore, non farci cadere nelle reti! I pescatori gridano: acceca i pesci, o Signore, falli cadere nelle reti! A chi dei due dovrà dar retta Dio? Darà retta una volta ai pesci e una ai pescatori, e così va la vita!»

Intanto il figlio di Maria aveva preso il sentiero delle capre, per non sporcarsi attraversando il villaggio maledetto di Magdala. Il villaggio si stendeva grazioso e sereno, fra i datteri, proprio al punto del ricco crocic-chio in cui, giorno e notte, passavano le carovane: alcune andavano dal-l'Eufrate al deserto d'Arabia in direzione del mare, altre da Damasco e dalla Fenicia verso la valle sempre verde del Nilo. C'era un pozzo d'acqua fresca, all'entrata del villaggio e sul parapetto, sedeva una donna, con i seni nudi, imbellettata, che sorrideva ai mercanti... Doveva allontanarsi, cam-biar strada, tagliar diritto verso il lago, entrare nel deserto! Laggiù, vicino a una sorgente che s'era prosciugata, Dio l'aspettava.

Si sovvenne di Dio, il suo cuore si rallegrò e affrettò il passo. Il sole eb-be infine pietà delle ragazze che mietevano, si abbassò verso ovest, diven-ne più dolce; le mietitrici si distesero sulle macine per prender fiato, per lanciare una frase arguta, per rilassarsi. Tutta la giornata al sole, le spalle nude, di fianco agli uomini che sudavano anch'essi, le ragazze si erano accaldate e ora, ridendo e scherzando, cercavano di riprender fiato.

Il figlio di Maria udiva le loro risate e i loro scherzi, arrossiva e aveva fretta di non udire più voci di esseri umani. Dirigeva il suo pensiero altro-ve, rimuginava le parole del pastore dal linguaggio astioso che poco prima gli aveva parlato e sospirava.

«Non sanno come soffro», mormorò fra sé e sé, «non sanno perché fabbrico le croci, non sanno con chi io lotto...»

Davanti a una capanna due contadini scuotevano dalle barbe e dai ca-pelli la pula di cui erano ricoperti e si lavavano; dovevano essere fratelli, la loro madre disponeva su una panca il pasto dei poveri, faceva abbrustolire sulla brace pannocchie di granoturco e l'aria era piena di quel profumo.

I due contadini videro il figlio di Maria, sfinito, coperto di polvere ed ebbero compassione di lui.

«Ehi, tu, dove stai correndo così ?» gridarono. «Hai l'aspetto di venire da lontano, non hai sacca, fermati a mangiare un boccone di pane con noi.»

«E una pannocchia», aggiunse la madre.«E beviti un sorso di vino, perché le guance ti si coloriscano un po'!»

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«Non ho fame, ma vi ringrazio!» rispose, e passò oltre... «Se sapessero chi sono», pensò, «avrebbero vergogna di avermi toccato e di avermi par-lato.»

«Fai come credi», gli gridò uno dei fratelli. «Indubbiamente non andia-mo abbastanza bene per te».

«Sono il crocifissore», fu sul punto di rispondere, ma non ne ebbe il co-raggio, abbassò la testa e filò via.

La sera s'abbatté come una spada: le colline non ebbero il tempo di di-ventar rosa, la terra si tinse di viola e fu subito nera, la luce, che s'era ar-rampicata sulla cima degli alberi, balzò verso il cielo e sparì. La notte tro-vò il figlio di Maria sulla cima della collina: un vecchio cedro era riuscito a metter radici lassù, battuto dai venti, tormentato, ma teneva duro e le sue radici divoravano le pietre. Dalla pianura saliva un odore di grano e di legno bruciato, dalle capanne disseminate qua e là saliva il fumo del pasto della sera.

Il figlio di Maria aveva fame e sete, per lo spazio di un secondo invidiò i braccianti che avevano finito il loro lavoro, che tornavano alle loro case stanchi e affamati e che vedevano fin da lontano il fuoco acceso, il fumo sul tetto e la loro donna che preparava il cibo.

Sentì all'improvviso di essere più solo delle volpi e delle civette che, malgrado tutto, hanno il loro nido ed esseri caldi e amati ad aspettarli. Lui non aveva nessuno, neanche sua madre. Si rannicchiò ai piedi del cedro si raggomitolò tremante.

«Signore, ti ringrazio per tutto questo», disse, «per la solitudine, per il freddo, per la fame: non mi manca nient'altro.»

Appena pronunciate quelle parole, dovette sentire l'ingiustizia del male che subiva. Si guardò attorno come una belva presa in trappola e le sue tempie ronzavano di collera e di paura. Si rizzò sulle ginocchia, fissò lo sguardo sul sentiero scuro sul quale si udivano ancora i passi dei piedi nudi che salivano smuovendo le pietre: stavano arrivando alla cima. Un suono roco gli uscì dalla gola, suo malgrado. Udendolo, fu preso lui stesso dal terrore.

«Avvicinati, Signora, non nasconderti; la notte è giunta, nessuno ti guarda, vieni fuori!»

Trattenne il fiato, attese.Neppure un'anima rispose; solo le voci della notte salivano serene,

dolci, eterne. C'erano i grilli, i saltamartini, gli uccelli della notte con i loro gemiti lamentosi e lontano, molto lontano, dei cani che vedevano di notte

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ciò che gli uomini non potevano vedere e abbaiavano... Tese il collo, ne era sicuro, qualcuno stava in piedi sotto il cedro, davanti a lui; adesso egli mormorava a voce bassa, come una preghiera: «Signora... Signora...» per tentare l'invisibile, e aspettava. Non tremava più, ma la fronte e le ascelle gli si erano ricoperte di sudore.

Guardava, guardava, ascoltava. Di tanto in tanto gli pareva di udire un sogghigno, nell'oscurità, di tanto in tanto gli pareva di veder l'aria formare dei turbini sopra la sua testa e divenire compatta, prender la forma di un corpo, dileguarsi, sparire...

Il figlio di Maria si struggeva, si sforzava di dare una consistenza all'-aria della notte. Non gridava più, non supplicava, si consumava. In ginoc-chio, il collo teso, sotto il cedro, aspettava.

Le sue ginocchia si erano sbucciate sulle pietre, si appoggiò al tronco dell'albero, chiuse gli occhi. Allora, con calma, senza gridare, dietro alle sue palpebre, la vide. Non era venuta come lui l'aspettava: attendeva la ma-dre tragica che avrebbe alzato le mani sulla sua testa e l'avrebbe maledetto!

Lentamente, tremando, aprì gli occhi: un corpo selvaggio di donna scintillava davanti a lui, ricoperto dalla testa ai piedi con un'armatura disparata, fatta di grosse scaglie di bronzo. Ma la sua testa non era umana, era la testa di un'aquila con gli occhi gialli e il becco ricurvo che stringeva un pezzo di carne; guardava tranquillamente, senza pietà, il figlio di Maria.

«Non sei venuta come t'aspettavo», egli mormorò. «Non sei la Madre... per pietà, parlami, chi sei?»

Domandava, aspettava, domandava ancora; solo gli occhi gialli e roton-di brillavano nel buio.

E, di colpo, il figlio di Maria comprese.«La maledizione!» gridò e cadde con la faccia contro il suolo.

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Sopra di lui il cielo scintillava e la terra, sotto di lui, Io feriva con le sue pietre e le sue spine. Aveva steso le braccia e si dimenava come se la terra intera fosse stata una croce ed egli, urlante, fosse stato crocifisso su di essa.

La notte passava su di lui con il suo corteo glorioso e familiare, le stelle, gli uccelli notturni, i cani che abbaiavano nelle aie mentre facevano la guardia ai loro padroni. Faceva freddo, tremava. Talvolta si abbandonava per un istante al sonno, ritrovandosi subito altrove, fra paesaggi caldi e

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lontani, ma poi tornava in terra su quei sassi.Poco prima di mezzanotte udì un allegro suono di sonagli sulla collina

e, dietro ai sonagli, la canzone lamentosa di un cammelliere. Udì qualcuno parlare, sospirare, e poi una voce di donna, chiara e fresca, sorse nella not-te. Subito dopo il sentiero divenne nuovamente muto...

A mezzanotte, su un cammello dalla sella d'oro, con il viso straziato dal-le lacrime, con sulle guance belletti seccati e diventati fango, passò Mad-dalena.

Dai quattro punti del mondo erano giunti dei ricchi mercanti e non avendola trovata né al pozzo, né nella sua baracca, avevano mandato un cammelliere con un cammello tutto bardato d'oro perché gliela portasse in fretta. Il loro cammino era stato molto lungo, pieno di ostacoli, ma ave-vano impresso nella mente il corpo di una donna di Magdala e si erano fat-ti coraggio. Non l'avevano trovata, avevano mandato il loro cammelliere a cercarla e adesso erano seduti, in fila, nel cortile, e aspettavano.

A poco a poco i sonagli svanivano nella notte, s'addolcivano, e ora il figlio di Maria poteva udirli come un sorriso delicato, come un getto d'ac-qua in un fresco giardino che con il suo sciacquio pronunciava tenera-mente il suo nome; e così, dolcemente, voluttuosamente, seguendo il tin-tinnio dei sonagli, il figlio di Maria scivolò di nuovo nel sonno.

Fece un sogno: il mondo gli apparve come una prateria verde e fiorita e Dio come un piccolo pastore bruno con due corna ricurve, tenere, appena spuntate. Stava seduto vicino a una fontana e suonava il flauto; il figlio di Maria non aveva mai sentito una musica così dolce, così accattivante. Dio, il giovane pastore, suonava. Zolla dopo zolla, la terra fremeva, si smuo-veva, ondeggiava, prendeva vita e all'improvviso la prateria fu coperta da graziose cerbiatte ornate dalle loro corna. Dio si chinò, guardò l'acqua e la fontana si riempì di pesci; alzò gli occhi verso gli alberi e le foglie si arro-tolarono su se stesse; il suono del flauto divenne più acuto e due insetti, grandi come uomini, uscirono dalla terra e cominciarono ad abbracciarsi sull'erba novella: rotolavano da un punto all'altro della prateria, si accop-piavano, si separavano, si accoppiavano di nuovo, ridevano senza pudore, prendevano in giro il pastore e fischiavano. Il pastore staccò il flauto dalle labbra. Guardava la coppia insolente e oscena e, di botto, non ce la fece più: con un gesto deciso spezzò il flauto sotto il suo piede e, in un sol colpo, cerbiatte, uccelli, alberi, acqua e la coppia aggrovigliata sparirono...

Il figlio di Maria lanciò un urlo e si svegliò, ma nello stesso istante in cui si svegliò, ebbe il tempo di vedere due corpi uniti, un uomo e una

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donna, precipitare nel più profondo di se stesso. Sì alzò di scatto, ter-rorizzato.

«Ma c'è dunque tanto fango, tanta sporcizia, in me?» Sciolse la sua cintura di cuoio con i chiodi, gettò a terra i vestiti e si mise a frustare, senza pietà, senza emettere un gemito, le cosce, la schiena e il viso. Sentì il suo stesso sangue scorrere e si sentì sollevato.

Il giorno cominciava, le stelle si spegnevano, l'aria fredda del mattino gli penetrava fin nelle ossa. Sopra di lui il cedro si riempì di ali e di cin-guettii. Si guardò attorno: l'aria era vuota, alla luce del giorno la Maledi-zione di bronzo dalla testa d'aquila era diventata di nuovo invisibile.

«Bisogna che me ne vada, che fugga», pensò, «non devo entrare a Mag-dala, che sia maledetta! Andrò dritto nel deserto e mi rintanerò nel mona-stero: laggiù ammazzerò la carne e la farò diventare spirito.»

Allungò la mano, carezzò il vecchio tronco del cedro e sentì l'anima dell'albero risalire dalle radici e diffondersi fino nei rami più alti e più inaccessibili.

«Addio, fratello», mormorò, «mi son coperto di vergogna, questa notte sotto il tuo tetto; perdonami.»

Quindi, estenuato, la mente invasa da lugubri presentimenti, si mise a scendere per il sentiero.

Raggiunse la strada principale; la pianura si stava svegliando, i primi raggi di sole cominciavano a scendere e coprivano d'oro le aie ricolme. «Bisogna che non passi da Magdala», mormorò ancora, «ho paura...» Si fermò per pensare da dove poteva prendere la scorciatoia per arrivare al lago. Imboccò il primo sentierino che trovò sulla sua destra. Sapeva che Magdala era a sinistra e il lago a destra, e proseguì con passo deciso.

Camminava, camminava, il suo spirito navigava da Maddalena la pro-stituta a Dio, dalla croce al Paradiso, dal padre e dalla madre ai lontani oceani, alle terre lontane, alle migliaia di facce d'uomini bianchi, gialli, neri. Non era mai uscito da Israele, ma fin dall'infanzia, nella casetta del padre, soleva chiudere gli occhi e il suo spirito si lanciava, come sparviero addestrato alla caccia con i suoi sonagli, di città in città, di mare in mare e urlava di gioia. Non cacciava, il suo corpo giocava, si liberava dalla carne, saliva in cielo, non desiderava altro.

Camminava, camminava; il sentiero faceva delle curve, girava e rigira-va fra le vigne, arrivava negli oliveti e risaliva ancora. Il figlio di Maria lo seguiva, come si segue un filo d'acqua che cola o la canzone triste e mono-tona d'un cammelliere. Tutto quel viaggio gli pareva un sogno, il suo piede

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sfiorava appena il terreno, depositandovi leggero la sua impronta: le cin-que dita, il tallone. Gli ulivi agitavano i rami pesanti di frutti e gli davano il benvenuto; i grappoli d'uva pendevano, toccavano la terra e i loro chic-chi cominciavano a brillare; le ragazze che passavano, con i loro fazzoletti bianchi e i polpacci solidi, dorati dal sole, lo salutavano gentilmente.

Talvolta, quando non c'era anima viva sul sentiero, udiva di nuovo die-tro di sé il rumore dei pesanti piedi nudi, un riflesso bronzeo scintillava e si spegneva nell'aria, quella risata cattiva scoppiava di nuovo sul suo capo; ma il figlio di Maria era paziente, s'avvicinava alla sua liberazione, presto avrebbe scorto di fronte a sé il lago e, al di là delle acque azzurre, fra le rocce rosse, appeso come un nido d'aquile, il monastero...

Mentre seguiva il sentiero e la sua mente vagava, all'improvviso si fermò impaurito: sotto di lui, racchiusa fra palme come in una nicchia ben protetta, si stendeva Magdala. Il suo spirito lottava, non voleva tornare in-dietro, ma le sue gambe sembravano condurlo verso il ritiro maledetto, pieno di profumi, di Maddalena.

«Non voglio! Non voglio!» mormorò spaventato, ma il suo corpo oppo-neva resistenza, restando immobile come un cane da presa.

«Bisogna che me ne vada», decise ancora dentro di sé, ma rimase in-chiodato sul posto. Guardava il vecchio pozzo con la vera di marmo, le ca-sette pulite, imbiancate a calce; i cani abbaiavano, le galline starnazzavano, le donne ridevano, dei cammelli carichi, in ginocchio attorno al pozzo, ruminavano... «Devo vederla, devo vederla», udì una flebile voce dentro di sé, «è indispensabile, devo vederla. È Dio che guida i miei passi, Dio e non la mia mente, devo gettarmi ai suoi piedi e chiederle perdono... È colpa mia! Prima di entrare nel monastero e rivestire la tunica bianca, bisogna che le domandi perdono o non potrò esser salvato... Signore, ti ringrazio di avermi condotto dove non volevo andare!»

Si sentì contento, strinse la sua cintura e si mise a scendere verso Mag-dala.

Attorno ai pozzi, sdraiati sul ventre, una mandria di cammelli che ave-vano appena mangiato, ruminavano lentamente, pazientemente; erano an-cora carichi, dovevano essere arrivati da paesi lontani, profumati, nell'aria vi era odore di spezie.

Si fermò al pozzo. Una vecchia che stava attingendo dell'acqua gli tese la brocca ed egli bevve; stava per chiedere se Maria era a casa, ma ne ebbe vergogna. «È Dio che mi ha spinto verso la sua casa; devo avere fiducia, sarà certo qui», pensò e prese il sentiero ombreggiato. Vi erano molti stra-

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nieri, alcuni indossavano tuniche bianche come quelle dei beduini, altri preziose vesti indiane. Si aprì una porticina, e apparve una grassa matrona dall'immenso sedere e con dei baffi neri; lo vide e scoppiò a ridere.

«Ehi, benvenuto figliolo! Vuoi fare anche tu le tue devozioni?» gridò e richiuse la porta sogghignando.

Il figlio di Maria arrossì, ma ebbe pazienza. «Bisogna che io cada ai suoi piedi», si disse, «e che le chieda perdono.»

Affrettò il passo, la casa era all'estremità opposta del villaggio, in mez-zo a un giardinetto di melograni. Se ne ricordava bene: una porta verde a un solo battente, sulla quale uno dei suoi amanti, un beduino, aveva dipin-to due serpenti intrecciati, uno bianco, l'altro nero; sopra la porta una gran-de lucertola gialla crocifissa.

Perse la strada, percorse viottoli e stradine, aveva vergogna di chiedere; era quasi mezzogiorno e si fermò all'ombra di un ulivo per riprendere for-za. Passò un ricco mercante con la barba nera e ricciuta, gli occhi à man-dorla, le dita cariche di anelli, e un intenso odore di muschio. Il figlio di Maria lo seguì.

«Dev'essere un angelo di Dio», si disse mentre lo seguiva e ammirava l'eleganza del suo portamento e il tessuto prezioso, con ricami di uccelli e fiori delicati, che gli ricopriva le spalle. «Dev'essere un angelo di Dio, ed è sceso per mostrarmi il cammino.»

Il giovane signore straniero percorreva con decisione le stradine tortuo-se e giunse velocemente alla porta verde con i due serpenti intrecciati. Una vecchietta vi era seduta davanti, su uno sgabello. Aveva acceso un fornello e faceva cuocere dei granchi; di fianco, su un gran piatto, c'erano delle polpettine calde di ceci ben pepati e semi di zucca arrostiti.

Il giovane patrizio si chinò, tese alla vecchia una moneta d'argento ed entrò. Il figlio di Maria lo seguì.

In fila, nel cortile, quattro mercanti erano seduti in terra a gambe incro-ciate; due vecchi con le unghie e le ciglia tinte, due giovani dalle barbe e i baffi neri come l'ebano. Fissavano tutti lo sguardo sulla porticina chiusa, sulla camera di Maria. Di tanto in tanto, dall'interno, provenivano un grido, un singhiozzo, una risata, le tavole di legno che scricchiolavano; gli uomi-ni in attesa, allora, interrompevano la conversazione appena iniziata e cam-biavano nervosamente di posizione, turbati.

Il beduino non la finiva più, era entrato da molto e ci stava mettendo tanto tempo. Nel cortile giovani e vecchi avevano fretta. Il giovane signore indiano si sedette al suo posto nella fila e, dietro di lui, il figlio di Maria.

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C'era un grande melograno al centro del cortile, carico di frutti; ai due lati della porta due solidi cipressi, uno maschio, dritto come una spada, e l'altro femmina, con i rami stesi e spiegati; al melograno era appesa una gabbia di paglia con dentro una pernice dorata che svolazzava da sinistra a destra, beccando e schiamazzando.

Gli uomini in attesa mangiavano dei datteri, mordicchiavano noci mo-scate per profumarsi la bocca e chiacchieravano fra loro per far passare il tempo. Si girarono, salutarono il giovane signore e guardarono con disprez-zo il figlio di Maria, poveramente vestito.

Il primo vecchio disse, sospirando: «Non esiste un martirio più grande del mio: sono davanti al Paradiso e la porta è chiusa».

Un giovane, con anelli d'oro alle caviglie si mise a ridere.«Trasporto delle spezie dall'Eufrate e le porto fino al grande mare;

vedete quella pernice davanti a voi con gli artigli rossi? Ebbene, io offrirò un carico di cannella e di pepe per comprare Maria, metterla in una gabbia d'oro e portarmela via. Allora, fate presto ciò che dovete fare, miei giovani amici, perché non ci sarà una prossima volta.»

«Ti ringrazio, ragazzo mio», disse allora un altro vecchio che aveva la barba profumata, e le mani sottili e nobili. «Ti ringrazio, ciò che hai appe-na detto renderà ancor più saporito il gusto del suo amore.»

Il giovane signore aveva abbassato gli occhi dalle folte ciglia, dondola-va lentamente il busto e muoveva le labbra come se stesse pregando; si era già immerso, prima di entrare in Paradiso, nella beatitudine eterna. Udiva la pernice schiamazzare, le voci e gli scricchiolii dentro alla camera chiusa a chiave e la vecchia, sulla porta, che gettava sulla brace granchi vivi che saltavano...

«Ecco il Paradiso», pensava agitato, «ecco il sonno pesante che chia-miamo vita, durante il quale sognamo il Paradiso. Non esiste altro Paradi-so. Posso, in questo stesso istante, alzarmi e andarmene, perché non ho bisogno di altra gioia...»

Un uomo imponente, con un turbante verde in testa, seduto davanti a lui, gli toccò un ginocchio e si mise a ridere.

«Mio giovane signore», gli disse. «Che cosa pensa il tuo Dio di tutto ciò?»

Il giovane spalancò gli occhi:«Come, di tutto ciò?»«Ebbene, gli uomini, le donne, i granchi, l'amore...» «Che è tutto un sogno, fratello.»

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«Allora attenti, miei giovani amici», esclamò il vecchio dalla barba bianca che in quel momento stava sgranando un rosario d'ambra, «attenti a non svegliarvi!»

La porticina si aprì e ne uscì il beduino, con gesti lenti e gli occhi gonfi, leccandosi i baffi. Era il turno del vecchio che si alzò di colpo, agile come un giovane di vent'anni.

«Coraggio, entra, vecchio e, per l'amor di Dio, fai presto!» gridarono gli altri tre che venivano dopo di lui.

Ma quello avanzava togliendosi la cintura, e si richiuse la porta alle spalle.

Gli uomini, adesso, guardavano il beduino con gelosia, senza neppure osare parlare. Sentivano che navigava molto lontano, in acque profonde, e infatti non si girò neppure indietro a guardarli. Attraversò il cortile con passi incerti, arrivò alla porta della strada e fu sul punto di rovesciare il fornello, quindi si perse nelle stradine tortuose. Allora, per cercare di cam-biare argomento, l'uomo dal turbante verde si mise a parlare di leoni, di mari caldi e di isole lontane, fatte di corallo... così, senza capo né coda.

Il tempo passava. Si udivano i grani d'ambra del rosario urtarsi dolce-mente, soavemente, mentre gli occhi restavano fissi sulla porticina bassa; il vecchio tardava, tardava moltissimo a ricomparire...

Il giovane signore indiano si alzò, felice, e tutti si voltarono, sorpresi. Perché si era alzato? Non avrebbe atteso di stringerla fra le braccia? Sareb-be andato via? Il viso gli risplendeva, le guance sembravano più sottili. Si strinse nel mantello, mise la mano sulle labbra e sul cuore, salutò e come un'ombra attraversò la porta.

«Si è risvegliato...» disse il giovane con gli anelli d'oro alle caviglie; stava per mettersi a ridere, ma tutti, improvvisamente, furono presi da uno strano senso di paura e si misero a parlare precipitosamente di mercati di schiavi ad Alessandria e a Damasco, di perdite e di guadagni... Ma, dopo poco, ripresero le loro chiacchiere sconce sulle donne e i ragazzi; tiravano fuori la lingua e si leccavano i baffi.

«Signore, Signore!» mormorò il figlio di Maria. «Dove mi hai con-dotto? In quale cortile? Per prendere il mio turno dopo quegli uomini? È questa la più grande vergogna, dammi la forza di sopportarla!»

La fame vinse gli uomini e uno di loro chiamò la vecchia che distribuì il pane, i granchi e i ceci; portò pure una gran brocca di vino di datteri. Sem-pre seduti con le gambe incrociate, posarono il cibo in mezzo a loro e si misero a lavorare di mascelle. Uno di essi ebbe voglia di scherzare e gettò

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un grosso guscio di granchio contro la porta, gridando: «Ehi, vecchio, fai in fretta!» Tutti scoppiarono a ridere.

«Signore, Signore!» mormorò ancora il figlio di Maria. «Dammi la forza di non andarmene fino a quando sarà giunto il mio turno!»

Il vecchio dalla barba profumata si voltò verso di lui con aria di pietà e gli disse:

«Ehi, ragazzo, tu non hai fame, non hai sete? Avvicinati, mangia qual-cosa per prender forza».

«Sì, per prender forza, infelice», disse ridendo il colosso con il turbante verde. «Così quando sarà il tuo turno, non farai sentir vergogna a noialtri uomini!»

Il figlio di Maria arrossì, abbassò il capo e tacque.«Eccone un altro che sogna», disse il vecchio scuotendo la barba che si

era riempita di mollica di pane e di pezzetti di granchio. «Sogna, per San Belzebù. Ricordate ciò che vi dico, eccone un altro che si alzerà e se ne andrà!»

Il figlio di Maria, preso dal terrore, si guardò attorno. Aveva forse ragio-ne l'Indiano a dire che tutto quello, i cortili, i melograni, i fornelli, le perni-ci, gli uomini, altro non erano che un sogno? Era forse ancora sotto il ce-dro a sognare?

Si girò, come per cercare aiuto, e sulla porta della strada, in piedi, di fronte al cipresso maschio, vestita di bronzo, tutta armata, immobile, vide la sua compagna con la testa d'aquila e, per la prima volta, guardandola, si sentì rassicurato e sollevato.

Il vecchio, ansimando, uscì e fu l'uomo dal turbante verde a entrare. Passarono ore e fu la volta del giovane con anelli d'oro alle caviglie, quindi quella del vecchio con il rosario d'ambra. Il figlio di Maria rimase solo, nel cortile, ad aspettare. Il sole tramontava e due nuvole, che passavano in alto nel cielo, si fermarono e si tinsero d'oro; una leggera nebbia dorata cadde sugli alberi, sui visi degli uomini e sulla terra.

Il vecchio dal rosario d'ambra uscì, si fermò un attimo sulla soglia, si asciugò gli occhi, il naso e le labbra bagnate si trascinò, ricurvo, verso la porta.

Il figlio di Maria si alzò; si girò verso i cipressi, e la sua compagna si mosse pure lei per seguirlo. Stava per parlarle, per supplicarla: aspettami fuori, voglio restare solo, non fuggirò, ma, lo sapeva, avrebbe parlato inva-no, e rimase muto. Strinse la cinghia in vita, alzò gli occhi, vide il cielo, esitò ma poi udì una voce roca e incollerita giungere dalla camera: «C'è

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ancora qualcuno? Che entri!» Era Maddalena che chiamava. Radunò tutte le sue forze avanzò; la porta era socchiusa, entrò tremando.

Maddalena, distesa sul letto, completamente nuda, in un bagno di sudo-re, i capelli sparsi sui cuscini, le braccia piegate sotto la testa, il viso girato verso il muro, sbadigliava. Era stanca d'aver lottato con gli uomini dall'-alba; il suo corpo, i capelli e le unghie erano impregnati di profumi di tutti i paesi; la braccia, il petto e i seni erano coperti di morsi..

Il figlio di Maria abbassò gli occhi. Era rimasto in piedi in mezzo alla camera e non riusciva ad avanzare. Maddalena, il viso rivolto al muro, immobile, aspettava, ma non udì alle sue spalle nessun borbottare d'uomo che si sveste, nessun respiro ansimante. Ebbe paura, girò bruscamente la testa per guardare e gettò un grido, afferrò il lenzuolo e vi si avvolse den-tro.

«Tu! Tu!» gridò e si coprì con le mani occhi e bocca. «Maria», lui disse, «perdonami.»Roca, stridula, come se tutte le fibre della sua gola si stessero rom-

pendo, Maria scoppiò in una risata.«Maria», ripeté, «perdonami.»Allora lei si rizzò sulle ginocchia, strettamente avvolta nel lenzuolo e

alzò il pugno:«È per questo che sei venuto, ragazzo mio? È per questo che ti sei me-

scolato ai miei amanti, per prendermi in giro, per entrare nella mia casa? Per vedermi qui, fra le mie lenzuola ancora calde, spauracchio di Dio? Arrivi tardi, più che tardi, ragazzo mio. E del tuo Dio me ne infischio, m'ha spezzato il cuore!»

Parlava, gemeva, e il suo petto, nella collera, palpitava sotto il lenzuolo.«M'ha spezzato il cuore!... M'ha spezzato il cuore...» gemette ancora, e

due lacrime le sprizzarono dagli occhi restandole attaccate alle ciglia.«Non bestemmiare, Maria, la colpa è mia, non di Dio. È per questo che

sono venuto, per chiederti di perdonarmi.»Maddalena scoppiò:«Il tuo Dio ha la tua brutta faccia, siete una cosa sola tutti e due, non ve-

do la differenza. Quando arriva, di notte, mentre penso a lui - maledetto quel momento! - guarda, è proprio così, è con la tua faccia che viene su di me, nel buio. E se succede - maledetto quel momento! - che io t'incontri per strada, mi pare di vedere ancora Dio che si getta su di me».

Tese il pugno.«Lascia stare Dio», gridò, «vattene e che non ti veda più. Non ho che un

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solo rifugio, una sola consolazione, è il fango! Una sola sinagoga in cui entrare per pregare e per purificarmi, ed è il fango!»

«Maria, ascolta, lasciami parlare, non disperarti. È per questo che sono venuto, sorella mia, per tirarti fuori dal fango. I miei peccati sono numero-si e vado nel deserto per espiarli; i miei peccati sono numerosi, ma il più pesante è la tua infelicità, Maria.»

Maddalena, con rabbia, parve voler graffiare con le sue unghie appunti-te il visitatore inatteso, quasi volesse lacerargli le guance.

«Che infelicità?» gridò. «La mia vita è felice, molto felice, non ho biso-gno che la tua santità mi compianga! Lotto da sola e non chiedo aiuto né agli uomini, né ai demoni, né a Dio. Lotto per liberarmi e mi libererò.»

«Liberarti da chi, da che cosa?»«Non dal fango, come tu credi, che esso sia benedetto! È in esso che

son riposte tutte le mie speranze, per me è la strada della liberazione.»«Il fango?»«Il fango, la vergogna, la sporcizia, questo letto che vedi, il corpo che

vedi, morsicato, insozzato da tutte le salive, i sudori, le sporcizie del mon-do! Non mi guardare cosi, con i tuoi occhi da pecora affamata, non avvi-cinarti, vigliacco! Non voglio saperne di te, mi fai schifo, non toccarmi. Per dimenticare un uomo, per liberarmi, mi sono data a tutti gli uomini.»

Il figlio di Maria abbassò il capo.«È colpa mia», ripeté con voce soffocata. Afferrò la cinghia che gli ser-

viva da cintura, ancora chiazzata di macchie di sangue. «È colpa mia, per-donami, sorella, ma pagherò il mio debito.»

Una risata selvaggia lacerò nuovamente la gola della donna.«'È colpa mia... è colpa mia, sorella... sono io che ti salverò...' Beli così

pietosamente, invece di levare il capo come un uomo e di confessare la verità. Brami il mio corpo, non osi dirlo e parli della mia anima; vuoi sal-varla, come stai dicendo! Che anima, sventato? L'anima della donna è la carne, lo sai, lo sai, ma non osi stringerla fra le mani, come un uomo, quest'anima, per baciarla! Per baciarla e per salvarla! Mi fai compassione e schifo!»

«Sette demoni ti possiedono, impudica!» gridò allora il giovane. Dalla vergogna era arrossito fino alla radice dei capelli. «Il tuo povero padre aveva ragione!»

Maddalena sussultò, raccolse i capelli con collera, li arrotolò e li legò con un nastro di seta rossa. Restò in silenzio per un po'. Alla fine le sue labbra si mossero:

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«Non sono sette demoni, figlio di Maria, non sono sette demoni, sono sette piaghe; la donna è una cerbiatta ferita che non ha altra gioia, disgra-ziata lei, che quella di leccarsi le ferite...»

I suoi occhi si riempirono di lacrime. Se le asciugò bruscamente, con il palmo della mano e si lasciò andare.

«Perché sei venuto qui e resti accanto al mio letto? Che cosa vuoi da me? Vattene!»

Il giovane fece ancora un passo, si avvicinò:«Maria, ricorda quand'eravamo ancora bambini...»«Non mi ricordo! Che specie di uomo sei? Fino a quando ti colerà la

bava, non hai vergogna? Non hai mai avuto il coraggio di startene in piedi, da solo, come un uomo, e di non aver bisogno di nessuno; o ti appendi alle sottane di tua madre, o alle mie, o a quelle di Dio! Non puoi rimanere solo, perché hai paura, non osi guardare la tua anima in faccia, e neppure il tuo corpo, perché hai paura! Hai paura, hai paura, povero disgraziato. Mi fai schifo, mi fai pietà e, quando penso a te, mi si spezza il cuore!»

Non ne poteva più e scoppiò in singhiozzi. Si asciugò gli occhi con rabbia, ma il suo belletto non smetteva di venir giù con le lacrime e di sporcare le lenzuola.

Il cuore del giovane palpitò. Ah! se non avesse avuto paura di Dio l'avrebbe presa fra le braccia, le avrebbe asciugato le lacrime e accarezzato i capelli per calmarla, e poi se ne sarebbe andato via con lei!

Solo così avrebbe potuto salvarla, non con preghiere e digiuni nei mo-nasteri. Che cosa se ne sarebbe fatta lei, di quelli, come avrebbero potuto salvarla? Portarla via da quel letto, andarsene con lei, aprire una bottega in un villaggio lontano, vivere come marito e moglie, avere dei bambini, sof-frire, essere felice, come tutti gli uomini... Ecco la strada della salvezza per la donna, la salvezza a fianco dell'uomo. Non ne esisteva altra!

La notte scendeva. Si udirono dei colpi di tuono in lontananza, un lam-po entro dalla fessura della porta e, per un istante, illuminò il viso livido di Maria. Si udì nuovamente il tuono, più vicino. Il cielo si abbassava sulla terra, carico d'angoscia. Il giovane provò, di colpo, una grande stanchezza, le ginocchia gli si piegarono e sedette in terra, con le gambe incrociate. Un odore nauseante lo colpì in pieno viso, un odore di muschio, di sudore, di caprone, e si strinse la gola con la mano per non vomitare.

Udì la voce di Maria, nell'oscurità:«Gira la testa, devo scendere per accendere la lampada e sono nuda».«Me ne vado», disse il giovane a bassa voce. Radunò tutte le sue forze e

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si alzò.Ma Maria fece finta di non aver inteso:«Guarda se c'è ancora qualcuno nel cortile; digli di andar via».Il giovane aprì la porta e mise fuori la testa. L'aria era diventata scura,

grosse gocce di pioggia, rade, picchiettavano sulle foglie del melograno, il cielo pesava sulla terra come se stesse per cadere.

La vecchia, con il fornello acceso, si era riparata contro il cipresso, mentre le gocce cadevano sempre più fitte.

«Nessuno», disse il giovane. Chiuse svelto la porta. Il temporale, ades-so, era scoppiato in pieno.

Maddalena, intanto, si era alzata dal letto e si era avvolta in un caldo scialle di lana ricamato con figure di leoni e cerbiatte. Gliel'aveva regalato, quel mattino, uno dei suoi amanti, un arabo.

Le sue spalle e la schiena ricevettero con piacere il dolce calore del-l'indumento. Si rizzò sulla punta dei piedi e staccò la lampada dal muro.

«Nessuno», ripeté il giovane, con tono raddolcito. «E la vecchia?»«È sotto il cipresso. È scoppiato il temporale.» Maria si precipitò nel

cortile, scorse il fornello acceso, si avvicinò.«Vecchia Noemi», disse allungando la mano verso il catenaccio della

porta, «prendi il tuo fornello e i tuoi granchi e vattene. Metto il catenaccio, stasera non ricevo più nessuno!»

«Hai il tuo amante dentro?» sibilò la vecchia, furiosa di perdere i suoi clienti notturni.

«Sì», rispose Maria, «è dentro, vattene!»La vecchia si alzò borbottando e radunando i suoi utensili.«Bella roba quel ragazzo! Uno straccione...» bisbigliò in tono di scher-

no. Ma Maria la spinse via, aveva fretta; chiuse bene la porta che dava sul-la strada. Il cielo si era aperto e si rovesciava per intero nel cortile. Gridò di gioia, come quando era bambina e guardava le prime piogge; quando rientrò, il suo scialle era inzuppato.

Il giovane si fermò, indeciso, in mezzo alla camera. Andare via? Resta-re? La sua mente vaneggiava...

«Gesù, piove a catinelle; certamente è tutto il giorno che non mangi; aiutami ad accendere il fuoco, prepareremo qualcosa...»

La sua voce era tenera e premurosa, come quella di una madre.«Me ne vado», disse il ragazzo, girandosi verso la porta.«Rimani a mangiare con me», disse Maddalena come impartendo un or-

dine. «Ti fa schifo? Hai paura di sporcarti a mangiare con una prostituta?»

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Il giovane si chinò sul focolare, davanti agli alari; prese dei ceppi e del-le fascine ammucchiati in un angolo e accese il fuoco.

Maddalena sorrideva, si era ammansita. Versò dell'acqua in una marmit ta e la posò sugli alari; prese da un sacco appeso al muro due grosse man- ciate di fave e le gettò nell'acqua. Si inginocchiò davanti al fuoco acceso e tese l'orecchio; fuori il cielo dava libero sfogo alle sue cateratte.

«Gesù», disse allora a voce bassa, «mi hai domandato se mi ricordavo di quando eravamo piccoli e giocavamo...»

Ma il giovane, inginocchiato pure lui davanti al focolare, fissava il fuo-co mentre il suo spirito vagava lontano. Come se avesse già raggiunto il monastero del deserto e vestita la tunica immacolata, passeggiava per spazi solitari e il suo cuore, come un pesciolino d'oro radioso, nuotava nelle acque calme e profonde di Dio. Fuori c'era la fine del mondo, ma dentro lui la pace, la tenerezza, la sicurezza.

«Gesù», udì nuovamente la voce accanto a lui, «mi hai chiesto se mi ricordavo di quando eravamo piccoli e giocavamo insieme...»

Il viso di Maddalena risplendeva come ferro rovente, alla luce delle fiamme. Ma il giovane, dall'abisso del deserto in cui era sprofondato, non udì.

«Gesù», riprese la donna. «Tu avevi tre anni e io un anno più di te. C'erano tre scalini davanti alla porta di casa mia, io ero seduta su quello più alto e ti guardavo faticare per delle ore, cadere e rialzarti, senza riuscire a salire nemmeno sul primo. E io non ti tendevo neppure la mano per aiutarti: volevo che mi raggiungessi, ma che prima soffrissi molto... Ti ricordi ?»

Un demone, uno dei sette demoni, la spronava a parlare per tentare l'uomo.

«Dopo ore di sforzi riuscivi a issarti sul primo gradino e allora faticavi per raggiungere il secondo... poi il terzo, dove io ero seduta, immobile, ad aspettarti. Dopo...»

Il giovane trasalì, tese una mano.«Taci», gridò, «non continuare!»Ma il viso della donna era raggiante, le fiamme le carezzavano le so-

pracciglia, le labbra, il mento, il petto scoperto. Prese un pugno di foglie d'alloro e le gettò nel fuoco, sospirando.

«Dopo, mi prendevi per mano, mi prendevi per mano, Gesù. Entravamo e andavamo a distenderci sulla ghiaia del cortile, univamo da punta a punta le piante dei nostri piedi nudi, sentivamo il calore dei nostri due corpi me-

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scolarsi, lo sentivamo salire dai piedi alle nostre cosce, dalle cosce alle reni, chiudevamo gli occhi...»

«Taci», gridò ancora il giovane. Allungò una mano per chiuderle la bocca, ma si trattenne, perché ebbe paura di toccare le sue labbra.

La donna abbassò la voce e sospirò.«Non ho mai provato in tutta la mia vita dolcezza più grande», mor-

morò, poi aggiunse: «E questa dolcezza che cerco da allora, di uomo in uo-mo, è questa dolcezza, Gesù, e non la ritrovo...»

Il giovane nascose il viso fra le ginocchia. «Adonai», mormorò, «Ado-nai, vieni a soccorrermi!»

Nella camera calda e tranquilla non si udiva che il fuoco che divorava il legno e fischiava e il cibo che stava cuocendo a fuoco lento e mandava un buon odore; fuori l'acqua scrosciante si riversava dal cielo con fracasso, la terra languida le offriva il suo seno.

«Gesù, a che cosa pensi ?» chiese Maddalena. Ora non osava più guar-darlo in faccia.

«A Dio», rispose lui con voce soffocata, «a Dio, ad Adonai...»Appena l'ebbe detto, si pentì d'aver pronunciato il suo santo nome in

quella casa.Maddalena si rialzò di colpo, cominciò ad andare avanti e indietro fra il

focolare e la porta, il suo spirito si era scatenato.«Eccolo», pensava, «eccolo il grande nemico, è lui che ci mette sempre

i bastoni fra le ruote, è cattivo, geloso, non ci concede di essere felici.» Si fermò dietro alla porta e tese l'orecchio; il cielo tuonava, l'uragano furoreg-giava, i melograni del cortile sbattevano uno contro l'altro al punto da schiantarsi.

«Non piove più», disse.«Me ne vado», disse il giovane e si alzò.«Mangia prima, per prender forza; dove vuoi andare a quest'ora? È

notte profonda, piove.»Staccò dal muro una stuoia rotonda e la distese in terra. Prese la mar-

mitta, aprì un armadietto scavato nel muro, ne tirò fuori un pezzo di pane d'orzo abbrustolito e due piatti di terracotta.

«Ecco il pasto della prostituta», disse. «Se non ti ripugna, o uomo pio, mangia.»

Il giovane aveva fame, allungò veloce una mano; la donna si mise a ridere.

«Mangi così, senza nemmeno dire una preghiera? Per ringraziare Dio

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che dà il pane, le fave e le prostitute?» Il boccone quasi strozzò il giovane.«Maria», disse. «Perché mi odi? Perché mi tenti? Guarda, stasera divido

il pane con te, ci siamo riconciliati; ciò che è fatto è fatto; perdonami. È per questo che sono venuto.»

«Mangia, invece di piagnucolare. Prenditi il perdono con la forza, se non ti viene accordato, sei un uomo.»

Ella prese il pane, Io divise, e poi scoppiò a ridere.«Benedetto», disse, «il nome di Colui che concede al mondo il pane, le

fave e le prostitute. E i pii visitatori!»Inginocchiati l'uno di fronte all'altra, sotto la luce della lampada, non

dissero più nulla; avevano fame tutti e due, avevano combattuto molto tutti e due, mangiavano per riprender forza.

Fuori la pioggia cominciava a calmarsi. Il cielo ora splendeva, la terra era sazia; non si udiva più che il gorgoglio dei ruscelli che scorrevano alle-gramente sui ciottoli del villaggio.

Finirono il loro pasto; nella piccola madia vi era ancora un sorso di vi-no, lo bevvero, e mangiarono pure dei datteri ben maturi. Rimasero a lun-go in silenzio, guardando il fuoco che stava per spegnersi; la loro mente andava e veniva, danzava al ritmo delle ultime faville.

Il giovane si alzò, mise altri ceppi nel focolare, faceva freddo. Madda-lena prese ancora una manciata di foglie di alloro, le gettò nel fuoco, la stanza cominciò a riempirsi di profumo. Andò alla porta e l'aprì; si era al-zato il vento, le nuvole si erano già disperse e due grosse stelle risplen-devano, limpide, sul cortile.

«Piove sempre?» chiese il giovane. Era ancora in piedi, il mezzo alla stanza, indeciso.

Maddalena non rispose. Srotolò una stuoia, tirò fuori dal suo cassone delle grosse coperte di lana e delle lenzuola, regali dei suoi amanti, e preparò il giaciglio davanti al fuoco.

«Dormirai qui», disse. «Fa freddo, sì è alzato il vento ed è quasi mezza-notte. Dove andrai? Gelerai; dormirai qui accanto al fuoco.»

Il giovane rabbrividì.«Hai paura? Non aver paura, mia bianca colomba, non attenterò al tuo

candore.»Mise altra legna sul fuoco e abbassò il lucignolo della lampada a olio.«Dormi tranquillo», disse. «Domani avremo tutti e due imito da fare; tu

riprenderai la strada alla ricerca della tua liberazione e io prenderò un altro cammino, il mio, per cercare io pure la mia liberazione. A ciascuno il pro-

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prio cammino; mai più ci incontreremo. Buona notte!»Si gettò sul letto e nascose la testa fra i guanciali. Per tutta la notte mor-

se le lenzuola per trattenersi dal gridare e dal piangere, con il timore che l'uomo che dormiva accanto al fuoco potesse udirla, avesse paura e se ne andasse. Lo udì respirare tranquillamente, con la serenità di un bimbo che ha appena poppato. Ma lei rimase sveglia, gemeva piano con lunghi sin-ghiozzi teneri che provenivano dal profondo e lo cullava come una madre.

Il mattino, all'alba, attraverso gli occhi socchiusi, lo vide alzarsi, strin-gersi in vita la cinta di cuoio, aprire la porta e improvvisamente fermarsi. Egli voleva partire, ma ora non lo voleva più. Il giovane si voltò, guardò il letto, esitando fece un passo e si avvicinò. Non c'era ancora molto chiarore nella camera; si chinò come se avesse voluto vederla, toccarla. La mano sinistra era infilata nella cintura e con la destra si teneva il mento e la bocca.

La donna, distesa, immobile, con i capelli che nascondevano il petto nu-do, lo osservava attraverso le ciglia, con il corpo che le tremava.

Il giovane mosse appena le labbra:«Maria...»Nell'udire la propria voce, fu assalito dalla paura; in un balzo fu sulla

soglia, attraversò in fretta il cortile, aprì il catenaccio della porta...Allora Maria Maddalena si alzò bruscamente sul letto, gettò le lenzuola

di lato, e si mise a piangere.

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Oltre il lago di Genezareth, nel deserto, appollaiato come un nido d'a-quile fra rocce rosse e grigie e costruito con pietre rosse e grigie, si ergeva il monastero. Era mezzanotte. L'acqua veniva giù dal cielo pesante, com-patta, come un diluvio; le iene, i lupi, gli sciacalli, più in là una coppia di leoni, urlavano, terrorizzati dagli ininterrotti colpi di tuono. Il monastero, inghiottito da un'impenetrabile oscurità, era striato di tanto in tanto dai lampi; si sarebbe detto che il Dio del Sinai lo stesse frustando. I monaci, prostrati con il viso al suolo nelle loro celle, pregavano Adonai di non sommergere la terra per la seconda volta. Non aveva forse dato la sua pa-rola al patriarca Noè? Non aveva forse steso, dalla terra al cielo, l'arco-baleno in segno di pace?

Solo nella cella dell'igùmeno era acceso il candelabro a sette braccia. Gioacchino, l'igùmeno, era seduto sull'alto scanno di legno di cipresso,

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magro, ansimante, con la barba bianca che gli cadeva come una cascata sul petto, le braccia incrociate, gli occhi chiusi, e ascoltava. Ascoltava Giovan-ni, il giovane novizio, in piedi davanti a un leggio, che gli leggeva il pro-feta Daniele.

«Una visione notturna mi è piombata addosso; ho visto i quattro venti del cielo gettarsi sul Grande Mare e quattro grandi bestie, una differente dall'altra, ne sono uscite. La prima somigliava a un leone e aveva grandi ali d'aquila; l'ho guardata fino al momento in cui le hanno strappato le ali, l'hanno rizzata sulle zampe posteriori, come se fosse stata un uomo e le hanno conficcato in petto un cuore d'uomo. Ed ecco apparire una seconda bestia somigliante a un orso; qualcuno le ha gridato: 'Mangiacarne a sazietà!' Guardavo ed ecco una terza bestia che pareva un leopardo, con quattro ali sul dorso, come fosse stata un uccello; questa bestia aveva quattro teste e le fu dato il potere...»

Il novizio si fermò, si girò inquieto e guardò l'igùmeno. Non l'udiva più sospirare né conficcare le unghie nel legno dello scanno; non udiva più neppure il suo respiro. Era forse morto? Erano giorni ormai, che rifiutava il cibo, era in collera con Dio e voleva morire, così aveva dichiarato aperta-mente ai monaci, affinché la sua anima si scaricasse del peso del corpo e potesse salire in cielo, andare a trovare Dio. L'igùmeno Gioacchino doveva lamentarsi con Dio, doveva vederlo, parlargli; ma il suo corpo era come piombo, gli impediva di salire, e solo abbandonandolo in terra lui, il vero Gioacchino, sarebbe riuscito a giungere in cielo e presentare le sue lamen-tele a Dio. Aveva un debito, non era egli uno dei Padri d'Israele? Il popolo ha bocca ma non ha voce, non può levarsi di fronte a Dio e dirgli i suoi dolori; ma lui, Gioacchino, poteva e doveva farlo.

Il novizio lo guardava; sotto il candelabro la testa dell'igùmeno, scarna come un vecchio legno mangiato dai vermi, macchiata dal sole e dai digiu-ni, assomigliava agli antichi crani di animali feroci, lavati dalle piogge, quelli che a volte le carovane trovano nel deserto! Che visione aveva dun-que avuto quella testa, quante volte il cielo si era spalancato davanti a essa e quante pure l'abisso degli Inferni! Il suo cervello era una scala di Gia-cobbe su cui salivano e scendevano tutte le speranze e tutte le angosce d'Israele!

L'igùmeno aprì gli occhi. Vide il novizio, livido, davanti a sé. Alla luce della lampada, la bionda peluria delle sue guance aveva un riflesso pallido, verginale, i suoi grandi occhi erano pieni di turbamento e di dolore.

Il viso austero dell'igùmeno si raddolcì; amava molto quel giovane di

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nobile stirpe, l'aveva strappato al padre, il vecchio Zebedeo, l'aveva portato con sé e consegnato a Dio. Amava la sottomissione di quel ribelle, le sue labbra silenziose e i suoi occhi insaziabili, la sua dolcezza e il suo calore. «È lui», pensava, «che un giorno parlerà con Dio; ciò che non ho potuto fare io lo farà lui e delle due piaghe che ho sulle spalle ne farà delle ali; da vivo io non sono salito in cielo, lui vi salirà.»

Un giorno era venuto al monastero con i suoi genitori, per festeggiare la Pasqua, l'igùmeno era un lontano parente di Zebedeo, li aveva ricevuti con gioia, li aveva fatti sedere a tavola. Durante il pasto, Giovanni, che aveva appena sedici anni, sentì, mentre era chino, lo sguardo dell'igùmeno cadere sul suo capo, spalancarne le ossa e penetrare, attraverso le giunture del cra-nio, nel suo cervello. Ne fu terrorizzato, alzò gli occhi e i due sguardi si in-contrarono sopra la tavola pasquale... Da quel giorno, la sua barca da pes-ca, lo stesso lago di Genezareth, erano diventati troppo piccoli per lui, so-spirava, deperiva finché il vecchio Zebedeo ne ebbe abbastanza. «Non hai l'indole del pescatore», gli gridò, «se pensi a Dio, vai al monastero, allora! Avevo due figli, e Dio ha voluto dividerli con me. Va bene, dividiamoceli, e accontentiamolo!»

L'igùmeno vedeva il giovane restare in piedi davanti a lui, muto, voleva rimproverarlo ma, guardandolo, il suo viso si raddolcì.

«Perché ti sei fermato, figliolo?» gli domandò. «Hai abbandonato la vi-sione a metà e non puoi farlo. È un profeta, gli si deve rispetto.»

Il giovane arrossì, spiegò il manoscritto di pelle sul leggio e riprese la lettura con voce monotona, salmodiando:

«Quindi, nella mia visione notturna, ho visto un quarto animale, spa-ventoso, ripugnante e di una forza tremenda; aveva grossi denti di ferro, divorava, faceva a pezzi e gettava a terra tutto ciò che rimaneva; non asso-migliava a nessuna delle altre bestie e aveva dieci corna...»

«Basta», disse l'igùmeno, «basta così.»Il giovane si spaventò udendo quella voce e il testo sacro rotolò sulle

lastre del pavimento. Lo raccolse, vi appoggiò le labbra e andò in un ango-lo con gli occhi fissi sul vegliardo. Questi, con le unghie conficcate nello scanno, gridava:

«Tutte le tue profezie, Daniele, si sono avverate; le bestie sono passate tutte e quattro sopra di noi. È passato il leone dalle ali d'oro e ci ha dila-niati; l'orso che si alimenta della carne degli Ebrei e ci ha divorati; il leo-pardo a quattro teste e ci ha addentato, a est e a ovest, a nord e a sud; la bestia infame dalle dieci corna, quella che è in agguato sopra di noi, non è

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passata ancora ma non è neanche andata via. Tutte le ignominie e tutti gli spaventi che ci avevi promesso nelle tue profezie, Signore, ce le hai man-date, non è vero? Ma hai predetto anche il bene, perché non lo mandi? Perché ne sei così avaro? Ci hai dato disgrazie con munificenza, dacci dunque con munificenza anche le tue grazie! Dov'è il Figlio dell'uomo che ci hai promesso? Leggi, Giovanni!»

Il giovane abbandonò l'angolo in cui si era ritirato e, con il manoscritto sul petto', s'avvicinò al leggio e riprese a leggere. Ma la sua voce, ora, era diventata selvaggia, come quella del vecchio:

«Stavo in contemplazione delle mie visioni notturne ed ecco, sopra le nuvole del cielo, è arrivato qualcuno che somigliava a un Figlio d'uomo; avanzò e fu fatto avvicinare al grande vecchio. Gli furono dati la potenza, il regno e la gloria, e tutti i popoli, tutte le nazioni e tutti gli uomini di tutte le lingue lo servivano. La sua potenza è una potenza eterna che non avrà mai fine e il suo regno è indissolubile».

L'igùmeno non poté più trattenersi; lasciò lo scanno, fece un passo, un altro, raggiunse il leggio ed ebbe appena il tempo di appoggiare la mano sul manoscritto sacro che divenne più sicuro.

«Dov'è il Figlio dell'uomo che ci hai promesso? L'hai detto, sì o no? Non puoi negarlo; è scritto qui!» Batteva con collera e giubilo sulla profe-zia. «È scritto qui! Rileggi, Giovanni!»

Ma il novizio non ne ebbe il tempo: l'igùmeno aveva fretta, gli strappò il testo dalle mani, l'alzò in alto, bene in luce, e senza neppure guardarlo si mise a urlare con voce trionfale:

«Gli furono date la potenza, il regno e la gloria, e tutti i popoli, tutte le nazioni e tutti gli uomini di tutte le lingue lo servivano. La sua potenza è una potenza eterna che non avrà mai fine e il suo regno è indissolubile...»

Lasciò il manoscritto aperto sul leggio e si diresse verso la finestra, per guardare la notte.

«Dov'è dunque il Figlio dell'uomo?» Contemplava la notte e gridava. «Non ti appartiene più, è nostro, poiché ce lo hai promesso! Dov'è, affin-ché tu gli dia la potenza, il regno e la gloria, affinché il tuo popolo, il po-polo d'Israele, comandi l'universo? La nostra nuca è intorpidita a furia di guardare il cielo e di aspettare che si spalanchi. Quando? Quando? Perché ce lo dici e ripeti con insistenza? Lo sappiamo, per te un istante è come mille anni dei nostri, ma se tu sei giusto, o Signore, misura il tempo con la misura umana e non con la tua, questa è giustizia!»

Si appoggiò alla finestra, tese il collo, guardò. Le tenebre e i lampi si

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erano fatti più radi, ma l'acqua continuava a cadere con grande frastuono sulle rocce ai fianchi del monastero. I fichi d'India, ogni volta che venivano colpiti dalla luce d'un lampo, sembravano contorcersi, subire una metamorfosi e diventare un esercito di storpi che alzavano verso il cielo i loro moncherini lebbrosi.

L'igùmeno irrigidì la sua anima e il suo corpo e ascoltò: udì nuovamente le belve del deserto ululare in lontananza, non avevano fame, avevano paura. E il ruggito di una copriva ogni altro suono, avvicinandosi nelle te-nebre in un turbine di fuoco e di vento... E mentre l'igùmeno ascoltava i ru-mori del deserto, sussultò, si girò e guardò; qualcuno, anche se invisibile, era appena entrato nella sua cella! Le sette fiammelle del candelabro oscil-larono e furono sul punto di spegnersi e le nove corde dell'arpa, che era rimasta appoggiata in un angolo, vibrarono, come se una mano invisibile, furiosa, le avesse afferrate per spezzarle. L'igùmeno cominciò a tremare.

«Giovanni», disse a bassa voce, guardandosi intorno, «Giovanni, vieni vicino a me.»

Il giovane balzò fuori dal suo angolo e si avvicinò. «Comanda, vec-chio», disse, e mise un ginocchio in terra per prosternarsi.

«Giovanni, vai a chiamare i monaci; bisogna che parli loro prima di andarmene.»

«Prima di andartene, vecchio?» disse il giovane rabbrividendo e scorse dietro al vegliardo due grandi ali nere sbattere.

«Me ne vado», disse l'igùmeno, con una voce che pareva giungere da lontano, «me ne vado! Non hai visto oscillare le sette fiamme, in procinto di abbandonare il lucignolo? Non hai sentito vibrare le nove corde del-l'arpa, in procinto di rompersi? Me ne vado, Giovanni, va' a chiamare in fretta i monaci, voglio parlare loro, subita»

Il giovane chinò la testa e sparì. L'igùmeno rimase in piedi in mezzo alla cella, sotto il candelabro a sette braccia; ora era solo con Dio, poteva parlargli liberamente, nessun essere umano l'avrebbe udito. Rialzò tran-quillamente la testa, sapeva che Dio era davanti a lui.

«Vengo», gli disse, «vengo. Perché entri nella mia cella e cerchi di spegnere la luce, di rompere l'arpa e di portarmi via? Vengo, non solo per la tua volontà ma anche per la mia; vengo e ho nelle mani le tavolette sulle quali vi sono scritti i rimproveri del mio popolo; voglio vederti e parlarti. Lo so, non odi, fai finta di non udire, ma batterò alla tua porta finché mi aprirai, e se non mi apri, nessuno è qui ad ascoltarmi, butterò giù la tua porta! Sei feroce, ami i feroci, solo loro li chiami figli. Finora ci pro-

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sternavamo, piangevamo, dicevamo: che sia fatta la tua volontà! Ma non ce la facciamo più, Signore, fino a quando dovremo aspettare? Sei feroce, ami i feroci, diventeremo feroci. Che sia fatta la nostra volontà, per una volta!»

L'igùmeno parlava e tendeva l'orecchio nel vuoto per ascoltare. Ma la pioggia si era calmata e i tuoni si allontanavano. Sulla testa bianca del vecchio le sette fiamme splendevano immobili.

L'igùmeno tacque, attese: attese per un po' che le fiamme si movessero e che l'arpa vibrasse, ma non accadde nulla.

Il vecchio scosse la testa. «Maledetto sia il corpo dell'uomo», mormorò, «è lui l'ostacolo che non permette all'anima di vedere e di udire l'Invisibile. Fammi morire, Signore, affinché io possa stare davanti a te, liberato dalla prigione della carne e tu mi parli e io ti ascolti!»

Nel frattempo la porta della cella si era aperta silenziosamente e i monaci entravano in fila, non del tutto svegli, vestiti di bianco, come fan-tasmi. Si misero con la schiena contro il muro e attesero; avevano udito le ultime parole dell'igùmeno e il loro sangue si era raggelato. «Parla con Dio, litiga con Lui, ora ci cadrà addosso il fulmine!» pensavano fra sé e sé; e aspettavano, tremanti.

L'igùmeno guardava, ma il suo sguardo era altrove, non vedeva; il novizio gli si avvicinò e si prosternò.

«Vecchio», disse a bassa voce per non turbarlo, «vecchio, Sono qui.»L'igùmeno udì la voce del suo discepolo, si girò e li vide. Abbandonò il

centro della cella, si mise a camminare lentamente, mantenendo il suo cor-po moribondo più eretto possibile, e raggiunse lo scanno; salì sul gradino più basso e si fermò. Al suo braccio, l'amuleto che portava scritte le parole sacre si slacciò. Il novizio si precipitò e glielo legò di nuovo, ben stretto; non si era sporcato, toccando il suolo. L'igùmeno, con un gesto lento, prese di fianco allo scanno il suo bastone sacerdotale dal manico d'avorio. Pa-reva avesse ritrovato le forze, raddrizzò nervosamente la testa e osservò i monaci, in fila contro il muro.

«Monaci», disse, «devo parlarvi, per l'ultima volta. Aprite le orecchie e chi ha sonno se ne vada! Ciò che devo dire è difficile, bisogna che tutte le vostre speranze e i vostri timori stiano all'erta, drizzino l'orecchio e rispon-dano.»

«Ascoltiamo, santo igùmeno», disse il più vecchio del gruppo, il padre Habacuc, avanzando di un passo e mettendosi la mano sul cuore.

«Ecco le mie ultime parole, monaci; avete la testa dura e parlerò con

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parabole.»«Ascoltiamo, o santo igùmeno», ripeté padre Habacuc.«Prima vi furono le ali, dopo è venuto l'angelo!» disse. Si fermò, guardò

con gli occhi socchiusi, uno per uno, i monaci e scosse la testa.«Perché mi guardate con la bocca aperta, monaci? Tu hai risollevato la

testa e le tue labbra si sono mosse, hai qualche obiezione, vecchio Haba-cuc?»

Il monaco si mise una mano sul cuore e disse:«Tu hai detto: 'Prima vi furono le ali, dopo è venuto l'angelo'. Questa

parola non l'abbiamo mai vista nelle Scritture, o santo igùmeno».«Come avreste potuto vederla, vecchio Habacuc? Il vostro cervello, ahi-

mè, è ancora opaco! Aprite i libri dei profeti e i vostri occhi non possono vedere che delle lettere. Ma che cosa possono dire le lettere? Sono le nere sbarre della prigione in cui lo spirito soffoca e grida. Fra le lettere, fra le righe e tutto attorno, sulla carta bianca, circola liberamente lo spirito; io circolo con esso, e vi porto la grande notizia. Monaci, prima ci sono le ali, dopo è venuto l'angelo!»

Il vecchio Habacuc parlò di nuovo:«Il nostro spirito è una lampada spenta, santo igùmeno; accendila.

Accendila, facci entrare nella parabola, aprici gli occhi».«Al principio, vecchio Habacuc, era la passione della libertà, la libertà

non esisteva. Ma, improvvisamente, dal fondo della schiavitù, un uomo ha agitato le braccia cariche di catene, vigorosamente, violentemente, come se fossero delle ali. Poi ve ne fu un altro, un altro ancora, poi fu il popolo intero.»

Voci gioiose sorsero per domandare:«Il popolo d'Israele?»«Il popolo d'Israele, monaci! Ed ecco il grande, terribile momento che

attraversiamo; la passione per la libertà si è scatenata, le ali si sono messe a battere perdutamente, il liberatore arriva! Il liberatore arriva, monaci! Perché di che cosa credete che sia fatto questo angelo della libertà? Della condiscendenza e della misericordia di Dio? Del suo amore? Della sua giu-stizia? No, è fatto della pazienza, dell'ostinazione e della lotta dell'uomo!»

«È una pesante responsabilità, un insostenibile peso che affidi all'uomo, o santo igùmeno», replicò il vecchio Habacuc. «Hai dunque una così grande fiducia in lui?»

Ma l'igùmeno ignorò la replica, il suo spirito rimaneva fissato sul Messia.

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«È uno dei nostri figli», gridò, «ed è per questo che le Scritture lo chia-mano Figlio dell'uomo! Perché, a parer vostro, per generazioni e genera-zioni, migliaia di uomini e donne d'Israele si sono accoppiati? Per saziare il loro corpo, per far gioire il loro ventre? No! Quelle migliaia di uomini e quelle migliaia di donne si uniscono fino a quando nascerà il Messia!»

L'igùmeno picchiò violentemente per terra con il suo bastone.«Attenzione, monaci! Può arrivare a mezzogiorno, può arrivare nel bel

mezzo della notte. State sempre pronti, lavati, a digiuno, svegli; disgrazia a voi se vi troverà sporchi, sazi e addormentati!»

I monaci si strinsero l'uno all'altro, senza neppure osare guardare in fac-cia l'igùmeno: sentivano che, dalla sua testa, si scagliava su di loro una fiamma selvaggia.

Il moribondo scese dallo scanno, avanzò con passo deciso, si avvicinò al gruppo dei padri terrorizzati e li toccò, uno per uno, con il suo bastone sacerdotale.

«Fate attenzione, monaci!» gridò. «Se la passione cede per un istante, le ali ridiventano catene! Vegliate, lottate, mantenete la torcia, la vostra anima, accesa giorno e notte! Battete l'aria con le vostre ali, martellatela. Io ho fretta, me ne vado, vado a parlare con Dio; me ne vado, ecco le mie ultime parole: battete l'aria con le vostre ali, martellatela!»

Di colpo gli si mozzò il respiro, il bastone sacerdotale gli cadde di ma-no; delicatamente, il vecchio si piegò in ginocchio e rotolò, senza far ru-more, sulle lastre del pavimento. Il novizio lanciò un grido e corse per so-stenerlo. I monaci si agitarono, si chinarono, lo distesero sulle lastre, tira-rono giù il candelabro a sette braccia e lo deposero di fianco al viso livido e immobile. La sua barba scintillava, la sua tunica bianca si aprì e mostrò la veste ruvida coperta da chiodi di ferro aguzzi che ricopriva il petto e il dorso insanguinato del vecchio.

Il vecchio Habacuc posò la mano sul cuore dell'igùmeno.«È morto», disse.«È liberato», disse un altro.«Le due compagne si sono separate e sono tornate ognuna nel proprio

regno, la carne nella terra, l'anima a Dio», mormorò un altro.E mentre parlavano e si mettevano a scaldare dell'acqua per lavarlo,

l'igùmeno aprì gli occhi. I monaci indietreggiarono terrorizzati e lo guar-darono. Il suo viso era raggiante, le mani lunghe e sottili si mossero e i suoi occhi fissarono, in estasi, il vuoto.

Il vecchio Habacuc s'inginocchiò, posò ancora una volta la mano sul

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cuore dell'igùmeno.«Batte», mormorò, «non è morto.»Si girò verso il novizio che era caduto ai piedi del vecchio e li baciava.«Alzati, Giovanni», disse, «prendi il cammello più veloce e corri a

Nazareth, porta qui il vecchio Simeone, il rabbino. Lui lo guarirà. Svelto, è l'alba!»

Spuntava il giorno, infatti. Le nuvole si erano disperse, la terra brillava, lavata di fresco e sazia e guardava il cielo con gratitudine; due sparvieri si lanciarono verso l'alto e si misero a girare in cerchio sopra il monastero, per asciugarsi le ali.

Il novizio si passò la mano sugli occhi; scelse il cammello più veloce, uno giovane, magro, con una stella bianca sulla fronte, lo fece inginoc-chiare, gli montò in groppa e con un fischio dolce gli diede il segnale. Il cammello si alzò da terra, si drizzò sulle zampe e si mise a correre a grandi falcate verso Nazareth.

La luce del mattino illuminava il lago di Genezareth; l'acqua scintillava al sole, e vicino a riva sembrava meno limpida, per via della terra portata dalla pioggia della notte. Lontano era di un verde bluastro e più lontano ancora era bianca come il latte. I barcaioli avevano steso le vele inzuppate per farle asciugare, altri erano già al largo per andare a pesca. Uccelli ma-rini, bianchi e rosa, ondeggiavano voluttuosamente sulle acque, mentre dei cormorani neri, sulle rocce, fissavano il lago con i loro occhi rotondi, aspettando che un pesce, in un momento di gioia, saltasse e venisse a gio-care fra la schiuma. Sulla riva, Cafarnao, inzuppata anch'essa, si svegliava; i galli battevano le ali, si udivano gli asinelli ragliare e i vitellini muggire teneramente e, fra tutte quelle voci disparate, le parole degli uomini davano all'atmosfera una nota di sicurezza e di dolcezza.

In un gruppo isolato una decina di pescatori, i piedi appoggiati salda-mente sui sassi, tiravano lentamente e coscienziosamente le reti, cantando; li sovrastava il vecchio Zebedeo, il padron,, furbo e chiacchierone.

Faceva finta di amarli tutti come figli e di commiserarli, invece non la-sciava loro nemmeno tempo di tirare il fiato. Lavoravano per lui a giornata e l'avido vegliardo non permetteva che le loro braccia si riposassero nep-pure per un momento.

Ci fu un tintinnio di campanelle, un gregge di capre e di pecore ruzzolò fin sull'argine, dei cani abbaiarono, qualcuno fischiò. I pescatori si giraro-no a guardare, il vecchio Zebedeo si alzò in piedi.

«È Filippo con la sua 'filippaglia'!»esclamò innervosito. «Noialtri, occu-

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piamoci delle nostre cose!»Prese lui stesso la corda in mano, facendo finta di aiutarli.I pescatori continuavano a uscire dal villaggio, con le reti sulla schiena,

seguiti dalle donne che portavano in equilibrio sulla testa le provviste per la giornata. I ragazzi, abbronzati, avevano già afferrato i remi e ogni due o tre colpi davano un morso al loro pezzo di pane secco. Filippo apparve su uno scoglio e fischiò; aveva voglia di parlare, ma il vecchio Zebedeo, imbronciato, mise le mani a mo' d'imbuto e gli gridò:

«Abbiamo molto lavoro, Filippo; sii buono, vattene». Gli voltò la schiena.

«Laggiù, appena più in là, c'è Giona che sta gettando le reti, che vada a chiacchierare con lui; noi qui, al lavoro, ragazzi!» Afferrò nuovamente un nodo della corda e si mise ancora a tirare.

I pescatori ripresero il canto triste e monotono del loro lavoro; avevano tutti gli occhi fissi sulle zucche rosse, le boe, che si stavano sempre più avvicinando.

Ma nel momento in cui stavano per tirare a riva la rete piena di pesci, si udì, in lontananza, un vasto brusio riempire la pianura, voci flebili come per un canto funebre; il vecchio Zebedeo drizzò la sua orecchiaccia pelosa per ascoltare, mentre i pescatori approfittarono della sua distrazione per riposarsi.

«Che cosa succede, ragazzi? Sembra un lamento, voci di donne che intonano un canto funebre», disse Zebedeo.

«Qualcuno di potente è morto, che Dio ti mantenga in vita, padrone», gli rispose un vecchio pescatore.

Ma il vecchio Zebedeo si era già arrampicato su uno scoglio e i suoi oc-chi d'aquila rastrellavano la pianura. Vide uomini e donne correre nei cam-pi, cadere, rialzarsi, lamentarsi. Il villaggio cominciava a essere tutto sotto-sopra, le donne passavano strappandosi i capelli, seguite dagli uomini, con la testa china verso il suolo, silenziosi.

«Che cosa succede, ragazzi?» gridò il vecchio Zebedeo. «Dove andate? Perché le donne piangono?»

Ma quelli proseguivano per la loro strada, raggiungevano in fretta le aie, senza rispondere.

«Dove andate? Chi è morto?» urlò Zebedeo agitando le braccia. «Chi è morto?»

Un ometto tozzo si fermò, ansimante.«Il grano!» rispose.

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«Non dire sciocchezze! Sono il vecchio Zebedeo, non mi piacciono gli scherzi, chi è morto?»

«Il grano, l'orzo, il pane!» delle grida gli risposero da tutte le parti.Il vecchio Zebedeo rimase a bocca aperta; di colpo si batté una manata

su una coscia, aveva capito. «Il diluvio si è portato via il raccolto nelle aie!» mormorò. «A quei poveretti non rimangono più che gli occhi per piangere!»

Le grida, ora, coprivano la pianura intera; tutto il villaggio usciva dalle case, le donne si gettavano in terra nelle aie, si rotolavano nel fango, s'af-frettavano a raccogliere nelle pozzanghere e nei rivoli d'acqua i pochi chicchi di grano e d'orzo rimasti. I pescatori avevano le braccia spezzate, non avevano più forza per tirare a riva le reti; il vecchio Zebedeo s'infuriò vedendo che essi pure, con le braccia ciondoloni, guardavano verso la pianura.

«Al lavoro, noialtri, ragazzi!» gridò, scendendo dal suo scoglio. «Issa!» Riprese la corda in mano e fece finta di tirare. «Noialtri siamo pescatori, ringraziando Iddio, non contadini; se venisse il diluvio, i pesci sanno nuo-tare, non annegheranno; due più due fa quattro!»

Filippo lasciò il gregge e saltò, di scoglio in scoglio; aveva voglia di chiacchierare e si avvicinò.

«È un nuovo diluvio, ragazzi!» gridò. «Fermatevi, in nome del cielo, per parlare un po'; è la fine del mondo! Contate le catastrofi: l'altro ieri hanno crocifisso la nostra grande speranza, lo Zelota; ieri Dio ha spalancato le chiuse del cielo, proprio nel momento in cui le aie erano piene, togliendoci il pane; e non molto tempo fa una delle mie pecore ha partorito un agnello a due teste... E la fine del mondo, ve lo dico io, interrompete il vostro lavoro, per l'amor di Dio, per parlare un po'.»

Il vecchio Zebedeo perse le staffe, il sangue gli salì alla testa.«Ma lasciaci in pace, Filippo, ti ripeto. Abbiamo un sacco di lavoro noi,

siamo pescatori e tu un pastore, lascia che siano i contadini a piangere. Al lavoro, ragazzi!» gridò.

«E non hai pietà, vecchio Zebedeo, dei contadini che moriranno di fa-me?» rispose il pastore. «Sono Israeliti essi pure, no? Sono nostri fratelli, tutti formiamo un solo albero e i contadini, credimi, ne sono le radici; se esse si seccano, ci seccheremo tutti... Poi c'è ancora questo, vecchio Zebe-deo: se arriva il Messia e nel frattempo fossimo tutti morti, chi troverà da salvare, dimmi?»

Il vecchio Zebedeo ansimava dalla rabbia; se qualcuno gli avesse tappa-

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to il naso, sarebbe scoppiato.«Vattene, se credi in Dio, vattene dalla tua 'filippaglia', ne ho abba-

stanza di sentir parlare di Messia; ne arriva uno, lo si crocifigge, ne arriva un altro e lo si crocifigge anche lui. Non sai che cos'ha fatto dire Andrea a suo padre Giona? Ovunque tu vada, così pare, ovunque ti fermi c'è una croce e il fondo delle carceri è pieno di Messia... Basta così, adesso; ne facciamo benissimo a meno dei Messia, ci danno noia. Vai a prendermi un formaggio che ti darò del pesce in cambio. Chi dà, riceve, è questo il Mes-sia!»

Si mise a ridere e si voltò verso i suoi uomini.«Svelti, ragazzi miei, accendiamo il fuoco e mettiamo a cuocere la zup-

pa di pesce, per mangiare; il sole si è già alzato di una tesa.»Ma nel momento in cui Filippo stava per balzar su e raggiungere il suo

gregge, si trattenne. Sullo stretto sentiero che costeggiava il lago era appar-so un asinello carico da crepare e, dietro di lui, un colosso; il torso e i piedi nudi, rosso di capelli. Aveva in mano una forca e punzecchiava l'animale, aveva fretta.

«To', credo proprio che sia Giuda Iscariota, quel rosso della malora!» si disse il pastore. Si fermò. «Ha ripreso a girare per i villaggi per fabbricare vanghe e ferrare muli. Andiamo a sentire che cosa racconta.»

«Maledizione!» esclamò il vecchio Zebedeo. «Quel suo pelame proprio non mi piace. Pare che il suo avo Caino avesse una barba come la sua.»

«È nato nel deserto d'Idumenea, poveretto, dove circolano ancora i leo-ni, non bisogna volergliene per questo», disse Filippo. Si mise due dita in bocca e cominciò a fischiare nella sua direzione.

«Giuda», gridò, «che tu sia il benvenuto; passa da questa parte così potremo vederti!»

Il Rosso sputò e bestemmiò; non gli piacevano né Filippo il pastore né Zebedeo, fannullone e sfruttatore; ma era fabbro e aveva bisogno di lavo-rare, per cui si avvicinò.

«Che notizie ci porti dai villaggi in cui fai il tuo giro? Che cosa succede in pianura?»

Il Rosso afferrò il suo asino per la coda e lo fece fermare.«Tutto va a meraviglia, il Signore è pieno di misericordia, ama il suo

popolo, che Egli sia lodato!» rispose con una risatina secca. «A Nazareth crocifigge i profeti e nella pianura manda il diluvio e porta via il pane al suo popolo. Non udite il lamento funebre che s'innalza? Le donne pian-gono il grano come un figlio.»

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«Ciò che Dio fa è ben fatto», rispose il vecchio Zebedeo furibondo nel vedere che tutte quelle chiacchiere gli mandavano al diavolo il lavoro della giornata. «Qualsiasi cosa Dio faccia, io ho fiducia in lui. Dio mi protegge quando tutti annegano e io sono il solo a salvarmi. Dio mi protegge anche quando tutti si salvano e sono solo io ad annegare. Ho fiducia, vi dico; due più due fa quattro.»

Il Rosso, udendo le sue parole, dimenticò che lavorava a giornata, che mangiava tutti i giorni e aveva bisogno di tutti loro; soffocava dalla rabbia e le sue parole furono chiare:

«Hai fiducia, vecchio Zebedeo, perché l'Onnipotente fa andare bene i tuoi affaretti. Possiedi cinque barche, hai cinquanta pescatori come schiavi, dai loro da mangiare quel poco perché non crepino di fame, perché abbia-no la forza di lavorare per te e tu non fai altro che riempire i tuoi forzieri, le tue cantine e la tua pancia. Allora alzi le braccia al cielo ed esclami: 'Dio è giusto, ho fiducia! Il mondo è fatto bene, guai se cambia!' Ma domanda allo Zelota che hanno crocifisso l'altro ieri, perché combatteva per liberar-ci, domanda ai contadini cui Dio ha portato via in una sola notte tutto il grano dell'anno, che si rotolano nel fango, che lo raccolgono chicco per chicco e pianga no, domandalo a me, a me, che percorro i villaggi, che ve-do e odo la sofferenza d'Israele! Fino a quando? Fino a quando? Non te lo sei mai chiesto nella tua vita, questo, vero, vecchio Zebedeo ?»

«Per dirti il vero, io è dei capelli rossi che non ho fiducia; sei della razza di Caino che ha ucciso suo fratello. Perciò vattene, non ho voglia di discutere con te!» gli rispose il vecchio Zebedeo, e gli voltò la schiena.

Il Rosso diede una bastonata al suo asino che si impennò e partì al galoppo.

«Sta' tranquillo», mormorò, «sta' tranquillo, vecchio sfruttatore, arriverà il Messia e metterà ordine.»

Aveva superato gli scogli, ma si voltò ancora indietro.«Ne riparleremo, vecchio Zebedeo», gridò. «Il Messia arriverà pure uno

di questi giorni, non è vero? Arriverà. E allora metterà tutti i farabutti al loro posto. Anch'io ho fiducia. Alla prossima, padrone, arrivederci il giorno del giudizio!»

«Che il diavolo ti porti, Rosso!» gli rispose Zebedeo. La rete gonfia infine apparve; era piena di orate e pagelli.

Filippo non sapeva da che parte stare. Le parole di Giuda erano giuste, coraggiose. Succedeva spesso pure a lui di aver voglia di risputargli le sue parole in faccia e di ficcargli il naso nella sua stessa cacca, a quel vecchio

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mangione, ma non ne aveva il coraggio; quel miscredente era un pro-prietario piantato, era potente sulla terra e sull'acqua, tutti i prati in cui Filippo portava a pascolare le sue pecore e le sue capre gli appartenevano, come fare a mettersi-contro di lui? Bisognava essere dei pazzi o degli eroi e Filippo non era né l'uno né l'altro, era chiacchierone, sboccato, ma prudente.

Era quindi rimasto zitto mentre gli altri due litigavano, provando tutta-via un senso di vergogna. I pescatori avevano appena tirato su le reti, andò ad aiutarli a riempire le ceste e il vecchio Zebedeo era nell'acqua fino alla vita, regnava sui pesci e sugli uomini.

Ma mentre tutti si estasiavano davanti alle ceste traboccanti, dallo sco-glio di fronte risonò la voce rauca del Rosso:

«Ehi, vecchio Zebedeo...»Questi fece finta di non aver udito, ma la voce ruggì di nuovo.«Ehi, vecchio Zebedeo, un consiglio, va' a riprenderti tuo figlio Giaco-

mo!»«Giacomo!» gridò il vecchio sconvolto; già aveva perso il figlio più

giovane, Giovanni, non voleva perdere anche Giacomo. Non aveva altri figli e aveva bisogno di lui per il lavoro. «Giacomo!» disse inquieto. «Che cosa sai di Giacomo, Rosso maledetto?»

«L'ho incontrato sul mio cammino, mentre parlava e complottava con il crocifissore!»

«Quale crocifissore, maledetto? Parla più chiaramente.»«Il figlio del falegname, quello che fabbrica croci a Nazareth e che

crocifigge i profeti... Ecco qua, mio povero Zebedeo, hai perso anche l'al-tro; avevi due figli, uno te l'ha preso Dio, l'altro il diavolo!»

Il vecchio rimase bocca aperta; un pesce volante saltò fuori dall'acqua, volteggiò sulla sua testa, si rituffò nel lago e disparve.

«Cattivo presagio! Cattivo presagio!» mormorò il vecchio, pieno di ter-rore. «Chissà se anche mio figlio se ne andrà come quel pesce volante perdendosi nelle acque profonde?»

Si girò verso Filippo.«Hai visto il pesce volante?» gli chiese. «Non succede mai niente a

questo mondo senza un segno di Dio. Che cosa significherà quel segno? Voialtri pastori...»

«Se fosse una spalla d'agnello, te lo direi, vecchio Zebedeo; ma i pesci non sono il mio campo», rispose Filippo con asprezza. Era in collera perché non aveva il coraggio di parlare anche lui come Giuda, da uomo.

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«Vado dalle mie bestie», disse. Fece scivolare il bastone dietro alle spalle, saltò di scoglio in scoglio e corse a raggiungere Giuda.

«Aspetta, fratello», gridò, «devo parlarti.»«Fila via, vigliacco», rispose il Rosso senza nemmeno girarsi, «fila dal-

le tue pecore e non venire a mischiarti agli uomini. E non chiamarmi fratello, non sono tuo fratello!»

«Aspetta, ti dico, devo parlarti, non ti arrabbiare.»Giuda allora si fermò e lo guardò con disprezzo.«Perché non hai aperto anche tu la bocca per parlare? Perché hai paura

di lui? Avrai sempre paura? Non ti sei ancora reso conto di quello che sta succedendo, non vedi chi viene, dove andiamo? E giunto il momento, disgraziato, il re degli Ebrei arriva in tutta la sua gloria, disgrazia ai vigliacchi!»

«Giuda», disse Filippo in tono di preghiera, «sgridami ancora, solleva il tuo bastone e picchiami, per rendermi il mio amor proprio, ne ho abba-stanza anch'io di aver paura!»

«Stai parlando dal fondo del cuore, Filippo», disse, «o dici delle parole qualsiasi, buttate là?»

«Ne ho abbastanza, ti ripeto; oggi il mio cuore m'ha fatto provare ver-gogna. Cammina davanti a me, indicami la strada, Giuda, sono pronto.»

Il Rosso si guardò attorno e abbassò la voce.«Filippo, sei capace di uccidere?»«Un uomo?»«Certo, un uomo; che cosa credevi, delle pecore?»«Non ho mai ucciso, ma certo devo esserne capace. All'ultima luna ho

buttato giù un toro e l'ho ammazzato, da solo.»«Un uomo è più facile. Vieni con noi.»Filippo sussultò, capiva.«Anche tu sei di quella gente, gli,. Zeloti?» chiese. Il terrore gli invase

il viso.Aveva spesso sentito parlare di quella terribile confraternita, i «Santi

Assassini», così si facevano chiamare; seminavano terrore dal monte Her-mon fino al Mar Morto e più giù ancora, fino al mare di Idumenea. Gira-vano armati di spranghe di ferro, corde, coltellacci e proclamavano: «Non pagate tasse agli infedeli, abbiamo un solo Signore, Adonai; uccidete qual-siasi ebreo che non rispetti la Legge santa, che rida, parli o lavori con i nemici del nostro Dio, i Romani. Colpite, uccidete, aprite la strada affinché passi il Messia! Purificate il mondo, preparate il cammino, Egli arriva!»

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Entravano in pieno giorno nei villaggi e nelle città, formulavano essi stessi il verdetto, uccidevano il traditore Sadduceo, il romano sanguinario. I proprietari, i preti, l'alto clero, tremavano davanti a essi e li malediceva-no; erano loro a far scoppiare la rivolta che faceva apparire le truppe romane e, a ogni istante, la carneficina ricominciava e il sangue degli Ebrei colava come le acque d'un fiume.

«Anche tu sei di quella gente... gli Zeloti?» domandò ancora Filippo a bassa voce.

«Hai paura, ragazzo mio?» disse il Rosso con una risata di disprezzo. «Non siamo degli assassini, non temere; combattiamo per la libertà, perché il nostro Dio venga fuori dalla schiavitù, Filippo. In piedi, è giunta l'ora di mostrare se anche tu sei un uomo. Vieni con noi.»

Ma Filippo restava a testa bassa, si era già pentito di essersi lasciato andare a parlare di quel genere di cose con Giuda. D'accordo parlare di prodezze, seduto a mangiare e a bere con un amico, d'accordo lanciarsi in grandi discussioni, dire farò questo e farò loro vedere quest'altro, ma, attenti, non bisogna andar oltre, per non prendere una brutta piega!

Giuda, chino su di lui, gli stava parlando; come era mutata la sua voce e come la sua pesante mano gli teneva e gli carezzava teneramente una spalla!

«Che cos'è la vita di un uomo, Filippo?» gli diceva. «Che cosa vale se non è libera? È 'per la libertà che combattiamo, te lo dico io. Vieni con noi.»

Filippo taceva. Se avesse potuto almeno andarsene! Ma Giuda lo trat-teneva per la spalla.

«Vieni con noi, sei un uomo, deciditi. Hai un coltello?» «Sì.»«Tienilo sempre sul petto, potresti averne bisogno in ogni momento.

Stiamo passando giorni difficili, fratello; odi dei passi leggeri che s'avvi-cinano? E il Messia, e non deve trovare ostacoli sulla sua strada; il coltello è più utile che il pane, ecco, guardami!»

Socchiuse la veste. Contro la pelle, sul petto nero, brillava la lama nuda di un piccolo pugnale da beduino, a doppio taglio.

«È colpa di quello sbadato di Giacomo, il figlio di Zebedeo, se oggi non l'ho piantato nel cuore di un traditore; ieri, prima di partire da Nazareth, la confraternita l'ha condannato a morte...»

«Chi?»«...e la sorte ha designato che fossi io a ucciderlo.»

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«Chi?» chiese ancora Filippo che era diventato pallidissimo.«Fatti miei», rispose bruscamente il Rosso. «Non t'immischiare nei miei

affari, non hai fiducia in me?» Il Rosso gettò uno sguardo attorno, si chinò e afferrò Filippo per un braccio.

«Ascolta bene ciò che sto per dirti, Filippo, e non fiatare con nessuno se non vuoi essere perso. Adesso vado al monastero, nel deserto, i monaci m'hanno chiamato per aggiustare i loro arnesi. Fra qualche giorno, tre o quattro, passerò nuovamente dalle tue parti; rifletti un po' su tutto quello che ci siamo detti, non parlarne, non rivelare il segreto a nessuno, deciditi da solo. E se sei un uomo, se prendi la decisione che devi, ti dirò chi dovremo colpire.»

«Chi? Lo conosco?»«Non avere fretta, non sei ancora dei nostri.» Gli tese la grande mano.«Addio, Filippo», disse. «Finora non eri nulla, il mondo non sapeva se

vivevi o no. Ero così anch'io, un nulla, fino al giorno in cui sono entrato nella confraternita. Da quel giorno sono diventato un altro uomo, sono di-ventato un uomo. Non sono più Giuda il Rosso, il fabbro, che lavora come una bestia da soma e non ha che un'idea: come nutrire questi piedacci, questo ventre e questo brutto ceffo. Lavoro per una grande causa. E colui che lavora per una grande causa, anche il più miserabile, diventa grande pure lui. Capisci? Basta così, addio!»

Pungolò l'asinello e prese la strada del deserto a tutta lena.Filippo rimase solo. Appoggiò il mento sul suo bastone da pastore e

guardò Giuda fino al momento in cui girò dietro gli scogli e sparì.«Be', quello che il Rosso dice è giusto», pensò. «Giusto e santo; le sue

sono parole gravi, sicuro, ma che cosa importa? Finché si resta alle parole va tutto bene, ma se si comincia ad agire? Attento, mio caro Filippo, pensa anche alle tue pecorelle. Meditaci un po' su, lascia perdere, vedremo il da farsi quando giungerà il momento.»

Si gettò il bastone sulle spalle, aveva udito le campanelle del gregge e si mise a correre, fischiando.

Nel frattempo gli uomini di Zebedeo avevano acceso il fuoco e prepara-to la zuppa di pesce. L'acqua bolliva, vi gettarono dentro degli scorfani, dei ricci e una pietra ricoperta di alghe verdi, affinché la zuppa prendesse gusto di mare. Fra poco vi avrebbero gettato dentro orate e pagelli, gli scorfani e i ricci non avrebbero potuto certamente calmare la loro fame!

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Tutti i pescatori, rannicchiati attorno al fuoco, con gli occhi resi enormi dall'appetito, parlavano fra loro a bassa voce. Il vecchio pescatore si chinò e disse sottovoce al suo vicino:

«Non gli ha lesinato le parole, il fabbro. Pazienza, verrà il giorno in cui i poveri saranno in alto e i ricchi scenderanno in basso: è questa la giustizia».

«Credi che potrà veramente succedere, compagno?» rispose l'altro, roso dalla fame fin dall'infanzia. «Credi che potrà veramente succedere questo nel mondo?»

«Dio esiste?» rispose il vecchio. «Esiste. È giusto? Può Dio non essere giusto? Lo è. E perciò succederà così. Basta avere pazienza, ragazzo mio, molta pazienza.»

«Ehi! Che cosa borbottate laggiù?» fece il vecchio Zebedeo che aveva udito qualcosa e gli era saltata la mosca al naso. «Pensate al vostro lavoro, lasciate Dio tranquillo, sa che cosa fa. Ma guarda un po' che modi!»

Tutti tacquero di colpo; il vecchio si alzò, prese il cucchiaio di legno e rimescolò la zuppa.

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Mentre gli uomini di Zebedeo tiravano su le reti e il mattino, nuovo co-me se fosse appena uscito dalle mani di Dio, schiariva il lago, il figlio di Maria camminava con Giacomo, il figlio maggiore di Zebedeo. Si erano lasciati Magdala alle spalle e, di tanto in tanto, si fermavano a consolare le donne che si lamentavano nei campi di grano e nelle aie; quindi riprende-vano la loro strada, chiacchierando. Anche Giacomo aveva trascorso la notte a Magdala, era stato colto dal temporale ed era andato a dormire da un amico; prima dell'alba s'era alzato e aveva ripreso la sua strada.

Camminava in quel chiarore azzurrino, sguazzava nel fango e allungava il passo per raggiungere il lago di Genezareth. L'amarezza per tutto ciò che aveva visto a Nazareth cominciava a depositarsi, addolcita, sul fondo del suo animo e lo Zelota crocifisso era ormai un ricordo lontano. Le barche da pesca, gli uomini e le preoccupazioni quotidiane riempivano di nuovo il suo spirito. Superava i solchi scavati dalla pioggia mentre il cielo sopra di lui rideva, gli alberi gocciolavano fra pianti e risate, gli uccelli si risveglia-vano, e tutto traboccava di gioia; ma quando cominciò a far giorno, Giaco-mo scorse le aie saccheggiate dal diluvio e il raccolto di grano e d'orzo che scorreva per la strada assieme all'acqua. I primi contadini con le loro mogli

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si erano già precipitati nei campi e avevano intonato i lamenti... Di colpo scorse, in un luogo devastato, chino su due vecchiette, il, figlio di Maria.

Strinse il bastone che aveva in pugno e bestemmiò. La croce, il croci-fissore, Nazareth, sorsero nuovamente nel suo spirito: e adesso era il cro-cifissore stesso che vedeva piangere il grano perduto con le donne! Giaco-mo era rozzo, rude, aveva preso il carattere del padre, era chiacchierone, avido, senza pietà; non somigliava in nulla alla madre Salomè, santa don-na, né al fratello Giovanni, così pieno di fascino. Strinse fra le mani il ba-stone e furibondo tagliò in diagonale in direzione dell'aia.

In quel momento il figlio di Maria si stava rialzando per riprendere la strada, con le lacrime che ancora gli colavano lungo le guance. Le due vec-chie gli tenevano le mani, le baciavano e non lo lasciavano andar via. Chi mai avrebbe trovato, come questo sconosciuto passante, le parole adatte per consolarle?

«Non piangete, donne, non piangete», diceva loro. «Tornerò», e cercava di liberare dolcemente le sue mani da quelle rugose delle vecchie.

Giacomo si sentì frenare e si fermò, stupefatto: gli occhi del crocifissore brillavano, pieni di lacrime, e guardavano in alto il cielo roseo e allegro, o ai suoi piedi la terra e gli uomini che si chinavano, frugavano nel fango e si lamentavano.

«È lui il crocifissore? È, proprio lui? Il suo viso brilla come quello del profeta Elia!» mormorò Giacomo. Si fece da un lato, sconvolto. Il figlio di Maria aveva appena scavalcato il muretto dell'aia e vide Giacomo. Lo riconobbe, mise la mano sul cuore e lo salutò.

«Dove vai, figlio di Maria?» chiese il figlio di Zebedeo, cercando di addolcire la voce. E, senza attendere risposta: «Camminiamo insieme, la strada è lunga, è meglio essere in due».

«La strada è lunga ed è meglio essere soli», pensò il figlio di Maria; ma non lasciò trasparire il suo pensiero.

«Andiamo», disse. Presero entrambi la strada selciata che portava a Cafarnao.

Rimasero a lungo in silenzio; da ogni aia saliva il lamento delle donne; i vecchi, appoggiati ai loro bastoni, guardavano il grano scivolar via con l'acqua; gli uomini, con il viso scuro, rimanevano immobili in mezzo al loro campo, mietuto e saccheggiato. Taluni tacevano, altri bestemmiavano. Il figlio di Maria sospirò.

«Ah!» mormorò, «se un uomo avesse il potere di morire di fame affin-ché il popolo non muoia!»

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Giacomo lo fissò con uno sguardo sarcastico.«Se tu potessi diventare grano, affinché il popolo ti mangi per non

morire di fame, lo faresti?»«Chi non lo farebbe?» disse il figlio di Maria.Gli occhi da sparviero di Giacomo espressero meraviglia e le sue labbra

si mossero.«Io», rispose.Il figlio di Maria tacque. L'altro se ne sentì offeso. «Perché dovrei mori-

re?» urlò. «È Dio che ha mandato il diluvio, qual è la mia colpa?»Gettò uno sguardo feroce verso il cielo.«Perché Dio ha fatto questo? Che male gli ha fatto il popolo? Non

capisco. Capisci, tu, figlio di Maria?»«Non far domande, fratello, non si deve. Anch'io fino a ieri l'altro face-

vo domande, adesso ho capito. Ecco il serpente che ha sedotto le prime creature e che ha fatto sì che Dio ci cacciasse dal Paradiso.»

«Che cosa, dunque?»«Fare domande.»«Non capisco», disse il figlio di Zebedeo. Allungò il passo.La compagnia del crocifissore non gli piaceva più: le sue parole lo

opprimevano e il suo silenzio gli era ancora più insopportabile.Erano giunti su una collinetta da cui videro scintillare in lontananza le

acque del lago di Genezareth. Le barche erano già al largo e avevano co-minciato la pesca. Il sole saliva, tutto rosso sul deserto. Sulla riva una ricca borgata bianca splendeva nella luce.

Giacomo scorse le sue barche e non pensò più che al suo pesce. Si voltò verso il suo fastidioso compagno. «Dove vai, figlio di Maria?» domandò. «Ecco Cafarnao.»

L'altro abbassò il capo senza rispondere, aveva vergogna di dire che andava al monastero per santificarsi.

Giacomo alzò bruscamente la testa, fu colto all'improvviso da un cattivo pensiero.

«Non vuoi dirlo», urlò, «è un segreto?»Lo prese per il mento e gli sollevò il viso: «Guardami in faccia, dimmi,

chi ti manda?»Il figlio di Maria sospirò.«Non lo so», mormorò, «non lo so; forse è Dio, può anche...»Si fermò: la paura gli aveva inchiodato la lingua. Se veramente fosse

stato il demonio a mandarlo...

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Giacomo scoppiò in una risata secca, piena di disprezzo; ora lo teneva per un braccio e lo scuoteva.

«Il centurione?» borbottò a basse voce. «Il centurione, amico tuo? È lui che ti manda?»

Sì, era certo lui che lo mandava a spiare; nuovi Zeloti erano apparsi nelle montagne e nel deserto, scendevano nei villaggi, parlavano alla gente di vendetta e di libertà, e il centurione sanguinario di Nazareth aveva mandato in tutti i villaggi degli Ebrei venduti, perché facessero la spia. Il crocifissore era certamente uno di loro.

Aggrottò le sopracciglia, abbassò la voce e lo respinse, brutalmente, con un colpo.

«Ascolta ciò che sto per dirti, figlio del falegname; qui le nostre strade si separano. Tu non sai dove vai, io lo so. Vattene, ne riparleremo. Ovun-que andrai, ti seguirò, disgraziato, e, attenzione! È tutto ciò che ho da dirti, ma ricordati: dalla strada che hai preso, non uscirai vivo!»

E senza tendergli la mano, si precipitò giù per il sentiero a tutta velocità.

I pescatori avevano tolto dal fuoco il calderone di rame e si erano seduti in circolo. Zebedeo, per primo, allungò il cucchiaio di legno, scelse l'orata più bella e cominciò a mangiarla. Il più vecchio del gruppo tese il braccio per fermarlo.

«Padrone», disse, «abbiamo dimenticato la preghiera.»Il vecchio Zebedeo, con la bocca piena, alzò il cucchiaio di legno e sen-

za smettere di masticare, si mise a ringraziare il Dio d'Israele che dà i pe-sci, il grano, il vino e l'olio per alimentare generazioni di Ebrei e dar loro la possibilità di tenere duro fino al giorno dell'arrivo del Signore, perché siano dispersi i nemici e tutte le nazioni cadano ai piedi di Adonai e l'ado-rino. «È per questo, o Signore, che mangiamo, è per questo che ci spo-siamo e che abbiamo dei figli, è per questo che viviamo, per amarti!»

Detto ciò, ingoiò la sua orata in un sol boccone.E mentre il padrone e gli uomini gioivano del frutto del loro lavoro e,

con gli occhi fissi sul mare che li nutriva, mangiavano, ecco apparire Giacomo, coperto di fango e ansimante. I pescatori si strinsero per fargli posto e il vecchio Zebedeo gli gridò di buonumore:

«Benvenuto, figlio maggiore! Hai fortuna, siediti e mangia. Che notizie ci porti?»

Il figlio non rispose; si inginocchiò di fianco al padre ma non allungò la mano verso il calderone fumante che emanava un buon profumino.

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Il vecchio Zebedeo girò timidamente la testa e lo guardò; lo conosceva bene, quel figlio suscettibile e taciturno, e lo temeva.

«Non hai fame?» gli chiese. «Ma che faccia fai! Contro chi te la sei presa, stavolta?»

«Contro Dio, contro i demoni, contro gli uomini», rispose furioso. «Non ho fame.»

«Ahi», pensò il vecchio Zebedeo, «è venuto ancora una volta a rovinar-ci la nostra zuppa di pesce...» ma cercò di essere gioviale, di cambiare discorso. Dette una pacca affettuosa sul ginocchio del figlio.

«Ehi, furbone», disse strizzando un occhio, «con chi parlavi là sulla strada?»

Giacomo trasalì:«Da quando mi spii? Chi te l'ha detto? Non parlavo con nessuno!»Si alzò, entrò nell'acqua fino alle ginocchia e si lavò. Ritornò in mezzo

a loro, li osservò mangiare e ridere scioccamente e non si trattenne.«Mangiate e bevete che, nel frattempo, altri si fanno crocifiggere per

voi, a Nazareth!»Non poteva più sopportare la loro vista. Prese la strada del villaggio,

brontolando.Il vecchio Zebedeo lo vide allontanarsi e scosse la testa.«I miei figli mi hanno lasciato con le pive nel sacco», disse. «Uno è

cresciuto troppo dolce, troppo pio; l'altro troppo litigioso, ovunque vada c'è una rissa; son proprio rimasto con le pive nel sacco. Nessuno dei due è un uomo completo, un po' dolce, un po' stizzoso, una volta buono, una vol-ta cane arrabbiato, mezzo angelo, mezzo demonio, un uomo, insomma!»

Sospirò, e prese un'altra orata per farsi passare la tristezza.«Per fortuna ci sono le orate», disse, «il lago che fa le orate e Dio che fa

i laghi.»«Che cosa dovrebbe dire allora il vecchio Giona, padrone?» esclamò il

più vecchio del gruppo. «Tutte le sere quel disgraziato si siede su uno scoglio, guarda verso Gerusalemme e piange per il figlio Andrea. Pure lui è un illuminato; pare che abbia trovato un profeta e viaggi con lui; mangia miele e locuste, afferra le persone e le immerge nel Giordano, per lavarle, dice, dai loro peccati.»

«Abbiate figli, come si suol dire, e ve ne troverete contenti!» disse Zebedeo. «Portatemi la borraccia, ragazzi, c'è ancora del vino; mi son fatto cattivo sangue!»

Si udirono sulla ghiaia dei passi lenti e pesanti, dai movimenti tardi si

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sarebbe detto che stava avvicinandosi un animale incollerito. Zebedeo si voltò e si alzò, per ricevere il visitatore.

«Benvenuto, Giona, l'uomo giusto!» gridò, asciugandosi la barba, spor-ca di vino. «Ho appena avuto una spiegazione con i miei figli e con le orate; vieni anche tu a spiegarti con le orate e dacci notizie del tuo santo figlio, Andrea!»

Il vecchio pescatore, basso e tozzo, i piedi nudi, cotto dal sole e con la testa immensa coperta da riccioli bianchi si avvicinò. La sua pelle era diventata squamosa come quella dei pesci, i suoi occhi erano torbidi e stanchi. Si chinò e li guardo uno per uno. Cercava qualcuno.

«Chi cerchi, vecchio Giona?» disse Zebedeo. «Ti stanca parlare?»Vedeva i suoi piedi, i capelli, la barba, nei quali si mischiavano spine di

pesce e alghe; le sue grosse labbra screpolate si muovevano, come quelle dei pesci, senza parlare.

Il vecchio Zebedeo stava per scoppiare a ridere quando il terrore l'affer-rò. Un dubbio delirante attraversò il suo spirito: tese ambedue le mani co-me per impedire che il vecchio Giona si avvicinasse.

«Ah, saresti forse tu Giona, il profeta?» gridò. Balzò in piedi. «Sei rimasto tanto con noi e ce lo nascondi? Ti scongiuro, nel nome di Adonai, parla! Un giorno udii il santo igùmeno del monastero parlare dello squalo che aveva ingoiato il profeta Giona: più tardi l'aveva rigettato e questi era uscito dalla pancia del pesce tutto intero, come prima. Sì, cielo santo, l'igùmeno ce l'ha descritto proprio come sei tu in questo momento: pare che avesse delle alghe fra i capelli e che il suo petto e la sua barba fossero piene di granchiolini appena nati. Scommetto, senza offesa, vecchio Giona, che se frugassi nella tua barba troverei dei granchiolini.»

I pescatori scoppiarono a ridere. Gli occhi del vecchio Zebedeo guar-davano il vecchio amico con terrore.

«Parla, uomo di Dio», gli diceva. «Saresti tu dunque il profeta Giona?»Il vecchio scuoteva la testa; non ricordava d'esser stato ingoiato da nes-

sun pesce, però poteva esser successo, erano così tanti anni che lottava con i pesci da non riuscire a ricordarsene.

«È lui, è lui», mormorò il vecchio Zebedeo; i suoi occhi si guardavano attorno come se volesse scappare. Lo sapeva bene, lui: i profeti erano tutti degli originali, non bisognava dar loro fiducia. Sparivano nel fuoco, nel mare, nell'aria, poi un bel giorno, senza dire neppure una parola, eccoteli di nuovo davanti! Elia non era salito in cielo cavalcando il fuoco? Eppure vive ancora sano e vegeto su qualche montagna e scalandola ce lo si ritro-

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va davanti al naso! La stessa cosa vale per Enoch, è immortale. Ed ecco, ora, il profeta Giona che fa l'innocente, che pretende d'esser pescatore e padre di Andrea e Pietro. Lo prenderò con dolcezza, questi profeti hanno un brutto carattere, caratteri impossibili, possono causare dei fastidi.

«Vecchio Giona», con voce dolce, «vicino caro, cerchi qualcuno, forse Giacomo? È tornato da Nazareth, ma è stanco, pare, ed è tornato al villag-gio; e se vuoi notizie di tuo figlio Pietro, ti manda a dire che sta bene, mol-to bene e di non preoccuparti, arriverà. Ti manda un saluto... Mi ascolti, vecchio Giona? Fammi un segno.»

Gli parlava con dolcezza, carezzava il cuoio rugoso delle sue spalle. Non si sa mai, tutto può succedere, quest'essere metà bestia da soma, metà pesce, può benissimo essere il profeta Giona, e allora attenti!

Il vecchio Giona si chinò, prese un piccolo scorfano nel calderone, lo inghiottì tutto intero e si mise a masticarlo con le spine e tutto.

«Me ne vado», mormorò. Voltò loro la schiena. Un gabbiano, passando in volo, gli sfiorò la testa, si fermò un istante battendo le ali, come se avesse scorto un granchio tra i capelli del vecchio pescatore, ma lanciò un grido rauco, come spaventato, e volò via.

«Attenti, ragazzi», disse il vecchio Zebedeo, «è il profeta Giona, ci scommetto la testa; che due di voi vadano ad aiutarlo adesso che Pietro non c'è, così non succederanno storie!»

Due colossi, mezzo ridenti e mezzo impauriti, si alzarono.«Peggio per te», dissero, «sarai tu a pagare per tutti, vecchio Zebedeo; i

profeti sono bestie feroci, senza dire né A né B spalancano le fauci e ti divorano fino all'ultimo ossicino. Addio!»

Il vecchio Zebedeo si stirò e sbadigliò, soddisfatto; aveva avuto la sua con il profeta. Si girò verso gli altri uomini.

«Coraggio, ragazzi, facciamo in fretta! Mettete il pesce nelle ceste, setacciate i villaggi, ma fate attenzione: i contadini sono dei furbacchioni, non sono come noi, i figli di Dio, i pescatori. Date meno pesce possibile e prendete più grano possibile, anche se è dell'anno scorso, olio, vino, polli, conigli... capito? Due più due fa quattro.»

I pescatori si alzarono e si misero a riempire i cesti.In lontananza, da dietro gli scogli, apparve un uomo in groppa a un

cammello, che galoppava veloce. Il vecchio Zebedeo si mise la mano sopra gli occhi e guardò.

«Ehi, ragazzi! Guardate anche voi, non è mio figlio Giovanni?» gridò.L'uomo ora passava sulla sabbia fina e si stava avvicinando.

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«È lui, è lui!» gridarono i pescatori. «Benvenuto sia tuo figlio, padro-ne!»

Il giovane stava passando davanti a loro e agitò la mano in un cenno di saluto.

«Giovanni!» gridò il vecchio padre. «Perché hai tanta fretta? Dove vai? Fermati, almeno, che possa vederti!»

«L'igùmeno sta morendo, ecco perché ho fretta!» «Che cos'ha?»«Non vuol più mangiare, vuole morire.»«Perché ? Perché?»Ma le parole di Giovanni si persero nell'aria.Il vecchio Zebedeo tossì, rifletté un istante, poi scosse la grossa testa.«Che Dio ci preservi dalla santità», disse.

Il figlio di Maria vedeva Giacomo scendere a lunghi passi furibondi verso Cafarnao; si rannicchiò per terra, con le gambe incrociate, e il suo cuore pieno di dolore. Lui, che desiderava con tanta passione amare ed essere amato, perché doveva risvegliare tanto odio nei cuori degli uomini? Era colpa sua, non di Dio, non degli uomini, solo sua. Perché agiva così vigliaccamente, perché prendeva una strada senza avere il coraggio di percorrerla fino in fondo? Pauroso, pietoso, vigliacco.

Perché non osava sposare Maddalena, per salvarla dalla vergogna e dal-la morte? E quando Dio gli piantava i suoi artigli addosso e gli ordinava: alzati!, perché si afferrava al suolo e non voleva alzarsi? E ora perché la paura l'aveva invaso, perché andava a sotterrarsi nel deserto? Credeva forse che lì Dio non l'avrebbe trovato?

Il sole era quasi a picco su di lui; i lamenti per il grano si erano calmati, quegli esseri straziati si erano già abituati alla catastrofe, ricordandosi che i lamenti non avevano mai portato la guarigione. Da migliaia d'anni erano perseguitati, avevano fame, erano tormentati da forze visibili e invisibili eppure riuscivano a vivacchiare; e avevano imparato ad avere pazienza.

Una lucertola verde apparve fra gli arbusti spinosi per scaldarsi al sole. Vide l'uomo, come belva terribile, sopra di sé, ed ebbe paura; facendosi co-raggio, si incollò contro una pietra calda, girò un occhio tondo e nero e guardò con fiducia il figlio di Maria, come per augurargli il benvenuto, come per dirgli: ho visto che eri solo e sono venuta a tenerti compagnia. Il figlio di Maria se ne rallegrò; trattenne il respiro per non spaventarla e, mentre la guardava e sentiva battere il suo cuore all'unisono con quello

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della lucertola, due farfalle si misero a svolazzare fra loro; volavano dal-l'uno all'altra e non se ne volevano andare. Farfalle nere, pelose, con delle macchie rosse. Volavano allegramente, giocavano nel sole e finalmente si poggiarono sul fazzoletto insanguinato dell'uomo, proprio sulle macchie rosse, come se volessero aspirare il sangue. Sentì la loro lieve carezza sulla testa e si rammentò degli artigli di Dio, gli parve che ali di farfalle e artigli di Dio gli portassero sempre lo stesso messaggio; ah! pensò, se Dio potes-se sempre scendere così sugli uomini e non come un'aquila dagli artigli aguzzi, come il fulmine..

Mentre nel suo spirito mescolava Dio e farfalle, sentì un pizzicore sotto ai piedi, chinò il capo e vide in fila, preoccupate, affrettate, grosse formi-che rosse e nere che trasportavano in due o tre un chicco di grano nelle loro grosse mandibole. L'avevano rubato nei campi, strappato dalla bocca stessa degli uomini e lo trascinavano nel loro formicaio, ringraziando Dio, la Grande Formica, che si prende cura del suo popolo eletto, le formiche, e che scaglia il diluvio sui campi proprio nel momento giusto, quando il gra-no è ammucchiato nelle aie.

Il figlio di Maria sospirò: anch'esse sono creature di Dio, pensò, proprio come gli uomini, le lucertole, le cicale, che odo cantare fra gli ulivi, gli sciacalli che ululano di notte, i diluvi, la fame...

Udì qualcuno ansimare alle sue spalle ed ebbe paura; l'aveva dimentica-ta per tutto quel tempo, ma lei non lo dimenticava. La sentiva, ora, seduta anche lei con le gambe incrociate dietro di lui, udiva il suo respiro.

«Anche la Maledizione è una creatura di Dio», mormorò.Si sentiva attorniato da tutte le parti dalla presenza di Dio: a volte pas-

sava su di lui soave e benevolo, altre selvaggio e senza pietà. La lucertola, le farfalle, le formiche, la Maledizione, tutto era Dio.

Udì delle campanelle e delle grida sulla strada e si voltò: c'era una lunga carovana di cammelli, carichi di mercanzie preziose e preceduti da un asi-nello, che apriva loro la strada. Dovevano venire dal deserto, dovevano es-sere partiti da più lontano di Ninive o Babilonia, dalle terre grasse e fan-gose del patriarca Abramo; dovevano trasportare tessuti di seta, spezie e avorio, forse anche schiavi, ragazzi e ragazze e si dirigevano verso il Gran-de Mare pieno di imbarcazioni multicolori.

Passavano, passavano, non finivano mai. Quante ricchezze in questo mondo, pensò il figlio di Maria, quante meraviglie! In coda alla carovana, con i turbanti verdi, le djellaba bianche, le barbe nere e gli anelli d'oro alle orecchie, ondulando al ritmo dei cammelli, passavano i ricchi mercanti. Il

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figlio di Maria rabbrividì.«Si fermeranno a Magdala», pensò improvvisamente, «si fermeranno a

Magdala, la porta di Maddalena è aperta, aperta giorno e notte, entreran-no... Salvarla! Se potessi salvarla! Tu, non la tribù d'Israele, quella non posso; tu, Maddalena! Non sono profeta, io; se apro la bocca non so che cosa dire. Dio non ha strofinato sulle mie labbra un carbone ardente, non ha lanciato dentro di me il fulmine per bruciarmi, affinché balzassi sulle strade e mi mettessi a urlare! Che le parole non siano mie, che siano sue, non me ne importa; io solo aprirò la bocca e sarà lui a parlare. Non sono profeta, sono un uomo semplice e pauroso, non posso tirarti fuori dal letto della vergogna e vado nel deserto, al monastero, a pregare per te. Anche la preghiera è onnipotente, anche nelle guerre: mentre Mosè teneva le braccia alzate verso il cielo, i figli d'Israele trionfavano; se era stanco e abbassava le braccia, essi venivano sconfitti. Giorno e notte terrò le mie braccia alza-te verso il cielo, per te, Maddalena!»

Guardò in direzione del sole, e ne valutò l'inclinazione. Voleva mettersi in cammino di notte, passare da Cafarnao senza essere visto, costeggiare il lago e dirigersi verso il deserto. Il desiderio di arrivare si stava trasforman-do in angoscia.

«Ah! se potessi camminare sull'acqua e attraversare il lago!» mormorò con un sospiro.

La lucertola era ancora ferma sulla pietra e si riscaldava al sole, le far-falle erano volate in alto e si erano perse nella luce, le formiche continua-vano a trasportare e deporre il raccolto nei loro granai. Il sole stava ormai per tramontare. A poco a poco le ombre si allungarono, i passanti divenne-ro più rari, finché la sera cadde sugli alberi e sulle terre ricoprendoli d'oro. Le acque del lago sembravano in delirio, diventando ora rosse, ora viola chiaro, ora completamente scure. Una stella, più grande delle altre, brillò nel cielo, a occidente.

«Adesso scenderà la notte, la scura figlia di Dio con le sue carovane di stelle...» pensava il figlio di Maria e, prima ancora del cielo, ,fu la sua testa a riempirsi di stelle.

Stava accingendosi ad alzarsi per riprendere il cammino quando udì alle sue spalle il suono di una tromba, e poi qualcuno che lo chiamava per nome. Si girò. Nella luce fioca del crepuscolo vide avvicinarsi un uomo che portava una grossa sacca e gli faceva dei segni. Chi sarà? pensava. Cercava di distinguere i lineamenti del viandante, sembrandogli di aver già

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visto da qualche parte quella faccia livida, quella barbetta brizzolata e quelle gambe storte. Di colpo lanciò un grido:

«Sei tu, Tommaso? Hai ripreso a girare per i villaggi?»Il venditore ambulante, strabico e astuto, era adesso di fronte a lui,

ansimante; poggiò a terra il suo carico, si asciugò il sudore dalla fronte os-suta e dagli occhi. Nessuno avrebbe potuto dire se quello sguardo asim-metrico comunicasse allegria o se piuttosto si prendesse gioco di chi aveva davanti.

Il figlio di Maria gli voleva bene; lo vedeva passare spesso davanti alla sua bottega, con la tromba alla cintola. Qualche volta si fermava, appog-giava il suo carico sul bancone e si metteva a parlare di tutto ciò che aveva visto, scherzando, ridendo, prendendolo in giro. Non riponeva la sua fi-ducia né nel Dio d'Israele né negli altri dei, è tutta una burla, diceva, e noi intanto gli sacrifichiamo i nostri agnelli, bruciamo il nostro incenso e ci sgoliamo a celebrare le loro virtù...

Il figlio di Maria l'ascoltava e si sentiva più sereno, ammirando la ge-nialità di quel cervello che, malgrado tutta la povertà, la schiavitù e la miseria della sua razza, trovava la forza, con il riso, di trionfare sulla povertà, la schiavitù e la miseria.

Anche Tommaso, il venditore ambulante, amava il figlio di Maria; ve-deva in lui un candido agnello sofferente, che cerca Dio e bela, tentando di raggiungerlo.

«Sei un agnello», gli diceva spesso scoppiando a ridere, «sei un agnello, figlio di Maria, ma hai dentro di te un lupo e quel lupo ti divorerà!»

Allora estraeva dalla sacca una manciata di datteri, una melagrana op-pure una mela che aveva rubato negli orti e glieli regalava.

«È fortuna che io t'abbia incontrato», disse, quando riprese fiato. «Dio deve volerti bene. Ma tu dove stai andando?»

«Al monastero», rispose l'altro, indicando con la mano un posto lonta-no, oltre il lago.

«Allora è proprio fortuna che io t'abbia incontrato. Torna indietro!»«Perché? Dio...»Tommaso s'infuriò.«Ti prego, non ricominciare con Dio, è impossibile incontrarlo. Si cam-

mina tutta la vita, si cammina tutta la morte per raggiungerlo, ma lui, bea-to, è eterno. Allora lascialo stare, non mescolarlo alle nostre storie. Noi qui abbiamo a che fare con dei banditi, con uomini astuti, capisci! Stai bene attento a Giuda il Rosso! Prima di partire da Nazareth, l'ho visto com-

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plottare con la madre del crocifisso, poi con Barabba e con due o tre Zeloti sgozzatori e ho udito il tuo nome: fai attenzione, figlio di Maria, non andare al monastero!»

Ma l'altro chinò il capo.«Tutti gli esseri viventi», disse, «sono nelle mani di Dio. Lui salva chi

vuole e lascia morire chi vuole. Che resistenza possiamo opporgli? Andrò al monastero e che Dio mi protegga!»

«Vi andrai?» gridò Tommaso furioso. «Ma lo sai che Giuda, mentre io sto qui a parlare con te, è già arrivato al monastero e ha un coltello na-scosto nel petto? Hai un coltello, tu?»

Il figlio di Maria rabbrividì.«No, a che cosa mi servirebbe?»Tommaso scoppiò a ridere.«Agnello... agnello... agnello...» mormorò.Si rimise in spalla la sacca.«Addio», disse. «Fai quello che vuoi. Io ti dico: non andare! Tu mi dici:

vado! Va', allora, e poi ti strapperai i capelli!»E fischiettando cominciò a scendere dalla collina.Era notte ormai, la terra diventò scura, il lago sparì, e a Cafarnao si

accesero le prime luci. Gli uccelli del giorno avevano nascosto la testa sotto un'ala, per dormire, mentre gli uccelli della notte si svegliavano e si alzavano in volo per la caccia.

Quest'ora è bella e santa, pensò il figlio di Maria; non mi vedrà nessuno, andiamo.

Gli tornarono alla mente le parole di Tommaso.«Succederà ciò che Dio vorrà», mormorò. «Se è Lui a spingermi verso

il mio assassino, non mi rimane che andare a farmi uccidere senza aspettare oltre. Posso farlo e lo farò.»

Si voltò un'ultima volta.«Andiamocene», disse alla sua compagna invisibile, e si diresse verso il

lago.

La notte era dolce, calda, umida; soffiava un leggero vento da sud e Ca-farnao odorava di pesci e gelsomini. Il vecchio Zebedeo stava seduto nel cortile della sua casa, sotto il grande mandorlo, con la moglie Salomè. Avevano appena finito di mangiare e chiacchieravano. In casa, Giacomo, il loro figliolo, si rigirava nel letto: lo Zelota crocifisso, il figlio del fale-gname spione, la nuova ingiustizia di Dio che aveva portato via il grano

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agli uomini, si mescolavano nel suo spirito, riempivano d'angoscia il suo cuore, non lo lasciavano dormire. Anche i discorsi del vecchio padre lo eccitavano. Stava ribollendo. Si alzò di colpo, uscì nel cortile, varcò la soglia.

«Dove vai?» gli chiese la madre, inquieta.«Al lago, perché il vento mi fustighi!» gridò. Scomparve nella notte.Il vecchio Zebedeo scosse il capo e sospirò.«Il mondo è pazzo, donna», disse. «Adesso i giovani non riescono a star

fermi; non sono né uccelli né pesci, ma pesci volanti. Il mare è troppo piccolo per loro, e allora volano in alto nell'aria, ma poi non sopportano l'aria e si rituffano in mare; e tutto ricomincia da capo! Hanno perso la testa; to', guarda il tuo caro figliolo Giovanni. Ti parla di monastero, di preghiere, di digiuno, di Dio, la sua barca gli sembra troppo piccola, non ci sta più dentro. Ed ecco ora che l'altro, Giacomo, che credevo dotato di nor-male buonsenso, be', ricorda ciò che ti dico, sono sicuro che ha preso pure lui quella rotta: l'hai visto stasera come s'infuocava, si eccitava? La casa gli sembrava troppo piccola. A me non importa, ma chi guiderà le mie barche da pesca e i miei uomini? E tutta la mia fatica, andrà persa? Sono depresso, moglie, portami un po' di vino e qualche pezzetto di polipo da sgranoc-chiare, per rimettermi un po'.»

La vecchia Salomè fece finta di non udire; suo marito aveva già bevuto troppo quella sera, e bastava così. Cercò di cambiar discorso.

«Sono giovani», disse. «Non farti cattivo sangue, passerà.»«Forse hai ragione, donna», rispose Zebedeo. «Hai davvero un cervello

da donna: a che cosa mi serve restare qui a tormentarmi? Sono giovani, passerà. La gioventù è una malattia, e passa. Anche a me, quand'ero gio-vane, venivano degli accessi di febbre, mi giravo e rigiravo nel letto; credevo di cercare Dio e invece cercavo una donna, proprio te, vecchia Salomè. Ti ho presa e mi sono calmato. Per i nostri figli è la stessa cosa; via i brutti pensieri, perciò! Ecco, donna, adesso sono contento. Portami un po' di vino e un po' di polipo da sgranocchiare e berrò alla tua salute, Salomè!»

Poco più in là, in un quartiere vicino, il vecchio Giona, solo soletto nella sua casetta, aggiustava le reti al lume di una lampada. Aggiustava, aggiustava, ma il suo spirito e i suoi pensieri non andavano né alla sua povera moglie che era morta l'anno prima, proprio in quella stagione, né al figlio Andrea che sognava a occhi aperti, né a quel pazzo di Pietro che stava ancora gironzolando nelle taverne di Nazareth e che l'aveva lasciato

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solo, a lottare, vecchio com'era, con i pesci. Pensava invece alle parole di Zebedeo ed era molto preoccupato. Era davvero Giona, il profeta? Si guar-dò le mani, i piedi, le cosce, ormai completamente ricoperte di squame. Anche il suo fiato e il suo sudore avevano odore di pesce. E quando il giorno prima aveva pianto sua moglie, anche le sue lacrime avevano il sapore del pesce... E quel furbone del vecchio Zebedeo aveva ragione, quando diceva che spesso trovava dei granchi nella sua barba...

Era davvero il profeta Giona? Ah, allora era forse per quello che non aveva mai voglia di parlare, che le parole gli venivano fuori con il conta-gocce e che quando camminava inciampava sempre e vacillava; ma quan-do si tuffava nel lago, che gioia, che sollievo, sentire sulla pelle le carezze dell'acqua, il bisbigliare delle onde nelle orecchie. E lui, come i pesci, rispondeva senza parole e dalla bocca gli uscivano delle bolle!

«Devo essere veramente il profeta Giona, sono risuscitato, lo squalo mi ha rigettato, ma sono diventato ragionevole; sono profeta, ma faccio il pe-scatore, non apro bocca, non voglio ricominciare ad avere delle storie...» Sorrise, soddisfatto della sua astuzia. «Ho fatto bene», pensò, «nessuno vi aveva più pensato da moltissimi anni, e io neppure. C'è voluto quel dan-nato Zebedeo che, per fortuna, m'ha fatto aprire gli occhi...» Lasciò cadere le reti, si fregò le mani soddisfatto, tirò fuori una borraccia, gettò indietro il collo tozzo e squamoso e si mise a bere gorgogliando.

A Cafarnao i due vecchi bevevano, contenti. Immerso nei suoi pensieri, il viaggiatore notturno camminava lungo la riva. Non era solo, udiva la sabbia stridere dietro di lui. Nel cortile di Maddalena i mercanti aspetta-vano il proprio turno seduti con le gambe incrociate, masticavano datteri e granchi abbrustoliti. Al monastero i monaci vegliavano l'igùmeno nella sua cella; respirava ancora, aveva gli occhi sbarrati e guardava verso la porta aperta, il viso emaciato e teso, come se stesse ascoltando.

«Sta aspettando l'arrivo del rabbino da Nazareth..„»«Sta aspettando il battito delle ali nere dell'arcangelo...»«Sta aspettando di udire i passi del Messia che si avvicina...»I monaci parlavano fra di loro a bassa voce e lo guardavano; l'anima di

ciascuno di loro era pronta, in quel momento, a ricevere il miracolo. Tendevano tutti l'orecchio, ma non udivano che il martello che batteva sull'incudine, dall'altro lato del cortile; Giuda aveva acceso la sua fucina e lavorava di notte.

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Lontano da lì, a Nazareth, Maria, la moglie di Giuseppe il falegname, aveva acceso la lampada e lasciata aperta la porta; stava dipanando la lana che aveva filato. Faceva in fretta. Aveva deciso di uscire e di fare il giro di tutti i villaggi per cercare suo figlio. Lavorava, ma il suo spirito era al-trove; errava fra i campi, passava per Magdala, Cafarnao, si agitava, solo e disperato, lungo le rive del lago di Genezareth. Cercava suo figlio. «È scappato di nuovo, Dio l'ha punzecchiato con il suo pungolo, non ha pietà di lui, non ha pietà di me, che cosa gli abbiamo fatto? Erano dunque queste le gioie e la gloria che ci aveva promesso? Perché hai fatto fiorire il bastone di Giuseppe? Perché m'hai fatto prendere per sposo un uomo vec-chio? Perché hai lanciato il fulmine e fatto germogliare nel mio ventre quel figlio unico, illuminato?. Ero un mandorlo in fiore quando lo tenevo fra le mie braccia; dalle radici alla cima, ero tutta fiorita. I vicini passavano, mi ammiravano e dicevano: 'Sii benedetta, fra tutte le donne, o Maria!' Le ca-rovane passavano e si fermavano: 'Chi è quel mandorlo in fiore?' chie-devano i mercanti. Scendevano dai cammelli e riempivano il mio grem-biule di regali. Di colpo è soffiato il vento, sono rimasta come un albero spoglio... Incrocio le braccia sul mio petto inutile: Signore, la tua volontà si è compiuta, mi hai fatto fiorire, hai soffiato su di me, mi sono spogliata. Signore, non c'è speranza che io rifiorisca?»

«Non vi è dunque speranza che il mio cuore si metta in pace?» si chie-deva il figlio, quando all'albeggiare, dopo aver costeggiato il lago, si trovò di fronte al monastero, a picco sulle rocce rosse e verdi. «A mano a mano che mi avvicino al monastero, il mio cuore è sempre più sconvolto; per-ché? Non ho forse preso la strada che dovevo, Signore? Non è verso que-sto santo ritiro che mi stai spingendo? Allora perché rifiuti di stendere un tuo braccio affinché il mio cuore si tranquillizzi?»

Due monaci vestiti di bianco apparvero sulla gran porta del monastero; salirono su una roccia e scrutarono lontano, dalle parti di Cafarnao.

«Niente... ancora niente...» disse uno dei due, un uomo dalle gambe corte, gobbo e mezzo idiota.

«Non lo troverà vivo», disse l'altro, un pezzo d'uomo dalla bocca enor-me che pareva quella di uno squalo e che gli arrivava fino alle orecchie. «Senti, Geroboamo, io rimango qui a far da sentinella, per vedere l'arrivo del cammello.»

«E io vado a vederlo morire», disse allegramente il piccolo gobbo,

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balzando giù dalla roccia.Il figlio di Maria restava indeciso sulla porta del monastero. Entrare?

Non entrare? Il suo cuore batteva all'impazzata. Il cortile era lastricato; non un solo albero verde, non un fiore, non un uccello, neppure un fico d'India... Quel cortile era un deserto circolare, inumano. Tutto attorno vi erano dei buchi scavati nelle rocce, come delle tombe: le celle.

«È questo il regno dei cieli?» si chiese. «È qui che trova pace il cuore dell'uomo?»

Guardava, guardava e non si decideva a varcare la soglia. Due cani pastore neri balzarono su dal loro angolino e si misero ad abbaiare.

Il gobbetto vide il visitatore e fischiò ai cani, che tacquero. Poi si voltò e lo scrutò dalla testa ai piedi, attento ai minimi dettagli. I suoi occhi gli parvero molto tristi e le vesti che indossava molto misere; i suoi piedi san-guinavano. Ebbe pietà di lui.

«Sii il benvenuto, fratello», gli disse. «Qual vento t'ha portato fin qui nel deserto?»

«Dio!» rispose il figlio di Maria con una voce profonda, inattesa. Il monaco fu terrorizzato; non aveva mai inteso pronunciare il nome di Dio con tanto spavento da labbra di uomo. Incrociò le braccia e rimase in silenzio.

«Sono venuto a trovare l'igùmeno», disse il visitatore dopo un po'.«Forse lo vedrai, ma lui non ti vedrà. Che cosa vuoi da lui?»«Non lo so, ho fatto un sogno. Vengo da Nazareth.»«Un sogno?» disse il monaco mezzo matto scoppiando a ridere.«Un sogno terribile, vecchio. Da allora il mio cuore non ha più pace.

L'igùmeno è santo, Dio gli ha insegnato il significato dei sogni e quello degli uccelli. E sono venuto.»

Non aveva mai avuto l'intenzione di venire in quel monastero per do-mandare all'igùmeno il significato del sogno che aveva fatto la notte in cui stava fabbricando la croce: il tragico inseguimento nel sonno, il Rosso che correva e i nani che lo seguivano con gli strumenti di tortura. Ma lì, all'improvviso, mentre era in piedi sulla soglia del monastero, indeciso, il sogno gli aveva lacerato lo spirito come un baleno. «È per questo che sono venuto, Dio me lo ha mandato per mostrarmi il cammino e l'igùmeno me lo spiegherà.»

«L'igùmeno sta morendo», disse il monaco, «arrivi troppo tardi, fratello, Vattene.»

«È Dio che me l'ha ordinato», disse il figlio di Maria. «Può lui ingan-

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nare gli uomini?»Il monaco sogghignò; ne aveva viste troppe, non aveva fiducia in Dio.«Lui è Dio», disse, «e fa ciò che gli passa per la testa. Sarebbe uno stra-

no Onnipotente se non potesse commettere ingiustizie!»Batté sulla schiena del visitatore; voleva carezzarlo, ma la sua mano era

pesante, e gli fece male.«Non preoccuparti», disse. «Entra. Sono io il padre che accoglie gli

ospiti.»Entrarono nel cortile. Il vento si era alzato, sollevando turbini di sabbia.

Attorno al sole apparve un alone fosco e l'aria divenne scura.In mezzo al cortile si apriva la gola di un pozzo ormai secco. Una volta

doveva esserci dell'acqua, ma ora era pieno di sabbia. Ne uscirono due lucertole e vennero a prendere il sole sulla sua vera consumata.

La cella dell'igùmeno era aperta; il monaco afferrò il visitatore per un braccio.

«Aspetta qui», gli disse. «Vado a chiedere il permesso ai fratelli, non muoverti.»

Incrociò le braccia sul petto ed entrò. I cani si erano messi ognuno a un lato della porta; tendevano il collo, fiutavano e guaivano lamentosamente.

L'igùmeno era disteso in mezzo alla cella con i piedi rivolti alla porta. Attorno a lui, i monaci, sfiniti dalla notte di veglia, sonnecchiavano e aspettavano. Il moribondo, disteso sulla stuoia, aveva il viso teso e gli oc-chi aperti, fissi sulla porta spalancata. Il candelabro a sette braccia era an-cora acceso di fianco alla sua testa e gli illuminava la fronte convessa e lucida, il naso aquilino, le labbra bluastre, la lunga barba bianca che rico-priva per intero il petto nudo e scheletrico.

Sulla brace di un incensiere di terracotta era stato gettato dell'incenso impastato con essenza di rose; l'aria era profumata.

Il monaco entrò, si dimenticò del giovane che aspettava nel cortile e si rannicchiò sulla soglia, vicino ai cani.

Il sole ora giungeva sino alla porta, voleva entrare e toccare i piedi del-l'igùmeno. Il figlio di Maria era fuori ad aspettare. Dappertutto, silenzio. Solo i due cani che mugolavano e, da lontano, il rumore lento e scandito del martello sull'incudine.

Il visitatore attese molto a lungo; il sole era già alto nel cielo, l'avevano dimenticato, lì fuori, in piedi al sole del mattino. La notte era stata gelida e ora tutto il suo corpo riceveva con voluttà il calore del sole. Di colpo, in mezzo a quel gran silenzio, si udì il grido del monaco che faceva la sen-

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tinella sulla roccia:«Arrivano! Arrivano!»I monaci sussultarono, si svegliarono e corsero fuori sulla collina, la-

sciando l'igùmeno da solo.Il figlio di Maria prese coraggio, avanzò timidamente di qualche passo e

si fermò sulla porta. In quella cella c'era la pace della morte e del-l'immortalità. I piedi sottili dell'igùmeno, inondati dal sole, riflettevano una luce pallida; un'ape ronzava contro il soffitto, un insetto nero e peloso svo-lazzava voluttuosamente attorno alle sette fiamme, come se non sapesse scegliere su quale farsi arrostire.

Improvvisamente l'igùmeno si mosse, riunì tutte le forze, sollevò il capo e spalancò gli occhi. Dischiuse le labbra, mentre le narici gli fremevano e aspiravano l'aria.

Il figlio di Maria si mise la mano sul cuore, sulle labbra, e sulla fronte, e salutò. L'igùmeno mosse quasi impercettibilmente le labbra.

«Sei venuto... sei venuto... sei venuto...» mormorò in un soffio, tanto che il figlio di Maria non l'udì. Ma su tutto il viso dell'igùmeno, su quel viso severo e sofferente, si sparse un sorriso di muta estasi. Di colpo gli occhi si chiusero, le narici s'immobilizzarono, la sua bocca si sigillò e le due braccia, che teneva incrociate sul petto; scivolarono ai lati del corpo, con le palme delle mani aperte e voltate all'insù.

Nel frattempo i due cammelli, con il loro carico, erano entrati nel cor-tile; i monaci accorsero ad aiutare il rabbino a scendere, mentre il novizio domandò con l'angoscia nel cuore: «È ancora vivo?»

«Respira ancora», rispose il vecchio Habacuc. «Vede tutto, ode tutto, ma non parla.»

Il rabbino entrò per primo e dietro di lui il novizio, portando la preziosa bisaccia che racchiudeva gli unguenti, le piante e gli amuleti magici del guaritore. I due cani neri, con la coda tra le gambe, non girarono neppure la testa; con il muso appoggiato per terra gemevano lugubremente.

Il rabbino li intese e scosse la testa. Arrivo troppo tardi, pensò, ma rima-se in silenzio.

S'inginocchiò di fianco all'igùmeno, si chinò su di lui, gli appoggiò la mano sul cuore e avvicinò le labbra a quelle dell'igùmeno.

«Troppo tardi», mormorò, «arrivo troppo tardi... Che Dio vi mantenga in vita, padri!»

I monaci si misero a gridare e si chinarono a baciare il morto, come il loro ordine prescriveva, ognuno a seconda del proprio rango: il vecchio

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Habacuc gli baciò gli occhi, gli altri monaci la barba e il palmo aperto del-le mani, i novizi i piedi. Uno di loro andò a prendere il bastone sacerdotale sullo scanno vuoto e lo posò alla destra della santa spoglia.

Il vecchio rabbino, in ginocchio, guardava l'igùmeno; non poteva stac-cargli gli occhi di dosso, che cos'era quel sorriso trionfale? Che significato aveva quel chiarore mistico attorno agli occhi chiusi? Un sole era caduto su quel viso, un sole senza crepuscolo, che non lo abbandonava. Che sole?

Si guardò attorno: i monaci erano ancora in ginocchio e si prosterna-vano; Giovanni, con le labbra incollate ai piedi del morto, singhiozzava. Il vecchio rabbino posò il suo sguardo su tutti i monaci, uno dopo l'altro, come se si stesse domandando qualcosa. Improvvisamente, in un angolo, in fondo alla cella, scorse il figlio di Maria, in piedi, con le braccia incro-ciate, tranquillo. Ma sul suo viso vi era lo stesso sorriso del morto, trion-fale e sereno.

«Signore dei potenti, Adonai», mormorò il vecchio rabbino con terrore. «Vuoi tentare il mio cuore ancora una volta? Aiuta il mio spirito a capire, a decidersi!»

L'indomani, un sole rosso sangue, infuriato, circondato da un alone scu-ro, si levò dalle sabbie. Un vento infuocato salì dal deserto verso il sole, il mondo si oscurò, i due cani neri del monastero vollero abbaiare, ma la loro bocca si riempì di sabbia e tacquero; i cammelli, appiattiti contro il suolo, chiudevano gli occhi e aspettavano.

I monaci si tenevano per mano, formavano una catena, avanzavano len-tamente, a tastoni, lottando per non cadere. Stretti l'uno all'altro come se fossero un grappolo, sorreggevano con le braccia, perché il vento non le portasse via, le spoglie dell'igùmeno. Andavano a seppellirlo. Il deserto pareva ondeggiare, si alzava e si abbassava come il mare.

«È il vento del deserto, è il soffio di Geova», mormorò Giovanni, che camminava abbracciato al figlio di Maria. «Fa' seccare le foglie verdi, prosciuga le sorgenti, riempi la bocca di sabbia. Lasceremo la santa spoglia in un fosso e le onde di sabbia la copriranno.»

Per un istante, in mezzo alla tormenta, nel momento in cui oltrepassa-vano la soglia del monastero, videro drizzarsi davanti a loro e guardarli, immenso, nero, con il martello sulle spalle, il fabbro dai capelli rossi; ma subito la sabbia lo avvolse e sparì. Il figlio di Zebedeo vide quel colosso in mezzo alla sabbia, ebbe paura e strinse il braccio del suo compagno.

«Chi era?» domandò a bassa voce. «L'hai visto?»

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Ma il figlio di Maria non rispose. «Dio aggiusta tutto come deve, secon-do la sua volontà», pensò. «Ecco che ora, alla fine del mondo, nel deserto, mi riunisce con Giuda. Ebbene, che sia fatta la tua volontà, Signore...»

Avanzavano tutti assieme, chini, i piedi che affondavano nella sabbia infuocata. Proteggevano la bocca e il naso con il bordo della veste, ma la sabbia fine era già scesa nelle gole e nei polmoni. Il vecchio Habacuc camminava davanti; il vento lo sollevò e poi lo lasciò cadere a terra. I monaci, accecati dalle nuvole di sabbia, non lo videro e lo calpestarono. Il deserto fischiava, le pietre risuonavano, il vecchio Habacuc cacciò un urlo roco, ma nessuno l'intese.

«Perché il soffio di Geova non è il vento fresco che ci giunge dal Grande Mare?» pensava il figlio di Maria. Voleva dirlo al suo compagno, ma non poteva aprire la bocca. «Perché il vento di Geova non riempie d'acqua i pozzi asciutti del deserto? Perché non ama le foglie verdi, perché non prova pietà per l'uomo? Ah, se si potesse trovare un uomo per avvi-cinarlo, per cadere ai suoi piedi e avere il tempo, prima di essere ridotto in cenere, di dirgli il dolore degli uomini, il dolore della terra e delle foglie verdi!»

Giuda se ne rimaneva in disparte davanti alla cella che gli era stata data come officina. Osservava ridendo il corteo funebre che ora spariva ora riappariva tra nuvole di sabbia. Aveva scorto l'uomo che inseguiva e gli brillarono gli occhi. «Il Dio d'Israele è grande», mormorò soddisfatto, «sistema tutto alla perfezione; mi ha portato il traditore sulla punta del mio pugnale.»

Tutto contento si lisciò i baffi ed entrò. La cella era buia, ma in un an-golo, su un piccolo focolare, fiammeggiavano i carboni ardenti. Il monaco dalle gambe corte, mezzo santo e mezzo matto, teneva il mantice e attiz-zava il fuoco.

«Ehi, padre Geroboamo», disse il fabbro di buonumore, «è questo quello che chiamano vento di Dio? Mi piace. Anch'io, se fossi Dio, soffierei così.»

Il monaco si mise a ridere.«Io non soffierei per niente, sono stanco...» disse.Mollò il mantice per asciugarsi il sudore dalla fronte e dal collo. Giuda

gli si avvicinò.«Vuoi farmi un piacere, padre Geroboamo? Ieri è venuto qui al mona-

stero un visitatore, un giovane con una barbetta nera, i piedi nudi e mezzo matto come te. In testa ha un fazzoletto macchiato di sangue.»

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«Sono io che l'ho visto per primo!» disse il monaco tutto contento. «Ma lui, fabbro, è matto del tutto. Pare che abbia fatto un sogno ed è venuto ap-posta da Nazareth per farselo spiegare dall'igùmeno, che Dio lo perdoni!»

«Ascoltami, allora! Non sei tu il monaco addetto agli ospiti? Quando arriva qualcuno, non sei tu che gli prepari la cella, il giaciglio, gli porti da mangiare?»

«Sì, certo, sono io; dicono che non son capace di svolgere altri servizi, allora mi hanno messo ad accogliere gli ospiti. Lavo, scopo, do da man-giare ai visitatori.»

«Allora, stanotte, preparagli il giaciglio nella mia stessa cella. Non sono capace di addormentarmi senza avere qualcuno vicino, che cosa vuoi farci, Geroboamo? Faccio dei brutti sogni, Satana viene a tentarmi, ho paura di andare all'inferno. Quando sento vicino a me il respiro di un uomo mi calmo! Coraggio, ti darò un paio di forbici per tosare le pecore, affinché tu ti tagli la barba, rada i monaci e tosi i cammelli; così non ti tratteranno più da buono a nulla... Capisci quello che ti dico?»

«Dammi le forbici.»Il fabbro frugò nella sua bisaccia e ne tirò fuori un enorme paio di

forbici arrugginite. Il monaco le afferrò e le avvicinò alla luce; le apriva, le chiudeva, non smetteva di ammirarle.

«Sei grande, Signore, e le tue opere sono ammirevoli», mormorò im-merso in una contemplazione profonda.

«Allora?» fece Giuda, scuotendolo per risvegliarlo.«Stasera l'avrai», rispose il monaco. Afferrò le forbici e se ne andò.I monaci erano già di ritorno. Non erano potuti andare lontano, il vento

di Geova li spingeva dappertutto, facendoli cadere. Avevano trovato una fossa e vi avevano deposto la salma. Poi avevano chiamato il vecchio Habacuc per dire la preghiera, ma non lo avevano trovato; fu il vecchio rabbino di Nazareth a chinarsi sulla fossa e a gridare alla carne vuota e senz'anima: «Sei polvere, torna alla polvere. L'anima ti ha lasciato e non servi più a niente, il tuo ruolo è finito, carne; hai aiutato l'anima a scendere nell'esilio della terra, a camminare giorni e notti sulla sabbia e sulle pietre, a soffrire, a desiderare appassionatamente la sua patria, il Cielo, e suo pa-dre, Dio. Carne, l'igùmeno non ha più bisogno di te, disperditi!»

Mentre il rabbino parlava, un sottile strato di sabbia si era già posato sul corpo dell'igùmeno, il viso, la barba e le mani ne erano già coperti. Si leva-rono altre nuvole di sabbia e i monaci fuggirono. Mentre il padre addetto agli ospiti, mezzo matto, riceveva le forbici dal Rosso, i monaci rientra-

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vano nel monastero, gli occhi accecati, le labbra lacerate, le ascelle infuo-cate, trasportando il vecchio Habacuc che avevano trovato, al ritorno, mez-zo seppellito nella sabbia.

Il vecchio rabbino si asciugò con un panno umido gli occhi, la bocca e il collo e s'inginocchiò davanti allo stallo vuoto dell'igùmeno. Udiva, attra-verso la porta barricata, il soffio di Geova prosciugare e devastare il mon-do. I profeti occupavano interamente il suo spirito e in quell'aria infuocata chiamavano Dio gridando: quelle fiamme sulle loro labbra e sui loro occhi stavano sicuramente a significare che il Signore delle Potenze era vicino. «Andiamo! Dio è un vento ardente, è il fulmine, lo so», mormorò, «non è un giardino fiorito. E il cuore dell'uomo non è una verde foglia. Dio lo fa volteggiare e lo fa seccare. Che cosa fare? Come comportarci con lui affinché il suo viso si raddolcisca? Se gli sacrifichiamo gli agnelli lui gri-da: 'Non voglio carne, solo i salmi potranno saziare la mia fame'. Se into-niamo i salmi lui grida: 'Non voglio parole, solo la carne dell'agnello, la carne del figlio, dell'unico figlio, potrà calmare la mia fame!'»

Il vecchio rabbino sospirò. Era stanco di pensare a Dio e cercò un ango-lino per stendersi. Dopo una notte insonne i monaci si erano ritirati nelle loro celle per dormire e sognare dell'igùmeno. Per quaranta giorni la sua anima avrebbe errato nel monastero, sarebbe entrata nelle celle per vedere che cosa facevano i monaci, per dar loro consigli o per rimproverarli. Il vecchio rabbino si guardò attorno, ma non vide nessuno. C'erano solo i due cani neri; si stesero sul pavimento e fiutarono, guaendo, in direzione dello scanno vuoto. Fuori il vento picchiava alla porta con rabbia, per entrare anche lui.

Mentre il rabbino si preparava a dormire a fianco dei cani, vide, in piedi in un angolo, immobile, il figlio di Maria che lo stava guardando. Il sonno abbandonò immediatamente le sue stanche palpebre; si alzò e si sedette, inquieto, e fece cenno al figlio di suo fratello d'avvicinarsi. L'altro, come se stesse aspettando d'essere chiamato, ebbe un sorriso amaro che gli fece vibrare le labbra e s'avvicinò.

«Gesù», disse il rabbino, «siedi. Devo parlarti.»«Ti ascolto», rispose il giovane. S'inginocchiò di fronte a lui. «Bisogna

che ti parli anch'io, zio Simeone.»«Che cosa fai qui? Tua madre sta correndo da un villaggio all'altro e

piange.»«Lei mi cerca e io cerco Dio; non c'incontreremo mai», rispose il figlio.«Non hai cuore. Non hai mai amato, da uomo, tuo padre e tua madre.»

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«Meglio. Il mio cuore è un carbone ardente. Brucia coloro che tocca.»«Che cos'hai? Come puoi parlare così? Che cosa ti manca?» chiese il

rabbino. Allungò la testa per guardare meglio il giovane. «I tuoi occhi sono gonfi di lacrime, un dolore segreto ti divora, figlio mio. Confidami il tuo dolore, per rasserenarti. Un dolore profondo...»

«Uno?» gridò il giovane. Un sorriso amaro gli coprì il viso. «Uno? Un'immensità!»

Il rabbino s'impaurì a udire quel grido straziante. Posò la mano sul ginocchio del giovane, per infondergli coraggio.

«Ti ascolto, ragazzo mio», disse con tenerezza. «Parlami dei tuoi dolori, strappali dal fondo di te stesso; nel buio si esasperano, la luce li annienta. Non aver vergogna, non aver paura, parla!»

Il figlio di Maria non sapeva più che cosa dire, da dove cominciare, che cosa mantenere segreto nel suo cuore, che cosa rivelare per aver sollievo. Dio, Maddalena, i sette peccati, i crocifissi si confondevano dentro di lui lacerandogli le viscere...

Il rabbino gli carezzava le ginocchia, lo guardava, lo supplicava in silenzio.

«Non ci riesci, figliolo?» domandò a bassa voce, ancor più teneramente. «Non ci riesci?»

«Non posso, zio Simeone.»«Hai molte tentazioni?» domandò piano, dolcemente.«Molte, molte», rispose il giovane con terrore. «Molte.»«Anch'io», disse sospirando il vecchio rabbino, «anch'io, figliolo, quan-

d'ero giovane, soffrivo molto... Dio perseguitava pure me, mi metteva alla prova, voleva vedere se resistevo, quanto resistevo... Anch'io avevo molte tentazioni. Certune brutali e queste non mi facevano paura. Altre pacifiche, piene di dolcezza: erano quelle che mi terrorizzavano e sono venuto, lo sai, in questo monastero, dove tu pure sei venuto, per trovare la pace. Ma è stato proprio qui che Dio, che mi perseguitava, m'ha messo in trappola. Mi ha mandato una tentazione vestita da donna... io non ressi, ahimè, alla tentazione e da allora - era forse questo che Dio voleva? Era per questo che mi perseguitava? - da allora mi sono calmato. Anche Dio si è calmato e ci siamo riconciliati. È nello stesso modo che tu, figliolo, ti riconcilierai con lui e guarirai.»

Il figlio di Maria scosse la testa.«Credo», mormorò, «che non guarirò così facilmente.»Tacque. Di fianco a lui anche il rabbino taceva. Ambedue respiravano

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affannosamente e ansimando.«Non so da dove cominciare», disse il giovane, accennando a rialzarsi.

«Non comincerò, ho vergogna.»Ma il rabbino gli strinse con forza le ginocchia.«Non alzarti», ordinò, «non te ne andare. Anche la vergogna è una ten-

tazione: domala. Rimani. Sono io che ti porrò delle domande, abbi pa-zienza, sono io che ti porrò delle domande e tu risponderai. Perché sei venuto al monastero?»

«Per liberarmi.»«Per liberarti? Da che cosa? Da chi?»«Da Dio.»«Da Dio!» esclamò il rabbino sconvolto.«Mi perseguitava, piantava i suoi artigli nella mia testa, nel mio cuore,

nella mia schiena, voleva spingermi per forza...»«Dove?»«Nel precipizio.»«Quale precipizio?»«Il suo precipizio. Voleva che mi alzassi e che parlassi. Per dire che

cosa? Non ho nulla da dire. Gli gridavo: lasciami! Ma lui non mi abban-donava. Ah, non vuoi lasciarmi? Ebbene, vedrai! Vedrai, ti farò provare disgusto di me e mi abbandonerai. Allora sono caduto io pure in tutti i peccati.»

«In tutti i peccati!» gridò il rabbino.Ma il giovane non lo sentiva nemmeno; era trasportato dal dolore e

dalla collera.«Perché scegliere me? Non ha dunque scoperto il mio petto per guar-

dare? Tutti i serpenti s'intrecciano in me e sibilano. Sibilano e danzano. Tutti i peccati. E più di ogni altra cosa...»

Gli si strinse la gola e goccioline di sudore apparvero alla radice dei capelli. Tacque.

«E più di ogni altra cosa?» chiese il rabbino a voce bassa.«Maddalena!» disse il giovane sollevando il capo.«Maddalena!»Il viso del vegliardo era diventato livido.«È colpa mia, è colpa mia, se ha preso la strada che ha preso. Sono io

che, fin dall'infanzia, le ho mostrato la via del piacere. Lo confesso, ascol-ta, vecchio rabbino, fremerai. Dovevo avere circa tre anni, scivolavo in casa vostra quando eravate tutti fuori, prendevo Maddalena per mano, ci

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spogliavamo, ci distendevamo per terra e univamo le piante dei nostri pie-di. Che gioia era quella! Che peccato! Da allora, Maddalena si è perduta. Perduta; non ha più potuto vivere senza un uomo, senza gli uomini...»

Osservò il vecchio rabbino. Ma questi aveva appoggiato la testa sulle ginocchia e taceva.

«È colpa mia, mia, mia!» gridò il figlio di Maria, battendosi il petto. Poi, dopo un istante, continuò:

«E come se non bastasse fin dall'infanzia nascondo in me, nell'intimo, non solo il demone della prostituzione, ma anche quello della presunzione, vecchio rabbino. Ero piccolissimo, a stento muovevo i primi passi e dove-vo appoggiarmi ai muri per non cadere, ma dentro di me gridavo: 'Dio, fammi Dio! Mio Dio, fammi Dio! Mio Dio, fammi Dio! ' Un giorno avevo in mano un grosso grappolo d'uva; una zingara che passava di lì, si acco-vacciò accanto a me e mi prese la mano. 'Dammi l'uva', disse e intanto mi guardava il palmo della mano. All'improvviso gridò: 'Oh, vedo croci, croci e stelle...' Poi continuò ridendo: 'Tu diventerai il re degli Ebrei', e se ne andò. E io le credetti e da allora, zio Simeone, da allora ho perso la testa.

«Non l'ho confessato a nessuno finora, tu sei il primo, zio Simeone, tu sei il primo cui lo dico; da allora ho perso la testa».

Tacque ancora, poi riprese:«Io sono Lucifero! Io! Io!»Il rabbino sollevò il capo dalle ginocchia e tese la mano verso le labbra

del giovane.«Taci!» gli ordinò.«Non tacerò», rispose il giovane in preda a uno stato di eccitazione.

«Adesso è troppo tardi, non tacerò! Sono bugiardo, ipocrita, pauroso; non dico mai la verità, non ne ho il coraggio. Vedo passare una donna e arros-sisco, abbasso la testa, ma i miei occhi si riempiono d'impudicizia. Non faccio il gesto di prendere, di picchiare, d'ammazzare, non perché non voglio, ma perché ho paura. Voglio ribellarmi a mia madre, al centurione, a Dio, ma ho paura; ho paura. Se aprissi il mio ventre, dentro vi vedresti, come una lepre che trema, la Paura. La Paura. Nient'altro. È lei mia madre, mio padre e il mio Dio.»

Il vecchio rabbino gli prese le mani, le strinse fra le sue, per farlo calmare. Ma l'altro si agitava, si dibatteva.

«Non impaurirti, figlio mio», gli diceva il rabbino per consolarlo. «Più demoni abbiamo in noi, più angeli ci saranno. L'angelo non è che un demone pentito, abbi fiducia. Ma vorrei domandarti una cosa sola: Gesù,

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hai mai conosciuto una donna?»«No», rispose il giovane a voce bassa.«Non vuoi conoscerne?»Il giovane arrossì. Non disse parola; ma il suo sangue gli batteva

violentemente sulle tempie.«Non vuoi conoscerne?» chiese nuovamente il vecchio.«Sì...» rispose il giovane, con voce così flebile che il rabbino lo intese

appena.Ma subito sussultò come se si fosse svegliato in quell'istante e lanciò un

grido:«No, non voglio, non voglio!»«Perché?» disse il rabbino, che non riusciva a trovare un altro rimedio

ai tormenti del giovane. Lo sapeva per esperienza; lo sapeva per aver visto decine e decine di invasati, con la schiuma alla bocca, gridare, bestemmia-re e lamentarsi perché per loro il mondo era troppo piccolo) poi avevano dei figli e si calmavano.

«Non mi basta», disse il giovane con voce sicura. «È troppo poco per me.»

«Non ti basta?» chiese il rabbino meravigliato. «Che cosa vuoi, dun-que?»

Lo spirito del giovane fu attraversato dalla visione di Maddalena, con quel suo camminare altero, flessuosa, le labbra, le guance e gli occhi im-bellettati, il petto nudo; i suoi denti, quando rideva, splendevano al sole. Mentre passeggiava e ondeggiava nel suo spirito, cambiò di corpo: il suo corpo si moltiplicò, il figlio di Maria ora vedeva un lago, sicuramente il lago di Genezareth, attorno al quale scorgeva migliaia di uomini e donne, migliaia di Maddalene con la testa alta e il viso felice, e il sole cadeva su quei visi raggianti. Ma non era il sole. Era lui, il figlio di Maria, che si chinava su di essi facendoli traboccare di luce. Era gioia? Amore? Liberazione? Non riusciva a capirlo. Non vedeva che la luce.

«A che cosa pensi?» chiese il rabbino. «Perché non rispondi?»«Credi ai sogni, zio Simeone?» domandò il giovane di colpo. «Io ci

credo, anzi, è l'unica cosa in cui credo. Un giorno ho fatto un sogno. Nemici invisibili mi avevano legato a un cipresso secco e, dalla testa ai piedi, ero trafitto da lunghe frecce rosse. Il sangue colava. Qualcuno mi aveva posato una corona di spine sul capo e, tra le spine, risplendevano delle lettere di fuoco: 'Santo Bestemmiatore'. Quel Santo Bestemmiatore sono io, rabbino Simeone. Allora non farmi domande: mi metterei a

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bestemmiare!»«Mettiti pure a bestemmiare, figlio mio», disse tranquillamente il

rabbino, stringendogli le mani. «Mettiti a bestemmiare, se vuoi sfogarti!»«Dentro di me c'è un demone che grida: 'Non sei il figlio del falegname,

sei il figlio di re Davide! Non sei un uomo, sei il figlio dell'uomo che Davide ha profetizzato'. E ancora: 'Il Figlio di Dio! Dio!'»

Il rabbino l'ascoltava, curvo, e il suo vecchio corpo era scosso da brivi-di. Le labbra secche del giovane erano coperte di schiuma, la lingua gli si era incollata al palato e non poteva più parlare. Che cos'altro poteva dire? Aveva detto tutto, sentiva che il suo cuore si era svuotato. Con un gesto brusco liberò le mani da quelle del rabbino e si alzò. Si voltò verso il vecchio.

«Hai altre domande da farmi?» chiese.«No», rispose il vecchio. Sentì che gli mancavano le forze e che stava

per svenire. Aveva tirato fuori molti demoni dalla bocca degli uomini durante la sua vita. Quelli che ne erano posseduti venivano da molto lon-tano e lui li guariva. I loro erano piccoli demoni, facili da scacciare: il de-monio del bagno, della collera, della malattia. Ma qui... come lottare con-tro un simile demonio?

Fuori il vento di Geova batteva ancora alla porta per entrare. Non si udiva nessun'altra voce. Non un solo sciacallo sulla terra, non un corvo nell'aria; tutte le creature si erano nascoste, terrorizzate, e aspettavano che la collera del Signore si placasse.

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Il figlio di Maria si appoggiò al muro e chiuse gli occhi. In bocca aveva un sapore amaro come il fiele. Il rabbino aveva nuovamente nascosto la vecchia testa fra le ginocchia e pensava all'inferno, ai demoni e al cuore dell'uomo... no, i demoni e l'inferno non stanno in fondo agli abissi della terra, bensì nel cuore dell'uomo - anche del più virtuoso e del più giusto. Dio è un abisso, l'uomo pure è un abisso e il vecchio rabbino non osava aprire il proprio cuore per vedere che cosa contenesse.

Rimasero a lungo in silenzio, un silenzio profondo. Anche i cani si era-no stancati di piangere il morto e si erano addormentati. Improvvisamente si udì un fischio lungo e penetrante proveniente dal cortile.

Geroboamo, il mezzo matto, fu il primo a udirlo e uscì di corsa. Ogni volta che il vento di Geova si alzava, si poteva udire quel dolce fischio

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proveniente dal cortile e il monaco faceva balzi di gioia.Il sole stava tramontando, ma il cortile era ancora pieno di luce e gli

occhi del monaco scorsero un lungo serpente nero e giallo che avanzava sollevando la testa, dardeggiando con la lingua e sibilando. Geroboamo non aveva mai udito un suono di flauto che fosse altrettanto seducente del-la voce del serpente. Talvolta, d'estate, quando sognava di una donna, la vedeva così, strisciare come un serpente sulla stuoia sulla quale egli dormiva, avvicinare la lingua al suo orecchio e sibilare...

Trattenendo il respiro Geroboamo si avvicinò al serpente che fischiava eccitato. Guardando l'animale, il monaco si eccitò a sua volta e cominciò a fischiare. Lentamente, dal pozzo prosciugato, dai fichi d'India, tutt'attorno al cortile, dalla sabbia, uscirono un serpente con la cresta azzurra, un altro verde con due corna e altri a chiazze gialle o tutti neri... Avanzando veloci, come rivoli d'acqua, raggiungevano il primo, quello che aveva lanciato il richiamo e si stringevano in un fascio. Il vecchio Geroboamo restava lì, stupito, con l'acquolina in bocca. «È così l'amore, è così che l'uomo si unisce alla donna», pensava, «ed è per questo che Dio ci ha cacciati dal Paradiso...» il suo corpo gobbo e senza amore si dondolava a destra e a sinistra come quello dei serpenti.

Il vecchio rabbino udì l'invitante suono del flauto, alzò il capo e tese l'orecchio. «I serpenti si accoppiano nel vento infuocato di Dio», pensò. «È Dio che soffia. Vuole bruciare il mondo e i serpenti si rizzano e fanno l'amore...» Per un istante lo spirito dell'anziano, sedotto, si lasciò andare. Di colpo rabbrividì. «Tutto viene da Dio», riconobbe, «tutto ha un doppio senso, un senso visibile e uno nascosto. La gente comune non percepisce che il senso visibile, cioè che si tratta di un serpente. Ma lo spirito abitato da Dio vede, dietro al serpente visibile, il significato nascosto. Oggi, dopo la confessione del figlio di Maria, i serpenti che stanno strisciando e sibilando davanti alla porta della cella hanno certamente un significato nascosto... Ma quale?»

Si rannicchiò per terra, le tempie gli battevano. Quale significato? Un freddo sudore gli bagnò il viso abbronzato; fissava il giovane pallido accanto a lui e nello stesso tempo ascoltava i serpenti fuori nel cortile. Quale significato?

Suo nonno, il grande esorcista Josafat, che era igùmeno quando Simeo-ne s'era fatto monaco in quel monastero, gli aveva insegnato il linguaggio degli uccelli e il vecchio rabbino sapeva quel che dicono le rondini, i piccioni, le aquile. Josafat gli aveva promesso di insegnargli anche il

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linguaggio dei serpenti, ma non ne ebbe il tempo. Era morto, portandosi il suo segreto con sé... Di sicuro quella sera i serpenti portavano un messag-gio, ma quale?

Rimase a lungo disteso per terra, si girava e rigirava sospirando, lo spirito lacerato da una domanda: quale significato? Di colpo lanciò un grido, si alzò, prese il bastone sacerdotale e vi si appoggiò!

«Gesù», chiese a voce bassa, «Gesù, che cosa senti nel tuo cuore?»Il giovane non udì. Era immerso in una gioia silenziosa. Per la prima

volta dopo tanti anni, proprio quella sera in cui aveva deciso di confessarsi, di parlare, aveva dato un nome a quei serpenti che sibilavano nel suo cuore e gli era sembrato che scivolassero fuori di lui.

«Gesù», chiese ancora una volta il rabbino, «che cosa senti nel tuo cuore? Sollievo?»

Si chinò, lo prese per la mano e lo fece alzare. Insieme varcarono la soglia della cella. Fuori i serpenti, saldi, uniti gli uni agli altri, si erano rizzati in un unico fascio e danzavano nel turbinio di sabbia ardente, secondo il volere del vento di Dio. A volte invece s'immobilizzavano come se fossero diventati di pietra.

«Guarda», disse dolcemente il rabbino, «se ne sono andati.»«Se ne sono andati?» ripeté il giovane, interdetto. «Se ne sono andati,

ma dove?»«Non senti sollievo nel tuo cuore? È dal tuo cuore che se ne sono

andati.»Il figlio di Maria spalancò gli occhi e si mise a guardare ora il rabbino

che gli sorrideva, ora i serpenti che strisciavano, danzando, verso il pozzo prosciugato. Posò una mano sul cuore e lo sentì battere rapidamente, con allegria.

«Entriamo», disse il vecchio, riprendendolo per mano.Entrarono e il rabbino chiuse la porta.«Dio sia lodato», disse emozionato. Guardò il figlio di Maria strana-

mente turbato.«È un miracolo», pensava, «tutto è un miracolo nella vita di questo

giovane che ora è qui, davanti a me...» Aveva voglia di tendere la mano su di lui per benedirlo e di abbassarsi per baciargli i piedi... Ma si trattenne. Quante volte Dio l'aveva già imbrogliato? Quante volte, udendo i profeti che arrivavano dalle montagne o dal deserto, si era detto: «Ecco il Messia! È lui!» Ma Dio si prendeva gioco di lui e ogni volta la delusione gli riempiva il cuore. Perciò si trattenne. Voleva prima mettere il giovane alla

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prova. Ormai i serpenti che lo rodevano se n'erano andati, e forse si sarebbe alzato e avrebbe parlato agli uomini.

Si aprì la porta ed entrò Geroboamo, il padre che accoglieva gli ospiti. Portava loro un misero pasto, pane d'orzo, olive e latte. Si girò verso il giovane:

«Per questa notte ho messo la tua stuoia in un'altra cella, così avrai compagnia».

I due ospiti, però, avevano la mente altrove e non l'udirono. Dal fondo della cisterna asciutta giunse loro di nuovo il sibilo dei serpenti, ormai senza fiato.

«Si sposano», disse il monaco con tono scherzoso. «Il vento di Dio soffia e quelli, che siano maledetti, non hanno paura e si sposano!»

Guardò il vecchio strizzando un occhio. Ma questi si era messo a inzuppare il suo pane nel latte e a masticarlo, per prendere forza, per trasformare pane, olive e latte in intelligenza, per essere capace di parlare con il figlio di Maria. Il gobbetto sbirciava ora l'uno ora l'altro; alla fine si stufò e se ne andò.

Ora stavano mangiando tutti e due, seduti a gambe incrociate uno di fronte all'altro, in silenzio. Gli scanni, lo stallo dell'igùmeno, il leggio con il libro aperto del profeta Daniele, riflettevano un chiarore vellutato in quell'oscurità. L'aria della cella profumava ancora di incenso. Fuori il vento si stava calmando.

«Il vento ha ceduto», disse il rabbino. «Dio è passato.»Il giovane non rispose. «Se ne sono andati, se ne sono andati via, via da

me, i serpenti...» Era forse ciò che Dio voleva? Era forse per quello che l'aveva condotto nel deserto, per farlo guarire? Aveva soffiato, i serpenti l'avevano udito, erano usciti dal suo cuore e se n'erano andati... Lodato sia Dio!

Il rabbino finì il suo pasto, alzò le mani al cielo e ringraziò Dio, poi si girò verso il compagno.

«Gesù», disse, «il tuo spirito è qui? Sono il vecchio rabbino di Nazareth, mi ascolti?»

«Ti ascolto, zio Simeone», disse il giovane e si scosse per uscire dal profondo abisso in cui era immerso.

«È giunta l'ora, figliolo mio, sei pronto?»«Pronto?» fece il giovane, rabbrividendo. «Pronto per che cosa?»«Lo sai benissimo, perché me lo chiedi? Devi alzarti e parlare.»«A chi?»

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«Agli uomini.»«E che cosa dirò loro?»«Non preoccuparti, basterà che tu apri la bocca, Dio non ti chiede altro.

Ami gli uomini?»«Non lo so. Li vedo e li compiango, ecco.»«È sufficiente, figliolo, è sufficiente. Alzati e parla agli uomini. Il tuo

dolore, forse, si moltiplicherà, ma il loro diverrà più leggero. È forse per questo che Dio ti ha mandato nel mondo. Vedremo!»

«È forse per questo che Dio mi ha mandato nel mondo? Come fai a saperlo, vecchio?» chiese il giovane.

«Non lo so, nessuno me l'ha detto, ma è possibile. Ho visto dei segni. Quand'eri piccolo, una volta hai plasmato un uccello con dell'argilla. E mentre lo carezzavi e gli parlavi, mi era parso che gli fossero spuntate le ali e che volasse via dalle tue mani... Quell'uccello d'argilla è forse l'anima dell'uomo. Gesù, figliolo mio, l'anima dell'uomo è nelle tue mani.»

Il giovane si alzò. Aprì con precauzione la porta, mise la testa fuori e ascoltò. I serpenti erano ormai in completo silenzio e ne fu felice. Si girò verso il vecchio rabbino.

«Dammi la tua benedizione, vecchio», disse. «Non parlarmi più, non posso più ascoltare niente. Basta così.»

Poi aggiunse:«Sono sfinito, zio Simeone. Vado a dormire. Talvolta di notte Dio viene,

e spiega la giornata. Buona notte, zio Simeone!»Fuori, trovò il padre che accoglieva gli ospiti ad aspettarlo.«Vieni», gli disse, «ti mostrerò dove ti ho preparato il giaciglio. Come ti

chiami, ragazzo?»«Figlio del falegname.»«Io, Geroboamo. Mi chiamano anche il Mezzomatto, e il Gobbo; che

dicano pure. Io il mio lavoro lo faccio. Sgranocchio la crosta di pane che Dio mi ha dato.»

«Quale crosta di pane?»«Non capisci, testone? La mia anima. Quando avrò finito di mangiarla,

ciao! La morte arriva e mangia me!»Si fermò e aprì una porticina bassa.«Entra», disse. «Ecco, da quella parte, a sinistra, nell'angolo c'è la tua

stuoia!» Lo spinse sghignazzando e lo cacciò dentro.«Fa' dei bei sogni, ragazzo mio! È l'aria del monastero, vedrai delle

donne nel sonno.» Scoppiò a ridere e chiuse rumorosamente la porta.

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Il figlio di Maria si fermò. Era buio. Al principio non riuscì a distin-guere niente, ma a poco a poco i muri tirati a calce cominciarono timida-mente a rischiararsi e prima vide una brocca, posata in una nicchia, poi, in un angolo, due occhi che lo fissavano.

Avanzò piano, a tastoni, le mani tese in avanti. Col piede urtò la stuoia è si fermò. I due occhi seguivano attenti ogni suo movimento.

«Buonasera, compagno» disse il figlio di Maria, ma non ci fu nessuna risposta.

Giuda, raggomitolato come una palla, il mento fra le ginocchia, il respiro pesante, era appoggiato con la schiena contro il muro e lo guarda-va. «Vieni.., vieni... vieni...» mormorava guardando il figlio di Maria che avanzava verso di lui. «Vieni... vieni... vieni...»

Ricordava che nel villaggio in cui era nato, a Kerioth, in Idumea, il fratello di sua madre, l'esorcista, attirava nel medesimo modo gli sciacalli, le lepri e le pernici che voleva ammazzare. Si distendeva per terra, inchiodava i suoi occhi di brace sull'animale e cominciava a fischiare. Un fischio che era nello stesso tempo desiderio, preghiera, comando: «Vieni... vieni... vieni...» La bestia aveva le vertigini; a testa bassa, ansimando, si trascinava verso la bocca che fischiava...

Improvvisamente Giuda si mise pure lui a fischiare. All'inizio pianis-simo, delicatamente, ma poi sempre più forte, minaccioso e il figlio di Maria che si era disteso a dormire sussultò, spaventato. Chi c'era al suo fianco? Chi fischiava? Sentì un odore di animale eccitato e capì.

«Giuda, fratello mio, sei tu?» domandò a bassa voce.«Crocifissore!» urlò l'altro pestando il suolo con rabbia.«Giuda, fratello mio», ripeté il giovane, «il crocifissore soffre più del

crocifisso.»Con un movimento brusco il Rosso si girò su se stesso e si volse per

intero verso il figlio di Maria.«Ho giurato ai miei fratelli Zeloti, ho giurato alla madre del crocifisso

di ucciderti e ti ucciderò; che tu sia il benvenuto, crocifissore, ho fischiato e sei venuto!»

Si alzò di scatto, chiuse la porta con il catenaccio e tornò a raggomito-larsi nell'angolo, con il viso rivolto a Gesù.

«Hai capito che cos'ho detto? Non cominciare con i lamenti. Preparati.»«Sono pronto.»«Non divertirti a gridare. Svelto! Così me ne andrò mentre è ancora

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notte.»«Che tu sia il benvenuto, Giuda, fratello mio, sono pronto. Non sei tu, è

stato Dio che ha fischiato e sono venuto. La sua grazia ha stabilito ogni cosa, sei giunto al momento opportuno, Giuda, fratello mio. Stasera il mio cuore si è purificato, alleviato, posso presentarmi davanti a Dio. Sono stanco di vivere e di lottare con lui. Ti porgo la mia gola, Giuda, sono pronto.»

Il fabbro borbottò e aggrottò le sopracciglia. Non gli piaceva affatto tutto ciò, gli ripugnava toccare una gola che gli veniva offerta senza difesa, come il collo di un agnello. Avrebbe voluto che gli opponesse resistenza, avrebbe voluto mettersi a lottare corpo a corpo, che il loro sangue si scaldasse e che, infine, come dev'essere per gli uomini, che l'assassinio fosse l'ultima e giusta ricompensa della lotta.

Il figlio di Maria aveva teso il collo e aspettava. Il fabbro, con la sua manaccia, lo respinse violentemente.

«Perché non opponi resistenza?» gridò. «Che uomo sei? Alzati e combatti!»

«Ma non voglio, Giuda, fratello mio. Resistere? Perché? Ciò che tu vuoi, lo voglio io pure e, di sicuro, è ciò che Dio vuole. È per questo che ha disposto tutto così bene. Hai visto? Mi sono diretto a questo monastero e tu sei partito nello stesso momento. Sono arrivato e il mio cuore si è subito purificato, e sono pronto a farmi uccidere; tu hai preso il tuo pugnale, ti sei rintanato in quell'angolo e ti sei preparato a uccidere. La porta si è aperta e io sono entrato... Hai bisogno di altri segni, Giuda, fratello mio?»

Il Rosso si rosicchiava i baffi freneticamente e taceva; il sangue gli ribolliva, gli saliva alla testa, gli infuocava il cervello.

«Perché fabbrichi le croci?» chiese infine con furia.Il giovane abbassò il capo, era un suo segreto, come poteva rivelarlo?

Avrebbe mai creduto, il fabbro, ai sogni inviatigli da Dio, alle voci che udiva quand'era solo, agli artigli che gli si conficcavano in testa e che volevano portarlo in cielo? E avrebbe mai capito che lui non voleva, che resisteva, che si attaccava al male per non abbandonare la terra?

«Non posso spiegarlo, Giuda, fratello mio, perdonami», disse contrito. «Non posso...»

Il Rosso si spostò per poter meglio vedere nell'oscurità il viso del giova-ne. Lo guardò avidamente, poi si ritrasse e si appoggiò di nuovo contro il muro. «Proprio non capisco che uomo è», si disse. «È un demone oppure

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un Dio, chi lo guida? E lo guida con mano sicura, maledizione... non opporre resistenza è la resistenza maggiore. Io non posso sgozzare degli agnelli, posso sgozzare degli uomini, ma non degli agnelli.»

Sbottò:«Sei un vigliacco, infelice, che il diavolo ti porti! Ti si da uno schiaffo

su una guancia e subito tu tendi l'altra. Se vedi un pugnale, offri subito la gola. Ha schifo, un uomo, a toccarti!»

«Dio non ha schifo», mormorò tranquillamente il figlio di Maria.Il fabbro si rigirava il pugnale fra le mani, indeciso. Per un istante gli

parve che un chiarore vibrasse attorno alla testa chinata del giovane«Ho la testa dura», disse, «ma parla, capirò. Chi sei? Da dove vieni?

Che cosa vuoi? Che cosa sono le leggende che ti circondano? Il bastone fiorito, il fulmine, gli svenimenti che ti assalgono quando passeggi per strada, le voci che odi di notte? Qual è il tuo segreto, dimmi?»

«La pietà, Giuda, fratello mio.»«Per chi? Di chi hai pietà? Della tua miseria, della tua povertà? Oppure

hai pietà d'Israele? Parla, dunque! D'Israele? Dimmi questo, capisci, questo e nient'altro. È la sofferenza d'Israele che ti divora?»

«La sofferenza dell'uomo, Giuda, fratello mio.»«Lascia stare gli uomini. Sono uomini anche i Greci, maledizione a

loro!, che ci hanno sgozzato durante tanti anni. E anche i Romani, che continuano a sgozzarci e che insozzano il nostro Tempio e il nostro Dio. Perché ti preoccupi di loro? Pensa a Israele; se provi pietà, che sia per Israele e che tutti gli altri siano maledetti!»

«Io ho pietà anche degli sciacalli e dei passerotti, Giuda, fratello mio, e dell'erba verde.»

«Ho pietà! Ho pietà!.» lo canzonò il Rosso. «E anche delle formiche hai pietà?»

«Anche delle formiche. Tutto viene da Dio. Mi chino sulle formiche e nei loro occhi, neri e lucidi, vedo il viso di Dio.»

«E se ti chini sul mio viso, figlio del falegname?»«Anche lì vedrei, in fondo in fondo, il viso di Dio.»«E non hai paura della morte?»«Perché averne paura, Giuda, fratello mio? La morte non è una porta

che si chiude, è una porta che si apre. Si apre e si entra.»«Dove si entra?»«Nel cuore di Dio.»Giuda sospirò furioso. «Non c'è modo di metterlo con le spalle al

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muro», pensò, «non offre appigli, perché non ha paura della morte...» Appoggiò il mento sulla mano. Lo guardava, sforzandosi di prendere una decisione.

«Se non ti ammazzo», disse infine, «che cos'hai intenzione di fare?»«Non lo so. Ciò che Dio deciderà. Vorrei alzarmi in piedi e parlare agli

uomini.»«Per dir loro che cosa?»«Come vuoi che lo sappia, Giuda, fratello mio? Aprirò la bocca e sarà

Dio a parlare.»L'alone di luce attorno alla testa del giovane divenne più intenso, il viso

risplendette, emaciato, pieno di dolore e gli occhi, i grandi occhi neri, ammaliavano Giuda con indicibile dolcezza. Il Rosso abbassò gli occhi, turbato. «Se sapessi che si metterà a parlare e che risveglierà i cuori d'Israele affinché si gettino sui Romani, non l'ucciderei.»

«Perché ti attardi, Giuda, o fratello?» domandò il giovane. «O forse Dio non ti ha mandato per ammazzarmi? Il suo disegno è forse differente e tu stesso non lo conosci e stai lottando per indovinare. Io sono pronto a mori-re, pronto a vivere. Decidilo tu.»

«Non aver fretta», rispose l'altro rudemente. «La notte è lunga, abbiamo tempo.»

Poi, dopo un momento, gridò fuori di sé:«Non si può parlare con te, non se ne viene fuori. Ti faccio una doman-

da e rispondi un'altra cosa, non ti lasci mettere le mani addosso. Il mio spirito era più sicuro, il mio cuore più deciso, prima di vederti e ascoltar-ti... Lasciami in pace, girati e dormi. Voglio restare da solo, per riflettere e decidere quello che devo fare.»

Si girò verso il muro borbottando.Il figlio di Maria si stese sulla stuoia e incrociò le braccia, tranquillo.«Succederà ciò che Dio vorrà», pensò. Chiuse gli occhi pieno di fiducia.Una civetta uscì dal suo buco, nella roccia di fronte, vide che il ciclone

di Dio era finito, svolazzò qua e là e si mise a tubare teneramente e a chiamare il suo compagno.

«Dio se ne è andato», gli gridava. «Siamo di nuovo sicuri, vieni, amore mio!» In alto il lucernario della cella si riempì di stelle. Si muovevano lentamente, sparivano, apparivano, e intanto le ore passavano.

Giuda si agitava sulla stuoia, soffocava, brontolava, talvolta si alzava, andava fino alla porta, tornava indietro. Il figlio di Maria l'osservava con gli occhi socchiusi e aspettava. «Succederà ciò che Dio vorrà», pensava.

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Aspettava. Le ore passavano.All'improvviso, nella notte ancora profonda, un gallo cantò. Giuda si

alzò di scatto e con un balzo raggiunse la porta, l'aprì violentemente e la richiuse. I suoi passi pesanti risuonarono sulle pietre.

Allora il figlio di Maria si girò. Vide nell'angolo opposto, al buio, in piedi, sveglia, la sua fedele compagna.

«Perdonami, sorella», le disse, «non è ancora giunta l'ora.»

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Quel giorno il lago di Genezareth era molto agitato, il vento era umido, caldo, l'autunno era già arrivato e la terra aveva odore di vigna e di uva troppo matura. Di buon mattino uomini e donne si erano diretti tutti a Cafarnao; la vendemmia era matura e i grappoli, ricchi di succo, erano in terra ad aspettare. Le ragazze brillavano come i chicchi d'uva; avevano mangiato a sazietà l'uva dei tini e le loro labbra ne erano tutte impiastric-ciate. I giovani, eccitati, gettavano occhiate furtive alle ragazze che ven-demmiavano e ridevano. Da vigneto a vigneto non s'udivano che grida e scoppi di risa. Le ragazze prendevano coraggio, scherzavano con i ragazzi e questi s'infiammavano ancor di più e gli si avvicinavano. Il demone malizioso della vendemmia correva qua e là con risate beffarde e stuzzi-cava le donne.

La grande casa di campagna del vecchio Zebedeo, tutta aperta, risuo-nava di un allegro brusio. A sinistra, nel cortile troneggiava il tino per pigiare l'uva; i giovani portavano delle ceste traboccanti di grappoli e lo riempivano. Quattro colossi, Filippo, Giacomo, Pietro e Nataniele, il ciabattino del villaggio, grande, grosso e ingenuo, si stavano lavando i polpacci villosi e si preparavano a entrare nel tino per pigiare l'uva. Tutti i poveri di Cafarnao avevano la propria vigna, per piccola che fosse, ed essa dava loro il vino dell'anno. Ogni anno versavano il proprio raccolto in quel tino, lo pigiavano e si portavano via la propria parte di mosto. Il vecchio Zebedeo, l'accaparratore, si teneva come contributo una decima per l'uso del tino e riempiva la sue giare e i suoi barili per l'annata.

Il vecchio Zebedeo era dunque seduto su uno scalino, aveva in mano un pezzo di legno e un coltello e segnava con delle tacche il numero di ceste di ognuno. Ogni padrone se lo incideva pure lui nella testa, affinché il gior-no dopo quando si fosse suddiviso il mosto, nessuno si trovasse ad avere meno di quanto gli spettava. Zebedeo era un vecchio spilorcio e non ci si

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poteva fidare di lui, perciò tutti tenevano gli occhi bene aperti.La finestra della casa che guardava sul cortile era aperta e la vecchia

Salomè, la padrona di casa, stesa su un divano, vedeva e udiva tutto ciò che succedeva nel cortile; in tal modo dimenticava i dolori che le trafig-gevano le ginocchia e le articolazioni. Doveva esser stata molto bella in gioventù: aveva una ossatura fine, capelli scuri, pelle bianca, grandi occhi. Era di buona famiglia e tre villaggi se la contendevano: Cafarnao, Magdala e Bethsaida. Dal suo vecchio padre, il ricco armatore, si erano presentati tre pretendenti seguiti da un gran corteo d'amici e di cammelli e ceste ricolme di regali. Il vecchio furbacchione aveva soppesato con cura, fra sé e sé, il corpo, l'anima e la fortuna di ciascuno di loro e aveva scelto Zebe-deo. Lui se l'era sposata e lei l'aveva reso felice; ma ora la bella fra le belle era invecchiata, il suo fascino era svanito e il suo vecchio marito, sempre vigoroso, passava le notti fuori casa.

Quel giorno, però, il viso della vecchia Salomè era raggiante. Il giorno prima era arrivato dal monastero Giovanni, il figlio preferito. Per la verità era debole e pallido, la preghiera e i digiuni l'avevano sfinito, ma ora l'avrebbe tenuto con sé, non l'avrebbe lasciato ripartire, l'avrebbe fatto mangiare e bere in abbondanza affinché riacquistasse forza e le sue guance riprendessero colore. Dio è buono, noi lo veneriamo, ma lui non deve voler bere il sangue dei nostri figli; il digiuno è cosa buona, praticato con misura e anche la preghiera, ma sia Dio sia l'uomo ne devono trarre il proprio beneficio, senza esagerazione, pensava la vecchia Salomè. Guardava la porta con impazienza, aspettando che apparisse Giovanni, il figlio minore, di ritorno dalle vigne dove vendemmiava con gli altri.

Sotto il grande mandorlo, carico di frutti, in mezzo al cortile, chino e silenzioso, Giuda il Rosso picchiava con potenti colpi di martello i cerchi di ferro delle botti di vino. Se lo si guardava da destra, la sua faccia era imbronciata, piena di astio; se lo si guardava da sinistra, lo si vedeva in-quieto e rattristato. Erano giorni e giorni che aveva lasciato il monastero come un ladro, che stava facendo il giro dei villaggi e preparava le botti per il vino nuovo. Entrava nelle case, lavorava, ascoltava le conversazioni e fissava nella testa fatti e gesti di ognuno, per poi riferire alla confrater-nita. Ma chi mai avrebbe potuto riconoscere il Rosso di un tempo, lo spac-cone, il rissoso? Era diventato irriconoscibile dal giorno in cui era partito dal monastero.

«Ehi, Giuda Iscariota, parla, Rosso della malora!» gli aveva gridato Zebedeo. «A che cosa stai pensando? Due più due fa quattro, non te ne sei

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ancora reso conto? Parla dunque, amico, di' qualcosa, è tempo di vendem-mia e non è certo cosa da poco; in questo giorno hanno voglia di ridere anche gli agnelli a cinque zampe!»

«Non l'indurre in tentazione, vecchio Zebedeo», esclamò Filippo. «Pare che sia andato al monastero e che voglia farsi monaco. Non l'hai mai senti-to dire? Il diavolo, invecchiando, si fa monaco!»

Giuda si voltò e lanciò un'occhiata carica di veleno a Filippo, ma non disse nulla. Filippo gli faceva schifo, non era un uomo. Chiacchierone, fanfarone, era stato trattenuto dalla paura e non era voluto entrare a far parte della confraternita: «Ho degli agnelli, non posso abbandonarli».

Il vecchio Zebedeo scoppiò a ridere e si girò verso il Rosso.«Sta' attento, disgraziato», gli gridò. «La malattia del convento è conta-

giosa, attento a non prendertela! C'è mancato un pelo che non se la pren-desse anche mio figlio! Per fortuna la mia vecchia moglie si è ammalata e il suo beneamato figlio l'ha saputo; aveva appreso a fondo le virtù di anti-che ricette con il vecchio igùmeno ed è venuto a curarla. Ma non metterà più il naso fuori di qui, ve lo dico io. Per andar dove? Non è matto. Laggiù nel deserto c'è la fame, la sete, le devozioni e Dio. Qui c'è da mangiare, da bere, donne e Dio. Dio è dappertutto; allora perché dovrebbe andare a cercarlo nel deserto? Che cosa ne dici, tu, Giuda Iscariota?»

Ma il Rosso batteva sempre le botti a gran colpi e non rispondeva. Che cosa dirgli ? Ha una gran fortuna quel vecchiaccio, come può capire l'an-goscia degli altri? E Dio stesso che, per un nonnulla ha ridotto in briciole migliaia d'uomini, coccola e cura come la pupilla dei suoi occhi quel vec-chio Zebedeo, quel farabutto, quell'ingordo, quell'avaraccio. D'inverno lo copre come una mantella di lana, e d'estate come una fresca veste di lino, ma perché? Che cosa trova in lui? Forse si rode di disperazione per Israele, quel vecchiaccio? Se ne infischia totalmente. Ama i Romani perché gli permettono di conservare i suoi beni. Dio li benedica, dice sempre, perché mantengono l'ordine, se se ne andassero, tutti i fuorilegge e i miserabili ci cadrebbero addosso e allora addio alla nostra fortuna-Ma non inquietarti, vecchiaccio della malora, verrà il tuo momento. Ciò che Dio dimentica o si astiene dal fare, se lo ricorderanno e lo faranno gli Zeloti, che siano benedetti... Pazienza, Giuda, non parlare, pazienza, il giorno del Sabbath arriverà!

Alzò gli occhi color turchese, guardò Zebedeo e lo vide galleggiare a testa in giù nel suo tino, ma questa volta pieno di sangue. Un grande sorriso gli rischiarò il volto.

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Nel frattempo i quattro colossi si erano puliti bene i piedi ed erano balzati nel tino. Pigiavano, calpestavano l'uva, vi entravano fino alle ginoc-chia, si chinavano, ne prendevano grosse manciate e la mangiavano riempiendosi tutta la barba di graspi; a volte si prendevano per mano e danzavano, a volte ciascuno di loro scalpitava e urlava da solo. L'odore del mosto li aveva inebriati. E non solo l'odore; dalla porta aperta vedevano in fondo alle vigne le vendemmiatrici chinarsi e mostrare le loro grazie ben più in su delle ginocchia e i loro seni dondolare sulle vigne come grappoli.

I quattro uomini le vedevano e ne erano turbati, non era un tino, non erano la terra e le sue vigne, quello era il Paradiso. E, seduto sullo scalino, c'era il vecchio Zebedeo che con un lungo pezzo di legno e un coltello segnava ciò che era dovuto, quante ceste di uva ognuno di loro aveva por-tato e quante brocche di vino avrebbe dato loro. Quante brocche di vino, quante marmitte di cibo, quante donne!

«Per la verità», disse Pietro, «se Dio venisse adesso e mi dicesse: 'Ehi, Pietro, mio piccolo Pietro, oggi sono di buon umore, chiedimi una grazia e te l'accorderò, che cosa vuoi?' 'Pigiare l'uva, o mio Dio', risponderei, 'pigiare l'uva per l'eternità!'»

«E non bere del vino, sciocco che sei?» gli chiese Zebedeo in tono rude.«No, dal profondo del cuore, pigiare l'uva!»Non rideva. Il suo viso era serio, assorto. Si fermò un momento e si sti-

rò al sole. Era a torso nudo e mostrava, proprio sul cuore, il tatuaggio di un grosso pesce nero. Il disegno era stato fatto con tale abilità che si sarebbe detto che il pesce muoveva la coda e nuotava felice infilandosi fra i peli ricciuti del suo petto. Sopra al pesce c'era una croce a quattro braccia con degli ami.

Filippo, invece, pensava ai suoi agnelli. A lui non importava nulla di scavare la terra, curare i vigneti e pigiare l'uva. Ridendo disse a Pietro:

«Ah, che bel lavoro ti sei trovato: pigiare l'uva per l'eternità! Io avrei chiesto a Dio che la terra e il cielo diventassero una prateria verde, piena di capre e di pecore, per mungerle e lasciare colare giù il latte come un fiume dalla cima della montagna verso la pianura e che esso formasse dei laghi per farci bere i poveretti; e che tutte le sere ci riunissimo, noi pastori, con Dio, capo dei pastori, per accendere il fuoco, arrostire gli agnelli e raccon-tare delle storie. Questo è il Paradiso!»

«Vattene al diavolo, scemo!» mormorò Giuda, lanciando a Filippo uno sguardo rabbioso.

I giovani si avvicinavano al tino, nudi, villosi, un cencio colorato attor-

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no ai fianchi; udivano quei discorsi senza capo né coda e ridevano. Aveva-no pure loro un Paradiso nel cuore, ma non lo confessavano; rovesciavano le loro ceste nel tino e con un balzo correvano di nuovo dalle vendem-miatrici.

Il vecchio Zebedeo aprì la bocca per dire anche lui la sua saggia parola, ma si bloccò alla vista di uno strano visitatore che era apparso sulla porta e li stava guardando. Era scalzo, «pettinato, coperto da una pelle di cervo annodata su una spalla e giallo come un pezzo di zolfo. I suoi occhi neri dardeggiavano.

Tutti si fermarono e guardarono in direzione della porta. Chi era quel morto vivente lì sulla soglia? Le risate cessarono improvvisamente e la vecchia Salomè si affacciò alla finestra per guardare. Di colpo lanciò un urlo: «Andrea!»

«Ma insomma, Andrea, ragazzo mio, che cos'è questo abbigliamento? Vieni dall'Inferno o ci stai andando?»

Pietro saltò fuori dal tino e prese il fratello per la mano; lo guardava con tenerezza e terrore, senza dir parola. Mio Dio, era proprio quello Andrea, il ragazzo robusto, famoso per la sua bellezza, primo alla pesca e primo alle feste, fidanzato con la più bella del villaggio, la bionda Ruth? Ella era annegata con il padre, una notte, nello stagno; Dio quella notte aveva fatto sollevare un vento terribile e l'aveva affogata. E Andrea pazzo di dolore era andato a offrirsi a Dio mani e piedi legati: se Ruth aveva raggiunto Dio, pensava, forse l'avrebbe raggiunta lì. Non cercava Dio, ma la sua fidanzata.

Pietro non smetteva di guardarlo con terrore. «In quale stato l'abbiamo dato a Dio e in quale stato lui ce lo rende!»

«Ehi! Perché lo guardi e lo palpi così a lungo?» gridò Zebedeo a Pietro. «Lascialo entrare; entra, Andrea, figlio mio, chinati, prendi un grappolo d'uva, mangia. Abbiamo anche del pane, che Dio sia lodato, mangia per riprendere forze e non farti vedere in questo stato da Giona, il tuo povero padre affinché egli, dalla paura, non si tuffi di nuovo nel suo squalo!»

Ma Andrea alzò il braccio scheletrico e gridò:«Non avete vergogna, non avete timore di Dio? La gente sta morendo e

voi, qui, pigiate l'uva e ridete a gola spiegata?»«Ahi, ahi, ahi! Eccone un altro che viene a infastidirci!» mormorò

Zebedeo. Si girò verso Andrea, furioso:«Neanche tu ci lascerai in pace, vero? Ne abbiamo le scatole piene. È

questo che proclama Battista, il tuo profeta? Digli da parte mia di cambiar

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ritornello. È giunta la fine del mondo, secondo quanto dice, le tombe si apriranno e i morti ne usciranno; Dio, pare, scenderà dal cielo. L'Ultimo Giudizio! Aprirà i registri e, disgrazia a noi! Bugie! Bugie! Non ascoltate, ragazzi, al lavoro, pigiate l'uva!»

«Pentitevi! Pentitevi!» tuonò il figlio di Giona. Si strappò dalle braccia del fratello e si piantò in mezzo al cortile. Si fermò davanti al vecchio Zebedeo, con un dito levato verso il cielo.

«Un buon consiglio, Andrea», disse Zebedeo. «Siediti e mangia, bevi un po' di vino, per ritrovare il tuo buonsenso. La fame t'ha fatto impazzire, infelice!»

«La bella vita t'ha fatto impazzire, vecchio Zebedeo», rispose il figlio di Giona. «Ma la terra si aprirà sotto ai tuoi piedi, e inghiottirà il tuo tino, le tue barche e te stesso, vecchio maledetto!»

Si era eccitato, girava lo sguardo attorno fissando ora l'uno ora l'altro e gridando:

«Prima che questo mosto diventi vino, verrà la fine del mondo! Indossate una camicia di canapa ruvida, spargete il vostro capo di cenere, battetevi il petto e gridate: 'È colpa mia! È colpa mia!' La terra è un albero e quell'albero è marcio. Il Messia sta giungendo con l'accetta!»

Il vecchio Zebedeo non riuscì più a controllarsi.«Se credi in Dio, Pietro», gridò, «prendilo con te e andatevene! Qui

dobbiamo lavorare. Arriva!... Arriva! Una volta ha in mano il fuoco, un'altra i registri e adesso un'accetta, immaginate! Ma non ci lascerete tran-quilli, dunque, sfruttatori del popolo? Il mondo è solido, ben solido, ragaz-zi, allora pigiate l'uva e non abbiate paura!»

Pietro carezzava teneramente le spalle del fratello, cercando di calmarlo.

«Stai zitto», gli diceva a bassa voce, «taci, fratello mio, non gridare. Il viaggio ti ha stancato, andiamo a casa e ti riposerai. Il nostro vecchio padre ti vedrà e il suo dolore si lenirà.»

Lo prese per mano e lo guidava lentamente, con grande sollecitudine, come se fosse stato cieco. Presero la stretta stradina e sparirono. Il vecchio Zebedeo scoppiò a ridere:

«Eh, mio caro Giona, pescatore profeta, non vorrei essere nei tuoi panni!»

Allora la vecchia Salomè parlò.«Zebedeo», disse scuotendo la testa bianca, «Zebedeo, vecchio diavolo,

misura bene le parole, non ridere; sopra di noi v'è un angelo che ha scritto:

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'Ciò di cui ti beffi succederà a te!'»«Mia madre ha ragione», disse Giacomo che non aveva ancora detto

nulla. «È mancato ben poco che non ti succedesse lo stesso con Giovanni, il tuo beneamato figlio E mi sembra anche che la storia non sia del tutto finita. I ragazzi che portano le ceste mi dicono che egli non sta vendemmiando, ma che sta chiacchierando con le donne, su Dio, i digiuni e le anime immortali... Non vorrei essere neppure nella tua di pelle, padre!»

Rise seccamente: non poteva sopportare il fratello viziato e fannullone. Si mise a calpestare l'uva con rabbia. Il sangue salì alla testa di Zebedeo; neppure lui poteva sopportare il figlio maggiore, gli somigliava troppo. Sarebbe nata una rissa se, proprio in quel momento, non fosse comparsa sulla porta, appoggiata al braccio di Giovanni, Maria, la moglie di Giuseppe di Nazareth. Aveva i piedi e le caviglie sottili coperti di polvere per il lungo cammino. Erano giorni e giorni che aveva abbandonato la pro-pria casa, che andava di villaggio in villaggio cercando in lacrime il suo infelice figlio. «Dio ha fatto uscir di senno, non è più fra gli uomini», sospirava la madre e lo piangeva da vivo. Chiedeva, assillava la gente: «Forse qualcuno lo conosce, è alto, magro, scalzo, ha una veste azzurra e una cinta di cuoio nero, forse l'avete visto?» Solo ora, grazie al figlio di Zebedeo, era sulle sue tracce. «È al monastero, nel deserto, ha indossato una tunica bianca, è prosternato con il viso sul suolo e prega...» Giovanni aveva avuto pietà di lei e le aveva detto tutto. E ora, appoggiata al suo braccio, entrava nel cortile del vecchio Zebedeo per riposarsi un poco, prima di ripartire per il deserto.

La vecchia Salomè si alzò in piedi.«Che tu sia la benvenuta, carissima Maria», disse. «Entra.»Maria abbassò lo scialle fino agli occhi, chinò la testa, attraversò il

cortile a occhi bassi, afferrò le mani della sua vecchia amica e scoppiò a piangere.

«È un grave errore piangere, figliola», aggiunse la vecchia Salomè, facendola sedere di fianco a lei. «Tuo figlio, adesso, è sotto il tetto di Dio, è al sicuro.»

«Il dolore di una madre è terribile, Salomè», rispose Maria sospirando. «Dio mi ha dato un unico figlio ed egli non ha la testa a posto.»

Il vecchio Zebedeo udì il suo lamento; non era cattivo, se non si andava contro i suoi interessi, e scese dal suo scalino per consolarla.

«È la gioventù, Maria», le diceva. «È la gioventù, non tormentarti,

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passerà. È come il vino, fortunata; ma l'ubriacatura passa presto e poi ci si sottomette al giogo, senza troppo scalciare. A tuo figlio passerà l'ubriaca-tura, Maria. Guarda mio figlio, quello che è con te, solo adesso gli sta passando l'ubriacatura, lodato sia Dio!»

Giovanni arrossì, ma rimase in silenzio. Entrò in casa per prendere dell'acqua fresca e dei fichi maturi da offrire alla visitatrice. Le due donne, sedute vicine, parlavano a voce bassa di quel figlio posseduto da Dio. Mormoravano appena, temendo che gli uomini le udissero, intervenissero e rovinassero la loro profonda intesa.

«Egli prega, m'ha detto tuo figlio, Salomè. Prega e le sue mani e le sue ginocchia sono piene di calli a forza di prosternarsi. Pare che non mangi, che si consumi, che si sia messo a vedere delle ali nell'aria; non vuole bere, neppure l'acqua, per vedere, così sembra, gli angeli... Fin dove giungerà questa malattia, Salomè? Suo zio rabbino, che ne ha guariti tanti, non riesce a guarire mio figlio... Perché Dio mi ha maledetta, Salomè, che cosa gli ho fatto?»

Appoggiò il capo sulle ginocchia della vecchia amica e si mise a piangere.

Arrivò Giovanni con l'acqua e cinque o sei fichi su una foglia.«Non piangere, donna», le disse, appoggiando i fichi in grembo. «Una

luce santa splende attorno al viso di tuo figlio; non tutti la vedono, ma una notte l'ho vista lambire e rodere il suo viso e ne ho avuto paura. E il vecchio Habacuc vedeva tutte le notti, mentre dormiva, l'igùmeno defunto. Teneva, così pare, tuo figlio per mano, lo portava di cella in cella e lo indi-cava con il dito. Non parlava, lo indicava sorridendo. Il vecchio Habacuc aveva paura, balzava dal letto, andava a svegliare i monaci e tutti assieme si sgolavano per cercare di spiegarsi il sogno. Che cosa aveva voluto dir loro l'igùmeno? Perché indicava loro il nuovo venuto sorridendo? E di col-po, l'altro ieri, il giorno in cui sono partito, hanno avuto un'illuminazione divina e hanno capito il senso del sogno: era lui che bisognava eleggere igùmeno, era questo che il morto voleva, era lui che doveva diventare igù-meno... Tutti i monaci sono andati subito a trovare tuo figlio; sono caduti ai suoi piedi, era la volontà di Dio, gli gridavano, che diventasse igùmeno del monastero. Ma tuo figlio ha rifiutato. 'No, no, non è la mia strada, non ne sono degno, partirò!' Al momento in cui ho abbandonato il monastero, doveva essere mezzogiorno, ho udito la sua voce che rifiutava. I monaci minacciavano di chiuderlo a chiave in una cella per impedirgli di andarsene.»

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«Rallegrati, Maria», disse la vecchia Salomè, il viso raggiante. «Madre felice! Dio ha soffiato nel tuo seno e non lo senti!»

L'amata da Dio l'ascoltava e scuoteva il capo, inconsolabile.«Non voglio avere un santo per figlio», mormorava. «Voglio che sia un

uomo come gli altri, che si sposi, che mi dia dei nipotini. È questa la strada del Signore.»

«Questa è la strada dell'uomo, donna», disse Giovanni a bassa voce, come se avesse vergogna di contraddirla. «È l'altra, quella che segue tuo figlio, la strada del Signore, donna.»

Grida e risate arrivarono dalle vigne, due dei ragazzi che portavano le ceste entrarono nel cortile eccitatissimi.

«Brutte notizie, padroni», gridarono scoppiando a ridere. «Pare che la gente di Magdala si sia rivoltata, che abbia preso delle pietre e che stia dando la caccia alla sua sirena per ammazzarla!»

«Quale sirena?» gridarono quelli che pigiavano l'uva, interrompendo la loro danza. «Maddalena?»

«Maddalena, sicuro! Con il nostro migliore augurio! Due mulattieri che passavano da lì ce l'hanno detto. Sembra che ieri, sabato, sia arrivato da Nazareth a Magdala il capo della banda di Barabba seminando terrore...»

«Eccone un altro, maledizione a lui!» urlò il vecchio Zebedeo, fuori di sé. «È Zelota, da quanto dice, è arrivato con il suo muso da selvaggio per salvare Israele! Possa crepare, quel tipaccio!... E allora?»

«Allora, di sera, è passato davanti alla casa di Maddalena e ha trovato il cortile pieno di gente; lo scomunicato lavorava anche il giorno santo, il Sabbath! Avete mai visto qualcuno che ha visto Dio e che non ha paura? Barabba è entrato nel cortile, ha tirato fuori il coltello, i mercanti hanno afferrato le spade, i vicini sono arrivati, insomma c'è stato un gran tumulto. Due dei nostri sono stati feriti, i mercanti sono rimontati sui cammelli e se la sono squagliata. Barabba ha sfondato la porta per prendere la bella e sgozzarla. Solo che non c'era più! L'uccello era volato via! Era uscita dall'altra porta come se niente fosse! Tutto il villaggio si è messo a inse-guirla; ma era quasi notte e non c'è stato mezzo di trovarla. Al mattino sono partiti in tutte le direzioni, hanno cercato, sono sulle sue tracce, pare che abbiano trovato le sue orme sulla sabbia, dalle parti di Cafarnao!»

«Che sia la benvenuta fra noi, ragazzi!» disse Filippo leccandosi le grosse labbra da caprone. «Non mancava che lei in Paradiso; ce l'eravamo dimenticata: Eva, che sia la benvenuta!»

«Il suo mulino lavora anche di sabato, che birbona!» disse il candido

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Nataniele e sorrise maliziosamente sotto i baffi. Si ricordò che una sera, vigilia di un Sabbath, si era lavato, rasato e aveva indossato dei vestiti puliti; la «Tentazione del bagno» era arrivata, l'aveva preso per mano ed erano andati a Magdala. Erano andati a Magdala direttamente alla casa di Maddalena, che sia benedetta! Era d'inverno, gli affari del mulino anda-vano male e Nataniele era rimasto solo tutto il sabato a macinare... Nataniele sorrise di soddisfazione. Era un peccato grande, certo, sì, era un peccato grosso, ma Dio in cui riponiamo la nostra fiducia, Dio perdona. Senza nessuna storia, povero, celibe, Nataniele passava tutta la vita seduto davanti a un banchetto da lavoro, all'angolo di una strada del suo villaggio, a fabbricare zoccoli per i contadini e per i pastori... Era vita, quella? Allora un giorno anche lui aveva fatto follie, un solo giorno, unico e prezioso nel-la vita, e aveva conosciuto la gioia, come uomo; poteva benissimo essere il giorno del Sabbath, Dio, l'hanno appena affermato, ma Dio capisce questo tipo di cose e perdona...

Ma il vecchio Zebedeo fece una brutta faccia.«Ancora storie!» mormorò. «Non potrebbero andare un po' più in là a

sgozzarsi? Ora sono profeti, ora puttane, ora pescatori che piangono, ora dei Barabba, ne ho abbastanza!» Si rivolse a quelli che pigiavano l'uva:

«Voialtri al lavoro, ragazzi. Pigiate l'uva!»In casa, la vecchia Salomè e Maria, la moglie di Giuseppe, avevano

udito le notizie, si erano scambiate uno sguardo e avevano abbassato la testa, senza parlare. Giuda mollò il martello, uscì e si appoggiò al mon-tante della porta di strada. Aveva udito tutto, inciso tutto nella sua mente e, passando, gettò uno sguardo feroce al vecchio Zebedeo.

Si fermò sulla soglia e si mise ad ascoltare. Udì delle grida, vide solle-varsi della polvere, c'erano degli uomini che correvano e delle donne che urlavano: «Prendetela! Prendetela!» e prima ancora che i tre uomini aves-sero avuto il tempo di saltar giù dal tino e il vecchio accaparratore di scen-dere dal suo scalino, Maddalena, trafelata, in cenci, entrò nel cortile get-tandosi ai piedi della vecchia Salomè.

«Aiutami, donna, aiutami! Arrivano!»La vecchia Salomè fu presa da pietà nei confronti della peccatrice, si

alzò, chiuse la finestra e disse al figlio:«Sbarra la porta, figlio mio».Poi si rivolse a Maddalena:«Rannicchiati in terra, nasconditi».China, Maria, la moglie di Giuseppe, guardava con compassione mista

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a orrore quella traviata. Solo le donne oneste sanno quanto l'onore sia cosa amara e intollerabile; provava pietà per lei, ma, nello stesso tempo, quel corpo peccatore le sembrava un mostro villoso, scuro, pericoloso. Era mancato poco, quando suo figlio aveva vent'anni, che quella belva glielo strappasse... È sfuggito alla donna, pensava Maria, sospirando, ma a Dio...

La vecchia Salomè posò la mano sulla testa di Maddalena.«Perché piangi, figliola?» domandò con compassione.«Non voglio morire», rispose Maddalena, «la vita è bella, non voglio!»La moglie di Giuseppe allungò pur'essa la mano. Maddalena non le

faceva più paura, non le faceva più schifo, la toccò.«Non aver paura, Maria», le disse, «Dio ti protegge, non morirai.»«Come fai a saperlo, zia Maria?» chiese Maddalena. I suoi occhi brilla-

vano.«Dio ci da del tempo, del tempo per pentirci, Maddalena», disse la

madre di Gesù con sicurezza.

Mentre le tre donne parlavano, unite dal dolore, si udirono delle grida provenienti dalle vigne: «Arrivano! Arrivano! Eccoli!» Zebedeo ebbe giu-sto il tempo di scendere di nuovo dal suo scalino, quando dei colossi sca-tenati apparvero al portone sulla strada e Barabba, eccitato, ruggendo, oltrepassò la soglia.

«Ehi, vecchio Zebedeo», gridò, «con o senza il tuo permesso, nel nome del Dio d'Israele, noi entreremo.»

E, prima che il vecchio padrone avesse il tempo di aprir bocca, Barabba con un colpo di spalla aveva scardinato la porta, si era gettato su Madda-lena e l'aveva afferrata per i capelli.

«Fuori di qui! Fuori di qui, puttana!» gridava, e la trascinò nel cortile.Qui Maddalena fu circondata da una gran folla di contadini giunti da

altri villaggi, che, fra schiamazzi e risate, la portarono via diretti verso il lago, e là giunti la gettarono dentro un fosso. Poi uomini e donne si disper-sero per riempirsi di pietre i grembiuli.

Allora la vecchia Salomè saltò giù dal letto e, malgrado i dolori che la torturavano, si trascinò nel cortile e cominciò a maltrattare il marito.

«Ti sei coperto di vergogna, vecchio Zebedeo», gridava. «Hai permesso a quei fuorilegge di entrare in casa tua e di strapparti dalle mani una donna che implorava pietà.»

Poi si rivolse al figlio Giacomo, che stava in piedi, in mezzo al cortile, indeciso:

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«E tu sei identico a tuo padre, non hai vergogna? Non vali più di lui. Anche per te il denaro è il tuo Dio? Corri a proteggere una donna che un intero villaggio, senza vergogna, vuole uccidere!»

«Ci vado, madre, calmati», rispose il figlio che temeva sua madre più di chiunque altro. Il terrore lo divorava ogni volta che lei gli si levava davan-ti, furibonda. Perché sentiva che quella voce selvaggia e severa non era la voce di lei, ma la voce primordiale della tribù dalla testa dura, la tribù d'Israele diventata rauca nel deserto.

Giacomo si girò, fece un cenno ai suoi due compagni, Filippo e Nataniele, e disse:

«Andiamo». Gettò un'occhiata fra le botti per cercare Giuda, ma quello se n'era già andato.

«Vado anch'io», disse Zebedeo, fuori di sé. Aveva paura di rimanere solo con la moglie. Si abbassò, raccolse il randello e seguì il figlio.

Ferita, insanguinata, Maddalena si era rannicchiata in un angolo del fosso, aveva messo le braccia attorno alla testa per proteggersi e urlava. Attorno a lei gli uomini e le donne la guardavano e ridevano. Da tutti i vigneti dei dintorni, abbandonato il lavoro, arrivavano i portatori di ceste e le vendemmiatrici. I giovani morivano dalla voglia di vedere quel celebre corpo, mezzo nudo e insanguinato, mentre le ragazze trattenevano a stento l'odio e la gelosia per quella donna che si concedeva a tutti gli uomini e non ne lasciava loro nessuno.

Barabba tese una mano per far cessare le grida, pronunciare la sentenza e dare il segnale per la lapidazione. In quel momento apparve Giacomo. Stava per dirigersi verso il capo della banda zelota, ma Filippo lo trattenne per un braccio.

«Dove vai?» disse. «Dove andiamo? Siamo quattro soli contro un vil-laggio intero! Siamo perduti!»

Ma Giacomo aveva ancora nelle orecchie il grido selvaggio della madre.

«Ehi, Barabba, uomo col coltello», gridò, «sei venuto qui nel vostro villaggio per ammazzare la gente? Lascia stare quella donna. La giudi-cheremo noi. Faremo venire gli anziani di Magdala e di Cafarnao perché la giudichino. Anche suo padre, il rabbino, verrà da Nazareth. È la Legge!»

«Mio figlio ha ragione!» ruggì allora il vecchio Zebedeo, che stava arrivando con il grosso randello. «Ha ragione, è la Legge!»

Barabba si rivolse bruscamente contro di loro, gridando:«Gli anziani sono dei venduti, Zebedeo è un venduto, non ho fiducia, la

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Legge sono io! Se c'è qualcuno fra voi che ne fa il coraggio, che venga a misurarsi con me!»

Uomini e donne di Cafarnao e di Magdala si raggruppa-rono attorno a Barabba. Il delitto brillava nei loro occhi. Una banda di ragazzini arrivò dal villaggio con le fionde.

Filippo afferra Nataniele per un braccio e indietreggiò. Poi disse a Giacomo:

«Vacci da solo, se vuoi, figlio di Zebedia, noi non ti seguiremo, non siamo matti!»

«Non avete vergogna, vigliacchi?»«No, non abbiamo vergogna, vacci da solo.»Giacomo si rivolse al padre, ma questi tossicchiò.«Io sono vecchio», disse.«Allora?» gridò Barabba con una gran risata.Comparve la vecchia Salomè, appoggiata al braccio del figlio minore.

Li seguiva Maria, moglie di Giuseppe, con gli occhi offuscati dalle lacri-me. Giacomo si girò, vide sua madre e fece un balzo. Davanti a lui c'erano l'uomo con il coltello, terribile, e l'orda dei contadini scatenaci; dietro di lui, la madre, selvaggia, silenziosa.

«Allora?» ruggì nuovamente Barabba, arrotolandosi le maniche.«Non mi coprirò di vergogna!» mormorò il figlio di Zebedeo. Avanzò.

Subito, Barabba si diresse verso di lui.«Lo ammazzerà!» disse il fratello minore. Si liberò nervosamente per

correre al suo fianco, ma la madre lo trattenne.«Tu stai zitto», gli disse. «Non immischiarti.»E mentre i due avversari stavano per venire alle mani, un grido pieno di

gioia provenì dalle rive del lago: «Maran atha! Maran atha!» Un giovane, abbronzato dal sole, balzò ansimante, davanti a loro, agitando le braccia e gridando:

«Maran atha! Maran atha! Il Signore arriva!»«Chi arriva?» gridò la folla che lo circondava.«Il Signore!» rispose il giovane mostrando, dietro di sé, il deserto. «Il

Signore! Eccolo!»Tutti si voltarono. Il sole stava per tramontare e la luce era più dolce.

Apparve, salendo dalla riva, un uomo vestito di bianco, come un monaco del monastero. Gli oleandri al bordo dell'acqua erano in fiore e l'uomo bianco allungò una mano, colse un fiore rosso e se lo portò alle labbra. Due gabbiani che stavano camminando sulla ghiaia, si fecero a un lato per

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lasciarlo passare.La vecchia Salomè alzò il capo bianco e fiutò l'aria.«Figlio mio», disse al figlio, «che cosa succede? L'aria è cambiata.»«Il mio cuore batte a più non posso, madre», rispose il figlio. «Credo

che sia lui!»«Chi?»«Taci!»«E chi sono quelle persone dietro di lui? Oh, figliolo, c'è un esercito che

gli corre dietro!»«Sono i poveri, madre, che raccolgono ciò che i vendemmiatori hanno

lasciato. Non è un esercito, non aver paura!»Ed era veramente un esercito quello che si vedeva alle sue spalle: bande

di cenciosi, uomini, donne e bambini, con sacche, panieri che si sparpa-gliavano per i sentieri delle vigne in cui l'uva era già stata raccolta per cercarne i resti. Ogni anno, per la mietitura, per la vendemmia, per la raccolta delle olive, quelle orde di affamati giravano per tutta la Galilea per raccogliere i resti che i padroni lasciavano per i poveri, come ordina la Legge d'Israele.

Improvvisamente l'uomo bianco si fermò. Vide quella folla ed ebbe paura. «Voglio andarmene!» L'antico terrore lo riprese. «Voglio tornare nel deserto, è là che è Dio; qui ci sono gli uomini, voglio andarmene!» Il suo destino, ancora una volta, restò appeso a un filo mosso da Dio. Tornare indietro? Andare avanti? La folla attorno al fosso era rimasta immobile e lo guardava. Giacomo e Barabba erano ancora fermi, le maniche rimboccate, uno di fronte all'altro. Maddalena alzò la testa e ascoltò. Che cos'era quel silenzio, la vita, la morte? L'aria era cambiata. Di colpo si tirò su, alzò le braccia e lanciò un grido: «Aiuto!»

L'uomo bianco udì il grido, riconobbe la voce ed ebbe un sussulto.«Maddalena», mormorò. «Maddalena! Devo salvarla!» Si diresse in

fretta verso la folla.Aveva le braccia aperte e avanzava. A mano a mano che si avvicinava a

quegli uomini e scorgeva le loro facce feroci, scure, tormentate e i loro occhi pieni di collera, il suo cuore si riempiva di compassione e di un amore profondo. «Ecco gli uomini», pensava, «sono tutti fratelli e non lo sanno; è per questo che si perseguitano... Se lo sapessero, quante gioie, quanta unione, quanta felicità!»

Infine giunse, salì su una pietra, spalancò le braccia e pronunciò una parola che uscì trionfale e gioiosa dal profondo del suo animo:

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«Fratelli!»Gli uomini, stupiti, si guardarono. Nessuno rispose.Fu Barabba che, raccolto un grosso sasso, disse:«Non sei il benvenuto, crocifissore!»«Figlio mio!» Maria lanciò un grido lacerante. Si precipitò per abbrac-

ciare il figlio. Rideva, piangeva, lo accarezzava. Ma lui, senza dire una parola, si staccò dalle braccia della madre e si diresse verso Barabba.

«Barabba, fratello», disse, «sono felice di rivederti. Sono un amico e porto una buona notizia, una grande allegria!»

«Non avvicinarti!» ruggì Barabba, piantandosi davanti a lui per nascon-dergli Maddalena. Ma lei aveva udito la voce amata e si rizzò di colpo gridando:

«Gesù, aiutami!»D'un balzò Gesù fu sul bordo del fosso. Maddalena si attaccava mani e

piedi alle rocce, e cercava di arrampicarsi. Gesù si chinò, le tese la mano, lei l'afferrò e ansimando uscì dal fosso, coperta di sangue, e s'accasciò al suolo

Barabba" si precipitò e con il piede calpestò la schiena della donna.«È mia, l'ammazzerò!» tuonò e alzò la pietra che aveva in mano. «Ha

insozzato il giorno del Sabbath: a morte!»«A morte! A morte!» gridava la folla che ora aveva paura che la vittima

le sfuggisse.«A morte!» gracchiò Zebedeo che vedeva gli straccioni circondare il

nuovo arrivato e farsi più audaci. Disgrazia se si lascia che gli straccioni facciano quello che vogliono. «A morte!» gridò ancora, battendo il suolo con il randello. «A morte!»

Gesù fermò il braccio alzato di Barabba.«Barabba», disse con voce calma e triste, «non hai mai violato, tu,

nessun comandamento di Dio? Non hai mai rubato in vita tua, non hai mai ammazzato, non hai mai commesso adulterio, non hai mai detto bugie?»

Si girò verso la folla che gridava. Li guardò tutti, lentamente, uno per uno.

«Chi fra voi è senza peccato», disse, «scagli la prima pietra!»La folla cominciò ad agitarsi. A uno a uno tutti indietreggiavano per

evitare quello sguardo che frugava nelle loro viscere e nella loro memoria. Gli uomini ricordarono tutte le bugie che avevano detto durante la loro vita, le azioni scellerate che avevano commesso, le volte che avevano avvicinato la donna d'altri. Le donne abbassarono i loro fazzoletti e le

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pietre scivolarono loro di mano.Il vecchio Zebedeo, vedendo che gli straccioni avrebbero avuto la me-

glio, divenne pazzo dalla rabbia. Gesù si girò nuovamente e li guardò tutti ancora, uno per uno, nel fondo degli occhi.

«Chi fra voi è senza peccato, scagli la prima pietra!»«Io!» esclamò Zebedeo. «Dammi la pietra che hai in mano, Barabba, un

cielo senza nubi non teme il tuono! La getterò io!»Barabba con gioia gli diede la pietra e si fece di lato. Zebedeo prese in

pugno la pietra e si piazzò proprio sopra Maddalena, per colpirla diretta-mente sulla testa. Lei era accovacciata ai piedi di Gesù, calma. Sentiva che in quel momento non doveva temere la morte.

Gli straccioni guardarono Zebedeo, esasperati. Uno fra loro, il più scheletrito, gli gridò:

«Ehi, vecchio Zebedeo, c'è un Dio. Il tuo braccio rimarrà paralizzato, non hai paura? Cerca di ricordare: non hai mai mangiato in vita tua i beni dei poveri? Non hai mai fatto vendere all'asta la vigna dell'orfano? Non sei mai entrato, di notte, nella casa di una vedova?»

Il vecchio demonio l'ascoltava, stava soppesando la pietra e trattenen-dosi. Di colpo lanciò un grido: il suo braccio era diventato improvvisa-mente come morto e cadeva inerte al suo fianco. La grossa pietra gli rotolò sul piede, schiacciandogli le dita.

«Miracolo! Miracolo!» urlavano di gioia gli straccioni. «Maddalena è innocente!»

Barabba impazzì dalla rabbia. Il suo viso, segnato dal vaiolo, si conge-stionò e diventò tutto rosso. Si gettò sul figlio di Maria, alzò la mano e lo schiaffeggiò. Gesù, tranquillamente, gli porse l'altra guancia.

«Colpisci anche l'altra guancia, Barabba, fratello mio», disse.La mano di Barabba s'intorpidì, e lui spalancò gli occhi. «Chi è que-

st'uomo? Che cos'è? Uno spettro, un uomo, un demonio?» Indietreggiò e lo guardò stupefatto.

Il figlio di Maria lo sollecitò:«Colpisci anche l'altra guancia, Barabba, fratello mio».Allora, dall'ombra del fico dietro il quale era stato in disparte a guardare

quella scena, apparve Giuda. Aveva visto tutto, senza dire parola. Che Maddalena fosse stata ammazzata o no, poco gli importava. Ma si ral-legrava di udire Barabba e gli straccioni dire la verità a Zebedeo e ridiven-tare coraggiosi.

E quando vide Gesù apparire sulla riva con la sua nuova tunica bianca,

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il cuore si mise a battergli forte! «Adesso vedremo», mormorò fra sé e sé, «chi è, che cosa vuole e cos'ha da dire agli uomini.» Aprì bene le orecchie, ma già la prima parola, «Fratelli!», non gli piacque. Il suo viso si scurì, «Non ha ancora capito», mormorò. «Noi, non siamo tutti fratelli, né gli Israeliti lo sono dei Romani, e neppure gli Israeliti fra loro. I Sadducei, venduti, non sono nostri fratelli; i capi della città, tutti coloro che sono compari del tiranno... Cominci male, figlio del falegname, stai attento!» Ma quando vide Gesù porgere l'altra guancia, senza collera, con una dol-cezza fiera e sovrumana, ebbe paura. «Chi è quest'uomo?» gridò dentro di sé. «Questo, d'offrire anche l'altra guancia, lo può fare solo un angelo, un angelo o un cane...»

Fece un salto, afferrò il braccio di Barabba, nel momento in cui questi stava preparandosi a scagliarsi contro il figlio di Maria.

«Non toccarlo!» gli disse una voce sorda. «Vattene!»Barabba guardò Giuda, sbalordito. Facevano tutti e due parte della me-

desima confraternita, erano spesso entrati assieme nei villaggi e nelle città per uccidere i traditori d'Israele. E adesso...

«Giuda», mormorò. «Tu? Tu?»«Io. Vattene.»Barabba esitava; nella confraternita Giuda aveva un grado più elevato

del suo, quindi non poteva tenergli testa. Ma l'amor proprio gli impediva ancora di andarsene.

«Vattene!» gli ordinò di nuovo il Rosso.Il capo del gruppo abbassò la testa e gettò uno sguardo furibondo sul

figlio di Maria.«Fin dove giungerai?» mormorò, stringendo i pugni. «Ci ritroveremo!»Poi si rivolse ai suoi:«Andiamocene», borbottò fra i denti.

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Verso l'ora del tramonto, la calura infuocata del giorno diminuì, il vento cessò e il lago si tinse di riflessi azzurri e rosati. C'erano delle cicogne ritte su un piede solo sulle rocce, con gli occhi fissi sull'acqua, avevano ancora fame,

I cenciosi avevano lo sguardo fisso sul figlio di Maria, aspettavano e non volevano andarsene. Che cosa aspettavano? Avevano dimenticato fa-me e miseria, avevano dimenticato la crudeltà dei padroni che non vole-

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vano rassegnarsi a lasciare qualche chicco d'uva nelle loro vigne, dopo la vendemmia, per addolcire anche la bocca dei poveri. Per la mietitura era lo stesso. Andavano di campo in campo con le loro sacche vuote. Dal mattino si spostavano da una vigna all'altra e le loro ceste erano sempre vuote. E i loro figli li aspettavano ogni sera con la fame in corpo. Adesso, non sape-vano spiegarsi il motivo, ma era come se all'improvviso le loro ceste si fossero colmate. Guardavano quell'uomo vestito di bianco davanti a loro e non avevano più voglia di andarsene... Aspettavano. Che cosa? Non lo sapevano.

Il figlio di Maria li guardava e aspettava pure lui. Sentiva che tutte quelle anime si aggrappavano a lui. Che cosa volevano dalla sua persona? Che cosa si aspettavano da lui ? Che cosa avrebbe potuto dar loro, lui che non possedeva nulla? Rimaneva fermo a guardarli; per un istante fu preso dal panico e fece un gesto come per andarsene, ma ne provò vergogna. Che cosa sarebbe accaduto a Maddalena che si era rannicchiata ai suoi piedi? E come avrebbe potuto lasciare in quella cupa disperazione tutti quegli occhi che lo guardavano con amore? Andarsene, ma per andare dove? Dio è dovunque, ed egli non poteva sottrarsi alla grazia divina che segnava il suo destino. No, non era la sua grazia, ma la sua onnipotenza. Il figlio di Maria adesso sentiva che la sua casa era la terra, non c'erano altre case per lui, e il suo deserto erano gli uomini, non c'era altro deserto. Abbassò la testa.

«Signore, che sia fatta la tua volontà», mormorò. E si abbandonò al volere di Dio.

Dalla folla dei cenciosi venne avanti un vecchio e gli disse:«Figlio di Maria, abbiamo fame; non ci aspettiamo pane da te, tu sei

povero come noi. Parla, dicci una parola di conforto e saremo saziati».Un giovane prese coraggio.«Figlio di Maria», disse, «la sfortuna ci perseguita, il nostro cuore non

ne può più. Hai detto che ci portavi una parola di speranza. Diccela, dunque, portaci la liberazione!»

Il figlio di Maria, guardava gli uomini, ascoltò quel grido di libertà e di fame e ne provò una gioia immensa. Era come se aspettasse quel momento da anni e adesso era arrivato; il popolo invocava il suo nome. Si girò verso di loro con le braccia spalancate.

«Fratelli», disse, «andiamo!»E all'improvviso, il popolo, come se esso pure aspettasse da anni quel

momento, come se udisse per la prima volta il suo nome, il suo vero nome, fu anch'esso colmo della medesima gioia: «Andiamocene», gridarono tutti

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insieme, «nel nome di Dio!»Il figlio di Maria si mise in testa al gruppo e si avviarono tutti quanti.

Un colle tondeggiante, ancora verde malgrado l'estate torrida, s'innalzava sulla riva. Il sole vi aveva picchiato sopra tutto il giorno e ora, nella dolcezza del crepuscolo, profumava di timo e di salvia. Un tempo, in cima a esso, doveva esserci stato un tempio pagano; vi erano ancora resti di capitelli scolpiti e, di notte, ai pescatori pareva di scorgere, pescando nel lago, un bianco fantasma che veniva a sedersi su quei blocchi di marmo; una notte il vecchio Giona l'aveva anche sentito piangere. Camminavano, in estasi, verso quel colle; in testa il figlio di Maria e dietro di lui la massa dei poveri.

La vecchia Salomè si girò verso il figlio minore.«Figlio mio», disse, «dammi il braccio, andiamocene anche noi.» Prese

Maria per mano.«Maria, non piangere. Non hai visto un'aureola sopra la testa di tuo

figlio?»«Non ho un figlio, non ho più un figlio», rispose la madre e scoppiò in

singhiozzi. «Tutti quei pezzenti, ne hanno uno e io non ne ho...»Piangeva, si lamentava e camminava. Adesso ne era sicura: suo figlio

l'aveva abbandonata per sempre. Quando era corsa per abbracciarlo, per riportarselo a casa, lui l'aveva guardata stupito, come se non la riconosces-se. E quando gli aveva detto: «Sono tua madre», aveva allungato una mano per respingerla.

Il vecchio Zebedeo vide sua moglie salire con la folla; fece una smorfia, prese il randello, si voltò verso il figlio Giacomo e i suoi due compagni, Filippo e Nataniele, e mostrò loro la folla concitata.

«Sono come lupi affamati, che siano maledetti! Andiamo a urlare anche noi con loro perché non ci credano degli agnelli e non ci mangino! Seguiamoli! E fate attenzione: qualsiasi cosa dica quella testa calda del figlio di Maria, noi ci faremo beffe di lui, capito? Non bisogna lasciargli prender piede. Avanti! Tutti assieme, e tenete gli occhi aperti!»

Si mise a salire anche lui, passo dopo passo.In quel momento apparvero i due figli di Giona. Pietro teneva il fratello

per mano e gli parlava con calma, teneramente, per non spaventarlo. Ma l'altro guardava emozionato la folla che saliva e l'uomo vestito di bianco che la guidava.

«Chi sono? Dove vanno?» chiese Pietro a Giuda che era ancora lì, sulla strada, indeciso.

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«Il figlio di Maria...» rispose il Rosso, cupo in volto.«E la folla dietro a lui?»«Sono i poveri che raccolgono i resti dopo la vendemmia. Lo hanno

visto e si sono aggrappati a lui; sembra che parlerà loro.»«Per dirgli che cosa? Se non sa nemmeno contare fino a tre!»Giuda alzò le spalle.«Vedremo!» borbottò e si mise a salire pure lui.Due donne, grassocce e colorite, stavano tornando dalle vigne, sfinite

dalla stanchezza, surriscaldate, portando in equilibrio sulla testa grandi ceste d'uva; la compagnia le tentò. «Andiamoci anche noi» si dissero, «tanto per passare il tempo.» E si unirono alla folla.

Il vecchio Giona, con la sua rete da pesca sulla schiena, stava tornando alla sua casetta. Aveva fame e fretta. Vide i suoi due figli, la folla che sali-va, e si fermò con la bocca spalancata, facendo girare qua e là i suoi grossi occhi da pesce. Non pensava a nulla, non si domandava chi fosse morto, chi si sposasse, dove andasse tutta quella gente. Non pensava a nulla, si limitava a guardare a bocca aperta.

«Andiamo, Giona, profeta pescatore», gli gridò Zebedeo, «vieni, è fe-sta. Pare che Maria Maddalena si sposi, vieni a divertirti!»

Le grosse labbra di Giona si mossero, stava per parlare, ma cambiò idea. Con un colpo di spalla si assicurò bene la rete sulla schiena e prese, a passi pesanti, la strada di casa. Mentre arrivava alla capanna, mormorò: «Vattene al diavolo, stolto di uno Zebedeo!» Quindi spinse la porta ed entrò.

Nel momento in cui il vecchio Zebedeo arrivava con i compagni sulla cima del colle, Gesù era seduto su un capitello e non aveva ancora aperto bocca, come se li stesse aspettando. Davanti a lui, gli uomini seduti alla turca, le donne in piedi, lo guardavano.

Il sole era tramontato ma, verso nord, il monte Hermon tratteneva ancora un po' di luce sulla sua vetta.

Gesù aveva incrociato le braccia sul petto e osservava la luce che lotta-va con l'ombra. Talvolta posava lentamente lo sguardo sui visi degli uomi-ni che lo fissavano: visi sofferenti, rinsecchiti dalla fame. I loro occhi, fissi su di lui, lo guardavano come se fosse stata colpa sua, come se volessero rimproverarlo.

Appena vide Zebedeo con il suo gruppo, si alzò.«Siate benvenuti», disse. «Avvicinatevi tutti a me, la mia voce è debole

e voglio parlarvi.»

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Zebedeo, l'anziano del villaggio, gli passò davanti e si sedette su una pietra. Alla sua destra c'erano i suoi due figli, Filippo e Natamele e, a sinistra, Pietro e Andrea. Dietro, nel gruppo delle donne c'erano la vecchia Salomè e Maria, la moglie di Giuseppe. L'altra Maria, Maddalena, era accasciata ai piedi di Gesù, con il viso nascosto fra le mani. Un po' in disparte, sotto un pino contorto dal vento, Giuda attendeva. Fra gli aghi di pino, dardeggiava con gli occhi azzurri e freddi il figlio di Maria.

Dentro di sé questi tremava e lottava per prender coraggio. Il momento che da tanti anni temeva, ora era giunto. Dio aveva vinto, l'aveva trascinato con la forza dove Lui aveva voluto, davanti agli uomini, affinché parlasse loro. E ora, che cosa dire? Le rare gioie della sua vita, i molti dolori, la sua lotta con Dio, attraversavano la sua mente come lampi; poi tutto quello che aveva visto girovagando da solo: le montagne, i fiori, gli uccelli, i pastori che portano allegramente sulla schiena la loro pecora smarrita, i pescatori che lanciano la rete per prendere i pesci, i contadini che seminano, mieto-no, zappano e portano a casa il raccolto... Il cielo e la terra si aprivano e si richiudevano nella sua mente, con tutte le meraviglie di Dio, e non sapeva quale scegliere per cominciare; avrebbe voluto rivelare tutto, per consolare gli inconsolabili. Il mondo si stese davanti ai suoi occhi come una leggen-da di Dio, come la leggenda piena di orchi e di figlie di re che gli raccon-tava la madre di sua madre per impedirgli di piangere. Adesso Dio si chinava dal cielo per raccontarla agli uomini.

Spalancò le braccia e sorrise.«Fratelli», disse con voce tremante, «fratelli, vi parlerò per mezzo di

parabole, perdonate. Sono un uomo semplice, poco istruito, sono pure io povero e sprovveduto, il mio cuore ha molto da dire, ma la mia mente non è capace di spiegarlo; apro la bocca e, senza che io lo voglia, la parole man mano prendono la forma di una leggenda. Fratelli, perdonate, vi parlerò per mezzo di parabole.»

«Ascoltiamo, figlio di Maria, ascoltiamo!»Gesù riprese di nuovo a parlare:«Il seminatore uscì per seminare il suo campo e, mentre seminava, un

seme cadde sulla strada; vennero gli uccelli e lo mangiarono. Un altro cad-de sulle pietre, non trovò terra per alimentarsi e morì disseccato. Un altro cadde fra i rovi, i rovi lo schiacciarono e lo soffocarono. Un altro, infine, cadde sulla terra buona, mise radici, germogliò una spiga, che diede il suo frutto, che alimentò gli uomini. Colui fra voi, fratelli, che ha orecchie per intendere, intenda».

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Tutti tacquero. Si guardavano fra loro, stupiti. Ma il vecchio Zebedeo, che cercava un pretesto per litigare, disse:

«Non capisco, scusami. Ho le orecchie, Dio sia lodato, ho le orecchie e odo, ma non capisco. Che cosa vuoi dire? Non puoi parlare più chiara-mente?» Rise sarcasticamente e carezzò con fierezza la sua barba bianca. «Sei forse tu il seminatore?»

«Sono io», rispose Gesù con umiltà.«Guarda che faccia tosta!» esclamò l'anziano notabile, picchiando il

randello sul suolo. «E noi allora siamo le pietre e i rovi e i campi in cui semini, vero?»

«Siete voi», rispose con la stessa calma il figlio di Maria.Andrea tese l'orecchio e ascoltò. Guardava Gesù e il suo cuore batteva,

turbato. Era così che batteva quando aveva incontrato la prima volta, sulle rive del Giordano, Giovanni Battista bruciato dal sole, coperto dalla pelle di un animale fulvo. La preghiera, le veglie, la fame, l'avevano divorato e non rimanevano che due immensi occhi, due carboni ardenti e una gola che urlava: «Pentitevi! Pentitevi!» Egli gridava e delle onde si alzavano sul Giordano, le carovane si fermavano, i cammelli non potevano proseguire. Ma ora, davanti a lui, quell'uomo sorrideva, la sua voce era calma e incer-ta, come la voce di un uccellino che prova per la prima volta a cantare; i suoi occhi non ardevano, carezzavano. Il cuore di Andrea volava dall'uno all'altro, pieno di stupore.

Lentamente, Giovanni si allontanava dal padre e si avvicinava a Gesù; stava per arrivare ai suoi piedi, ma Zebedeo lo vide e il suo furore raddop-piò. Ne aveva abbastanza di falsi profeti: ogni giorno ne saltava fuori uno nuovo e trascinava la gente alla perdizione. E tutti, come si fossero passati parola, inveivano contro i proprietari, i sacerdoti e i re. Tutto ciò che questo mondo aveva di buono e solido, lo volevano eliminare. E guardate un po', adesso, quello straccione del figlio di Maria. Ah! Dovrò tirargli il collo prima che diventi troppo potente.

Si voltò per vedere che cosa ne pensava la folla, per farsi coraggio. Vide il suo figlio maggiore, Giacomo, aggrottare la fronte, non sapeva se per l'angoscia o per la collera; vide sua moglie che si era avvicinata e che si asciugava gli occhi; gettò lo sguardo sui cenciosi e si impaurì guardandoli: tutti quegli affamati fissavano il figlio di Maria con la bocca aperta, come gli uccelli che aspettano l'imbeccata dalla madre.

«Andate al diavolo, pezzenti!» mormorò, rannicchiandosi di fianco al figlio. «È meglio non parlare, mi creerei dei guai.»

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Si udì una voce tranquilla e patetica. Qualcuno, seduto ai piedi di Gesù, aveva parlato. Quelli che erano accoccolati dietro di lui, si alzarono per vedere. Era il figlio minore di Zebedeo che si era trascinato lentamente fino ai piedi di Gesù, e con la testa protesa gli parlava.

«Tu sei il seminatore», diceva. «Noi siamo le pietre, i rovi e la terra. Ma quale seme possiedi?»

Il suo viso innocente, coperto da una leggera peluria, era in fiamme; i suoi occhi neri dal taglio allungato, guardavano Gesù con ansia. Quel gio-vane corpo tremante era in tensione e aspettava. Dalla risposta che avrebbe ricevuto, lo sentiva, sarebbe dipesa tutta la sua vita. Questa e l'altra vita.

Gesù si era chinato per udirlo. Tacque per un bel po'. Ascoltava il suo cuore battere, si sforzava di trovare la parola semplice, quotidiana, immor-tale. La sua fronte era imperlata di sudore caldo.

«Quale seme possiedi?» chiese di nuovo ansiosamente il figlio di Zebedeo.

Di colpo Gesù si rizzò, spalancò le braccia e si chinò verso gli uomini.«Amatevi gli uni con gli altri!» L'esortazione partì dal profondo del suo

cuore. «Amatevi gli uni con gli altri!»Appena l'ebbe detto, sentì che il suo cuore si era svuotato e si accasciò

sul capitello, sfinito.Si udì un mormorio, il popolo era stupito, molti scuotevano la testa, altri

ridevano.«Che cosa ha detto?» chiese un vecchio che non aveva udito bene.«Che dobbiamo amarci gli uni con gli altri! Almeno sembra.»«Non è possibile!» fece il vecchio, furioso. «Colui che ha fame non può

amare colui che è sazio. La vittima non può amare il suo carnefice. Non è possibile! Andiamocene!»

Giuda, appoggiato al pino, si toccò irosamente con la mano la barba rossiccia.

«Allora è questo che sei venuto a dirci, figlio del falegname?» mormo-rò. «È questa la grande notizia che ci porti? Dobbiamo dunque amare anche i Romani? Offrire le nostre gole come tu hai teso la tua guancia e dire 'Fratello, sgozzami?'»

Gesù udì i mormoni, vide le facce rabbuiarsi. Capì. Il suo viso si coprì di amarezza, radunò tutte le sue forze e si alzò.

«Amatevi gli uni con gli altri! Amatevi gli uni con gli altri!» ripeté. La sua voce era supplichevole e ostinata. «Dio è amore! Una volta pensavo anch'io che fosse feroce, che toccasse le montagne e che esse si mettessero

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a sprizzar fuoco, che toccasse gli uomini per farli morire. Mi sono sepolto nel monastero per liberarmi dal suo incubo; cadevo con la faccia al suolo, aspettavo. Mi dicevo: 'Adesso verrà, si abbatterà su di me come il fulmine'. E un mattino è venuto, ha soffiato su di me come una fresca brezza e mi ha detto: 'Alzati, ragazzo mio!' Mi sono alzato e sono venuto. Eccomi!»

Incrociò le braccia e chinò il busto, come per salutare gli uomini.Il vecchio Zebedeo tossì, sputò e strinse il randello.«Dio, una brezza fresca?» borbottò a bassa voce, indignato. «Non hai

vergogna, sacrilego!?»Il figlio di Maria parlava ancora. Scese fra gli uomini, li guardava a uno

a uno, li supplicava uno per uno, andava e veniva, alzava le braccia al cielo.

«È un padre», affermava. «Non lascia nessun dolore senza lenirlo, nes-suna ferita senza curarla. Più soffriamo, più abbiamo fame su questa terra, più saremo saziati, più ci rallegreremo in cielo...»

Si stancò, salì di nuovo sul capitello e si sedette.«Insomma non bisogna avere troppa fretta!» gridò qualcuno. Scoppiaro-

no delle risate.Gesù, assente, non rispose.«Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia...» gridava ora.«La giustizia non basta», esclamò uno degli affamati, «la giustizia non

basta; vogliamo anche del pane!»«E di pane», aggiunse Gesù sospirando, «e di pane. Questi verranno

saziati da Dio. Beati coloro che soffrono; Dio li consolerà. Beati i poveri, gli umili, gli oppressi. È per voi, poveri, umili, oppressi che Dio ha prepa-rato il regno dei cicli.»

Le due donne che stavano in piedi con le loro ceste d'uva sulla testa, si scambiarono una rapida occhiata e, senza dire una parola, si misero, una a destra e l'altra a sinistra, a distribuire l'uva ai poveri. Maddalena, accasciata ai piedi di Gesù, non osava ancora rialzare la testa e mostrare il suo viso agli uomini; ma, nascosta dai suoi stessi capelli, baciava i piedi del figlio di Maria.

Giacomo, che non riusciva più a trattenersi, si alzò e se ne andò. Andrea si liberò dalle mani del fratello e, in preda all'eccitazione, andò a porsi di fronte a Gesù.

«Io arrivo dal Giordano, in Giudea», gli gridò, «dove un profeta procla-ma: 'Gli uomini sono dei fili di paglia e io sono il fuoco. Sono giunto per bruciare, per purificare la terra, sono giunto per bruciare, per purificare

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l'anima affinché il Messia vi entri!' E tu, figlio del falegname, predichi l'amore? Ma non guardi attorno a te? Sono tutti impostori, ladri, assassini, miserabili; tutti, ricchi e poveri, oppressori e oppressi, Scribi e Farisei, tutti! Tutti! Anch'io sono un impostore e un miserabile e lo sono anche mio fratello Pietro e Zebedeo, il vecchio con il ventre pieno, che ode parole d'amore e pensa alle sue barche, ai suoi servitori e al mezzo di rubare quanto più mosto possibile nel tino!»

Udendolo, il vecchio Zebedeo perse le staffe. La sua nuca grassa diven-ne scarlatta, le vene del suo collo gli si gonfiarono. Si rizzò di botto e sollevò il randello per picchiare; ma la vecchia Salomè fece in tempo ad afferrargli il braccio.

«Non hai vergogna?» gli disse sottovoce. «Andiamocene!»«Gli straccioni e gli scalzi non detteranno legge nel mio villaggio!»

proferì a voce alta perché tutti potessero udirlo. Si sentiva soffocare. Si girò verso il figlio di Maria.

«E tu, figlio del falegname, non vorrai far la parte del Messia anche tu? Perché guai a te, disgraziato! Crocifiggeranno anche te, per farti star buono. E non ho certo pietà di te, fannullone, ho pietà di tua madre che non ha altri figli che te.»

E così dicendo, indicava Maria che, accasciata al suolo, si batteva la fronte sulle pietre.

Ma la collera del vecchio non si placava. Continuava a battere il suolo con il suo randello, gridando:

«E adesso si predica l'amore, la fratellanza! Andate dunque, cani, fate come se foste a casa vostra! Ma posso amare il mio nemico, io? Posso forse amare il delinquente che gironzola attorno alla mia casa e che vuole forzarne la porta per rubare? L'amore, ha detto lui; che cervello da gallina! Perbacco, meno male che ci sono i Romani, ecco che cosa vi dico; e anche se sono idolatri, loro almeno mantengono l'ordine!»

Ci fu un tumulto, il gruppo dei poveri si scosse; Giuda si strappò violen-temente dal suo pino. La vecchia Salomè, spaventata, mise la mano sulla bocca del marito, per farlo tacere. Si girò verso la folla che si avvicinava ondeggiando, minacciosa.

«Non dategli retta, ragazzi, è in collera: dice il contrario di ciò che pensa.»

Si voltò verso il vecchio.«Andiamocene», ordinò.Fece un cenno al suo beneamato figlio che era seduto, tranquillo e

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beato, ai piedi di Gesù.«Andiamocene, figliolo», disse, «ormai è notte.»«Io resto qui, madre», rispose il giovane.Maria si sollevò dalle pietre sulle quali si era gettata, si asciugò gli oc-

chi e, pure lei, titubando, si diresse verso il figlio per portarselo via. Anch'essa era spaventata, infelice, dell'amore che gli dimostravano i poveri e dalle minacce che aveva proferito il ricco e potente Zebedeo.

«Vi scongiuro, in nome di Dio», diceva agli uni e agli altri mentre passava, «non l'ascoltate. È malato... molto malato...»

Timorosa, si avvicinò al figlio che, in piedi, con le braccia incrociate, stava guardando lontano, verso il lago.

«Vieni, figlio mio», gli disse con tenerezza. «Vieni, torniamo a casa.»Egli udì la sua voce, si voltò, la guardò sorpreso, come se si stesse

domandando chi fosse.«Vieni, figliolo», ripeté Maria, prendendolo dalla vita: «perché mi

guardi così? Non mi riconosci? Sono tua madre. Vieni, i tuoi fratelli t'aspettano a Nazareth e il tuo vecchio padre...»

Il figlio scosse la testa.«Quale madre?» disse tranquillamente, «quali fratelli? Mia madre e i

miei fratelli, eccoli...»Tese una mano e mostrò i cenciosi e le loro donne e, in piedi e

silenzioso, davanti al pino, Giuda il Rosso che lo osservava con rabbia.«E mio padre», disse alzando lo sguardo al cielo, «è Dio.»Gli occhi della povera Maria, folgorata da Dio, cominciarono a versare

lacrime.«Esiste al mondo madre più infelice di me?» gridò. «Avevo un figlio,

uno solo, e adesso...»La vecchia Salomè udì quella voce disperata, abbandonò il marito e

tornò indietro. Prese Maria per la mano ma questa le oppose resistenza. Si girò ancora una volta verso il figlio.

«Non vieni?» supplicò. «Non vieni? Te lo chiedo per l'ultima volta, vieni!»

Aspettava. Il figlio, muto, aveva girato nuovamente la testa verso il lago.

«Non vieni?» La madre lanciò un'implorazione lacerante; levò una mano.

«Non temi la maledizione di tua madre?»«Non temo nulla», rispose il figlio, senza voltarsi. «Nessuno mi fa

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paura, tranne Dio.»Il viso di Maria assunse un'espressione indignata; alzò il braccio con il

pugno chiuso e stava aprendo la bocca per maledirlo, ma la vecchia Salomè fece in tempo a metterle una mano sulle labbra.

«No! No!» le disse. «No!»La prese per la vita e la trascinò via con violenza.«Andiamo», le disse, «andiamo, Maria, figlia mia. Devo dirti una cosa.»Le due donne presero il sentiero che scendeva verso Cafarnao. Il vec-

chio Zebedeo camminava davanti a loro, furibondo, e decapitava i cardi a colpi di bastone. La vecchia Salomè parlava a Maria.

«Perché piangi, Maria, figlia mia?» le diceva. «Non hai visto?»Maria la guardò stupita e smise di lamentarsi.«Che cosa?» chiese.«Mentre lui parlava, non hai visto delle ali azzurre, migliaia di ali

azzurre? Dietro di lui, Maria, te lo giuro, c'erano eserciti di angeli!»Maria, disperata, scuoteva la testa.«Non ho visto niente... non ho visto niente...» mormorava. «Niente!»

Poi, dopo un attimo, disse: «Che cosa vuoi che me ne faccia degli angeli, Salomè? Io vorrei che fosse seguito da bambini e da nipotini, non da angeli!»

Gli occhi della vecchia Salomè non vedevano che ali azzurre. Allungò una mano, toccò il petto di Maria e le mormorò sottovoce, come se le stesse confidando un segreto molto importante:

«Tu sei benedetta e benedetto è il frutto del ventre tuo, Maria».Ma l'altra scuoteva la testa, piangeva e, inconsolabile, continuava a

camminare.Nel frattempo i poveri, al colmo dell'eccitazione, avevano circondato

Gesù; battevano la terra minacciando con i loro bastoni, e agitavano le ceste vuote.

«Hai detto bene, figlio di Maria!» gridavano. «Morte ai ricchi!»«Precedici e andiamo a incendiare la casa del vecchio Zebedeo!»«No, incendiarla no», dicevano altri, «forziamola e ci divideremo il suo

grano, il suo olio, il suo vino, le sue casse piene di indumenti preziosi... Morte ai ricchi!»

Gesù agitava disperatamente le braccia, gridando:«Non ho detto questo! Non ho detto questo! Fratelli, ho detto: amore!»Ma i poveri, esasperati dalla fame, non l'ascoltavano più.«Andrea ha ragione», urlavano. «Prima il fuoco e l'ascia e poi l'amore!»

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Andrea, di fianco a Gesù, ascoltava pensieroso con la testa bassa e tace-va. Il suo maestro, laggiù nel deserto, parlava e le sue parole si abbatte-vano sulle teste degli uomini come fossero pietre; quest'uomo, invece, elargisce le sue parole come fossero pane... Chi ha ragione? Quale delle due strade porta alla salvezza del mondo? La violenza o l'amore?

E mentre rimuginava nella mente questi pensieri, sentì due mani posarsi sulla sua testa. Erano quelle di Gesù.

Le sue dita, affusolate e sottili, avvolgevano tutto ciò che toccavano e avevano coperto per intero la testa di Andrea. Questi non si mosse. Sentiva le giunte del suo cranio aprirsi, e una dolcezza indicibile, pesante come il miele, scendere nel suo cervello, giungere alla bocca, alla gola, al cuore, proseguire fino alle sue reni e ramificarsi fino alla pianta dei piedi. Ne provava una gioia profonda, in tutte le sue membra, in tutta l'anima, dalle radici del suo essere, come l'albero assetato quando viene innaffiato. Non parlava. Che cosa meravigliosa se quelle mani avessero potuto rimanere sempre sulla sua testa!... Dopo una lotta così lunga, sentiva in sé pace e sicurezza.

Un po' più in là, Natamele e Filippo, i due inseparabili amici, discuteva-no animatamente.

«Mi piace», diceva il gran demonio candido. «Le sue parole sono dolci come il miele. Non credermi, se non vuoi, ma mentre parlava provavo anch'io quella dolcezza.»

«Non mi piace», rispondeva il pastore, «no. Dice una cosa e ne fa un'altra. Grida 'amore, amore', poi fabbrica delle croci per crocifiggere!»

«Questo ormai è finito, Filippo, te lo assicuro, finito. Doveva passare attraverso le croci e ci è passato; adesso è entrato nel cammino del Signore.»

«Voglio cose concrete!» insisteva Filippo. «Che venga prima a benedire i miei agnelli che hanno la scabbia; se guariscono, gli crederò. Altrimenti, che se ne vada al diavolo con gli altri! Perché scuoti la testa? Se vuole salvare il mondo, cominci dai miei agnelli!»

Cadeva la notte sul lago, sulle vigne e sui volti degli uomini. Il gran carro apparve in cielo; una stella, rossa come una goccia di vino, brillava a Oriente, proprio sopra al deserto.

Gesù si sentì improvvisamente stanco; aveva fame e voleva rimanere solo. A poco a poco gli uomini si ricordavano della strada che restava loro da fare, della loro casa e dei bambini che stavano aspettandoli; tornarono

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le preoccupazioni: era stato come un lampo e si erano lasciati trascinare, ma il lampo era guizzato via e le preoccupazioni quotidiane tornavano ad assillarli. Furtivamente, come se stessero disertando, scivolavano via, uno o due alla volta e se ne andavano.

Afflitto, Gesù si stese sui vecchi blocchi di marmo. Nessuno gli tese la mano per dargli la buona sera, nessuno gli chiese se avesse fame, né se avesse un luogo dove dormire. Aveva il viso rivolto verso la terra che stava diventando scura e udiva i passi frettolosi che si allontanavano e svaniva-no. Di colpo il silenzio fu assoluto. Alzò la testa: nessuno. Si guardò attorno, era buio; gli uomini se ne erano andati. Sopra di lui solo le stelle e dentro solo la fame e la stanchezza. Dove andare? A che porta bussare? Si rannicchiò di nuovo in terra e mormorò tristemente: «Anche le volpi hanno una tana in cui dormire, e io non l'ho...» Chiuse gli occhi. Un freddo pungente era venuto giù con. la notte; tremava.

All'improvviso udì un sospiro e un leggero singhiozzo provenire da die-tro i blocchi di marmo. Aprì gli occhi. Scorse una donna che si trascinava a pancia in giù, avvicinandosi. Si sciolse i capelli e si mise ad asciugare con essi i piedi di Gesù, coperti di ferite a causa delle pietre. Egli la riconobbe dal suo profumo.

«Maddalena, sorella mia», disse, appoggiando la mano sulla sua testa calda e profumata, «Maddalena, sorella mia, torna nella tua casa e non peccare più.»

«Gesù, fratello mio», disse lei baciandogli i piedi, «lascia che io segua la tua ombra fino alla morte. Ora so, figlio mio, che cos'è l'amore.»

«Torna nella tua casa», ripeté Gesù. «Quando sarà il momento, ti chiamerò.»

«Voglio morire per te, figlio mio», riprese la donna.«Quel momento giungerà, Maddalena, non avere fretta; non è ancora

giunto. Allora ti chiamerò; adesso vattene...»Ella stava per replicare, ma la voce, divenuta molto severa, ripeté:

«Vattene».Maddalena prese il sentiero che scendeva; i suoi passi leggeri risuonaro-

no per pochi attimi, poi, a poco a poco, svanirono. Rimaneva nell'aria solo il profumo del suo corpo, ma la brezza notturna, soffiando, lo portò via.

Il figlio di Maria adesso era solo. Su di lui c'era Dio con il suo volto notturno, un volto tenebroso cosparso di stelle. Tese l'orecchio nell'oscurità stellata, come se tentasse di udire una voce. Attese, ma non udì nulla. Avrebbe voluto chiedere all'Invisibile: «Sei contento di me, Signore?», ma

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non osava. Avrebbe voluto dire un mucchio di cose all'Invisibile, ma non osava. Il silenzio che si era abbattuto di colpo su di lui lo spaventava. Sicu-ramente non deve essere contento, non deve essere contento di me, pensò rabbrividendo. Ma non è colpa mia, Signore, te lo dicevo. Quante volte te l'ho detto che non riesco a parlare! Ma tu mi spronavi sempre, sia per scherzo, sia per collera, e quel mattino, al monastero, mentre i monaci mi stavano cercando per farmi, indegno, igùmeno, quando avevano sbarra-to tutte le porte per impedire che me ne andassi, tu mi hai aperto una porta segreta, m'hai afferrato per i capelli e mi hai gettato qui, davanti a tanti uomini! «Parla, è giunto il momento», mi hai ordinato. E io tacevo, tenevo la bocca chiusa. Tu gridavi, ma io tacevo. E non l'hai più tollerato: ti sei gettato su di me, mi hai aperto la bocca - non sono io che l'ho aperta - sei tu che me l'hai aperta con la forza, tu hai toccato le mie labbra non con un carbone ardente, come sei solito fare con i tuoi profeti, ma con del miele! E ho parlato. Il mio cuore era in collera, avevo fretta di gridare anch'io, come il tuo profeta Battista: «Dio è il fuoco; Egli arriva! Dove andrete a nascondervi voi, uomini senza legge, senza giustizia e senza onore? Egli arriva!» Era questo che il mio cuore voleva gridare, ma tu, hai toccato le mie labbra con del miele e io ho gridato: «Amore! Amore!»

Signore, Signore, non posso lottare con te; stasera mi arrendo. Che sia fatta la tua volontà!

Dicendo questo si sentì sollevato. Chinò la testa sul petto come un uccello assonnato, chiuse gli occhi e si addormentò. Subito gli parve di tirar fuori dal seno una mela, di aprirla, di prenderne un seme e di piantarlo di fronte a lui, lì in terra. E, appena piantato, il seme germogliò; crebbe un tronco con rami e foglie, l'albero fiorì, diede dei frutti: era carico di mele rosse...

All'improvviso le pietre si mossero, e il passo di un uomo lo riscosse dal sonno. Gesù aprì gli occhi. C'era un uomo in piedi davanti a lui. Non era più solo e ne fu contento. Con calma, senza parlare, accolse quella confor-tevole presenza.

Il visitatore notturno si avvicinò e s'inginocchiò.«Devi aver fame», disse. «Ti porto del pane, del pesce e del miele.»«Chi sei, fratello?»«Il figlio di Giona. Andrea.»«Tutti mi hanno abbandonato. Se ne sono andati. Ed è vero, avevo

fame. Come mai tu, fratello, ti sei ricordato di me e mi hai portato queste grazie del Signore: pane, pesce e miele? Non manca che una parola di

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conforto.»«Ti porto anche quella», disse Andrea. L'oscurità gli infondeva corag-

gio. Gesù non vedeva le due lacrime che scendevano sulle gote pallide del giovane e neppure le sue mani che tremavano.

«Comincia da lì, fratello», gli disse Gesù e gli tese la mano sorridendo.«Rabbi... Maestro mio...» mormorò il figlio di Giona. Si chinò e gli

baciò i piedi.

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Il tempo non è un campo che si misuri a braccia; non è un mare che si misuri a miglia; è il battito di un cuore. Quanti giorni durò quel fidanza-mento? Giorni? Mesi? Anni? Il figlio di Maria andava di villaggio in villaggio, di montagna in montagna o, talvolta, in barca, da una riva all'al-tra del lago, felice, comprensivo, con parole benevole sulle labbra, vestito di bianco come un fidanzato. Poggiava il suo piede sulla terra, lo solleva-va, e questa si copriva di fiori. Una brezza propizia si alzava appena saliva su una barca. Gli uomini l'ascoltavano e l'argilla di cui erano fatti diventa-va un'ala. Per tutto il tempo che durò quel fidanzamento, sotto ogni pietra che si sollevava, c'era Dio. Si bussava a una porta ed era Dio che veniva ad aprire. Si guardavano gli occhi del proprio amico o del proprio nemico e in quelle pupille si vedeva Dio che rispondeva con un sorriso.

I Farisei scuotevano la testa, esasperati: «Giovanni Battista digiuna, piange, minaccia e non ride. E tu, ovunque vi è un matrimonio o una festa, arrivi sempre per primo. Bevi, mangi, ridi e, l'altro ieri, a una festa di nozze, a Cana, ti sei messo a ballare con le ragazze; non hai vergogna? Dove s'è visto un profeta ridere e danzare?» Gli gettavano occhiate torve e lo rimproveravano.

Egli sorrideva loro.«Non sono un profeta, Farisei, fratelli», rispondeva loro. «Non sono un

profeta, sono un fidanzato.»«Fidanzato?» urlavano i Farisei facendo cenno di strapparsi i vestiti.«Fidanzato, Farisei, fratelli. Come spiegarvelo in un altro modo? Non lo

so proprio. Scusatemi.»Si girava verso i suoi compagni: Giovanni, Andrea, Giuda, verso i con-

tadini e i pescatori che, ammaliati dalla dolcezza del suo viso, pur di udir-lo, abbandonavano campi e barche; verso le donne che correvano dietro di loro con i bambini in braccio.

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«Rallegratevi e gioite», diceva loro, «finché io sono con voi. Verranno giorni in cui sarete vedovi e orfani, ma riponete la vostra speranza nel Padre. Come fanno ad aver fiducia i fiori della terra e gli uccelli del cielo? Non seminano, non mietono e il Padre provvede loro. Non filano, non tessono, eppure, quale re ha mai potuto vestirsi con simile magnificenza? Non preoccupatevi del vostro corpo, di ciò che mangerà, di ciò che berrà, né di ciò che indosserà. Era polvere e polvere ridiventerà. Pensate-alla vostra anima che è immortale e al regno dei cicli.»

Giuda l'ascoltava e aggrottava la fronte. Lui non si preoccupava del regno dei cieli. La sua grande preoccupazione era il regno della terra. E nemmeno della terra intera, bensì solo della terra d'Israele. Questa è fatta di pietre e di uomini e non di preghiere e di nuvole. Questa terra è sotto-messa ai Romani, barbari e idolatri; sono loro che bisogna cacciar via per primi, loro, e poi ci preoccuperemo del regno dei cieli.

Gesù vedeva la sua fronte aggrottata, leggeva, in quelle rughe che la tormentavano, i suoi pensieri segreti e gli sorrideva.

«Giuda, fratello mio», gli diceva. «Il cielo e la terra sono una cosa sola, la pietra e la nuvola sono una cosa sola, il regno dei cieli non è nell'aria, è in noialtri, nel nostro cuore: allora il cielo e la terra si uniranno, Israeliti e Romani si uniranno, tutto diventerà una cosa sola.»

Ma il Rosso covava la propria collera; era paziente, aspettava. «Non sa che cosa dice, quel sognatore», mormorava. «Non se ne rende conto; è solo se il mondo cambia, che cambierà il mio cuore. È solo se spariscono i Romani dalla terra d'Israele, che io mi sentirò sollevato!»

Un giorno, il figlio minore di Zebedeo si volse verso Gesù e gli disse:«Rabbi, a me non piace Giuda, scusami. Quando mi avvicino a lui, il

suo corpo emana una forza oscura, come se migliaia di aghi finissimi mi ferissero. E l'altro ieri, al tramonto, ho visto un angelo nero chinarsi su di lui e mormorargli qualcosa all'orecchio. Che cosa avrà voluto dirgli?»

«Immagino ciò che gli diceva», rispose Gesù con un sospiro.«Che cosa, Rabbi, ho paura; che cosa gli diceva?»«Lo saprai quando sarà giunto il momento, fratello mio. Io stesso non lo

so ancora bene.»«Perché te lo porti dietro? Perché permetti che ti segua giorno e notte?

E quando gli parli, la tua voce è più dolce di quella che usi quando ti rivolgi a noi, perché?»

«Bisogna che sia così, Giovanni, fratello mio. Ha più bisogno d'amore.»Andrea seguiva il nuovo maestro e, per lui, giorno dopo giorno il mon-

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do diventava sempre più dolce. Non il mondo, il suo cuore. Mangiare e ridere non era più un peccato, la terra sotto di lui era diventata più stabile e il cielo si chinava su di essa come un padre. E il giorno del Signore non era più un giorno di collera e d'incendio, non era la fine del mondo, ma la mietitura, le nozze, le danze. Era l'innocenza del mondo incessantemente rinnovata. Ogni nuovo giorno vedeva la terra rinascere e Dio le prometteva di tenerla nella sua mano santa.

I giorni passavano, Andrea si tranquillizzava, si riconciliava con il sorri-so e il cibo, le sue guance pallide ritrovavano il loro colore. E quando, a mezzogiorno o di sera, si stendevano sotto un albero, oppure quando in qualche casa li festeggiavano e Gesù, secondo la sua abitudine, prendeva il pane, lo benediceva e lo divideva, nel ventre di Andrea questo si trasfor-mava in amore e sorrisi. Solo talvolta egli pensava ai suoi e sospirava.

«Che cosa ne sarà del vecchio Giona e di Zebedeo?» disse un giorno e il suo sguardo si perse lontano. «È come se quei due vecchi fossero dall'altra parte del mondo. E Giacomo? E Pietro? Dove si trovano? In che mondo si stanno dibattendo?»

«Li ritroveremo tutti», rispose Gesù sorridendo. «Ci ritroveranno tutti. Non preoccuparti, Andrea. Il Palazzo del Padre è abbastanza vasto per contenerci tutti.»

Una sera Gesù entrò a Bethsaida. I bambini corsero a salutarlo e ad au-gurargli il benvenuto agitando rami d'olivo e di palme. Le porte si apriva-no, le donne apparivano sulle soglie e, abbandonando i mestieri, lo segui-vano per udire la buona novella. I figli portavano sulle spalle i parenti paralitici, i bimbi piccoli prendevano per mano i loro nonni ciechi, gli uo-mini robusti portavano con sé i loro beni e gli correvano appresso affinché egli posasse la sua mano sulle loro teste e li guarisse.

Quel giorno, Tommaso, il venditore ambulante, carico come un asino, passava per caso nel villaggio, suonando la tromba per attirare la gente e far sì che comprasse la sua mercanzia: pettini, fili, orecchini d'argento, braccialetti di bronzo e belletti miracolosi per le donne.

Gesù lo vide e, di colpo, ai suoi occhi, la scena cambiò. Quell'uomo non era più Tommaso, il mercante guercio. Aveva in mano una livella, stava in piedi in un paese lontano, circondato da una gran folla. Dei muratori costruivano, dei manovali portavano calce e pietre. C'erano un gran cantie-re e dovunque colonne di marmo; s'innalzava un gran tempio e Tommaso, capomastro, correva da tutte le parti con la sua livella... Gesù sbatté gli occhi; Tommaso pure chiuse gli occhi, li riaprì, si ritrovò davanti Gesù che

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portava la sua mercé e i suoi occhi strabici e maliziosi si agitavano e ridevano. Gesù stese la mano su di lui.

«Tommaso», gli disse, «vieni con me. Ti caricherò con un altro tipo di mercé; le spezie e i gioielli dell'anima, affinché tu giri per il mondo e le distribuisca agli uomini.»

«Lasciami vendere prima questa», disse il vecchio furbo con un sorriso sarcastico. «Dopo vedremo!» E senza aspettare, si mise a offrire a squar-ciagola i suoi pettini, i fili e i belletti.

Un vecchio notabile, molto ricco, duro di cuore e iniquo, in piedi sulla soglia di casa con le braccia appoggiate agli stipiti della porta, osservava con curiosità la folla che si avvicinava. Davanti a essa correva un gruppo di bambini che agitava palme e rami d'olivo, batteva alle porte e gridava:

«Arriva, arriva il figlio di Davide!»Un uomo vestito di bianco, con i capelli che gli cadevano sulle spalle,

tranquillo, sorridente, li seguiva. Stendeva le braccia a destra e a sinistra per benedire le case. Dietro di lui, uomini e donne correvano e cercavano di toccarlo per riceverne forza e santità. Più indietro venivano i ciechi e i paralitici; le porte continuavano ad aprirsi e a ogni istante la folla aumentava.

«Chi è l'uomo che sta arrivando?» chiese inquieto il vecchio notabile. Si teneva ben saldo agli stipiti della porta, per il caso in cui la folla volesse riversarsi nella sua casa per saccheggiarla.

«È il nuovo profeta, vecchio Anania», gli rispose qualcuno fermandosi. «Quell'uomo vestito di bianco che stai vedendo ha in una mano la vita e nell'altra la morte e le distribuisce come gli pare. Trattalo bene, te lo consiglio.»

Il vecchio Anania, udendolo, si spaventò. Aveva molte angosce dentro di sé e spesso, di notte, si svegliava di soprassalto e la paura gli incollava la lingua al palato. Faceva brutti sogni, si vedeva all'Inferno ad arrostire, avvolto nelle fiamme fino al collo. Quell'uomo forse avrebbe potuto salvarlo... Tutto è magia nel mondo, quell'uomo è un mago, offriamogli la nostra mensa e il nostro cibo, diamoci da fare, forse potrà fare un miracolo...

Si decise, andò in mezzo alla strada, si mise una mano sul cuore e disse:«Figlio di Davide, sono il vecchio Anania, sono pescatore e tu sei santo.

Ho saputo che hai acconsentito di venire nel nostro villaggio e ti ho preparato un festino; entra, se lo desideri. È per il bene di noi pescatori che i santi vengono al mondo. La mia casa è assetata di santità».

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Egli entrò in quella ricca casa di campagna; arrivarono gli schiavi, prepararono le tavole nel cortile e portarono dei cuscini; Gesù vi si stese sopra e al suo fianco si stesero Giovanni, Andrea, Giuda e anche l'astuto Tommaso, che era diventato discepolo per mangiare.

Di fronte a loro si accomodò il vecchio padrone di casa. Cercava nella mente il modo di far procedere la conversazione come desiderava, di par-lare dei suoi incubi e di farli scacciare dall'esorcista. Arrivarono le prime portate e pure orci di vino; la gente, in piedi, li guardava mangiare e par-lare del tempo, di Dio e delle vigne. Mangiavano e bevevano; gli schiavi portarono brocche e bacinelle, gli invitati si lavarono le mani ed erano sul punto di alzarsi, quando il vecchio Anania non ce la fece più. Mi son dato da fare, pensò, gli ho preparato la tavola, hanno mangiato e bevuto, lui e il suo seguito. Adesso è giusto che paghi.

«Maestro», disse. «Ho fatto dei brutti sogni; so che hai fama di grande esorcista. Ho fatto quanto potevo per te; vorrei che tu, che sei santo, facessi qualcosa per me. Abbi pietà di me e scaccia quei sogni. Pare che tu parli e che esorcizzi per mezzo di parabole. Di' dunque una parabola, ne capirò il significato recondito e guarirò. Non è tutto magia? Perciò fai i tuoi sortilegi.»

Gesù sorrise. Guardò il vecchio negli occhi. Spesso, rabbrividendo, ave-va visto le mascelle avide delle persone sazie, la loro nuca grassa, gli occhi in continua agitazione. Bevono, mangiano e ridono, tutto è loro dovuto, rubano, danzano, fanno all'amore e non sentono il fuoco dell'Inferno. Solo talvolta, nel sonno, aprono gli occhi e vedono... Gesù continuava a guarda-re il vecchio satollo, la sua carne, i suoi occhi, la sua paura... una volta ancora, in lui, la verità divenne leggenda.

«Apri le orecchie, vecchio Anania», disse. «Apri il tuo cuore, ti par-lerò.»

«Ho aperto le mie orecchie, ho aperto il mio cuore, che il Cielo ti ispiri, ascolto.»

«C'era una volta, vecchio Anania, un uomo ricco, crudele e iniquo; mangiava e beveva, si vestiva di seta e porpora e non dava nemmeno un bicchiere d'acqua a Lazzaro, il suo vicino, che aveva fame e freddo. Lazzaro si trascinava sotto i tavoli per raccogliere le briciole di pane e ro-sicchiare le ossa. Ma gli schiavi lo gettavano fuori ed egli rimaneva seduto sulla soglia e i cani venivano a leccargli le ferite. Quindi arrivò la loro ora e morirono tutti e due. Uno finì nel fuoco eterno e l'altro nel seno di Abramo. Un giorno il ricco alzò gli occhi e vide il suo vicino, Lazzaro, che

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rideva ed era felice e contento nel seno d'Abramo. Lanciò una supplica:«'Padre Abramo, Padre Abramo, di' a Lazzaro di inumidirsi la punta

delle dita per rinfrescarmi la bocca; brucio!' Ma Abramo gli rispose: 'Ricordati di quando mangiavi e bevevi e godevi dei beni del mondo, mentre l'altro pativa la fame e la sete. Gli hai mai offerto, tu, un goccio d'acqua? Ebbene, ora è la sua volta di godere e la tua di bruciare per l'eternità'.»

Gesù sospirò e tacque. Il vecchio Anania, con la bocca spalancata, attendeva il seguito; le sue labbra e la sua gola divennero secche. Guardò Gesù con espressione implorante.

«Questo è tutto?» chiese con voce tremante. «Tutto? Non c'è nient'-altro?»

Giuda scoppiò a ridere.«Ben per lui», disse. «Colui che mangia e beve troppo sulla terra,

brucerà nell'Inferno.»Ma il figlio minore di Zebedeo si chinò su Gesù e gli disse sottovoce:«Rabbi, le tue parole non hanno tranquillizzato il mio cuore. Quante

volte ci hai detto: perdona il tuo nemico, amalo. Anche se ti fa sette volte o settantasette volte il male rendigli settantasette volte il bene. Solo così la malvagità potrà essere estirpata dal mondo. E ora Dio non può perdonare?»

«Dio è giusto!» esclamò il Rosso, gettando uno sguardo beffardo al vecchio Anania.

«Dio è la bontà in persona», replicò Giovanni.«Allora non v'è speranza?» balbettò il vecchio proprietario. «La

parabola è finita?»Tommaso si alzò, fece qualche passo in direzione della porta in strada e

si fermò.«No, non è finita, signore», disse, beffardo. «C'è ancora qualcosa.»«Parla, figliolo, che Dio ti benedica.»«Il ricco si chiamava Anania», disse Tommaso. Poi prese la sua sacca di

mercé e uscì. Si fermò in mezzo alla strada e si mise a ridere a crepapelle con i vicini.

Il sangue salì alla grossa testa del vecchio notabile e gli occhi gli si iniettarono di sangue.

Gesù allungò una mano e carezzò la barba ricciuta del suo amato compagno.

«Giovanni», disse, «tutti hanno orecchie, hanno udito; tutti hanno una

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mente, hanno giudicato. Dio è giusto, hanno detto, e non sono andati oltre. Ma tu hai anche un cuore e hai detto: Dio è giusto, ma ciò non basta. È la bontà in persona. Non è possibile, bisogna che questa parabola finisca in un altro modo.»

«Rabbi», disse il giovane. «Perdonami, ecco infatti ciò che suggeriva il mio cuore: l'uomo perdona e Dio no? Non è possibile, è un'enorme bestemmia; bisogna che la parabola abbia un'altra fine.»

«E ha un'altra fine, mio amato Giovanni», disse Gesù sorridendo. «Vecchio Anania, ascolta e il tuo cuore si rassicurerà. Ascoltate anche voi tutti, qui nel cortile, e voi, vicini, che state sghignazzando in strada; Dio non è solamente giusto, è anche buono; e non è solamente buono, è anche Padre. Lazzaro udì le parole di Abramo e sospirò. 'Mio Dio', disse fra sé, 'come si può essere felici in Paradiso quando si sa che c'è un uomo, un'anima che brucia per l'eternità? Rinfrescalo, Signore, affinché io pure sia; liberalo, o Signore, affinché io pure sia liberato. Altrimenti mi metterò anch'io a bruciare.' E Dio capì il suo pensiero e ne fu pieno di gioia. 'Lazzaro, figliolo amato, scendi e prendi per mano l'assetato; le mie sor-genti sono inesauribili, portalo affinché beva e si rinfreschi; affinché pure tu ti rinfreschi con lui.' 'Per l'eternità?' chiese Lazzaro. 'Per l'eternità', rispose Dio.»

Gesù si alzò e tacque. La notte era scesa, la gente si disperse mormorando, uomini e donne tornarono nelle loro povere capanne, con il cuore sollevato. La parola può forse nutrire? Lo può, quando è buona, pensavano.

Gesù tese la mano per congedarsi dal vecchio Anania, ma questi cadde ai suoi piedi.

«Rabbi, perdonami!» mormorò; e scoppiò in lacrime.La notte seguente, sotto gli ulivi dove si erano distesi per dormire,

Giuda andò a visitare il figlio di Maria. Non riusciva a calmarsi; doveva vederlo, parlargli, doveva fare il punto su tante cose, dovevano parlare chiaramente. Quando, in casa del cattivo Anania, aveva goduto nel vedere il ricco bruciare all'Inferno e aveva battuto le mani gridando: «Gli sta bene!» Gesù l'aveva fissato a lungo con disapprovazione e quello sguardo lo stava ancora trafiggendo. Dovevano avere una spiegazione; le insinua-zioni e gli sguardi furtivi non gli piacevano.

«Benvenuto», gli disse Gesù. «Ti aspettavo.»«Non sono come i tuoi seguaci, figlio di Maria», cominciò subito il

Rosso. «Non ho l'innocenza e il candore di Giovanni, il tuo preferito; non

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sono neppure un visionario e sventato come Andrea, che è una girandola che gira con vento. Io sono una belva dal carattere forte; mia madre m'ha partorito di nascosto e mi ha gettato nel deserto dove ho poppato il latte di una lupa. E sono diventato rude, tutto d'un pezzo, leale. Diventerei terra, affinché colui che amo possa calpestarmi, ma uccido colui che non amo.»

Parlando, la sua voce era diventata rauca. I suoi occhi sprizzavano scin-tille nell'oscurità. Gesù posò la sua mano su quella testa minacciosa, per calmarla. Ma il Rosso, con una scossa, respinse la mano pacificatrice.

«Io posso uccidere anche colui che amo», disse, soppesando una per una le parole, «se vedo che esce dalla retta via.»

«Qual è la retta via, Giuda, fratello mio?»«La salvezza d'Israele.»Gesù chiuse gli occhi, non rispose. Le due fiamme che sprizzavano

dall'oscurità lo bruciavano. Che cos'è Israele? Perché solo Israele? Non siamo tutti fratelli?

Il Rosso aspettava una risposta, ma il figlio di Maria taceva. Il Rosso lo prese per un braccio, lo scosse, come per svegliarlo.

«Hai capito?» chiese. «Hai capito che cosa ti ho detto?»«Ho capito», disse l'altro aprendo gli occhi.«Te lo dico brutalmente, affinché tu sappia chi sono, ciò che voglio e

affinché tu mi risponda. Vuoi o non vuoi che venga con te? Voglio saperlo.»

«Lo voglio, Giuda, fratello mio.»«E mi lascerai esprimere la mia opinione liberamente, contraddirti, dire

di no, quando tu dirai di sì? Perché, e voglio che tu lo sappia, tutti possono ascoltarti con la bocca spalancata, ma io non posso. Non sono uno schiavo, pensa ciò che vuoi, io sono un uomo libero.»

«Quello che chiedo anch'io, Giuda, è la libertà.»Il Rosso balzò in piedi. Afferrò Gesù per una spalla.«Liberare Israele dai Romani?» gridò. Il suo alito bruciava.«Liberare l'anima dal peccato.»Giuda mollò con gesto irato la spalla di Gesù e batté il pugno sul tronco

dell'ulivo.«È qui che le nostre strade si separano», urlò, e guardò Gesù con odio.

«Libera prima il nostro corpo dai Romani, poi libererai l'anima dal peccato. Ecco la strada. Sei capace di seguirla? Non si comincia a costruire una casa dal tetto. Si comincia dalle fondamenta.»

«Le fondamenta sono l'anima, Giuda.»

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«Le fondamenta sono il corpo, figlio di Maria. È da esso che devi cominciare. Te l'ho già detto e te lo ripeto: stai attento, prendi la strada che io ti indico. È per questo, sappilo, che vengo con te: per mostrarti la strada.»

Sotto l'ulivo vicino Andrea, nel sonno, udì la discussione e si svegliò. Tese l'orecchio. Erano la voce del maestro e un'altra, rauca e collerica. Trasalì. Era forse giunto qualcuno durante la notte per prendersela con il maestro? Lo sapeva: dove Gesù passava, lasciava dietro a sé molti giovani, donne e poveri che l'amavano; ma anche molti ricchi, potenti e vecchi, che lo odiavano e desideravano la sua fine. Quei criminali avevano forse mandato qualche tipo robusto a picchiarlo? Si trascinò verso il luogo da cui provenivano quelle voci, al buio. Ma il Rosso udì un rumore e si raddrizzò sulle ginocchia.

«Chi va là?» gridò.«Sono io, Giuda», disse Andrea.«Vai a dormire, figlio di Giona, dobbiamo discutere fra di noi.»«Vai a dormire, Andrea, figlio mio», disse pure Gesù.Giuda abbassò la voce. Gesù sentiva il fiato pesante dell'uomo sul suo

viso.«Al monastero, se ben ricordi, ti ho rivelato che la confraternita mi

aveva mandato per ucciderti. All'ultimo momento ho cambiato idea. Ho riposto il pugnale nella guaina e me ne sono andato dal monastero di buon mattino, come un ladro.»

«Perché hai cambiato idea, Giuda, fratello mio? Io ero pronto.»«Aspettavo.»«Aspettavi che cosa?»Giuda tacque. E di colpo:«Di vedere se eri Colui che Israele attende».Gesù rabbrividì. Si appoggiò al tronco dell'ulivo; tremava.«Non voglio precipitarmi e uccidere il Salvatore, non voglio!» gridò

Giuda, asciugandosi la fronte che si era improvvisamente coperta di sudore. «Capisci? Non voglio!» gridò come se lo stessero strangolando.

Respirò profondamente.«Forse lui stesso non lo sa, mi dicevo. Bisogna avere pazienza, lasciarlo

ancora vivere. Che viva e vedremo bene che cosa dirà e che cosa farà. E se non è Colui che noi aspettiamo, avrò sempre il tempo di liquidarlo. Ecco che cosa ho pensato, ecco perché ti ho lasciato in vita.»

Rimase un momento senza fiato; grattava la terra con la punta del piede.

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Di colpo prese Gesù per un braccio; la sua voce era rauca, disperata.«Non so come chiamarti: figlio di Maria, figlio del falegname, figlio di

Davide? Non so ancora chi sei. Ma non lo sai neppure tu. Dobbiamo saperlo, per sentirci tutti e due sollevati, così non può più durare. Non badare agli altri: ti seguono come agnelli che belano. Non badare alle donne che ti ammirano e che piangono; sono donne, hanno cuore, ma non hanno cervello, non abbiamo bisogno di loro. Bisogna che noi due sappiamo chi sei, che cos'è quella fiamma che ti brucia, se è il Dio d'Israele o il Demonio. Bisogna! Bisogna!»

Gesù tremava tutto.«Come fare, Giuda, fratello mio? Come venirlo a sapere? Aiutami.»«C'è un mezzo.»«Quale?»«Andiamo a trovare Giovanni il Battista. Lui ce lo dirà. Grida: 'Egli

arriva! Egli arriva!' Appena ti vedrà, capirà se tu sei o non sei Colui che viene. Tu ne troverai sollievo e io saprò che cosa dovrò fare.»

Gesù si perse in fantasticherie. Quante volte era stato colto da una simile angoscia! Cadeva con la faccia sulla terra, si dibatteva, dalla bocca gli usciva della schiuma, la gente lo credeva in preda al demonio e correva via, spaventata. Ma lui era al settimo cielo, il suo spirito aveva abbandona-to la prigione e saliva a bussare alla porta di Dio per chiedere: «di sono? Perché sono nato? Che cosa devo fare per salvare il mondo? Qual è la strada più breve? Forse la mia morte?»

Sollevò la testa e vide Giuda completamente chino su di lui.«Giuda, fratello mio», disse, «distenditi vicino a me e Dio, come il

sonno, verrà a prenderci. E domani, di buon mattino, partiremo per andare a trovare il profeta della Giudea. Succederà ciò che Dio vorrà. Sono pronto.»

«Anch'io sono pronto», disse Giuda.Si distesero uno accanto all'altro.Dovevano essere molto stanchi tutti e due; caddero immediatamente nel

sonno e di buon mattino Andrea, che si era svegliato per primo, li trovò tutti e due addormentati, l'uno nelle braccia dell'altro.

Il sole cominciò a brillare sul lago e tutta la terra si illuminò. Il Rosso camminava in testa e faceva strada; dietro di lui venivano Gesù e i suoi due fedeli Giovanni e Andrea. Tommaso doveva ancora vendere della mercé ed era rimasto un po' indietro, nel villaggio. È bello ciò che dice il figlio di Maria, meditava maliziosamente nella sua mente contorta, i poveri

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hanno da mangiare e da bere quanto vogliono nell'aldilà. Ma, nel frattem-po, che cosa sarà di noi qui in terra? Fai attenzione, mio povero Tommaso, non farti mettere nel sacco! Per maggior sicurezza è meglio che io tenga nella mia cesta due tipi di mercé: sopra, e ben in vista, i pettini e i belletti; e sul fondo, nel retrobottega, per i clienti importanti, il regno dei cicli. Ridacchiò, caricò nuovamente la sua sacca sulla schiena, soffiò nella trombetta e con un filo di voce acuta cominciò, di buon mattino, a vantare la mercé terrena nelle stradine di Bethsaida,

A Cafarnao, Pietro e Giacomo si erano alzati all'alba e insieme stavano tirando su le reti. Apparvero i pesci che si dibattevano e scintillavano al sole. In altra occasione i due pescatori sarebbero stati felici di sentire la loro rete così pesante, ma quel giorno avevano tutti e due la mente lontana da lì e rimasero in silenzio. Tacevano, ma ognuno di loro, dentro di sé, ce l'aveva sia con la sorte, che li teneva legati a quel lago ormai da generazio-ni, sia con la loro mente calcolatrice che non permetteva al cuore di prendere il volo. È vita questa? gridavano in silenzio, gettar le reti, prende-re il pesce, mangiare, dormire e ricominciare daccapo, ogni giorno che Dio ha fatto, lo stesso lavoro, lo stesso traffico, tutti i giorni, tutti gli anni, tutta la vita? Fino a quando? Fino a quando? Durerà dunque fino alla nostra morte? Mai prima di allora avevano fatto simili riflessioni; il loro cuore era tranquillo, seguiva docilmente un cammino segnato da secoli, quello che avevano avuto in sorte i loro genitori, i loro avi, che avevano vissuto migliaia di anni sul bordo di quello stesso lago a combattere con i pesci. E un bel giorno incrociavano le loro mani irrigidite e morivano. E venivano i loro figli, i loro nipoti e prendevano lo stesso cammino, senza protestare... È loro due, Pietro e Giacomo, fino a quel momento avevano avuto una vita piacevole, non potevano lamentarsi; ma negli ultimi tempi, di colpo, il mondo sembrava loro più piccolo, si sentivano soffocare. Guardavano lon-tano, oltre il lago; dove dunque? Non lo sapevano neppure loro, soffoca-vano.

E, come se tale angoscia non fosse stata sufficiente, la gente che passava da lì portava ogni giorno nuove testimonianze; pareva che dei paralitici si fossero messi a camminare, che dei ciechi avessero ricuperato la vista, che dei morti fossero risuscitati... «Chi è quel nuovo profeta?» domandavano loro i passanti. «I vostri fratelli sono con lui... dovreste saperlo... pare che non sia il figlio del falegname di Nazareth, ma sia il figlio di Davide, è vero?»

Essi però alzavano le spalle e si chinavano nuovamente sulle loro reti;

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avevano voglia di scoppiare in lacrime, per alleviare il loro cuore. Talvolta, quando i passanti si allontanavano, Pietro si girava verso il compagno.

«Tu ci credi a quei miracoli, Giacomo?» domandava.«Tira su la rete e taci», rispondeva il figlio di Zebedeo, il chiacchierone

e, con un gesto brusco, tirava su la rete piena, tutta in una volta.E quel giorno, all'alba, una volta ancora, era passato un mulattiere.«Sembra che il nuovo profeta abbia mangiato in casa del vecchio

Anania, l'avaraccio, a Bethsaida. E che, appena finito di mangiare, gli schiavi gli abbiano portato dell'acqua per lavarsi le mani e che lui si sia avvicinato al vecchio per dirgli qualcosa sottovoce. E che di colpo la testa del vecchio si sia confusa, ed egli sia scoppiato in lacrime e si sia messo a distribuire i beni ai poveri.»

«Che cosa gli ha detto?» chiese Pietro. Il suo sguardo si perse di nuovo lontano, al di là del lago.

«Ah! Se lo sapessi!» esclamò ridendo il mulattiere; «lo mormorerei all'orecchio di tutti i ricchi, affinché i poveri abbiano un po' di respiro... Arrivederci, buona pesca!» disse e proseguì per la sua strada.

Pietro si girò per parlare con il suo compagno, ma subito cambiò idea. Che cosa dirgli? Ancora parole? Come se non ne avesse abbastanza! Ebbe voglia di piantar lì tutto e di andarsene senza nemmeno voltarsi indietro. Andarsene! La capanna di Giona era diventata troppo piccola per lui, e anche il lago di Genezareth era come una bacinella troppo piccola. «Non è vita, no, non lo è», mormorò, «bisogna andarsene.»

Giacomo si voltò.«Che cosa stai borbottando?» domandò. «Taci».«Che il diavolo mi porti, niente!» rispose Pietro e si mise a tirare la rete

con rabbia.E, proprio in quel momento, sulla cima della collina sulla quale Gesù

aveva parlato per la prima volta agli uomini, apparve per primo Giuda. Aveva in mano un bastone nuovo che aveva tagliato, cammin facendo, da una quercia verde; batteva il suolo e avanzava. Dietro a lui apparvero, ansimanti, i suoi tre compagni. Si fermarono un momento sulla cima per guardarsi attorno. Il lago brillava, gioioso; il sole lo carezzava ed esso risplendeva. Sulla sua superficie, come farfalle bianche e rosse, c'erano le barche da pesca e, alti sopra di esse, i pescatori alati, i gabbiani. In fondo s'intravedeva Cafarnao; il sole era alto in cielo, la giornata era splendida.

«Ecco Pietro!» disse Andrea, indicando con un dito il fratello che, sulla riva, stava tirando su le reti.

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«E Giacomo!» disse a sua volta Giovanni, sospirando. «Non riescono ancora a staccarsi dalla terra..,»

Gesù sorrise.«Non sospirare, amato compagno», gli disse. «Mettetevi qui a riposare;

io vado a prenderli.»Con passo agile e leggero imboccò il sentiero che scendeva. E come un

angelo, pensò Giovanni con fierezza. Gli mancano solo le ali. Gesù saltava di pietra in pietra e scendeva; quando arrivò alla riva, rallentò. Si fermò dietro ai due pescatori chini sulle reti. Rimase molto tempo, immobile, a guardarli. Li guardava e non pensava a nulla. Sentiva solo le forze abban-donarlo; si consumava. Il mondo si alleggeriva, galleggiava nell'aria, vaga-va come una nuvola sul lago. E con esso, si alleggerivano e galleggiavano i due pescatori e la loro rete subiva una metamorfosi: non era più una rete, non erano più pesci. Erano uomini, migliaia di uomini felici che danzavano.

I due pescatori sentirono all'improvviso uno strano e dolce formicolio sulle loro teste e s'impaurirono. Si rizzarono. Gesù era in piedi, immobile e silenzioso e li guardava.

«Perdonaci, maestro!» gridò Pietro, pieno di vergogna.«Perché, Pietro? Che cosa avete fatto perché io vi perdoni?»«Niente», mormorò Pietro. E di colpo: «Questa non è vita, ne ho

abbastanza!»«Anch'io», disse Giacomo, gettando la sua rete a terra.«Venite», disse Gesù tendendo loro una mano ciascuno. «Venite, vi farò

pescatori d'uomini.»Li prese tutti e due per mano e si mise fra di loro.«Andiamo», disse.«Senza salutare il vecchio Giona?» fece Pietro, pensando al padre.«Non girare la testa, Pietro, non ne abbiamo il tempo; andiamo.»«Dove?» chiese Giacomo esitante.«Perché domandarlo? Basta con le domande, Giacomo; andiamo.» Nel

frattempo, il vecchio Giona, piegato sul focolare, cucinava e aspettava il figlio Pietro per mangiare. Non gli restava più che quel figlio, che Dio lo conservi!

Pietro era un ragazzo come si deve, pieno di buon senso. Di Andrea, invece, era un bel po' che aveva rinunciato a farne qualcosa. Andava una volta con l'uno e una volta con l'altro e lasciava il vecchio padre solo a lottare con i venti e la vecchia barca, a rammendare le reti, a cucinare o a

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pulire la casa. Da quando sua moglie era morta, era lui a dover combattere con tutti quei demoni domestici. Ma Pietro, che Dio lo benedica, l'aiutava e gli infondeva coraggio. Assaggiò la zuppa; era cotta a puntino. Guardò il sole, doveva essere quasi mezzogiorno. «Ho fame», mormorò, «ma aspetterò, non mangerò.» Incrociò le braccia e attese.

Più in là, la casa del vecchio Zebedeo era aperta, il cortile era pieno di ceste e di brocche; l'alambicco era in un angolo. Era il momento in cui si vuotavano le caldaie e si preparava l'acquavite e tutta la casa odorava di vinaccia. Il vecchio Zebedeo era seduto con la moglie sotto la pergola spoglia, davanti a un tavolo basso; facevano colazione. Il vecchio mastica-va come poteva, con le gengive senza denti e parlava dei suoi affari. Da un bel po' teneva l'occhio sulla casetta del suo vicino. Il vecchio Nahum gli doveva del denaro e non poteva pagare; la settimana prossima, con l'aiuto di Dio, l'avrebbe messa all'asta. Gliel'avrebbe presa, erano anni che ne ave-va voglia, avrebbe abbattuto il muro di separazione e ingrandito il cortile. Era vero che aveva un tino per pigiare l'uva, ma voleva avere anche un frantoio per le olive, affinché il villaggio venisse con le olive e lui potesse tenersi una decima dell'olio. E dove metterlo il frantoio per l'olio? Bisognava ottenere a ogni costo la casa del vecchio Nahum... La vecchia Salomè l'udiva e pensava al suo figlio minore, Giovanni, che amava tanto.

«Dove sarà? Che miele stilla dalle labbra del nuovo profeta? Come le sarebbe piaciuto rivederlo, udirlo ancora parlare e far scendere Dio nel cuore degli uomini! Mio figlio ha fatto bene, ha preso il cammino giusto, io lo benedico! Anch'io l'altro ieri ho fatto un sogno. Chiudevo bruscamen-te la porta dietro a me, abbandonavo la casa con le sue cantine piene e i suoi frantoi e me ne andavo dietro a lui; correvo a pieni nudi, affamata e, per la prima volta, io pure provavo una sensazione di felicità...»

«Stai sentendo che cosa ti dico?» fece il vecchio Zebedeo, che aveva visto gli occhi della moglie per un istante in preda all'estasi. «Dove hai la testa?»

«Ti sento», ella rispose e lo guardò come se lo vedesse per la prima volta.

In quel momento si udirono dalla strada delle voci familiari. Il vecchio alzò lo sguardo.

«Eccoli!» gridò. Vide l'uomo vestito di bianco con al fianco i suoi due figli; si precipitò sulla soglia con la bocca piena.

«Ehi, ragazzi», gridò, «dove siete diretti? È in questo modo che si passa davanti a casa mia? Fermatevi!»

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«Abbiamo da fare, vecchio Zebedeo!» gli rispose Pietro; gli altri continuarono la loro strada.

«Fare che cosa?»«Cose complicate!» rispose Pietro, scoppiando a ridere.«Anche tu, Giacomo, anche tu?» gridò il vecchio spalancando gli occhi.

Inghiottì senza masticare e il cibo gli graffiò la gola. Rientrò, guardò sua moglie; lei scosse la testa.

«Puoi dire addio ai tuoi figli, vecchio Zebedeo», disse. «Egli ce li ha presi.»

«Anche Giacomo?» chiese il vecchio disperato. «Ma lui aveva la testa sulle spalle, non è possibile!»

La vecchia Salomè tacque. Che cosa avrebbe potuto dirgli? Come avrebbe potuto capire? Si alzò, non aveva più fame; rimase in piedi sulla soglia a guardare il gruppo allegro che prendeva la strada principale che porta, seguendo il Giordano, a Gerusalemme. Alzò la sua vecchia mano.

«Che la mia benedizione vi accompagni», mormorò a bassa voce, affinché il marito non potesse udirla.

All'uscita del villaggio incontrarono Filippo, che faceva pascolare le sue pecore sul bordo del lago. Si era arrampicato su una roccia rossastra, si appoggiava sul suo bastone da pastore e guardava, chinato in avanti, l'ac-qua del lago ai suoi piedi. Contemplava la propria ombra nera, che si muo-veva nell'acqua azzurra e verde. Udì un rumore di sassi, giù sulla strada, alzò la testa e riconobbe i passanti.

«Buongiorno», salutò, «anche noi siamo qui. Dove andate?»«Nel regno dei cicli!» rispose Andrea. «Vieni anche tu?»«Ah, parla sul serio, Andrea. Se andate a Magdala per le nozze, vengo

con voi. Nataniele ha invitato anche me; sposa il nipote.»«E più in là di Magdala non verresti?» gli chiese Giacomo.«Ho le mie pecore», rispose Filippo. «Non saprei a chi affidarle.»«Alla grazia di Dio», disse Gesù, senza voltarsi.«Il lupo me le mangerà!» esclamò Filippo.«Che se le mangi!» ribatté Giovanni.Mi pare che siano diventati proprio matti, quelli, pensò il pastore.

Fischiò per radunare le pecore.

I compagni se ne andarono. Giuda sempre in testa, con il suo bastone storto; era lui che aveva più fretta. Il loro cuore era pieno di gioia, fischia-vano come merli, ridevano e camminavano. Pietro si avvicinò a Giuda.

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Solo lui aveva ancora il viso scuro; non fischiava, né rideva; faceva strada e si affrettava.

«Giuda, in verità possiamo domandarlo, dove andiamo?» gli chiese Pietro a bassa voce.

Una metà del viso del Rosso rideva,«Nel regno dei cicli», rispose.«Lascia stare gli scherzi; in nome del cielo, dimmi dove andiamo. Io ho

paura di domandarlo al maestro.»«A Gerusalemme.»«Oh!» esclamò Pietro strappandosi i capelli grigi, «tre giorni di cammi-

no! Se l'avessi saputo, avrei preso i sandali, un pezzo di pane, una borrac-cia di vino e il mio bastone.»

Giuda ora si mise a ridere apertamente.«Eh, mio povero Pietro», disse, «la corrente ci trascina, tutto è finito!

Saluta i tuoi sandali, il tuo pane, il tuo vino e il tuo bastone. Noi ce ne siamo andati, siamo partiti, Pietro, non l'hai capito? Abbiamo abbandonato il mondo; abbiamo abbandonato la terra e il mare, siamo nell'aria!»

Si chinò sull'orecchio di Pietro.«Sei ancora in tempo», gli disse. «Vattene.»«Dove andare; ora, Giuda?» ribatté Pietro. Aprì le braccia, voltandole

con impazienza in tutte le direzioni. «Mi pare tutto così scialbo, adesso!» disse, indicando il lago, le barche da pesca e le case di Cafarnao.

Il Rosso scosse la testa.«È proprio ciò che dico», fece. «Allora non brontolare e cammina!»

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I cani del villaggio furono i primi ad accorgersi della loro presenza e si misero ad abbaiare; poi fu la volta dei bambini, che corsero fino a Magdala per portare la notizia: «Arriva! Arriva!» «Chi, ragazzi?» Le porte si apriva-no, le domande si diffondevano dovunque. «Il nuovo profeta!» Sulla soglia delle case donne e comari si raggruppavano; gli uomini abbandonavano il lavoro, gli ammalati fremevano e si trascinavano giù per andare a toccarlo. Adesso, aveva una notevole reputazione nei dintorni del lago Genezareth; i ciechi, i paralitici, gli epilettici che aveva guarito divulgavano di villaggio in villaggio i suoi doni e la sua potenza.

«Ha toccato i miei occhi che erano sprofondati nella notte e ho visto la luce.» «Mi ha ordinato: 'Getta le tue stampelle e cammina!' e mi sono

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messo a ballare!» «Avevo in me un esercito di demoni e lui ha alzato la mano e ha ordinato: 'Andatevene, andatevene dai porci!' E di colpo sono balzati fuori da me e sono entrati nei porci che passavano sulla riva e i porci sono diventati rabbiosi: si sono gettati nell'acqua, a cavalcioni uno sull'altro, e in poco tempo sono tutti annegati.»

Maddalena udì la buona notizia e uscì di casa. Dal giorno in cui il figlio di Maria le aveva ordinato di tornarsene nella sua capanna e di non peccare più, non era più apparsa nemmeno sulla porta. Piangeva e lavava la sua anima con le lacrime. Si sforzava di cancellare la sua vita dalla mente, di dimenticare tutto: la vergogna, i piaceri e le voglie, per rinascere con un corpo vergine.

I primi giorni sbatteva la testa contro i muri e si lamentava; col passare del tempo, si era calmata, i dolori si erano attutiti, i brutti sogni che l'assil-lavano erano spariti e ora, ogni sera, era Gesù che le appariva nel sonno. Apriva la porta come se fosse stato il padrone di casa, si sedeva nel cortile sotto il melograno in fiore, stanco, sporco di polvere; veniva da molto lon-tano, gli uomini l'avevano reso triste e Maddalena, tutte le sere, scaldava l'acqua per lavare quei piedi santi; poi si scioglieva i capelli per asciugar-glieli. E lui si rilassava, sorrideva e le parlava. Che cosa le diceva? Non se ne ricordava. Ma il mattino, quando si svegliava, saltava giù dal letto, leggera, allegra e gli ultimi giorni aveva pure cominciato a cantare come un usignolo, piano piano, affinché le vicine non l'udissero. Quando sentì le grida dei ragazzi che annunciavano il suo arrivo, abbassò lo scialle per na-scondere il suo viso tante volte carezzato in cui apparivano solo due grandi occhi neri come il carbone, aprì la porta e gli andò incontro.

Quella sera il villaggio era tutto sottosopra. Le ragazze si ornavano e preparavano le lanterne per recarsi alle nozze. Si sposava il nipote di Nataniele, un ragazzone dal viso tondo e con il naso come una melanzana, ciabattino come suo zio. La sposa aveva il viso coperto da un velo spesso, non si scorgevano che i suoi occhi, che attraversavano il velo e grossi orecchini d'argento alle orecchie. Stava seduta su un alto sgabello, nel mezzo della casa, e aspettava che venissero gli invitati e le ragazze del villaggio con le loro lampade accese e che arrivasse il rabbino per aprire le Scritture e leggere la preghiera. Poi, che se ne andassero tutti e la lasciassero sola con il ragazzo dal naso a melanzana. Nataniele udì gridare i bambini: «Arriva! Arriva!» e corse a invitare i suoi amici alle nozze. Li trovò seduti vicino al pozzo, all'entrata del villaggio; avevano sete e bevevano.

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Maddalena, inginocchiata davanti a Gesù, gli aveva lavato i piedi e stava asciugandoglieli con i suoi capelli.

«Se vi fa piacere, venite alle nozze di mio nipote che si sposa stasera», disse. «Berremo il vino fatto con l'uva che pigiavo quest'estate nel cortile del vecchio Zebedeo.»

Si voltò verso Gesù.«Si parla molto della tua santità, figlio di Maria», disse. «Fammi questo

piacere, vieni a benedire la nuova coppia: che abbiano figli maschi, per la gloria d'Israele.»

Gesù si alzò.«Le gioie degli uomini ci piacciono», disse. «Andiamo, compagni

miei.»Prese Maddalena per mano e la fece alzare da terra.«Vieni con noi, Maddalena», disse.Contento, camminò davanti a loro. Gli piacevano le feste, i visi raggian-

ti degli uomini, i giovani che si sposano e che non lasciano spegnere la fiamma del focolare. Le piante, gli insetti, gli uccelli, gli animali, gli uomini, tutto ciò è santo, pensava, andando alle nozze, sono tutte creature di Dio. Perché vivono, se non per rendere gloria a Dio? Che vivano in eterno, dunque!

Le ragazze, vestite di bianco e agghindate, con le lampade in mano, era-no già in piedi davanti alla porta chiusa e riccamente decorata; esse canta-vano vecchie canzoni nuziali, che lodavano la sposa, prendevano in giro lo sposo e chiamavano Dio affinché accettasse di partecipare anche lui; c'erano le nozze, un uomo d'Israele si sposava e forse dai corpi che quella sera si sarebbero uniti, sarebbe nato il Messia... Cantavano per far passare il tempo; il fidanzato tardava ad arrivare per forzare la porta e perché la funzione cominciasse.

Proprio in quel momento ecco arrivare Gesù con i suoi compagni. Le ragazze si girarono, videro Maddalena, la canzone si fermò di colpo, ed es-se si allontanarono imbronciate. Che cosa veniva a fare quella donna corrotta fra le vergini? Dov'era l'anziano del villaggio per scacciarla? Le nozze venivano profanate! Le donne sposate si girarono a loro volta e le lanciarono sguardi feroci. I degni invitati, che attendevano anch'essi da-vanti alla porta chiusa, si agitarono, mormorando. Ma Maddalena splende-va come una torcia accesa e sentiva, in piedi al fianco di Gesù, il suo animo pieno di una nuova innocenza e le sue labbra vergini da qualsiasi bacio. Improvvisamente la folla lasciò passare l'anziano del villaggio, un

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vecchietto rinsecchito e velenoso, che si avvicinò a Maddalena, la toccò con la punta del suo bastone e le fece cenno d'andarsene.

Gesù sentì sul viso, sul suo petto scoperto e sulle mani gli sguardi velenosi della folla. Il suo corpo bruciava, come se innumerevoli e invisi-bili spine lo stessero ferendo. Guardò l'anziano, le donne oneste, gli uomini imbronciati, le vergini in effervescenza e sospirò. Fino a quando gli occhi degli uomini rimarranno ciechi e saranno incapaci di vedere che siamo tutti fratelli? pensava.

I mormorii si erano infittiti. Nell'oscurità si udivano già le prime minac-ce. Nataniele si avvicinò a Gesù per parlargli, ma egli lo respinse con calma, si aprì un varco e si avvicinò alle vergini. Le lanterne si agitarono; lo lasciarono passare ed egli si fermò nel mezzo delle ragazze, alzando una mano.

«Vergini, sorelle mie», disse, «Dio ha toccato le mie labbra e mi ha confidato una parola d'amore, affinché io ve la porga, in questa santa notte di nozze. Vergini, sorelle mie, aprite le vostre orecchie, aprite i vostri cuori. E voi, fratelli, tacete: devo parlare!»

Tutti si voltarono, inquieti. Dalla sua voce, gli uomini indovinarono che egli era in collera, le donne che era afflitto. Tutti tacquero; nel cortile della casa si udirono i due musici ciechi che accordavano i loro oboe. Gesù alzò la mano.

«Cosa credete che sia il regno dei cieli, vergini, sorelle mie?» disse. «Sono delle nozze. Dio è il fidanzato e la fidanzata è l'anima dell'uomo. Vi sono nozze in cielo e tutti gli uomini vi sono invitati. Perdonate, fratelli, ma è così che Dio mi parla. Mi esprimerò per mezzo di parabole. «C'erano delle nozze in un villaggio. Dieci vergini avevano preso le Loro lampade ed erano andate incontro al fidanzato. Cinque di esse erano sagge e avevano portato seco un'ampolla piena d'olio; le altre cinque erano un po' stolte e non avevano portato olio supplementare. Si fermarono davanti alla casa del fidanzato. Aspettarono, aspettarono, il fidanzato non arrivava mai. Avevano sonno e si addormentarono. Ed ecco che verso mezzanotte si udì un grido: 'Arriva il fidanzato, corretegli incontro!' Le dieci vergini si precipitarono a riempire le lampade che stavano per spegnersi; ma le cinque stolte non avevano più olio.

«'Dateci un po' d'olio, sorelle', dissero alle vergini sagge, 'le nostre lampade si spengono.'

«'Non ce ne resta, correte a prenderne.'«Ma, mentre le vergini stolte andarono a prendere l'olio, arrivò il

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fidanzato, le vergini sagge erano entrate e la porta si era richiusa.«Ecco che dopo un po' arrivarono le vergini stolte con le loro lampade

accese. Si misero a bussare alla porta.«'Aprite!' gridavano in tono di supplica.«Le vergini sagge, intanto, ridevano e dalla casa risposero loro:«'Vi sta bene; adesso la porta è chiusa, andatevene!'«Le altre pregavano e supplicavano:«'Aprite! Aprite!'«Allora...»Gesù si fermò. Gettò nuovamente uno sguardo attorno a sé, sul vecchio,

sugli invitati, sulle padrone di case onorate e sulle vergini con le lampade accese e sorrise.

«Allora...?» disse Nataniele che ascoltava con la bocca aperta e il cui spirito, lento e candido, era tutto in agitazione. «Allora, Rabbi, che cos'è successo?»

«Che cosa avresti fatto, tu, Nataniele, se fossi stato lo sposo?» gli chiese Gesù, posando su di lui i suoi grandi occhi magnetici.

Nataniele taceva. Non era ancora riuscito a capire bene, nella sua testa, che cosa avrebbe fatto. Ora propendeva per cacciarle, già che la porta era chiusa; ora aveva pietà di loro e proponeva per accoglierle...

«Che cosa avresti fatto, tu, Nataniele, se fossi stato lo sposo?» chiese di nuovo Gesù. I suoi occhi accarezzavano lentamente, ostinatamente, come una preghiera, il viso puro e senza malizia del ciabattino.

«Avrei aperto...» rispose a bassa voce, perché l'anziano non udisse; non poteva più resistere agli occhi del figlio di Maria.

«Va bene, Nataniele, compagno mio», disse con gioia Gesù, stendendo la mano verso di lui come per benedirlo. «In questo istante stai entrando, da vivo, in Paradiso. Lo sposo ha fatto lo stesso. Ha gridato ai servi:

«'Aprite la porta; sono delle nozze: che tutti mangino, bevano e si rallegrino; che entrino le vergini stolte, lavate e rinfrescate i loro piedi perché hanno corso molto.'»

Gli occhi di Maddalena, sotto le lunghe ciglia, si riempirono di lacrime. Ah! Se avesse potuto baciare le labbra che avevano pronunciato quelle parole! Anche l'innocente Nataniele era raggiante dalla testa ai piedi come se fosse veramente già entrato in Paradiso. Ma l'anziano, lingua viperina, alzò il suo bastone.

«Vai contro la Legge, figlio di Maria», grugnì.«È la Legge che va contro il mio cuore», rispose Gesù con calma.

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Mentre stava ancora parlando, apparve il fidanzato, lavato, profumato, con una corona verde sui capelli folti e ricciuti. Aveva bevuto, era di buon umore e il suo naso brillava. Con un gran colpo sfondò la porta e gli invitati si precipitarono dietro di lui. Gesù entrò, con Maddalena per mano.

«Quali sono le vergini stolte, quali le sagge?» chiese Pietro a Giovanni, a bassa voce. «Che cosa hai capito, tu?»

«Che Dio è un padre», rispose il figlio di Zebedeo.Arrivò il rabbino, le nozze furono celebrate. Il fidanzato e la fidanzata

erano in piedi in mezzo alla casa; gli invitati sfilavano davanti a loro, li ab-bracciavano, auguravano loro di avere un figlio che avrebbe salvato Israele dalla schiavitù. Poi gli oboe attaccarono a suonare, si bevve, si danzò. Il tempo passava, la luna era ormai alta ed essi ripresero il loro cammino. Era già autunno, ma i giorni erano ancora caldi ed era piacevole camminare nell'umida frescura della notte.

Camminavano con il viso rivolto a Gerusalemme, avevano bevuto e il mondo si era trasformato, il loro corpo era diventato leggero come un'ani-ma. Camminavano con passo alato; alla loro sinistra c'era il Giordano e alla loro destra la pianura pacifica e fertile di Zabulon. Essa riposava al chiaro di luna, stanca e felice; aveva compiuto anche quell'anno il compito che Dio le aveva assegnato migliaia di anni orsono; aveva fatto crescere le spighe ad altezza d'uomo, aveva caricato le vigne di grappoli e gli ulivi di frutti. E ora riposava, stanca e felice, come una donna che ha appena partorito.

«Che gioia, fratelli», ripeteva incessantemente Pietro. Non riusciva a saziarsi di quella marcia notturna e della dolcezza della compagnia. «Ma questa è la realtà? È un sogno? Ci hanno stregato? Ho voglia di cantare una canzone, per alleggerire il mio cuore.»

«Tutti insieme!» fece Gesù. Si avviò per primo, respirò profondamente e intonò una canzone.

La sua voce era debole, ma dolce e piena di passione. Le voci di Giovanni e di Andrea, al suo fianco, erano melodiose e piene di tenerezza. Per un bel po' quelle tre voci tenui cantarono sole, incerte e affascinanti. Il cuore restava sospeso, udendole; si sarebbe potuto dire: «Non ce la fanno più, presto tutte e tre una dopo l'altra si affievoliranno». Ma provenivano da una sorgente molto profonda, si rinforzavano di nuovo. E di colpo - con che gioia, con che forza - l'aria fu scossa dalle voci gravi, trionfali, virili di Pietro, Giacomo e Giuda. Tutti assieme, ciascuno secondo la propria into-nazione e la propria forza, lanciarono in alto, in cielo, un salmo pieno di

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allegria, il salmo della marcia santa:

Oh, non v'è cosa migliore né più dolce che dei fratelli che camminano assieme! È come l'olio santo che cola dalla barba di Aronne, È come la freschezza dell'Hermon che scende dalle montagne di Sion,È là che Dio manda la benedizione e la vita per i secoli dei secoli.

Passarono le ore, le stelle si offuscarono, il giorno si levava. Lasciarono indietro le terre rosse della Galilea ed entrarono nelle terre nere di Samaria.

«Facciamo il giro», propose Giuda fermandosi. «Questa terra è eretica e maledetta. Passiamo sul ponte del Giordano per raggiungere l'altra riva. È un peccato toccare coloro che infrangono la Legge, il loro Dio si è sporca-to, la loro acqua e il loro pane anche. Un pezzo di pane samaritano è un pezzo di carne di porco, mi diceva mia madre. Facciamo il giro!»

Gesù, però, prese tranquillamente Giuda per mano e continuò il medesi-mo camminò.

«Giuda, fratello mio», gli diceva, «ciò che è puro tocca ciò che è corrot-to e lo purifica. Non opporre resistenza; è per loro, per i peccatori che noi siamo venuti. Che bisogno hanno di noi i virtuosi? Qui, a Samaria, una buona parola può salvare un'anima. Una buona parola, Giuda, un gesto di bontà, un sorriso al samaritano che passa. Capisci?»

Giuda gettò uno sguardo furtivo attorno a sé, per vedere se gli altri potevano udirlo e abbassò la voce:

«Non è questo il cammino, no, non è questo. Ma avrò pazienza finché arriveremo dall'asceta selvaggio. Lui giudicherà. Fino a lì, vai dove vuoi e fai ciò che vuoi, io non ti lascerò».

Si mise il bastone nodoso dietro alle spalle e andò avanti, da solo.Gli altri camminavano, discutevano; Gesù parlava loro del Padre, del-

l'amore, del regno dei cicli. Spiegava loro quali anime erano le vergini stolte, quali le sagge, ciò che significavano le lampade e l'olio e chi era il fidanzato. E non solo perché le vergini stolte erano entrate nella casa del fidanzato come le vergini sagge, ma anche perché i servi avevano lavato solo a loro i piedi stanchi. I quattro compagni l'ascoltavano, il loro spirito si apriva e il loro cuore acquistava forza. E il peccato apparve loro come una vergine stolta che aspetta pregando e piangendo in piedi con la sua lampada spenta, davanti alla porta del Signore...

Camminavano, camminavano. Nel frattempo, sulle loro teste il cielo si

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caricava di nubi, la terra si oscurava, l'aria odorava di pioggia.Raggiunsero il primo villaggio, ai piedi del monte sacro dei loro avi, il

Garizim. All'entrata del villaggio c'era l'antico pozzo di Giacobbe, circon-dato da palme e da arbusti. Era lì che il patriarca Giacobbe veniva ad attingere l'acqua che beveva con le sue pecore. La sua vera di pietra era consumata dalla corda che sfregava contro di essa ormai da generazioni. Gesù era stanco e i suoi piedi erano insanguinati dalle pietre.

«Rimarrò qui», disse. «Sono stanco. Voialtri entrate nel villaggio e bus-sate alle porte; troveremo pure un'anima buona che ci faccia l'elemosina di un tozzo di pane. Verrà pure una donna al pozzo per attingere l'acqua e darci da bere. Abbiate fiducia in Dio e negli uomini.»

I cinque compagni partirono; durante il cammino Giuda cambiò idea.«Io non entro in un villaggio corrotto», disse, «non mangio del pane

insozzato. Mi fermo sotto questo fico e vi aspetterò.»Nel frattempo Gesù si era disteso fra gli arbusti, all'ombra. Aveva sete,

ma il pozzo era profondo e non poteva bere. Chinò la testa e si abbandonò ai sogni. Era un cammino difficile quello che aveva scelto; il suo corpo era debole, si stancava, cedeva, non aveva la forza di sostenere la sua anima. Cadeva, ma Dio soffiava subito su di lui come una brezza fresca e leggera e il suo corpo riacquistava forza, si alzava e ripartiva... Fino a quando? Fino alla morte? E oltre la morte?

Mentre pensava a Dio, agli uomini e alla morte, gli arbusti si mossero e una giovane donna ornata con braccialetti e orecchini e con una brocca sulla testa si avvicinò al pozzo. Appoggiò la brocca sulla vera e Gesù la vedeva fra gli arbusti srotolare la corda che aveva in mano, far scendere il secchio e prender l'acqua per riempire la sua brocca. La sua sete raddop-piò.

«Donna», disse, uscendo dagli arbusti, «dammi da bere.»La donna, vedendoselo comparire di colpo davanti, prese paura.«Non temere», disse, «sono un brav'uomo; ho sete, dammi da bere.»«Come mai», ella rispose, «tu, un Galileo, come posso dedurre dalle tue

vesti, chiedi dell'acqua a una Samaritana?»«Se tu sapessi chi è che ti dice 'donna dammi da bere', cadresti ai suoi

piedi e saresti tu a chiedergli di darti da bere l'acqua immortale.»La donna rimase interdetta.«Non hai né corda né secchio e il pozzo è profondo. Come faresti ad

attingere l'acqua per darmi da bere?»«Colui che berrà l'acqua di questo pozzo avrà ancora sete», rispose

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Gesù. «Ma colui che berrà l'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete.»«Signore», disse allora la donna, «dammi da bere quell'acqua, affinché

io non abbia mai più sete. Che non debba venire ogni giorno al pozzo.»«Vai a chiamare tuo marito», le disse Gesù.«Non ho marito, Signore.»«Veramente? Ne avevi cinque finora e quello che hai ora non è tuo

marito.»«Sei profeta, o Signore?» esclamò la donna piena d'ammirazione. «Sai

tutto?»Gesù sorrise.«Hai una domanda da farmi? Parla a cuore aperto.»«Ti chiederò una cosa, Signore e ti prego di rispondermi. Fino a ora i

nostri genitori adoravano Dio sul monte sacro, il Garizim. Ora voialtri dite che solo a Gerusalemme bisogna adorare Dio. Qual è la verità? Dov'è Dio? Spiegamelo.»

Gesù abbassò la testa e tacque. Quella peccatrice, tormentata dall'-inquietudine di Dio, lo turbava sino nel fondo del cuore. Cercava dentro di sé parole adatte, parole per consolarla, per darle soddisfazione. All'improv-viso sollevò la testa e il suo viso era raggiante.

«Tieni in fondo alla tua anima ciò che ti dirò, donna. Verrà il giorno - ed è già giunto - in cui non sarà più né su quel monte, né a Gerusalemme, che gli uomini adoreranno Dio. Dio è spirito e non è che nello spirito che si adora lo spirito.»

La donna restò confusa; si chinò e guardò Gesù con angoscia.«Sei tu», disse a voce bassa e tremante, «sei forse tu Colui che

attendiamo?»«Chi attendete?»«Lo sai. Perché vuoi farmi dire il suo nome? Lo sai, le mie labbra sono

peccatrici.»Gesù chinò la testa sul petto, come per ascoltare il suo cuore. Come se

dovesse esser lui a dare la risposta. La donna, china su di lui, aspettava, in ansia.

Mentre rimanevano lì, tutti e due turbati e in silenzio, si udirono grida di gioia e apparvero i discepoli con un pane in mano. Videro il maestro con una sconosciuta e si fermarono. Gesù li vide e se ne rallegrò: sfuggiva alla terribile domanda della donna. Fece cenno ai compagni di avvicinarsi.

«Venite», gridò, «Dio ci ha mandato questa donna affinché attinga l'acqua per darci da bere.»

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I compagni si avvicinarono, solo Giuda rimase in disparte, per non contaminarsi bevendo l'acqua di Samaria.

La samaritana chinò la sua brocca e gli assetati bevvero. La riempì di nuovo, se la mise abilmente sulla testa e si diresse in silenzio e pensierosa verso il villaggio.

«Rabbi, chi era quella donna?» chiese Pietro. «Parlavate come se vi conosceste da anni.»

«È una mia sorella», rispose Gesù. «Le ho chiesto dell'acqua perché avevo sete ed è lei, ora, che non è più assetata.»

Pietro si grattò la testa dura.«Non capisco», disse.«Non importa», fece Gesù, accarezzando la testa grigia dell'amico.

«Capirai a poco a poco, una cosa dopo l'altra, non aver fretta. Adesso abbiamo farne, mangiamo!»

Si sedettero sotto i palmizi e Andrea disse che erano entrati nel villaggio e avevano cominciato a chiedere l'elemosina. Avevano bussato a diverse porte ed erano stati cacciati, di casa in casa, e scherniti; infine, all'estremità del villaggio, una vecchia aveva socchiuso la porta, aveva guardato la strada da cima a fondo - non passava nessuno - aveva teso loro di nascosto una pagnotta e richiuso velocemente la porta. Avevano afferrato la pagnot-ta ed erano scappati a gambe levate.

«Peccato», disse Pietro, «che non conosciamo il nome della vecchia per chiedere a Dio di ricordarsi di lei.»

Gesù si mise a ridere.«Non preoccuparti, Pietro, Dio lo sa», disse.Gesù prese il pane, lo benedì, ringraziò Dio che aveva spinto la vecchia

a darglielo; lo divise quindi in sei grandi pezzi, uno per ogni compagno. Ma Giuda respinse via la sua parte con la punta del bastone e girò la testa.

«Non mangio pane di Samaria», disse, «non mangio porco.»Gesù non lo contraddisse. Sapeva che quel cuore era duro e che ci

voleva del tempo per ammorbidirlo. Tempo, abilità e molto amore.«Noi», disse agli altri, «lo mangeremo. Il pane samaritano diventa

galileo quando sono dei galilei che lo mangiano. La carne di porco diventa carne umana quando sono gli uomini a mangiarla. In nome del cielo!»

I quattro compagni si misero a ridere e mangiarono di buon appetito. Il pane di Samaria era buono, come tutti i pani, e ne furono felici. Poi incro-ciarono le braccia; erano stanchi e si addormentarono. Solo Giuda, sveglio, batteva la terra con il bastone, come se volesse picchiarla.

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Meglio la fame che la vergogna, pensava per consolarsi.Le prime gocce di pioggia cominciarono a cadere sugli arbusti. I dor-

mienti si svegliarono di soprassalto.«Ecco le prime piogge», disse Giacomo, «la terra si disseterà.»Mentre riflettevano dove trovare una grotta per ripararsi, si era alzato il

vento, un vento da nord che cacciò via le nubi; il cielo si schiarì ed essi ripresero il loro cammino.

I fichi ancora sugli alberi brillavano nell'aria umida. I melograni erano carichi di frutti, i compagni ne coglievano e si rinfrescavano. Dei contadini alzavano la testa dal campo e li guardavano, stupefatti. Che cosa volevano dei Galilei sulle loro terre, perché si mescolavano ai samaritani, mangia-vano il loro pane e coglievano i frutti dai loro alberi? Dovevano andarsene! Un vecchio non si controllò più e uscendo dal suo giardino, gridò:

«Ehi, Galilei; la vostra Legge ingiusta getta l'anatema su questa terra santa che state calpestando. Che cosa cercate nel nostro paese? Andateve-ne!»

«Andiamo nella santa Gerusalemme per adorare», rispose Pietro. Si piantò, gonfiando il torace, davanti al vecchio.

«È qui che bisogna adorare, apostati, su questa montagna abitata da Dio, il Garizim!» ruggì il vecchio. «Avete letto le Scritture? È qui, ai piedi del Garizim, sotto le querce, che Dio apparve ad Abramo. Gli ha mostrato da un estremo dell'orizzonte all'altro, le montagne e le pianure dal monte Hermon all'Idumenea e alla terra di Madiam. 'Ecco', disse, 'la Terra Pro-messa da cui sgorgano latte e miele. Ho promesso di dartela e te la darò.' Si son dati la mano e hanno suggellato un accordo. Capite, Galilei? È questo che dicono le Scritture. E colui che vuole adorare è qui, su questa terra santa, che deve adorare. E non a Gerusalemme, che ammazza i profeti!»

«Ogni terra è santa, vecchio», disse Gesù con voce serena.«Dio è ovunque e siamo tutti fratelli.»Il vecchio, stupito, si girò verso di lui. «Anche i Samaritani e i Galilei?»«Anche i Samaritani è i Galilei, vecchio, e la gente della Giudea. Tutti.»Il vecchio, toccandosi la barba, si mise a riflettere; squadrava Gesù

dalla testa ai piedi.«Anche Dio e il diavolo?» chiese infine, a bassa voce, per non essere

udito dalle potenze invisibili.Gesù ebbe paura. Non si era mai domandato se la grazia di Dio era

tanto forte da poter perdonare, un giorno, anche Lucifero e da ricevere

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pure lui nel regno dei cicli.«Non lo so, vecchio», rispose, «non lo so. Sono un uomo, mi preoccupo

degli uomini; al di là di questo tutto è cosa di Dio.»Il vecchio tacque. Si toccava ancora la barba, assorto in una profonda

meditazione e guardava gli strani passanti, camminare a due a due e perdersi fra gli alberi...

Cadde la sera. Si levò un vento freddo ed essi trovarono una grotta in cui ripararsi. Si strinsero l'uno contro l'altro per riscaldarsi; avevano ancora un pezzo di pane ciascuno e lo mangiarono. Il Rosso uscì, raccolse dei pezzetti di legno e accese un fuoco; i compagni si scaldarono e si sedettero attorno al fuoco, guardando le fiamme in silenzio. Udivano soffiare il ven-to, ululare gli sciacalli e i sordi colpi di tuono non lontani dal monte Gari-zim. Dall'apertura della grotta vedevano in cielo una grossa stella che li consolava; ma presto arrivarono le nubi e la nascosero.. I compagni chiu-sero gli occhi, appoggiarono la testa ognuno sulla spalla del proprio vicino, senza farsi scorgere, Giovanni gettò il suo mantello di lana sulle spalle di Gesù e tutti insieme, stretti gli uni agli altri, si addormentarono.

L'indomani entrarono nella Giudea. A poco a poco vedevano cambiare la vegetazione. Sui bordi della strada ora si allineavano dei pioppi dalle foglie ingiallite, dei carrubi carichi di bacche e dei cedri millenari. La re-gione era arida, piena di pietre, senz'acqua, ingrata. Anche i contadini che apparivano sulle soglie delle loro porte basse e scure parevano, essi pure, fatti di silicio. Di tanto in tanto, fra quelle pietre spuntava un fiore selva-tico azzurro, modesto, grazioso. E talvolta in quel deserto muto, dal fondo di un crepaccio, si udiva il richiamo di una pernice. «Deve aver trovato un goccio d'acqua e la beve...» pensava Gesù; sentiva nel palmo della mano il ventre caldo dell'uccello e ne era contento. Più si avvicinavano a Gerusa-lemme, più il paese, diventava selvaggio. Dio? Dio pure cambiava, la terra qui non era più ridente come in Galilea e Dio pure era fatto di silicio come gli uomini. E dal cielo che a Samaria per un istante aveva annunciato la pioggia, promettendo quindi di rinfrescare la terra, quel cielo, qui, era ferro rovente. Una fornace opprimente. Camminavano ansi-mando. Scolpite nelle rocce, c'erano una quantità di tombe che si ergevano verso il cielo; migliaia di loro avi si erano trasformati in esse ed erano tornati a essere terra. La notte cadde ancora una volta. Si ripararono nelle tombe vuote, si distesero e si addormentarono presto per entrare ben riposati, l'indomani, nella città santa.

Solo Gesù, quella sera, non dormiva. Gironzolava fra le tombe ascol-

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tando la notte; il suo cuore era inquieto. Sentiva delle voci oscure, dei gemiti, come se racchiudesse in seno migliaia di uomini che soffrivano e gridavano... Verso mezzanotte il vento cessò e la notte divenne muta. Allo-ra in mezzo a quel silenzio si udì un urlo penetrante lacerare l'aria. Dappri-ma credette che fosse uno sciacallo affamato; poi, con terrore, sentì che era il suo proprio cuore.

«Mio Dio», mormorò, «chi dunque sta gridando in me? Chi piange?»Era stanco, si sistemò anche lui in una tomba, incrociò le braccia e si

abbandonò nelle mani di Dio. All'alba fece un sogno: gli sembrò di essere con Maria Maddalena e di volare con calma e senza rumore sopra una grande città. Sfioravano leggermente i tetti, li rasentavano e avanzavano. In fondo al villaggio si aprì l'ultima porta e apparve un vecchio gigantesco, con la barba lunga come un fiume e degli occhi azzurri che brillavano come stelle. Si era rimboccato le maniche e le mani e le braccia erano ricoperte di fango. Alzò la testa e li vide volare. «Fermatevi», gridò loro, «ho qualcosa da dirvi.» Essi si fermarono e risposero: «Che cosa c'è vecchio, ti ascoltiamo».

«Il Messia è colui che ama il mondo tutto intero. Il Messia è colui che muore perché ama il mondo tutto intero», rispose il vecchio.

«È tutto?» chiese Maddalena.«Ciò non ti basta?» gridò il vecchio in collera.«Possiamo entrare nella tua bottega?» chiese ancora Maddalena.«No, non vedi che ho le mani piene di argilla? Sto fabbricando il

Messia.»Gesù si svegliò di soprassalto e il suo corpo era davvero leggero, come

se stesse volando. Ormai era giorno. I suoi compagni erano già svegli e i loro sguardi si posavano su tutte le rocce e sulle colline in direzione di Gerusalemme.

Se ne andarono in fretta. Camminavano, camminavano, ma sembrava loro che le montagne si spostassero davanti a loro e si allontanassero; la strada non smetteva di allungarsi.

«Credo, fratelli, che non arriveremo mai a Gerusalemme. Che cosa sta succedendo? Non vedete? Si allontana sempre di più!» disse Pietro, disperato.

«Si sta avvicinando sempre più», gli rispose Gesù, «coraggio, Pietro. Noi facciamo un passo verso di lei e lei uno verso di noi. Come il Messia.»

«Il Messia?» disse Giuda voltandosi bruscamente.«Il Messia arriva», disse Gesù con voce grave, «il Messia arriva, lo sai

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bene Giuda, se noi gli andiamo incontro. Se facciamo una buona azione o un atto di coraggio, se pronunciamo una buona parola il Messia si affretta e arriva. Se non siamo leali, se siamo cattivi o vigliacchi, il Messia torna indietro. Si allontana. Il Messia è una Gerusalemme che cammina, fratelli; ha fretta e pure noi abbiamo fretta. Sbrighiamoci ad andargli incontro! Abbiate fiducia in Dio e nell'anima dell'uomo che è immortale.»

Ripresero coraggio, allungarono il passo e Giuda si mise felice alla testa del gruppo.

«Ha parlato bene», camminava parlando da solo, «ha parlato bene, ha ragione il figlio di Maria. Il vecchio rabbino ci gridava la stessa cosa. È da noi che dipende la liberazione; se tutti prendessimo le armi, conoscerem-mo la libertà...»

Giuda non smetteva di camminare, monologando. Di colpo si fermò, turbato. «Chi è dunque il Messia?» mormorò. «Chi? Sarà forse tutto il popolo?»

Il sudore imperlò la fronte infuocata di Giuda. «Sarà forse tutto il popolo?» Era la prima volta che rifletteva su questa idea e se ne sentì turbato. «Il Messia sarebbe dunque tutto il popolo?» ripeteva fra sé e sé. «Ma allora che bisogno abbiamo di tutti quei profeti, di tutti quei falsi profeti, di guardarli con angoscia per scoprire se sono o no il Messia? Ma il Messia è il popolo, tu, io, noi tutti, basta che prendiamo le armi!»

E mentre camminava allegro si trastullava con la nuova idea come con il suo bastone, di colpo lanciò un grido: di fronte a lui risplendeva una montagna a due vette, tutta bianca, fiera, la santa Gerusalemme. Non chia-mò i compagni che lo seguivano. Voleva godersela da solo per tutto il tempo possibile. Nelle pupille dei suoi occhi azzurri brillavano i palazzi, le torri, le porte fortificate e, in mezzo, il Tempio di Dio, fatto interamente di oro, di cedro e di marmo.

Giunsero i compagni ed essi pure lanciarono un grido.«Venite, cantiamo la bellezza della nostra regina», propose Pietro che

cantava bene. «Coraggio, ragazzi, tutti insieme!»Tutti e cinque formarono un circolo attorno a Gesù che rimase al centro,

in piedi, immobile e intonarono l'inno santo.Che gioia ho provato quando mi è stato detto: alzati, andiamo nella casa

del Signore!I miei passi si sono fermati davanti al tuo palazzo, o Gerusalemme.Gerusalemme, fortezza ben costruita, pace alle tue torri potenti, gioia ai

tuoi palazzi!

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Per i miei fratelli, per i miei cari, pace, pace a te, Gerusalemme!

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Strade, terrazze, cortili, piazze, l'intera Gerusalemme era vestita di ver-de. Era la gran festa dell'autunno e con rami di ulivo, tralci di vite, foglie di palme, con rami di pino e di cedro, erano state costruite migliaia di capan-ne, come lo ordina il Dio d'Israele, in ricordo dei quarant'anni passati dagli avi sotto una tenda nel deserto. La mietitura e la vendemmia erano finite, l'anno era terminato, gli abitanti di Gerusalemme avevano appeso tutti i loro peccati a un caprone nero e ben nutrito che avevano cacciato, a pie-trate, nel deserto. Ora provavano un gran sollievo, la loro anima si era pu-rificata, cominciava un anno nuovo. Dio apriva un nuovo registro e, per otto giorni, in quelle capanne di rami verdi avrebbero bevuto, mangiato e glorificato il Dio d'Israele che aveva portato a termine mietitura e ven-demmia e aveva mandato un caprone affinché si caricasse dei loro peccati. Pure lui era un Messia inviato da Dio, prendeva su di sé tutti i peccati del popolo e se ne andava a morir di fame nel deserto e i loro peccati morivano con lui.

I vasti cortili del tempio erano coperti di sangue, infatti ogni giorno venivano sgozzate in olocausto intere mandrie; la città santa puzzava di carne arrostita, di concime, di grasso. L'aria sacra rimbombava per il suono degli oboe e delle trombe. La gente mangiava e beveva troppo, la loro ani-ma si appesantiva. Il primo giorno erano salmi, preghiere, genuflessioni; Geova, invisibile, entrava allegramente nelle tende e festeggiava pure lui, mangiava e beveva con il suo popolo. Taluni illuminati l'avevano visto con i loro occhi far schioccare la lingua e asciugarsi la barba. Ma, a partire dal secondo o terzo giorno, quella quantità di carne e di vino montava alla testa della gente ed ecco che cominciavano gli scherzi volgari, le risate e le canzoni oscene. Uomini e donne facevano l'amore senza pudore in pieno giorno; prima nelle tende, poi nelle strade o sull'erba. Da ogni quartiere arrivavano le famose prostitute di Gerusalemme, truccate e imbellettate e cosparse di muschio. E i contadini e gli innocenti pescatori che erano venuti fin dall'estrema punta della terra di Cana per adorare il santo dei santi, cadevano in quelle braccia esperte e perdevano la testa; mai era pas-sato loro per la mente che un amplesso potesse racchiudere tanta esperien-za e tanto piacere.

Gesù camminava in fretta e pieno di furore per le strade; scavalcava

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uomini ubriachi, rotolati in terra e tratteneva il respiro. I profumi, il puzzo, le risate impudiche gli davano la nausea. Faceva premura ai compagni: «Camminiamo, camminiamo, svelti!» Procedeva dando il braccio a destra a Giovanni e a sinistra ad Andrea.

Ma Pietro si fermava ogni momento; incontrava dei pellegrini giunti dalla Galilea che gli offrivano un bicchier di vino o qualcosa da sgranoc-chiare e si mettevano a chiacchierare. Pietro chiamava Giuda. Arrivava anche Giacomo e non volevano che nessun conoscente potesse rimanere offeso.

I tre altri, però, camminavano davanti, si affrettavano, li chiamavano e riprendevano il loro cammino.

«Oh! Il Maestro potrebbe lasciarci tirare un po' il fiato come fanno tutti», mormorava Pietro, che era già piuttosto eccitato. «Che noia!»

«Non capisci, Pietro», gli diceva Giuda scuotendo la testa. «Credi che siamo venuti a una festa? Credi che andiamo a delle nozze?»

Ma mentre correvano, udirono una voce rauca chiamare:«Ehi, Pietro, figlio di Giona, che specie di galileo sei che passi e quasi

mi calpesti, senza nemmeno rendertene conto? Fermati a bere un bicchiere; ti aiuterà ad aprire gli occhi e così potrai vedermi!»

Pietro riconobbe la voce e si fermò.«Ah! Come sono contento di vederti, Simone, diavolo di un Cireneo!»Si girò verso i compagni.«Ragazzi, qui non possiamo certo sgattaiolare via; ci fermiamo a bere

un bicchiere. Simone è un ubriacone famosissimo; ha una taverna molto conosciuta vicino alla porta di Davide. È un vero avanzo di galera, ma un brav'uomo. Dobbiamo accettare il suo invito.»

Era vero, Simone era un brav'uomo. Da giovane era sbarcato a Cirene, aveva aperto una taverna e, ogni volta che Pietro andava a Gerusalemme, dormiva da lui. Mangiavano e bevevano insieme; discutevano, scherzava-no, si mettevano a cantare e arrivavano persino a mollarsi qualche pugno; poi rifacevano la pace, bevevano ancora, quindi Pietro si arrotolava in una coperta, si stendeva su una panca e dormiva. Adesso Simone era seduto sotto una tenda fatta da tralci di vite intrecciati, aveva una brocca sotto al braccio, in mano un bicchiere di bronzo e beveva solo soletto.

I due amici si abbracciarono. Mezzo ubriachi tutti e due, erano così affezionati l'uno all'altro che, abbracciandosi, i loro occhi si velarono di lacrime. Dopo le grida, i primi abbracci e numerose libagioni, Simone si mise a ridere.

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«Mi faccio tagliar la testa», disse, «se anche voi non andate a farvi battezzare. Avete ragione; avete la mia benedizione. Anch'io mi sono fatto battezzare l'altro ieri e non ne sono pentito. Ha un certo fascino.»

«E ne hai sentito un giovamento?» chiese Giuda che non beveva, si accontentava di mangiare ed era di pessimo umore.

«Che cosa vuoi che ti dica, amico? Erano anni che non entravo nell'acqua. L'acqua e io siamo nemici. Io sono uomo da vino, l'acqua è per le rane. Ma l'altro ieri mi sono detto: e se andassi a farmi battezzare? Ci vanno tutti, non è possibile che fra gli iniziati non ci sia qualcuno che non beve vino, non possono essere tutti così idioti; farò delle conoscenze, andrò alla pesca di clienti; alla porta di Davide tutti la conoscono la mia taverna! Be', in breve, ci sono andato. Il profeta è un selvaggio, una bestia feroce, non so come spiegarvelo. Getta fiamme dal naso, mio Dio! Mi ha preso per il collo e mi ha tuffato in acqua fino alla barba e io ho gridato: Mi annega questo scellerato! Ma me la son cavata, ne son venuto fuori. Ed eccomi qui!»

«E hai sentito un giovamento?» chiese di nuovo Giuda.«Te lo giuro sul vino: il bagno mi ha fatto del bene; molto bene; mi

sono sentito alleviato. Il Battista afferma che mi sono alleggerito dei miei peccati; ma, sia detto fra di noi, io credo di essermi alleggerito dalla sporcizia. Infatti, quando sono uscito dal Giordano, c'era un dito di grasso che galleggiava sull'acqua.»

Scoppiò a ridere, riempì il suo bicchiere e fece bere Pietro e Giacomo. Lo riempì di nuovo e si girò verso Giuda: «E tu, non bevi? È vino, mio caro amico, non è acqua!»

«Non bevo mai», rispose il Rosso e respinse il bicchiere.Simone spalancò gli occhi:«Sei forse di quelli...?» disse, abbassando la voce.«Sì, di quelli», rispose Giuda tagliando di netto la conversazione.Passarono due donne imbellettate, si fermarono un istante e guardarono

con insistenza i quattro uomini.«Nemmeno donne?» chiese Simone stupefatto.«Nemmeno», rispose ancora seccamente il Rosso.«Allora, te infelice, che cosa vuoi?» esclamò Simone che non ne poteva

più. «Perché Dio ha creato il vino e le donne, dimmi? Per far passare il suo tempo o per farci passare il nostro?»

In quel momento arrivò correndo Andrea.«Sbrigatevi, il Maestro ha fretta.»

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«Quale Maestro?» chiese il taverniere. «Quello tutto vestito di bianco e che cammina scalzo?»

Ma i tre compagni si erano già messi in marcia e Simone il Cireneo, da-vanti alla sua tenda, stupito, con ancora in mano il suo bicchiere vuoto e la brocca sotto al braccio, li guardava e scuoteva il suo testone: «Dev'essere un altro Battista, quello», mormorò. «Un altro pazzo da legare. Accidenti, in questi ultimi tempi spuntano come funghi. Beviamo un sorso alla sua salute: che Dio lo renda ragionevole!» disse, riempendosi il bicchiere.

Nel frattempo Gesù e i suoi compagni arrivarono nel gran cortile del Tempio. Si fermarono, si lavarono mani, piedi e bocca, per entrare nel Tempio e prosternarsi. Gettarono attorno una rapida occhiata: un susse-guirsi di terrazze piene di uomini e di animali, portici ombrosi, colonne di marmo bianco e azzurro, coperte da tralci e grappoli dorati. Ovunque ca-panne, tende, carri; cambisti, barbieri, vinai e macellai. L'aria riecheggiava di grida, litigi, risate; la casa del Signore puzzava di sudore e di sporcizia.

Gesù si mise la mano sul naso e sulla bocca. Si guardò attorno, Dio non era in nessun posto. «Odio, disprezzo le vostre feste, il fetore dei vitelli grassi che sgozzate mi ripugna; non posso udire i vostri salmi e il suono dei vostri oboe...» Non era più il profeta, non era più Dio, era il cuore di Gesù che aveva la nausea e che gridava. Ebbe una specie di svenimento, di colpo tutto sparì, il cielo si spalancò e un angelo dalla capigliatura di fuoco balzò all'improvviso nell'aria. Fumo e fiamme salivano dalla sua testa; si arrampicò su una pietra nera, in mezzo al cortile e brandì la spada verso il Tempio sontuoso e parato d'oro....

Gesù barcollò, si attaccò al braccio di Andrea, aprì gli occhi, vide il Tempio, udì il brusio degli uomini; l'angelo si era nascosto nella luce. Gesù tese le braccia verso i compagni e disse:

«Perdonatemi, non ne posso più, sento che sto per svenire. Andiamocene!»

«Senza pregare?» chiese Giacomo scandalizzato.«Preghiamo dentro di noi, Giacomo», disse Gesù. «Ogni corpo è un

Tempio.»Se ne andarono. Non sopporta la sporcizia, il sangue e le grida, non è il

Messia... pensava Giuda, che camminava in testa, battendo il suolo con il bastone. Un fariseo, in preda a un attacco, si dibatteva a faccia in giù sull'ultimo scalino del Tempio, baciava il marmo e rantolava. Al collo e alle braccia aveva filze di grossi amuleti, pieni di minacciose parole delle Scritture. Le sue ginocchia erano diventate callose come quelle dei cam-

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melli a furia di genuflessioni; il suo collo, il viso e il petto erano coperti da piaghe aperte che sanguinavano. Ogni volta che la furia di Dio lo gettava a terra, afferrava delle pietre aguzze e si lacerava la carne.

Andrea e Giovanni si avvicinarono velocemente a Gesù perché questi non lo vedesse. Pietro chinandosi verso Giacomo gli disse:

«Lo conosci. È Giacomo, il figlio maggiore di Giuseppe il falegname. Fa dei giri per vendere amuleti e ogni tanto il suo male torna, si rotola in terra e si ferisce tutto».

«È lui che il Maestro perseguita così arrabbiato?»«È lui. Dice che disonora la sua casa.»Uscirono dalla porta d'oro del Tempio, attraversarono la valle di Cedron

e si diressero verso il Mar Morto. Lasciarono sulla destra il giardino di Getsemani; il cielo, su di loro, era bianco e infuocato. Arrivarono sul Monte degli Ulivi; il mondo attorno a loro sembrava più dolce, tutte le foglie scintillavano, stormi di corvi si abbattevano senza tregua su Gerusalemme.

Andrea teneva Gesù per un braccio e gli parlava del suo antico maestro, Giovanni Battista, e gli diceva che quando sì avvicinava al suo antro, respirava, terrorizzato, odore di belva.

«È il profeta Elia in persona. È sceso dal monte Carme-Io per guarire ancora una volta l'anima dell'uomo con il fuoco. Una notte ho visto con i miei propri occhi il suo carro di fuoco volteggiare sulla sua testa; un'altra notte ho visto un corvo portargli, nel becco, un carbone ardente da mangiare... Un giorno mi son fatto coraggio e gli ho chiesto: 'Sei tu il Messia?' Ha fatto un balzo indietro come se avesse pestato un serpente. 'No', mi ha risposto sospirando, 'no. Io sono il bove che lavora la terra; egli è il seme.'»

«Perché l'hai abbandonato, Andrea?»«Cercavo il seme.»«L'hai trovato?»Andrea strinse sul suo cuore la mano di Gesù e arrossì violentemente.«Sì», rispose, ma così piano che Gesù non l'udì.Stavano scendendo, ansimando, verso il Mar Morto. Il sole li copriva di

fuoco e le loro teste quasi scoppiavano. Davanti a loro si elevavano, sempre più alte, le montagne di Moab; dietro, bianche come la calce, le montagne della Giudea. Il sentiero, tutto a curve, era ripido come la parete di un crepaccio profondo; si respirava male. Tutti pensavano: stiamo scendendo all'Inferno... stiamo scendendo all'Inferno.

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Respiravano aria che sapeva di pece e di zolfo.La luce li accecava, avanzavano a tastoni; avevano i piedi coperti di

ferite; i loro occhi bruciavano. Udirono delle campanelle e passarono due cammelli: non erano cammelli, erano spettri che svanirono nella fiamma del sole.

«Ho paura...» mormorò il figlio minore di Zebedeo. «È l'Inferno.»«Coraggio», gli rispose Andrea. «È nel cuore stesso dell'Inferno, tutti lo

sanno, che c'è il Paradiso.»«Il Paradiso?»«Vedrai.»Finalmente il sole stava tramontando: le montagne moabite avevano dei

toni viola scuro e quelle della Giudea erano rosate. Le palpebre degli uomini cominciavano a ridiventare normali. E, di colpo, a una svolta, i loro occhi si rinfrescarono; gli occhi e il corpo, come se fossero entrati nel-l'acqua fresca. Proprio davanti a loro, nella sabbia, cos'era dunque quel verde insperato, quelle acque che rumoreggiavano, quei melograni carichi di frutti e quelle casette bianche, al riparo dal sole? L'aria, improvvisa-mente, profumava di gelsomino e di rose.

«Gerico!» gridò Andrea, felice. «Non esistono al mondo datteri più dolci né rose più miracolose; anche se sono appassite, basta metterle nell'acqua perché rivivano.»

La notte scese improvvisa; le prime lanterne brillavano.«Viaggiare quando cade la notte, arrivare in un villaggio e vedere

accendersi le prime lanterne, non aver nulla da mangiare né un tetto per dormire e rimettersi alla grazia di Dio e alla bontà degli uomini è, credo, una delle più grandi e più pure gioie che esistano al mondo», disse Gesù e si fermò per assaporare quell'ora santa.

I cani del villaggio fiutarono la presenza degli stranieri e si misero ad abbaiare; le porte si aprirono, comparvero le lanterne, scrutarono nel buio, quindi sparirono. I compagni andarono a bussare a tutte le porte e veniva dato loro di cuore sia un pezzo di pane sia una manciata di olive verdi o una melagrana. Misero insieme tutto quel ben di Dio e degli uomini, si sdraiarono nell'angolo di un giardino, mangiarono e si addormentarono su-bito. Tutta la notte, nel sonno, udirono il deserto ondeggiare e cullarli, come il mare. Solo Gesù, nel sonno, udì delle trombe e il rumore delle mura di Gerico che crollavano.

Era quasi mezzogiorno quando i compagni, lividi, estenuati, giunsero al

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Mar Morto, il mare maledetto. I pesci, trascinati dalla corrente del Giorda-no, vi morivano appena lo raggiungevano, degli arbusti radi si rizzavano, come ossa, sulla riva. Le acque erano plumbee, immobili, compatte. Gli uomini pii che si chinavano su quelle acque, vedevano sul fondo tenebroso l'amplesso di due prostitute putrefatte, Sodoma e Gomorra.

Gesù salì su uno scoglio, guardò lontano il deserto; la terra scottava, le montagne erano franate. Gesù teneva Andrea per un braccio e gli chiedeva:

«Dov'è Giovanni Battista? Non vedo nessuno... nessuno...»«Laggiù in fondo», rispondeva Andrea, «dietro agli arbusti, dove il

fiume è più calmo, l'acqua forma una pozza dove il profeta battezza. Andiamo da lui, conosco la strada.»

«Sei stanco, Andrea, rimani con gli altri. Vi andrò da solo.»«È selvaggio, verrò con te, Maestro.»«Voglio andarvi da solo, Andrea, resta qui.»Si diresse verso gli arbusti. Il suo cuore batteva con violenza; vi posò la

mano per cercare di farlo calmare. Nuovi stormi di corvi apparvero dalla parte del deserto e volarono verso Gerusalemme.

Improvvisamente udì dei passi dietro a lui; si girò e vide Giuda.«Ti sei dimenticato di chiamarmi», disse il Rosso con aria canzonatoria.

«È il momento più difficile e voglio essere con te.»«Vieni», disse Gesù.Camminavano senza parlare, Gesù davanti, Giuda dietro. Spostavano

gli arbusti e i loro piedi affondavano nel fango tiepido del fiume. Un serpente nero si rizzò, scivolò verso una pietra, alzò il collo e la testa con una metà del corpo incollata alla pietra e l'altra metà ritta: li guardò sibilando con i suoi occhi neri e lucidi. Gesù si fermò e agitò la mano nella sua direzione con un gesto amichevole. Giuda sollevò il suo randello, ma Gesù, con un cenno, lo trattenne.

«Non gli far male, Giuda, fratello mio», disse. «Anch'egli fa il suo dovere, mordendo.»

Il caldo aveva raggiunto il suo punto massimo e la terra era come una fornace; il vento che soffiava da sud, portava dal Mar Morto una forte puzza di carogna. Ora si poteva udire una voce rauca e selvaggia. Ogni tanto Gesù riusciva a distinguere qualche parola: «Fuoco....accetta... albero sterile...» Poi, più forte: «Pentitevi! Pentitevi!» e di colpo grida e singhioz-zi di molta gente. Gesù avanzava lentamente, a passi felpati, come se si stesse avvicinando alla tana di una belva; scostava gli arbusti e, man mano che Egli avanzava, il rumore diventava più forte. Di colpo si morse le

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labbra per trattenersi dal gridare: su una roccia sopra le acque del Giorda-no, in piedi su delle gambe lunghissime, c'era un uomo che poteva sem-brare sia una cavalletta, sia l'angelo della Fame o anche l'arcangelo della Vendetta. Ondate umane venivano incessantemente a infrangersi sulle rocce, ruggendo: Arabi con le ciglia e le unghie dipinte, Caldei con grossi anelli di bronzo al naso, Israeliti con lunghi riccioli di capelli luridi... L'uomo gridava e aveva schiuma alla bocca; il vento del sud lo scuoteva come se fosse stato una pianta.

«Pentitevi! Pentitevi! Il giorno del Signore è arrivato! Rotolatevi per terra, mangiate la polvere, urlate! Il Signore Onnipotente ha detto: 'Quel giorno ordinerò al sole di tramontare a mezzogiorno, spezzerò le corna della luna nuova, getterò il cielo e la terra nell'oscurità. Trasformerò le vostre risate in tenebre e tramuterò le vostre canzoni in lamenti funebri. Soffierò e le vostre mani, i piedi, le orecchie, i capelli, cadranno!'»

D'un salto Giuda raggiunse Gesù e lo afferrò per un braccio. «Senti? Senti? Ecco come parla il Messia! È lui, il Messia!»

«No, Giuda, fratello mio», rispose Gesù, «così parla colui che ha in mano l'ascia e che prepara la strada al Messia, ma non il Messia.» Si chinò, strappò un trifoglio e se lo mise fra i denti.

«Colui che apre il cammino è il Messia», urlò il Rosso. Spinse Gesù affinché non si nascondesse più fra gli arbusti e si facesse vedere.

Gesù avanzò nel sole, fece due o tre passi esitando, incespicò e si fermò. Teneva gli occhi fissi sull'asceta; il suo sguardo conteneva tutta la sua anima, esplorava, saliva, scendeva dalle gambe alla testa infuocata e, sopra, oltre la testa, sino all'invisibile grandezza del profeta. Il Battista era girato di schiena; sentì in tutte le sue membra quello sguardo violento che frugava in lui, s'incollerì, si girò e strizzò i suoi due occhi tondi da sparvie-ro per vedere meglio. Chi era quel giovane, immobile, vestito, di bianco, che lo guardava? L'aveva già visto, un giorno, in qualche posto. Dove? Quando? Si sforzava angosciosamente di ricordarselo. Che l'avesse visto una notte in sogno? Vedeva spesso in sogno degli uomini come quello, vestiti dì bianco. Non gli parlavano, lo guardavano, gli facevano un cenno di saluto agitando una mano, come per dirgli addio; quando il gallo che preannunciava l'alba cantava, quegli uomini diventavano luce e sparivano.

Di colpo il Battista, a forza di guardare, gettò un grido e si sovvenne. Una volta, verso mezzogiorno, si era disteso sulla riva di un fiume e aveva aperto il libro del profeta Isaia, scritto su una pelle di capra. E, all'improv-viso, pietre, acqua, uomini, arbusti, fiume, tutto era svanito. L'aria si era

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riempita di fuoco, di suoni di trombe e di ali. Le parole del profeta si erano aperte come delle porte e ne era uscito il Messia! Se ne ricordò, era vestito tutto di bianco, era gracile, bruciato dal sole, scalzo, e aveva fra i denti, come quell'uomo, una foglia verde!

Gli occhi dell'asceta si riempirono di gioia e di terrore. Scivolò giù dalla roccia, si avvicinò, tutto proteso, chiese:

«Chi sei?» La sua voce minacciosa tremava.«Non mi riconosci?» disse Gesù, avanzando ancora di un passo. Anche

la sua voce tremava. Sapeva che il suo destino dipendeva dalla risposta del Battista.

È lui, è lui, pensava il Battista. Il suo cuore batteva con violenza e non poteva, non osava decidersi. Protese di nuovo la testa in avanti.

«Chi sei?» domandò ancora una volta.«Non hai letto le Scritture?» gli rispose Gesù, piano, come se lo rim-

proverasse, come se lo volesse sgridare. «Non hai letto i profeti? Che cosa dice Isaia? Precursore, non ricordi?»

«Sei tu?» mormorò l'asceta. Lo afferrò per le spalle e lo scrutò, fissandolo negli occhi.

«Sono venuto...» disse Gesù esitando, poi si fermò. Gli era mancato il respiro, non riusciva ad andare oltre. Gli pareva di mettere avanti un piede e di tastare per vedere se poteva o se non poteva fare quel passo senza cadere,..

Chino su di lui, il profeta selvaggio lo esaminava, silenzioso. Aveva udito la parola buona e terribile che era uscita dalla bocca di Gesù?

«Sono venuto...» ripeté il figlio di Maria, così piano che lo stesso Giuda che era in agguato dietro di loro con l'orecchio teso, non poté udirlo. Questa volta il profeta sussultò: aveva udito.

«Che cosa?» disse. I capelli gli si rizzarono in testa.Un corvo volò su di essi e lanciò un grido roco, come quello di un uomo

che annega e che ride o che schernisce... Il Battista s'incollerì. Si chinò per raccogliere una pietra e gettargliela. Il corvo era volato via, ma egli lo stava cercando nell'aria; era contento di sentire che il tempo passava e che così il suo cuore, a poco a poco, 'si calmava. Si rialzò.

«Che tu sia il benvenuto», disse pacato e lo guardò senza tenerezza.Il cuore di Gesù fece un balzo. Le sue orecchie avevano sentito bene? Il

profeta gli aveva detto veramente: «Che tu sia benvenuto?» Se era vero, che stupore, che gioia e che spavento!

Il Battista gettò uno sguardo attorno a sé, sul Giordano, sugli arbusti,

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sugli uomini che, inginocchiati nel fango, confessavano in pubblico i loro peccati; abbracciò con lo sguardo il suo regno per dirgli addio. Poi si girò verso Gesù.

«Adesso», egli disse, «io posso andarmene.»La voce di Gesù ora suonò ferma e decisa.«Non ancora: prima battezzami, Precursore.»«Io? Sei tu che dovresti battezzare me, Signore...»«Parla piano affinché non possano udirci; la mia ora non è ancora

giunta. Vieni!»Giuda tese l'orecchio per ascoltare; ma udì solo un mormorio, un

mormorio allegro e gioioso, come quello di due ruscelli che si mescolano.

La folla riunita sulla riva si fece da un lato. Chi era quel pellegrino? Si era tolto la tunica bianca e il sole, a picco su di lui, l'aveva ricoperto; e, senza confessare i suoi peccati, era entrato nell'acqua con nobiltà e sicurezza. Il Battista lo precedeva ed entrarono tutti e due nell'acqua azzurrina; vi era uno scoglio a pelo d'acqua e il Battista vi montò sopra; al suo fianco Gesù camminava sulla sabbia del fondale e l'acqua lo copriva fino al mento.

Nell'istante in cui il Battista alzava la mano per versargli l'acqua sul viso e pronunciare la preghiera, il popolo gettò un grido: la corrente del Giordano si era fermata bruscamente e l'acqua era immobile; banchi di pesci multicolori arrivarono da tutte le parti, circondarono Gesù e, spiegan-do le loro pinne e facendo dondolare la loro coda, si misero a danzare. E uno spirito villoso, un anziano candido, vestito di alghe intrecciate salì dal fondo dell'acqua, si appoggiò contro gli arbusti e a bocca spalancata guardava ciò che stava succedendo davanti a lui. I suoi occhi erano sbarrati dalla gioia e dal terrore.

Il popolo, vedendo quei miracoli, ammutolì. Molti caddero faccia a terra sulla riva per non vedere; altri, in quella fornace di sole, tremavano; qualcuno vide quel vecchio uscire dal fondo dell'acqua coperto di fango, gridare: «Il Giordano!» e svenire.

Il Battista riempì d'acqua una conchiglia fonda e, con mano tremante, si mise a spargere l'acqua sul viso di Gesù: «Battezzo il servo di Dio», co-minciò a dire e si fermò: non sapeva che nome pronunciare.

Si girò verso Gesù per chiederglielo e proprio nel momento in cui tutti, in punta di piedi, aspettavano il nome, si udì uno sbatter d'ali che scen-devano dal cielo e un uccello bianco - un uccello o uno dei Serafini di

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Geova? - venne a posarsi sulla testa del battezzato. Vi restò un momento, immobile. Poi, improvvisamente, descrisse tre cerchi volando, tre corone di luce che brillarono nell'aria e si udì l'uccello emettere un grido: si sarebbe detto che gridasse un nome segreto, mai inteso prima, come se il cielo rispondesse alla muta domanda del Battista.

Le orecchie degli uomini si misero a ronzare, la loro mente vacillò. Erano parole e ali, il grido di Dio, il grido di un uccello, un miracolo strano, e Gesù tese tutto il suo corpo per udire. Sentì che era quello il suo vero nome, ma non riuscì a percepirlo. Udì solo delle vaghe parole, importanti e amare. Alzò gli occhi; l'uccello era già volato via, su nel cielo, era diventato luce nella luce.

Solo il Battista, che viveva ormai da anni nel deserto in inumana solitudine, aveva appreso il linguaggio di Dio. Comprese.

«Io battezzo», mormorò fra sé, tremando, «battezzo il servo di Dio, il figlio di Dio, la Speranza dell'uomo!»

Fece un cenno al Giordano: le sue acque potevano continuare a scorrere, il mistero era finito.

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Il sole irruppe dal deserto come un leone. Bussò a tutte le porte d'Israele e da tutte le case ebraiche s'innalzò la selvaggia preghiera della mattina verso il Dio degli Ebrei, il Dio dalla testa dura.

«Noi cantiamo Te e glorifichiamo Te, o nostro Dio, Dio dei nostri padri, Onnipotente e terribile, tu che ci aiuti e ci proteggi. Gloria a Te, Immortale, gloria a Te, difensore di Abramo. Chi può essere più potente di Te, o Re, che uccidi e risusciti e che porti la liberazione? Gloria a Te, Redentore d'Israele! Stermina, spezza e disperdi i nostri nemici, ma subito, mentre siamo ancora in vita!»

Al levarsi del sole Gesù e Giovanni Battista erano seduti nell'incavo di una roccia a strapiombo sul Giordano. Per tutta la notte avevano avuto il mondo nelle mani; lo tenevano una volta per uno e si interrogavano l'un l'altro, per sapere che cosa ne avrebbero fatto. Il viso dell'uno era severo e deciso, le sue mani si muovevano come se reggessero un'accetta e dessero dei gran colpi; il viso dell'altro era sereno ed esitante e gli occhi erano pieni di pietà.

«L'amore non basta?» chiese.«No, non basta», rispose il Battista con violenza. «L'albero è marcio;

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Dio mi ha chiamato e mi ha consegnato l'ascia. L'ho presa e l'ho appoggiata ai piedi dell'albero. Io ho fatto il mio dovere, ora fai tu il tuo. Prendi l'ascia e colpisci!»

«Se fossi fuoco, brucerei: se fossi un legnatolo, darei dei colpi d'ascia. Ma sono un cuore, io amo.»

«Io pure sono un cuore, è per questo che non posso sopportare l'ingiu-stizia, l'impudicizia, l'infamia. Come fai tu ad amare gli ingiusti, gli infami, gli impudichi? Colpisci! Uno dei doveri dell'uomo, uno fra i più grandi, è la collera.»

«La collera?» disse Gesù. Il suo cuore si rifiutava di ammetterlo: «Non siamo tutti fratelli?»

«Fratelli?» esclamò il Battista sarcastico. «Fratelli? L'amore? Tu credi che sia quella la strada del Signore? Guarda!»

Tese la sua mano ossuta e pelosa e gli mostrò lontano, puzzolente come una carogna, il Mar Morto.

«Ti sei chinato per vedere sul fondo le due prostitute, Sodoma e Gomorra? Dio si è incollerito, ha scagliato il fuoco, ha pestato il suolo con i piedi, la terra è diventata mare e ha inghiottito Sodoma e Gomorra. Ecco la strada di Dio, seguila. Che cosa dicono le profezie? Nel giorno del Signore, il legno verserà sangue, le pietre acquisteranno vita, si leveranno dalle case in cui sono state usate e ne uccideranno gli abitanti! Il giorno del Signore è in cammino, arriva; sono io che l'ho visto per primo, ho lanciato un appello, ho afferrato l'ascia di Dio e l'ho appoggiata ai piedi del mondo. Chiamavo, chiamavo, era te che chiamavo: sei arrivato e io me ne vado.»

Gli prese le mani come per appoggiarvi una grande e pesante ascia. Gesù, spaventato, si scostò.

«Abbi ancora un po' di pazienza, te ne supplico», disse, «non affrettarti. Parlerò con Dio nel deserto. Laggiù si ode la sua voce con maggiore chiarezza.»

«Più chiaramente si ode anche la voce della tentazione. Fai attenzione, Satana ti spia, sta preparando il suo esercito; sa che per lui è questione di vita o di morte. E si abbatterà su di te con tutta la sua ferocia e tutta la sua tenerezza. Fai attenzione, il deserto è pieno di voci di gioia e di voci di morte.»

«Né la gioia né la morte possono ingannarmi, compagno. Abbi fiducia.»«Ho fiducia; sarei un disgraziato se non ne avessi. Vai laggiù. Parla con

Satana, parla con Dio e prendi la tua decisione; Dio l'ha già presa e non potrai sfuggirvi. Se tu non sei quello, che cosa importa, se ti perdi? Vai,

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subito, poi vedremo; non voglio lasciare il mondo da solo.»«Che cosa ha detto la colomba selvatica che batteva le ali su di me nel

momento in cui mi stavi battezzando?»«Non era una colomba selvatica; verrà il giorno in cui udrai le parole

che ha pronunciato. Fino ad allora esse saranno sospese sulla tua testa come tante spade.»

Gesù si alzò, gli tese la mano; la sua voce tremava.«Addio, o amato Precursore», disse. «Forse non ci incontreremo mai

più.»Il Battista avvicinò le sue labbra a quelle di Gesù e ve le tenne accostate

a lungo. La sua bocca era un carbone ardente e le labbra di Gesù vi si bruciarono.

«È a te che dono la mia anima», disse, stringendo con forza la sua mano delicata. «Se sei Colui che attendevo, ascolta le mie ultime volontà, poiché credo che non ti rivedrò più su questa terra. Mai più.»

«Ti ascolto», disse Gesù rabbrividendo.«Modifica il tuo viso, rafforza le tue braccia, indurisci il tuo cuore. La

tua vita sarà terribile; vedo sangue e spine sulla tua fronte; sopportale, o mio grande fratello, coraggio! Due strade si aprono di fronte a te: la strada dell'uomo, che è piana, e quella di Dio, che è tutta una scarpata. Prendi la strada più difficile. Addio! E non tormentarti per le separazioni, la tua missione non è quella di piangere, ma quella di colpire. Colpisci! Che la tua mano non tremi, è quello il tuo cammino. E non dimenticare questo: il Fuoco e l'Amore sono figli di Dio, ma il primogenito è il Fuoco, l'Amore viene dopo. Cominciamo, dunque, dal Fuoco. Buona fortuna!»

Il sole era già alto; apparvero delle carovane provenienti dal deserto dell'Arabia; arrivarono nuovi pellegrini con turbanti multicolori sulle teste rapate. Certuni avevano attorno al collo amuleti a forma di mezzaluna fatti con denti di cinghiale; altri statuette di dee in bronzo opulente, e anche col-lane formate con i denti dei loro nemici. Erano belve orientali che veniva-no a farsi battezzare. Il Battista li vide, gettò un urlo stridente e scese dalla sua roccia. I cammelli s'inginocchiarono nel fango del Giordano e la voce del deserto risuonò, senza pietà: «Pentitevi! Pentitevi!. Il giorno del Signore è arrivato».

Gesù ritrovò i suoi compagni che lo aspettavano seduti, silenziosi e tri-sti, sulla riva del fiume. Erano tre giorni e tre notti che era scomparso; Giovanni Battista aveva abbandonato pure lui i suoi battesimi in quel lasso di tempo, per parlare con lui. Parlava, parlava, Gesù chinava la testa e

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ascoltava. Che cosa gli diceva curvato su di lui come un uccello da preda? E perché uno di loro era così feroce e l'altro così triste? Giuda sbuffava dalla collera, andava e veniva e, al cader della notte, si avvicinava furtiva-mente alla roccia per ascoltare. I due uomini parlavano guancia a guancia; Giuda tendeva le orecchie ma non udiva che un mormorio, un mormorio rapido, come quello dell'acqua corrente; nient'altro. Uno dava, l'altro, il figlio di Maria, prendeva e si riempiva come una giara inclinata contro una fontana. Il Rosso scendeva dalla roccia e si rimetteva a girare come una belva, furibondo: «È una vergogna», mormorava, «è una vergogna per me: discutono sulle sorti d'Israele e io non ci sono! Il Battista doveva confidare a me il suo segreto, a me doveva consegnare l'ascia. Io posso usarla, lui, no. Perché sono solo io ad aver pietà d'Israele. L'altro, l'illuminato, procla-ma - e dovrebbe aver vergogna - che siamo tutti fratelli, i persecutori e i perseguitati, gli Israeliti, i Romani e i Greci, che siano maledetti!»

Si distendeva sotto le rocce, lontano dagli altri compagni, non voleva saperne nulla. Si addormentava immediatamente e credeva di udire la voce del Battista pronunciare parole sparse e scompagnate: «Fuoco, Sodoma e Go-morra, colpisci!» Si svegliava di soprassalto e, una volta sveglio, non udiva più niente. Null'altro che gli uccelli notturni, gli sciacalli e il mormo-rio del Giordano fra gli arbusti... Scendeva verso il fiume, immergeva nell'acqua la sua testa in fiamme per tentare di spegnerla. «Non scenderà dunque dalla sua roccia?» mormorava. «Prima o poi finirà per scendere e allora, che egli lo voglia o no, saprò.»

Ed ecco che, vedendolo avvicinarsi, si alzò di scatto. Gli altri compagni pure, pieni di gioia, si alzarono e gli andarono incontro. Gli toccavano le spalle, la schiena, lo carezzavano; gli occhi di Giovanni si riempirono di lacrime: una ruga profonda ora solcava la sua fronte.

Pietro non ce la fece più.«Maestro», disse, «perché il Battista ti ha parlato per giorni e notti? Che

cosa ha detto per rattristarti? Il tuo viso è cambiato.»«Non ha più che pochi giorni di vita», rispose Gesù. «Rimanete con lui,

fatevi battezzare, io me ne vado.»«Dove vai, Maestro?» gridò il figlio minore di Zebedeo afferrandolo per

le vesti. «Verremo tutti con te.»«Vado nel deserto, da solo. Nel deserto non c'è bisogno di compagnia,

vado a parlare con Dio.»«Con Dio?» fece Pietro, nascondendo il suo viso. «Ma allora non torne-

rai mai più!»

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«Ritornerò», disse Gesù, sospirando. «Bisogna che torni. Le sorti del mondo sono appese a un filo. Dio mi detterà le sue volontà, poi tornerò.»

«Quando? Quanti giorni starai via? Dove rimarremo?» Tutti gridavano e lo trattenevano per impedirgli di andarsene. Solo Giuda, in disparte, silenzioso, li ascoltava e li guardava con disprezzo... «Delle pecore... delle pecore...» mormorava. «Ringrazio il Dio d'Israele di essere un lupo.»

«Tornerò quando Dio lo vorrà, fratelli. Addio. Restate qui e aspettatemi. A presto.»

Rimasero tutti immobili, come pietrificati; vedevano Gesù che si dirige-va lentamente in direzione del deserto. Non camminava più come prima, quando pareva sfiorasse appena la terra; il suo passo, ora, era pesante, deciso. Tagliò un ramo per appoggiarvisi, salì sul ponte a dorso d'asino, si fermò lassù a guardò sotto di sé. Dovunque nel fiume vide i pellegrini immersi nella corrente limacciosa. I loro visi abbronzati dal sole erano raggianti di gioia. Di fronte, sulla riva, altri si battevano ancora il petto e confessavano i loro peccati ad alta voce; guardavano il Battista con occhi brucianti, aspettando che egli facesse loro cenno di entrare a loro volta nell'acqua sacra. E l'asceta selvaggio, immerso fino alla vita nel Giordano, battezzava le greggi umane, le spingeva a riva senza alcuna dolcezza, con collera; altre greggi si susseguivano. La sua barba nera a punta, i capelli ricciuti, che non erano mai stati tagliati, brillavano al sole; e la sua bocca, eternamente aperta, gridava.

Gesù percorse con lo sguardo il fiume, gli uomini, il Mar Morto in lontananza, le montagne dell'Arabia, il deserto. Si chinò e vide la sua om-bra scivolare con l'acqua verso il Mar Morto.

Che felicità sarebbe, pensava, essere seduti sul bordo del fiume, vedere l'acqua scorrere verso il mare e fluire con essa: scorrere con l'acqua in cui alberi, uccelli, nuvole, notti, stelle si riflettono, scorrere anch'io con essa! E non essere roso dalle angosce del mondo...

Ma si riscosse, cacciò la tentazione sorta in lui, si strappò dal ponte, scese con passo veloce e sparì dietro le rocce.

Il Rosso era in piedi sulla riva e non distoglieva lo sguardo da lui. Lo vide sparire, ebbe paura che gli sfuggisse, si arrotolò le maniche e lo seguì. Lo raggiunse nel momento in cui Egli stava per entrare nell'immenso mare di sabbia.

«Figlio di Davide», gli gridò, «aspettami; come puoi lasciarmi?»Gesù si voltò.«Giuda, fratello mio», supplicò, «non venire. Bisogna che rimanga

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solo.»«Voglio sapere!» fece il Rosso e avanzò.«Non affrettarti; saprai quando sarà giunto il momento, non ti dico che

questo: Giuda, fratello mio, sii contento, tutto va bene!»«Questo non mi basta. Il lupo non si sazia con delle parole. Tu non lo

sai, ma io lo so.»«Se mi ami, abbi pazienza. Guarda gli alberi: hanno forse fretta di far

maturare i loro frutti?»«Non sono un albero, sono un uomo», rispose il Rosso, continuando ad

avanzare. «Sono un uomo, ossia uno che ha fretta; ho delle leggi mie.»«La legge di Dio è la stessa per gli alberi e per gli uomini, Giuda.»Il Rosso strinse i denti.«E come si chiama questa legge?» sibilò.«Il tempo.»Giuda si fermò e strinse i pugni. Non l'accettava, quella legge, procede-

va troppo piano e lui aveva fretta. Nel profondo del suo essere aveva una legge propria, opposta al tempo.

«Dio vive molto», gridò, «è immortale, allora può avere pazienza e aspettare. Ma io sono un uomo, ti ripeto, uno che ha fretta. Non voglio mo-rire prima di vederlo, e non solamente vederlo, ma anche toccarlo con que-ste mie mani; ecco che cosa ho in mente.»

«Lo vedrai», rispose Gesù alzando la mano per rassicurarlo, «lo vedrai e lo toccherai. Giuda, fratello mio, abbi fiducia. Arrivederci. Dio mi aspet-ta nel deserto.»

«Verrò con te.»«Due uomini nel deserto sono troppi. Torna indietro.»Come un cane da pastore di fronte agli ordini del padrone, il Rosso

borbottò e strinse i denti, però abbassò la testa e tornò indietro. Attraversò il ponte cupo in volto, parlando da solo. Pensava ai tempi in cui girava con Barabba - ecco un vero uomo! - e gli altri ribelli per le montagne; che vento di passione selvaggia e di libertà li frustava, che capitano di sgozza-tori era il Dio d'Israele! Di un capo così egli aveva bisogno; perché era corso dietro a quell'illuminato che aveva paura del sangue e che gridava: Amore! Amore! come una vergine disperata? Pazienza: si vedrà ciò che porterà dal deserto!

Gesù era ormai entrato nel deserto e, più avanzava, più gli sembrava di essere entrato nella tana di un leone. Rabbrividì, non di paura, ma di una gioia oscura e inspiegabile. Perché fosse contento, non riusciva a capirlo...

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Improvvisamente si sovvenne. Migliaia di anni prima, quando era ancora un bambino e sapeva a malapena parlare, una notte aveva fatto un sogno, il primo sogno della sua vita di cui si ricordava. Si era inoltrato in una grotta profonda, in cui aveva trovato una leonessa che aveva appena partorito e che stava allattando i suoi piccoli; vedendola, aveva provato fame e sete, si era disteso con i cuccioli e si era messo a poppare con loro. Poi erano usciti dalla tana, erano andati tutti in una prateria e si erano messi a giocare al sole... Ma nel sogno, mentre giocavano, era apparsa Maria, sua madre, l'aveva visto con la leonessa e aveva lanciato un urlo. Si era svegliato, si era arrabbiato e si era girato verso la madre che dormiva al suo fianco. «Perché mi hai svegliato?» gridava. «Ero con mia madre e i miei fratelli!»

Adesso capisco perché sono così contento, pensava. Entro nella grotta di mia madre la leonessa, la solitudine...

Udiva il sibilo inquietante dei serpenti e del vento infuocato che soffia-va fra le pietre; e pure il sibilare degli spiriti invisibili del deserto.

Gesù si raccolse e parlò alla sua anima:«Anima mia, è qui che proverai se sei immortale».Udì dei passi dietro di sé e prestò ascolto. La sabbia scricchiolava,

qualcuno vi camminava sopra, con calma, lentamente e si avvicinava. L'avevo dimenticata, pensò, ma lei non mi dimentica, lei viene con me, mia Madre. Lo sapeva bene che era la Maledizione, ma adesso da un bel po' la chiamava Madre...

Si mise a correre, si sforzò di pensare ad altro e si sovvenne della co-lomba selvatica. Gli pareva che un uccello selvaggio fosse imprigionato dentro di lui, un uccello o forse la sua anima che premeva per fuggire. Vi era riuscita? Era forse lei la colomba selvatica che faceva dei circoli volando su di lui e tubando, per tutto il tempo che era durato il battesimo? Non era né un uccello né un serafino; era la sua anima.

Aveva capito e si tranquillizzò. Riprese il cammino. Dietro di sé udiva scricchiolare la sabbia, ma il suo cuore si era rinfrancato e ormai poteva subire con dignità ogni cosa. L'anima dell'uomo è onnipossente, pensava, sceglie l'immagine che desidera; in quello stesso momento la sua era di-ventata un uccello e volava su di lui... E mentre camminava, tranquillo, all'improvviso si fermò gettando un grido. Quella colomba selvatica era forse... l'idea gli era appena passata per la testa, quella colomba selvatica forse era solo illusione dei miei occhi, ronzio delle mie orecchie, un turbine dell'aria? Perché, me lo ricordo, il mio corpo splendeva, leggero, onnipotente, come un'anima; e ciò che volevo udire, lo udivo, ciò che

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volevo vedere, lo vedevo; formavo e disfacevo l'aria a mio piacere... Mio Dio, mio Dio, ora che siamo soli tutti e due, dimmi la verità, non mi ingannare, non ne posso più di udire delle voci nell'aria!

Avanzava e il sole avanzava con lui, era arrivato in mezzo al cielo, sopra la sua testa. I suoi piedi bruciavano nella sabbia cocente, si guardò attorno per cercare un angolo ombroso; mentre guardava, udì uno stormire d'ali sopra di sé, uno stormo di corvi si precipitava verso un fossato in cui una cosa nera marciva e puzzava.

Si turò il naso e si avvicinò. I corvi si erano abbattuti sulla carogna, vi avevano piantato i loro artigli e mangiavano. Vedendo che un uomo si avvicinava, volarono via irritati, portando fra gli artigli un pezzo di carne ciascuno; si misero a volare in tondo nel cielo e gridarono all'intruso di andarsene. Gesù si chinò, vide il ventre aperto, il pelame nero mezzo strappato, piccole corna nodose e, sul collo in putrefazione, file e file di amuleti.

«Il caprone», mormorò, rabbrividendo, «il caprone sacro che ha preso su di sé i peccati del popolo, che è stato cacciato di villaggio in villaggio, di montagna in montagna, verso il deserto e ora è morto...»

Si chinò, scavò con le mani nella sabbia un buco più profondo che poté e ricoprì la carogna.

«Fratello», disse, «tu eri puro e senza peccato come tutti gli animali; ma gli uomini, quei vigliacchi, hanno caricato su di te tutti i loro peccati e ti hanno ucciso. Dissolviti in pace e non serbar loro rancore. Gli uomini, povere creature senza forza, non hanno il coraggio di pagare loro stessi i loro peccati e li addossano a un innocente... Paga per loro; fratello mio, addio...»

Riprese a camminare, poi, dopo poco, si voltò, agitò una mano e gridò emozionato:

«Ci ritroveremo!»I corvi si misero a seguirlo con rabbia; aveva portato loro via quella

saporita carogna e adesso lo seguivano, aspettando che, a sua volta, cades-se, che offrisse loro il suo ventre aperto per dar loro da mangiare. Perché aveva fatto loro quel torto? Dio non li aveva creati per mangiare le caro-gne? Bisognava perciò che egli pagasse!

Venne la sera e si sentì stanco; si rannicchiò su una grossa pietra roton-da che pareva una pietra da macina. «Non andrò più lontano», mormorò, «qui, su questa pietra, drizzerò il mio campo e combatterò.» L'oscurità cadde all'improvviso dal cielo, salì dalla terra e coprì il mondo. Con la

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notte venne il gelo. Batteva i denti. Si avvolse nella sua tunica bianca e chiuse gli occhi, ma, appena li ebbe chiusi, fu assalito dalla paura; gli ven-nero in mente i corvi; ora gli sciacalli affamati ululavano dappertutto; sentì attorno a sé il deserto che si muoveva, come una belva... Era terrorizzato; aprì gli occhi; il cielo si era riempito di stelle e si consolò. Ecco i Serafini, disse fra sé, ecco le sei ali di luce che cantano attorno al trono di Dio. Ma sono troppo, troppo lontani, non riesco a udirli. Sono apparsi per farmi compagnia... La testa gli si riempì del rumore delle stelle e dimenticò di aver fame e freddo. Era pure lui una cosa viva, una luce effimera nella notte e cantava le lodi del Signore. La sua anima era un lumino, l'umile sorella, poveramente vestita, degli angeli... Riprese coraggio pensando alla sua origine celeste e vide la sua anima in piedi, di fianco agli angeli, attorno al trono di Dio. Allora, tranquillo e senza paure, chiuse gli occhi e si addormentò.

Si svegliò, girò la testa verso oriente e vide il sole, torrido, alzarsi sopra le sabbie. Era il viso di Dio, pensò, e si mise una mano davanti agli occhi per non esserne abbagliato. «Signore», mormorò, «non sono che un granel-lo di sabbia, riesci a vedermi nel deserto? Un granello di sabbia che parla, che respira e che ti ama. Ti ama e ti chiama Padre. Non ho altre armi che l'amore; è con esso che sono partito per combattere. Vieni ad aiutarmi!»

Si alzò e, con il suo bastone, disegnò un cerchio intorno alla pietra sulla quale aveva dormito.

«Non mi allontanerò da questa zona», disse a voce alta per farsi udire dalle potenze invisibili che lo stavano spiando, «non mi allontanerò da questa zona se non udirò la voce di Dio. Ma voglio udirla chiaramente, non come un brusio mutevole, com'è sua abitudine, non come un canto d'uccello o un colpo di tuono; chiaramente. Che mi parli con parole umane e che mi dica quello che vuole da me, ciò che posso e ciò che devo fare. Solo allora mi alzerò, mi allontanerò da qui per tornare fra gli uomini, se è ciò che egli mi ordina; per morire, se questa è la sua volontà. Farò quello che vorrà, ma voglio saperlo. Nel nome di Dio!»

S'inginocchiò sulla pietra, con il viso rivolto a oriente, verso il grande deserto. Chiuse gli occhi, raccolse i suoi pensieri: quelli che aveva avuto a Nazareth, a Magdala, a Cafarnao, al pozzo di Giacobbe, al Giordano e si mise a schierarli per la battaglia. Andava in guerra.

In tensione, con gli occhi chiusi, rimase assorto nei propri pensieri. Un mormorio d'acqua, un fruscio di foglie e arbusti, lamenti di uomini. Grida e spaventi arrivavano a ondate dal Giordano; insieme alle lontane speranze

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insanguinate. Le tre lunghe notti che aveva trascorso sulla roccia con l'asceta selvaggio gli vennero in mente per prime, armate da capo a piedi, e si lanciarono verso il deserto per guerreggiare al suo fianco.

La prima notte gli balzò addosso come un gigantesco saltamartino. Aveva occhi duri, gialli e grigi, ali gialle e grigie e strane lettere verdi tracciate sulla pancia; il suo odore era simile a quello del Mar Morto; si aggrappò a lui e le sue ali si misero a stridere con rabbia nell'aria. Gesù gettò un grido e si rigirò: Giovanni Battista stava in piedi di fianco a lui; aveva steso il suo braccio scheletrico nella notte, in direzione di Gerusa-lemme.

«Guarda, che cosa vedi?» «Niente.» «Niente? Non vedi davanti a te la santa Gerusalemme, la puttana, non la vedi? Sta seduta sulle grosse ginocchia del Romano e ride come una matta. 'Non la voglio!' grida il Signore. 'È questa la mia sposa? Non la voglio!' Come i cani, seguendo i passi del Signore, abbaio a mia volta: Non la voglio! Giro attorno alle forti mura e urlo: Puttana! Ha quattro grandi porte fortificate. Su di una vi è seduta la Fame, su un'altra la Paura, sulla terza l'Ingiustizia e sull'ultima, a nord, l'Infamia. Entro, percorro le strade in ogni senso, mi avvicino, osser-vo i suoi abitanti. Guardo i loro visi: tre sono grassocci, ben pasciuti, e un popolo di tremila uomini muore di fame. Quando, dunque, perisce un mondo? Quando tre padroni mangiano troppo e un popolo di tremila uomini muore di fame. Guarda ancora una volta i loro visi: la Paura impera su tutti, le loro narici tremano, fiutano il giorno del Signore. Guarda le donne: la più onesta adocchia il suo servo, si lecca i baffi e gli fa un cenno: vieni! Ho sollevato il tetto dei loro palazzi, guarda: il re tiene sulle ginocchia la moglie del fratello nuda e l'accarezza. Che cosa dicono le Sacre Scritture? 'Colui che posa lo sguardo sulle nudità della sposa del pro-prio Fratello, che sia condannato a morte!' Ciò nonostante, non sarà am-mazzato lui, l'incestuoso, ma io, l'asceta, verrò ammazzato. Perché? Perché il giorno del Signore è giunto!»

Per tutta quella prima notte, Gesù, seduto ai piedi di Giovanni, aveva visto le porte di Gerusalemme aperte alla Fame, alla Paura, all'Ingiustizia e all'Infamia che entravano e uscivano. Sopra la santa puttana si addensava-no le nubi, cariche di collera e di grandine.

La seconda notte il Battista aveva teso di nuovo la sua mano magra come un ramo rinsecchito e, con un gesto brusco aveva aperto uno squarcio nel tempo e nello spazio.

«Tendi l'orecchio, che cosa odi?» «Non odo nulla.» «Nulla! Non odi

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l'iniquità, la cagna che ha perso ogni pudore, che è salita in cielo e che abbaia alla porta del Signore? Non sei forse passato da Gerusalemme e non hai inteso i sacerdoti, i gran sacerdoti e i Farisei che circondano il Tempio e che abbaiano? Dio, però, non sopporta più l'impudenza della terra. Si alza, cammina sulle montagne e scende. Davanti a lui c'è la Collera, dietro a lui le tre cagne del cielo: il Fuoco, la Lebbra e la Follia. Dov'è il Tempio? Dove sono le colonne orgogliose, incrostate d'oro che lo sostenevano e che facevano esclamare: 'Viva in eterno! In eterno!' In eterno! Il Tempio è in cenere, in cenere i sacerdoti e i gran sacerdoti, gli Scribi e i Farisei, in cenere i loro sacri amuleti, le loro dalmatiche di seta e i loro anelli d'oro. In cenere! In cenere! In cenere! Dov'è Gerusalemme? Ho una lampada acce-sa, cerco fra le montagne, attraverso le tenebre del Signore e chiamo: 'Gerusalemme! Gerusalemme!' Il deserto, il deserto infinito; neppure un corvo risponde. I corvi hanno mangiato e se ne sono andati. Affondo fino alle ginocchia fra crani e ossa, mi si riempiono gli occhi di lacrime, ma io le scaccio, le scaccio e rido; mi chino e scelgo le ossa più lunghe e ne faccio dei flauti e canto le lodi del Signore.»

Il Battista rideva durante quella seconda notte e contemplava, nelle tenebre di Dio, il Fuoco, la Lebbra e la Follia. Gesù afferrava le ginocchia del profeta e domandava:

«Non credi che, attraverso l'amore, la Redenzione possa scendere sul mondo? E, con l'amore, la gioia e la misericordia?»

Il Battista, senza nemmeno voltarsi a guardarlo, gli rispondeva:«Non hai mai letto le Scritture? Il Salvatore spezza la schiena, rompe i

denti, scaglia il fuoco e incendia i campi, per seminare. Strappa le spine, le erbacce e le ortiche. Come si possono far sparire dalla terra la menzogna, l'infamia e i bugiardi? Bisogna che la terra si purifichi - non aver pietà di lei - bisogna che la terra si purifichi, affinché siano piantati i nuovi semi».

La seconda notte era passata, Gesù taceva, aspettava la terza; forse la voce del profeta si sarebbe addolcita.

Durante la terza notte il Battista si rigirava senza tregua, inquieto, sulla roccia. Non rideva, non parlava, esaminava e tastava con angoscia le mani, le braccia, le spalle, le ginocchia di Gesù, scuoteva la testa e taceva. Fiutava l'aria. Al chiarore delle stelle si vedevano i suoi occhi scintillare, a volte verdi, a volte gialli; dalla sua fronte abbronzata colavano, mescolati, rivoli di sudore e di sangue. Infine al mattino, quando la luce bianca dell'alba li aveva avviluppati, aveva preso le mani di Gesù, l'aveva guarda-to negli occhi e aveva aggrottato la fronte. «La prima volta che ti ho

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visto», gli aveva detto, «quando stavi uscendo dal canneto del fiume e ti dirigevi diritto verso di me, il cuore mi era balzato in petto come quello di un giovane animale, come è balzato il cuore di Samuele quando ha visto per la prima volta Davide, il giovane pastore imberbe, dai capelli rossi. È così che era balzato il mio. Ma esso è carne, ama la carne, non ho fiducia in lui. Stasera, come se ti vedessi per la prima volta, ti esamino, ti fiuto e non riesco a esserne certo. Guardo le tue mani, non sono mani da falegna-me, non sono mani da Redentore; sono troppo delicate, troppo gentili, come potrebbero maneggiare un'accetta? Guardo i tuoi occhi, non sono occhi da Redentore, sono pieni di compassione.» Si era alzato e aveva sospirato. «Signore, le tue vie sono tortuose e oscure», aveva mormorato. «Puoi mandare una bianca colomba per appiccare il fuoco e ridurre il mondo in cenere. Noi guardiamo il cielo, aspettiamo il fulmine, un'aquila, un corvo; e tu mandi una colomba bianca. Perché cercare? Perché resistere? Fai quello che vuoi.» Aveva aperto le braccia, stretto al petto Gesù, l'aveva baciato prima sulla spalla destra, poi sulla sinistra. «Se tu sei colui che attendevo», gli diceva, «non sei giunto come io immaginavo. Invano perciò io ho portato l'ascia e l'ho deposta ai piedi dell'albero? Oppure l'amore può anche reggere un'ascia?» Era immerso nelle sue riflessioni. «Non posso dare il mio giudizio», aveva infine mormorato. «Morirò senza vedere. Poco importa; è il mio destino; è duro, ma mi piace.» Aveva stretto la mano di Gesù. «Buona fortuna, parla con Dio nel deserto, ma torna presto, affinché il mondo non resti solo.»

Gesù aprì gli occhi. Il Giordano, Giovanni Battista, i battezzati, i cam-melli, i lamenti degli uomini che s'innalzavano nell'aria quindi scompari-vano e il deserto, tutto si spiegò di fronte a lui. Il sole era alto e scottava. Le pietre fumavano come pagnotte ed egli sentì la fame attanagliargli lo stomaco. «Ho fame», mormorò guardando le pietre, «ho fame!» Si ricordò del pane che gli aveva dato la vecchia Samaritana; era saporito, dolce come il miele. Si ricordò del miele che veniva dato loro nei villaggi che attraversavano, delle olive, dei datteri, del pasto santo che avevano fatto, quando, inginocchiati sulla rive del lago di Genezareth, avevano tirato giù dagli alari la griglia sulla quale c'erano tutti quei pesci profumati.

Poi gli vennero in mente, e se ne sentì turbato, i fichi, le melagrane, l'uva...

La sua gola era asciutta, arida, aveva sete. Con tutti i fiumi che scorrono nel mondo, con tutta l'acqua che balza di roccia in roccia e che bagna da un capo all'altro la terra d'Israele e si versa, si perde nel Mar Morto, egli non

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aveva neppure una sola goccia d'acqua da bere! Pensò a tutta quell'acqua e la sua sete crebbe. La testa gli girava, i suoi occhi erano abbagliati; due demoni maligni, simili a due leprotti, uscirono dalla sabbia infuocata; si rizzarono sulle zampe posteriori, si misero a danzare, lo videro, urlarono di gioia, si misero a pestare le zampe e gli si avvicinarono. Gli montarono sulle ginocchia e gli saltarono sulle spalle. Uno di essi era fresco come l'acqua, l'altro tiepido e profumato come il pane e, quando Gesù tese febbrilmente la mano per afferrarli, fecero un salto e sparirono nell'aria.

Egli chiuse gli occhi. Concentrò ancora i suoi pensieri dispersi dalla fame e dalla sete, pensò a Dio e non provò più né fame né sete. Pensò alla redenzione del mondo. Ah! Se fosse possibile che il giorno del Signore giungesse attraverso l'amore! Dio non è forse onnipotente? Perché non fa un miracolo, perché non tocca i cuori, per farli fiorire? Ogni anno tuttavia a Pasqua, Egli tocca i ceppi, le erbacce e le spine e li fa fiorire. Se fosse possibile che un mattino gli uomini si svegliassero con il cuore in fiore!

Sorrise. Il mondo, in lui, era fiorito: il re incestuoso si era fatto battezza-re, la sua anima si era purificata, aveva cacciato la cognata Erodiade ed essa era tornata dal marito. I gran sacerdoti e i signori avevano aperto le loro cantine e i loro forzieri e avevano distribuito i loro beni ai poveri e i poveri tiravano il fiato; avevano cacciato dal loro cuore l'odio, la gelosia e la paura... Gesù si guardò le mani: l'accetta che gli aveva affidato il Precursore era fiorita; ora teneva fra le mani un ramo di mandorlo in fiore.

La giornata era finita con quest'ultima gioia; si stese su una pietra e si addormentò. Per tutta la notte, nel sonno, udì lo scrosciare di torrenti, vide dei leprotti danzare, poi sentì uno strano fruscio, come se delle narici umide lo stessero annusando... Verso mezzanotte uno sciacallo affamato gli si avvicinò e l'annusò, per vedere se era già morto; si fermò un istante, indeciso, e Gesù ebbe pietà di lui. Stava per squarciarsi il petto per saziar-lo, ma si trattenne. Conservò la propria carne per gli uomini.

Si svegliò prima dell'alba. In cielo grosse stelle intrecciavano le loro orbite, l'aria era vellutata, azzurrina. Era in quel momento, pensò, che si svegliano i galli e i villaggi e che gli uomini aprono gli occhi e guardano dalla finestrella l'apparire della luce. I bimbi piccoli pure si svegliano, si mettono a piangere e la madre si affretta a dar loro il seno... Il mondo si mosse per un istante sopra le sabbie, con i suoi uomini, i galli, i bimbi e le madri - un mondo fatto d'aria e di brina mattutina. E ora il sole sarebbe sa-lito e li avrebbe divorati!... L'Eremita ebbe una stretta al cuore; se potessi, pensò, rendere questa brina eterna! Ma il pensiero di Dio è un abisso, il

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suo amore uno spaventoso precipizio. Pianta un mondo, lo schiaccia al momento in cui da i suoi frutti e ne pianta un altro. «Chi lo sa? Forse l'amore è capace di tenere un'ascia...» Si ricordò delle parole di Giovanni Battista e rabbrividì. Guardò il deserto; era diventato selvaggio, scarlatto, si muoveva sotto il sole che, quel giorno, sembrava infuriato, cinto da un alone di tempesta. Il vento cominciò a soffiare e un odore fetido di pece e di zolfo giunse al naso di Gesù. Sentì affiorare alla memoria Sodoma e Gomorra, sprofondate nella pece, con i loro palazzi, le taverne, i teatri, i lupanari. «Pietà, Signore», gridava Abramo, «non bruciarle. Tu sei buono, abbi pietà delle tue creature.» «Sono giusto», aveva risposto Dio, «le brucerò!»

È dunque questo il cammino di Dio? È dunque una gran vergogna che il cuore, quel pugno di fragile rango, si rizzi e gli gridi: «Fermati!» Qual è il nostro dovere? Guardare in terra, scoprire sul suolo le orme dei passi di Dio e seguirli. Guardo in terra, vedo chiaramente le orme dei passi di Dio su Sodoma e Gomorra. Quella traccia di Dio è tutto il Mar Morto; ha appoggiato il suo piede e ha inghiottito palazzi, teatri, taverne, lupanari, Sodoma e Gomorra! Lo appoggerà di nuovo e la terra sarà inghiottita ancora una volta; re, gran sacerdoti, Farisei, Sadducei, tutto sprofonderà!

Senza rendersene conto, si era messo a gridare. Il suo spirito si era riempito dì audacia, si era scatenato. Aveva dimenticato che le sue ginoc-chia non l'avrebbero retto, stava per alzarsi, camminare seguendo le orme dei passi di Dio, ma cadde in terra, senza fiato. «Non posso, non mi vedi?» gridò, alzando gli occhi verso il cielo infuocato. «Non posso. Perché hai scelto me? Non ne posso più!» Appena smise di gridare, vide davanti a sé una massa nera: era il caprone, con le zampe all'aria, sventrato, lì sulla sabbia. Si ricordò che si era chinato sui suoi occhi torbidi e che vi aveva scorto il suo viso. «Sono io il caprone», mormorò, «io. Dio l'ha messo sul mio cammino perché veda chi sono e verso quale destino sto andando...» Bruscamente, scoppiò in singhiozzi. «Non voglio... non voglio...» mormo-rò, «non voglio essere solo. Aiuto!» Allora, mentre era chinato e piangeva, soffiò una dolce brezza, il puzzo di pece e di carogna sparirono, il mondo era tutto un profumo. Udì in lontananza un tintinnare di braccialetti, di risate e d'acqua diretti verso di lui. Le palpebre, le ascelle, la gola del-l'Eremita si rinfrescarono. Alzò gli occhi. Davanti a lui, un serpente con occhi e petto da donna lo guardava. L'Eremita indietreggiò, spaventato. Era un serpente, una donna o uno spirito maligno del deserto? Era un serpente come quello che si era avvolto intorno all'albero proibito del

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Paradiso e che aveva sedotto il primo uomo e la prima donna; essi si erano uniti e avevano generato il peccato... Udì una risata e una voce di donna, dolce e suadente:

«Ho avuto pietà di te, figlio di Maria. Hai gridato: 'Non voglio rimanere da solo, aiuto!' Ho avuto pietà di te e sono venuta. Che cosa desideri da me?»

«Non voglio te, non ti ho chiamata. Chi sei?»«La tua anima.»«La mia anima?» fece Gesù, e si tappò gli occhi con orrore.«La tua anima. Hai paura di restare da solo; anche il tuo avo, Adamo,

aveva paura. Anche lui ha gridato: 'Aiuto!' La sua carne e la sua anima si sono unite e dalla sua costola è uscita la donna, per fargli compagnia...»

«Non voglio! Non voglio! Ricordo la mela che hai dato ad Adamo e l'angelo con la spada!»

«Te ne ricordi ed è perciò che soffri, gridi e non riesci a trovare il tuo cammino. Io te lo indicherò. Dammi la mano, non guardare indietro, non ricordarti di nulla. Guarda il mio corpo che avanza: sono qui, o mio sposo. Esso conosce la strada e non si sbaglia.»

«Farai cadere pure me nel dolce peccato nell'Inferno. Non ti seguirò. La mia strada è un'altra.»

Si udì il suono di una risatina beffarda e apparvero i denti aguzzi e velenosi:

«Vuoi seguire le tracce di Dio, le tracce dell'aquila, tu, verme di terra? Caricarti, tu, figlio del falegname, dei peccati di tutto il popolo? Non ti bastano i tuoi? Che impudenza quella di credere che hai il dovere di salvare il mondo!»

Ha ragione... Ha ragione... pensò l'Eremita tremando. Che impudenza quella di voler salvare il mondo!

«Devo rivelarti un segreto, figlio dell'amata Maria...» Il serpente addol-cì la voce; i suoi occhi scintillavano.

Scivolò giù dalla pietra come fosse acqua e cominciò ad avvicinarglisi e a ondeggiare con i suoi riflessi cangianti. Arrivò fino ai piedi dell'Eremita, salì sulle sue ginocchia, vi si arrotolò, prese lo slancio, strisciò sulle sue cosce, sulla schiena, sul petto, poi gli si appoggiò su una spalla. L'Eremita, malgrado tutto, si chinò per ascoltarlo. Il serpente si mise a leccare l'orec-chio di Gesù ed egli udì la sua voce suadente molto lontana, come se giungesse dalla Galilea, dalle rive del lago di Genezaretn.

«Maddalena... Maddalena... Maddalena...»

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«Che cosa?» chiese Gesù trasalendo. «Maddalena che cosa?» «...È lei che devi salvare!» sibilò il serpente, con tono improvvisamente imperioso. «Non la Terra, lasciala stare la Terra, è lei, Maddalena che devi salvare!»

Gesù scosse nervosamente la testa cercando di cacciare il serpente, ma questo gli parlava allettandolo e agitando la lingua nel suo orecchio:

«Il suo corpo è bello, dolce, abile. Tutte le nazioni sono passate su di esso, ma è a te che Dio l'ha destinato, già fin dalla tua infanzia, prendilo! Dio ha fatto l'uomo e la donna perché si adattino l'uno all'altra come la chiave alla serratura. Aprila. In essa vi sono i tuoi figli, intorpiditi, raggo-mitolati e aspettano che tu soffi su di essi per scongelarsi, alzarsi e uscire, camminare al sole... Capisci ciò che ti sto dicendo? Alza gli occhi, fammi un segno. Fammi un segno, mio diletto, e ti porterò all'istante la tua sposa su un bel letto fresco».

«La mia sposa?»«La tua sposa. Come io, così dice Dio, ho sposato la puttana Gerusa-

lemme. Le nazioni sono passate su di essa; ma io l'ho sposata per salvarla. Come il profeta Oseo ha sposato la puttana Gomor, figlia di Diblaim. È Dio che ti ordina di dormire con Maria Maddalena, di avere dei figli da lei che è la tua sposa, per salvarla.»

Il serpente, ora, aveva appoggiato il suo petto, duro, fresco e tondo sul petto di Gesù; strisciava lentamente, arrotolandosi, e lo cingeva. Gesù impallidì, chiuse gli occhi, vide il corpo sodo e flessuoso di Maddalena camminare e ondeggiare con noncuranza lungo la riva del lago di Geneza-reth, guardare lontano, in direzione del Giordano e sospirare. Essa tendeva le braccia; era lui che cercava. Il suo ventre era pieno di bimbi, i suoi; doveva solo strizzare un occhio, fare un cenno e, di colpo, che felicità! Come sarebbe cambiata, sarebbe stata più dolce, più umana la sua vita! Era quello il cammino, è quello! Sarebbe tornato a Nazareth, nella casa di sua madre, si sarebbe riconciliato con i suoi fratelli, non era che una follia di gioventù quella di voler salvare il mondo, di voler morire per gli uomini; per fortuna era venuta Maddalena. Era guarito, era nella sua bottega e aveva ripreso il suo mestiere tanto amato; fabbricava di nuovo culle, ma-die, aratri, aveva dei figli, era diventato un uomo come gli altri. Un uomo a posto. I contadini lo rispettano, si alzano al suo passaggio; lavora tutta la settimana e il sabato va alla sinagoga indossando vestiti puliti, vestiti di lino e di seta tessuti dalla sua sposa, Maddalena; con in testa il suo fazzo-letto tessuto con filati preziosi, con l'anello d'oro delle nozze al dito; ha il suo scanno con gli anziani del villaggio, sta seduto ad ascoltare pacifico e

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indifferente gli Scribi e i Farisei, eccitati e mezzi matti, sudare sangue per spiegare le Sacre Scritture... e sorride sotto i baffi e li guarda con commi-serazione: dove mai si perderanno, quegli eruditi! Lui, con Calma e sicu-rezza, spiega le Sacre Scritture sposandosi, avendo dei figli e fabbricando culle, madie e aratri...

Aprì gli occhi e vide il deserto. Com'era passata la giornata? Il sole sta-va tramontando. Appiccicato a lui, petto contro petto, il serpente aspettava. Emetteva un sibilo calmo, maliardo, quasi un lamento; una ninna nanna tenera si diffondeva nell'aria del crepuscolo e il deserto, tutto il deserto, lo cullava e lo ninnava come una madre.

«Sto aspettando... sto aspettando...» diceva il sibilo maliardo del serpen-te. «Ormai è notte, ho freddo. Deciditi, fammi un segno e si aprirà la porta, entrerai in Paradiso... Deciditi, mio diletto, Maddalena aspetta...»

I muscoli dell'Eremita si paralizzarono. Sul punto di aprire la bocca e dire di sì, sentì qualcuno sopra di lui che lo guardava; alzò la testa, spaven-tato. Nell'aria vide due occhi, solo due occhi nerissimi e delle sopracciglia bianche che gli facevano un cenno: «No! No! No!» Il cuore di Gesù ebbe una stretta, guardò ancora una volta, supplicando, come se avesse voluto gridare: «Lasciami fare, dammi il permesso, non andare in collera con me!» Ma gli occhi erano diventati feroci e le sopracciglia si aggrottavano, minacciose.

«No! No! No!» urlò allora Gesù e due grosse lacrime sgorgarono dai suoi occhi.

Bruscamente, il serpente si staccò da lui, si contorse e scoppiò con un rombo sordo e l'aria ne fu appestata.

Gesù cadde con la faccia sulla terra e le sue labbra, le narici, gli occhi si riempirono di sabbia. Non pensava a nulla, aveva dimenticato di avere fame e sete, piangeva. Piangeva come se la sua sposa e tutti i suoi figli fossero morti, come se tutta la sua vita fosse perduta.

«Signore, Signore», mormorava mordendo la sabbia e le pietre, «Padre, non hai dunque pietà? Che sia fatta la tua volontà! Quante volte, fino a oggi, te l'ho detto, quante volte te lo dirò ancora? Per tutta la vita mi dibat-terò e dirò: 'Che sia fatta la tua volontà'.»

E si addormentò così, mormorando e ingoiando sabbia. Appena gli oc-chi del suo corpo si chiusero, gli occhi della sua anima si aprirono. Vide lo spettro di un serpente, grosso come il corpo di un uomo, stendersi da un capo all'altro della notte; era disteso sulla sabbia e aveva spalancato, proprio vicino a Gesù, una gran bocca scarlatta. E, davanti a quella bocca,

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fremeva una pernice screziata, tutta tremante, e si sforzava di aprire le ali per fuggire, ma non ci riusciva. Camminava barcollando, con tutte le penne arruffate dalla paura; emetteva delle strida acute e avanzava... Il serpente immobile, con la bocca aperta, aveva gli occhi fissi su di lei e non si affrettava; era sicuro di sé. Titubante, inciampando, la pernice avanzava piano piano verso quella bocca. Gesù, in piedi, guardava e tremava come la pernice... Era il mattino quando giunse davanti alla bocca spalancata; si dibatté un istante, si guardò attorno come per chiedere aiuto e, bruscamen-te, allungò il collo ed entrò con la testa in avanti e le zampe unite: la bocca si richiuse. Gesù la vedeva scendere giù verso lo stomaco del drago, lentamente, una pallottolina di carne e piume con zampette color rubino...

Gesù si svegliò di soprassalto, spaventato. Il deserto color di rosa, ondeggiava. Era l'alba.

«È Dio», mormorò tremando, «è Dio... E la pernice...»La sua voce si spezzò. Non aveva la forza di articolare il suo pensiero

fino alla fine. Ma dentro di sé, pensò:«... è l'anima dell'uomo, l'anima dell'uomo è la pernice!»Si perse in questi pensieri per ore e ore. Il sole saliva, infuocava la sab-

bia, gli trafiggeva il cranio, entrava nella sua testa, gli seccava il cervello, la gola, il petto. I suoi visceri pendevano come i grappoli secchi che rimangono sulle viti, in autunno. La lingua gli si era incollata al palato, la pelle gli cadeva a brandelli, le sue ossa spuntavano fuori; la punta delle sue dita era diventata bluastra. Il tempo, in lui, era diventato brevissimo, come il battito del cuore e grande come la morte. Non aveva più né fame né sete, non desiderava più avere una sposa e dei figli, tutta la sua anima si era raccolta nei suoi occhi. Vedeva, ecco tutto, vedeva. Talvolta in pieno mezzogiorno i suoi occhi si annebbiavano, il mondo spariva e una bocca gigantesca gli si spalancava davanti; la mascella inferiore era la terra, quella superiore, il cielo; egli avanzava lentamente, strascicandosi, verso la bocca spalancata, tremava ed era tutto teso...

Giorni e notti passavano come lampi bianchi e neri. Una volta, a mezza-notte, venne un leone davanti a lui e scosse la criniera con fierezza. Egli udì la sua voce come se fosse umana:

«È con gioia che saluto e che accolgo nel mio antro l'asceta vittorioso, colui che ha trionfato sulle piccole virtù, sulle piccole gioie e sulla felicità! Noi non amiamo ciò che è tacile e sicuro, ma tendiamo verso le cose difficili. Maddalena è troppo poco perché sia la nostra sposa, noi vogliamo sposare la Terra. La giovane sposa ha sospirato, o Fidanzato, il cielo ha

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acceso i suoi lumi, gli invitati sono arrivati, andiamocene»,«Chi sei?»«Tu. Il leone affamato in fondo al tuo cuore e alla tua schiena, che gira

di notte attorno alle stalle, attorno ai regni del mondo e che esita a saltare dentro e a divorare. Balzo da Babilonia a Gerusalemme, da Gerusalemme ad Alessandria d'Egitto, da Alessandria a Roma e grido: 'Ho fame, tutto mi appartiene'. Viene il giorno e io penetro nel tuo petto, mi vi rannicchio e io, il leone terribile, divento un agnello. Fingo di essere un umile asceta che non desidera nulla, che può vivere di un chicco di grano, di un sorso d'acqua e di un Dio puro e benevolo che Egli chiama Padre per rabbonir-selo. Ma, in segreto, il mio cuore si scatena, è umiliato e aspetta febbril-mente la notte per levarsi da dosso la pelle di pecora e per mettersi di nuovo a girare, a ruggire e a posare le sue quattro zampe su Babilonia, Gerusalemme, Alessandria e Roma.»

«Non ti conosco. Non ho mai desiderato i regni del mondo. Il regno del cielo mi basta.»

«Non ti basta; ti sbagli, amico mio, non ti basta. Ma non osi guardare dentro di te, nelle tue viscere e nel tuo cuore per vedermi... Perché mi guardi con occhio dubbioso, perché il tuo cuore pensa subito al male? Credi che io sia una tentazione mandata dal Maligno per perderti? Eremita scervellato, che forza può avere una tentazione proveniente dall'esterno? La fortezza non può essere conquistata che dall'interno. Sono la voce che viene dal più profondo del. tuo animo, sono il leone che è in te e tu ti sei avvolto in una pelle di pecora affinché gli uomini prendano coraggio, ti si avvicinino e tu possa mangiarli. Ricorda quando eri bambino e una strega caldea ti ha letto la mano e ti ha detto: «Vedo molte stelle, molte croci, diventerai re. Perché fingi di dimenticarlo? Te ne ricordi giorno e notte. Alzati, figlio di Davide, entra nel tuo regno!»

Gesù, a testa bassa, l'ascoltava. A poco a poco riconobbe la voce, si ricordò che talvolta l'udiva in sogno: una volta che Giuda l'aveva picchia-to, quando erano piccoli, e un'altra ancora, aveva abbandonato la sua casa, aveva girovagato giorni e notti fra i campi, la fame lo rodeva ed era tornato indietro, pieno di umiliazione; i suoi due fratelli, Simone lo zoppo e Giacomo il devoto, erano in piedi sulla soglia e l'avevano insultato. Quel giorno per davvero aveva inteso in sé il leone che ruggiva... E anche recen-temente, quando portava la croce per crocifiggere lo Zelota, passava attra-verso la folla burrascosa e tutti lo guardavano con disprezzo e lo derideva-no; una volta ancora il leone era balzato in lui, con tal forza da gettarlo in

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terra.E ora, in quella notte solitaria, ecco apparire e rizzarsi davanti a lui il

leone interiore che lo sgridava. Gli si strusciava contro, spariva, appariva di nuovo, come se entrasse e uscisse dal fondo di lui stesso e gli desse dei colpetti di coda, per gioco... Gesù sentì il suo cuore irritarsi sempre di più. «E vero, il leone ha ragione. Ne ho abbastanza di aver fame e desideri, di recitare la parte dell'umile, di porgere l'altra guancia per farmi schiaffeg-giare; ne ho abbastanza di adulare Dio, il divoratore di uomini, e di chiamarlo Padre per rabbonirlo a forza di moine, di farmi insultare dai miei fratelli, di vedere mia madre piangere, gli uomini ridere quando pas-so, di camminare scalzo, di attraversare il mercato e contemplare il miele, i datteri, il vino, le donne e di non poter comprare nulla. E di essere audace solo in sogno, di aspettare che il sonno mi porti tutto ciò, di assaporare e di abbracciare il vuoto! Ne ho abbastanza. Mi leverò, cingerò la spada eredi-tata dai miei avi - non sono forse il figlio di Davide? - per .entrare nel mio regno! Il leone ha ragione. Non so che cosa farmene di pensieri, di nuvole e di regni dei cieli: pietre, terra e carne, ecco il mio regno!»

Si alzò. Dove trovò la forza di alzarsi e di fare lentamente il gesto di cingersi una spada invisibile, ruggendo come un leone? Se la cinse. Gridò: «Andiamo!» Si girò: il leone era scomparso. Udì sopra di sé una risata lacerante e una voce che esclamava: «Guarda!» Un lampo squarciò la notte e rimase fisso in cielo. Sotto quella luce si potevano distinguere città forti-ficate, case, strade, piazze, uomini; tutto intorno, pianure, montagne e il mare. A destra Babilonia, a sinistra Gerusalemme e Alessandria, al di là del mare, Roma. Udì nuovamente quel richiamo: «Guarda!»

Alzò gli occhi. Un angelo dalle ali gialle cadde dal cielo a testa in giù. Gesù udì un lamento; nei quattro regni gli uomini alzavano le mani al cielo e le loro mani cadevano, rose dalla lebbra. Le strade si riempirono di mani, di nasi, di labbra.

Mentre Gesù tendeva le mani e stava per gridare a Dio: «Pietà, rispar-mia gli uomini!» un secondo angelo che aveva le ali di tutti i colori e cam-panelle alle caviglie e al collo, cadde dal cielo a testa in giù. All'improvvi-so, su tutta la terra, esplosero risate sguaiate; i lebbrosi, colti da follia, correvano e ciò che rimaneva del loro corpo scoppiava a ridere anch'esso.

Gesù si chiuse le orecchie per non udire; tremava. Allora un terzo ange-lo, con le ali rosse, cadde dal cielo come una meteora. S'innalzarono quat-tro fiammate, quattro colonne di fumo, le stelle s'appannarono. Soffiò una leggera brezza e il fumo si disperse. Gesù guardò: i quattro regni erano

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solo quattro pugni di cenere.Udì nuovamente la voce: «Eccoli i regni della terra che vai a conqui-

stare, o te infelice. Ecco i miei tre angeli diletti, la Lebbra, la Follia e il Fuoco. Il giorno del Signore è arrivato, il mio giorno!» gridò la voce e il lampo sparì.

All'alba, Gesù era rotolato giù dalla sua pietra e teneva il viso sprofon-dato nella sabbia. Aveva dovuto certamente piangere molto nel corso della notte: i suoi occhi erano gonfi e gli bruciavano. Si guardò attorno: quell'in-finita distesa di sabbia era forse la sua anima? La sabbia ondeggiava, si animava. Udiva grida stridenti, risate beffarde, singhiozzi. Degli animaletti del bosco, simili a lepri, scoiattoli o faine saltellavano e gli si avvicinava-no; avevano tutte gli occhi rossi come rubini. Arriva la Follia, pensò, arriva per divorarmi... Gettò un grido e gli animaletti sparirono. Un arcangelo, con la mezza luna al collo e una stella festosa fra le sopracciglia, si rizzò di fronte a lui e spiegò le sue ali verdi.

«Arcangelo», mormorò Gesù mettendosi la mano davanti agli occhi per non esserne abbagliato.

L'arcangelo chiuse le ali e sorrise:«Non mi riconosci?» chiese. «Non ti ricordi di me?»«No! No! Chi sei? Allontanati, arcangelo, che mi abbagli.»«Ricorda di quando eri ancora bambino e non sapevi camminare: ti

afferravi alla porta della casa, alla veste di tua madre, per non cadere e, dentro di te, gridavi con tutte le tue forze:

«'Mio Dio, fammi Dio! Mio Dio, fammi Dio! Mio Dio, fammi Dio!'»«Non farmi pensare a quell'impudente bestemmia; me ne ricordo.»«Io sono quella tua voce; sono io che gridavo. Sono io che grido ancora,

ma fai finta di non udire perché hai paura. Ma, che tu lo voglia o no, mi ascolterai perché è giunta l'ora. Prima che tu nascessi, ho scelto te fra tutti gli uomini. Agisco e splendo in te, non permetto che ti abbandoni alle pic-cole virtù, alle piccole gioie, alla felicità terrena. E ora, in questo deserto in cui ti ho portato, è venuta la donna e l'ho cacciata; sono venuti i regni della terra e li ho cacciati. Sono io che li ho cacciati, io, non tu. Riservo per te un destino ben più grande, ben più difficile.»

«Più grande? Più difficile?»«Che cosa volevi che ti facessi gridare quando eri ancora bambino?

Diventare Dio. È ciò che diventerai!»«Io? Io?»

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«Non lasciarti intimidire, non gemere, questo è quello che diverrai. Lo sei già diventato. Che parole credi che abbia pronunciato la colomba selvatica sopra di te, nel Giordano?»

«Dimmelo! Dimmelo!»«'Sei mio figlio, il mio unico figlio!' Ecco la notizia che ti ha portato la

colomba selvatica. Non era una colomba, era l'arcangelo Gabriele. Salve, o figlio, o unico figlio di Dio!»

Due ali fremettero nel petto di Gesù; sentì una grossa stella del mattino, ribelle, bruciare fra le sue sopracciglia. In lui risuonò una voce: «Non sono un uomo, non sono un angelo, non sono il tuo servo, sono tuo figlio, Adonai. Mi siederò sul tuo trono per giudicare i vivi e i morti e, nella mia mano destra reggerò, per giocarvi, una sfera: il mondo. Fammi posto, lasciami sedere!»

Un violento scoppio di risa echeggiò nell'aria. Gesù sussultò, l'angelo era sparito. Lanciò un grido lacerante: «Lucifero!» e cadde riverso con la faccia nella sabbia. «A presto», disse una voce in tono canzonatorio, «un giorno ci incontreremo di nuovo: a presto!» «Giammai», ruggì Gesù, «giammai, Satana!» Manteneva il viso nascosto nella sabbia.

«Ci ritroveremo!» ripeté la voce, «a Pasqua, disgraziato!»Gesù si mise a lamentarsi. Le sue lacrime colavano sulla sabbia come

grosse gocce calde. Durante lunghissime ore il suo pianto lavò e purificò la sua anima. Verso il calare della sera soffiò un venticello fresco, il sole era più tenue, le montagne lontane avevano un tono rosato. Allora Gesù udì una voce compassionevole e una mano invisibile gli toccò una spalla.

«Alzati, il giorno del Signore è arrivato. Corri a portare questa notizia agli uomini. Io arrivo!»

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Come aveva fatto ad avere il tempo di attraversare il deserto, raggiunge-re il Mar Morto, tornare indietro, inoltrarsi di nuovo nei campi e nell'aria ispessita dal fiato degli uomini? Non era lui che camminava, non ne avrebbe avuto la forza. Due mani invisibili lo reggevano per le ascelle. La nuvola trasparente che era apparsa nel deserto adesso si era fatta più densa, più nera e aveva invaso tutto il cielo; si udirono dei colpi di tuono e le prime gocce caddero. La terra si scurì e i sentieri disparvero. All'improv-viso le cateratte del cielo si aprirono, Gesù tese il palmo della mano che si riempì d'acqua e bevve. Si fermò, non sapeva che direzione seguire. I

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lampi squarciavano il cielo, la terra brillava per un istante, blu, gialla, livida e, di colpo, piombava di nuovo nelle tenebre. Da che parte era Gerusalemme? Da che parte stava Giovanni Battista? E i suoi compagni che l'aspettavano fra gli arbusti e i canneti del fiume! «Mio Dio», mormo-rò, «illuminami, lancia un fulmine, mostrami il cammino!» Aveva appena finito di parlare che un lampo squarciò il cielo proprio davanti a lui; Dio gli aveva fatto un segno ed egli, sicuro di sé, andò nella direzione del fulmine.

La pioggia era molto forte, le acque maschie del cielo scorrevano e si univano alle acque femminee della terra, ai laghi, ai fiumi. Terra, cielo e pioggia non erano più che una cosa sola, lo perseguitavano, lo spingevano verso gli uomini. Sguazzava nel fango, inciampava in strani arbusti, scendeva nei fossi, risaliva. Al chiarore di un lampo vide sopra di sé un melograno carico di frutti. Ne colse uno, la sua mano si riempì di rubini, la sua gola si rinfrescò. Ne colse un altro, un altro ancora, mangiò, benedisse la mano che aveva piantato il melograno, riprese forza e si rimise in cam-mino. Camminò e camminò. Era giorno o notte? Era buio. I suoi piedi era-no appesantiti dal fango; camminando, gli pareva di sollevare la terra intera. Di colpo, alla luce dei lampi, scorse davanti a sé sulla cima di una collina un piccolo villaggio. Le sue case, tutte bianche, si accendevano e si spegnevano con i lampi. Il suo cuore fece un balzo di gioia. Degli uomini, dei fratelli, abitavano in quelle case; aveva voglia di stringere la mano di un uomo, di respirarne l'odore, di mangiare del pane, di bere del vino, di parlare. Per quanti anni era stato assetato di solitudine! Girava fra i campi e le montagne, parlava con gli uccelli e gli animali selvatici, sfuggiva gli uomini; ora, invece, che gioia quella di stringere la mano di un uomo!

Allungò il passo e prese il sentiero lastricato; gli tornarono le forze, ora infatti sapeva dove andava, dove lo conduceva il cammino che Dio gli aveva mostrato. Man mano che saliva, le nuvole si facevano sempre più rare e apparve un angolo di cielo e il sole fece capolino, proprio nel mo-mento in cui tramontava. Udì cantare i galli del villaggio e abbaiare i cani; alcune donne chiacchieravano sulle terrazze; un fumo azzurrognolo si alzava sui tetti e sentì un odore di legna bruciata.

«Benedetta la razza degli uomini...» mormorò Gesù che stava passando davanti alle prime case e udiva gli uomini parlare. Le pietre, l'acqua, le case splendevano, o meglio ridevano, felici. La terra assetata aveva bevu-to; il sole che era sparito era tornato. Era stato un vero diluvio, gli uomini e gli animali avevano avuto paura, ma le nuvole cominciavano a disperdersi

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e il cielo era ridiventato azzurro: tutti si sentivano più tranquilli. Gesù, inzuppato fino al midollo, allegro, camminava per le stradine strette in cui l'acqua formava dei piccoli rivoli. Apparve una ragazzina che trascinava una capra bianca con le mammelle gonfie di latte: la portava a pascolare.

«Come si chiama il vostro villaggio?» le chiese Gesù sorridendo.«Betania.»«E a che porta potrei bussare per passarvi la notte? Non sono di qui.»«Entra nella prima porta aperta!» rispose ridendo la ragazza.Alla prima porta aperta... questo villaggio ha buon cuore, ama gli stra-

nieri, pensò Gesù. Camminò per trovare una porta aperta. Non erano più stradine, ma fiumi; solo le pietre più grosse emergevano dall'acqua. Gesù saltava di pietra in pietra e andava avanti. Le porte erano chiuse, annerite dalla pioggia. Girò al primo angolo e vide una porticina a volta, dipinta d'azzurro, completamente spalancata. Una ragazza paffuta, dal mento gras-so e le labbra grosse, stava lì in piedi; dentro alla casa poco illuminata si intravedeva un'altra ragazza seduta al telaio, che tesseva canticchiando.

Gesù si avvicinò, si fermò sulla soglia, si mise una mano sul cuore e salutò.

«Sono straniero», disse, «Galileo. Ho fame, non ho un posto in cui dormire e ho freddo. Sono un onest'uomo, permettetemi di dormire, per stanotte, in casa vostra. La porta era aperta e sono entrato, perdonate.»

La ragazza si voltò con la mano ancora piena di becchime per le galline, lo guardò tranquillamente dalla testa ai piedi e sorrise.

«Che tu sia benvenuto», disse.L'altra ragazza si alzò dal telaio e uscì nel cortile. Era pallida, d'ossatura

sottile, aveva delle trecce nere arrotolate sulla testa a mo' di doppia corona, grandi occhi vellutati e tristi e portava al collo una collanina di turchesi per cacciare il malocchio. Guardò il visitatore e arrossì.

«Siamo sole», disse, «Lazzaro, nostro fratello, è assente. È andato al Giordano per farsi battezzare.»

«E che cosa importa se siamo sole?» disse l'altra. «Non ci mangerà. Entra, amico, non stare ad ascoltarla, è una paurosa. Inviteremo i paesani per tenerti compagnia e gli anziani verranno a domandarti chi sei, dove vai e che cosa ci porti. Entra dunque nella nostra povera dimora... Che cosa ti succede? Hai freddo?»

«Ho freddo, fame e sonno», rispose Gesù, oltrepassando la soglia.«Non preoccuparti, sistemeremo tutto», disse la ragazza. «E, perché tu

lo sappia, io mi chiamo Marta e mia sorella Maria. E tu?»

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«Gesù di Nazareth.»«Un uomo per bene?» lo prese in giro Marta ridendo.«Un uomo per bene», egli rispose, serio. «Quanto mi è possibile, Marta,

sorella mia.»Entrò nella baracca. Maria accese il lume, lo appese in alto e la capanna

s'illuminò. I muri erano imbiancati a calce, puliti; contro il muro, c'era un lungo pancone di legno coperto di cuscini e coperte, due madie scolpite in legno di pino e qualche sgabello. In un angolo il telaio, in un altro due giare per le olive e l'olio; entrando, a destra, c'era la brocca dell'acqua fre-sca con a fianco un lungo asciugamano di lino appeso a un gancio di le-gno. La casa odorava di legno di cipresso e di melograno. In fondo vi era un gran camino senza fuoco e, appesi intorno, utensili da cucina.

«Vado ad accendere il fuoco perché tu possa asciugarti, siediti.»Marta gli mise uno sgabello davanti al camino, corse veloce nel cortile

e ritornò con una bracciata di sterpi, di rami di alloro e due ceppi di olivo; si inginocchiò, collocò i rametti sul camino e accese il fuoco. Gesù, con la testa fra le mani, chino e appoggiato sulle ginocchia, guardava. Che ceri-monia santa, pensava, quella di preparare la legna, di accendere il fuoco e nel freddo, farsi riscaldare dalla fiamma, come da una sorella piena di Compassione! E anche quella di entrare in una casa estranea stanco e affamato ed essere consolato da due sorelle sconosciute. I suoi occhi si riempirono di lacrime.

Marta si alzò, scese in cantina e tornò con del pane, delle olive, del miele e una brocca di vino, che appoggiò ai piedi dello straniero.

«Ecco qualcosa», disse, «per stuzzicarti l'appetito. Adesso metterò la pentola sul fuoco affinché tu possa mangiare del cibo caldo per tirarti un po' su. A quanto pare, devi venire da molto lontano.»

«Dalla fine del mondo», rispose. Si chinò febbrilmente sul pane, le oli-ve, il miele. Che meraviglia, che gioia, con che generosità Dio offre tutto ciò agli uomini. Mangiava, mangiava e benediva il Signore.

Intanto Maria, in piedi di fianco alla lampada, guardava in silenzio sia il fuoco, sia il visitatore inaspettato, sia la sorella alla quale la gioia di avere un uomo per casa e di servirlo aveva messo le ali.

Gesù alzò la brocca e guardò le due ragazze.«Marta e Maria, sorelle mie!» esclamò. «Avrete certamente sentito dire

che quando ci fu il diluvio, ai tempi di Noè, tutti gli uomini erano peccatori e che annegarono tutti, tranne i pochi giusti che entrarono nell'Arca,e che furono salvati. Maria e Marta, ve lo giuro: se dovesse venire un altro

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diluvio e se dipendesse da me, vi chiamerei, o sorelle, perché entriate nella nuova Arca. Questa sera, infatti, avete visto arrivare uno sconosciuto, mal-vestito e scalzo, gli avete acceso un fuoco ed egli si è riscaldato, gli avete dato del pane ed egli si è saziato, gli avete detto delle parole benevole e il regno dei cicli è entrato nel suo cuore. Bevo alla vostra salute, sorelle; che il nostro incontro sia benedetto.»

Maria gli si avvicinò e si sedette ai suoi piedi.«Non mi stanco di ascoltarti, straniero», disse, rossa in viso. «Parla

ancora.»Marta appoggiò la pentola sul focolare, preparò la tavola e attinse del-

l'acqua fresca dal pozzo del cortile. Poi disse a un ragazzetto vicino di casa di andare a chiedere ai tre anziani del villaggio di farle la grazie di venire a casa loro perché era giunto un visitatore.

«Parla ancora», ripeté Maria, vedendo che Gesù taceva.«Che cosa vuoi che ti dica, Maria?» disse Gesù sfiorando le sue trecce

nere. «Il silenzio è cosa buona; dice tutto.»«Il silenzio non è sufficiente per una donna», ribatté Maria.«L'infelice ha bisogno pure di una buona parola.»«Neppure una buona parola è sufficiente alla donna, non ascoltare!»

esclamò Marta che stava mettendo dell'olio nella lampada per farla durare più a lungo quella sera, in cui sarebbero venuti gli anziani per discutere di argomenti molto seri. «Una buona parola non è certo sufficiente ad accon-tentarla, povera infelice. Essa desidera un uomo che faccia rumore quando cammina, vuole un bambino da allattare per alleviare il suo seno... Vuole molte cose la donna, Gesù di Galilea, ma voi uomini non potete certo saperlo!»

Cercò di sorridere, ma non vi riuscì. Aveva trent'anni e non era sposata.Tacquero. Ascoltavano il fuoco divorare i ceppi d'ulivo e lambire con le

sue fiamme la marmitta di terracotta che bolliva. Tutti e tre avevano lo sguardo fisso sulle fiamme. Finalmente parlò Maria:

«Mentre la donna è seduta a filare, non puoi immaginare tutto ciò che le passa per la testa! Se lo potessi sapere, compatiresti quella donna, Gesù di Nazareth!»

«Lo so», disse Gesù sorridendo. «Una volta, in un'altra vita, sono stato donna anch'io, e tessevo.»

«E a che cosa pensavi?»«A Dio. A nient'altro che a Dio, Maria. E tu?»Maria non rispose, ma il suo cuore era pesante. Marta udiva il dialogo,

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mormorava, sospirava, ma si tratteneva. Taceva, ma alla fine non resistette.«Maria e io», ella disse, e la voce le si era fatta roca, «Maria e io e tutte

le donne del mondo che non hanno un marito pensano a Dio, stai pure tranquillo. Lo tengono sulle loro ginocchia come un uomo.»

Gesù abbassò la testa e ammutolì. Marta tolse la marmitta dal fuoco, la cena era pronta. Andò a prendere in cantina le scodelle di terracotta per servire la minestra.

«Voglio confessarti una cosa alla quale pensavo un giorno in cui stavo tessendo.» Maria parlava a bassa voce, affinché la sorella, dalla cantina, non potesse udirla. «Anch'io pensavo a Dio, quel giorno, e gli ho detto: 'Mio Dio, se un giorno Tu accettassi di entrare nella nostra umile casa, Tu saresti il padrone e noi le visitatoci'. E poi...» Le venne un nodo alla gola e tacque.

«E poi?» riprese Gesù, chinandosi per udire.Comparve Marta con le scodelle.«Niente», mormorò Maria, alzandosi.«Venite, andiamo a mangiare», disse Marta. «Gli anziani non tarderan-

no, non devono trovarci ancora a tavola.»Si inginocchiarono tutti e tre, Gesù prese il pane, lo alzò in alto e recitò

la preghiera con tanto fervore e passione che le due sorelle, sorprese, si girarono e lo guardarono. E, vedendolo, ne furono spaventate. Il suo viso risplendeva e dietro alla sua testa l'aria era diventata di fuoco e vibrava. Maria fece un gesto con la mano.

«Signore», disse «tu sei il padrone qui e noi le visitatrici. Ordina!»Gesù abbassò la testa per celare il suo turbamento. Era il primo richia-

mo, la prima anima che lo riconosceva.Stavano alzandosi da tavola quando, sulla porta, apparve un'ombra: un

vecchio gigantesco stava ritto sulla soglia. Aveva una barba lunga quanto un fiume, un'ossatura potente, braccia solide, il petto villoso dai peli di ariete. Aveva un bastone ricurvo, più alto di lui, che non gli serviva per appoggiarsi ma per picchiare e mettere gli uomini al passo.

«Vecchio Melchisedech», dissero le due ragazze chinandosi, «che tu sia il benvenuto in casa nostra.»

L'uomo entrò, liberò la soglia e apparve un altro anziano, molto vec-chio, magro, con una lunga testa cavallina, sdentato; ma i suoi occhietti lampeggiavano e non si riusciva a sostenere a lungo il suo sguardo. Si dice che il serpente nasconde il veleno dietro ai suoi occhi; lui, dietro ai suoi occhi, aveva il fuoco. E, dietro al fuoco, un cervello ritorto e perverso.

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Le ragazze s'inchinarono e gli dettero il benvenuto ed egli, a sua volta, entrò. Dietro a lui apparve il terzo vecchio, cieco, piccolo, e grasso. Tendeva il suo bastone davanti a sé, era il bastone che aveva gli occhi e che lo guidava senza sbagliarsi. Amava scherzare, era un brav'uomo. Quando giudicava i contadini, non aveva l'animo di castigarli. «Non sono Dio», diceva, «colui che giudica sarà giudicato. Riconciliatevi, figlioli, perché non voglio storie nell'altro mondo.» Alcuni dicevano che era pazzo, altri che era santo; il vecchio Melchisedech non lo poteva soffrire, ma che cosa doveva fare? Era il fattore più importante del villaggio, della razza dei sacerdoti di Aronne!

«Marta», disse Melchisedech, «Marta, chi è lo straniero che è entrato nel nostro villaggio?»

Gesù si alzò dal cantuccio del focolare dov'era tranquillamente seduto.«Tua signoria?» fece il vecchio esaminandolo dalla testa ai piedi.«Io», disse Gesù. «Sono di Nazareth.»«Galileo?» balbettò il secondo vecchio, lingua di vipera. «Non può

venir fuori nulla di buono da Nazareth. Lo dicono le Scritture.»«Non lo trattare male, vecchio Samuele», disse il cieco. «Per dire il

vero i Galilei sono un po' sciocchi, chiacchieroni e sono portati a scherzi un po' pesanti; ma sono brava gente. Il nostro ospite, questa sera, è un brav'uomo. Lo capisco dalla sua voce.»

Si girò verso Gesù.«Che tu sia il benvenuto, figliolo», disse.«Sei un mercante?» chiese il vecchio Melchisedech. «Che cosa vendi?»Mentre gli anziani parlavano, entrarono i ricchi proprietari, i benestanti

del villaggio. Avevano saputo che era arrivato uno straniero, si erano vestiti come per una festa ed erano giunti ad augurargli il benvenuto, a informarsi da dove veniva e ad ascoltare ciò che raccontava, tanto per pas-sare il tempo. Entrarono e si inginocchiarono in terra, dietro agli anziani.

«Non vendo nulla», disse Gesù. «Nel mio villaggio, ero falegname. Ma ho abbandonato il mio lavoro e la casa di mia madre e mi sono votato a Dio.»

«Hai fatto bene, figliolo», disse il cieco. «Sei fuggito dal mondo. Ma, attenzione, o infelice, ora avrai a che fare con un diavolo sacro: con Dio. Per sfuggirgli, a quello...!»

Si mise a ridere.Udendolo, il vecchio Melchisedech fu sul punto di scoppiare di collera,

ma rimase muto.

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«Monaco?» sibilò il secondo vecchio, beffardo. «Anche tu sei la vita, o Zelota, o un falso profeta?»

«No, no», rispose Gesù, addolorato, «no, no.»«Che cosa, allora?»Nel frattempo entrarono le donne, ben vestite, per vedere lo straniero e

affinché lo straniero le vedesse. Era vecchio? Giovane? Bello? Che cosa vendeva? Avrebbe potuto essere un fidanzato per le due belle zitelle Marta e Maria? Era ormai tempo che un uomo le prendesse fra le braccia, pensavano, altrimenti diventeranno pazze, quelle poverine.

Si erano preparate ed erano venute; si erano messe in fila, in piedi, dietro agli uomini.

«E che cosa allora?» ripeté il vecchio pieno di fiele.Gesù tese i palmi delle mani in direzione del fuoco; di colpo si era

messo a tremare; le sue vesti, ancora umide, emanavano vapore. Rimase in silenzio per un po'. Il momento è propizio per parlare, pensava, per rivelare le parole che Dio mi ha confidato e per risvegliare in tutti questi uomini e queste donne che si perdono in vane inquietudini, il Dio che dorme in loro. Che cosa vendo? Risponderò loro: «Il regno dei cieli, la salvezza dell'ani-ma, la vita eterna». Che diano tutto ciò che possiedono per comprare quest'immensa Perla preziosa. Gettò una rapida occhiata, guardò al lume della lampada e al chiarore delle fiamme tutti quei visi che lo circonda-vano, avidi, furbi, inariditi dalle misere angosce che rodono gli uomini, inaspriti dalla paura. Ebbe pietà di loro. Stava per alzarsi e parlare, ma era molto stanco, quella sera, erano notti che non dormiva sotto un tetto, che la sua testa non si appoggiava su di un cuscino. Aveva sonno; si appoggiò contro il muro annerito del camino e chiuse gli occhi.

«È stanco», disse Maria e guardò gli anziani con aria di supplica. «È stanco, uomini, non tormentatelo...»

«È giusto!» urlò Melchisedech. Si appoggiò al bastone e fece cenno di alzarsi per andarsene. «Hai ragione, Maria; gli stiamo parlando come se lo giudicassimo. Dimentichiamo», si voltò verso il secondo anziano, «dimen-tichi, vecchio Samuele, che spesso gli angeli scendono sulla terra travestiti da poveri, vestiti di stracci, scalzi, senza bastone né bisaccia, come costui. È bene comportarci nei riguardi dello straniero come se fosse un angelo. È il linguaggio della saggezza.»

«E anche il linguaggio della follia!» esclamò il cieco, scoppiando a ridere. «Ed è quanto dico anch'io. E non è solamente lo straniero che dob-biamo prendere per un angelo, ma tutti gli uomini... anche il vecchio

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Samuele!»Samuele, lingua di vipera, divenne furente di collera: fu sul punto di

aprir bocca, ma si trattenne. È ricco, quello sporco cieco, pensò, potrei aver bisogno di lui, uno di questi giorni. Facciamo finta di non aver sentito; è la voce della saggezza.

Il soave chiarore del fuoco cadeva sul viso stanco e sul petto scoperto di Gesù e accendeva riflessi azzurrini sulla sua barba ricciuta, nera come l'ala di un corvo.

«Anche se è povero», mormoravano le donne, «è un bel ragazzo. Hai visto i suoi occhi? Non ho mai visto occhi più dolci in tutta la mia vita. Neppure quelli di mio marito quando mi tiene fra le braccia.» «Non ne ho mai visti di più selvaggi», disse un'altra. «Sono terrificanti. Si prova il desiderio di abbandonare tutto e di fuggire sulle montagne.» «E hai visto come Marta se lo divorava con gli occhi? Diventerà pazza, poverina.» «Ma lui era Maria che guardava di nascosto», disse un'altra. «Le due sorelle litigheranno, ricordate ciò che vi dico, noi siamo le loro vicine e udiremo le loro grida.»

«Andiamo!» ordinò il vecchio Melchisedech. «Abbiamo fatto la fatica di venire qui invano, il visitatore ha sonno. Alzatevi, vecchi, andiamo!» Tese il bastone per aprirsi un varco fra gli uomini e le donne.

Ma nel momento in cui arrivava sulla soglia, si udirono dei passi precipitosi nel cortile e apparve un uomo livido, senza fiato, che cadde davanti al focolare. Le due sorelle si chinarono su di lui, spaventate e lo presero fra le braccia.

«Fratello», gridavano, «che cosa ti è successo? Chi ti insegue?»Il primo anziano si fermò. Toccò con il bastone il nuovo arrivato.«Lazzaro», disse, «se porti brutte notizie, che le donne se ne vadano e

che gli uomini rimangano qui per udirle.»«Il re ha catturato Giovanni Battista e gli ha fatto tagliare la testa!» urlò

Lazzaro.Si rialzò; tremava. Aveva il viso terreo, livido, e i suoi occhi, di un

verde slavato, brillavano davanti al fuoco come quelli di un gatto selvatico.«Non abbiamo perso la nostra giornata», disse il cieco, soddisfatto. «Da

stamattina, quando ci siamo svegliati, fino a ora, quando andiamo a cori-carci, è successo qualcosa, malgrado tutto. Il mondo si è mosso. Sediamoci su degli sgabelli per ascoltare. Mi piacciono le novità, anche se sono cattive.»

Si chinò verso Lazzaro.

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«Parla, ragazzo mio, te ne prego. Quando, come e perché è successa tale disgrazia? Racconta tutto, in ordine, non ti affrettare, ci farai passare il tempo. Riprendi fiato, che noi ti ascoltiamo.»

Gesù era trasalito; guardava Lazzaro e le sue labbra tremavano. Era un nuovo segno che Dio gli mandava, il Precursore aveva abbandonato questo mondo, non era più necessario, aveva preparato il cammino, compiuto il suo compito, e se n'era andato... È giunta la mia ora... È giunta la mia ora, pensò Gesù, rabbrividendo, ma taceva e manteneva il suo sguardo fisso sulle labbra livide di Lazzaro.

«L'ha ammazzato?» ruggì il vecchio Melchisedech, percuotendo violen-temente il suolo con il suo bastone. «A quale punto siamo arrivati? L'ince-stuoso uccide il santo, depravato l'asceta! La fine del mondo è giunta!»

Le donne furono prese dal panico e si misero a urlare. Il cieco ebbe pietà di loro.

«Esageri, vecchio Melchisedech», disse. «Il mondo è solido, non abbia-te paura, donne!»

«La gola del mondo è stata tagliata, la voce del deserto è stata messa a tacere. Chi implorerà Dio ora, per noi peccatori?» Lazzaro piangeva. «Il mondo è orfano!»

«Non devi ribellarti al potere», sibilò il secondo anziano. «Qualsiasi cosa facciano i potenti, chiudi gli occhi, non cercare di vedere. Dio lo vede, non immischiartene; gli sta bene a Giovanni Battista!»

«Allora bisogna essere schiavi?» ruggì Melchisedech. «Ma perché, dimmi, Dio ha dato all'uomo una testa? Per alzarla contro i tiranni. Ecco che cosa dico!»

«Anziani, tacete, per ascoltare com'è successa la disgrazia», disse il cieco, nervosamente. «Parla tu, Lazzaro, figliolo mio!»

«Stavo andando a farmi battezzare anch'io, per vedere di ritrovare la salute», cominciò Lazzaro. «In questi ultimi tempi non stavo molto bene, peggioravo, avevo le vertigini e i miei occhi erano gonfiati; i miei reni...»

«Bene, bene, questo lo sappiamo», tagliò corto il cieco. «E dopo?»«Arrivai al Giordano, sotto il ponte, dove la gente si raduna per il batte-

simo. Udii grida e singhiozzi e mi dissi che non era nulla, che gli uomini che dovevano confessare i loro peccati, piangevano. Avanzai e vidi uomini e donne riversi supini nel fango, che si lamentavano... 'Che cosa succede, fratelli, perché piangete?' domandai loro. 'Hanno ucciso il Profeta!' 'Chi?' 'Quel criminale senza fede né legge, Erode!' 'Come? Quando?' Era ubriaco; sua cognata Salomè, l'impudica, ha danzato nuda davanti a lui, e la sua

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bellezza ha fatto girare la testa del vecchio licenzioso. 'Che cosa vuoi che ti dia?' le chiese, facendosela sedere sulle ginocchia. 'La metà del mio regno?' 'No.' 'Allora che cosa vuoi?' 'La testa di Giovanni Battista.' 'Prendila!' le rispose e venne a portargliela su un piatto d'argento.» Lazzaro smise di parlare e si accasciò nuovamente per terra. Tutti tacevano. La lampada crepitò, vacillò, stava per spegnersi. Marta si alzò; la riempì d'olio e la fiamma riprese vita.

«Ecco la fine del mondo»... ripeté il vecchio Melchisedech accarezzan-dosi la barba, dopo un lungo silenzio durante il quale aveva soppesato dentro di sé il mondo, aveva riflettuto sui crimini e sulle infamie; ogni giorno arrivavano notizie da Gerusalemme: gli idolatri insozzano il Tempio Santo, i sacerdoti sgozzano ogni mattino un toro e due agnelli per sacrificarli, non al Dio d'Israele, bensì all'imperatore maledetto e ateo di Roma; i ricchi al mattino aprono le loro porte, vedono sulla soglia gli uomini morti di fame durante la notte, sollevano le loro vesti di seta, scavalcano i cadaveri e vanno a passeggiare sotto gli archi del Tempio... Il vecchio Melchisedech aveva meditato su tutto ciò e pronunciato la sua sentenza: è arrivata la fine del mondo. Si girò verso Gesù.

«E tu, che cosa ne dici?» domandò.«Arrivo dal deserto», rispose Gesù con voce fattasi improvvisamente

grave, così che tutti si voltarono a guardarlo, «arrivo dal deserto e ho visto: tre angeli sono già scesi dal cielo per abbattersi sulla terra; li ho visti con i miei occhi, sono apparsi nel cielo, arrivano! Il primo è la Lebbra, il secon-do la Follia, il terzo, il più caritatevole, è il Fuoco. Udii un grido: 'Figlio del falegname, fabbrica un'Arca, facci entrare tutti i giusti che troverai, fai svelto; il giorno del Signore, il mio giorno, è arrivato'. Arrivo.»

I tre anziani lanciarono un grido. Gli uomini si alzarono battendo i denti. Le donne, spaventate, si precipitarono tutte insieme verso la porta, per andarsene. Marta e Maria si piazzarono in piedi di fianco a Gesù come per chiedergli la sua protezione; non aveva forse giurato di prenderle seco nell'Arca? L'ora era giunta.

Il vecchio Melchisedech si asciugò il sudore che gli colava dalle bian-che tempie.

«Ciò che dice questo straniero è la verità!» gridò. «La verità! Fratelli, ascoltate questo miracolo: stamattina, quando mi sono alzato, ho aperto, secondo la mia abitudine, le Sacre Scritture e mi sono imbattuto sulle parole del Profeta Gioele: Tate suonare le trombe di Sion che ne risuoni tutta la Montagna Santa; tremate, tutti voi, che abitate la terra, perché il

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giorno del Signore arriva fra tenebre e nebbia. Davanti a lui c'è il fuoco e dietro a lui, pure. Egli è come cavalli che caricano al galoppo, come carri di guerra che rimbombano sulle pietre. E sopra vi sono montagne di fuoco che crepitano, come le fiamme che si precipitano sugli arbusti per divorar-li... Ecco il giorno del Signore!' Lessi quella terribile notizia due o tre volte e mi misi a salmodiare, scalzo, nel cortile. Poi mi gettai con la faccia in terra e gridai: 'Se devi venire presto, o Signore, mandami un segno, affinché io mi prepari, che abbia pietà dei poveri, che apra le mie cantine, che espii i miei peccati... Mandami un lampo, un uomo, che me lo annunci, affinché io abbia tempo!'»

Si girò verso Gesù.«Tu sei il segno», disse. «È Dio che ti manda. Avrò il tempo? Quand'è

che il cielo si aprirà, figliolo mio?»«Ogni istante che passa, vecchio», rispose Gesù, «è un cielo pronto ad

aprirsi. A ogni istante la Lebbra, la Follia e il Fuoco fanno un passo e avanzano. Le loro ali sfiorano già i miei capelli.»

Lazzaro aveva spalancato i suoi occhi verdi e slavati e guardava Gesù. Fece un passo, titubante.

«Sei tu Gesù di Nazareth?» domandò. «Si racconta che nel momento in cui il boia afferrò l'ascia per tagliare la testa del Battista, il Profeta abbia teso la mano verso il deserto, gridando: 'Gesù di Nazareth, abbandona il deserto, vieni dagli uomini. Vieni, affinché il mondo non rimanga solo!' Se tu sei Gesù di Nazareth, benedetta sia la terra che calpesti; la mia casa è stata santificata, sono stato battezzato, sono guarito. Mi prosterno ai tuoi piedi per adorarti.»

Si chinò per baciare i piedi di Gesù, ricoperti di ferite.Ma Samuele, il vecchio furbo, non tardò a riprendersi dalla sorpresa.

Per un attimo, la sua mente ne era rimasta turbata, ma aveva rapidamente ritrovato il suo equilibrio. Nei profeti si trova tutto ciò che si vuole, pensò. In una colonna, Dio si scatena contro il suo popolo, alza il pugno per schiacciarlo. Nella colonna di fronte, è tutto zucchero e miele. A seconda dell'umore con cui ci svegliamo, troviamo la profezia che ci si addice. Allora non facciamoci cattivo sangue... Scosse la testa cavallina e rise, di nascosto, sotto la barba. Ma non aprì la bocca per parlare. Lasciamo che il popolo abbia paura, pensò, gli farà solo bene; se non esistesse la paura, dato che i poveri sono più numerosi e più robusti di noi, per noi sarebbe la fine!

Taceva e guardava con disprezzo Lazzaro che baciava i piedi del

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visitatore e che gli parlava.«Se i Galilei, almeno quelli che ho conosciuto al Giordano», gli diceva,

«sono tuoi discepoli, Rabbi, mi hanno dato un messaggio nel caso ti avessi incontrato. Se ne andranno e ti aspetteranno a Gerusalemme, alla porta di Davide, nella taverna di Simone il Cireneo. L'assassinio del Profeta ha fatto loro paura e vanno a nascondersi. La persecuzione è cominciata.»

Nel frattempo, le donne sollecitavano i propri mariti ad andarsene con loro. L'avevano ben capito: quello straniero aveva un occhio viperino; vi guarda e il vostro spirito si perde, vi parla e il mondo crolla.

Il cieco ebbe nuovamente pietà di quegli uomini.«Coraggio, ragazzi», esortò, «odo delle cose gravi, ma non abbiate pau-

ra. Ancora una volta tutto si sistemerà senza violenza, vedrete. Il mondo è solido e ben saldo. Finché durerà Dio, esso durerà. Non ascoltate coloro che hanno gli occhi aperti, ascoltate me. Sono cieco, ecco perché vedo meglio di voi tutti. La Tribù d'Israele è immortale, ha concluso un accordo con Dio; Dio vi ha messo la sua firma, ci ha donato tutta la terra. Non abbiate paura, è quasi mezzanotte, andiamo a dormire.»

Tese il suo bastone davanti a sé e si diresse dritto verso la porta.I tre anziani andarono in testa, seguiti dagli uomini, quindi dalle donne;

la casa rimase vuota.Le due sorelle prepararono il giaciglio del visitatore sulla pedana di

legno; Maria tirò fuori dal suo baule le lenzuola di lino e seta che teneva via per le sue nozze, Marta portò il piumino di seta che da tanti anni conservava, senza toccarlo, nel baule, nell'attesa della tanto agognata notte in cui se ne sarebbe coperta con il marito; portò pure delle erbe aromati-che, basilico e menta e ne riempì il guanciale di Gesù.

«Questa sera dormirà come un fidanzato», disse Marta sospirando; an-che Maria sospirò ma tacque. Mio Dio, disse dentro di sé, non mi ascol-tare; il mondo è ben fatto, anche se io sospiro. È fatto bene, non ho paura che della solitudine, e questo visitatore mi piace molto.

Le due sorelle entrarono nella stanzetta del fondo e si distesero sui loro sterili letti; i due uomini si stesero sulla pedana di legno, uno da ciascuna parte e i loro piedi si toccavano. Lazzaro era felice. C'era un'aria di santità, una beatitudine, in tutta la casa! Respirava con calma e profondamente; appoggiava lievemente i piedi contro i piedi sacri e sentiva salire e diffon-dersi per tutto il corpo una forza misteriosa, una certezza divina; la sua schiena non gli faceva più male, il suo cuore batteva con un ritmo armonioso, il suo sangue scorreva tranquillo e felice dalla testa ai piedi e

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irrigava il suo corpo gonfio e sfinito.È questo il battesimo, pensava, questa sera sono stato battezzato. Anche

la casa e le mie sorelle, sono state battezzate. Il Giordano è venuto fino a casa mia.

Le due sorelle non riuscivano a chiudere occhio. Erano anni che nessu-no straniero dormiva a casa loro. Gli stranieri si fermavano sempre da un notabile; come avrebbero potuto giungere alla loro casa che era umile e isolata? Il loro fratello era malaticcio e strano, non amava la compagnia. E quella sera, che felicità inattesa! Le loro narici fremevano, fiutavano l'aria. Com'era cambiata, com'era profumata, non di basilico e di menta, no, ma di uomo.

«Pare che Dio l'abbia mandato per costruire un'Arca e ci ha dato la sua parola di farci entrare... Senti che cosa ti dico, Maria, o stai dormendo?»

«Non dormo», rispose Maria. Sosteneva con tutte e due le mani i seni che le dolevano.

«Mio Dio», continuò Maria, «che la fine del mondo arrivi in fretta, per entrare nell'Arca con lui. Io lo servirò, non ne provo vergogna, e tu gli farai compagnia. L'Arca navigherà sulle acque eterne; e io lo servirò in eterno e tu sarai seduta ai suoi piedi e gli terrai compagnia. È così che io immagino il Paradiso. E tu, Maria?»

«Anch'io», mormorò Maria e chiuse gli occhi.Parlavano e sospiravano. Gesù dormiva profondamente e gli pareva di

essere in piedi; come se non fosse stato immerso nel sonno, come se fosse entrato con tutto il corpo e con tutta l'anima nel Giordano; si rinfrescava, il suo corpo si levava da dosso la sabbia del deserto, la sua anima si allegge-riva delle virtù e dei vizi degli uomini, tornava a essere pura. Per un istan-te, nel sonno, gli parve di essere uscito dal Giordano, di aver preso un sentiero verde che nessuno aveva mai calpestato prima e che entrava in un giardino profondo, pieno di fiori e di frutta. E non era più lui, Gesù di Nazareth, il figlio di Maria, ma era Adamo, la prima creatura. Era appena uscito dalle mani di Dio, la sua carne era ancora fresca argilla; si era steso sull'erba in fiore, al sole, per asciugarsi, perché le sue ossa s'indurissero, il suo viso si colorisse, e perché le settantadue articolazioni del suo corpo si saldassero per bene affinché egli potesse alzarsi e camminare. E mentre era steso al sole e si completava la sua maturazione, degli uccelli svolazzavano sulla sua testa, andavano da un albero all'altro, camminavano nell'erbetta primaverile, si parlavano tra di loro cinguettando, guardavano, osserva-vano quella strana creatura nuova che riposava sull'erba; ognuno diceva la

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sua, poi volavano via.E Gesù conosceva, almeno gli pareva, il linguaggio degli uccelli ed era

felice di udirli.Il pavone faceva la ruota, fiero delle sue penne, camminava dappertutto,

gettava sguardi obliqui e affettuosi su Adamo, disteso in terra e gli spie-gava: «Ero una gallina, ho amato un angelo e sono diventato un pavone. Esiste forse al mondo un uccello più bello di me? Non ne esistono». La tortora svolazzava di albero in albero, allungava il collo verso il cielo e cantava: «Amore! Amore! Amore!» Il tordo: «Solo fra tutti gli uccelli, nel freddo più intenso, canto e mi riscaldo». La rondine: «Se non esistessi, gli alberi non fiorirebbero mai». Il gallo: «Se non esistessi, il sole non sorge-rebbe mai». L'allodola: «Quando il mattino salgo in cielo a cantare, dico addio ai miei figli, perché non so se dopo aver cantato sarò ancora viva». L'usignolo: «Non badare alla povertà dei miei indumenti; anch'io avevo grandi ali splendenti, ma le ho tramutate in canto». E un merlo dal becco ricurvo venne a posarsi sulla spalla della prima creatura, si chinò sul suo orecchio e gli parlò a bassa voce, come per confidargli un segreto molto importante:

«Le porte del Paradiso e dell'Inferno sono una di fianco all'altra; identi-che tutte e due, verdi tutte e due, belle tutte e due. Fai attenzione, Adamo! Fai attenzione, Adamo! Fai attenzione, Adamo!»

E, con il canto del merlo, all'alba, Gesù si svegliò.

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Dio, e gli uomini assieme a lui, realizzano grandi cose. Senza l'uomo, Dio non avrebbe su questa terra uno spirito che rifletta in modo più intelli-gibile le sue creature e che esplori con sfacciataggine e terrore la sua sapienza onnipotente; non vi sarebbe su questa terra un cuore che soffra per le angosce altrui e che si sforzi di inventare le virtù e le angosce che Dio ha rifiutato, dimenticato o temuto di creare. Ha tuttavia soffiato sul-l'uomo e gli ha dato l'audacia e la forza di continuare la creazione...

E l'uomo, al contrario, senza Dio e disarmato come è alla sua nascita, sarebbe stato distrutto dalla fame, dalla paura e dal freddo e, se si fosse salvato, si trascinerebbe come una limaccia a mezza strada fra il leone e la pulce. E se riuscisse, attraverso una lotta incessante, a reggersi sulle zampe posteriori, non potrebbe mai liberarsi dall'abbraccio caldo e tenero di sua madre, la scimmia..., pensava Gesù, ed era la prima volta, quel giorno, che

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sentiva così profondamente che Dio e l'uomo erano tutt'uno.All'alba aveva preso il cammino per Gerusalemme e si sentiva vicino a

Dio, come se l'avesse di fianco a sé; facevano la strada insieme e avevano entrambi la medesima preoccupazione: la terra aveva preso una strada diversa, invece di salire verso il cielo, scendeva verso l'Inferno. Bisognava che tutti e due insieme, Dio e il Figlio di Dio, si sforzassero di farle riprendere al giusta strada. Era per questo che Gesù aveva tanta fretta e divorava la strada a grandi passi, impaziente di ritrovare i suoi compagni e di cominciare la lotta. Il sole, che saliva dal Mar Morto, gli uccelli che, abbagliati dalla sua luce, cantavano, le foglie degli alberi che tremavano e la strada bianca che arrivava fino alle mura di Gerusalemme e che se lo portava con sé, tutto ciò gridava: «Fai svelto! Fai svelto! Stiamo affon-dando!»

«Lo so, lo so», rispondeva Gesù, «lo so, arrivo!»Di buon mattino anche i compagni scivolavano lungo i muri e nelle

stradine ancora solitarie di Gerusalemme; non erano insieme, ma cammi-navano a due a due, Pietro con Andrea, Giacomo con Giovanni e Giuda, da solo, davanti. Avevano paura, gettavano sguardi furtivi dappertutto per vedere se erano seguiti; correvano. La porta di Davide si levò davanti a loro, presero la prima traversa a sinistra e sgusciarono come ladri nella taverna di Simone il Cireneo.

L'oste, panciuto, con il suo nasone rosso e gonfio, gli occhi pure rossi e gonfi, si era appena alzato dal pagliericcio ed era assonnatissimo. Sbevac-chiava fino a tardi, di notte, con gli ubriachi che frequentavano la sua osteria, cantava, litigava, ci metteva dei secoli per andare a dormire e il mattino, nauseato, di cattivo umore, puliva il banco dei resti della gozzoviglia. Era in piedi ma non era del tutto sveglio. Gli pareva di tenere in mano una spugna e di pulire il banco... e mentre si dibatteva fra la veglia e il sonno udì degli uomini che, ansimando, entravano nella sua taverna e si girò. Gli occhi gli bruciavano, aveva la bocca impastata e la barba piena di pezzetti di semi di zucca arrostiti.

«Chi siete, banditi?» urlò con voce rauca. «Lasciatemi tranquillo, vi dico. Sbarcate qui per bere e mangiare di mattino presto, eh? Sono di cattivo umore, andatevene!»

A furia di gridare, pian piano si stava svegliando e scorse il vecchio amico Pietro e i suoi compagni, i Galilei. Si avvicinò, li guardò da vicino e scoppiò a ridere.

«Ehi! Che facce avete! Tirate dentro le vostre lingue che non pendano

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in questo modo, tenetevi stretta la pancia con tutte e due le mani perché non scoppi dalla paura che avete! Potete essere fieri di voi, miei gagliardi Galilei!»

«In nome del cielo, Simone, non far accorrere gente con le tue grida», gli rispose Pietro e allungò una mano per tappargli la bocca. «Chiudi la porta. Il re ha ucciso il Profeta Giovanni Battista, non ne sei al corrente? Gli ha tagliato la testa e l'ha messa su un vassoio d'argento...»

«Ha fatto bene. Gli aveva rotto le orecchie a forza di urlare che aveva preso la sposa di suo fratello! È un re e fa quello che vuole. E poi, per non nascondervi niente, aveva rotto le orecchie pure a me.»

«'Pentitevi! Pentitevi!' Che vendetta!»«Pare che ammazzerà tutti coloro che sono stati battezzati, che li

passerà a fil di spada. E noi siamo battezzati, capisci?»«E chi vi ha detto di andare a farvi battezzare, imbecilli? Vi sta bene!»«Ma anche tu ti sei fatto battezzare, specie di otre che non sei altro», gli

disse crudamente Pietro, «non ce l'hai forse detto? Perché gridi tanto?»«Questa non è la stessa cosa, sporco pescatore che sei, io non mi sono

fatto battezzare; lo chiami un battesimo, quello? Mi sono tuffato nell'acqua e ho fatto un bagno. E tutto ciò che mi ha detto il falso profeta, l'ho lasciato entrare da un orecchio e uscire dall'altro. È così che fanno tutti quelli che hanno un po' di sale in zucca, ma voialtri con la vostra testolina senza cervello... Appena c'è un falso profeta che promette mari e monti, siete sempre i primi. Vi si dice: tuffatevi in acqua, pluf, vi tuffate e vi buscate un malanno. Non ammazzate le vostri pulci di Sabbat, è un grande peccato, allora voi non le ammazzate e sono loro ad ammazzare voi; non pagate la tassa sulla persona: voi non pagate e zac! vi tagliano la testa. Vi sta bene! E adesso sedetevi e beviamoci su, per rimetterci; e perché io mi svegli!»

Due grosse botti formavano una macchia d'ombra nel fondo della taverna. Su di una v'era un gallo dipinto in rosso e sull'altra, in grigio chiaro, un maiale. L'oste riempì una brocca di vino dalla botte con il gallo, prese sei bicchieri, li gettò in una bacinella d'acqua sporca per lavarli. L'odore del vino gli diede una sferzata e si svegliò.

Un cieco apparve sulla soglia della taverna e vi si fermò. Sostenne il suo bastone fra le gambe e cominciò ad accordare un vecchio oboe, tossicchiò e sputò per schiarirsi la gola. Eliacin, in gioventù, era stato cammelliere e un giorno, passando nel deserto, in una pozza d'acqua sotto un dattero, aveva visto una donna che si lavava. Invece di girare gli occhi, lo sfrontato aveva fissato il suo sguardo sulla bella beduina. La sfortuna

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fece sì che il marito, rannicchiato dietro a una roccia, avesse appena acceso il fuoco per far da mangiare. Vide il cammelliere che si avvicinava sempre più e che divorava con gli occhi il corpo nudo di sua moglie. Si era preci-pitato, aveva preso due carboni ardenti e li aveva spenti negli occhi del cammelliere... Da quel giorno, il povero Eliacin si era messo a cantare salmi e canzoni. Faceva il giro delle taverne e delle case di Gerusalemme con il suo oboe; a volte cantava la bontà di Dio, a volte il corpo della donna. Gli si dava un pezzo di pane secco, una manciata di datteri, due olive, ed egli andava a cantare un po' più in là.

Accordò l'oboe, si schiarì la gola, gonfiò il petto e si mise a vocalizzare sull'aria del suo salmo preferito: «Abbi pietà di me, mio Dio, con la tua grande misericordia e con la tua grande compassione, cancella le mie ini-quità...» In quel mentre stava arrivando l'oste con la brocca di vino e i bicchieri. Udì quel salmodiare e si incollerì.

«Basta! Basta così!» gridò. «Anche tu mi spacchi le orecchie: sempre la stessa solfa: 'Abbi pietà di me... Abbi pietà di me...' Vattene al diavolo, sono forse io il peccatore? Sono forse io che ho alzato gli occhi per guardare la donna altrui quando si lavava? Dio ci ha dato gli occhi per non guardare, non l'hai ancora capito? Ti sta bene. Sciò, Vattene!»

Il cieco riprese il suo bastone, strinse l'oboe sotto il braccio e, senza dire neppure una parola, si allontanò.

«Abbi pietà di me, mio Dio... Abbi pietà di me, mio Dio...» intonò l'oste, irritato. «Davide ha dato dolci occhi alla donna di un altro e questo cieco ha fatto gli occhi dolci a una donna altrui e viene a dar noia a noi... poveri amici miei...»

Riempì i bicchieri e bevvero. Riempì di nuovo il suo e bevve ancora.«Adesso vi farò una testa d'agnello al forno, una cosa prelibata... da

leccarsi i baffi!»Andò nel cortile dove aveva costruito con le sue mani un piccolo forno,

portò degli sterpi e dei rametti, accese il fuoco e mise nel forno la teglia con la testa dell'agnello, quindi tornò dai suoi amici. Impazziva per il vino e per le discussioni.

Ma i compagni non erano dell'umore adatto. Stretti fianco a fianco da-vanti al fuoco, tenevano gli occhi fissi sulla porta; stavano sui carboni ardenti, volevano andarsene. Scambiavano due parole a fior di labbra, poi tacevano di nuovo. Giuda si alzò e andò fino alla porta. Era disgustato di vedere quei vigliacchi che avevano perso la testa, tanta era la loro paura. Come sapevano correre, a che velocità avevano divorato la strada dal

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Giordano a Gerusalemme, per arrivare, più morti che vivi, a infilarsi in quella taverna isolata! E qui, con le orecchie tese, stanno tremando come lepri e si alzano sulla punta dei piedi pronti a fuggire... Che il diavolo vi porti, Galilei fanfaroni! Dio d'Israele, ti ringrazio di non avermi fatto come loro. Io sono nato nel deserto e non sono fatto di molle terriccio di Ga-lilea, bensì di granito arabo. E tutti voi, che lo curavate e lo coccolavate, che gli elargivate giuramenti e baci: adesso si salvi chi può! Ma io, il selvaggio, il Rosso maledetto, lo sgozzatore, io non lo abbandono e aspet-terò qui che Egli torni dal deserto del Giordano per vedere che cosa ci porta indietro. Solo allora mi deciderò. Perché io non mi preoccupo per la mia pelle. Solo una cosa m'importa: la sofferenza d'Israele.

Udì discussioni a voce sommessa provenienti dalla taverna. Si voltò.«Io sono del parere di ripartire per la Galilea, laggiù saremo sicuri.

Ricordatevi del nostro lago, compagni», diceva Pietro sospirando. Vide la sua barca verde dondolare sull'acqua azzurra e gli venne il magone; vide i sassoli-ni, gli oleandri, le reti colme di pesci e i suoi occhi si riempirono di lacrime. «Andiamocene, ragazzi, andiamo via!»

«Gli abbiamo dato la nostra parola di aspettarlo in questa taverna. L'onore ci obbliga a mantenerla», disse Giacomo.

«Chiederemo al Cireneo», propose Pietro, «di sistemare ogni cosa, di dirgli, se viene...»

«No! No!» replicò Andrea, «non possiamo lasciarlo da solo in questa città così crudele. Lo aspetteremo qui.»

«Io sono del parere di tornare in Galilea», disse Pietro ostinato.«Fratelli», disse Giovanni, afferrando in gesto di supplica le mani e le

braccia dei suoi compagni, «fratelli, pensate alle ultime parole del Battista. Ha steso le braccia sotto la spada del carnefice e ha gridato: 'Gesù di Naza-reth, abbandona il deserto; io me ne vado, vieni a riunirti con gli uomini, vieni, non lasciare il mondo da solo!' Queste parole hanno un significato profondo, amici. Che Dio mi perdoni se dirò una bestemmia, ma...»

La sua voce si spezzò: Andrea lo prese per mano.«Parla, Giovanni. Qual è l'atroce presentimento che non hai il coraggio

di rivelare?»«...Ma se il nostro Maestro fosse... il...» e si mise a balbettare.«Chi?»La voce di Giovanni suonò debole, ansimante, piena di timore: «...il

Messia!»Tutti sussultarono. Il Messia! Che fossero rimasti tanto tempo con lui e

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che non fosse loro mai passato per la testa! All'inizio lo presero per un brav'uomo, un santo, che portava l'amore al mondo; poi l'avevano preso per un profeta, non selvaggio come quelli antichi, ma allegro e accatti-vante. Faceva scendere in terra il regno dei cieli, ossia il cammino più facile e la giustizia. E il Dio d'Israele ha la testa dura; il Dio dei loro ante-nati, Geova, lui lo chiamava Padre e, appena l'aveva chiamato così, ecco che Egli era diventato dolcissimo e che tutti gli uomini erano diventati figli suoi... E ora, qual è la parola sfuggita dalle labbra di Giovanni... il Messia! Sarebbe come dire: la spada di Davide, l'onnipotenza d'Israele, la guerra! E loro, i discepoli, i primi a seguirlo, sarebbero diventati grandi signori, dei tetrarchi e dei patriarchi attorno al suo trono! Come, nel cielo, Dio ha attor-no a sé gli angeli e gli arcangeli, nello stesso modo essi sarebbero stati de-gli etnarchi e dei patriarchi regnanti sulla terra! I loro occhi scintillavano.

«Ritiro ciò che ho detto, ragazzi», disse Pietro che era diventato tutto rosso. «Non l'abbandonerò mai!»

«Neanch'io! Neanch'io! Neanch'io!»Giuda, irato, sputò per terra e diede un pugno allo stipite della porta.«Ah! che coraggiosi!» gridò loro. «Finché credevate che fosse un debo-

le, non pensavate che a darvela a gambe. Adesso, .invece, che avete fiutato cose meravigliose vi dite: 'Non l'abbandonerò mai!' Ebbene, tutti l'abban-donerete un giorno e lo lascerete da solo, ricordatevi di ciò che dico, e io, io solo, non lo tradirò; Simone di Cirene, mi sei testimone!»

L'oste che li stava a sentire e ridacchiava sotto i suoi lunghi baffi strizzò l'occhio a Giuda.

«Ci vuole un bel coraggio», disse, «a voler salvare il mondo con teste simili!»

Il suo naso sentì odore di bruciato.«La testa d'agnello che brucia!» gridò e, con un balzo, andò in cortile.I compagni si guardavano fra loro, sbalorditi.«È per questo allora che il Battista, vedendolo, è rimasto a bocca

aperta!» disse Pietro battendosi la fronte.Erano eccitatissimi e la loro mente cercava di ricordare.«E avete visto una colomba sulla sua testa mentre si faceva battezzare?»«Non era una colomba, era un fulmine.»«No, no, era una colomba, tubava.»«Non tubava, parlava. L'ho udita con le mie orecchie. Diceva: 'Santo!

Santo! Santo!'»«Era lo Spirito Santo!» disse Pietro e i suoi occhi si riempirono di ali

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dorate. «Lo Spirito Santo è sceso dal cielo e siamo rimasti tutti di sasso, ricordatevene! Io volevo muovere un piede per avvicinarmi, ma era come addormentato, non riuscivo a muovermi! Volevo gridare, ma le mie labbra non riuscivano a unirsi! Il vento era cessato, gli arbusti, il fiume, gli uomini, gli uccelli, tutto era paralizzato dallo spavento e si muoveva solo la mano del Battista, piano, e battezzava...»

«Non ho visto né udito nulla!» disse Giuda, irritato. «I vostri occhi e le vostre orecchie erano ubriachi.»

«Non hai visto, Rosso, perché non hai voluto vedere!» gli rispose Pietro con rudezza.

«E Vostra Signoria racconta delle storie; tu hai visto perché volevi ve-dere. Hai avuto voglia di vedere lo Spirito Santo e hai visto lo Spirito Santo. E il colmo è che adesso tu lo faccia, vedere a quegli sventati e li trascini nel tuo stesso errore!»

Fino a quel momento Giacomo aveva ascoltato senza parlare. Si rosicchiava le unghie e taceva, ma non poté più trattenersi.

«Ascoltate, ragazzi», disse, «non prendiamo fuoco come la paglia, ma studiamo bene la questione. Innanzitutto, è vero che il Battista ha pronun-ciato quelle parole prima che gli venisse tagliata la testa? Mi sembra difficile crederlo; poi, chi fra noi era lì per udirlo? E inoltre: anche se il Battista avesse avuto quelle parole in testa, non le avrebbe pronunciate; perché il re ne sarebbe venuto a conoscenza e avrebbe mandato delle spie per sapere chi era quel Gesù nel deserto, l'avrebbe catturato e avrebbe fatto tagliare la testa anche a lui. Due più due fa quattro, come dice il mio vecchio padre. Allora non montiamoci la testa!»

Ma Pietro si arrabbiò.«E io affermo che due più due fa quattordici e la ragione può dire ciò

che vuole. Che il diavolo se la porti via! Servi da bere, Andrea, anneghia-mo il cervello per poterci vedere chiaro!»

Un colosso dalle guance rugose, scalzo, avvolto in un drappo bianco, con varie file di amuleti appesi al collo, entrò precipitosamente nella taverna, si mise la mano sul petto e salutò.

«Vi saluto, fratelli, me ne vado. Vado a trovare Dio. Avete qualche messaggio da darmi per lui?»

E, senza aspettare risposta, se ne andò di corsa ed entrò nella casa vicina.

Nello stesso momento l'oste stava entrando con il vassoio e, nella taverna, si sparse un buon profumino. Fece in tempo a vedere quello

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strampalato colosso e gli gridò:«Buon viaggio! Salutalo da parte nostra! Ancora uno!» e scoppiò a

ridere. «Accidenti, è proprio vero che è arrivata la fine del mondo, se il mondo è pieno di pazzi. Quello lì pare che l'altro ieri notte, mentre stava pisciando, abbia visto Dio. Da quel momento non vuole più vivere, né mangiare. Ha detto: 'Sono invitato in cielo ed è lassù che mangerò'. Allora si è avvolgo nel suo lenzuolo funebre, corre di porta in porta, prende i messaggi, saluta e se ne va... Ecco che cosa succede a chi frequenta troppo Dio. Attenti, ragazzi, un buon consiglio: non avvicinatelo troppo! Adoro la Sua Grazia, ma da lontano. Spostatevi!»

Appoggiò in mezzo alla tavola il vassoio con la testa d'agnello fumante. La sua bocca, gli occhi e le orecchie sprizzavano allegria.

«Una testa freschissima!» gridò, «quella di Giovanni Battista. Buon appetito!»

Giovanni, colto da nausea, si allontanò. Andrea, che stava per allungare la mano, si trattenne. La testa, posata sul vassoio, con degli occhi torbidi spalancati, immobili, li guardava uno per uno.

«Simone miserabile,» disse Pietro, «ci hai disgustato, non la tocchere-mo neppure. Come potrei fare adesso a mangiargli gli occhi che tanto mi piacciono. Mi sembrerebbe di mangiare gli occhi di Giovanni Battista.»

L'oste si contorceva dalle risate.«Non preoccuparti, Pietro», disse, «li mangerò io in vece tua. Ma prima

mangerò la sua lingua che gridava - che il cielo la protegga - 'Pentitevi! Pentitevi! La fine del mondo è arrivata!' Ma è la tua fine, la tua, disgraziato, che è arrivata per prima!»

Ciò detto afferrò il suo coltello, tagliò la lingua e se la mangiò in un boccone. Poi si bevve un bicchierone di vino e rimase in contemplazione delle sue botti.

«Non fa niente, ragazzi, ho pietà di voi! Cambierò argomento per farvi dimenticare la testa dì Giovanni Battista e permettervi di mangiare quella dell'agnello... Allora, sapreste indovinare chi ha dipinto quei capolavori che state ammirando sulle mie botti, il gallo e il maiale? Modestia a parte, sono stato io, con le mie mani, che cosa credete? E sapete perché un gallo e un maiale? Non c'è pericolo, Galilei della malora! Ebbene, ve lo spie-gherò per illuminare il vostro minuscolo cervello!»

Pietro continuava a guardare la testa d'agnello e si leccava i baffi, ma non aveva ancora il coraggio di allungare la mano per cavare gli occhi e mangiarseli. Pensava in continuazione al Battista. Quando vi guardava,

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spalancava gli occhi nello stesso modo.«Ascoltate», continuò l'oste, «per chiarirvi un po' le idee. Quando Dio

finì di fare il mondo - e mi chiedo che cosa gli è venuto in mente di mettersi in storie simili - e si lavò le mani piene di fango, chiamò davanti a sé tutte quelle creature nuove e domandò loro, pieno di orgoglio: 'Allora, uccelli e animaletti, che cosa ne pensate di questo mondo che ho appena creato? Vi trovate qualche difetto?' Tutti si misero subito a muggire, a rug-gire, a miagolare, a belare e a cinguettare: 'Nessuno! Nessuno! Nessuno!' 'Vi benedico', disse Dio, 'io neppure, in fede, gli trovo alcun difetto. Siano lodate le mie mani!' Ma vide il gallo e il maiale che abbassavano la testa e che non si pronunciavano. 'Ehi, maiale', gridò Dio, 'e lei, Sua Eccellenza il Gallo, perché non dite niente? Manca forse qualcosa?' Ma quei due, muti! Il diavolo aveva detto loro, sussurandoglielo in un orecchio: 'Ditegli che manca un ceppo basso, che dia l'uva. Si pigia, si mette in barili e si fa il vino'. 'Perché non parlate, animali?' gridò ancora una volta Dio alzando la sua grande mano. Allora i due animali, ai quali il diavolo infondeva corag-gio, rialzarono la testa. 'Che cosa vuoi che ti diciamo, Maestro Costruttore? Gloria alle tue mani, il tuo mondo è perfetto! Ma gli manca un ceppo, basso, che dia l'uva. La si pigia, la si mette in barili e se ne fa il vino.' 'Ah, è così? Ebbene ve la farò vedere io, furbacchioni!' disse Dio che era al colmo della collera. 'Volete vino, ubriacature, litigi e vomiti? Ebbene, che vigna sia!' Si rimboccò le maniche, prese del fango, fabbricò un ceppo e lo piantò. 'Lo maledico', disse, 'colui che berrà troppo avrà un cervello da gallo e un muso da maiale!'»

I compagni scoppiarono a ridere, dimenticarono il Battista e fecero man bassa della testa arrosto, Giuda, per primo, che aveva tagliato il cranio in due e si era riempito le mani con il cervello dell'agnello. Quando l'oste vide che cosa ne era rimasto, si spaventò e pensò che non gliene avrebbero lasciato neppure una briciola.

«Ehi, ragazzi», gridò, «è molto bello mangiare e bere, ma non dimenti-cate Giovanni Battista. Oh! la sua povera testa!»

Rimasero tutti con il boccone in mano. Pietro che aveva già masticato l'occhio e che si accingeva a ingoiarlo, sentì un nodo in gola. Inghiottirlo gli ripugnava, sputarlo, gli dispiaceva; che cosa fare? Giuda era l'unico che non si preoccupava. L'oste riempì loro i bicchieri.

«Che il suo ricordo sia eterno. Versiamo una lacrima sulla sua povera testa. E auguriamo lo stesso a voi tutti!»

«Auguri anche a te, furbacchione!» disse Pietro e, in un sol boccone,

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inghiottì l'occhio.«Non ti preoccupare, io non ho paura di niente», rispose l'oste. «Non

m'immischio negli affari di Dio e me ne frego di salvare il mondo. Sono un oste, non sono un angelo o un arcangelo come le signorie vostre; l'ho scampata bella!» disse, afferrando ciò che rimaneva della testa.

Pietro aprì la bocca, ma la sua voce si troncò di netto.Un colosso selvaggio, tutto butterato, si era fermato sulla soglia e guar-

dava dentro. I compagni si scostarono e Pietro si nascose dietro alle larghe spalle di Giacomo.

«Barabba!» grugnì Giuda aggrottando le sopracciglia. «Entra.»Barabba chinò la sua grossa nuca e scorse i Discepoli nella penombra.

Rise beffardamente.«Sono contento di trovarvi, agnellini», disse. «Ho smosso cielo e terra

per scovarvi!»L'oste si alzò borbottando e gli portò un bicchiere.«Non mancavi che tu, capitano Barabba.»Ce l'aveva con lui perché ogni volta che veniva nella sua taverna si

ubriacava, litigava con i soldati romani che passavano da lì e gli procurava delle noie. «Non cominciare a litigare secondo la tua abitudine, maiale d'un gallo!»

«Per questo, finché gli impuri calpesteranno la terra d'Israele, non abbasserò certo la mia bandiera, levatelo dalla testa! E porta qualcosa da mangiare, pezzo di mascalzone!»

L'oste spinse verso di lui il vassoio sul quale non rimanevano che ossa.«Mangia», disse, «hai dei denti da mastino e saprai sbriciolare le ossa.»Barabba vuotò il bicchiere in un solo fiato, si attorcigliò i baffi e si girò

verso i compagni.«E dove si trova dunque il buon pastore, agnellini miei?» chiese. I suoi

occhi lanciavano fiamme. «Ho un vecchio conto da regolare con lui.»«Sei sbronzo prima di aver bevuto», gli disse severamente Giuda. «Le

tue smargiassate ci hanno già procurato un bel po' di noie, basta!»Giovanni riprese coraggio:«Che cos'hai contro di lui? È un uomo santo e, quando cammina, guarda

per terra per vedere se non schiaccia nessuna formica».«Di', piuttosto, per vedere se una formica non lo schiaccerà, è di questo

che ha paura. E chiamate questo un uomo?»«Gesù ha strappato Maddalena dai tuoi artigli e non glielo puoi perdo-

nare», osò dire a sua volta Giacomo.

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«Mi ha offeso», ruggì Barabba, i cui occhi s'incupirono. «Me la pagherà!»

Ma Giuda l'afferrò per un braccio e lo spinse di lato. Gli parlava a voce bassa, precipitosamente, in collera.

«Che cosa vieni a cercare guai? Perché hai abbandonato le montagne della Galilea? E laggiù che la confraternita ha fissato il tuo dominio. Qui a Gerusalemme sono altri che comandano.»

«Non è dunque per la libertà che combattiamo?» rispose Barabba, furioso. «Ebbene, io sono libero e faccio quello che voglio. Sono venuto per vedere anch'io chi era quel Battista che faceva tanti prodigi. Era forse Colui che aspettiamo? Doveva giungere finalmente, prendere il comando e cominciare il massacro. Ma sono arrivato troppo tardi: gli avevano già tagliato la testa. Che cosa ne dici tu, Giuda, mio capo?»

«Io sono del parere che tu ti alzi e te ne vada. Non immischiarti negli affari altrui.»

«Che me ne vada? Ma sai quello che dici? Sono venuto per il Battista e m'imbatto nel figlio di Maria. È da tanto che lo inseguo! E adesso che Dio me lo mette proprio sotto il naso, devo lasciarmelo sfuggire?»

«Vattene», ordinò Giuda. «Questa storia è affar mio, non tentare di immischiarti!»

«Che cos'hai nel cervello? La confraternita, sappilo, vuole sbarazzarsi di lui. È un emissario dei Romani che lo pagano per proclamare il regno dei cicli, per sconvolgere il popolo e impedirgli di pensare alla terra e alla schiavitù. E tu, adesso... ma che cos'hai nel cervello?»

«Niente, è affar mio. Vattene!»Barabba si girò e gettò un ultimo sguardo sui compagni che tendevano

le orecchie per udire.«A presto, agnellini», gridò loro con astio. «Non ci si libera così

facilmente di Barabba. Ne riparleremo!»Disparve subito dalla porta di Davide.L'oste strizzò un occhio a Pietro.«Gli ha dato degli ordini», gli disse a bassa voce. «La confraternita,

dice quello. Ammazzano un Romano e fanno ammazzare dieci Israeliti. Dieci e anche quindici. Aprite gli occhi, ragazzi!»

Si chinò e mormorò all'orecchio di Pietro:«E poi, sta' a sentire: non fidatevi di Giuda Iscariota. I rossi, sai bene...»Ma tacque. Il Rosso si era seduto di nuovo sullo sgabello.Giovanni si alzò, rattristato. Andò fino alla porta, si guardò attorno a

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destra e a sinistra, nessuna traccia del Maestro.Era ormai giorno e le strade erano piene di gente. Oltre la porta di

Davide c'erano il deserto, dei sassi, della cenere, neppure una foglia verde. Solo delle pietre bianche, ritte, delle pietre tombali. L'aria puzzava di carogne di cani e cammelli. Tutta quella crudeltà spaventò Giovanni; tutto era di pietra lì, anche i visi degli uomini, anche il loro cuore, anche il Dio che adoravano. Era ben lungi il Dio pietoso, il Padre, che il Rabbi aveva portato loro! Ah! quando sarebbe riapparso l'amato Maestro, per poter tornare in Galilea!

«Fratelli, andiamocene!» esclamò Pietro che non ne poteva più, alzandosi. «Lui non verrà!»

«Sto sentendolo venire...» mormorò timidamente Giovanni.«Come puoi sentirlo, illuminato?» chiese Giacomo che non amava i

sogni del fratello e che aveva fretta, pure lui, di tornare al suo lago e alle sue barche.

«Nel mio cuore», rispose il fratello minore. «È lui che ode per primo, che vede per primo...»

Giacomo e Pietro alzarono le spalle; ma l'oste intervenne.«Ha ragione», disse, «non alzate le spalle. Ho udito dire - ecco, che

cosa credete che fosse ciò che viene chiamato l'Arca di Noè? È il cuore dell'uomo! Dentro c'è Dio con tutte le sue creature: tutto il resto annega e affonda, e pare che solo il cuore galleggi con il suo carico. Sa tutto, non ridete, il cuore dell'uomo!»

Suonarono delle trombe, la folla si fece da parte e si udì levarsi un rumore. I compagni, preoccupati, balzarono fin sulla porta. Dei begli adolescenti, robusti, portavano una lettiga ornata d'oro in cui era disteso un signore grasso e grosso, vestito di seta, con un viso lucido da gaudente e con tanti anelli, che si carezzava la barba.

«Caifa!» disse l'oste. «Quel vecchio caprone, il gran sacerdote. Tappate-vi il naso, ragazzi; il pesce marcio puzza dalla testa!»

Si tappò il naso e sputò.«Va, ancora una volta, nei suoi giardini, a mangiare, a bere, a giocare

con le sue donne e i suoi ragazzi. Ah, brutto porco, se io fossi Dio! Il mondo è appeso a un capello; ebbene, io, quel capello, lo taglierei, sì, lo giuro sul vino, lo taglierei, e il mondo andrebbe al diavolo!»

«Andiamocene», ripeteva Pietro. «Non stiamo bene qui! Anche il mio cuore ha occhi e orecchie; mi sta gridando: Vattene, andatevene, disgra-ziati!»

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Aveva appena pronunciato quelle parole che, effettivamente, lo udì; si spaventò, si alzò di botto, prese un bastone gettato in un angolo. Si alzarono tutti nervosamente, videro il terrore di Pietro e a loro volta furono terrorizzati.

«Se viene, Simone, tu lo conosci, digli che siamo ripartiti per la Gali-lea», raccomandò Pietro all'oste.

«E chi pagherà?» chiese l'oste preoccupato. «La testa d'agnello, il vino...»

«Credi nell'altra vita, Simone di Cirene?» domandò Pietro.«Certo che ci credo.»«Bene, ti do la mia parola, e, se vuoi, te la do anche per iscritto, che

lassù ti pagherò.»L'oste si grattò il suo testone.«Che cosa? Non credi nell'altra vita?» fece Pietro severamente.«Ci credo, Pietro, ci credo; ma non fino a questo punto...»

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Mentre parlavano, sulla soglia apparve un'ombra bluastra e tutti fecero un balzo indietro. Gesù era ritto nel vano della porta, con i piedi insan-guinati, le vesti coperte di fango, il viso irriconoscibile. Chi era? Il dolce Maestro o il Battista selvaggio? I capelli gli cadevano sulle spalle, a torci-glioni, aveva la pelle arida e rugosa, le guance incavate, i suoi occhi sembravano più grandi e gli smangiavano il viso; stringeva con forza i pugni. Non si poteva sbagliare: erano i pugni di Giovanni Battista, i suoi capelli, le sue guance, i suoi occhi. I Discepoli, stupiti e ammutoliti, lo guardavano: si erano forse fusi uno con l'altro e ora erano uno solo?

È lui che ha ucciso il Battista, pensava Giuda; si fece da un lato per lasciar passare l'inquietante visitatore. È lui... è lui... Osservava Gesù oltrepassare la soglia, osservare severamente ognuno di loro, stringere le labbra... Gli ha preso tutto, ha saccheggiato il suo corpo. Ma la sua anima? Le sue parole selvagge? Ora parlerà e lo sapremo...

Rimasero in silenzio per un bel po'. L'atmosfera della taverna era cambiata; l'oste si era rintanato in un angolo e guardava Gesù con gli occhi spalancati. Gesù avanzava lentamente, mordendosi le labbra; le vene del collo gli si erano gonfiate. Di colpo si udì la sua voce roca, selvaggia; i compagni rabbrividirono. Quella voce non era più la sua, era quella del Profeta terribile, del Battista.

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«Stavate per andarvene?»Nessuno rispose; si erano stretti l'uno accanto all'altro.«Stavate per andarvene?» ripeté in collera. «Parla, Pietro!»«Maestro», rispose questi con voce malsicura, «Maestro, Giovanni ha

udito i tuoi passi nel suo cuore e ci siamo alzati per venirti incontro...»Gesù aggrottò la fronte. Si sentì invadere dalla collera e dall'amarezza,

ma si trattenne.«Andiamo», disse, tornando in direzione della porta.Vide Giuda in piedi, in disparte, che lo guardava con i suoi occhi

azzurri e duri.«Vieni con noi, Giuda?» chiese.«Sai benissimo che non ti abbandono. Fino alla morte.»«Non è abbastanza, cerca di capire; non è abbastanza. Dovete seguirmi

più lontano, oltre la morte. Andiamo!»L'oste balzò fuori da dietro ai barili, dove si era rintanato.«Buona fortuna, ragazzi», gridò, «spero che ve la caviate bene! Buon

viaggio, Galilei; e quando, come spero, entrerete in Paradiso, non dimenticatevi del vino che vi ho servito. E neppure della testa d'agnello!»

«Ti do la mia parola», gli rispose Pietro; il suo viso era serio e colmo d'amarezza. Si sentiva invadere dalla vergogna di aver mentito; il Maestro l'aveva certamente capito, ecco perché la sua fronte si era corrugata per la collera. Pietro, vigliacco, bugiardo, traditore! si diceva dentro di sé; quan-do dunque diventerai un uomo? Quando vincerai la paura? Quando smette-rai di essere così indeciso, così banderuola?

Erano in piedi davanti alla taverna e aspettavano per vedere dove si sarebbe diretto il Maestro. Ma lui, immobile, aveva teso l'orecchio e udiva, al di là della porta di Davide, un canto amaro e monotono di voci fesse e stridule. Erano i lebbrosi che, stesi nella polvere, tendevano i loro mon-cherini ai passanti, inneggiando allo splendore di Davide e alla miseri-cordia di Dio che aveva inflitto loro la lebbra permettendo in tal modo che espiassero i loro peccati in questo mondo, affinché un domani, nella vita futura, il loro viso risplendesse per l'eternità, come un sole.

Gesù si sentì pieno di tristezza. Girò il viso verso la città. Le botteghe, i magazzini, le taverne erano aperte e le strade brulicavano di gente; come gridavano, come vociferavano! Come grondavano di sudore! C'era un enorme fragore: rumore di cavalli, di corni, di trombe; la città santa gli sembrò una belva terribile, una belva dalle viscere malate di follia, di lebbra e di morte.

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Le strade diventavano sempre più rumorose, gli uomini correvano sempre più veloci. Perché hanno tanta fretta? Perché corrono? si chiese Gesù, dove vanno? Sospirò: tutti, tutti corrono verso la morte!

Si sentì turbato. Forse il suo dovere avrebbe dovuto essere quello di ri-manere lì, in quella città carnivora, di salire sul tetto del Tempio e gridare: «Pentitevi, il giorno del Signore è giunto!» Quei disgraziati che vanno su e giù per le strade hanno bisogno di pentirsi e di essere consolati, ben più che i pescatori e i lavoratori noncuranti della Galilea. È qui che devo rimanere e cominciare a predicare la rovina della terra e la gloria del regno dei cicli!

Andrea, che non riusciva più a contenere il suo dolore, gli si avvicinò.«Maestro», disse, «hanno catturato il Battista e l'hanno ucciso.»«È un male», rispose calmo Gesù, «ma ha avuto il tempo di compiere la

sua missione; speriamo che sia così anche per noi, Andrea.»Vide gli occhi dell'antico discepolo del Precursore riempirsi di lacrime.«Non ti affliggere, Andrea», gli disse carezzandogli una spalla, «non è

morto. Muoiono solo quelli che non hanno avuto il tempo di diventare immortali. Lui, l'ha avuto: Dio gliel'ha accordato.»

Aveva appena pronunciato queste parole che il suo spirito fu illuminato; è vero, tutto dipende dal tempo; è esso che fa maturare ogni cosa; dentro di noi, si può lavorare il fango umano e trasformarlo in spirito. Allora non si teme più la morte. Se non c'è tempo, si è perduti... Mio Dio, supplicò Gesù dentro di sé, mio Dio, dammi del tempo... Sentiva ancora in se stesso troppo fango, troppa materia umana.

Montava ancora in collera, aveva paura, era geloso. E. quando pensava a Maddalena, il suo sguardo s'offuscava. Anche la sera prima, quando guardava di sfuggita Maria, la sorella di Lazzaro...

Arrossì, ebbe vergogna e, bruscamente, prese la sua decisione. Bisogna lasciare questa città, non è ancora giunta l'ora che io sia ucciso, non sono ancora pronto... Mio Dio, supplicò ancora una volta, dammi del tempo, del tempo, nient'altro... Fece un cenno ai compagni.

«O miei compagni di lotta», disse, «torniamo in Galilea, nel nome del Signore!»

Come cavalli affamati e stanchi che tornano nella scuderia tanto amata, i compagni correvano verso il lago di Genezareth. Giuda il Rosso, che apriva il cammino, fischiava. Erano anni che non si sentiva così contento. Amava molto, adesso, il viso, la rudezza, la voce del Maestro, così, co-

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m'erano ritornati dal deserto... «Ha ammazzato il Battista», ripeteva senza tregua, «l'ha preso con sé, l'agnello e il leone sono divenuti una cosa sola. Come i mostri antichi il Messia sarà contemporaneamente leone e agnello?» Camminava fischiettando e aspettava. «Non è possibile, una di queste notti, prima di arrivare al lago, aprirà pure la bocca, parlerà. Ci svelerà il segreto, ci dirà che cosa ha fatto nel deserto, se ha visto il Dio d'Israele e che cosa si sono detti. Solo allora lo giudicherò.»

La prima notte passò. Gesù, in silenzio, contemplava le stelle. Attorno a lui, i suoi compagni, stanchi, sonnecchiavano. Solo gli occhi azzurri di Giuda brillavano nell'oscurità... Entrambi vegliavano, uno di fronte all'-altro, senza parlare.

Ripresero la strada all'alba. Lasciarono indietro le pietre della Giudea ed entrarono nelle terre bianche di Samaria. Il pozzo di Giacobbe era deserto, nessuna donna attingeva l'acqua per dar loro da bere. Attraversarono velo-cemente quelle terre eretiche e apparvero le montagne amate, l'Hermon, coperto di neve, il grazioso Thabor, il santo Carmelo.

Il sole stava calando ed essi si distesero sotto un cedro frondoso e lo videro tramontare. Giovanni pronunciò la preghiera della sera: «Aprici la tua porta, o Signore. La luce si attenua, il sole tramonta, il sole sparisce. Siamo davanti alla tua porta, o Signore, aprici. O Eterno, ti supplichiamo, perdonaci. O Eterno, ti supplichiamo, abbi pietà di noi. O Eterno, salvaci!»

L'aria era di un azzurro profondo, il cielo aveva perso il sole e non aveva ancora trovato le stelle; si chinava sulla terra spoglio dei suoi orna-menti. In quell'incerta mezzaluce risaltavano candide le mani sottili e lunghe di Gesù appoggiate sulla terra.

La preghiera della sera risuonava ed era ancora viva in lui: udiva gli uomini bussare, disperati e tremanti, alla porta del Signore e la porta non si apriva. Gli uomini bussavano e gridavano. Che cosa gridavano?

Chiuse gli occhi per udire più chiaramente. Gli uccelli del giorno ave-vano raggiunto il proprio nido, quelli della notte non si erano ancora sve-gliati, i villaggi degli uomini erano ancora lontani, non si udiva alcun rumore umano né l'abbaiare dei cani. I compagni mormoravano la preghie-ra della sera, ma avevano sonno, le parole sacre entravano in essi, senza trovarne risposta. Gesù udiva dentro di sé gli uomini che bussavano alla porta del Signore, il suo cuore. Era al suo caldo cuore d'uomo che essi bussavano, gridando:

«Aprici! Aprici! Salvaci!»Gesù si strinse il petto come se lui stesso stesse bussando e supplicava il

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suo cuore di aprire. E mentre lottava e si credeva solo, sentì che qualcuno, dietro a lui, lo guardava. Si voltò. Gelidi come il ghiaccio, gli occhi di Giuda lo fissavano. Gesù rabbrividì. Il Rosso era una belva orgogliosa, indomabile. Di tutti i compagni, era lui che sentiva più vicino a se e allo stesso tempo più lontano. Pareva che non avesse da render conto dei suoi atti a nessun altro se non a se stesso. Gesù gli tese la mano destra:

«Giuda, fratello mio», disse, «guarda. Che cosa sto stringendo?» Nella penombra il Rosso allungò il collo, per vedere bene.

«Niente», rispose, «non vedo niente.»«Lo vedrai presto», disse Gesù sorridendo.«Il regno dei cieli», disse Andrea.«Il seme», disse Giovanni. «Ricordi, Maestro, ciò che hai detto la prima

volta che ci hai parlato, in riva al lago? 'Il seminatore è uscito per seminare i suoi semi.'»

«E tu, Pietro?» chiese Gesù.«Che cosa vuoi che ti dica, Maestro? Se interrogo i miei occhi, nulla. Se

interrogo il mio cuore, tutto. Il mio spirito oscilla nel mezzo.»«Giacomo?»«Non stai stringendo niente, Maestro, perdonami.»«Guardate!» fece Gesù e alzò violentemente il braccio. Vedendo che lo

alzava bene in alto e lo riabbassava con forza, i compagni ebbero paura. Giuda divenne rosso dalla gioia, il suo viso era raggiante, afferrò la mano di Gesù e la baciò.

«Maestro», gli gridò, «ho visto! Ho visto! Hai in mano l'ascia del Bat-tista!»

Ma, improvvisamente, ebbe vergogna. Era furente di non aver saputo contenere la sua gioia; andò di nuovo in disparte e si appoggiò al tronco del cedro. Si udì, calma e seria, la voce del Maestro:

«Me l'ha portata e l'ha posata ai piedi dell'albero marcio. È perciò che egli è nato, per portarmela. Non poteva andare più lontano. Sono giunto, mi sono abbassato e ho afferrato l'ascia. È per questo che sono nato. È qui che comincia la mia missione, quella di abbattere l'albero marcio. Quando ero falegname credevo di essere un fidanzato e di avere in mano un ramo fiorito. Vi ricordate come passeggiavamo, come danzavamo, come procla-mavamo, in Galilea: 'La terra si aprirà per lasciarci entrare?' Compagni, era un sogno e ora ci siamo svegliati».

«Il regno dei cicli dunque non esiste?» urlò Pietro, spaventato.«Esiste, Pietro, esiste, ma è in noi. In noi vi è il regno dei cieli, fuori di

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noi il regno del Maligno. I due regni sono in lotta. C'è la guerra! C'è la guerra! Il nostro primo dovere è quello di abbattere Satana, con quest'-ascia!»

«Quale Satana?»«Il mondo che ci circonda. Coraggio, compagni; non vi ho invitato a

una festa, ma a una guerra. Non lo sapevo, scusatemi. Ma colui che, fra voi, pensa alla sua sposa, ai figli, ai campi, alla felicità, se ne vada! Non è una vergogna. Che si alzi, che ci saluti tranquillamente e che se ne vada in pace. È ancora in tempo.»

Tacque. Gettò uno sguardo sui compagni che aveva attorno. Nessuno si mosse. La stella della sera scintillava dietro ai rami neri del cedro, come una gocciolina d'acqua. Gli uccelli della notte scossero le loro ali nere e si svegliarono. Una brezza fresca calava dalle montagne. Di colpo, nella dolcezza della notte, Pietro si alzò.

«Maestro, ti seguirò come un'ombra», esclamò, «combatterò al tuo fian-co, fino alla morte.»

«Hai appena pronunciato una cosa molto grave, Pietro, e non mi piace. Prendiamo una strada difficile, Pietro, gli uomini ci faranno la guerra; chi vuole la propria salvezza? Chi ha mai visto un profeta alzarsi per salvare un popolo senza che questo lo lapidi? Pietro, dovrai trattenere la tua anima con tutte le tue forze, perché non ti scappi. La carne è debole, non fidar-tene... Capisci, Pietro? È a te che sto parlando...» Dagli occhi di Pietro sgorgarono delle lacrime.

«Non hai fiducia in me, Maestro?» mormorò. «Ma, così come mi vedi, tu che non ti fidi di me, sappi che un giorno io morirò per te.»

Gesù allungò una mano e gli accarezzò un ginocchio.«È possibile... è possibile...» mormorò. «Scusami, mio diletto Pietro.»

Si voltò verso gli altri.«Giovanni Battista battezzava con l'acqua», disse, «e l'hanno ucciso. Io

battezzerò con il fuoco, ve lo dico chiaramente questa sera, sappiatelo, e quando verranno le ore tragiche, non lamentatevene con me: prima di partire vi annuncio dove stiamo andando: verso la morte. E, dopo la morte, verso l'immortalità. Ecco il nostro cammino. Siete pronti?»

I compagni rimasero di sasso. Quella voce era severa, non giocava più, non scherzava più. Chiamava alle armi. Per entrare nel regno dei cicli, bisognava quindi passare attraverso la morte? Non v'era forse altro cam-mino? Erano uomini semplici, poveri e ignoranti che vivevano giorno per giorno; il mondo era ricco e onnipotente, come si poteva misurarsi con lui?

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Se almeno scendessero degli angeli dal cielo per aiutarli! Ma mai nessuno di loro aveva visto angeli camminare sulla terra e soccorrere i poveri e gli oppressi. Perciò tacevano: calcolavano e misuravano, in loro stessi, il pericolo. Giuda li osservava furtivamente e sorrideva con fierezza. Solo lui non calcolava. Entrava in guerra, disprezzando la morte, non si preoccu-pava né del suo corpo, né della sua anima. Aveva una sola grande passione e provava una gioia immensa all'idea di partire per compierla.

Infine Pietro, per primo, parlò.«Maestro, verranno degli angeli dal cielo per aiutarci?» chiese.«Noi siamo gli angeli di Dio sulla terra, Pietro», rispose Gesù. «Non vi

sono altri angeli.»«Ma allora, perché venirne fuori vincitori da soli? Che cosa ne pensi, tu,

Maestro?» chiese Giacomo.Gesù si alzò; le sue sopracciglia tremavano.«Andatevene», gridò, «lasciatemi!»Giovanni lanciò un grido.«Maestro, io non ti lascio solo. Sono con te fino alla morte!»«Io pure, Maestro», disse Andrea, abbracciando le ginocchia di Gesù.Due grosse lacrime sgorgarono dagli occhi di Pietro, ma non parlò.

Giacomo abbassò la testa, era coraggioso e provava vergogna.«E tu, Giuda, fratello mio?» chiese Gesù vedendo il Rosso, muto,

gettare sguardi feroci ai suoi compagni.«Io non parlo troppo», rispose brutalmente il Rosso, «e neppure piango

come fa Pietro. Finché tu avrai in mano l'ascia, starò con te. Se l'abbandonerai, io ti abbandonerò. Io non sono te, lo sai, sono l'ascia.»

«Non hai vergogna di parlare in questo modo al Maestro?» disse Pietro. Ma Gesù se ne rallegrò.

«Giuda ha ragione», disse, «anch'io sono l'ascia, compagni!»Si stesero tutti per terra, appoggiandosi al cedro. Le stelle stavano

riempiendo il cielo.«A partire da ora», disse Gesù, «spieghiamo lo stendardo di Dio, partia-

mo per la guerra. Ci sono una stella e una croce, ricamate sullo stendardo. Che Dio sia con noi!»

Tutti tacevano. Avevano preso una decisione e si sentivano più forti.«Parlerò ancora per mezzo di parabole», disse Gesù ai suoi compagni

che ora erano totalmente immersi nel buio. «La terra, sappiatelo, poggia su quattro colonne, queste colonne poggiano sull'acqua, l'acqua sulle nuvole, le nuvole sul vento, il vento sulla tempesta e la tempesta sul fulmine. E il

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fulmine è poggiato sui piedi di Dio, come un'ascia.»«Non capisco, Maestro», disse Giovanni, arrossendo.«Capirai quando sarai vecchio e andrai a vivere da asceta in un'isola,

quando i cieli si apriranno sopra di te e quando la tua testa prenderà fuoco, Giovanni, figlio del Fulmine», rispose Gesù accarezzando i capelli del suo diletto compagno.

Tacque. Era la prima volta che vedeva così chiaramente cos'era il fulmine di Dio: un'ascia infuocata ai piedi di Dio, alla quale erano appesi uno dietro l'altro, tempesta, vento, nuvole, acqua, la terra intera. Durante tanti anni aveva vissuto con gli uomini, durante tanti anni con le Sacre Scritture e nessuno gli aveva rivelato quel terribile segreto. Quale segreto? Che il fulmine è il figlio di Dio, il Messia. È lui che verrà a purificare la terra.

«Compagni di lotta», egli disse, e per un istante Pietro vide nell'oscurità due fiamme balzare fuori dalla sua fronte, come delle corna, «compagni, sono andato nel deserto, lo sapete, per incontrarmi con Dio. Avevo fame, avevo sete, ardevo, ero rannicchiato su una pietra e gridavo a Dio di appa-rire. I demoni venivano a sbattere contro di me a ondate, come un mare, s'infrangevano, facevano schiuma e se ne tornavano da dove erano venuti. Prima i demoni del corpo, poi i demoni del cuore. Ma io tenevo Dio come uno scudo di bronzo e la sabbia attorno a me si è riempita di pezzi d'artigli, di denti e di corna. Allora udii una voce possente al di sopra di me: 'Alzati e prendi l'ascia che ti ha portato il Precursore, batti!'»

«Nessuno sarà salvato?» gridò Pietro, ma Gesù non lo intese.«La mia mano divenne pesante come se qualcuno avesse messo un'ascia

fra le mie dita. Mi alzai e, mentre mi alzavo, la voce si fece udire di nuovo: Tiglio del falegname, sta per cadere un nuovo diluvio, non più d'acqua, ma dì fuoco. Fabbrica una nuova Arca, scegli gli uomini e fai entrare i santi nell'Arca!' La scelta è cominciata, compagni, l'Arca è pronta, la porta è ancora aperta; entrate!»

Si mossero tutti, si trascinarono e vennero a raggrupparsi attorno a Gesù, come se egli fosse l'Arca, per entrarvi.

«E ho udito di nuovo la voce: 'Figlio di Davide, quando le fiamme si calmeranno e l'Arca getterà l'ancora davanti alla nuova Gerusalemme, salirai sul trono dei tuoi avi e governerai gli uomini! La vecchia terra sarà scomparsa, il vecchio cielo pure. Un cielo nuovo si spiegherà sopra la testa dei santi e le stelle brilleranno di una luce sette volte più intensa. Sette volte più intensamente brilleranno anche gli occhi degli uomini'.»

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«Maestro», gridò ancora Pietro, «bisogna che non moriamo prima di aver visto quel giorno e di esserci seduti, noi tutti che lottiamo con te, alla destra e alla sinistra del tuo trono!»

Ma Gesù non l'udì; immerso nella visione infuocata del deserto, continuò:

«E ho udito un'ultima volta quella voce sopra la mia testa: 'Figlio di Dio, ricevi la mia benedizione!'»

«Figlio di Dio! Figlio di Dio!» gridarono tutti nel profondo del loro cuore, ma nessuno osò aprir bocca.

Le stelle apparvero tutte nel cielo e, quel giorno, si abbassarono di più e rimasero sospese fra il cielo e gli uomini.

«E adesso, Maestro», chiese Andrea, «quale sarà la nostra prima battaglia?»

«Dio», rispose Gesù, «ha preso la terra di Nazareth per formare il mio corpo. Il mio dovere, quindi, è di andare a combattere prima a Nazareth. È laggiù che il mio corpo deve cominciare a diventare spirito.»

«Poi a Cafarnao», disse Giacomo, «per salvare i nostri parenti.»«Poi a Magdala», propose Andrea, «per prendere la povera Maddalena

nell'Arca con noi.»«Poi in tutto il mondo!» gridò Giovanni, stendendo le braccia verso

Oriente e verso Occidente.Pietro li ascoltò e si mise a ridere.«Io penso al nostro stomaco», disse. «Che cosa mangeremo nell'Arca?

Propongo di portare con noi solo degli animali commestibili. Che bisogno abbiamo, chiedo io, di leoni o zanzare?»

Aveva fame e tutti i suoi pensieri erano rivolti al vettovagliamento; tutti scoppiarono a ridere.

«Non pensi che a mangiare», gli disse brutalmente Giacomo. «Stiamo parlando della salvezza del mondo.»

«Anche voi, tanti quanti siete», rispose Pietro, «è a questo che pensate, ma non re convenite. Io dico ben chiaro tutto ciò .che mi passa per la testa, buono o cattivo che sia; il mio spirito vola e io volo con lui; ecco perché le cattive lingue mi chiamano>banderuola. Non ho ragione, Maestro?»

Il viso di Gesù si raddolcì, sorrise. Gli venne in mente un vecchio aneddoto.

«C'era una volta un rabbino che voleva trovare qualcuno che sapesse suonare la tromba alla perfezione, affinché i fedeli la udissero e venissero alla sinagoga. Allora fece redigere un proclama: che si presentassero tutti i

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bravi suonatori di tromba, avrebbe fatto far loro una prova e avrebbe assunto il migliore. Ne vennero cinque, i migliori. Ognuno prese la tromba e suonò. Quando ebbero finito, il rabbino li prese uno per uno e domandò loro: 'A che cosa pensi, figliolo, quando suoni la tromba?' Uno di essi, rispose: 'Io penso a Dio'. Un altro: 'Io alla salvezza d'Israele* e un altro: 'Io ai poveri che hanno fame...' 'Io alle vedove e agli orfani...' Uno solo, il più disperato, restava in un angolino senza parlare. 'E tu, figliolo mio, a che cosa pensi quando suoni la tromba?' gli chiese il rabbino. 'Vecchio', gli rispose quello arrossendo, 'sono povero e ignorante, ho quattro figlie e non posso dal loro una dote affinché si sposino come le altre ragazze, poverine; allora, quando suono la tromba, penso: Mio Dio, vedi che lavoro e mi affatico per te e Tu, da parte tua, mandami quattro fidanzati per le mie figliole!' 'Ricevi la mia benedizione', disse il rabbino, 'scelgo te!'»

Gesù si girò verso Pietro e, ridendo, gli disse: «Ricevi la mia benedizio-ne, Pietro, scelgo te. Pensi al cibo e parli di cibo; pensi a Dio e parli di Dio, con franchezza e lealtà! Ecco perché ti chiamano banderuola e mulino a vento. Ma io scelgo te: sei il mulino a vento e macinerai il grano che diverrà pane da dar da mangiare agli uomini».

Avevano un pezzo di pane; Gesù lo prese e lo divise. A ognuno toccò un solo boccone, ma il Maestro l'aveva benedetto e ne furono saziati. Quindi si distesero appoggiandosi uno sull'altro e si addormentarono.

Di notte, tutto dorme, riposa, s'ingrandisce; le pietre, le acque, le anime. Al mattino, quando i compagni sì svegliarono la loro anima si era distesa, si era ingrandita e aveva invaso tutto il loro corpo. E l'aveva riempito di gioia e di sicurezza.

Si misero in cammino prima ancora dell'alba; l'aria era fresca, vi erano delle nubi, il cielo divenne un cielo autunnale. Passarono lentamente delle gru, trascinando le rondini verso sud. I compagni camminavano con passo leggero e veloce, il cielo e la terra si erano uniti nel loro cuore; anche la pietra più umile irradiava luce, piena di Dio.

Gesù camminava davanti, solo. Era preoccupato e sapeva che poteva contare solo sulla misericordia di Dio. Sapeva di aver bruciato i suoi vascelli e che non poteva indietreggiare; il suo destino camminava davanti a lui, egli lo seguiva e avrebbe portato a termine tutto ciò che Dio avesse deciso. Il suo destino? All'improvviso udì nuovamente quei passi misterio-si che l'avevano seguito inesorabilmente per tanto tempo. Tese l'orecchio e ascoltò. Quei passi erano veloci, pesanti, decisi; ma adesso non cammina-

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vano più dietro a lui, gli camminavano davanti e lo guidavano... Meglio così, pensò, non posso più perdermi, adesso...

Se ne rallegrò e allungò il passo. Gli parve che i passi si affrettassero e si affrettò a sua volta. Camminava, incespicando nelle pietre, saltando i fossi, correva: «Andiamo! Andiamo!» mormorava alla guida invisibile e avanzava. Di colpo lanciò un grido. Sentì dei dolori lancinanti alle mani e ai piedi, come se gli avessero conficcato dentro dei chiodi. Si accasciò su una pietra, il sudore gli colava a gocce fredde dal viso... Per un istante il suo spirito vacillò; la terra sprofondò sotto di lui e un mare deserto, nero e selvaggio gli si spiegò davanti; solo una piccola imbarcazione rossa navigava coraggiosamente su di esso, con le vele tese al massimo... Gesù la guardava, la guardava e sorrideva: «È il mio cuore...» il suo spirito si stava riprendendo, i dolori diminuirono e, quando arrivarono i discepoli, lo trovarono sorridente, seduto tranquillamente sulla pietra.

«Camminiamo più veloci, compagni!» disse alzandosi.

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Il giorno del Sabbath, si dice, è come un ragazzino ben pasciuto che si riposa sulle ginocchia di Dio. Di Sabbath le acque riposano, gli uccelli non costruiscono il nido, gli uomini non lavorano. Si vestono, si adornano e vanno alla Sinagoga a vedere il rabbino srotolare il volume sacro nel qua-le, in caratteri neri e rossi, è scritta la Legge di Dio; cercano di decifrare quelle lettere e di trovare con grande impegno in ogni parola e in ogni sillaba la volontà di Dio.

Era un Sabbath e i fedeli d'Israele uscivano dalla sinagoga di Nazareth con gli occhi ancora pieni delle visioni che il vecchio rabbino Simeone aveva descritto loro. La luce era così violenta che tutti, abbagliati, inciampavano, come se fossero ciechi; si disperdevano sulla piazza del vil-laggio e camminavano lentamente all'ombra delle palme, per riprender fiato.

Il rabbino, quel giorno, aveva aperto le Scritture a caso; era capitato sul profeta Nahum. Aveva posato il dito, anch'esso a caso, sulle seguenti parole sacre: «Ecco che hanno risuonato sulle montagne i passi del mes-saggero, portatore della buona novella!» Il vecchio rabbino le lesse, le ri-lesse, si appassionò.

«È il Messia», gridava, «arriva. Guardate attorno a voi, guardate in voi: troverete ovunque segni del suo arrivo. A noi la collera, la vergogna, la

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speranza, a noi il grido: ne abbiamo abbastanza! E fuori, osservate: Satana è seduto sul trono dell'Universo; su una delle sue ginocchia tiene e acca-rezza il corpo dell'uomo, che è corrotto; sull'altra, la sua anima, che è prostituita. Ecco arrivare il momento annunciato dai profeti che sono la voce di Dio. Aprite le Scritture; che cosa dicono? 'Quando Israele sarà gettato giù dal trono e i barbari saccheggeranno la nostra terra santa, sarà la fine del mondo!' Che cosa dicono ancora le Scritture? 'L'ultimo re sarà corrotto, iniquo, ateo; i suoi figli saranno indegni e la corona cadrà dalla testa d'Israele.' Il re corrotto e iniquo è giunto, è Erode; l'ho visto con i miei occhi quando mi ha chiamato a Gerico per guarirlo; conoscevo delle piante segrete, le ho portate con me e vi sono andato. Vi sono andato e, da allora, non ho più potuto mangiare carne, perché avevo visto la sua carne putrefarsi; non ho più potuto bere vino, perché ho visto il suo sangue pieno di insetti e il suo puzzo l'ho sempre presente, dopo più di trent'anni... È morto, è finito. I suoi figli sono cresciuti indegni, dei delinquenti, dell'im-mondizia; la corona reale è caduta dalla loro testa...

«Le profezie si sono avverate, la fine del mondo è giunta! Una voce è risuonata sulle rive del Giordano: 'Arriva!' Un grido è risuonato in noi: 'Egli arriva!' Ho aperto, oggi, le Scritture, le lettere si sono unite e hanno gridato: 'Egli arriva!' Sono invecchiato: i miei occhi non vedono più molto chiaro, i miei denti cadono, le ginocchia si paralizzano; se sono contento! Sono contento perché Dio mi ha dato la sua parola: 'Simeone, non morirai prima di aver visto il Messia'. Più si avvicina la mia morte, più si avvicina il Messia. Coraggio, figlioli. La schiavitù non esiste, Satana, i Romani, non esistono; esiste solo il Messia ed egli arriva! Uomini, prendete le vostre armi e andate in guerra! Donne, accendete le lampade che il fidanzato si avvicina! Non ne sappiamo né l'ora né il momento. Forse oggi, forse domani, rimanete all'erta! Odo sulle montagne vicine le pietre rotolare, sotto i suoi passi. Egli arriva; uscite, forse lo vedrete!»

La gente uscì e si disperse sotto i folti palmizi. Faceva fatica ad accet-tare le parole del vecchio rabbino e cercava di dimenticarle, per moderare tutto quel fervore, affinché la sua anima si immergesse nuovamente nelle preoccupazioni quotidiane... E mentre passeggiava e aspettava con impa-zienza mezzogiorno per tornare nelle proprie case e dimenticare, parlando, litigando, mangiando, le parole sacre, ecco apparire il figlio di Maria con le vesti stracciate, scalzo e con il viso che lanciava fiamme. Dietro a lui, intimiditi, stretti l'uno contro l'altro, i quattro discepoli e, per ultimo, con lo sguardo truce, Giuda il Rosso.

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I benestanti rimasero stupefatti: da dove venivano quegli straccioni e non era forse il figlio di Maria quello che camminava davanti a loro?

«Guarda come cammina; stende e agita le braccia come se fossero delle ali. Dio gli ha gonfiato il cervello ed egli ora cerca di volare. Sale su una pietra, fa un cenno, vuol parlare. Rideremo un po'.»

Gesù, in effetti, era salito su una pietra in mezzo alla piazza. La folla si era radunata ridendo attorno a lui. Erano contenti che fosse arrivato quel-l'illuminato: così non avrebbero più pensato alle dure parole del rabbino: «In guerra, restate all'erta, sta arrivando!» Erano anni e anni che faceva ri-suonare quel ritornello nelle loro orecchie, ne avevano abbastanza. Adesso, sia lodato Dio, il figlio di Maria li avrebbe fatti divertire.

Gesù agitava le braccia e faceva segno che tutti si radunassero attorno a lui. Lo spazio si riempì di barbe, di mantelli rigati, di berretti imbottiti. Alcuni masticavano datteri per ingannare la fame, altri semi di girasole, i più vecchi e i più pii sgranavano lunghi rosari fatti di piccoli nodi di tela azzurra contenente ciascuno una parola delle Sacre Scritture.

Gli occhi di Gesù lanciavano lampi e il suo cuore, di fronte a una folla così grande, non provava alcun timore.

«Fratelli!» gridò. «Aprite le vostre orecchie, aprite i vostri cuori, udite ciò che sto per dirvi. Isaia grida: 'Lo spirito del Signore è sceso su di me, mi ha scelto per portare la buona novella ai poveri, ha mandato me per annunciare la libertà agli schiavi e la luce ai ciechi!' Quel giorno profetiz-zato è giunto, fratelli, sono io che il Dio d'Israele ha mandato per portarvi la buona novella. Ho ricevuto l'unzione lontano da qui, nel deserto d'Idu-menea, è da là che arrivo! - Dio mi ha confidato il grande segreto; l'ho raccolto, ho attraversato pianure e montagne - non avete udito i miei passi sulle montagne? - e sono corso qui, nel mio villaggio natale per proclama-re la buona novella. Quale buona novella? Il regno dei cicli è arrivato!»

Un vecchio con una doppia gobba, come i cammelli, alzò il suo rosario e ridacchiò.

«Parole a vanvera quelle che ci dici, figlio del falegname, parole a van-vera. Regno dei cieli, giustizia, libertà e, finitela, cani quali siete, ne abbia-mo abbastanza! Miracoli! Miracoli! È qui che ti voglio vedere; fai dei mi-racoli, se vuoi che crediamo in te; altrimenti chiudi la bocca!»

«Tutto è miracolo, vecchio», rispose Gesù, «perché ne chiedi ancora? Abbassa gli occhi: il più infimo filo d'erba ha il proprio angelo custode che l'assiste e che l'aiuta a crescere. Alza gli occhi molto in alto: che miracolo il cielo stellato! E, se chiudi gli occhi, vecchio, che miracolo che il mondo

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sia in noi e che il nostro cuore sia un cielo pieno di stelle!»Ascoltavano stupiti e si guardavano l'un l'altro.«Non è il figlio di Maria? Come fa a parlare con tale autorità? È un

demonio che parla dalla sua bocca. Dove sono i suoi fratelli perché lo le-ghino per impedirgli di mordere? Ha aperto ancora una volta la bocca, tacete!»

«Il giorno del Signore si avvicina, siete pronti? Non vi rimangono che poche ore, chiamate i poveri, dividete i vostri beni. Perché vi preoccupate dei beni della terra? Arriva il fuoco che li brucerà! Prima del regno dei cieli verrà il regno del fuoco. Nel giorno del Signore, le pietre con cui sono costruite le case dei ricchi crolleranno per schiacciare i loro padroni. Le monete d'oro nei forzieri trasuderanno e su di esse si vedrà colare il sudore e il sangue dei poveri! I cieli si apriranno, vi sarà un diluvio di fuoco e la nuova Arca navigherà sulle fiamme. Sono io che ho le chiavi che aprono l'Arca e sono io che scelgo. Nazareni, fratelli miei, è da voi che comincio, siete i primi invitati, venite, entrate. Le fiamme di Dio stanno già scenden-do su di noi!»

«Che se ne vada! Che se ne vada! Ecco che il figlio di Maria viene a salvarci!» Il popolo si mise a deriderlo, e a schernirlo. Alcuni si chinarono, raccolsero delle pietre e aspettarono.

Dalla parte opposta della piazza arrivò di corsa Filippo, il pastore. Aveva udito che i suoi amici erano arrivati ed era venuto correndo. I suoi occhi erano gonfi e tutti rossi, come se avesse pianto molto, le guance erano incavate. Il giorno in cui aveva salutato Gesù e i suoi compagni, in riva al lago, quando aveva gridato loro ridendo: «Non posso venire, ho le mie pecore, come fare a lasciarle?», dei banditi, arrivati dal Libano, gliele avevano rubate. Non gli rimaneva più che il bastone da pastore. Lo teneva sempre e, come un re senza trono, andava di villaggio in villaggio, di mon-tagna in montagna a cercare ancora le sue pecore. Bestemmiava e minac-ciava, affilava un lungo pugnale e diceva che sarebbe partito per il Libano. Ma da solo, di notte, piangeva. Adesso correva per ritrovare i suoi vecchi amici, per raccontar loro le sue disgrazie e per partire tutti insieme per il Libano. Udì le risate e gli schiamazzi.

«Che cosa succede qui?» mormorò. «Perché ridono?» Si avvicinò; Gesù ora era scatenato.

«Perché ridete?» gridava. «Perché raccogliete pietre per lapidare il Figlio dell'uomo? Perché vi sentite orgogliosi delle vostre case, dei vostri uliveti, delle vostre vigne? Sono solo cenere! Cenere! E i vostri figli e le

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vostre figlie pure, solo cenere! E le fiamme, banditi potenti, si abbatteran-no giù dalle montagne per portarvi via le vostre pecore!»

«Quali banditi, quali pecore, che cosa sono questi fuochi che egli ci predice?» mormorò Filippo che ascoltava, con il mento appoggiato al bastone.

Gesù parlava e il popolino arrivava incessantemente dai quartieri più miseri. Avevano sentito dire che un nuovo Profeta era giunto per i poveri ed erano accorsi. Egli aveva in una mano - pareva - il fuoco del cielo per bruciare i ricchi e nell'altra una bilancia per distribuire i loro beni ai poveri. Era un nuovo Mosè che portava una Legge nuova, più giusta. Ora stavano lì in piedi, come stregati, e l'ascoltavano. Era arrivato, era arrivato il regno dei poveri!

E mentre Gesù apriva di nuovo la bocca per parlare, quattro braccia gli piombarono addosso, l'afferrarono, lo tirarono giù dalla pietra e lo legarono velocemente con una grossa corda. Gesù si girò; erano i suoi fratelli, i figli di Giuseppe, Simone lo zoppo e Giacomo il pio.

«A casa! A casa! Ossesso!» gli gridavano, trascinandolo con rabbia.«Non ho casa, lasciatemi. Ecco la mia casa, ecco i miei fratelli!» grida-

va Gesù indicando la folla.«A casa! A casa!» gridavano a loro volta i ricchi deridendolo. Uno di

essi alzò la mano e lanciò la pietra che aveva raccolto; colpì la fronte di Gesù e si vide la prima goccia di sangue. Il vecchio gobbo si mise a gri-dare:

«A morte! A morte! È uno stregone, fa dei malefici. Grida al fuoco di venire a bruciarci e il fuoco verrà!»

«A morte! A morte!» Le grida sorsero dovunque. Pietro intervenne.«È una vergogna», urlò, «che cosa vi ha fatto? È innocente!»Un omone robusto si lanciò su di lui.«E anche tu stai*con lui, se non mi sbaglio, eh?» gridò, afferrandolo per

il collo.«No! No!» urlò Pietro. «No, non sto con lui!» Si sforzava di togliere

quella mano che gli stringeva il collo.I tre altri compagni di Gesù non sapevano più che cosa fare. Giacomo e

Andrea calcolavano la loro forza, gli occhi di Giovanni erano pieni di la-crime. Giuda, a forza di gomiti, si aprì un varco nella folla, liberò il Mae-stro dalle mani dei due fratelli scatenati e lo slegò.

«Andatevene !» gridò. «Altrimenti avrete a che fare con me!»«Vai al tuo paese a dare ordini!» urlò Simone lo zoppo.

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«Ovunque le mie braccia arrivino, do degli ordini, zoppo!» Si voltò verso i quattro discepoli. «Non avete vergogna?» gridò loro. «L'avete già rinnegato. Avanti, stiamogli attorno affinché nessuno lo possa toccare!»

I quattro discepoli ebbero paura e anche i poveri e gli straccioni intervennero a loro volta.

«Anche noi siamo con voi, fratelli!» gridarono. «Li prenderemo!»«Anch'io sono con voi!» esclamò una voce eccitata: era Filippo, che

faceva ruotare il suo bastone e allontanava la folla per passare. «Vengo anch'io!»

«Benvenuto, Filippo!» gli rispose il Rosso. «Vieni con noi! Poveri e oppressi, restiamo uniti!»

I benestanti, vedendo i poveri del loro villaggio rialzare la testa, s'infu-riarono. «Il figlio di Maria è venuto a montar la testa ai poveri e a rove-sciare l'ordine del mondo. Pare che porti una nuova legge. A morte! A morte!» Si scaldarono e si gettarono su di lui, alcuni con bastoni, altri con coltelli, altri con delle pietre. I vecchi rimanevano indietro e urlavano per incoraggiarli. Gli amici di Gesù si ripararono dietro i platani che contorna-vano la piazza. Gesù avanzava, tendeva le braccia e gridava: «Fratelli! Fratelli!» ma nessuno l'ascoltava. Le pietre ora volavano con rabbia e i primi feriti gemevano.

Una donna uscì precipitosamente da una stradina. Il suo Viso era avvol-to in un fazzoletto viola; non si scorgeva che metà della sua bocca e i grandi occhi neri, pieni di lacrime.

«In nome del cielo», invocò con voce flebile, «non lo uccidete!»«Maria», gridarono delle voci, «sua madre!»Ma i vecchi avevano altro per la testa che compiangere la madre. Erano

furenti.«A morte! A morte!» ruggivano. «È venuto per sollevare il popolo, per

fomentare una rivoluzione, per distribuire i nostri beni agli straccioni e agli scalzi. A morte!»

Gli uomini ormai lottavano corpo a corpo. I due figli di Giuseppe si rotolavano per terra e urlavano. Giuda aveva estratto il pugnale e, in piedi davanti a Gesù, impediva che qualcuno gli si avvicinasse. Filippo pensava alle sue pecore, il suo sguardo si era incupito e menava colpi di bastone sulle teste, come se fosse stato sordo.

«In nome del cielo», ripeteva Maria, «è malato! La sua testa non ragiona, abbiate pietà di lui!»

Ma la sua voce si sperdeva in tutto quel clamore. Giuda aveva afferrato

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l'uomo più robusto che c'era e gli puntava il pugnale alla gola; ma Gesù ebbe il tempo di trattenere il suo braccio:

«Giuda, fratello mio,» gridò, «niente sangue, niente sangue!»«Che cosa allora? Dell'acqua?» fece il Rosso, furioso. «Hai l'ascia in

mano, l'hai dimenticato? È giunta l'ora!»Pietro stesso, furibondo per il colpo ricevuto, prese una grossa pietra e

si lanciò contro i vecchi. Maria entrò nel Bel mezzo della rissa e si avvicinò al figlio. «Figlio mio», disse, «che cosa ti succede? Come mai sei arrivato a questo punto? Vieni a casa a lavarti, a cambiarti, a metterti i sandali: sei tutto sporco, figlio mio!»

«Non ho casa», disse Gesù. «Non ho madre. Chi sei?»La madre scoppiò in singhiozzi, si ficcò le unghie nel viso e non disse

più nulla.Pietro lanciò la sua grossa pietra che cadde sul vecchio gobbo e lo

schiacciò; questi, urlando dal dolore, si trascinò incespicando per le stradi-ne, dirigendosi alla casa del rabbino. In quel mentre questi apparve, ansi-mando. Aveva udito il tumulto e si era strappato precipitosamente dalle Sacre Scritture nelle quali era immerso fino al collo, cercando di interpre-tare la volontà di Dio attraverso lettere e sillabe. Appena udito il rumore della lotta aveva preso il bastone sacerdotale ed era corso per vedere che cosa stava succedendo. Per la strada aveva incontrato dei feriti e aveva saputo tutto. Scostò la gente e arrivò vicino al figlio di Maria.

«Che cosa significa tutto questo, Gesù?» gli disse severamente. «Sei tu che porti l'amore? È questo l'amore che porti? Non hai vergogna?»

Si girò verso il popolo.«Tornate a casa, figlioli», disse. «È mio nipote, è ammalato, l'infelice,

malato da anni. Non gli serbate rancore per ciò che ha detto, perdonatelo. Non è lui che parla, è un altro che parla attraverso la sua bocca!»

«Dio!» esclamò Gesù.«Taci», disse il rabbino, toccandolo con il suo bastone sacerdotale.Sì girò di nuovo verso il popolo.«Lasciatelo stare, figlioli, non serbategli rancore, non sa quel che dice.

Tutti, poveri o ricchi, siamo il seme di Adamo, non litigate. È mezzogior-no, tornate a casa e questo, l'infelice, lo curerò io.»

Si girò verso Maria.«Maria, torna a casa, ti raggiungeremo presto anche noi.»La madre gettò un ultimo sguardo angosciato verso il figlio come se gli

dicesse addio per sempre. Sospirò, strinse fra i denti i lembi del suo fazzo-

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letto e sparì nelle stradine strette.Mentre gli uomini si ammazzavano fra loro, le nuvole avevano coperto

il cielo: stava per cadere la pioggia a rinfrescare la terra. Si alzò il vento; le ultime foglie dei platani e dei fichi si staccavano e cadevano a terra. La piazza era rimasta vuota. Gesù si girò verso Filippo e gli tese la mano.

«Filippo, fratello mio, che tu sia il benvenuto.»«Sono felice di averti ritrovato, Maestro», gli rispose l'altro stringendo-

gli la mano. Gli consegnò il bastone.«Prendilo per appoggiarti.»«Compagni di lotta, andiamocene», disse Gesù. «Scuotete la polvere dai

vostri piedi. Addio, Nazareth.»«Vi accompagnerò fino alle porte del villaggio», disse il vecchio rabbi-

no, «perché nessuno vi faccia del male.» Prese Gesù per mano e tutti e due si misero in testa e aprirono il cammino. Il vecchio rabbino sentiva nella sua la mano bruciante di Gesù.

«Ragazzo mio», disse, «non ti occupare delle pene degli altri, ti divore-ranno.»

«Non ho preoccupazioni mie, vecchio; gli altri possono pure divorar-mi!» gli rispose Gesù.

Arrivarono alle porte di Nazareth e apparvero i giardini e più oltre, i campi. Dietro di loro, i discepoli si fermarono un attimo per lavare le loro ferite a una sorgente. Con essi veniva un gran numero di straccioni, d'infer-mi, di ciechi. Aspettavano che il nuovo Profeta facesse un miracolo. Parlavano tutti insieme eccitati e allegri, come se tornassero da una gran battaglia.

I quattro discepoli, però, camminavano silenziosi e inquieti. Avevano premura di raggiungere il Maestro perché li consolasse. Nazareth, la sua patria, li aveva scacciati e derisi; la grande spedizione era cominciata male! E se ci scacciano da Cana, pensavano, da Cafarnao e da tutto il lago di Genezareth, che cosa diverremo? Dove andremo? A chi proclameremo il verbo di Dio? Se il popolo d'Israele ci rifiuta e ci scaccia, verso chi ci dirigeremo? Verso gli infedeli?

Guardavano il Maestro, ma nessuno apriva bocca per parlare. Gesù vide la paura nei loro occhi e afferrò Pietro per la mano.

«Pietro, uomo di poca fede», disse, «una bestia nera, col pelo ritto, si nasconde nella pupilla dei tuoi occhi; è la Paura. Hai avuto paura?»

«Quando sono lontano da te, Maestro, ho paura: ecco perché mi sono avvicinato, ecco perché tutti ci siamo avvicinati a te. Parlaci, per dar forza

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al nostro cuore.»Gesù sorrise.«Non esistono parole per descrivervi quello che c'è in fondo alla mia

anima», disse. «Ancora una volta cercherò di spiegarmi con un racconto.«Un uomo ricco sposava suo figlio e ordinò che fosse preparato un

pranzo sontuoso nel suo palazzo. Una volta uccisi i tori e preparate le tavole, mandò i servi ad annunciare agli ospiti: Tutto è pronto, venite alle nozze, se volete'. Ma gli invitati trovarono tutti un pretesto per non andarvi.

«'Ho comprato un terreno e devo andare a vederlo', disse uno. 'Mi sono appena sposato', disse un altro, 'e non posso venire.' 'Ho comprato cinque coppie di buoi', disse un terzo, 'e devo provarli...' I servi tornarono e rife-rirono al padrone: 'Nessun invitato può venire. Dicono di essere occupati'. Il signore s'incollerì. 'Correte subito nelle piazze e agli angoli delle strade, riunite i poveri, gli zoppi, i ciechi, gli storpi e conduceteli qui. Ho invitato i miei amici ed essi si rifiutano di venire. Riempirò la mia casa di coloro che non sono invitati, affinché mangino, bevano e si rallegrino per le nozze di mio figlio.'»

Gesù tacque; aveva cominciato in tono pacato, ma, a mano a mano che parlava, pensava ai Nazareni e agli Ebrei e i suoi occhi si riempivano di collera.

«Chi sono gli invitati? E di chi sono le nozze? Non capiamo, perdonaci, Maestro», disse Pietro, grattandosi la grossa testa.

«Capirete», disse Gesù, «quando chiamerò gli invitati affinché entrino nell'Arca ed essi rifiuteranno di venire perché avranno delle vigne, delle donne e perché i loro occhi, le loro orecchie, le loro labbra, le loro narici, le loro mani sono come cinque paia di buoi che lavorano. Che cosa lavo-rano? L'Inferno!»

Sospirò. Guardò i compagni e sentì che era completamente solo al mondo.

«Io parlo», mormorò, «ma a chi? Parlo all'aria e sono il solo a udire. Quando il deserto avrà orecchie per udirmi?»

«Perdonaci, Maestro», disse ancora Pietro, «il nostro cervello è un pezzetto di fango. Abbi pazienza, fiorirà.»

Gesù si voltò e guardò il vecchio rabbino; ma questi teneva gli occhi fissi al suolo, aveva indovinato il terribile significato nascosto e i suoi oc-chi senza ciglia si erano riempiti di lacrime.

All'uscita di Nazareth, davanti a una baracca di legno, c'era il pubbli-

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cano che riceveva le tasse; si chiamava Matteo. Per tutte le merci che entravano o uscivano bisognava pagare delle tasse ai Romani. Matteo era piccoletto, grassottello, di colorito giallastro; aveva mani molli, dita spor-che d'inchiostro, grosse orecchie pelose e una vocina acuta, come quella di un eunuco. Il villaggio intero lo detestava e ce l'aveva con lui, nessuno gli tendeva la mano e, quando si passava davanti alla sua baraccarsi girava la testa. Le Scritture non dicevano forse: «È solo a Dio che dobbiamo pagare le tasse e non agli uomini»? E quell'uomo era un esattore agli ordini del tiranno, non rispettava la legge, viveva nell'illegalità; per sette leghe attor-no a lui, l'aria ne era insozzata.

«Affrettiamoci, compagni», disse Pietro. «Trattenete il fiato; girate la testa.»

Ma Gesù si fermò. Davanti alla sua baracca, Matteo teneva in mano la cannuccia per scrivere, ansimava, non sapeva che cosa fare; non osava rimanere lì, ma non voleva neppure rientrare nella baracca. Da tanto tempo aspettava di vedere da vicino il nuovo Profeta che proclamava che tutti erano fratelli. Non era lui che aveva detto un giorno: «Dio ama di più il peccatore pentito che l'uomo che non ha mai peccato»? E un'altra volta non aveva forse detto: «Non sono venuto al mondo per i virtuosi, sono venuto per i peccatori. È con essi che amo parlare e mangiare»? E un altro giorno gli avevano domandato: «Maestro, qual è il nome del vero Dio?» ed egli aveva risposto: «Amore».

Per molti giorni e molte notti, Matteo aveva rimuginato quelle parole fra sé e sé; diceva sospirando: «Quando dunque lo potrò vedere per cadere ai suoi piedi?» E adesso, che era davanti a lui, non osava alzare gli occhi per guardarlo, restava in piedi, a testa bassa, immobile e aspettava. Che cosa aspettava? Adesso se ne sarebbe andato e sarebbe svanito per sempre.

Gesù fece un passo e gli si avvicinò.«Matteo», disse a bassa voce, con tale dolcezza che il pubblicano sentì

il cuore sciogliersi. Alzò gli occhi; Gesù era davanti a lui e lo guardava. Quello sguardo dolce, onnipotente, scendeva fin nelle viscere, mentre il cuore si calmava, la niente si schiariva, il fondo del suo essere tremava e finalmente il sole si rifletteva su di lui e lo scaldava. Che gioia, che certez-za, che riconciliazione! Il mondo era dunque così semplice, la salvezza così facile?

Matteo chiuse i registri, prese un quaderno bianco, infilò il calamaio di bronzo nella cintura e la cannuccia dietro all'orecchio; poi chiuse a chiave la porta della baracca e si avvicinò a Gesù. Le ginocchia gli tremavano, si

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fermò. Doveva avanzare? Non avanzare? Il Maestro gli avrebbe dato la mano? Alzò gli occhi, guardò Gesù, come per gridargli: «Abbi pietà di me». Gesù gli sorrise e gli tese la mano.

«Benvenuto a te, Matteo», disse, «vieni con noi.»I discepoli furono turbati, si fecero da un lato. Il vecchio rabbino si

chinò all'orecchio di Gesù e gli disse: «Ragazzo mio, è un pubblicano! È un grande errore; devi ubbidire alla Legge!»

«Vecchio», disse Gesù, «io obbedisco al mio cuore.» Erano usciti da Nazareth, oltrepassarono i giardini e giunsero nei campi. Soffiava un vento freddo; lontano, il monte Hermon risplendeva, coperto dalle prime nevi.

Il rabbino afferrò di nuovo la mano di Gesù, non voleva che si separas-sero senza aver parlato... Ma che cosa dirgli? Da dove cominciare? Nel de-serto d'Idumea, Dio - almeno così gli pareva - gli aveva affidato in una ma-no il fuoco, nell'altra i semi; sarà forse lui a bruciare il mondo e a costruir-ne uno nuovo?... Il rabbino guardava furtivamente Gesù. Bisognava cre-dervi? Le Scritture non dicono che l'eletto di Dio è simile a un albero gra-cile, cresciuto fra le pietre, disprezzato, abbandonato dagli uomini? Forse... forse... può essere questo, pensava il vegliardo. Si appoggiò a lui.

«Chi sei?» gli chiese a bassa voce per non essere udito dagli altri.«È tanto tempo, da quando sono nato, zio Simeone, che vivi vicino a me

e non mi hai ancora riconosciuto?»Il vecchio rabbino rimase senza fiato.«È troppo per il mio spirito», mormorò, «è più di quanto il mio spirito

possa intendere...»«E il tuo cuore, zio Simeone?»«Lui non lo ascolto; porta l'uomo nell'abisso.»«Nell'abisso di Dio, alla salvezza», disse Gesù guardando il rabbino con

compassione. Poi, dopo un momento:«Non ricordi, vecchio, il sogno della tribù d'Israele che una notte ha

visto a Babilonia il profeta Daniele? Il Vecchio dei Giorni era seduto sul suo trono; le sue vesti erano candide come la neve e i suoi capelli erano come il pelo di un ariete bianco. Il suo trono era fatto di fiamme e un fiu-me di fuoco scorreva ai suoi piedi. Alla sua destra e alla sua sinistra si sono seduti i giudici. Allora i cicli si aprirono e sulle nuvole chi scese? Te ne ricordi, vecchio?»

«Il Figlio dell'uomo», rispose il vecchio rabbino che da anni si pasceva di quel sogno. E talvolta la notte, nel sonno, aveva visto anche lui.

«E chi è quel Figlio dell'uomo, vecchio?»

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Le ginocchia del vecchio rabbino si piegarono. Guardò il giovane con spavento.

«Chi?» mormorò, pendendo dalle labbra di Gesù. «Chi?»«Io», rispose pacatamente Gesù e posò la mano sulla testa del vecchio,

come per benedirlo.Il vecchio rabbino cercò di parlare, ma le sue labbra non riuscivano a

schiudersi.«Addio, vecchio», disse Gesù tendendogli la mano. «Sii felice di esser

stato considerato degno di vedere, prima di morire, ciò che tutta la vita hai desiderato ardentemente di vedere. Dio non ha mancato alla sua parola, vecchio Simeone!»

Il rabbino rimase immobile, spalancò gli occhi e lo guardò... Chi era quella gente che lo circondava? I troni, le ali, i fulmini bianchi, le nuvole che scendevano, il Figlio dell'uomo sulle nuvole? Stava forse sognando? Era forse il profeta Daniele? Le porte del futuro si erano spalancate davanti a lui e lui vedeva? Non erano terre quelle, erano nuvole. E quel giovane che gli aveva teso la mano e che gli sorrideva, non era il figlio di Maria, era il Figlio dell'uomo!

Fu colto da vertigini. Piantò il suo bastone sacerdotale nel suolo, vi si appoggiò per non cadere e guardò. Guardava Gesù passare con il suo ba-stone da pastore sotto gli alberi autunnali. Il cielo si era abbassato, la piog-gia non poteva più trattenersi nel cielo e cadeva. Le vesti del vecchio rabbino erano inzuppate, si incollavano al suo corpo, l'acqua gli scendeva dai capelli, egli tremava. Ma rimaneva in mezzo al cammino, immobile, mentre Gesù, seguito dai compagni, era scomparso fra gli alberi. Il vecchio rabbino, nella pioggia e nel vento, li vedeva ancora cenciosi, scalzi, cam-minare, salire... dove andavano? In che direzione? Erano quegli ignoranti, quei cenciosi, quegli scalzi che avrebbero incendiato il mondo? I disegni di Dio sono un abisso...

«Adonai», mormorò, «Adonai...» e grosse lacrime gli rigarono il volto.

22

Roma troneggia sulle nazioni, con le sue braccia onnipotenti e insazia-bili: riceve i vascelli, le carovane, gli dei e i raccolti di tutta la terra e di tutto il mare. Non crede in nessun dio e riceve senza timore, con ironica condiscendenza, tutti gli dei alla sua corte: dalla lontana Persia, adoratrice del fuoco, il figlio di Ahoura Mazda, Mitra, il cui viso è un sole che monta

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sul toro sacro che sarà sgozzato; dal paese del Nilo dalle feconde mammel-le, Isis che, in primavera, cerca sui campi fioriti i quattordici pezzi di Osiris, suo fratello e sposo, squartato dai Tifoni; dalla Siria, fra strazianti lamenti, il meraviglioso Adone; dalla Frigia, steso su un sudario, ricoperto da violette appassite, Atis; dall'impudica Fenicia, Astarte dai mille sposi, tutti gli dei e demoni dell'Asia e dell'Africa; e dalla Grecia, l'Olimpo dalla cima innevata e il nero Hades.

Essa riceve tutti gli dei, ha aperto la strada, ha ripulito il mare dai pirati e la terra dai briganti; ha portato al mondo l'ordine e la pace. Sopra di essa non vi è nessuno, neppure Dio; sotto di essa tutti; dei e uomini, cittadini e schiavi romani. Il Tempo si è avvolto nelle sue mani come un manoscritto preziosamente miniato. Il Tempo e anche lo Spazio: «Io sono eterna», dice essa fieramente accarezzando l'aquila a due teste che ha ripiegato le sue ali insanguinate e riposa ai piedi della sua padrona. «Che splendore, che gioia inalterabile, quella di essere onnipotente e immortale!» pensa Roma.

E un grande sorriso si allarga sul suo viso carnoso e imbellettato.Essa sorride soddisfatta e non le passa neppure per la testa di chiedersi

per chi ha aperto le vie della terra e del mare, per chi ha faticato, per tanti secoli, per portare al mondo pace e sicurezza. Trionfava, compilava leggi, si arricchiva, si espandeva su tutta la terra, per chi? Per chi?

Per lo scalzo che sta salendo in questo momento la strada deserta che da Nazareth va a Cana, seguito da una folla di cenciosi. Non ha un tetto sotto cui dormire, non ha nulla con cui vestirsi, nulla da mangiare. Le sue canti-ne, i suoi cavalli e le sue fastose vesti di seta sono in cielo. Cominciano a scendere, però.

Cammina fra polvere e pietre, i suoi piedi sono insanguinati, tiene in mano il suo umile bastone da pastore e, di tanto in tanto, si ferma, vi si appoggia e, in silenzio, percorre con lo sguardo le montagne che lo attor-niano e, sopra a esse, una luce. Dio che, da lassù, guarda gli uomini. Solle-va il bastone, lo saluta e riprende la sua strada.

Arrivarono a Cana. Al pozzo, all'entrata del villaggio, una giovane don-na, incinta, pallida, felice, stava attingendo dell'acqua e riempiva la sua brocca. La riconobbero; era al suo matrimonio che erano andati, durante l'estate, e le avevano augurato di avere un figlio.

«Il nostro augurio è stato esaudito», disse Gesù sorridendo. La donna arrossì e chiese loro se avevano sete; non avevano sete; ella si posò la brocca sulla testa, entrò nel villaggio e sparì.

Pietro avanzò per primo e si mise a bussare a tutte le porte. Correva di

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casa in casa; una misteriosa ebbrezza si era impossessata di lui, ballava e gridava:

«Aprite! Aprite!»Le porte si aprivano, apparivano delle donne; calava la sera e i contadi-

ni rientravano dai campi e domandavano, interdetti:«Che cosa succede, ragazzi? Perché bussate alle porte?»«Il giorno del Signore è giunto», rispondeva Pietro, «un diluvio, ragaz-

zi; noi portiamo la nuova Arca, voi fedeli entrate tutti dentro; il Maestro ha la chiave, fate presto!»

Le donne si spaventarono, gli uomini si avvicinarono a Gesù. Adesso stava seduto su una pietra e, con il bastone, disegnava delle croci e delle stelle sulla terra.

I malati e gli infermi del villaggio, essi pure, si riunirono.«Maestro, toccaci affinché possiamo guarire. Dicci una buona parola,

per farci dimenticare che siamo lebbrosi, ciechi e storpi.»Una vecchia donna, altera, dal corpo slanciato, tutta vestita di nero

gridò:«Avevo un figlio solo e l'hanno crocifisso. Risuscitalo!»Chi era quella vecchia donna? I contadini si voltarono stupiti. Nessun

uomo del loro villaggio era stato crocifisso. Guardarono da dove veniva quel grido, ma la vecchia era sparita fra le ombre del crepuscolo.

Gesù, chinato verso il suolo, disegnava croci e stelle e ascoltava il suo-no di una tromba da guerra che scendeva dalla montagna di fronte. Risuonò un calpestio pesante e ritmico e, nella luce della sera, luccicarono scudi ed elmi di bronzo. I contadini si girarono e il loro viso si incupì.

«Il maledetto torna dalla caccia. È partito ancora una volta alla cattura di ribelli.»

«Ci ha portato qui nel villaggio sua figlia, che è paralitica, affinché guarisca in quest'aria pura. Ma il Dio d'Israele sa fare i conti, annota e non dimentica. La terra di Cana la divorerà.»

«Non gridate, disgraziati, eccolo che arriva!»Tre cavalieri marciavano in testa; nel mezzo vi era Rufo, il centurione

di Nazareth. Spronò il suo cavallo e si avvicinò alla folla di contadini. Alzò la frusta.

«Perché vi siete riuniti?» gridò. «Disperdetevi!» Il suo viso era triste; in pochi mesi era invecchiato, i suoi capelli si erano fatti grigi. Il dolore di scoprire un mattino nel letto la sua unica figlia paralizzata gli aveva spez-zato il cuore. Mentre caracollava con il cavallo, disperdendo i contadini,

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vide Gesù, seduto in disparte sulla pietra. Per un attimo il suo viso s'illu-minò; spronò il cavallo e gli si avvicinò.

«Figlio del falegname», disse, «che tu sia il benvenuto al tuo ritorno dalla Giudea. Cercavo proprio te.»

Si girò verso i contadini.«Devo parlare con lui, andatevene!»Vide i discepoli e gli straccioni che l'avevano seguito da Nazareth, ne

riconobbe alcuni e aggrottò la fronte.«Figlio del falegname», disse, «tu che hai crocifisso, fai attenzione di

non essere crocifisso pure tu. Non immischiarti con il popolo, non montar-gli la testa. Ho la mano pesante e Roma è immortale.»

Gesù sorrise. Sapeva che Roma non era immortale, ma tacque.I contadini si dispersero mormorando e si fermarono a osservare i tre

ribelli che i legionari avevano catturato e che trascinavano, carichi di cate-ne; un colosso dalla barba a due punte e i suoi due figli. Con la testa alta, guardavano tutti e tre al di sopra degli elmi romani e non vedevano nulla: solo, ritto nell'aria, il Dio d'Israele in collera.

Giuda li riconobbe, erano vecchi compagni di lotta; fece loro un segno, ma essi, accecati dalla luce di Dio, non lo videro.

«Figlio del falegname», disse il centurione chinandosi dal cavallo, «vi sono dei che ci odiano e che ci ammazzano, altri che non si degnano di chinarsi per vederci, altri ancora benevoli, pieni di compassione che gua-riscono gli infelici mortali dalle loro infermità. Figlio del falegname, di che tipo è il tuo Dio?»

«Non vi è che un solo Dio», rispose Gesù, «non bestemmiare, centu-rione!»

Rufo scosse la testa.«Non voglio mettermi a discutere con te su questioni religiose», disse.

«Non posso soffrire gli Ebrei e, scusami, borbottate tutto il tempo le vostre storie di Dio! Io volevo domandarti solo una cosa: può il tuo Dio...»

Si fermò. Aveva vergogna di chiedere una grazia a un ebreo. Ciò nono-stante vide apparire davanti ai suoi occhi un lettino da vergine con sopra, steso immobile, il corpicino pallido di una ragazza con due grandi occhi verdi che lo fissavano, lo guardavano, lo supplicavano...

Si rimangiò la vergogna e si chinò ancor di più dalla sella del cavallo.«Può il tuo Dio, figlio del falegname, guarire gli ammalati?»Guardò Gesù con angoscia.«Lo può?» chiese ancora una volta, vedendo che Gesù taceva.

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«I genitori commettono degli sbagli e sono i figli che pagano. Questa è la legge del mio Dio.»

«È ingiusta!» gridò il centurione rabbrividendo.«È giusta!» rispose Gesù. «Il padre e il figlio appartengono allo stesso

ceppo; salgono insieme in Cielo e scendono insieme all'Inferno. Se se ne picchia uno, entrambi saranno feriti. Tu ci tendi agguati e ci uccidi, centu-rione, e il Dio d'Israele colpisce e paralizza tua figlia.»

«Ciò che stai dicendo è terribile, figlio del falegname. Un giorno, a Nazareth ti ho sentito parlare e le tue parole mi erano sembrate più dolci di quanto un romano abbisogna, ma ora...»

«Allora era il regno dei cicli che parlava, adesso è la fine del mondo. Dal giorno in cui mi hai udito, centurione, il Giudice si è seduto sul suo trono, ha aperto i registri e ha chiamato la giustizia che è venuta di fianco a lui, con la spada in mano.»

«Neppure il tuo Dio va oltre la giustizia?» gridò il centurione esaspera-to. «Si è fermato lì? Che cos'era dunque quel nuovo messaggio che predi-cavi quest'estate in Galilea: Amore, Amore? Mia figlia non ha bisogno della giustizia di Dio; ha bisogno del suo amore. Cerco un Dio che oltre-passi la giustizia e che possa guarire mia figlia. Ecco perché avevo inviato tutti a cercarti. L'Amore, capisci? Cerco l'Amore e non la giustizia.»

«Centurione romano, spietato e senza amore, chi mette dunque queste parole nella tua bocca feroce?»

«L'amore per mia figlia, la sofferenza. Cerco un Dio che la guarisca, per credere in lui.»

«Felici coloro che credono in Dio, senza miracoli.»«Felici, sì. Ma io sono un uomo duro e scettico. Ho visto molti dei a

Roma, ne abbiamo a migliaia nelle nostre edicole, ne ho fin sopra alla testa.»

«Dov'è tua figlia?»«Qui, sopra al villaggio, in un giardino.»Il centurione scese da cavallo e si mise a camminare, davanti a Gesù.

Dietro di loro, distanti, venivano i discepoli, più indietro ancora, la folla di contadini. In quel momento, Tommaso, tutto contento, uscì dalla coda del-la colonna di soldati. Li seguiva e vendeva loro, a buon prezzo, le sue cianfrusaglie.

«Ehi, Tommaso», gli gridarono i discepoli, «non vieni ancora con noi? Adesso vedrai un miracolo e crederai!»

«Voglio prima vedere», rispose Tommaso, «vedere e toccare.»

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«Toccare che cosa, vecchio brigante?»«La verità.»«Come se la verità avesse un corpo! Che cosa stai dicendo, scervella-

to?»«Se non ha corpo, che cosa vuoi che me ne faccia?» disse Tommaso

ridendo. «Io ho bisogno di toccare. Non mi fido né dei miei occhi né delle mie orecchie. Mi fido delle mie mani.»

Arrivarono sopra il villaggio dove c'era un'allegra casetta imbiancata a calce.

Una giovinetta di dodici anni era stesa su un lettino bianco e spalancava i suoi occhioni verdi; vide il padre e il suo viso s'illuminò. Il suo spirito lottò con violenza per far alzare il suo corpo paralizzato, ma non vi riuscì e la gioia sparì dal suo viso. Gesù si chinò a prese la mano della ragazza. Tutta la sua forza si concentrò nella mano della giovane; tutta la sua forza, tutto il suo amore e la sua pietà. Non parlava. Fissava quei due occhi verdi e sentiva la sua anima scorrere impetuosamente fino alla punta delle sue dita ed entrare nel corpo della giovane. Essa lo guardava appassionatamen-te e gli sorrideva.

I discepoli entrarono nella stanza in punta di piedi. Tommaso davanti, con la sua sacca di mercé sulla schiena e la tromba appesa alla vita. Tutto attorno, nel giardino e nella stradina stretta, si erano sparpagliati i conta-dini. Tutti trattenevano il respiro e aspettavano. Il centurione, con la schie-na appoggiata al muro, guardava la figlia e cercava di dissimulare il pro-prio turbamento.

A poco a poco le guance della ragazza ripresero colore, il suo petto si sollevò, un dolce formicolio la percorse dalla mano fino al cuore e dal cuore fino alla pianta dei piedi. Le sue viscere fremevano come le foglie del pioppo quando si alza una leggera brezza. Gesù sentiva la mano della ragazza battere come un cuore, rivivere nella sua mano. Allora aprì la bocca e parlò.

«Figliola», le ordinò con tenerezza, «alzati!»La ragazza si mosse piano, come se, intorpidita, stesse stirandosi come

quando ci si sveglia; le sue mani si appoggiarono sul letto, sollevarono il corpo e, con un balzo, si trovò fra le braccia del padre. Tommaso spalancò gli occhi strabici, allungò una mano e la toccò, come per assicurarsi che essa fosse vera. I discepoli rimasero interdetti e spaventati. Il popolo che si era riunito tutto attorno rumoreggiò per un istante e subito tacque, an-ch'esso spaventato. Non si udiva che il gaio ridere della figlia che abbrac-

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ciava e baciava il padre. Giuda si avvicinò al Maestro; il suo viso era furibondo e cattivo.

«Sprechi il tuo potere per degli infedeli; fai del bene ai nostri nemici. È forse questa la fine del mondo che ci porti? Sono queste le fiamme?»

Gesù, tuttavia, immerso in quel mistero, non lo udì. Era lui che si era spaventato più di tutti vedendo la giovinetta saltar giù dal letto. I discepoli lo circondarono e si misero a danzare, non potevano trattenere la loro gioia; avevano avuto ragione di abbandonare tutto per seguirlo; non era un impostore, faceva dei miracoli. Tommaso, nella sua mente, aveva una bilancia e soppesava il fatto. Su un piatto aveva posato la sua mercé e nell'altro il regno dei cicli; i piatti oscillarono per un momento e finirono per fermarsi. Il regno dei cicli era più pesante, era un buon affare, molto conveniente, ho dato cinque e posso guadagnare mille, allora avanti, in nome del cielo! Si avvicinò al Maestro.

«Rabbi», disse, «è per farti piacere che distribuirò la mia mercé ai pove-ri. Non dimenticarlo, te ne prego, domani, quando verrà il regno dei cicli. Sacrifico tutto e vengo con te. Oggi ho visto e ho toccato la verità.»

Ma Gesù era ancora lontano; aveva udito ma non rispondeva.«Non terrò che la tromba», disse il vecchio mercante, «per suonare e ra-

dunare la gente. Vendiamo nuova mercanzia, immortale, e non chiediamo nulla in cambio!»

Il centurione, con la figlia in braccio, si avvicinò a Gesù.«Uomo di Dio, hai risuscitato mia figlia; che cosa posso fare per te?»«Ho liberato tua figlia dalle catene di Satana», rispose Gesù, «tu, centu-

rione, libera i tre ribelli dalle catene di Roma.»Rufo abbassò la testa e sospirò.«Non posso», mormorò con sincero dolore, «non posso proprio. Ho

fatto un giuramento all'imperatore romano, come tu stesso ne hai fatto uno all'imperatore che adori. È giusto non mantenere il giuramento? Chiedimi qualsiasi altra cosa. Parto dopodomani per Gerusalemme e vorrei farti que-sto piacere prima di partire.»

«Centurione», disse Gesù. «Un giorno ci ritroveremo in momenti diffi-cili, nella santa Gerusalemme. Allora ti chiederò qualcosa. Abbi pazienza fino ad allora.»

Posò la mano sui capelli biondi della ragazza, a lungo; chiuse gli occhi e sentì il calore della testa, la morbidezza dei capelli, la dolcezza della donna.

«Figliola mia», disse, aprendo gli occhi, «non dimenticare quanto ti

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dirò. Prendi tuo padre per mano e portalo sul cammino giusto.»«Qual è il cammino giusto, uomo di Dio?» domandò la ragazza.«L'Amore.»Il centurione diede degli ordini e fu portato da mangiare e da bere; si

prepararono le tavole.«Vi invito», disse a Gesù e ai discepoli, «questa sera mangerete e berre-

te in questa casa. Voglio festeggiare la resurrezione della mia bambina. Erano anni che non provavo più la gioia: questa sera il mio cuore ne trabocca. Siate i benvenuti!»

Si chinò verso Gesù.«Devo grande riconoscenza al Dio che adori», disse. «Dammelo, lo

manderò a Roma con gli altri dei.»«Vi andrà da solo», rispose Gesù e uscì nel giardino per respirare.Calava la notte. Le stelle cominciavano ad accendersi in cielo, e sotto,

nel piccolo villaggio, si accesero anche le lampade e fecero brillare gli occhi degli uomini. Quella sera si parlava di cose di tutti i giorni; gli uomi-ni sentivano che Dio, come un benevolo leone, era entrato nel loro villaggio.

Le tavole erano pronte; Gesù sedette in mezzo ai suoi discepoli e spezzò il pane, senza parlare. La sua anima, inquieta, sbatteva ancora le ali, come se fosse appena sfuggirà a un grave pericolo o come se avesse vinto una battaglia inaspettata. Attorno a lui i discepoli tacevano, ma il cuore batteva di gioia nel loro petto. Tutto ciò, fine del mondo e regno del cielo, non erano dunque sogni o esaltazione, erano la verità. E il giovane bruno, scal-zo, che era al loro fianco, che mangiava, parlava, rideva e dormiva come tutti gli uomini, era veramente un inviato di Dio!

Appena terminata la cena, quando tutti andarono a dormire, Matteo si inginocchiò sotto la lampada, tirò fuori dalla camicia un quaderno nuovo, prese la cannuccia da dietro l'orecchio e rimase pensieroso per un bel po'. Come, da dove cominciare? Dio l'aveva collocato di fianco a quell'uomo santo affinché scrivesse fedelmente le parole che egli pronunciava e i miracoli che faceva, perché non si perdessero, affinché le generazioni future li imparassero ed esse pure seguissero il cammino della redenzione. Era certo questa la missione che Dio gli aveva affidato. Era istruito, perciò aveva una grande responsabilità. Tutto ciò che si sarebbe perso, egli dove-va raccoglierlo con la cannuccia e riportarlo sulla carta, per renderlo im-mortale. I discepoli potevano pure odiarlo e non rivolgergli la parola, perché un tempo era stato pubblicano; era lui che ora avrebbe mostrato

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loro che un peccatore pentito vale più che un uomo che non ha mai peccato.

Intinse la cannuccia nel calamaio di bronzo; udì un fruscio di ali alla sua destra, come se un angelo si fosse avvicinato al suo orecchio per det-targli e cominciò a scrivere con mano veloce e sicura: «Libro della genea-logia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò...»

Scrisse, scrisse finché a Oriente apparve un chiarore rosato e si udì il canto del primo gallo.

Se ne andarono. Tommaso in testa con la tromba; vi soffiava dentro e svegliava il villaggio gridando: «Arrivederci, ci ritroveremo nel regno dei cieli». Dietro di lui venivano Gesù e i suoi discepoli con il gruppo di cenciosi e di storpi che li seguivano sempre sia da Nazareth sia da Cana e che aspettavano.

Non è possibile, essi pensavano, arriverà il giorno benedetto in cui si girerà verso di noi e ci libererà della fame e della malattia. Giuda, quel giorno, era rimasto indietro. Aveva trovato una grande bisaccia, si fermava alle porte, chiamava le donne di casa e parlava loro, pregando e minac-ciando al tempo stesso:

«Noi lavoriamo per voi, affinché siate salvate, disgraziate. Voi, da parte vostra, aiutateci a non morire di fame. I santi hanno pure loro bisogno di mangiare e di prendere forze per salvare gli uomini. Un pezzo di pane, una manciata di olive, dell'uva secca, dei datteri, qualsiasi cosa: Dio ne prende nota e ve lo renderà nell'altro mondo. Voi date un'oliva e lui vi renderà un olivete».

E se una donna nicchiava e non voleva aprire la sua cantina, le gridava:«Perché lesini il cibo? Domani, dopodomani, forse questa sera, il cielo

si aprirà, il fuoco cadrà sui tuoi beni e non ti rimarrà che ciò che hai donato. E se ti salverai, lo dovrai al pezzo di pane, alle olive, alla bottiglia d'olio che mi hai dato, o infelice!»

Le donne si spaventavano, aprivano le cantine e, prima che Giuda giun-gesse alle porte del villaggio, la sua sacca traboccava.

L'inverno era cominciato e la terra tremava. Molti alberi erano spogli, avevano freddo; altri, benedetti da Dio, come l'ulivo e la palma, conserva-vano intatta, estate e inverno, la loro veste. E gli uomini, quando erano poveri, avevano freddo come gli alberi spogli. Giovanni aveva gettato il suo mantello di lana sulle spalle di Gesù e ora tremava e aveva fretta di arrivare a Cafarnao per aprire i bauli della madre. La vecchia Salomè

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aveva tessuto moltissimo durante la sua vita; era molto generosa e donava sempre a tutti ciò che faceva. Avrebbe distribuito delle vesti calde ai compagni; quel vecchio avaraccio di Zebedeo aveva un bel mormorare, era lei che, con la sua tenacia e la sua dolcezza, dirigeva la casa.

Anche Filippo aveva fretta. Pensava a Cafarnao, al suo grande amico Nataniele, chino tutto il giorno a cucire e ad aggiustare sandali e babbucce; la sua vita si sprecava in questo modo e non trovava tempo per innalzare i suoi pensieri fino a Dio, di appoggiare lui pure la scala di Giacobbe in cielo e di salirvi! Non vedo l'ora di arrivare, pensava Filippo, per rivelare anche a lui il gran segreto affinché pure lui, poveretto, si salvi!

Imboccarono un sentiero e lasciarono sulla destra Tiberiade, la città odiata da Dio, con il dannato tetrarca che aveva ucciso il Battista. Matteo si avvicinò a Pietro per domandargli che cosa si ricordasse del Giordano e del Battesimo, per trascriverlo dettagliatamente, ma Pietro si tirò indietro e girò la testa, per non respirare il fiato del pubblicano. Matteo ne fu addolo-rato; strinse sotto il braccio il quaderno che aveva cominciato e rimase in-dietro. Incontrò due mulattieri che venivano sovente a Tiberiade e doman-dò loro, per trascriverlo sul quaderno, come si era svolto l'assassinio im-pietoso. Era vero che il tetrarca si era ubriacato e che la nuora Salomè aveva ballato nuda davanti a lui?... Matteo voleva saperlo fin nei minimi particolari per immortalarli attraverso la scrittura.

Arrivarono al grande pozzo alle porte di Magdala. Il sole era velato, la faccia della terra si coprì di bruma, i fili scuri della pioggia erano sospesi nell'aria e unirono il cielo con la terra. Maddalena alzò il viso verso la fine-strella e vide che il cielo diventava buio. «È arrivato l'inverno», mormorò, «bisogna far svelto!» Fece girare rapidamente il fuso e vi mise frettolosa-mente la bella lana che aveva trovato per tessere una veste calda per il suo amato e proteggerlo dal freddo. Di tanto in tanto contemplava il grande melograno carico di frutti, nel cortile. Maddalena li guardava senza co-glierli, li teneva tutti per Gesù. Dio è benevolo, essa pensava, un giorno il suo diletto sarebbe passato di nuovo per quella stradina; allora avrebbe riempito le sue braccia di melagrane e le avrebbe deposte ai suoi piedi. Lui si sarebbe abbassato, ne avrebbe presa una per rinfrescarsi la gola. Filava, contemplava il melograno e rivedeva nella mente tutta la sua vita. Cominciava e finiva con Gesù, il figlio di Maria; quante amarezze, quante gioie! Perché l'aveva abbandonata? L'ultima notte aveva aperto la porta come vi ladro e se n'era andato. Dov'era andato? Si sarebbe messo a com-battere ancora una volta contro le ombre, invece di zappare, di lavorare il

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legno o di pescare e di avere una sposa - anch'essa è una creatura di Dio - per dormire con lei. Ah! Se un giorno avesse potuto passare ancora da Magdala, lei sarebbe accorsa con il grembiule pieno di melagrane per rinfrescarlo!

Mentre pensava a tutto ciò e faceva girare il fuso con mani abili e veloci, nella strada risuonarono dei passi e delle grida, suonò una tromba... non era forse quella di Tommaso il guercio, il venditore ambulante? E si udì una voce acuta:

«Aprite, aprite le vostre porte: il regno dei cicli è arrivato!»Maddalena si alzò bruscamente, il respiro affannoso. È arrivato! È

arrivato! Tutto il suo corpo era percorso da brividi caldi e freddi. Si preci-pitò senza lo scialle, con i capelli sciolti sulle spalle, attraversò il cortile, arrivò fin sulla soglia e vide il Signore. Lanciò un grido di gioia e cadde ai suoi piedi: «Maestro, Maestro», sussurrava, «che tu sia il benvenuto!»

Aveva dimenticato le melagrane e la sua promessa, abbracciava quelle ginocchia sacre e i suoi capelli neri dai riflessi azzurrini erano sparsi per terra. Era ancora impregnata di antichi profumi, di profumi maledetti.

«Maestro, Maestro, sei il benvenuto», sussurrava, e lo trascinava tenera-mente verso la sua casa.

Gesù si chinò, la prese per mano e la fece alzare. La teneva, meraviglia-to e timido, come un fidanzato inesperto tiene la sua promessa sposa. Non era Maddalena che egli aveva risollevato da terra, era l'anima dell'uomo ed egli era il suo fidanzato. E Maddalena tremava, arrossiva e spargeva i suoi capelli sul petto, per nasconderlo. Tutti la guardavano, stupiti. Come si era consumata, com'era diventata pallida; occhiaie scure le cerchiavano gli occhi e la sua bocca carnosa si era sciupata, come un fiore che si è smesso di annaffiare. Mentre camminavano così, tutti e due, dandosi la mano, pa-reva loro che fosse un sogno; avevano la sensazione di non camminare più sulla terra, ma di avanzare planando nell'aria. Erano nozze e quegli strac-cioni che riempivano la strada e li seguivano erano il corteo? E il melo-grano che apparve in cortile, carico di frutti, era forse uno spirito benevolo, una divinità della casa oppure una donna felice che ha partorito figli e figlie e che ora rimane ritta nel cortile ad ammirarli?

«Maddalena», disse con dolcezza Gesù, «tutti i tuoi peccati sono perdonati, perché hai amato molto.»

Essa si voltò piena di gioia: avrebbe voluto esclamare: «Sono vergine!» Ma, dalla gioia, non riusciva ad aprir bocca. Correva, saccheggiava il me-lograno, si riempiva il grembiule dei suoi frutti e li ammucchiava, freschi e

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rossi, ai piedi del suo Diletto. E successe esattamente ciò che essa aveva desiderato, dentro di sé: Gesù si abbassò, prese un frutto, riempì la mano di chicchi e si rinfrescò la gola; fu poi la volta dei discepoli, ciascuno raccolse un Frutto e si rinfrescò.

«Maddalena», chiese Gesù, «perché mi guardi con tanta inquietudine? È come se mi dicessi addio.»

«Ti accolgo e ti dico addio, ogni istante della mia vita, da quando sono nata, o mio Diletto!» rispose Maddalena così piano che solo Gesù e Giovanni, che le erano vicini, l'udirono.

Ella tacque, poi dopo un attimo, disse:«Sei tu che devo guardare, poiché è dall'uomo che è nata la donna ed

essa non può ancora staccare il proprio corpo da quello di lui. Ma tu devi guardare il cielo perché sei un uomo, e l'uomo è stato creato da Dio. Lascia perciò che ti guardi, figlio mio».

Pronunciò quella grande parola: «Figlio mio» così a bassa voce che neppure Gesù l'udì. Ma il petto di Maddalena si gonfiò e palpitò, come se stesse allattando un figlio.

Un mormorio si levò dal popolo; arrivavano nuovi malati e il cortile si riempì.

«Maestro», disse Pietro, «il popolo mormora; ha fretta.»«Che cosa vuole?»«Una buona parola, un miracolo; guardali.»Gesù si girò. In quel vento violento che annunciava la tempesta, scorse

una moltitudine d'occhi che lo guardavano con angoscia e delle bocche socchiuse, piene di passione. Un anziano si fece avanti. Gli erano cadute le ciglia e i suoi occhi era come due piaghe; al suo collo scheletrico erano appesi dieci amuleti, ognuno con un comandamento del Decalogo. Si fermò sulla soglia e si appoggiò al suo bastone.

«Maestro», disse, e la sua voce era lamentosa e piena di collera, «Maestro, ho cent'anni, ho sempre sotto agli occhi, appesi al collo, i dieci comandamenti di Dio; non ne ho violato nessuno. Ogni anno vado a Gerusalemme, sacrifico un caprone al vecchio Sabaoth, accendo dei ceri, brucio dell'incenso. Di notte non dormo, canto dei salmi. Guardo ora le stelle, ora le montagne e aspetto - non voglio altre ricompense - aspetto che Dio scenda per vederlo... L'ho fatto durante anni e anni, invano. Ho già un piede nella fossa e non l'ho ancora visto. Perché? Perché? Ho molte lamentele da fargli, Maestro. Quando dunque vedrò il Signore? Quando starò in pace?»

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Man mano che parlava, s'incolleriva sempre più, picchiava in terra con il bastone e alzava la voce. Gesù sorrise.

«Vecchio», rispose, «c'era una volta, alla porta orientale di una potente città, un trono di marmo. Su quel trono erano saliti mille re ciechi dell'occhio destro, mille re ciechi dell'occhio sinistro e mille re che vede-vano con tutti e due gli occhi, e tutti gridavano a Dio d'apparire, per-ché volevano vederlo. Ma sono tutti morti senza averlo visto. Una volta andati via i re, un pover'uomo, scalzo e affamato, arrivò e si sedette sul trono: 'Mio Dio', esclamò, 'gli occhi dell'uomo non possono guardare il sole di fronte, ne sono accecati. Come potrebbero dunque guardare in faccia te, l'Onnipotente? Signore, abbi pietà di me, rendi più dolce la tua potenza, riduci il tuo scintillio, affinché io, il povero, il sofferente, riesca a vederti!' Allora ascoltami, vecchio! Dio è diventato un pezzo di pane, un bicchiere d'acqua fresca, una veste calda, una capanna; e una donna davanti alla capanna, che sta allattando un bimbo. E quel poveretto ha spalancato le braccia, ha sorriso di felicità e ha mormorato:

«'Ti ringrazio, Signore. Ti sei abbassato per me, sei diventato pane, acqua, una veste calda, la mia sposa e mio figlio, perché io ti vedessi. E ti ho visto. Mi prosterno ai tuoi piedi e adoro il tuo amato viso'.»

Tutti tacquero. Il vecchio soffiò come un bufalo, si fece strada con il suo bastone e sparì fra la folla. Un giovane, appena sposato, alzò il pugno e si mise a gridare:

«Tu possiedi, pare, il fuoco per bruciare il mondo; per bruciare le nostre spose e i nostri figli. È questo dunque l'amore che vuoi portarci? È forse questa la giustizia? £ il fuoco?»

Gli occhi di Gesù si gonfiarono di lacrime; ebbe pietà del giovane spo-so. Era dunque questa la giustizia che egli portava, era il fuoco? Non c'era un altro cammino che portasse alla redenzione?

«Spiegati con chiarezza: che cosa dobbiamo fare per essere salvati?» gridò un uomo ricco, facendosi strada a gomiti in quella folla, per avvici-narsi e udire la risposta; era duro d'orecchio e non udiva molto bene.

«Aprite i vostri occhi, aprite le vostre cantine, distribuite i vostri beni ai poveri!» tuonò Gesù. «Il giorno del Signore è arrivato! Colui che lesina e che conserva per i suoi ultimi giorni un pane, una giara d'olio, un pezzo di terra, ebbene, quel pane, quella giara e quella terra rimarranno appesi al suo collo e lo faranno sprofondare nell'Inferno!»

«Le mie orecchie sentono un brusio e ho le vertigini», disse l'uomo ricco. «Perdonami, ma sono costretto ad andarmene.»

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Furioso, si diresse verso la sua sontuosa casa. «È il colmo, dividere i nostri averi con degli straccioni! È questa la giustizia? Che il diavolo se lo porti!» Parlava da solo, bestemmiava e camminava...

Gesù lo guardò allontanarsi e mormorò:«La porta dell'Inferno è grande, la strada che vi conduce è larga e piena

di fiori. La porta del regno di Dio è stretta e la strada è in salita. Finché viviamo possiamo scegliere; vivere significa essere liberi. Quando la morte arriva, ciò che è fatto è fatto; non c'è più salvezza...»

«Se vuoi che ti creda», gridò un uomo con le stampelle, «fai un miracolo, fammi guarire. Entrerò zoppo nel regno dei cicli?»

«E io, lebbroso?»«E io, senza una mano?»«E io, cieco?»Gli storpi si gettarono tutti assieme, minacciosi, davanti a Gesù. Diven-

nero audaci e si misero a gridare. Un vecchio cieco alzò il suo bastone:«O ci fai guarire», urlò, «o questa sera non uscirai vivo dal nostro

villaggio!»Pietro strappò il bastone dalle mani del vecchio.«Con un'anima simile», gli gridò, «non vedrai mai la luce, lurido guer-

cio!»Gli storpi si misero in agitazione e si scatenarono. I discepoli si misero

ai lati di Gesù. Maddalena, terrorizzata, fece cenno di chiudere la porta della sua casa, ma Gesù la trattenne.

«Maddalena, sorella mia», disse, «quella gente è infelice, non è che car-ne. Le abitudini, la pinguedine, i peccati, soffocano la loro anima e io non riesco a trovarla. Ah! Solo il fuoco, credo, può guarirli!»

Si girò verso la folla; i suoi occhi, ora, erano duri, senza pietà.«Come bruciamo i campi prima della semina affinché i semi buoni pos-

sano germogliare e crescere, così Dio brucerà la terra. Non prova compas-sione per le spine, la zizzania e la serpentaria. Questa è la giustizia. Addio!» Si girò verso Tommaso:

«Suona la tromba, Tommaso, ce ne andiamo!» Allungò il suo bastone; il popolo, più calmo, si fece da parte e lo lasciò passare. Maddalena afferrò il suo scialle, abbandonò la lana mezzo filata, la marmitta di terracotta sul fuoco, le galline del cortile senza becchime, gettò la chiave della porta in mezzo alla strada e, senza voltarsi indietro, si mise a seguire, in silenzio, strettamente avvolta nello scialle, il figlio di Maria.

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Si stava appena facendo notte quando giunsero a Cafarnao. Il temporale era passato sopra le loro teste, il vento del nord s'era messo a soffiare spingendolo a meridione.

«Andiamo a dormire a casa nostra», dissero i due figli di Zebedeo. «È grande, c'è posto per tutti. Sarà il nostro rifugio.»

«E il vecchio Zebedeo?» disse Pietro ridendo. «Sono sicuro che non darebbe neppure un bicchiere d'acqua al suo angelo custode.» Giovanni arrossì.

«Abbi fede nel Maestro», disse, «il suo soffio gli farà bene, vedrai.»Gesù camminava avanti, senza ascoltare quei discorsi. I suoi occhi

erano pieni di immagini di ciechi, di lebbrosi, di storpi... Ah, poter soffiare sull'anima di ognuno e gridare: Svegliati! E allora, svegliandosi, il corpo diventerebbe anima e guarirebbe...

Entrati nel villaggio, Tommaso levò la tromba per lanciare il suo richiamo, ma Gesù lo fermò con un gesto.

«No», disse, «sono stanco...» Il suo volto era livido, solcato da profonde occhiaie. Maddalena bussò alla prima porta, chiese un bicchiere d'acqua, Gesù lo bevve e ritrovò le forze.

«Ti sono debitore d'un bicchiere d'acqua fresca, Maddalena», le disse sorridendo.

Gli venne in mente quello che aveva detto all'altra donna, la samaritana, davanti al pozzo di Giacobbe. Aggiunse:

«In cambio ti darò un bicchiere d'acqua immortale».«Me l'hai già dato, Maestro, tanto tempo fa», rispose Maddalena, av-

vampando.Passarono davanti alla casupola di Nataniele. La porta era aperta; in

cortile, il padrone della casa, una roncola in pugno, era occupato a sfron-dare il fico dai rami secchi. Filippo si staccò di corsa dal gruppo ed entrò.

«Nataniele», disse, «devo parlarti. Fermati.»Entrò in casa. Nataniele accese la lampada.«Lascia le tue lampade, i fichi, la casa», gli disse Filippo, «partiamo.»«E per dove?»«Per dove? Ma non hai capito ancora? È la fine del mondo. Da un

momento all'altro si apriranno i cicli, la terrà finirà in cenere. Sbrigati a entrare nell'Arca se vuoi metterti in salvo.»

«Che Arca?»

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«Tra le braccia del nostro Maestro, il figlio di Maria, il figlio di Davide di Nazareth. È appena tornato dal deserto: e lì ha incontrato Dio, hanno parlato, hanno deciso la distruzione e la salvezza del mondo. Dio ha messo la mano sui capelli del nostro Maestro e gli ha detto: 'Va' e scegli coloro che saranno salvati. Sei tu il novello Noè. Prendi, è la chiave dell'Arca, per aprirla e per chiuderla', e gli ha dato una chiave, d'oro. La porta al collo, ma l'occhio dell'uomo non può vederla.»

«Spiegami, Filippo, non ci arrivo. Quando sarebbero successe queste meraviglie?»

«Là, ti dico, oggi stesso, nel deserto del Giordano. Hanno ucciso il Battista e la sua anima è entrata nel corpo del nostro Maestro. Quando lo vedrai non lo riconoscerai. È cambiato, è diventato terribile, le sue mani mandano scintille. E poco fa, a Cana, ha toccato la figlia del centurione di Nazareth, quella che era paralitica, e lei d'un tratto è balzata in piedi e s'è messa a danzare. Devi credermi, sulla nostra amicizia! Non perdiamo tempo, partiamo.»

Nataniele sospirò.«Ascolta, Filippo, le cose mi vanno bene, ho un sacco di ordinazioni.

Guarda tutti quei sandali e quei calzari che devo fare. Gli affari mi vanno bene, e ora...»

Fece correre a lungo lo sguardo attorno a sé, sui suoi amati strumenti, lo sgabello su cui sedeva per risolare, i trincetti e le lesine, lo spago impecia-to, i perni di legno... Sospiro ancora e mormorò:

«Come faccio a lasciare tutto?»«Lassù troverai strumenti d'oro, non farti cattivo sangue. Risolerai i san-

dali d'oro degli angeli, le ordinazioni saranno eterne, innumerevoli. Cuci-rai, scucirai, il lavoro non ti mancherà mai. Ma fa' presto. Vieni dal Mae-stro e digli: 'Sono con te!' Nient'altro: 'Sono con te e ti seguirò dovunque andrai, fino alla morte! ' È il giuramento che abbiamo fatto tutti.»

«Fino alla morte!» disse il ciabattino. Rabbrividì. Il suo corpo era enorme, ma il cuore piccolo e timoroso.

Il pastore lo rassicurò:«È un modo di dire, dai! Tutti noi abbiamo fatto lo stesso giuramento,

ma non ti preoccupare, non andiamo alla morte, andiamo verso la luce. Questo Gesù, caro mio, non è un uomo, no, è il Figlio dell'uomo!»

«E be', non è lo stesso?»«Lo stesso? Non ti vergogni di dire una cosa del genere? Non hai mai

sentito le parole del profeta Daniele? Figlio dell'uomo significa Messia, e

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cioè re! Presto siederà sul trono dell'Universo e tutti noi, che abbiamo avuto l'intelligenza di andare con lui, spartiremo onori e ricchezze. E tu non andrai più a piedi nudi, ma porterai sandali d'oro, e gli angeli si chine-ranno ad allacciarteli. Ti dico che è un affare, Nataniele, non fartelo scap-pare. Ti dico solo che Tommaso si è unito a noi. Ha annusato l'affare, il furbacchione, ha distribuito ai poveri tutti i suoi averi ed è corso da noi. Corri anche tu, Gesù in questo momento si trova in casa del vecchio Zebedeo. Partiamo!»

Ma Nataniele era ancora indeciso.«La responsabilità è tua, Filippo», disse alla fine. «Ma se vedo che le

cose vanno male, ti avverto, me la filo. Tutto quello che vuoi, ma non ho intenzione di farmi crocifiggere.»

«Va bene, va bene», disse Filippo, «ce la batteremo insieme. Che ti cre-di? Non sono mica matto. D'accordo, partiamo.»

«Allora, come Dio vuole!» Chiuse la porta, si infilò la chiave nella ve-ste e partirono assieme, sottobraccio, verso la casa del vecchio Zebedeo.

Gesù e i suoi discepoli erano seduti davanti al camino del vecchio Zebe-deo a riscaldarsi. La vecchia Salomè andava avanti e indietro, raggiante. Tutti i suoi malanni erano scomparsi, apparecchiava la tavola e non si stan-cava di ammirare i suoi figli e di servire l'uomo santo che avrebbe portato il regno dei cieli. Giovanni si chinò all'orecchio della madre, parlò a bassa voce indicando con lo sguardo i discepoli che tremavano, ancora vestiti delle tuniche estive di lino. La madre sorrise, andò in un'altra stanza, aprì i cassoni, ne tolse degli abiti di lana e svelta, prima del ritorno del marito, li distribuì ai compagni. E il mantello più pesante, di lana bianca, lo depose teneramente sulle spalle di Gesù. Lui si volse e sorrise:

«Che tu sia benedetta», le disse, «è cosa buona e giusta prendersi cura del corpo. È il cammello su cui monta l'anima per attraversare il deserto. Prendiamocene cura, quindi, perché possa resistere.»

Il vecchio Zebedeo entrò, guardò gli inattesi visitatori, salutò con un mormorio e sedette in un angolo. Quei partigiani, come li chiamava lui, non gli piacevano affatto. Ma chi li aveva invitati a installarsi in casa sua? Ed ecco che sua moglie, mani bucate come sempre, già aveva preparato per loro un banchetto da re! Maledetto il momento in cui era comparso quel nuovo illuminato. Non solo si era preso i suoi due figli, ma era anche causa di continui litigi con quella stupida di sua moglie. Lei prendeva sempre le parti dei figli: hanno ragione, diceva, quello è un vero profeta, diventerà re, caccerà i Romani e siederà sul trono di Israele. E allora alla

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sua destra ci sarà Giovanni e alla sua sinistra Giacomo, che saranno diven-tati gran signori. Non pescatori o barcaioli, ma signori grandi e potenti. Dovevano ammuffire lì nell'acqua tutta la vita? Questo e tante altre cose ancora quella sciocca gli andava predicando dalla mattina alla sera, stril-lando e pestando i piedi. E lui o imprecava e spaccava quello che gli capi-tava sotto mano, oppure se ne andava con l'anima gonfia, a camminare co-me un pazzo lungo le rive del lago. E negli ultimi tempi s'era messo a bere. Ed ecco che stasera tutti quei congiurati si erano piazzati a casa sua. Nove stornaci da giganti, accompagnati da quella damigella dai mille amanti. Si erano installati attorno alla tavola senza degnarlo della minima attenzione, lui, il padrone di casa, senza neppure chiedergli se era d'accordo. A questo punto si era arrivati! Ecco per chi avevano lavorato per tanti anni lui e i suoi padri, per degli approfittatori! Lo prese la collera, balzò in piedi.

«Dite un po', giovanotti», gridò, «questa casa di chi è, è vostra o mia? Due più due fa quattro. Rispondete!»

«È di Dio», rispose Pietro, che di bicchieri ne aveva vuotati un bel po' ed era piuttosto euforico. «È di Dio, vecchio Zebedeo. Non la sai la noti-zia? Niente più è tuo, niente più è mio, è tutto di Dio!»

«La Legge di Mosè...» cominciò Zebedeo, ma Pietro bloccò il suo impeto:

«Che cosa sento? La Legge di Mosè? Non esiste più, vecchio Zebedeo, l'abbiamo mandata a spasso. Ora noi seguiamo la legge del Figlio dell'uo-mo, hai capito? Siamo tutti fratelli! Il nostro cuore s'è fatto più grande, e la legge s'è fatta più grande con lui. Ora abbraccia tutti gli uomini. Tutta la terra è Terra Promessa! Niente più frontiere! Io stesso, come mi vedi, andrò a proclamare la parola di Dio ai popoli. Arriverò a Roma, sì, non c'è niente da ridere, afferrerò l'imperatore per il collo, lo butterò a terra e mi siederò sul suo trono. Che ti credi? È stato il Maestro a dirmelo, non siamo più pescatori che prendono pesci, come tua signoria, siamo pescatori d'uo-mini. E se vuoi un consiglio, trattaci bene, portaci da bere e da mangiare. Perché un giorno diventeremo dei gran signori. E tra non molto. Tu ci dai un tozzo di pane e ben presto ne riceverai un'infornata piena. E che pane! Un pane immortale. Potrai mangiarne e mangiarne, senza vederne mai la fine».

«Ti vedo già crocifisso a testa in giù, disgraziato», ringhiò Zebedeo, un po' intimorito dalle parole di Pietro. Tornò ad accucciarsi nel suo angolo. «Lasciamo perdere», pensò, «non si sa mai quello che può succedere, il mondo è una palla che gira; può essere che un giorno o l'altro questi

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imbecilli... Teniamo aperta una via d'uscita. Non facciamo sciocchezze!»I discepoli ridevano sotto i baffi. Sapevano che Pietro era un po' allegro

e scherzava, ma dentro di loro, in segreto, si agitavano gli stessi pensieri, solo che loro non erano abbastanza sbronzi per esprimerli. Titoli nobiliari, onori, abiti di seta, anelli d'oro, banchetti sontuosi, ecco il regno dei cieli. E sentire il mondo sotto il tacco ebraico.

Il vecchio Zebedeo bevve un altro bicchiere e riprese coraggio. «E tu, Maestro», disse, «tu non apri bocca, non dici niente? Prima appicchi l'incendio e poi, tua signoria, te ne vai a rinfrescarti nell'acqua fresca. Ma dico io, in nome del cielo, può essere mai che devo vedere disperdere i miei beni senza protestare?»

«Vecchio Zebedeo», rispose Gesù, «c'era un tempo un uomo ricchis-simo; fatta la messe, la vendemmia e la raccolta delle olive, riempite le giare, si distese nell'aia e disse: 'Anima mia, hai beni in gran quantità, mangia, bevi, godi!' Aveva appena detto queste parole che sentì una voce tuonare dall'alto dei cicli: 'Dissennato, dissennato, questa è la sera che tu renderai l'anima agli inferi: dei beni che hai ammucchiato, che te ne farai?' Vecchio Zebedeo, tu hai orecchie per sentire quel che dico, hai cervello per comprendere quel che intendo. Che quella voce del cielo resti su di te giorno e notte, vecchio Zebedeo.»

Il vecchio chinò la testa e non parlò più.In quel momento si aprì la porta e apparve Filippo, seguito dal colosso

Natamele. Il suo cuore non era più in lotta, aveva preso la sua decisione. Si accostò a Gesù, si prostrò e gli baciò i piedi. «Maestro», disse, «sono con te fino alla morte.»

Gesù posò la mano sulla sua testa bovina e riccioluta.«Tu sei il benvenuto, Nataniele», disse, «tu che fai i calzari per gli altri

e cammini scalzo. Amo questo. Vieni da me.» Fece sedere Nataniele alla sua destra e gli diede un pezzo di pane e un bicchiere di vino.

«Mangia questo pane», disse, «bevi questo vino e sarai mio.»Nataniele mangiò il pane, bevve il vino e subito sentì ossa e anima farsi

più forti. Il vino montò dentro di lui e colorò i suoi pensieri. Il vino, il pane, l'anima, tutto divenne una sola cosa.

Era sui carboni ardenti. Avrebbe voluto parlare, ma era intimidito.«Parla, Nataniele», gli disse il Maestro, «apri il tuo cuore, lascia che si

sgravi.»«Maestro», rispose l'altro, «volevo dirti, perché tu lo sappia, io sono

sempre stato povero, vivo del mio lavoro, alla giornata. Non ho mai avuto

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il tempo di studiare la Legge. Sono cieco, Maestro, devi perdonarmi. Ora che l'ho detto mi sento più leggero.»

Con un gesto delicato, Gesù carezzò le larghe spalle del nuovo iniziato. Rise.

«Natamele», disse, «non crucciarti. Sono due i sentieri Che conducono in seno a Dio. Uno è il sentiero dello spirito, l'altro quello del cuore. Ascol-ta la storia che vi narrerò.

«C'erano, un tempo, un povero, un ricco e un gaudente Che morirono nello stesso giorno, alla stessa ora, e si presentarono davanti al tribunale di Dio. Dio aggrottò la fronte e chiese al povero:

«'Perché durante la vita non hai studiato la Legge?'«'Signore', rispose quello, 'ero povero, avevo fame e lavoravo notte e

giorno per nutrire la mia donna e i miei figli. Non ho avuto il tempo.'«'Eri tu forse più povero del mio fedele servitore Hilel?' disse Dio adi-

rato. 'Non aveva di che pagare per entrare nella sinagoga e sentire la spie-gazione della Legge. Allora si arrampicò sul tetto e, ventre a terra, ascoltò attraverso il lucernario. Si mise a nevicare, ma lui non se ne accorse, assor-to com'era in quello che sentiva. L'indomani mattina, quando il rabbino entrò nella sinagoga, la trovò immersa nell'oscurità. Alzò gli occhi e vide, sdraiato sopra il lucernario, il corpo di un uomo. Si arrampicò sul tetto, scavò nella neve, raccolse il corpo di Hilel; lo prese tra le braccia, lo calò giù, accese un fuoco e lo rianimò. Gli permise di entrare liberamente per ascoltare. E Hilel è diventato un rabbino celebre, noto in ogni dove. Che hai da rispondere a questo?'

«'Niente, Signore', mormorò il povero, e si mise a piangere. Dio si volse al ricco.

«'E tua signoria? Perché non hai studiato la Legge durante la vita?'«'Io ero troppo ricco, avevo tanti giardini, tanti servi, tante preoccupa-

zioni. Dove trovare il tempo?'«Dio l'interruppe:«'Eri tu forse più ricco di Eleazaro, figlio di Arsonne, a cui il padre la-

sciò mille villaggi e mille battelli? E che abbandonò tutto per andare ovun-que sapesse che c'era un saggio che spiegava la Legge? Che hai da rispon-dere a questo?'

«'Niente, Signore', mormorò a sua volta il ricco, e anche lui scoppiò a piangere.

«Dio si volse al gaudente:«'E tu, bel giovane, perché non hai studiato la Legge?'

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«'Io ero bellissimo, le donne mi si buttavano addosso a nugoli, ero a tutte le feste, dove trovare il tempo per studiare anche la Legge?'

«'Eri tu forse più bello di Giuseppe, che amò la moglie di Putifarre e che era così bello che diceva al sole: Splendi, sole, perché io splenda? E che, tutte le volte che svolgeva il testo della Legge, vedeva le lettere aprirsi come porte e mostrargli il senso dei simboli, vestiti di luce e di fuoco? Che hai da rispondere a questo?'

«'Niente, Signore', mormorò a sua volta il gaudente, e si mise a pian-gere.

«Dio batté le mani, chiamò nel Paradiso Hilel, Eleazaro e Giuseppe. Essi giunsero. Dio disse:

«'Giudicate questi uomini che, a causa della loro povertà, della loro ricchezza e della loro bellezza non hanno studiato la Legge. Parla, Hilel; giudica il povero!'

«'Signore', rispose Hilel, 'come potrei giudicarlo? Io so cos'è la povertà, so cos'è la fame. Sia perdonato!'

«'E tu, Eleazaro?' disse Dio. 'Ecco il ricco, lo affido a te.'«'Signore', rispose Eleazaro, 'come potrei giudicarlo? So che vuol dire

essere ricco. È la morte. Sia perdonato!'«'Tocca a te, Giuseppe. Giudica il bello.'«'Signore, come potrei giudicarlo? So che lotta, che supplizio terribile è

vincere la bellezza del proprio corpo. Sia perdonato!'»Gesù tacque: sorrise e guardò Nataniele. Questo gli domandò, ansioso:«E allora? Che fece Dio?»«Quello che avresti fatto tu stesso», rispose Gesù, e rise. Il candido

ciabattino rise anche lui.«Allora sono salvo!»Prese le mani del Maestro e le strinse forte:«Maestro», esclamò, «ho capito. Tu hai detto che due sentieri conduco-

no in seno a Dio, il sentiero dello spirito e quello del cuore. Io ho preso il sentiero del cuore e l'ho trovato!»

Gesù si alzò, si avvicinò alla porta. Si era levato un forte vento, il lago era agitato. Le stelle, altissime nel cielo, erano una spiaggia sterminata di fine sabbia. Gli venne in mente il deserto e rabbrividì. Chiuse la porta. «Che gran dono di Dio è la notte. È la madre dell'uomo. S'accosta dolce-mente, teneramente, e lo protegge. Poggia la sua fresca mano sulla fronte e scaccia dall'anima e dal corpo le inquietudini della giornata. È tempo, fratelli, di abbandonarci nelle sue braccia.»

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La vecchia Salomè l'intese, si alzò. Maddalena si levò anch'essa dall'an-golo del focolare dove, felice, ascoltava la voce dell'Amato. Le due donne distesero i giacigli e portarono le coperte. Giacomo uscì nel cortile, e ripor-tò dentro una bracciata di legno d'olivo ponendola nel camino. Ritto in mezzo alla stanza, il viso volto verso Gerusalemme, Gesù alzò le braccia e, con voce grave, recitò la preghiera della notte:

«Aprici, o Signore, la tua porta. Il giorno va scemando, il sole scompa-re. Arriviamo davanti alla tua porta, o Eterno, ti supplichiamo, perdonaci; ti supplichiamo, abbi pietà di noi. Salvaci!»

«E mandaci dei bei sogni, Signore», disse Pietro. «Fa' ch'io veda nel sonno la mia vecchia barca verde, d'improvviso tutta nuova, con una vela rossa!»

Aveva bevuto, era felice.Gesù si coricò nel mezzo, con attorno a lui tutti i discepoli; occuparono

così tutta la casa. Dato che non c'era più spazio, il vecchio Zebedeo e la moglie andarono in una dipendenza; Maddalena li accompagnò. Il vecchio continuava a brontolare, gli avevano tolto le sue comodità; si volse, cor-rucciato, alla moglie, e disse ad alta voce, che Maddalena lo sentisse:

«Che facce toste! Togliti di là che mi ci metto io! Come siamo ridotti!»Ma la vecchia si girò verso il muro senza rispondergli.Anche quella notte Matteo rimase sveglio. Si accoccolò sotto la lam-

pada da notte, tirò fuori dalla veste il libricino che aveva iniziato e si mise a riportare sulla carta come Gesù era entrato a Cafarnao, come Maddalena era venuta con loro e come il Maestro aveva detto la parabola: C'era un tempo un uomo ricchissimo... Finì di scrivere, spense il lume e si coricò anche lui per dormire. Un po' in disparte, però, perché i discepoli non si erano ancora abituati al suo odore.

Pietro non ebbe neppure il tempo di chiudere gli occhi che dormiva già. Subito un angelo discese dal cielo, gli aprì piano piano le tempie e una specie di sogno si riverso dentro di lui. Gli parve di vedere una moltitudine sulla riva del lago; il Maestro era tra loro e contemplava una barca verde con la vela rossa, nuovissima, che dondolava sull'acqua. Di dietro, dipinto sulla poppa, risplendeva un gran pesce, uguale a quello che Pietro aveva tatuato sul petto. Gesù chiese:

«Di chi è questa bella barca?»«È mia», rispose orgoglioso Pietro.«Va', Pietro, porta con te gli altri compagni, prendete il largo, così che

io possa ammirare il vostro coraggio!»

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«Con gioia, Maestro», disse Pietro. Sciolse gli ormeggi, gli altri disce-poli saltarono a bordo, una bella brezza si mise a soffiare, gonfiò la vela, e raggiunsero il largo cantando.

Ma ecco che si levò una burrasca; la barca turbinò, la chiglia scricchiolò e fu sul punto di spezzarsi, prese a far acqua da tutte le parti, ad affondare. I discepoli, addossati al ponte, si misero a gemere. Pietro si era abbrancato all'albero e gridava: «Maestro, Maestro, aiuto!» Allora, nel mezzo delle fitte tenebre, vide il Maestro, vestito di bianco, che camminava sulle acque avvicinandosi. I discepoli alzarono la testa, lo videro e si misero a gridare, terrorizzati: «Un fantasma! Un fantasma!» «.Non abbiate timore», gridò loro Gesù, «sono io!» E Pietro gli rispose: «Signore, se è vero che sei tu, ordinami di camminare anch'io sulle onde e di venirti incontro». «Vieni!» ordinò Gesù. Pietro saltò sull'acqua e prese a camminare. Ma vide il lago scatenato, la paura gli tagliò le gambe, cominciò ad affondare. Gridò:

«Signore, salvami, annego!» Gesù gli tese la mano e lo sollevò. «Uomo di poca fede, perché hai paura? Non credi dunque più in me? Guarda!» Tese la mano sopra i flutti e disse: «Calmatevi!» Immediatamente il vento calò, le acque si placarono e Pietro scoppiò in singhiozzi. Ancora una volta la sua anima era stata messa alla prova e s'era coperta di vergogna.

Si svegliò gridando. Aveva la barba inondata di lacrime, si mise a sede-re sul giaciglio, appoggiò la schiena al muro e sospirò. Matteo, che non aveva ancora trovato sonno, lo sentì. Gli chiese:

«Perché sospiri, Pietro?»Per un attimo, Pietro decise di fare il sordo e di non rispondere. Non gli

andava di discutere con un pubblicano. Ma il sogno lo opprimeva, aveva bisogno di liberarsene per sollevarsi. Si trascinò dunque accanto a Matteo e iniziò a raccontare, e più andava avanti, più abbelliva il racconto. Matteo l'ascoltava con avidità, se lo scriveva parola per parola nella testa. L'indo-mani, di giorno, l'avrebbe ricopiato nel suo libro.

Pietro terminò il racconto, ma il suo cuore era ancora agitato nel petto come la barca nel sogno. A un tratto trasalì, spaventato.

«Può mai essere che il Maestro sia venuto davvero nella notte a cercar-mi e che ci abbia fatto prendere il largo per mettermi alla prova? Per la mia vita, non ho mai visto un mare più vivo, una barca più reale, non ho mai provato una paura più palpabile. Forse che non era un sogno? Tu che ne dici, Matteo?»

«Certo che non era un sogno. Questo miracolo è avvenuto sicura-mente», rispose Matteo, e si mise a spremersi le meningi per trovare un

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modo di raccontarlo l'indomani sulle sue carte. Era difficilissimo, perché non era affatto sicuro che fosse un sogno, e non era neppure sicuro che fosse la realtà. Era tutt'e due le cose assieme. Il miracolo era avvenuto, ma non sulla terra, né sul mare. Altrove. Sì, ma dove?

Chiuse gli occhi per riflettere e trovare una risposta. Ma il sonno s'im-padronì di lui: si addormentò.

L'indomani ci fu una forte tempesta che durò per tutto il giorno. I pesca-tori non presero il largo; chiusi nelle loro capanne, sistemavano le lenze discutendo dello strano visitatore che era venuto ad alloggiare presso il vecchio Zebedeo.

«Sembra Giovanni Battista risuscitato. Non appena il carnefice gli ha staccato la testa, lui s'è chinato, l'ha raccolta, se l'è riattaccata al collo e se n'è fuggito a gambe levate. Ma per non farsi riprendere da Erode e non farsi tagliare di nuovo la testa, è andato a mettersi nel corpo del figlio del falegname di Nazareth e sono diventati una sola persona, a quanto sembra. Bisogna vederlo; c'è da perdere la testa. È uno? Sono due? Lo spirito si confonde. Se lo guardi in faccia, è un uomo buono e ti sorride; se ti sposti un po', uno degli occhi diventa feroce e sembra volerti divorare, mentre l'altro t'incoraggia ad avvicinarti. Uno si avvicina, la testa gli gira, non sa più che cosa sta facendo, abbandona casa e figli e lo segue.» Un vecchio pescatore che lo ascoltava scosse la testa.

«Ecco che cosa succede a quelli che non si sposano e che vogliono sal-vare il mondo a tutti i costi. Il seme gli monta alla testa e gli attacca il cervello. Sposatevi, buon sangue, passate la forza a vostra moglie, e vi calmerete!»

Da quando, la sera prima, aveva avuto la notizia, il vecchio Giona aspettava nella sua piccola casa. Non è possibile, pensava, i miei figli ver-ranno a vedere se sono ancora in vita. Attese tutta la notte, poi, quando vide che non arrivavano, infilò gli alti stivali da capitano, quelli che si era fatto fare al tempo del suo matrimonio e che portava nelle grandi occa-sioni, si avvolse in un telo incerato e partì sotto la pioggia verso la casa dell'amico Zebedeo. Trovò la porta aperta ed entrò.

Il fuoco era acceso nel camino, una decina di persone erano sedute da-vanti, a gambe incrociate, in compagnia di due donne. Una la riconobbe, era la vecchia Salomè. L'altra era giovane, l'aveva vista da qualche parte, ma non ricordava dove. La casa era in penombra. Alla luce della fiamma, riconobbe i suoi due figli, Pietro e Andrea, quando volsero per un attimo la testa e la luce li illuminò. Ma nessuno l'aveva sentito entrare, nessuno si

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girò verso di lui. Collo proteso, bocca aperta, tutti ascoltavano un uomo che, col viso inclinato da una parte, parlava. Che diceva? Il vecchio Giona tese l'orecchio per ascoltare meglio. Ogni tanto coglieva una parola: Giustizia, Dio, regno dei cicli. Sempre la stessa cosa, ne aveva abbastanza ormai! Invece di parlare del modo di prendere i pesci, di riparare la vela, di calafatare la barca, o dei modi per non sentire la fame o il freddo, eccoli là a discutere del cielo. Ve lo dico io, fareste meglio a parlare un po' anche della terra e del mare. Il vecchio Giona si stizzì. Tossì per richiamare l'attenzione. Nessuno si voltò. Alzò un piede e diede un colpo col suo sti-vale da capitano, ma inutilmente. Pendevano tutti dalle labbra dell'uomo pallido che parlava.

Solo la vecchia Salomè si girò, lo guardò, ma senza vederlo. Allora il vecchio Giona si accostò, arrivò presso il camino e si accovacciò dietro i suoi figli. Toccò con la sua manona la spalla di Pietro, lo scosse. Pietro si girò, vide il padre, posò un dito sulle labbra, gli fece segno di non parlare e girò di nuovo il viso verso il giovane pallido. Come se lui non fosse Giona, suo padre, come se non fossero stati per mesi senza vedersi. Lo prese la tristezza, poi la rabbia, si tolse le calzature, che cominciavano a fargli ma-le, per gettarle contro il Maestro, perché tacesse, perché potesse finalmente anche lui parlare ai suoi figli! Aveva già sollevato le scarpe prendendo lo slancio, quando una mano dietro di lui lo trattenne. Si girò e vide Zebedeo.

«Alzati, vecchio Giona», gli bisbigliò l'altro all'orecchio, «vieni qua. Mettiamoci da parte, povero infelice, ho qualcosa da dirti.»

Il vecchio pescatore si mise gli stivali sotto il braccio e seguì Zebedeo. Entrarono in una dipendenza e sedettero fianco a fianco su un cassone.

«Vecchio Giona», cominciò Zebedeo farfugliando per il troppo vino be-vuto per annegare la rabbia, «vecchio Giona, mio povero infelice, tu aveva due figli, dimenticali. Anch'io avevo due figli, e li ho dimenticati. A quanto pare il loro padre è Dio, e allora chi ce lo fa fare di immischiarci? Ci guardano con l'aria di dire: E tu chi saresti, vecchio? La fine del mondo, mio povero Giona!

«Sulle prime me la prendevo anch'io. Mi veniva voglia di afferrare la fiocina e tirargliela dietro. Ma poi ho visto che non c'era più speranza, e allora me ne sono rientrato nel mio guscio, ho dato le chiavi a loro, mia moglie è d'accordo anche lei, è rimbambita, poveretta, e allora acqua in bocca, vecchio Zebedeo, acqua in bocca, vecchio Giona, ecco che cosa ti volevo dire. A che serve illudersi? Due più due fa quattro, non c'è scampo!»

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Il vecchio Giona si rimise gli stivali, si avvolse nella tela cerata, guardò Zebedeo per vedere se avesse altro da dirgli. Nient'altro. Aprì la porta, scrutò il cielo, esaminò la terra. Sopra c'era la notte nera, la pioggia, il freddo. Mormorò: «Siamo fregati, siamo fregati...» e partì sguazzando nel fango verso la sua catapecchia.

Il vecchio Giona avanzava a fatica. Il figlio di Maria, le mani tese verso il fuoco, sembrava implorare lo spirito di Dio nascosto nelle fiamme, che riscalda gli uomini. Tendeva le mani, il suo cuore s'era disteso, illuminato, parlava. Diceva loro:

«Non crediate ch'io sia venuto ad abolire le leggi e i profeti. Non sono qui per abolire i vecchi comandamenti, sono qui per spingerli più avanti. Voi avete visto inciso sulle tavole di Mosè: 'Non uccidere!' E io vi dico: Colui che si scaglia contro suo fratello e leva la mano su di lui o gli lancia contro una sola parola dura, anch'egli sarà precipitato nelle fiamme del-l'Inferno. Voi avete visto inciso sulle tavole di Mosè: 'Non commettere adulterio!' E io vi dico: Colui che guarda una donna e la desidera ha già commesso adulterio nel suo cuore. Lo sguardo impuro precipita il debo-sciato nell'Inferno... 'Onora il padre e la madre!' ordina la vecchia Legge. E io: Non imprigionare il cuore nella casa di tuo padre e di tua madre, lascia che ne esca, che entri in tutte le case, che penetri in tutta la terra d'Israele dal monte Hermon fino al deserto di Idumea e più lontano ancora, a Oriente e a Occidente, in tutto l'Universo. Nostro padre è Dio, nostra madre è la Terra, noi siamo fatti metà di terra e metà di cielo. Onora tuo padre e tua madre significa: onora il Cielo e la Terra».

La vecchia Salomè sospirò:«La tua parola è dura, mio Maestro, dura per una madre».«La parola di Dio è sempre dura, Salomè», rispose Gesù.«Prenditi anche i miei due figli», mormorò la vecchia madre, unì le

mani. «Prendili, sono tuoi.»Gesù sentì le parole della madre privata dei suoi figli e sentì sul collo il

peso di tutti i figli e di tutte le figlie del mondo. Si ricordò ancora del caprone nero che aveva visto nel deserto e che portava al collo, tra gli amuleti di turchese, tutte le colpe del popolo d'Israele. Si chinò in silenzio davanti alla vecchia Salomè che gli dava i suoi due figli, come per dirle: ecco il mio collo, appendici i tuoi figli.

Gettò nel fuoco una bracciata di tralci. Si volse di nuovo ai suoi com-pagni:

«Colui che ama suo padre e sua madre più di quanto ama me, non è

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degno di venire con me. Colui che ama suo figlio o sua figlia più di quanto ama me, non è degno di venire con me. Gli antichi comandamenti sono troppo stretti per noi, e anche gli antichi legami».

Poi aggiunse:«L'uomo è una frontiera: il punto in cui finisce la terra e inizia il cielo.

Ma questa frontiera si sposta incessantemente e avanza verso il cielo. E con lei si spostano e avanzano i comandamenti di Dio. Io tolgo i coman-damenti di Dio dalle tavole di Mosè e li porto più avanti».

«È mutevole, allora, la volontà di Dio, Maestro?» domandò Giovanni, colpito.

«No, mio amato Giovanni. Ma il cuore dell'uomo s'allarga e può contenere sempre più volontà.»

«Ebbene, andiamo! Andiamo a proclamare al mondo i nuovi comanda-menti!» gridò Pietro levandosi di scatto. «Che stiamo a fare qui?»

«Aspetta che smetta di piovere, infelice, non vorremo mica inzupparci tutti !» lo burlò Tommaso.

Giuda scosse la testa, agitato:«Prima dobbiamo scacciare i Romani», disse, «prima dobbiamo liberare

i corpi. Le anime dopo. Ogni cosa a suo tempo. Non si comincia a co-struire dal tetto. Cominciamo dalle fondamenta».

«Ma le fondamenta sono l'anima, Giuda.»«No, è il corpo, ti dico!»«Se non cambia l'anima che è in noi, Giuda, il mondo fuori di noi non

cambierà mai. Il nemico è dentro di noi. È dentro di noi che sono i Romani. È dall'interno che comincia la salvezza!»

Giuda si levò, nervoso, fremeva. Da tanto tempo conteneva il suo cuore per impedirgli di gridare: ascoltava, ascoltava, accumulava tutto dentro, non ne poteva più.

«Dobbiamo prima scacciare i Romani», gridò di nuovo con voce stroz-zata. «Prima i Romani!»

«Ma come facciamo?» fece Nataniele, che cominciava a sentirsi a disagio e a lanciare occhiate alla porta. «Ce lo dici, Iscariota?»

«Con una rivolta!» gridò l'altro. «Ricordatevi dei Maccabei, loro hanno cacciato via i Greci. Ora è la nostra ora di cacciar via i Romani, noi siamo i nuovi Maccabei. E poi, una volta che saremo rimasti tra noi, ricchi e poveri, persecutori e perseguitati, sapremo come sistemarli.»

Tutti tacquero. Non sapevano, delle due, quale strada prendere. Guarda-vano il Maestro e attendevano. E lui guardava le fiamme assorto. Ma quan-

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do gli uomini avrebbero compreso che nel mondo visibile e invisibile non c'è che una sola cosa, l'anima?

Pietro si alzò.«Perdonatemi», disse, «ma io non capisco i discorsi complicati. Quali

sono le fondamenta lo vedremo nell'azione. Ce lo dirà l'esperienza. Mae-stro, dacci il potere di andare a portare da soli la buona novella agli uomini. E al ritorno ne riparleremo.»

Gesù alzò la testa, fece scorrere lo sguardo sui discepoli, fece un cenno a Pietro, a Giovanni è a Giacomo di avvicinarsi. Pose le mani con forza sulle teste dei tre e disse:

«Partite, la mia benedizione vi accompagna, andate a proclamare la buona novella tra gli uomini. Non abbiate paura: Dio vi protegge con la sua mano e non permetterà che vi perdiate. Neppure un passero cade dal cielo senza che lui lo voglia. E voi ne valete tanti di passeri. Che Dio sia con voi! Tornate presto, con migliaia di anime sospese al vostro collo. Voi siete i miei apostoli».

I tre apostoli ricevettero la benedizione, aprirono la porta e se ne anda-rono in mezzo alla tormenta. Ognuno di loro prese una direzione diversa.

Passarono i giorni. Il cortile del vecchio Zebedeo si riempiva di gente al mattino e si vuotava la sera. Dappertutto arrivavano malati, indemoniati, invalidi, e piangevano; altri, infuriati, urlavano: che il Figlio dell'uomo fa-cesse il suo miracolo e li guarisse, Dio non l'aveva forse mandato per que-sto? Che si mostrasse nel cortile!

Gesù provava pena a sentirli, usciva nella corte, toccava, benediceva ognuno di loro. Diceva: «Ci sono due generi di miracoli, fratelli miei, i miracoli del corpo e i miracoli dell'anima. Abbiate fede solo nei miracoli dell'anima. Pentitevi, purificate la vostra anima e anche la carne sarà puri-ficata. L'anima è l'albero. La malattia, la salute, il Paradiso, l'Inferno, sono i frutti».

Molti malati avevano fede in lui e subito sentivano il sangue purificarsi e invadere i loro corpi esangui, gettavano via le stampelle e si mettevano a danzare. Altri, nell'attimo in cui Gesù poneva la mano sui loro occhi spen-ti, sentivano una luce sgorgare dalla punta delle sue dita. Dischiudevano le palpebre, emettevano un grido di gioia: vedevano il mondo!

Matteo, la cannuccia per scrivere in mano, occhi e orecchi ben aperti, non si lasciava sfuggire una sillaba: raccoglieva fino all'ultima parola che cadeva e la depositava sulla carta. In questo modo, a poco a poco, giorno

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per giorno, prendeva forma in lui la buona novella, il Vangelo. Metteva radici, buttava fuori i rami, diventava un albero, pronto a dar frutti, a nutrire gli uomini, quelli che erano nati e quelli che non erano nati ancora. Matteo, che conosceva a memoria le Scritture, vedeva che tutto ciò che faceva e diceva il Maestro era, parola per parola, ciò che avevano annun-ciato i profeti dei secoli passati. E se a volte i profeti non concordavano, ciò dipendeva evidentemente dal fatto che il cervello degli uomini aveva compreso malamente il senso segreto che il testo sacro nascondeva. Sette stadi di significato ha la parola di Dio, e Matteo si arrovellava per trovare a quale stadio poteva corrispondere quello che non concordava. Pazienza se a volte forzava un po' le cose, Dio avrebbe perdonato. E non solo perdo-nato, ma anzi era proprio quello che voleva. Forse che non veniva un angelo, ogni volta che prendeva in mano il suo calamo, e chinatosi al suo orecchio gli suggeriva quello che doveva scrivere?

Quel giorno per la prima volta Matteo aveva compreso con chiarezza da dove cominciare e come intraprendere il racconto della vita di Gesù: fin dall'inizio, da dove è nato, chi sono i suoi genitori, i suoi antenati di quat-tordici generazioni. È nato a Nazareth, da genitori poveri, Giuseppe il falegname e Maria figlia di Gioacchino e di Anna. Matteo prese il calamo, invocò Dio dentro di sé perché gli illuminasse lo spirito e gli desse la forza. Ma nell'attimo in cui cominciò a tracciare le prime parole sulla carta, la sua mano si pietrificò. L'angelo l'aveva presa, e Matteo sentì le ali battere l'aria, furiosamente. Sentì una voce squillare nell'orecchio: «Non figlio di Giuseppe! Che dice il profeta Isaia? 'Ed ecco che la vergine concepirà e partorita un figlio!' Scrivi: Maria era vergine. L'arcangelo Gabriele è disceso nella sua casa prima che uomo la toccasse e le ha detto: 'Ave, Maria, piena di grazia, il Signore è con te!' e subito il suo seno portò il frutto. Capisci? È questo che devi scrivere! E non a Nazareth, non è nato a Nazareth. Ricordati del profeta Michea: 'E tu, Betlemme, minima tra le migliaia di figlie di Giuda, è da te che germinerà Colui che regnerà su Israele e la cui matrice dura dall'eternità'. È quindi a Betlemme che è nato Gesù, e in una stalla. Che dice il salmo che sbaglia? 'Egli lo prese dalla stalla dove poppano gli agnelli per farne il pastore delle greggi di Giacobbe.' Perché ti fermi? Ti ho lasciato la mano, scrivi!» Ma Matteo era irritato: si volse all'ala invisibile, alla sua destra, e mormorò a bassa voce, per non essere udito dai discepoli che dormivano: «Non è vero, non voglio, non lo scrivo». Una risata beffarda risuonò nell'aria, e una voce: «Come potresti comprendere, tu, polvere, qual è la verità? La verità ha sette stadi.

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Nello stadio più elevato troneggia la verità di Dio, che non assomiglia in niente alla verità degli uomini. È questa, Matteo Evangelista, la verità che io soffio nel tuo orecchio. Scrivi: 'E tre magi sono arrivati seguendo una grande stella, per adorare il bambino...'»

Un torrente di sudore colava dalla fronte di Matteo.«Non scrivo! Non scrivo!» gridava. La mano corse a scrivere.Gesù intese nel sonno la lotta di Matteo; aprì gli occhi. Vide che si

affannava sotto la lampada; il suo calamo correva con rabbia sopra la carta e cigolava come se dovesse spezzarsi.

«Matteo, fratello», gli disse piano, «perché borbotti? Chi c'è sopra di te?»

«Maestro», rispose l'altro, mentre la cannuccia continuava a correre, «non chiedermi niente, sono occupato. Dormi.»

«Dev'esserci Dio su di lui», pensò Gesù.Chiuse gli occhi per non turbare la santa possessione.

24

I giorni e le notti passarono. Una luna venne e passò, poi un'altra. Pioggia, vento, fuoco nel focolare; veglie sante nella casa della vecchia Salomè. Tutte le sere, dopo una giornata di lavoro, venivano i poveri e gli afflitti di Cafarnao per ascoltare il novello consolatore, arrivavano poveri e inconsolabili e ripartivano per i loro miserabili tuguri ricchi e consolati. Lui spostò le loro vigne, le barche, le gioie terrene verso il cielo, spiegò loro come il cielo è più sicuro della terra e il cuore degli infelici si riem-piva di pazienza e di speranza. Anche il cuore del vecchio Zebedeo, quel cuore selvatico, cominciò ad addomesticarsi: a poco a poco le parole di Gesù penetrarono in lui inebriando dolcemente il suo spirito, un mondo nuovo venne a librarsi sopra la sua testa, un mondo fatto di eternità e delle ricchezze più imperiture. E in questo nuovo e strano mondo Zebedeo, i suoi figli e la vecchia Salomè, e perfino le sue cinque barche e le sue madie piene, sarebbero vissuti in eterno. Non c'era allora più bisogno di lamentarsi vedendo ospiti non invitati passare i giorni e le notti in casa sua e sistemarsi comodamente attorno alla sua tavola. Sarebbe arrivato il giorno d'essere ripagato.

Nel mezzo dell'inverno giunsero i giorni alcioni pieni di sole; il sole si mise a splendere, l'ossatura della terra prese calore, e il mandorlo del corti-le di Zebedeo s'ingannò: credette arrivata la primavera e cominciò a in-

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gemmarsi. Erano quei giorni di tregua che anche il martin pescatore aspet-ta, per affidare le sue uova agli scogli. Tutti gli uccelli del cielo depongono in primavera, il martin pescatore in pieno inverno. Dio ha avuto pietà di lui e gli ha promesso di lasciare che il sole riscaldi l'inverno per qualche ora, per lui. E ora, questo gioiello del mare è ubriaco di gioia, vola cantando sopra le acque e le scogliere del lago di Genezareth e ringrazia Dio di aver mantenuto anche quest'anno la sua promessa.

Con le belle giornate i discepoli si dispersero nei villaggi vicini e nelle barche da pesca per provare anch'essi le loro ali. Filippo e Natamele parti-rono verso la terra, per parlare con i loro amici contadini e pastori e predi-care loro la parola di Dio; Andrea e Tommaso verso il lago, per rivolgersi ai pescatori. Giuda partì, solo, verso la montagna, per lasciare che la collera si depositasse. In quello che faceva il Maestro c'era molto che gli piaceva, ma c'erano anche cose che non sopportava. Ora il Battista selvag-gio lanciava tuoni dalla bocca, ora il figlio del falegname belava: Amore! Amore! Come sarebbe, allora, l'amore, illuminato? Amare chi? Il mondo è in cancrena, occorre il coltello. Questo dico io!

Soltanto Matteo rimase in casa. Non volle allontanarsi dal Maestro, se parlava, bisognava che il vento non portasse via le sue parole, se faceva un miracolo, occorreva the Matteo lo vedesse con i suoi occhi per raccontarlo. E poi, dove doveva andare, a chi parlare? Nessuno gli si avvicinava, perché nei tempi andati era stato un impuro pubblicano. E così restò in casa, in un angolo, e guardava di sottecchi Gesù che, seduto in cortile sotto il mandorlo coperto di gemme, parlava con Maddalena, seduta ai suoi pie-di. Le parlava a bassa voce, Matteo tendeva l'orecchio per tentare di cogliere una parola, ma invano. Non vedeva altro che la mano del Maestro sfiorare di tanto in tanto i capelli di Maddalena, e il suo volto severo e triste.

Di buon mattino, quel giorno, giorno di Sabbath, erano arrivati dei pellegrini da villaggi lontani, coloni della Tiberiade, pescatori del Geneza-reth, pastori delle montagne, per sentire il nuovo Profeta parlare dell'Infer-no e del Paradiso, degli uomini sventurati e della misericordia di Dio. L'avrebbero portato con loro, c'era sole quel giorno, l'avrebbero fatto salire sulla montagna verdeggiante, si sarebbero distesi sul prato tiepido per ascoltarlo e forse, piano piano, sull'erba novella, si sarebbero addormentati di un sonno leggero. Si radunarono dunque nella via, la porta era chiusa, gridarono al Maestro di farsi vedere.

«Maddalena, sorella», disse Gesù, «ascolta. Gli uomini vengono a cer-

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carmi.»Ma Maddalena, perduta negli occhi del Maestro, non sentiva. Di tutto

quanto aveva detto lui in tanto tempo, lei non aveva inteso nulla; bastava a inebriarla la sua voce, la sua voce le diceva tutto. Lei non era un uomo, non aveva bisogno di parole. Un giorno gli aveva detto: «Perché mi parli di vite future, Maestro? Io non sono un uomo, non ho bisogno di altre vite, eterne; io sono donna, un istante con l'uomo che amo è un Paradiso eterno, un istante lontano dall'uomo che amo è un eterno Inferno. Noi donne l'eternità la viviamo su questa terra!»

«Maddalena, sorella», ripeté Gesù, «gli uomini vengono a cercarmi, devo andare.»

Si alzò, aprì la porta. La via era piena di occhi accesi dalla passione, di bocche che gridavano, di malati che si lamentavano e tendevano le brac-cia... Maddalena apparve e si mise la mano davanti alla bocca per non gridare. «Il popolo è una belva, una belva sanguinaria, me lo sbranerà...» mormorò mentre lo guardava prendere con calma la testa del corteo, seguito dalla folla che mugghiava...

A grandi passi tranquilli, Gesù andava verso la montagna che domina il lago, dove un giorno aveva aperto le braccia alla folla e aveva gridato: Amore! Amore! Ma poi il suo spirito s'era infuocato, il deserto gli aveva indurito il cuore e sentiva ancora le labbra del Battista sulle sue labbra, come due carboni ardenti. Le profezie si accendevano e si smorzavano in lui, le urla inumane di Dio riprendevano e vedeva le tre figlie di Dio, Lebbra, Follia e Fiamma squarciare il cielo e scendere sulla terra.

Quando arrivò sulla sommità della collina e aprì la bocca per parlare, l'antico profeta sorse dal fondo del suo essere e si mise a gridare:

«Ecco che arriva il terribile esercito, arriva ruggendo dai confini della terra, arriva, terribile e rapido. Nessuno dei suoi guerrieri è vinto dalla stanchezza, nessuno sente il sonno o dorme; non un cinturone è sganciato, non una correggia di calzare è spezzata. Le frecce sono acute, gli archi tesi. Gli zoccoli dei cavalli sono dura pietra, le ruote dei carri sono uragano. Ruggisce come un leone minaccioso. Quelli che afferra, li serra tra i denti e nessuno può salvarsi!»

«Ma quale esercito è questo?» gridò un vecchio cui si erano rizzati i capelli, bianchi.

«Quale esercito è questo? E lo chiedete, uomini sordi, ciechi e senza senno?» Gesù alzò la mano verso il cielo. «È l'esercito di Dio, sventurati! Visti da lontano i guerrieri di Dio sembrano angeli, da vicino sono fiamme.

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Anch'io l'estate scorsa li ho presi per angeli, su questa stessa pietra dove sono adesso, li ho presi per angeli, ho gridato : Amore! Amore! Ora il Dio del deserto mi ha aperto gli occhi e ho visto: sono fiamme! Non vi tollero più, grida Dio, scendo tra voi! Un lamento si è levato a Gerusalemme e a Roma, un lamento che è passato sopra montagne e tombe: la terra piange i suoi figli. I miei angeli discendono sulla terra bruciata, cercano con le lanterne dove può essere stata Roma, Gerusalemme. Sfregano la cenere tra le dita e l'annusano. Questa, dicono, doveva essere Roma, questa Gerusa-lemme, e la disperdono nel vento.»

«Non c'è salvezza?» gridò una giovane madre stringendosi il figlio al petto. «Non parlo per me, parlo per il mio bambino.»

«Una ce n'è», le rispose Gesù. «A ogni diluvio Dio costruisce un'Arca e le affida il lievito del mondo futuro. Sono io quello che tiene la chiave dell'Arca!»

«Chi sarà salvato per essere il lievito? Chi salverai? Abbiamo ancora tempo?» gridò un altro vecchio. Il mento gli tremava.

«L'Universo passa davanti a me e io faccio la cernita: da una parte quelli che hanno mangiato troppo, bevuto troppo, goduto troppo; dall'altra gli affamati, gli oppressi, quelli che scelgo. Sono loro le pietre con cui edificherò la Nuova Gerusalemme.»

«La Nuova Gerusalemme?» gridò la folla, con gli occhi brillanti.«Sì, la Nuova Gerusalemme. Neppure io lo sapevo. Dio mi ha confidato

il segreto nel deserto. Solo dopo le fiamme viene l'Amore. Questo mondo prima si farà cenere, e poi Dio pianterà la sua nuova vigna. Non c'è miglior concime della cenere.»

«Non c'è miglior concime della cenere!» ripeté, come un'eco, una voce roca e gioiosa. Gesù si volse, sorpreso; gli era parsa la sua stessa voce, ma più grave, e più gioiosa. Vide Giuda dietro di sé e sbigottì: il suo viso lan-ciava bagliori, come se le fiamme future già cadessero su di lui facendolo risplendere. Si precipitò da Gesù e gli prese la mano.

«Maestro», mormorò con una tenerezza insolita, «mio Maestro...»Mai in tutta la sua vita Giuda aveva parlato con tanta tenerezza a un

uomo. Si vergognò. Si chinò e fece finta di cercare qualcosa, non sapeva neppure lui che cosa. Trovò un piccolo anemone precoce e lo strappò.

La sera, al suo ritorno, Gesù, ripreso il suo posto sullo sgabello davanti al focolare e fissato lo sguardo sul fuoco, sentì d'un tratto che Dio dentro di lui diventava impaziente, non poteva più aspettare. L'angoscia, l'esaspera-

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zione s'impadronirono di lui, e anche la vergogna. Aveva parlato ancora una volta, aveva agitato fiamme sopra la testa degli uomini e i pescatori e i contadini, sprovveduti, s'erano spaventati per un momento, ma subito si erano rassicurati: tutte quelle minacce erano apparse come una favola, e qualcuno si era addormentato sull'erba tiepida, cullato dalla voce di lui.

Contemplava il fuoco, inquieto, senza parlare. Maddalena, in piedi in un angolo, lo guardava e avrebbe voluto parlargli, ma non aveva il coraggio. A volte le parole di una donna portano pace all'uomo, a volte lo irritano. Maddalena lo sapeva e taceva.

Silenzio. La casa odorava di pesce e di rosmarino. La finestra sul cortile era aperta, dovevano esserci non lontano dei nespoli in fiore, e il loro profumo arrivava portato dalla brezza notturna, dolce e pungente.

Gesù si alzò e chiuse la finestra. Tutti quegli odori primaverili erano l'alito della tentazione, non era quella l'aria che chiedeva la sua anima. Era tempo di mettersi in cammino, di entrare nell'aria che gli si addiceva. Dio urgeva.

La porta si aprì, entrò Guida. Volse d'attorno il suo sguardo azzurro e vide il Maestro, gli occhi fissi sulla fiamma, la bella Maddalena, Zebedeo che s'era addormentato e russava e, sotto la lampada, lo scribacchino che sgorbiava e scarabocchiava la sua carta... Scosse la testa. Questa era dun-que la loro grande spedizione? È così che si parte per conquistare il mondo? Un illuminato, uno scriba, un ambulante, rimasti tutti a far niente a Cafarnao? Si raggomitolò in un angolo. La vecchia Salomè aveva già preparato la tavola.

«Non ho fame», brontolò, «ho sonno», e chiuse gli occhi per non vedere più.

Gli altri si misero a tavola. Una falena entrò dalla porta, svolazzò attor-no alla fiamma della lampada, andò per un attimo a volteggiare tra i capelli di Gesù, poi si mise ;a curiosare per la casa.

«Un ospite in arrivo», disse la vecchia Salomè. «Sia il benvenuto.»Gesù benedisse il pane, lo distribuì, cominciarono a mangiare. Nessuno

parlava; il vecchio Zebedeo non sopportava un silenzio così greve, sentiva stringersi il cuore.

«Parlate, figli», disse, picchiando il pugno sulla tavola. «Che c'è? Ab-biamo un morto in casa? Quando tre o quattro persone sedute assieme a mangiare non parlano di Dio, è come se fosse un banchetto funebre, non ve l'hanno mai detto? A me un giorno lo ha detto il vecchio rabbino di Nazareth, il sant'uomo, e me ne ricordo ancora. Parla, dunque, figlio di

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Maria. Riporta Dio in casa mia. Perdonami, ti chiamo sempre figlio di Maria perché non so ancora come chiamarti; chi ti chiama figlio del falegname, chi figlio di Davide, figlio di Dio, Figlio dell'uomo, non sanno più dove sono. A quanto pare il mondo non si è ancora deciso.»

«Vecchio Zebedeo», rispose Gesù, «sterminati eserciti d'angeli battono le ali attorno al trono di Dio. Hanno voci d'oro, d'argento, di acqua chiara, e lodano il Signore, ma da lontano; nessuno osa avvicinarsi troppo. Uno solo osa.»

«Chi?» disse Zebedeo sgranando gli occhi rossi per il vino.«L'angelo del silenzio», rispose Gesù e tacque di nuovo.Il vecchio padrone di casa tossì, si riempi il bicchiere di vino e lo vuotò

d'un fiato.«È uno che gela, quest'ospite», pensò. «È come stare a tavola con un

leone.» Ci rifletté; d'un tratto lo prese la paura e si alzò.«Vado a trovare il vecchio Giona, a fare due chiacchiere con lui, tra

esseri umani», disse dirigendosi verso la porta. Ma in quel momento dei passi leggeri risuonarono nel cortile.

«Ecco il visitatore», disse la vecchia Salomè alzandosi. Tutti si volsero verso la porta; sulla soglia apparve il vecchio rabbino di Nazareth.

Era invecchiato, si era consumato. Non gli rimaneva che qualche osso rivestito di pelle raggrinzita, quel tanto perché l'anima non se ne volasse via. Negli ultimi tempi il rabbino non riusciva più a dormire; e se a volte, all'alba, lo prendeva il sonno, faceva uno strano sogno, sempre lo stesso: angeli e fiamme e Gerusalemme, come una belva ferita, arrampicata sul monte di Sion, ululava. Giorni prima, all'alba, aveva fatto lo stesso sogno. Non aveva resistito, era saltato giù dal letto, uscito di casa, raggiunto i campi, attraversato la piana di Esdrelon; e il monte Carmelo, abitato da Dio, s'era levato davanti a lui. Il profeta Elia certamente doveva essere sulla cima, era lui che lo trascinava, che gli dava la forza di salire. Il sole tramontò nel momento in cui il vecchio rabbino raggiunse la vetta del monte. Sapeva che tre grandi pietre si levavano sulla sacra sommità: un altare, e tutt'attorno giacevano ossa e corna delle vittime dei sacrifici... Ma quando il vecchio rabbino si fu avvicinato ed ebbe alzato gli occhi, lanciò un grido: non c'erano più pietre, ma tre uomini giganteschi, vestiti di un bianco abbagliante come la neve, e il loro viso era di luce. Nel mezzo si trovava Gesù, il figlio di Maria; alla sua sinistra il profeta Elia, che aveva tra le mani dei carboni ardenti; alla destra Mosè, dalle corna ricurve, con due tavole di pietra con su scolpiti i comandamenti in lettere di fuoco... Il

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rabbino era caduto in ginocchio, col viso a terra. «Adonai! Adonai!» mor-morava tremando. Sapeva che Elia e Mosè non erano morti e che sareb-bero riapparsi sulla terra nel giorno terribile, il giorno del Signore. Era un segno che la fine del mondo era vicina. Erano apparsi, erano là, il rabbino tremava. Aveva alzato gli occhi per vedere: nel crepuscolo brillavano, illuminate dagli ultimi raggi del sole, le tre pietre gigantesche.

Dopo tanti anni il rabbino riaprì le Scritture, respirò l'odore di Jahvè, imparò a scoprire, dietro le cose visibili e invisibili, il senso celato che da-va loro Dio. E allora comprese. Aveva raccolto il suo bastone, dove aveva la sua vecchia carcassa trovato tanta forza? Era partito in direzione di Nazareth, Cana, Magdala, Cafarnao, cercando disperatamente il figlio di Maria. Sapeva che era tornato dal deserto di Gerusalemme e ora seguiva le sue tracce in Galilea e vedeva i pescatori e i contadini coltivare il mito del nuovo Profeta - i miracoli che aveva fatto, le parole che aveva pronunciato, su quale pietra era salito per parlare, e la pietra si era coperta di fiori... Trovò un vecchio sulla sua strada e l'interrogò: l'altro levò le braccia al cielo: «Ero cieco, egli ha toccato le mie palpebre e m'ha reso la vista. Mi ha raccomandato di non dirlo a nessuno, ma io invece faccio il giro dei villaggi e lo racconto». «E ora dov'è, vecchio, me lo puoi dire?» «L'ho lasciato nella casa del vecchio Zebedeo, a Cafarnao. Se fai in fretta lo trovi prima che se ne salga in cielo.»

Il rabbino s'era rimesso in cammino a grandi passi, la notte lo aveva sorpreso, aveva trovato nel buio la casa del vecchio Zebedeo. Era entrato.

La vecchia Salomè s'era precipitata a dargli il benvenuto.«Salomè», disse il rabbino varcando la soglia, «la pace sia sopra questa

casa; che i beni di Abramo e di Isacco tocchino ai suoi padroni!»Si girò, vide Gesù e spalancò gli occhi!«Tanti uccelli passano sulla mia testa e mi recano notizie di te», disse.

«Il cammino che hai iniziato è aspro e molto lungo, figlio mio. Che Dio sia con te!»

«Amen!» rispose Gesù con voce grave.Il vecchio Zebedeo posò la mano sul cuore per salutare il rabbino:«Qual buon vento ti porta in casa nostra, vecchio?» Forse il rabbino non

sentì, e non rispose. Sedette accanto al fuoco, era stanco, infreddolito, affa-mato, ma non voleva mangiare. Due o tre strade si aprivano davanti a lui e non sapeva quale prendere... Perché era venuto? Per raccontare della sua visione a Gesù? E se non veniva da Dio? Il vecchio rabbino sapeva bene che la Tentazione può prendere il volto di Dio per sedurre gli uomini. Se

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avesse rivelato a Gesù quel che aveva visto, il demone della vanità poteva impadronirsi della sua anima e allora sarebbe stato perduto, e per colpa del rabbino. Bisognava seguirlo ovunque andasse senza rivelargli il segreto? Ma era giusto che lui, il vecchio rabbino di Nazareth, seguisse il più auda-ce dei rivoluzionari, che si vantava di portare una nuova Legge? Venendo lì non aveva trovato Cana sottosopra a causa di una parola contraria alla Legge da lui pronunciata? Era andato nel giorno sacro del Sabbath nei campi e aveva visto un uomo che lavorava, scavava canali e innaffiava il giardino. «Tu», gli aveva detto, «se ti rendi conto di quello che stai facen-do, che la gioia sia su di te.» Sentendo ciò, il vecchio rabbino era rimasto attonito; questo ribelle è pericoloso, pensò, stai attento, vecchio Simeone, non andarti a dannare, alla tua età.

Gesù andò a sedersi accanto a lui. Giuda, sdraiato a terra, aveva chiuso gli occhi, e Matteo aveva ripreso il suo posto sotto la lampada e aspettava, il calamo in mano. Ma Gesù non parlava. Guardava il fuoco divorare la legna e sentiva accanto a sé il vecchio rabbino ansimare come se fosse ancora in marcia.

Nel frattempo, la vecchia Salomè preparava il letto al rabbino; era vecchio, gli occorreva un letto morbido e un cuscino; mise anche accanto al giaciglio una piccola brocca d'acqua nel caso gli venisse sete durante la notte. Il vecchio Zebedeo, visto che il nuovo ospite non era venuto per lui, prese il bastone e se ne andò a trovare il vecchio Giona, per respirare un'aria umana; la sua casa si era riempita di leoni. Maddalena si ritirò con Salomè nelle stanze del fondo, per lasciare soli Gesù e il rabbino; sentiva-no che i due avevano cose importanti da dirsi.

Ma i due uomini non parlavano. Sapevano bene entrambi che le parole non possono mai alleggerire il cuore dell'uomo e placarlo. Solo il silenzio ha questo potere, e tacquero. Passarono le ore, Matteo si addormentò, con la cannuccia in mano. Zebedeo, sazio di parole, tornò e si coricò di fianco alla vecchia moglie. A mezzanotte, sazio di silenzio, il rabbino si alzò.

«Questa sera abbiamo detto molto, Gesù», mormorò. «Domani ripren-deremo!» E si diresse verso il letto, con le ginocchia che gli dolevano.

Il sole si levò, salì nel cielo: era quasi mezzogiorno e il rabbino non aveva ancora aperto gli occhi. Gesù era andato sulla riva del lago e parlava con i pescatori; salì sulla barca di Giona per dargli un mano con la pesca. Giuda vagava da solo come un cane da pastore.

La vecchia Salomè si chinò sul rabbino per vedere se respirava ancora; respirava. «Sia lodato Iddio», mormorò, «è ancora vivo.» Stava per allon-

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tanarsi, ma il vecchio rabbino aprì gli occhi, la vide china su di lui, com-prese e sorrise.

«Non posso ancora morire, Salomè», la rassicurò il rabbino. «Il Dio d'Israele mi ha dato la sua parola: Tu non morirai, Simeone, prima di aver visto il Messia!»

Ma aveva appena pronunciato queste parole che gli occhi gli si offu-scarono: che l'avesse già visto, il Messia? Che fosse Gesù? La visione del monte Carmelo era dunque una visione venuta da Dio? Ma allora era giunta per lui l'ora di morire! Si sentì inondare da un sudore freddo. Non sapeva se gioire o intonare un lamento. La sua anima gioiva; il Messia è arrivato! Ma la sua vecchia carcassa non voleva morire... Si alzò, ansi-mante, si trascinò fino alla soglia, sedette al sole e s'immerse nella medi-tazione.

Verso sera Gesù rientrò, rotto dalla stanchezza. Tutto il giorno aveva pescato con il vecchio Giona, la barca era stracarica di pesce; Giona, fuori di sé, aveva aperto la bocca per parlare, poi ci aveva ripensato. Era entrato fino alle ginocchia tra i pesci che guizzavano, guardava Gesù e rideva.

La stessa sera i discepoli tornarono dal loro giro nei villaggi vicini. Si affollarono attorno a Gesù e si misero a raccontare tutto quello che aveva-no visto e fatto; avevano proclamato ai contadini e ai pescatori che il gior-no del Signore era vicino, facendo la voce grossa per spaventarli; quelli li ascoltavano tranquilli, rappezzando le reti, curando l'orto, e di tanto in tan-to scuotevano la testa: «Vedremo... Vedremo...» Poi cambiavano discorso.

Mentre parlavano, ecco che arrivarono i tre apostoli. Vedendoli, Giuda, seduto in disparte, muto, non poté far a meno di ridere.

«Eccoli là, gli apostoli!» esclamò. «Ve le hanno date, eh, poveri disgra-ziati!»

Effettivamente, l'occhio destro di Pietro era gonfio e lacrimava, il viso di Giovanni era tutto graffiato e Giacomo zoppicava.

«Maestro», disse Pietro sospirando, «la parola di Dio attira guai, grossi guai!»

Tutti risero, ma Gesù li guardò, assorto.«Ci hanno suonato come tamburi», seguitò Pietro, che aveva fretta di

raccontare tutto. «All'inizio avevamo deciso di prendere ognuno una stra-da. Ma poi ci siamo impauriti, da soli. Ci siamo riuniti e abbiamo comin-ciato a predicare. Io mi arrampicavo su una pietra o su un albero nella piazza del paese, battevo le mani o mi mettevo le dita in bocca e fischiavo, la gente si radunava. Quando c'erano molte donne era Giovanni a prendere

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la parola, e per questo ha le guance piene di graffi; quando c'erano molti uomini parlava Giacomo, con la sua voce sonora, e quando si arrochiva continuavo io. Che cosa dicevamo? Quello che dici tu. Ma noi ci hanno accolti a pomodori, ci hanno fischiato, perché, dicevano, portavamo la fine del mondo, e ci sono saltati addosso, le donne con le unghie, gli uomini a pugni, ed eccoci qua!»

Giuda scoppiò ancora a ridere, ma Gesù si girò, lo guardò severo e gli chiuse quella bocca sfrontata.

«Sapevo», disse, «che vi mandavo come agnelli tra i lupi. Vi insul-teranno, vi lapideranno, vi tratteranno da immorali perché fate la guerra all'immoralità, vi calunnieranno dicendo che volete distruggere la fede, la famiglia e la patria, perché la nostra fede è più pura, la nostra casa più vasta e la nostra patria è il mondo intero! Stringetevi bene addosso le vostre armature, compagni, dite addio al pane, alla gioia e alla tranquillità. Partiamo per la guerra!»

Natamele si girò, guardò Filippo con ansia; ma l'altro gli fece un cenno, come a dirgli: «Non aver paura, dice così, ma è per metterci alla prova...»

Il rabbino si era di nuovo steso sul letto, spossato dalla stanchezza, ma manteneva sveglio lo spirito, vedeva e sentiva tutto. Aveva preso la sua de-cisione, era tranquillo. Una voce si era levata dentro di lui - la sua? quella di Dio? - e gli aveva ordinato: «Simeone, ovunque vada, seguilo!»

Pietro fece per aprire bocca, aveva altro da raccontare, ma Gesù tese la mano.

«Basta!» disse.Si alzò. Gerusalemme apparve davanti ai suoi occhi, selvaggia, coperta

di sangue, al culmine della disperazione: là dove ha inizio la speranza. Cafarnao scomparve, con i candidi pescatori e i contadini, il lago di Gene-zareth sprofondò nel fondo del suo cuore. La casa del vecchio Zebedeo si ritrasse, le quattro mura gli si strinsero addosso, lo toccarono, si sentì sof-focare. Andò verso la porta e l'aprì.

Che restava a fare lì, a mangiare e a bere, a farsi accendere il fuoco nel camino, mettere il coperto in tavola mezzogiorno e sera e a perdersi in fantasie? È così che salvava il mondo? Non si vergognava?

Uscì nel cortile. Un vento caldo agitava il fogliame degli alberi. Le stelle intrecciavano ghirlande attorno al collo e alle braccia della notte. E sotto i piedi, la terra brulicava, come se innumerevoli bocche la succhias-sero.

Volse il capo a sud, verso la santa Gerusalemme. Pareva ascoltasse.

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Sembrava volesse distinguere nell'oscurità il suo volto duro, fatto tutto di pietre del colore del sangue. E mentre il suo spirito seguiva ardentemente, disperatamente, il corso del fiume, passava le montagne e le pianure e stava per raggiungere la città santa, d'un tratto, fu come se vedesse muo-versi (così gli parve) una grande ombra nel cortile, sotto il mandorlo coper-to di gemme; e bruscamente vide levarsi nelle tenebre, più nera ancora della notte, e per questo poté distinguerla, la sua gigantesca compagna di strada. Sentì nettamente, nel silenzio della notte, il suo profondo respiro. Non ebbe paura, da tanto ormai s'era abituato alla sua presenza; attese. E, lenta, imperiosa, udì sotto il mandorlo una voce tranquilla:

«Partiamo!»Sulla soglia era apparso, inquieto, Giovanni. Gli pareva di aver sentito

una voce nella notte.«Maestro», mormorò, «con chi stai parlando?»Ma Gesù già rientrava in casa. Prese da un angolo il suo bastone da

pastore.«Compagni», disse, «partiamo!» Si diresse verso la porta, senza

neppure girarsi per vedere se qualcuno lo seguiva.Il vecchio rabbino saltò in piedi dal suo letto, si cinse e prese il suo

bastone.«Vengo con te, figlio mio», disse, e raggiunse per primo la porta.La vecchia Salomè, che filava, si alzò, depose la conocchia su una cassa

e disse:«Vengo anch'io. Zebedeo, ti lascio le chiavi, addio!»Si sciolse le chiavi dalla cintura e le porse al marito. Si legò stretto il

fazzoletto sotto il mento, percorse la casa con lo sguardo, scosse la testa e le disse addio. D'un tratto il suo cuore aveva di nuovo vent'anni.

Maddalena, in silenzio, felice, si alzò.I discepoli si levarono, si guardarono l'un l'altro, agitati.«Dove andiamo?» domandò Tommaso appendendosi la tromba alla

cintola.«A quest'ora? Perché questa fretta? Non si poteva aspettare domani?»

disse Nataniele, e guardò Filippo contrariato.Ma Gesù aveva già attraversato il cortile a grandi passi e si dirigeva a

sud.

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Le fondamenta del mondo hanno vacillato perché il cuore dell'uomo è stato scrollato. Giaceva sotto il peso di queste pietre che chiamano Gerusalemme, delle profezie, dei Giudizi Finali, delle maledizioni, dei Farisei, dei Sadducei, dei ricchi sazi e dei poveri affamati e del Dio Jahvé la cui barba e i cui baffi lasciavano sgocciolare nell'abisso, nei secoli dei secoli, il sangue degli uomini. Da qualsiasi lato lo si prendesse, ruggiva; se gli si diceva una buona parola, alzava il pugno; voglio carne, gridava. E se uno gli offriva in sacrificio un agnello o il suo proprio figlio primogenito, non voglio carne, gridava, non strappatevi le vesti, strappatevi il cuore, trasformate la carne in spirito, lo spirito in preghiera e disperdetelo nel vento!

Giaceva il cuore sotto il peso dei seicentotredici comandamenti scritti della Legge ebraica, sotto i mille comandamenti non scritti, e non poteva muoversi; sotto le Genesi, i Levitici, i Numeri, i Giudici e i Re, e non pote-va muoversi. E all'improvviso, nel momento più inatteso, soffiò un vento leggero, venuto non dal cielo ma da terra, e tutte le fibre del cuore dell'uo-mo ebbero un fremito. Subito si videro incrinarsi, scuotere e cominciare a crollare, prima nel cuore, poi nello spirito, poi sulla terra, le pietre che chiamano Gerusalemme, le profezie, le maledizioni, i Farisei, i Sadducei, i Giudici e i Re e l'orgoglioso Jahvé cinse di nuovo il grembiale di cuoio di Maestro Muratore, riprese la livella e il metro, discese sulla terra e si mise a sua volta a distruggere il passato e a costruire, assieme agli uomini, il futuro. Cominciò dal Tempio degli Ebrei a Gerusalemme.

Ogni giorno Gesù, ritto sulle pietre del colore del sangue, guardava que-sto Tempio sovraccarico e sentiva il suo cuore picchiarvi sopra con forza raddoppiata per distruggerlo. Si ergeva ancora, brillante nel sole, come un toro incoronato, dalle corna dorate. Le mura erano, dal basso fino in cima, ricoperte di lastre di marmo bianco venato di blu, sembrava che il Tempio navigasse su un mare in tempesta. Tre terrazze si aprivano una nell'altra ai suoi piedi; quella in basso, la più ampia, per gli idolatri, quella di mezzo per il popolo d'Israele, e la più alta per ventimila leviti che lavavano, levi-gavano, accendevano, spegnevano, pulivano il Tempio... Giorno e notte bruciavano sette qualità di incenso che davano un fumo così denso che i caproni ne starnutivano per un raggio di sette leghe.

L'umile Arca che i loro antenati nomadi trasportavano nel deserto e che conteneva la Legge aveva gettato l'ancora sulla sommità di questa collina

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di Sion, vi aveva messo radici, aveva germogliato, s'era rivestita di legno di cipresso, d'oro e di marmo ed era diventata un Tempio. Il Dio selvatico del deserto dapprima non si degnava di entrare, di abitare in una casa; ma l'odore del legno di cipresso e delle resine, e l'aroma delle bestie sgozzate gli piacevano tanto che un giorno aveva fatto il passo ed era entrato.

Due lune erano trascorse dal giorno in cui Gesù era arrivato a Cafarnao. Tutti i giorni si fermava davanti al Tempio a fissarlo, tutti i giorni gli pare-va di vederlo per la prima volta; si aspettava tutte le mattine di trovarlo distrutto, di camminare, di passarci sopra; non lo voleva né lo temeva più: era già costruito nel suo cuore. Un giorno che il vecchio rabbino gli chiese perché non entrasse come tutti per adorare, Gesù scosse la testa e gli rispo-se: «Per anni ho girato attorno al Tempio, ora è il Tempio che gira attorno a me». «È grave la parola che hai detto, Gesù», replicò il rabbino stringen-dosi la vecchia testa tra le spalle, «non hai paura?» «Quando dico 'io'», rispose Gesù, «non è questo corpo che parla, lui non è altro che polvere; non è il figlio di Maria, che anche lui non è altro che polvere con una piccola scintilla di fuoco. 'Io', sulle mie labbra, vecchio rabbino, vuol dire questo: Dio,» «È una bestemmia ancora più spaventosa!» urlò il rabbino coprendosi il volto. «Io sono il Santo Bestemmiatore, non dimenticarlo», rispose Gesù ridendo.

Un altro giorno vide i discepoli, a bocca aperta, estasiarsi davanti all'al-tero edificio e s'incollerì.

«Ammirate il Tempio?» disse in tono di scherno. «Quanti anni sono occorsi per costruirlo? Venti anni, diecimila uomini? Io in tre giorni lo abbatterò. Guardatelo bene per l'ultima volta, ditegli addio: non ne resterà pietra su pietra.»

I discepoli indietreggiarono, spaventati: lo spirito del Maestro era turba-to? Era divenuto, negli ultimi tempi, strano, corrosivo e testardo. Venti biz-zarri e incostanti soffiavano su di lui; a volte il suo viso brillava come il sole che sorge e sembrava farsi giorno su tutto ciò che lo circondava; a volte il suo viso era tenebroso e gli occhi pieni di disperazione.

«Maestro», azzardò Pietro, «non hai pietà di lui?» «Di chi?»«Del Tempio. Perché vuoi distruggerlo?»«Per costruirne uno nuovo. In tre giorni ne costruirò uno nuovo. Ma

prima bisogna che questo mi lasci libero il posto.»Batteva le lastre di pietra col bastone da pastore che gli aveva dato

Filippo. Ora soffiava su di lui il vento della collera. Guardava i Farisei che

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passavano incespicando e sbattevano contro le mura, come se lo slancio di Dio, troppo forte, li avesse accecati.

«Ipocriti», gridava contro di loro, «se Dio prenderà il coltello e vi strapperà il cuore, ne usciranno serpenti e scorpioni e immondezza!» I Farisei lo sentivano e si infuriavano. E dentro di loro pensavano che avreb-bero chiuso con la terra quella bocca temeraria.

Il vecchio rabbino mise la mano sulla bocca di Gesù per impedirgli di gridare.

«Insegui la morte?» gli gridò un giorno con gli occhi pieni di lacrime. «Gli Scribi e i Farisei vanno continuamente da Pilato a chiedere la tua testa, non lo sai?»

«Lo so, vecchio», rispose Gesù, «lo so. Ma so anche altre cose, molte altre cose...»

Ordinava a Tommaso di soffiare nella tromba, saliva sulla scalinata che aveva adottato, nel portico di Salomone, e si metteva a proclamare: «Arriva, arriva il giorno del Signore!» Gridava tutti i giorni dalla mattina fino al tramonto del sole, per costringere il cielo ad aprirsi e a lanciare le sue fiamme. Poiché ben sapeva, lui, che la voce dell'uomo è un sortilegio potentissimo; si grida al fuoco e alla frescura, all'Inferno e al Paradiso: «Vieni! Vieni!» e loro vengono. È così che chiamava il Fuoco: sarà lui a purificare il mondo e ad aprire la porta attraverso cui verrà l'Amore. I piedi dell'Amore godono sempre a calpestare la cenere...

«Maestro», gli disse un giorno Andrea, «perché non ridi più, perché non sei più allegro come una volta? Perché sei sempre in collera?»

Ma lui non rispose. Che poteva dirgli, e come poteva comprendere il cuore candido di Andrea? Questo mondo, pensava, va sterminato fino alla radice, occorre piantarne un altro, distruggere la vecchia Legge, e sarò io a distruggerla. Una nuova Legge sarà incisa sulle tavole del cuore e sarò io a inciderla. Elargirò la legge perché possa abbracciare amici e nemici, Ebrei e idolatri, e perché i dieci Comandamenti fioriscano! Per questo sono ve-nuto a Gerusalemme. È qui che i cieli si apriranno. Chi discenderà dal cie-lo? Il gran miracolo o la morte? Quel che Dio vorrà. Io sono pronto a salire al cielo o ad annientarmi presso i morti. Signore, decidi.

Era vicina la Pasqua. Un'inattesa dolcezza primaverile aveva ricoperto la dura faccia della Giudea. Le vie di terra e di mare s'erano aperte e arri-vavano pellegrini dai quattro angoli del mondo ebraico. Le terrazze del Tempio muggivano, diffondevano l'odore delle bestie che andavano al sacrificio, del letame, degli uomini.

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Davanti al portico di Salomone si era raccolta una folla di straccioni e di storpi dai volti pallidi e affamati, dagli occhi febbricitanti. Scrutavano i Sadducei ben nutriti, i ricchi benestanti dall'aria distesa e le loro donne co-perte di pesanti ornamenti d'oro.

«Fino a quando continuerete a ridere?» mormorò qualcuno. «Non man-ca molto al giorno in cui li sgozzeremo. Il Maestro ha detto: i poveri ucci-deranno i ricchi e si spartiranno i loro beni.»

«Hai capito male, Manasse», ribatté un uomo pallido con capigliatura e occhi da montone. «Non ci saranno più né poveri né ricchi, saranno tutti uguali. È questo che vuol dire il regno dei cieli!»

«Regno dei cieli vuol dire», esclamò un omone, «che i Romani se ne vadano. Un regno dei cieli con i Romani non è possibile.»

«Non hai capito niente, Aronne, di quello che ha detto il Maestro», dis-se un vecchio col labbro leporino, scuotendo la testa calva. «Non ci sono né Israeliti né Romani, né Greci né Caldei, né Beduini. Siamo tutti fratelli!»

«Tutti cenere siamo!» gridò un altro. «É questo che ho capito io, l'ho sentito con le mie orecchie. Il Maestro ha detto: i cieli si apriranno, il primo diluvio era d'acqua, questo sarà di fuoco; tutti, poveri e ricchi, Israe-liti e Romani, tutti in cenere!»

«'L'olivo verrà bacchiato; ma rimarranno due o tre olive sulla cima e tre o quattro sugli ultimi rami', ha detto il profeta Isaia. Coraggio, figli, sare-mo noi le olive che resteranno. Ci basterà tenere il Maestro presso di noi, perché non ci sfugga!» disse un uomo nero come un paiolo, con due occhi sporgenti, fissando la via bianca e polverosa di Betania. «Oggi è in ritar-do», mormorò, «è in ritardo... fate attenzione, figli, che non ci sfugga!»

«Dove andrà?» disse il vecchio col labbro leporino. «È a Gerusalemme che Dio gli ha detto di combattere; è qui che combatterà!»

Il sole occupava il centro del cielo, le pietre fumavano, con la canicola il puzzo raggiungeva il culmine. Giacomo il Fariseo passò, con le braccia cariche di amuleti, vantando i benefici di ciascuno di essi, quelli servono per il vaiolo, la gotta, l'erisipela; questi allontanano i demoni: il più poten-te, il più caro, i vostri nemici... Vide gli straccioni e gli storpi e li riconob-be; la sua bocca di fiele li schernì perfidamente: «Andate al diavolo!» e sputò tre volte in aria.

Mentre gli straccioni discutevano e ognuno di loro forzava la parola del Maestro nella direzione dei suoi desideri, un vecchio altissimo e venerabi-le, con un lungo bastone, comparve davanti a loro, coperto di sudore e di

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polvere; il suo. viso ampio, non ancora segnato dalle rughe, risplendeva.«Melchisedech!» esclamò l'uomo dal labbro leporino. «Quali nuove da

Betania? Il tuo volto è raggiante!»«Rallegratevi, figli!» gridò il vecchio e si diede ad abbracciare tutti, e a

piangere. «Un morto è risuscitato, l'ho visto con i miei occhi, s'è alzato dalla tomba e ha camminato! Gli hanno dato dell'acqua e lui ha bevuto, gli hanno dato del pane e lui ha mangiato; ha parlato!»

«Chi? Chi è risuscitato? Chi è stato risuscitato!»Si precipitarono tutti sul vecchio e l'interrogarono. Lo avevano sentito

dai portici vicini, uomini e donne accorsero, qualche Levita e qualche Fari-seo si avvicinò; passò anche Barabba, sentì un vociare e si unì all'assem-bramento. Melchisedech fu felice di vedere tanta gente che pendeva dalle sue labbra: si appoggiò al bastone e cominciò a parlare con fierezza.

«Lazzaro, il figlio di Eliacino, qualcuno lo conosce? È morto qualche giorno fa e l'abbiamo sepolto. È passato un giorno, due, tre, l'abbiamo di-menticato. Il quarto giorno sentiamo delle grida sulla strada, esco precipi-tosamente, vedo Gesù, il figlio di Maria di Nazareth, e le due sorelle di Lazzaro ai suoi piedi, che glieli baciano e piangono il fratello: 'Maestro, se tu fossi stato con lui, non sarebbe morto...' gridavano strappandosi i capel-li. 'Fallo tornare dai morti, Maestro, richiamalo e lui verrà!' Gesù le ha prese per mano e le ha fatte alzare.

«'Andiamo', ha detto.«Noi siamo corsi tutti dietro di loro, siamo arrivati al sepolcro. Gesù si

è fermato, il sangue gli è salito alla testa, gli occhi rovesciati all'indietro, scomparsi, non si vedeva che il bianco. Allora ha cacciato un muggito, co-me se avesse un toro dentro di sé, noi eravamo tutti terrorizzati. E all'im-provviso, mentre era così e tremava con tutte le membra, ha lanciato un grido selvaggio, un grido che non avevo mai sentito, come venuto da un altro mondo. Così devono gridare gli arcangeli quando sono in collera: 'Lazzaro, sorgi!' E subito si è sentito dentro il sepolcro la terra agitarsi e spaccarsi, la pietra tombale ha cominciato a oscillare e a poco a poco si è sollevata. Noi eravamo verdi dalla paura. Mai in vita mia avevo temuto la morte quanto davanti a questa resurrezione. Giuro che se mi avessero chiesto: preferiresti vedere un leone o una resurrezione? avrei risposto: un leone.»

«Dio mio! Dio mio!» gridava la gente piangendo. «Racconta, racconta, vecchio Melchisedech!»

«Le donne urlavano, molti uomini sono andati a nascondersi dietro le

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pietre, e noi che siamo rimasti tremavamo. La pietra tombale si sollevò piano piano. E abbiamo visto due braccia giallastre, poi una testa già ver-de, incrinata, coperta di terra, poi il corpo scheletrico avvolto nel sudario... Ha mosso un piede, poi l'altro, è uscito. Era Lazzaro.»

Il vecchio si fermò. Si asciugò con l'ampia manica il sudore che lo inon-dava. Attorno a lui la folla urlava; chi piangeva, chi ballava. Barabba alzò la sua grossa mano pelosa.

«Menzogna! Menzogna.» gridò. «È un emissario dei Romani. Aveva combinato tutto con Lazzaro, abbasso i traditori!»

«Taci!» gridò una voce imperiosa dietro di lui. «Come sarebbe, i Romani ?»

Tutti si girarono e indietreggiarono. Il centurione Rufo si dirigeva dritto su Barabba, il frustino alzato. Una giovane bionda, pallida, lo teneva per il braccio. Era rimasta tutto il tempo in piedi ad ascoltare il vecchio Mel-chisedech, e i grandi occhi verdi le si erano riempiti di lacrime. Barabba si infilò tra la folla e scomparve.

Dietro di lui correva Giacomo il Fariseo con i suoi amuleti; lo raggiunse dietro una colonna. Là, sottovoce, si misero a confabulare assieme. Il ban-dito e il Fariseo divennero fratelli, ma fu Barabba a parlare per primo.

«Credi che sia vero?» domandò inquieto.«Che cosa?»«Che quel morto sia risuscitato...»«Stammi bene a sentire. Io sono Fariseo, tu sei Zelota. Finora io pensa-

vo che Israele poteva salvarsi solo con la preghiera, il digiuno e la santa Legge. Ma adesso...»

«Adesso?» disse lo Zelota con occhi che mandano lampi.«Adesso comincio a vederla come te. Preghiera e digiuno non bastano

più; qui ci vuole il lavoro del coltello. Capisci?»Barabba rise.«A me lo dici? Non c'è miglior preghiera del coltello. Allora?»«Cominciamo da quello.»«Da chi? Parla chiaro.»«Lazzaro. È indispensabile che lo facciamo tornare sotto terra. Se la

gente lo vede adesso dirà: era morto e il figlio di Maria l'ha risuscitato. E la gloria del falso profeta aumenterà... Hai ragione tu, Barabba, è un emissa-rio dei Romani che l'hanno mandato a gridare: non vi curate del regno di questa terra, pensate al cielo! Allora, finché continueremo a perdere tempo a pensare al cielo, i Romani rimarranno seduti sulle nostre spalle, capisci?»

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«E allora? Bisognerà liquidare anche lui, anche se è tuo fratello?»«Non è mio fratello, non voglio saper niente di lui!» esclamò il Fariseo

facendo il gesto di strapparsi le vesti. «Te lo lascio!»Detto ciò, si staccò dalla colonna e tornò a vantare i suoi amuleti. Aveva

eccitato Barabba, era contento.La folla dei pezzenti davanti al portico di Salomone, perdute le speranze

di vedere Gesù, cominciò a disperdersi. Il vecchio Melchisedech comperò due colombe bianche per offrirle in sacrificio e ringraziare il Dio di Israele che aveva finalmente provato pietà per il suo popolo e gli aveva mandato, dopo tanti anni, un nuovo profeta.

Le pietre erano roventi, i volti degli uomini, nella luce abbagliante, scomparivano. D'un tratto una nuvola di polvere si levò sulla via di Beta-nia, si sentirono delle grida di gioia, tutto il villaggio si era messo in movi-mento e arrivava. Dapprima si videro i bambini, che portavano rami di palma e di alloro, dietro i rami veniva Gesù, col viso illuminato, dietro an-cora i discepoli, eccitatissimi, come se ognuno di loro avesse risuscitato un morto; infine, rochi per il tanto gridare, gli abitanti di Betania. Si precipi-tarono tutti verso il Tempio. Gesù salì i gradini due alla volta, attraversò la prima terrazza, raggiunse la seconda. Il viso e le mani avevano una luce selvaggia, tanto che nessuno gli si poteva avvicinare. Per un momento il vecchio rabbino, che correva ansimando dietro di lui, tentò di entrare nel-l'alone invisibile che circondava il Maestro, ma subito indietreggiò, come se avesse toccato il fuoco.

Era appena uscito dalla fornace di Dio e il suo sangue ribolliva ancora. Non poteva, non voleva ancora crederci; così grande era dunque la forza dell'anima! Poteva dire alle montagne: Venite! e farle venire? Squarciare la terra e farne uscire i morti? Distruggere il Tempio in tre giorni e in tre giorni ricostruirlo? Ma se la forza dell'anima ha una tale onnipotenza, tutto il peso della perdizione o della salvezza posa allora sulle spalle dell'uomo? I confini tra Dio e l'uomo vacillano... Era un pensiero terrificante, pericolo-so e le tempie di Gesù pulsavano.

Aveva lasciato Lazzaro nel suo sudario, ritto sul sepolcro, ed era partito con una strana fretta verso il Tempio di Gerusalemme. Aveva, per la prima volta tanto invincibile, la sensazione che bisognasse finalmente raggiunge-re questo mondo, che dovesse sorgere da quella tomba una nuova Gerusa-lemme. Il momento era venuto. Era quello il segno che aspettava: il mondo marcio fino alla radice era un Lazzaro, era tempo di gridargli:

«Mondo, alzati e cammina!» Aveva una missione, e la cosa più terribile,

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ora lo sentiva, era che ne aveva anche il potere. Non poteva più trovare scappatoie dicendo: Non posso! Poteva, e se il mondo non veniva salvato, la colpa sarebbe ricaduta interamente su di lui.

Il sangue gli affluì alla testa. Vide attorno a sé gli straccioni e gli op-pressi che lo guardavano, caricandolo di tutte le loro speranze. Cacciò un urlo selvaggio e saltò sullo scalone; la gente gli si radunò attorno, i ricchi e i sazi si fermarono anche loro, ridacchiando, per sentirlo. Gesù si girò, li vide e alzò il pugno.

«Ascoltate, ricchi», gridò, «ascoltate, signori di questo mondo: l'ingiu-stizia non può più durare, né l'infamia, né la fame! Dio ha strofinato le mie labbra con un carbone ardente e io grido: Fino a quando rimarrete sdraiati sui vostri letti d'avorio, sui vostri molli cuscini? Fino a quando mangerete la carne dei poveri e ne berrete il sudore, il sangue e le lacrime? Non vi tollero più! Grida il mio Dio. Il fuoco divampa, i morti risuscitano, la fine del mondo è arrivata!»

Due mendicanti giganteschi lo presero e lo sollevarono sulle braccia. Il popolo si raggruppò, agitando i rami. Sulla testa in fiamme del profeta si levava del fumo.

«Io non sono venuto per portare al mondo la pace ma la carneficina. Io porterò la discordia nelle case, il figlio alzerà la mano sul padre, la figlia sulla madre, la giovane sposa sulla suocera, per me. Colui che mi segue abbandona tutto. Colui che per me perde la vita sulla terra, la guadagna per l'eternità.»

«Che cosa dice la Legge, ribelle?» gridò una voce inferocita. «Che cosa dicono le Sacre Scritture, Lucifero?»

«Che cosa dicono i grandi profeti, Geremia, Ezechiele?» rispose Gesù, con gli occhi in fiamme. «Io abolirò la Legge che è incisa sulle tavole di Mosè e ne inciderò una nuova nel cuore dell'uomo. Strapperò il cuore di pietra dal petto degli uomini e darò loro un cuore di carne. E in questo cuore seminerò una speranza nuova! Sono io che incido nei nuovi cuori la nuova Legge, sono io la nuova Speranza! Io elargisco amore. Io apro le quattro grandi porte di Dio, l'Oriente, l'Occidente, il Nord e il Sud, per far entrare tutte le nazioni. Il seno di Dio non è un ghetto, esso abbraccia il inondo intero. Dio non è Israelita. E spirito immortale.»

Il vecchio rabbino si nascose il viso tra le mani; avrebbe voluto gridare: «Gesù, taci. E una grande bestemmia!» ma non ne ebbe il tempo. Si levarono grida selvagge di trionfo, i poveri urlavano di gioia, i Leviti lo fischiavano, Giacomo il Fariseo si strappava le vesti e sputava in aria. Il

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rabbino se ne andò, la morte nell'anima: «E perduto», mormorò, cammi-nando e piangendo, «è perduto. Quale demonio, quale Dio è entrato in lui e grida?»

Camminava incespicando dalla stanchezza; in tutti quei giorni, in tutte quelle settimane che aveva seguito Gesù sforzandosi di comprendere chi fosse, la sua vecchia carcassa si era completamente consumata, di lui non restavano che ossa avvolte nella pelle grinzosa; l'anima vi si era attaccata e aspettava. Era quell'uomo il Messia che Dio gli aveva promesso? I mira-coli che faceva lui, avrebbe potuto farli anche Satana, e non bastavano al rabbino per dare un giudizio. Neppure le profezie bastavano. Satana è un arcangelo potentissimo e astutissimo, può far concordare perfettamente le sue parole e i suoi atti con le sante profezie, per ingannare gli uomini. Per questo il rabbino non poteva dormire la notte e supplicava Dio di avere pietà di lui e di dargli un segno sicuro... Che segno? Il rabbino lo sapeva bene: la morte, la sua propria morte. Pensò a questo segno e rabbrividì.

Correva nella polvere con passo incerto. Sulla cima della collina appar-ve, divorata dal sole, Betania. Il rabbino prese a salire, ansimando.

La casa di Lazzaro era aperta e i contadini continuavano a entrare per vedere e toccare il risuscitato, per sentire se respirava, se parlava, per vede-re se era davvero vivo o se non fosse un fantasma. Era seduto nell'angolo più appartato della casa, perché non sopportava la luce, era stanco e parla-va poco. I piedi, le braccia, il ventre erano gonfi, verdastri, come quelli di un morto di quattro giorni. Il viso tumido era segnato di crepe, da cui colava un liquido giallo e biancastro che macchiava il sudarlo bianco che ancora portava; gli si era incollato alla pelle e non si riusciva a levarglielo. All'inizio puzzava moltissimo, e quelli che gli si accostavano si turavano il naso; ma a poco a poco il tanfo era diminuito, e ora odorava solo di terra e d'incenso. Di tanto in tanto alzava la mano e si toglieva un filo d'erba rima-sto tra i peli della barba o tra i capelli. Le sue due sorelle, Marta e Maria, lo ripulivano della terra e dei piccoli vermi che gli erano rimasti addosso. Una vicina compassionevole gli aveva portato un pollo e ora la vecchia Salomè, china davanti al focolare, lo faceva bollire per dar da bere del brodo al risuscitato e fargli riprendere le forze. I contadini venivano a se-dersi per un po', l'osservavano attentamente e gli parlavano. Lui rispon-deva con aria annoiata, sì, no, qualche parola, poi arrivavano altri dal vil-laggio e dai villaggi vicini. Quel giorno il notabile cieco era venuto anche lui, aveva teso avidamente la mano, l'aveva tastato e aveva riso. «Ti sei divertito dai morti?» gli domandò. «Bravo, Lazzaro, ora tu conosci tutti i

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segreti del mondo sotterraneo, ma non rivelarli, disgraziato, faresti perdere la testa alla gente...» Si chinò all'orecchio di Lazzaro. «Vermiciattoli, eh. Nient'altro che vermiciattoli, eh?» gli domandò, mezzo scherzando mezzo tremando. Attese a lungo, ma Lazzaro non rispose. Il cieco s'infuriò, prese il bastone e ripartì.

Maddalena, ritta sulla soglia, guardò in fondo alla strada per Gerusa-lemme. Il suo cuore piangeva. Nelle ultime notti aveva fatto brutti sogni, vedeva Gesù che si sposava, presagio di morte, e la notte prima l'aveva visto sotto forma di pesce volante: aveva spiegato le ali, era saltato fuori dall'acqua ed era ricaduto sulla terra. Si dibatteva sui ciottoli della riva, si sforzava di aprire di nuovo le ali e non ci riusciva, soffocava. I suoi occhi avevano cominciato ad appannarsi, si era girato e l'aveva guardata: lei si era precipitata per prenderlo e rimetterlo nell'acqua, ma quando s'era chi-nata e l'aveva preso in mano era già morto. Ma mentre lo teneva in mano e piangeva, lasciando che le lacrime cadessero su di lui, lo vedeva farsi gran-de, riempirle le braccia, diventare un morto...

«Non lo lascerò andare a Gerusalemme... Non lo lascerò andare...» sospirava guardando la strada bianca, ansiosa di vederlo arrivare.

Ma al posto di Gesù apparve sulla strada di Gerusalemme, curvo, titu-bante, il vecchio padre, il rabbino. «Povero vecchio», pensò Maddalena, come fa, nello stato in cui si trova, a seguire il nostro Maestro dovunque vada, come un vecchio cane fedele! Lo sento alzarsi di notte, uscire nel cortile, prosternarsi, gridare a Dio: Aiutami, mandami un segno! Ma Dio lo lascia tormentarsi, lo tortura, sembra, perché lo ama, così si consola l'in-felice...»

Ora lo vedeva salire, appoggiato al bastone, e fermarsi ogni momento a guardare indietro verso Gerusalemme, aprire le braccia, riprendere fiato... Quegli ultimi giorni a Betania, dove si trovavano riuniti, padre e figlia avevano dimenticato il passato, si parlavano; il vecchio aveva visto che la figlia aveva abbandonato la cattiva strada e l'aveva perdonata: tutte le colpe si lavano con le lacrime, il vecchio rabbino lo sapeva, e Maddalena aveva pianto tanto.

Il vecchio arrivò senza fiato, Maddalena si scostò dalla porta per la-sciarlo passare, ma lui si fermò e le prese le mani, supplicando:

«Maddalena, piccola .aia, tu sei donna, le tue lacrime hanno una grande potenza, le tue carezze anche, buttati ai suoi piedi, scongiuralo di non tor-nare a Gerusalemme. Oggi gli Scribi e i Farisei si sono scatenati ancora di più, li ho visti io, parlavano di nascosto tra loro, le loro labbra stillavano

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veleno; complottano la sua morte».«La sua morte!» disse Maddalena, col petto ansante. «La sua morte! Ma

lui, padre, può morire?»Il vecchio rabbino guardò la figlia con un sorriso amaro. «È quello che

diciamo di tutti gli uomini che amiamo», mormorò, poi tacque.«Ma il Maestro non è un uomo come noi, no», disse Maddalena dispe-

rata. «No! No!» ripeté per vincere la paura.«Come lo sai?» disse il vecchio. Il suo cuore palpitava: si fidava

dell'istinto della donna.«Lo so», rispose Maddalena, «non domandarmi come, non saprei dirlo.

Non temere, padre. Chi oserà toccarlo, ora che ha risuscitato Lazzaro?»«Ora che ha risuscitato Lazzaro sono ancora più furiosi. Prima lo senti-

vano predicare e alzavano le spalle; ma ora che la notizia del .miracolo si è diffusa, il popolo ha preso coraggio e grida: E il Messia, risuscita i morti, riceve la sua potenza da Dio, andiamo con lui! Oggi uomini e donne hanno preso dei rami e corrono dietro di lui, gli infermi levano le loro grucce minacciosi, i poveri alzano la testa... Gli Scribi e i Farisei vedono tutto questo e fremono di rabbia. Dicono: se lo lasciamo fare ancora un po', sia-mo perduti, e vanno continuamente da Anna a Caifa, da Caifa a Pilato, gli 'scavano la fossa... Maddalena, piccola mia, buttati alle sue ginocchia, non farlo più rientrare a Gerusalemme, torniamo in Galilea.»

Si ricordò di un viso triste, butterato dal vaiolo: il suo viso era triste come quello della Morte. «Quando ha sentito i miei passi si è nascosto tra i cespugli. Brutto segno!»

Il suo corpo senza forze crollò. Maddalena gli mise un braccio attorno alla vita e lo fece entrare, gli portò uno sgabello, e lo fece sedere. Lei gli si inginocchiò accanto.

«Dov'è adesso?» domandò. «Dove l'hai lasciato, padre?»«Al Tempio. Grida, i suoi occhi fiammeggiano, vuole bruciare il sacro

edificio! E che parole, mio Dio, che bestemmie! Dice: Abolirò la Legge di Mosè, ne porterò una nuova. Non incontrerò Dio sulla cima del Sinai, lo incontrerò nel mio cuore!»

Il vecchio abbassò la voce.«A volte, piccola mia», disse tremando, «a volte temo che la sua testa

sia turbata. Oppure può essere Lucifero...»«Taci!» disse Maddalena posando tutt'e due le mani sulle labbra del

vecchio.Parlavano ancora quando apparvero sulla soglia i discepoli, l'uno dopo

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l'altro. Maddalena si alzò di scatto, guardò, Gesù non era tra loro.«E il Maestro?» disse con voce spezzata. «Dov'è il Maestro?»«Non temere», rispose Pietro con un'aria affranta, «non temere. Arriva.»Anche Maria, inginocchiata ai piedi del rabbino, si alzò di scatto e si

accostò, ansiosa, ai discepoli. I loro visi erano tristi, scossi, il loro sguardo torpido. Si appoggiò al muro.

«Il Maestro?» mormorò, angosciata.«Adesso viene, Maria, adesso viene...» rispose Giovanni. «Se gli fosse

capitato qualcosa, pensi che l'avremmo abbandonato?»I discepoli si dispersero per la. casa, accigliati, discosti l'uno dall'altro.Matteo cavò i suoi fogli dall'abito e si dispose a scrivere. «Parla,

Matteo», disse il vecchio rabbino, «parla, che la mia benedizione ti accompagni.»

«Vecchio», rispose Matteo, «mentre tornavamo tutti assieme, alla porta di Gerusalemme il centurione Rufo ci ha raggiunti. 'Fermatevi!' ci ha gridato, 'ho degli ordini!' Noi siamo sbiancati dalla paura, ma il Maestro gli ha teso con calma la mano: 'Sia benvenuto l'amico', gli ha detto, 'che cosa vuoi?' Non io', ha risposto Rufo, 'è Pilato che ti vuole. Te ne prego, vieni con me.' 'Vengo', ha detto pacatamente Gesù e ha rivolto il viso verso Gerusalemme. Ma noi ci siamo precipitati su di lui, gridando: 'Dove vai, Maestro? Noi non ti lasceremo andare.' Il centurione è intervenuto: 'Non abbiate timore', ha detto, 'non gli si vuole far del male, vi do la mia parola!' 'Andate!' ci ha ordinato il Maestro, 'non abbiate paura: l'ora non è ancora giunta.' Ma Giuda è scattato e ha gridato: 'Io vengo con te, Maestro, io non ti lascio'. E si sono incamminati verso Gerusalemme, Gesù e il centurione davanti e Giuda dietro, come il cane del pastore.»

Mentre Matteo parlava, i discepoli si avvicinavano e sedevano a terra, in silenzio.

«I vostri visi sono turbati», disse il rabbino, «ci nascondete qualcosa.»«Sono altre preoccupazioni, vecchio», rispose Pietro, «altre preoccupa-

zioni...» e tacque di nuovo.Era vero, dei demoni oscuri erano entrati nel loro petto sulla via del ri-

torno. I morti cominciavano a risuscitare, il giorno del Signore si avvici-nava, il Maestro stava per salire al trono, stava arrivando il momento in cui si sarebbero spartiti gli onori. Allora, per la spartizione, i discepoli si erano messi a discutere. «Io siederò alla sua destra», diceva uno, «sono io il pre-ferito.» «No, sono io! Sono io!» «Sono» «Sono io!» gridavano tutti. «Sono io che per primo l'ho chiamato Maestro!» disse Andrea. «Sono io che lo

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vedo più spesso nei miei sogni!» replicò Pietro. «Sono io che lo chiamo mio amato....» disse Giovanni. «Anch'io!» «Anch'io!» gridavano altre vo-ci. Il sangue di Pietro si scaldò: «Andatevene tutti!» gridò. «Non ha detto a me l'altroieri: 'Pietro, tu sei pietra e su questa pietra costruirò la nuova Gerusalemme?'» «Non ha detto la nuova Gerusalemme! Le ho annotate qui le sue parole», disse Matteo picchiando sul suo quaderno, contro il petto. «Che mi ha detto allora, imbrattacarte? Io questo ho sentito!» disse Pietro in collera. «Ha detto: `Tu sei Pietro e su questa pietra costruirò la mia Chiesa'. La mia Chiesa, non Gerusalemme; c'è una bella differenza!» «E che altro mi ha promesso?» gridò Pietro. «Perché ti sei fermato? Non ti conviene andare avanti? Le chiavi... dillo, dillo!» Matteo, senza fretta, pre-se il suo quaderno, lo aprì e lesse: «E ti darò le chiavi del regno dei cieli...» «Avanti! Avanti!» gridò Pietro, trionfalmente. Matteo ingoiò la saliva, si chinò di nuovo sui fogli: «'Quel che tu legherai sulla terra sarà legato in cielo, e quello che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli...' Ecco, questo è tutto!» «E ti sembra niente? Sono io, l'avete sentito tutti, che tengo le chiavi; sono io che apro e chiudo il Paradiso. Se voglio vi faccio entrare, se no, no!»

Allora i discepoli si erano scatenati: sarebbero certamente venuti alle mani se non si fossero trovati vicini a Betania. Si vergognarono dei contadini e frenarono la rabbia, ma i loro visi erano ancora scuri.

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Intanto Gesù e il centurione camminavano, seguiti da Giuda. Entrarono nei vicoli tortuosi di Gerusalemme e si diressero verso la torre, accanto al Tempio, che fungeva da palazzo a Ponzio Pilato. Il centurione aprì bocca per primo, era commosso.

«Rabbi», disse, «mia figlia è raggiante di salute e non smette mai di pensare a te; ogni volta che sa che parli al popolo, lei esce di casa di na-scosto e corre ad ascoltarti. E oggi, la tenevo per mano, ti abbiamo sentito parlare tutti e due nel Tempio e lei voleva correre a baciarti i piedi.»

«Perché non l'hai lasciata fare?» disse Gesù. «Basta un attimo per salvare l'anima dell'uomo. Perché hai lasciato passare quell'attimo, perché l'hai sciupato?»

«Una Romana che bacia i piedi a un Ebreo!» pensò Rufo pieno di vergogna, ma tacque.

Teneva in mano un corto scudiscio, con cui allontanava la folla bru-

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licante. Faceva un caldo torrido, i corpi erano stremati, c'erano nuvole di mosche; il centurione respirava nauseato l'aria ebraica; dopo tanti anni passati in Palestina, non si era ancora assuefatto. Attraversarono il merca-to, coperto di stuoie di paglia; faceva più fresco, rallentarono l'andatura.

«Come fai a parlare a questo branco di cani?» disse il centurione.Gesù arrossì.«Non sono cani», disse. «Sono anime, scintille di Dio. Dio è un incen-

dio, centurione, ogni anima è una scintilla, devi rispettarla.»«Io sono Romano», rispose Rufo, «anche il mio Dio è Romano. Lui

apre strade, costruisce caserme, porta l'acqua alle città, si arma di bronzo e parte per la guerra. Cammina davanti a noi e noi lo seguiamo. E l'anima di cui tu parli da noi fa tutt'uno con il corpo, e su di loro è apposto il sigillo di Roma. Quando noi moriamo, l'anima e il corpo muoiono insieme e sono i nostri figli a rimanere. E questo, per noi, l'immortalità. E, perdonaci, quel-lo che dici dei regni dei cieli ci sembra una favola.»

Tacque, poi dopo un momento aggiunse:«Noi siamo fatti per governare gli uomini; e gli uomini non si governa-

no con l'amore».«L'amore non è disarmato», disse Gesù, Guardò gli occhi azzurri e fred-

di del centurione, le sue guance rasate di fresco, le mani grosse e tozze. «Anche l'amore parte per la guerra e va all'assalto.»

«Allora non è amore», disse il centurione.Gesù chinò il capo.«Occorre che io trovi nuovi otri in cui versare il vino nuovo», pensò,

«parole nuove.»Finalmente arrivarono. Palazzo e fortezza insieme, davanti a loro si levò

la torre che proteggeva tra le sue mura il governatore romano, l'arrogante Ponzio Pilato. La razza ebraica gli dava la nausea, teneva un fazzoletto profumato sotto il naso ogni volta che andava per le stradine di Gerusalem-me, o che si trovava costretto a parlare con Ebrei. Non credeva né negli dei né negli uomini. Neppure in Ponzio Pilato: in niente. Portava sempre, a una catenina d'oro appesa al collo, un piccolo rasoio affilato, per aprirsi le vene il giorno che ne avesse avuto abbastanza di mangiare, di bere, di governare, oppure il giorno che l'imperatore l'avesse mandato in esilio. Sentiva spesso gli Ebrei che si sgolavano per chiamare il Messia, per chie-dergli di venire a liberarli, e rideva. Mostrava il rasoio affilato a sua .mo-glie e diceva: «Eccolo, il mio Messia, sarà lui a liberarmi». Ma la donna voltava la testa e non gli rispondeva.

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Davanti alla grande porta della torre Gesù si fermò. «Centurione», disse, «tu mi devi un favore, ricordi? È venuto il momento di chiedertelo.»

«Tutta la gioia della mia vita la do a te, Gesù di Nazareth», rispose Rufo. «Parla, tutto quanto è in mio potere lo farò.»

«Se mi catturano, se mi imprigionano, se mi uccidono, non fare niente per salvarmi. Me lo prometti?»

Erano arrivati alla porta della torre; le sentinelle levarono la mano a salutare il centurione.

«Lo chiami un favore?» disse Rufo, perplesso. «Non li capisco, gli Ebrei.»

Due negri giganteschi montavano la guardia davanti alla porta di Ponzio Pilato.

«È un favore, centurione», disse Gesù. «Mi dai la tua parola?»Rufo fece segno ai negri di aprire la porta.

Asciutto, rasato, la fronte stretta, gli occhi grigi e duri, le labbra sottili, come una ferita, Pilato alzò la testa e guardò Gesù che s'era fermato davan-ti a lui. Era seduto su un alto trono, decorato di aquile rozzamente scolpite e leggeva.

«Sei tu, Gesù di Nazareth, re dei Giudei?» sibilò beffardo. Poi si mise il fazzoletto profumato sotto le narici.

«Non sono re», rispose Gesù.«Come? Non sei il Messia? Non è il Messia quello che i tuoi compa-

trioti, la razza eletta, attendono da tante generazioni perché li liberi e segga sul trono di Israele? E perché cacci noi Romani? E allora perché dici: non sono re?»

«Il mio regno non è sulla terra.»«E dov'è allora? Sull'acqua? In aria?» rise Pilato,«Nel cielo», rispose pacatamente Gesù.«Perfetto», disse Pilato, «il cielo te lo regalo. Ma non toccare la terra!»Si tolse dal dito il pesante anello, lo levò in alto alla luce e guardò la

pietra rossa, su cui era incisa una testa di morto contornata dall'iscrizione: Mangia, bevi, godi, ecco che cosa sarai domani.

«Gli Ebrei mi fanno schifo», disse, «non si lavano e hanno un Dio fatto a loro immagine: sporco, con i capelli lunghi, avido, fanfarone e vendicati-vo come un cammello.»

«Sappi che quel Dio ha già alzato il suo pugno sopra Roma», disse ancora tranquillamente Gesù.

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«Roma è immortale», rispose Pilato, poi sbadigliò.«Roma è la statua della visione del profeta Daniele?»«La statua? Che statua? Quello che desiderate da svegli, voi Ebrei, poi

lo vedete in sogno. Vivete e morite con le visioni.»«È in questo modo, con delle visioni, che l'uomo parte in guerra. E a

poco a poco l'ombra prende corpo e si fa solida, lo spirito si riveste di carne e scende sulla terra. Il profeta Daniele ha avuto la sua visione, e poiché l'ha avuta, essa prenderà un corpo di carne, scenderà sulla terra e distruggerà Roma.»

«Ammiro, Gesù di Nazareth, la tua audacia o la tua idiozia. A quanto pare non hai paura di morire, è per questo che parli con tanta libertà. Mi piaci. Raccontami la visione di Daniele.»

«Daniele il profeta ha visto una notte una statua immensa. La sua testa era d'oro, il petto e le braccia d'argento, il ventre e le cosce di bronzo, i polpacci di ferro, ma i piedi d'argilla. A un tratto, lanciato da una mano invisibile, un sasso è andato a colpire i piedi d'argilla e li ha sbriciolati. In sol colpo tutt'intera la statua - l'oro, l'argento, il bronzo, il ferro - è crollata a terra... La mano invisibile, Ponzio Pilato, è il Dio d'Israele, io sono il sasso, e la statua è Roma.»

Pilato sbadigliò di nuovo.«Ho capito», disse annoiato, «capisco il tuo gioco, Gesù di Nazareth, re

dei Giudei! Tu insulti Roma per provocare la mia collera, per farti croci-figgere e diventare anche tu un eroe. Hai preparato tutto molto abilmente. So che hai già cominciato a risuscitare i morti, ti prepari la strada. E così i discepoli proclameranno poi che non sei morto, che sei risorto e sei salito al cielo... Ma arrivi tardi, caro il mio furbo. Il trucco è scoperto, trovane un altro. Non ho intenzione di ucciderti, non ho intenzione di fare di te un eroe, non diverrai Dio come gli altri, togliti quest'idea dalla testa.»

Gesù rimase in silenzio. Dalla finestra vedeva scintillare al sole, im-menso, il Tempio di Jahvé, simile a una belva invisibile, mangiatrice d'uo-mini, e accorrere da ogni luogo, come greggi multiformi, per precipitarsi nella gola nera e spalancata, gli uomini. Pilato giocherellava con la cate-nina d'oro e taceva. Gli ripugnava domandare un

381 favore a un Ebreo, ma l'aveva promesso alla moglie, doveva farlo.«È tutto?» disse Gesù, e si girò verso la porta. Pilato si alzò.«Non andartene», disse..«Devo dirti una cosa, è per questo che t'ho fatto

chiamare. La mia donna dice che ti vede tutte le notti in sogno, non appena chiude le palpebre tu appari. Dice che tu ti lagni con lei che cercano di

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ucciderti e che tutte le sere la supplichi di parlarmi perché10 impedisca ai tuoi compatrioti, Anna e Caifa, di metterti a morte. Ieri

sera mia moglie ha levato un grido, si è svegliata di soprassalto e si è sciolta in lacrime. Ha pietà di te, dice, non so bene perché, non m'immischio nelle balordaggini delle donne. Mi si è buttata ai piedi, mi ha supplicato di mandarti a chiamare e di dirti di andar via se vuoi salvarti. Gesù di Nazareth, l'aria di Gerusalemme non è troppo salubre per te: torna in Galilea!»

«La vita è una guerra!» rispose Gesù con la stessa voce calma e decisa. «È una guerra e tu lo sai, perché sei soldato e sei Romano. Ma quello che non sai è questo: Dio è il comandante e noi siamo i soldati. Nell'istante in cui l'uomo viene al mondo, Dio gli mostra la terra, e sulla terra una città, un villaggio, una montagna, il mare, o anche il deserto, e gli dice: 'È qui che combatterai!' Governatore di Giudea, una notte Dio mi ha afferrato per i capelli, mi ha sollevato da terra e mi ha portato a Gerusalemme; mi ha deposto davanti al Tempio e mi ha detto: «È qui che combatterai!' Non posso disertare, Governatore di Giudea, ed è qui che combatterò!»

Pilato si strinse nelle spalle. Si era già pentito di aver chiesto quel favo-re e di aver rivelato a un Ebreo un suo segreto familiare. Fece il gesto, che gli era abituale, di lavarsi le mani.

«Fai pure di testa tua, io me ne lavo le mani. Vattene!»Gesù alzò la mano e salutò. Nel momento in cui varcò la soglia, Pilato

gli gridò beffardo: «Ehi, Messia, qual è questa terribile novella che, a quanto dicono, porti al mondo?»

«Il Fuoco», rispose Gesù con la calma di sempre. «Il Fuoco che ripulirà la terra.»

«Dai Romani?»«No, dagli empi. Dagli iniqui, dagli infami, dai sazi.»«E poi?»«Poi, sulla terra bruciata, purificata, si edificherà la nuova Gerusa-

lemme.»«E chi la costruirà questa Nuova Gerusalemme?»«Io.»Pilato scoppiò a ridere.«Avevo ragione», disse, «di dire a mia moglie: sei completamente paz-

za. Vieni a trovarmi qualche volta, mi farà passare il tempo. Adesso Vatte-ne, ti ho visto abbastanza.»

Batté le mani, i due giganti neri entrarono e misero Gesù alla porta.

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Giuda, agitato, aspettava davanti alla torre. Un verme misterioso rodeva in quegli ultimi tempi il Maestro. Il suo viso era ogni giorno più segnato, più selvaggio, le sue parole più tristi e minacciose; spesso saliva da solo, rimanendoci per delle ore, su un colle alle porte di Gerusalemme, il Golgota, dove i Romani crocifiggevano i ribelli. E più vedeva attorno a sé sacerdoti e grandi sacerdoti scatenarsi e tendergli trappole, più li attaccava e li chiamava «vipere velenose, bugiardi, ipocriti, che tremate dalla paura di ingoiare una zanzara e che ingoiate un cammello». Tutto il giorno, tutti i giorni, si metteva davanti al Tempio e lanciava parole violente, come se volesse morire. Poco prima, quando Giuda gli aveva chiesto quando final-mente avrebbe gettato dalle spalle la pelle dell'agnello per far apparire il leone in tutta la sua gloria, Gesù aveva scosso la testa e mai Giuda aveva visto un sorriso più amaro su labbra d'uomo. Da allora non lo lasciava più; e quando lo vedeva salire sul Golgota, lo seguiva di nascosto, per paura che un nemico celato potesse levare la mano su di lui.

Ora Giuda camminava avanti e indietro sulla strada, davanti alla torre maledetta, e guardava furtivamente le guardie romane, immobili, con l'ar-matura in bronzo, le Facce gravi di contadini, e dietro di loro, svettante in cima a lunghe aste, lo stendardo empio con le sue aquile. Che cosa poteva volere Pilato, si chiedeva, perché l'aveva chiamato? Giuda sapeva, lo aveva saputo dagli Zeloti di Gerusalemme, che Anna e Caifa venivano continuamente in quella torre ad accusare Gesù di fomentare la rivolta per scacciare i Romani e farsi re. Ma Pilato si rifiutava di ascoltarli. Diceva: è matto da legare, non si immischia negli affari dei Romani; un giorno ho mandato apposta qualcuno per chiedergli: «Il Dio d'Israele vuole che pa-ghiamo le imposte ai Romani? Che ne pensi?» E Gesù, molto giustamente, molto intelligentemente, ha risposto: «Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio!» Pilato aveva riso; non è diabolicamente folle, aveva detto, è folle di Dio. Se trasgredisce la vostra religione, punitelo, io me ne lavo le mani; ma lui Roma non la tocca. Questo gli ha detto, e li ha mandati via. Ma che adesso abbia cambiato idea?

Giuda si fermò, si appoggiò contro il muro di fronte; stringeva e apriva i pugni, teso.

D'un tratto sussultò. S'era sentito uno squillo di tromba, la folla s'era aperta; quattro Leviti arrivarono e deposero cautamente davanti alla porta della torre una portantina dorata. Le cortine di seta si scostarono e si vide scendere lentamente, grasso, bianco, con le borse sotto gli occhi, vestito di una tunica gialla, Caifa. I due pesanti battenti della porta si aprirono. Nello

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stesso istante Gesù ne uscì; i due uomini si incrociarono sulla soglia, faccia a faccia, Gesù, scalzo, col suo abito bianco tutto rattoppato, si fermò e guardò dritto negli occhi, immobile, il sommo sacerdote. Questi sollevò le palpebre pesanti, lo riconobbe e lo scrutò rapidamente dalla testa ai piedi.

«Che cerchi qui, ribelle?»Gesù, immobile, gli tenne inchiodati addosso gli occhi grandi, severi e

tristi.«Non ti temo, sommo sacerdote di Satana», rispose.«Buttatelo fuori», gridò Caifa ai quattro portantini, e avanzò nel cortile

con il suo corpo obeso e le gambe storte.I quattro Leviti si precipitarono per afferrare Gesù, ma Giuda scattò.«Giù le zampe!» ruggì. Li respinse, prese Gesù per uh braccio.«Andiamo via», disse.

Giuda scansava cammelli, uomini, pecore, faceva largo a Gesù perché potesse passare. Superarono la porta fortificata, discesero nella valle del Cedron, risalirono dall'altro versante, presero la via di Betania.

«Che cosa voleva?» disse Giuda, stringendo con ansia il braccio del Maestro.

«Giuda», rispose Gesù dopo un profondo silenzio, «ti confiderò un segreto terribile.»

Giuda chinò la criniera rossa e attese, le labbra socchiuse.«Tu sei più forte degli altri compagni; solo tu, credo, sei in grado di

sopportarlo. Agli altri non ho detto niente e niente dirò; a loro manca la resistenza.»

Giuda arrossì di piacere.«Ti ringrazio, Maestro», disse, «della fiducia che mi dai. Parla. Vedrai,

non ti vergognerai di me.»«Giuda, tu sai perché ho lasciato l'amata Galilea per venire a Gerusa-

lemme?»«Sì», rispose Giuda, «perché tutto quello che deve farsi, si farà qui.»«Sì, è da qui che partirà la fiamma del Signore. Non riesco più a dor-

mire. Mi sveglio di soprassalto in piena notte e guardo il cielo, non s'è ancora aperto? Le fiamme non hanno ancora cominciato a riversarsi?... Veniva il giorno, correvo al Tempio, parlavo, minacciavo, indicavo il cielo, ordinavo, supplicavo, scongiuravo il fuoco di scendere. La mia voce si perdeva. Il cielo era chiuso, muto, sereno sopra di me. E a un tratto un giorno...»

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La sua voce si ruppe. Giuda si chinò su di lui per udire. Ma non sentiva che un respiro soffocato e i denti di Gesù che battevano

«Allora? Allora?» domandava Giuda ansimando. Gesù riprese fiato, si rimise a parlare.

«Un giorno, mentre ero sdraiato da solo sulla cima del Golgota, il pro-feta Isaia s'è levato nel mio spirito. No, non nel mio spirito. L'ho visto in carne e ossa davanti a me, sulle pietre del Golgota, e aveva una pelle di caprone uguale al caprone nero che avevo incontrato nel deserto. E questa pelle era coperta di lettere.

«'Leggi'! mi ordinò, e distese nell'aria davanti a me la pelle del caprone. Avevo appena udito la voce che profeta e caprone erano scomparsi; resta-vano solo nell'aria le lettere nere con le maiuscole rosse.»

Gesù fissò gli occhi nella luce, era impallidito. Strinse il braccio di Giuda e si serrò a lui.

«Eccole!» mormorò terrorizzato. «Hanno riempito l'aria!»«Leggi!» disse Giuda, anche lui impallidito.Gesù, con voce rauca, affannata, cominciò a decifrare. Le lettere sem-

bravano belve vive, lui le inseguiva e loro resistevano. Decifrava sillaba per sillaba e continuava ad asciugarsi il sudore che lo inondava: «Si è accollato le nostre colpe, è stato ferito dai nostri peccati, le nostre iniquità lo hanno spezzato. E lui, afflitto, non ha aperto bocca. Abbandonato, di-sprezzato da tutti, ha camminato, senza resistere, come l'agnello che si conduce al macello e che si sgozza».

Gesù tacque. Si era fatto livido.«Non capisco», disse Giuda. Si fermò e si mise a spostare i sassi col

piede. «Non capisco. Chi è l'agnello che portano al macello? Chi deve morire?»

«Giuda», rispose Gesù lentamente, «Giuda, fratello mio, sono io.»«Tu? Tu?» disse Giuda indietreggiando. «Non sei il Messia allora?»«Sì.»«Non capisco!» esclamò ancora Giuda. I piedi gli presero a sanguinare

per i sassi.«È quella la strada, Giuda, non gridare. Perché il mondo si salvi occorre

che io, di mia volontà, muoia. Nemmeno io lo sapevo. Invano Dio mi mandava dei segni. Erano visioni nell'aria, sogni in sonno, un caprone nel deserto con al collo tutte le colpe degli uomini. E, dal giorno che ho lasciato la casa di mia madre, un'ombra mi segue come un cane e a volte mi corre davanti e mi mostra il cammino. Che cammino? La Croce.»

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Gesù si guardò a lungo attorno. Dietro di loro Gerusalemme, come una montagna di teschi tutti bianchi, davanti a loro pietre, qualche ulivo dalle foglie d'argento, qualche cedro nero. Il sole tramontava immerso nel san-gue.

Giuda si strappò dei peli dalla barba. Era un altro il Messia che lui aspettava, uno armato di spada. Emise un grido e nella valle di Giosafat si ersero dalle loro tombe tutte le generazioni degli Ebrei morti, e si mescolarono ai vivi; con loro risuscitarono i cavalli e i cammelli degli Ebrei, e tutti, fanti e cavalieri, si scagliavano a sgozzare i Romani. E il Messia sedeva sul trono di Davide con sotto il piede, per cuscino, l'Univer-so. Così, così era il Messia atteso da Giuda Iscariota, e ora...!

Lanciò uno sguardo furtivo a Gesù e si morse il labbro perché non gli sfuggisse neppure una parola dura. E riprese a muovere i sassi. Gesù lo vide e provò pietà di lui.

«Coraggio, Giuda, fratello», gli disse addolcendo la voce. «Anch'io mi sono fatto coraggio. Non c'è niente da fare. La strada è quella.»

«E poi?» disse Giuda, con lo sguardo fisso sulle pietre. «E poi?»«Tornerò in tutta la mia gloria a giudicare i vivi e i morti.»«Quando?»«Molti uomini di questa generazione non moriranno senza avermi

visto.»«Andiamo», disse Giuda, e affrettò il passo. Dietro di lui Gesù cammi-

nava, ansante, affaticandosi per raggiungerlo. Il sole stava per essere in-ghiottito dietro le montagne della Giudea. Si sentivano i primi sciacalli che si svegliavano, lontano, verso il Mar Morto.

Giuda affrontava la salita fremente; la terra tremava nel fondo del suo essere, tutto crollava. Non aveva fiducia nella morte. Gli pareva la peg-giore delle vie, e Lazzaro risuscitato gli rivoltava lo stomaco. Gli sembrava più morto di tutti i morti, e più infetto. E il Messia, lui, come sarebbe uscito dallo scontro con la morte? No, no, non aveva fiducia nella morte.

Si girò per contraddire Gesù, per lanciare la parola violenta che gli bruciava sulla lingua, che Gesù cambi idea e non passi per la morte? Ma appena si volse lanciò un grido di terrore. Un'ombra gigantesca si staccava dal corpo di Gesù, ma non era un'ombra, era un'enorme croce. Prese Gesù per un braccio.

«Guarda!» disse mostrandogli l'ombra. Gesù rabbrividì.«Taci», disse sommessamente, «taci, Giuda, fratello.»Così, tenendosi per le braccia, attaccarono il dolce pendio che saliva

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verso Betania. Le ginocchia di Gesù cedevano, Giuda lo sosteneva. Tace-vano. A un certo punto Gesù si chinò, raccolse da terra una pietra calda, la tenne a lungo stretta in mano. Era una pietra o la mano di un essere amato? Si guardò attorno. Come le terre, che in inverno erano morte, si erano tutte coperte di erba, come erano fiorite!

«Giuda, fratello», disse Gesù, «non perderti d'animo.Guarda, il grano penetra nella terra. Dio manda la pioggia e la terra si

gonfia e dal suolo leggero la spiga di grano cresce a nutrire gli uomini. Se il seme non muore, potrà mai risorgere la spiga? Lo stesso è per il Figlio dell'uomo.»

Ma Giuda era inconsolabile; taceva e saliva. Il sole scivolò dietro i monti, la notte salì dalla terra; già le prime lampade oscillavano sulla cima della collina.

«Ricordati di Lazzaro», disse ancora Gesù. Ma Giuda fu preso dalla nausea e fuggì sputando.

Marta accese, la lampada e Lazzaro si mise la mano sugli occhi; la luce lo feriva ancora. Pietro aveva preso Matteo per un braccio e si erano seduti tutti e due sotto la lampada. La vecchia Salomè aveva trovato una matassa di lana nera, filava e pensava ai suoi due figli. Dio, come tardava a venire il giorno in cui li avrebbe visti tutti sorridenti, un nastro d'oro tra i capelli. Il giorno in cui tutto quanto il lago di Genezareth sarebbe stato loro...

Maddalena s'era avviata giù per il sentiero, il Maestro tardava, la sua pena era grande, la casa troppo stretta per lei, e s'era messa in cammino nella speranza di incontrare l'amato. I discepoli, raccolti nel cortile, fissa-vano la porta e non dicevano una parola; la collera ribolliva ancora dentro di loro. Tutta la casa era calma, non si sentiva un soffio, il momento era favorevole; da tempo Pietro moriva dalla voglia di vedere che cosa il pubblicano scrivesse sul suo quaderno tutte le sere. Quella sera, dopo la lite con gli altri, non si tenne più, doveva sapere che cosa diceva di lui; questi Scribi sono una brutta razza. Bisognava stare attenti che non lo mettesse in ridicolo presso le generazioni future. Se aveva l'audacia di fargli un tiro simile, gli avrebbe buttato carte e penna, quella sera stessa, nel fuoco. Lo prese per un braccio con delle moine e si accoccolarono assieme sotto la lampada.

«Leggimi, Matteo, ti prego», gli chiese, «voglio sapere che cosa scrivi del Maestro.»

Matteo fu felicissimo di quella richiesta. Tirò fuori delicatamente dalla

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veste il quaderno che aveva avvolto in un fazzoletto ricamato, regalo di Maria, la sorella di Lazzaro; lo svolse con precauzione, come se ci fosse una creatura ferita, lo aprì, si mise a dondolare avanti e indietro, prese lo slancio e, mezzo parlando mezzo salmodiando, cominciò a leggere:

«Libro della generazione di Gesù Cristo, figliolo di Davide, figliolo di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe gene-rò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara...»

Pietro ascoltava, a occhi chiusi. Le generazioni degli Ebrei sfilavano davanti a lui: da Abramo a Davide quattordici generazioni; da Davide alla cattività di Babilonia quattordici generazioni; dalla cattività di Babilonia al Cristo quattordici generazioni... Quanta gente, che esercito sterminato, im-mortale! Che gioia, che fierezza essere uno di quegli Ebrei! Pietro alzò la testa e l'appoggiò al muro, ascoltò. Le generazioni erano passate, ora veni-vano gli anni di Gesù. Che miracoli si erano verificati, e lui non se n'era neppure accorto! E così Gesù era nato a Betlemme e suo padre non era Giuseppe il falegname ma lo Spirito Santo. E tre magi erano venuti per adorarlo. E quali erano quelle parole che la colomba aveva lanciato dal-l'alto del cielo durante il Battesimo? Pietro non le aveva sentite. E chi le aveva riportate allora a Matteo che non era neppure presente al Battesimo? A poco a poco Pietro non sentì più le parole, ma solo una musica che lo cullava, monotona, triste, e piano piano si addormentò. E là, dal sonno, la musica e le parole arrivavano con grande chiarezza. Ma ogni parola gli sembrava come una melagrana, una di quelle che aveva mangiato l'anno prima a Gerico; scoppiava nell'aria ed ecco che ne venivano fiamme, angeli e ali e trombe...

D'un tratto, nel mezzo della profonda dolcezza del sonno, sentì un tu-multo, delle grida gioiose, si svegliò di soprassalto. Vide davanti a sé Mat-teo, il libretto sulle ginocchia, che continuava a leggere, gli tornò alla memoria, si vergognò di essersi addormentato, gli si gettò tra le braccia e lo baciò sulla bocca:

«Perdonami, Matteo, fratello, ma mentre ti ascoltavo sono entrato in Paradiso».

Gesù era apparso sulla porta, e dietro di lui Maddalena raggiante di gioia; i suoi occhi, le sue labbra, la sua gola nuda erano in fiamme. Gesù vide Pietro stringere il pubblicano tra le braccia e baciarlo, il viso gli si addolcì. Indicò i suoi discepoli abbracciati e disse:

«Ecco il regno dei cieli!»Si avvicinò a Lazzaro. Lui avrebbe voluto alzarsi ma le reni gemettero:

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ebbe paura che gli si rompessero e rimase seduto. Tese il braccio e toccò con la punta delle dita la mano di Gesù. Gesù rabbrividì. La mano di Lazzaro era gelida e nera; odorava di terra. Gesù uscì nel cortile per respi-rare.

Il risorto si dibatteva ancora tra la vita e la morte, Dio non riusciva ancora a vincere il marciume dentro di lui. Mai la morte aveva mostrato così bene la sua potenza. Il terrore s'impadronì di Gesù, il terrore e una grande tristezza.

La vecchia Salomè, la conocchia sotto il braccio, gli si avvicinò e si alzò in punta di piedi per parlargli all'orecchio.

«Maestro», disse, e Gesù si chinò per ascoltare.«Parla, Salomè...»«Maestro, quando salirai al trono, ti chiedo una grazia. Vedi quello che

abbiamo fatto per te...»«Parla, Salomè...» Il cuore di Gesù si strinse. Pensò: Quando dunque gli

uomini comprenderanno che una buona azione rifiuta ogni ricompensa?«Ora che sali al trono, figlio mio, metti Giovanni alla tua destra e a

sinistra Giacomo, i miei figli...»Gesù si morse le labbra per non parlare e fissò gli occhi a terra.«Hai sentito, figlio mio? Giovanni...»D'impeto Gesù rientrò in casa. Si fermò accanto alla lampada, vide

Matteo che aveva ancora il quaderno aperto sulle ginocchia. Aveva chiuso gli occhi ed era immerso nel ricordo di tutto quello che aveva appena letto.

Matteo si alzò, felice, tese i suoi scritti.«Maestro», disse, «è qui che racconto, per coloro che verranno, la tua

vita e le tue opere.»Gesù s'inginocchiò sotto la lampada e si mise a leggere.Già alle prime parole sobbalzò. Si mise a girare le pagine con violenza,

le leggeva avidamente, il suo viso s'infiammava e diventava furioso. Vedendolo Matteo si addossò a un angolo, terrorizzato, e attese. Gesù continuava a girare le pagine; d'un tratto non ce la fece più, si alzò, gettò l'Evangelo di Matteo a terra, esasperato.

«Che cos'è questo?» gridò. «Menzogne! Menzogne! Menzogne! Il Messia non ha bisogno di miracoli, è lui stesso il miracolo, non gliene servono altri. Io sono nato a Nazareth, non a Betlemme, a Betlemme non ho mai messo piede, non mi ricordo di nessun re magio, non sono mai andato in Egitto, e quello che scrivi, le parole che avrebbe pronunciato la colomba nel momento del mio Battesimo: 'Questo è il mio diletto figliuo-

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lo', chi te le ha rivelate? Io non le ho sentite affatto. Tu che non c'eri, da dove le hai tirate fuori?»

«L'angelo me le ha rivelate», rispose Matteo tremando.«L'angelo? Quale angelo?»«Quello che viene tutte le sere quando prendo in mano il mio calamo. Si

china all'orecchio, mi detta e io scrivo.»«Un angelo?» disse Gesù, turbato. «Un angelo ti detta quello che

scrivi?»Matteo riprese coraggio.«Sì, un angelo. A volte riesco anche a vederlo, ma lo sento sempre. Le

sue labbra mi sfiorano l'orecchio destro e sento le ali che mi avvolgono. Sono infagottato nelle ali dell'angelo come un bimbo in fasce e scrivo, no, non scrivo, trascrivo quello che lui mi dice. Che cosa credi? Come avrei mai potuto scrivere tutte quelle meraviglie?»

«Un angelo?» mormorò di nuovo Gesù, e s'immerse in profonda medi-tazione. Betlemme, i re magi, l'Egitto, tu sei il mio diletto figliuolo... E se tutto quello fosse la verità più vera? Se fosse lo stadio più alto della verità dove solo Dio abita? Se tutto quello che noi chiamiamo verità Dio lo chiamasse menzogna?

Tacque. Raccolse con cura gli scritti che aveva gettato a terra e li rese a Matteo. Matteo li avvolse di nuovo nel fazzoletto ricamato e se li nascose sotto l'abito.

«Scrivi tutto quello che ti detta l'angelo», disse Gesù. «Io, ormai...» Ma non completò la frase.

Nel frattempo i discepoli nel cortile avevano circondato Giuda e gli domandavano che cosa volesse Pilato dal Maestro e perché l'avesse fatto chiamare. Ma Giuda non li degnò neppure di uno sguardo, uscì e rimase sulla porta della strada. Non ce la faceva più a guardarli né a sentirli. Ormai non poteva parlare più che con il Maestro, un terribile segreto li univa e li separava dagli altri... Giuda guardò la notte che aveva inghiottito il mondo. E su di lui, come minuscole lampade da notte, le prime stelle cominciavano ad accendersi.

«Dio d'Israele», disse dentro di sé, «fa' che il mio spirito non vacilli.»Maddalena, agitata, gli si avvicinò. Lui fece per andarsene, ma Madda-

lena lo trattenne per il lembo della tunica.«Giuda», disse, «a me puoi rivelarlo senza paura il tuo segreto. Tu mi

conosci.»«Che segreto? Pilato l'ha chiamato per dirgli di stare sull'avviso.

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Caifa...»«No, non questo segreto, l'altro.»«Che altro? Hai di nuovo preso fuoco, Maddalena. I tuoi occhi sono due

carboni ardenti.»Fece una risata, ma senza allegria.«Piangi», disse, «piangi che li spegni.»Ma Maddalena addentò il fazzoletto, lo strappò con i denti. Mormorò:«Perché ha scelto proprio te, Giuda Iscariota?»Il Rosso s'infuriò. Afferrò Maddalena per un braccio.«Chi volevi che scegliesse, Maria di Magdala? Pietro la banderuola? O

quella rapa di Giovanni? O magari volevi che scegliesse te, una donna? Io sono una selce del deserto e reggo i colpi, per questo mi ha scelto.»

Gli occhi di Maddalena si riempirono di lacrime. Mormorò:«Hai ragione, io sono una donna, un essere gracile e ferito...» Rientrò in

casa e andò a raggomitolarsi presso il camino.Marta aveva preparato la tavola per la cena. I discepoli si riunirono nel

cortile, sedettero. Lazzaro aveva bevuto del brodo di pollo, che gli aveva dato un po' di forze, si sentiva rinfrancato. A poco a poco l'aria, la luce, il nutrimento, aiutavano il suo corpo sbriciolato a consolidarsi, a rafforzarsi.

Una porta interna si aprì e apparve il vecchio rabbino, pallido, etereo, un fantasma. Si appoggiava con tutto il peso al bastone, poiché le ginocchia rifiutavano ormai di sostenerlo. Vide Gesù, gli fece cenno che voleva parlargli e Gesù si alzò, lo prese per il braccio e lo fece sedere accanto a Lazzaro.

«Vecchio», gli disse, «anch'io voglio parlarti.»«Devo farti un rimprovero, oggi, figlio mio», disse il vecchio rabbino, e

lo guardò con severità e tenerezza. «Lo dico forte davanti a tutti. Che uomini e donne ci sentano, e anche Lazzaro che è risorto dal sepolcro e che conosce tanti segreti. Che ci sentano tutti e giudichino.»

«Che cosa possono sapere gli uomini?» rispose Gesù. «Potete doman-dare a Matteo, un angelo vola in questa casa e ascolta. Sia lui a giudicare. Qual è questo rimprovero, vecchio?»

«Perché vuoi distruggere la santa Legge? Finora la rispettavi, come il figlio deve rispetto al vecchio padre. Oggi, davanti al Tempio, hai issato il tuo stendardo. Fin dove giungerà dunque la rivolta del tuo cuore?»

«Fino all'amore, vecchio, fino ai piedi di Dio. È là che poggerà a riposare.»

«Non puoi arrivare fin là con la santa Legge. Non lo sai cosa dicono le

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nostre Sacre Scritture? Novecentoquattordici generazioni prima che Dio costruisse il mondo, la Legge era già scritta. Non su pergamena, non esi-stevano ancora le bestie che dessero la loro pelle, né su legno, non esiste-vano ancora gli alberi, né sulla pietra, la pietra non esisteva ancora. Era scritta con fiamme nere su un fondo di fuoco bianco, alla sinistra del Signore. E fu secondo questa santa Legge che Dio creò il mondo.»

«No! No!» gridò Gesù, incapace di controllarsi. «No!» Il vecchio rabbino gli prese la mano teneramente.

«Perché gridi così, figlio mio?»Gesù arrossì, provò vergogna. Aveva allentato le redini e non padroneg-

giava più l'anima. Si sentiva come coperto di ferite dai piedi alla testa. Ovunque lo toccassero, pur con ogni delicatezza, gridava dal dolore.

Aveva gridato e si sentiva più calmo. Prese la mano del vecchio rabbi-no, abbassò la voce. i «Le Sacre Scritture sono le foglie del mio cuore. Le altre foglie le ho strappate tutte.»

Ma appena detto ciò, si pentì.«No, non sono io... non sono io...» mormorò. «È Dio che mi ha

mandato.»Seduto accanto a Gesù, così vicino che le loro ginocchia si toccavano, il

vecchio rabbino sentì una forza bruciante, insostenibile, emanare dal corpo di Gesù, e ora che il vento, che s'era messo all'improvviso a soffiare dalla finestra aperta, aveva spento la lampada, il vecchio rabbino vide nell'oscu-rità il figlio di Maria raggiante di luce, in piedi in mezzo alla casa, simile a una colonna di fuoco. Guardò da ogni lato per vedere se scorgesse ancora Mosè ed Elia. Non vide nessuno. Gesù era solo nel suo fulgore; la sua testa toccava il soffitto di canna e lo bruciava. Nell'attimo in cui il vecchio rabbino aprì la bocca per gridare, Gesù distese le braccia. Era diventato una croce e le fiamme lo lambivano.

Marta si alzò, accese la lampada. Tutto rientrò immediatamente nell'or-dine; Gesù era sempre seduto, la testa china, pensava. Il rabbino lanciò un'occhiata attorno, nessuno aveva visto niente nel buio, si erano tutti messi attorno alla tavola e si preparavano tranquillamente a cenare. Pensò: «Dio mi tiene in mano sua e scherza. La verità ha sette stadi. Mi mena di stadio in stadio e io ho le vertigini».

Gesù non aveva fame, non sedette a tavola; il vecchio rabbino neppure. Rimasero entrambi accanto a Lazzaro che aveva chiuso gli occhi e pareva assopito. Ma non dormiva, stava pensando. Com'era quel sogno che aveva fatto? Gli sembrava di essere morto. L'avevano messo sottoterra e a un

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tratto aveva sentito una voce terribile che gli gridava: Lazzaro, sorgi! Lui s'era alzato nel suo sudario, era uscito, si era svegliato. Si era ritrovato in un sudario uguale a quello che aveva visto nel sogno. O forse non era stato un sogno? Era davvero disceso tra i morti?

«Perché l'hai ripreso dal sepolcro, figlio mio?»«Io non volevo», rispose in un bisbiglio Gesù, «io non volevo, vecchio.

Quando l'ho visto che sollevava la lastra di pietra mi sono spaventato. Volevo fuggire, ma mi vergognavo. Sono rimasto, tremando di paura.»

«Io posso sopportare tutto», disse il rabbino, «tutto tranne la puzza di un corpo in putrefazione. Ho visto un altro corpo, atroce, che viveva ancora, mangiava, parlava, sospirava... e si decomponeva. Era il re Erode. Una grande anima dannata. Ha ucciso la donna che amava, la bella Marianna, ha ucciso i suoi amici, i suoi generali, i suoi figli. Ha conquistato regni, eretto torri, palazzi, città, e il santo Tempio di Gerusalemme l'ha fatto più sontuoso dell'antico Tempio di Salomone. Ha inciso il suo nome nelle pie-tre, nel bronzo, nell'oro. Aveva sete d'immortalità. E a un tratto, al culmine della sua gloria, il dito di Dio l'ha toccato alla gola e d'un solo colpo si è messo a marcire. Aveva fame, mangiava senza sosta e non era mai sazio. I suoi intestini non erano più che una lunga piaga purulenta e aveva tanta fame che di notte gli sciacalli sentivano i suoi ululati e tremavano. Il ventre, i piedi, le ascelle, avevano cominciato a gonfiarglisi. Dal sesso gli uscivano dei vermi. È stato questo a marcire per primo. E tale era il fetore che nessun essere umano poteva avvicinarglisi. I servi scomparvero. Lo portarono alle fonti termali di Calliroe, presso il Giordano, ma il suo stato peggiorò. Io allora avevo fama di guarire ed esorcizzare le malattie: arrivò la notizia al re, che mi fece chiamare. L'avevano portato a Gerico, nei giar-dini. La sua puzza si spandeva da Gerusalemme al Giordano. Quando lo avvicinai per la prima volta svenni. Preparavo per lui degli unguenti e glieli applicavo. Nascondevo la testa e vomitavo. Pensavo: questo è un re, ecco che cos'è l'uomo, lordura e fetore, dov'è dunque l'anima per mettere ordine?»

Il rabbino parlava pianissimo, gli altri non dovevano sentire discorsi del genere mentre mangiavano. Gesù, curvo, disperato, ascoltava. Era proprio questa la grazia che voleva chiedere quella sera al rabbino: parlargli della morte. Per prendere coraggio. Doveva ormai avere la morte davanti, per abituarvisi. Ma ora... Avrebbe voluto fare un gesto, interrompere il vecchio rabbino, gridargli: Basta! Ma il rabbino non poteva più contenersi. Aveva ansia di esprimere tutto quel lordume perché gli uscisse dalla memoria e se

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ne mondasse.«Inutilmente spalmavo i miei unguenti, i vermi li mangiavano come il

resto. Ma un demone regnava ancora in mezzo a quel lordume e dava ordi-ni. Comandò a tutti i ricchi e a tutti i potenti di Israele di riunirsi e li radu-nò nel suo cortile. Al momento di morire gridò a sua cognata Salomè: 'Quando renderò l'anima, uccidili tutti perché non gioiscano della mia morte'. Ed è crepato. È crepato, Erode il Grande, l'ultimo re di Giuda. E io mi sono nascosto tra gli alberi e mi sono messo a ballare. L'ultimo re di Giuda era crepato, era arrivata l'ora benedetta che Mosè aveva profetizzato nel suo Testamento: 'Verrà infine un re corrotto e debosciato, i suoi figli saranno indegni; un re ed eserciti barbari verranno da occidente a occupare la Terra Santa. E allora la fine del mondo sarà giunta'.

«Ecco che cosa disse il profeta Mosè, tutto si è avverato, la fine del mondo è vicina.»

Gesù sobbalzò. Era la prima volta che sentiva questa profezia. Esclamò:«Dov'è scritto? Quale profeta l'ha detto? È la prima volta che ne sento

parlare».«Qualche anno fa hanno trovato una vecchia pergamena in un orcio di

terracotta, in una grotta del deserto della Giudea. Un monaco l'ha trovata, l'ha srotolata e ha visto scritto, in alto, in lettere rosse: Testamento di Mosè'. Prima di morire il grande patriarca aveva chiamato il suo successo-re, Giosuè, figlio di Nun, e gli aveva dettato tutto quello che sarebbe avve-nuto. Ed ecco che siamo arrivati agli anni che ha profetizzato. Il re corrotto era Erode, gli eserciti barbari quelli dei Romani, e la fine del mondo, se alzi la testa, la vedi entrare da quella porta!»

Gesù si alzò, la casa era troppo piccola per lui. Passò in mezzo ai suoi compagni che mangiavano, spensierati, uscì nel cortile, alzò la testa. Grande, accorata, la luna saliva in quel momento nel cielo, oltre i monti di Moab. Presto sarebbe stata tutta tonda, la luna piena che porta la Pasqua. Come se la vedesse per la prima volta, Gesù la fissò, interdetto. Che cos'e-ra questa cosa che si levava sopra le montagne, che spaventava i cani e li faceva abbaiare, con la coda tra le zampe? E lei sale, silenziosa, nella terrificante solitudine, e distilla fiele. Il cuore dell'uomo diventa una fossa che si riempie di fiele. Sulle guance e sul collo, Gesù sentì una lingua ve-lenosa leccarlo avvolgendone il corpo e il viso nella luce bianca, come in un bianco sudario.

Giovanni intuì la sofferenza del maestro, uscì in cortile. Lo vide tutto immerso nella luce della luna.

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«Maestro», disse a bassa voce per non spaventarlo, e si avvicinò in pun-ta di piedi.

Gesù si girò, lo guardò. L'adolescente tenero e imberbe scomparve; nel mezzo del cortile c'era un vecchio centenario, sotto la luna, e teneva un libro in una mano e nell'altra un clamo lungo come una lancia di rame. La barba, tutta bianca, gli arrivava alle ginocchia.

«Figlio del Fulmine», gli gridò Gesù, preso dall'estasi, «scrivi: Io sono l'Alfa e l'Omega, colui che era, che è e che sarà, il Signore delle Potenze. Non senti una voce potente come una tromba?»

Giovanni ebbe paura: lo spirito del Maestro vacillava! Sapeva che la luna inebria e per questo era uscito nel cortile, per riportarlo, per farlo rientrare in casa. Ma, ahimè, era arrivato troppo tardi.

«Maestro», disse, «taci. Sono io, Giovanni, che tu ami. Rientriamo. Siamo in casa di Lazzaro.»

«Scrivi!» ordinò di nuovo la voce di Gesù. «Scrivi: Ci sono sette angeli attorno al trono di Dio, e ogni angelo porta alla bocca una tromba. Li vedi, Figlio del Fulmine? Scrivi: Il primo angelo è caduto sulla terra, tutto grandine e fiamme miste a sangue. Un terzo della terra è bruciato, un terzo degli alberi e un terzo dell'erba verde. Il secondo angelo ha suonato la tromba: una montagna di fuoco è caduta nel mare e un terzo del mare si è mutato in sangue, un terzo dei pesci è morto, un terzo del naviglio è affon-dato. Il terzo angelo ha suonato la tromba: una grande stella è caduta dal cielo e un terzo dei fiumi, dei laghi e delle sorgenti è stato avvelenato. Il quarto ha suonato la tromba: un terzo della terra è stato privato del sole, un altro terzo della luna, un altro terzo delle stelle. Il quinto ha suonato: un'altra stella si è precipitata dall'alto del cielo, l'Abisso si è aperto, ne è uscita una nuvola di fumo e in questo fumo le cavallette si sono gettate non sulle piante, non sugli alberi ma sugli uomini, e i loro capelli erano lunghi come capelli di donna e i loro denti erano come denti di leone; portavano armature di ferro e le loro ali cigolavano come gli attacchi dei carri di battaglia. Il sesto angelo ha suonato...»

Ma Giovanni non ce la fece più. Scoppiò in singhiozzi e cadde ai piedi di Gesù:

«Maestro», gridò, «taci... taci...»Gesù sentì i singhiozzi, trasalì. Si chinò, vide ai suoi piedi l'amato

discepolo.«Giovanni», disse, «mio diletto, perché piangi?»Giovanni si vergognava di ammettere che per un attimo, sotto la luna, lo

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spirito del Maestro aveva vacillato.«Maestro», disse, «rientriamo. Il vecchio chiede di te e i discepoli vo-

gliono vederti.»«Ed è per questo che piangi, Giovanni mio diletto? Rientriamo.»Rientrò, sedette di nuovo accanto al vecchio rabbino. Si sentiva stan-

chissimo, aveva le mani coperte di sudore. Batteva i denti e bruciava al tempo stesso. Il vecchio lo guardò, preoccupato.

«Non guardare la luna, figlio mio», gli disse prendendogli la mano ma-dida, «dicono che sia il seno della grande amante di Satana, la Notte, che versa...»

Ma lo spirito di Gesù era fisso sulla morte.«Vecchio», disse, «credo che tu abbia parlato male della morte. La

morte non ha il viso di Erode, No, la morte è un gran signore, che tiene le chiavi di Dio e apre la porta. Vecchio, ricordati di altri morti e consolami.»

I discepoli avevano finito di mangiare, interruppero le loro chiacchiere; Marta sparecchiò la tavola, le due Marie si erano accoccolate ai piedi del Maestro e ogni tanto una delle due guardava furtivamente le braccia, il petto, gli occhi, la bocca, i capelli dell'altra e si domandava inquieta quale delle due era più bella.

«Hai ragione, figlio mio», disse il vecchio. «Ho parlato male del-l'Arcangelo nero di Dio. Prende sempre il viso del morente. Se muore Erode, diventa Erode, ma se è un santo a morire, il suo viso risplende come sette soli. È un gran signore che viene sul suo carro, solleva il santo dalla terra e lo solleva fino al cielo. Uomo, se vuoi conoscere il tuo viso eterno, guarda come ti compare davanti nella tua ultima ora la morte.»

Tutti ascoltavano, a bocca aperta, e ciascuno nel proprio spirito soppe-sava, inquieto, la sua anima. In un lungo momento il silenzio li avvolse tutti, come se ognuno si sforzasse di vedere il viso della sua morte.

Infine Gesù parlò.«Vecchio», disse, «un giorno, quando avevo dodici anni, ti ho sentito

nella sinagoga raccontare al popolo di Nazareth il martirio e il supplizio del profeta Isaia. Ma sono passati anni da allora, e ho dimenticato. E stasera desidero fortemente risentire il racconto della sua morte, per mettermi in pace l'anima e riconciliarla con la morte. Perché tu l'hai resa molto brutta parlandomi di Erode, vecchio.»

«Perché stasera vuoi che parliamo sempre di morte? È questa la grazia che volevi chiedermi?»

«Sì. Non ce n'è di più grandi.»

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Si volse ai discepoli.«Non abbiate paura della morte, compagni miei; che sia benedetta! Se

non esistesse, come potremmo ricongiungerci per sempre a Dio? Quello che vi dico è vero, è la morte che tiene le chiavi e apre la porta.»

Il vecchio rabbino lo guardò, stupefatto.«Gesù, come puoi parlare della morte con tanto amore e sicurezza? Era

tanto che non sentivo una simile dolcezza nella tua voce.»«Parlaci, vecchio, della morte del profeta Isaia e vedrai che ho ragione.»Il vecchio rabbino si spostò per non toccare Lazzaro.«L'ingiusto re Manasse aveva dimenticato gli ordini di suo padre, il pio

Ezechia. Satana entrò in lui e ne prese possesso. Manasse non poteva più sentire la voce di Dio, Isaia. Perciò ha mandato degli assassini in tutta la Giudea perché lo trovassero, gli tagliassero la gola, gli impedissero di gridare ancora. Ma Isaia si era nascosto a Betlemme nel tronco di un cedro gigante. Digiunava e pregava che Dio s'impietosisse e salvasse Israele. Un giorno un samaritano eretico è passato di là. La mano del profeta in pre-ghiera usciva dall'albero. Il samaritano l'ha vista ed è corso subito dal re per denunciarlo. Hanno preso il profeta, l'hanno portato dal re. 'Portate la sega con cui si segano gli alberi, segatelo!' ha ordinato il malvagio. Hanno steso il profeta a terra, due uomini hanno preso ciascuno un'estremità della sega e si sono messi a segare.

«'Ritratta le tue profezie', gli gridò il re, 'e avrai salva la vita!'«Ma Isaia era già entrato in Paradiso, non sentiva più le voci della terra.«'Rinnega Dio', gridò ancora il re, 'e io ordinerò al mio popolo di pro-

strarsi davanti a te e di adorarti.'«'Tu non hai altro potere', gli rispose il profeta, 'che di uccidere il mio

corpo. Non puoi toccare la mia anima. Né soffocare la mia voce. Esse sono immortali, tutt'e due. L'una sale a Dio, l'altra, la voce, resterà in eterno sulla terra per gridare.'

«Ed ecco che la morte arrivò in un carro di fuoco, una corona di cedro dorata sui capelli, e lo portò via.»

Gesù si alzò, gli occhi gli brillavano. Un carro di fuoco si era fermato sopra di lui.

«Compagni», disse, guardando uno dopo l'altro i discepoli, «compagni di strada diletti, ascoltate, per l'amore che mi portate, quello che vi dirò questa sera: Siate sempre in armi, sempre pronti. Chi ha i sandali, con i sandali, chi ha un bastone, col bastone, pronti per il grande viaggio. Che cos'è il corpo? La tenda dell'anima. Bisogna che possiate dire in ogni mo-

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mento: 'Leviamo la tenda, partiamo!' Partiamo, torniamo alla nostra patria. Quale patria? Il cielo!

«Compagni, c'è ancora una cosa che volevo dirvi stasera: Quando vi troverete davanti alla tomba di un essere amato, non scioglietevi in lacrime. Tenete sempre pronta per lo spirito questa grande consolazione: La morte è la porta dell'eternità. Non esistono altre porte. L'essere amato non è morto. È diventato immortale.»

27

Fin dall'alba, per tutto il giorno, ma più ancora la notte, quando nessuno la vedeva, la primavera scostava delicatamente la terra e le pietre e saliva dal suolo di Israele. In una notte le pianure di Saron in Samaria e di Esdrelon in Galilea si coprirono di margherite gialle e di gigli selvatici. E tra le pietre severe della Giudea spuntarono, come grosse gocce di sangue, gli effimeri anemoni rossi. Le vigne si coprirono di grossi germogli, e in ogni germoglio verde dalla punta scarlatta si raccolsero, pronti a lanciarsi nella luce, i chicchi verdi, i grappoli e il vino nuovo; e ancora più nel pro-fondo, nel cuore di ogni germoglio, le canzoni degli uomini. A fianco di ogni fogliolina stava un angelo custode che l'aiutava a spuntare. Sembra-vano tornare i primi giorni della creazione, quando ogni parola di Dio che cadeva sulle terre da poco nate era gravida di alberi, di fiori selvatici e di vegetazione.

Al pozzo di Giacobbe, ai piedi della montagna sacra, il Garizim, la sa-maritana riempiva di nuovo quel giorno la sua brocca e guardava in lon-tananza verso la strada di Galilea, come aspettando sempre di veder ap-parire il giovane pallido che un giorno le aveva parlato dell'acqua im-mortale. Ora, in primavera, la vedova libertina aveva scoperto ancora di più i suoi seni velati di sudore.

In quella notte primaverile l'anima immortale d'Israele si trasformava, si faceva rondine, veniva a posarsi sulla finestra aperta di ogni ragazza ebrea e cantava fino all'alba impedendole di dormire. «Perché dormi sola?» la rimproverava cantando. «Perché credi che ti abbia dato i tuoi lunghi capel-li, i seni e le anche ampie e arrotondate? Alzati, mettiti i tuoi gioielli, affac-ciati alla finestra, resta di buon mattino sulla soglia di casa, prendi la brocca e va' al pozzo; strizza l'occhio ai giovanotti ebrei che incontrerai sulla via, dammi dei bambini. Noi abbiamo, noialtri Ebrei, tanti nemici, ma finché le mie figlie avranno dei figli, io sarò immortale. Sulla terra

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d'Israele detesto i campi che non si coltivano, gli alberi da cui non si coglie, e le vergini.»

E sull'Ebron abitato da Dio, nel deserto di Idumea, attorno alla sacra tomba di Abramo, i giovani Ebrei, svegli alle prime ore del giorno, gioca-vano al Messia. S'erano fatti degli archi di giunco, lanciavano frecce di canna verso il cielo e chiedevano a gran voce che scendesse finalmente, con una lunga spada e un elmo d'oro, il re d'Israele, il Messia. Avevano steso sulla sacra tomba una pelle di pecora, per fargli un trono. Gli aveva-no anche composto una canzone e battevano le mani per invitarlo a com-parire. E improvvisamente, dietro il sepolcro, risuonarono tamburi e grida di gioia, e lo si vide apparire, pavoneggiandosi, il viso impiastricciato e terribile, con barba e baffi finti, ruggente, il Messia. Aveva una lunga spa-da, fatta di un ramo di palma, colpiva sulla spalla tutti i ragazzi in fila, e quelli cadevano tutti, sgozzati.

All'alba, a Betania, nella casa di Lazzaro, Gesù non aveva ancora chiuso occhio. La sua angoscia era durata troppo, non vedeva più nessuna strada aprirglisi davanti; nessuna fuorché la morte. È di me che parlano le pro-fezie, pensava, son io l'agnello che doveva caricarsi di tutti i peccati del mondo ed essere sgozzato alla prossima Pasqua. Che sia dunque sgozzato un po' prima; la carne è debole, non mi fido di lei, può cedere all'ultimo momento. Adesso la mia anima la sento ancora ferma, che venga pure la morte... Ah, che sorga il giorno, perché io vada al Tempio, che finisca oggi!

S'era deciso, il suo spirito trovò un po' di pace. Chiuse gli occhi, si ad-dormentò e fece un sogno. Il cielo era un giardino cintato di inferriate e pieno di bestie feroci. Lui stesso era una belva e giocava con le altre. E mentre giocava, saltò oltre la cancellata e cadde sulla terra. Vedendolo, gli uomini furono presi dal terrore, le donne si misero a urlare e andarono a cercare i figli in strada, perché non fossero divorati dalla belva. Gli uomini si armarono di lance, di pietre, di spade, e presero a dargli la caccia... il sangue scorreva da tutto il suo corpo e di colpo cadde a terra. Allora si riu-nirono dei giudici attorno a lui per giudicarlo; ma non erano uomini, erano volpi, cani, porci e lupi. Lo giudicarono e lo condannarono a morte. Ma mentre lo conducevano al supplizio, si ricordò che non poteva morire, che era una belva del cielo, immortale; se n'era appena ricordato che una donna lo prese per mano, gli parve che fosse Maria Maddalena, e lo fece uscire dalla città, per i campi. Non andare in cielo, gli diceva, la primavera è ri-tornata, resta con noi... Camminarono a lungo, arrivarono al confine con la

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Samaria e comparve la samaritana, la brocca sulla spalla. Gli diede da bere, poi lo prese anche lei per mano e lo condusse alla frontiera della Galilea. Allora, sotto i vecchi olivi, comparve sua madre; portava un faz-zoletto nero sulla testa e piangeva. Vide il sangue di cui era coperto, le ferite e la corona di spine sulla testa. Alzò le braccia al cielo: «Come hai spezzato me», gli disse, «sarai spezzato da Dio. Hai messo il mio nome sulla bocca degli uomini, la gente parla. Ti sei ribellato contro la Patria, la Legge, il Dio d'Israele. Non hai temuto Dio, non hai avuto vergogna da-vanti agli uomini. Non hai pensato a tua madre né a tuo padre, ti male-dico!» E scomparve.

Gesù si svegliò di soprassalto, madido di sudore. Attorno a lui i disce-poli, addormentati, russavano. Nel cortile il gallo cantò; Pietro lo sentì, socchiuse gli occhi e vide Gesù già alzato.

«Maestro», disse, «mentre il gallo cantava ho fatto un sogno. Mi pareva che tu avessi preso due pezzi di legno a forma di croce e che nelle tue mani fossero diventati una viola e un archetto; tu cantavi e suonavi e le belve si erano raccolte, venute dai quattro angoli della terra per ascoltarti... Che vuol dire? Lo chiederò al vecchio rabbino.»

«Il sogno non finisce qui, Pietro», rispose Gesù, «Perché ti sei svegliato così presto? Il sogno va oltre.»

«Oltre? Non capisco. Forse tu l'hai visto tutto intero, Maestro?»«Le belve, dopo aver sentito la canzone, si sono precipitate a divorare il

cantore.» Pietro sbarrò gli occhi. Il suo cuore ebbe un presentimento, ma lo spirito rimase inerte.

«Non capisco», disse.«Comprenderai un'altra mattina», gli rispose Gesù, «quando sentirai di

nuovo cantare il gallo.»Toccò con il piede, uno per uno, tutti i compagni.«Sveglia, dormiglioni», disse, «abbiamo tanto da fare oggi.»«Partiamo?» disse Filippo stropicciandosi gli occhi. «Io sono del parere

di tornare in Galilea, al sicuro.»Giuda aprì la bocca ma rimase in silenzio.Le donne si svegliarono nelle camere di fondo, le si sentiva chiacchie-

rare. La vecchia Salomè uscì ad accendere il fuoco, i discepoli si erano già riuniti in cortile in attesa di Gesù che, chino, parlava a bassa voce col vec-chio rabbino, gravemente ammalato e coricato in fondo alla stanza.

«Dove vai adesso, figlio mio?» gli chiese il vecchio. «Per quale guerra stai partendo? Ancora a Gerusalemme? Vuoi ancora alzare la mano per di-

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struggere il Tempio? Perché tu lo sappia, le parole diventano atti quando escono da una grande anima. La tua anima è grande e tu porti la respon-sabilità di tutto quello che dici. Se dici: il Tempio sarà distrutto, un giorno lo sarà; misura le parole!»

«Misuro le parole, vecchio. Il mondo è tutto presente al mio spirito quando parlo, io scelgo chi resta e chi sparisce. Me lo accollo io.»

«Ah, se potessi rimanere in vita per vedere chi sei! Ma sono vecchio. Il mondo è diventato un fantasma, si aggira attorno alla mia testa, vorrebbe entrare; ma tutte le porte sono chiuse.»

«Reggi ancora qualche giorno, vecchio, fino alla Pasqua. Reggi la tua anima con tutte le forze e vedrai. Non è ancora il momento.»

Il rabbino scosse la testa.«Quando verrà il momento», mormorò come in pianto. «Dunque Dio mi

ha ingannato? Che ne ha fatto della parola che mi ha dato? Io muoio, muoio, e il Messia dov'è?» Il vecchio rabbino si era afferrato alle spalle di Gesù con tutta la forza che gli rimaneva.

«Reggi ancora fino alla Pasqua, vecchio, Vedrai. Dio mantiene sempre la parola!» Si liberò dalla presa del rabbino e uscì nel cortile.

«Natamele», disse, «e tu, Filippo, andate in fondo al villaggio, nell'ulti-ma casa, troverete legata al batacchio della porta un'asina col suo puledro. Scioglietela e portatela qui; e se vi chiedono: dove la portate? rispondete: il Rabbi ne ha bisogno, la riporteremo.»

«Ho idea che ci metteremo nei guai», mormorò Natamele all'amico.«Andiamo», disse Filippo, «fai quello che ti dice, e pazienza per quello

che accadrà!»Matteo di buon mattino aveva messo mano al suo calamo e aveva

aperto tanto d'occhi e d'orecchie.«Dio d'Israele», pensava, «come tutto succede come i profeti, per illu-

minazione divina, hanno previsto. Che dice Zaccaria? 'Rallegrati e sii feli-ce, figlia di Sion. Lancia un grido di gioia, figlia di Gerusalemme. Guarda, il tuo re ti viene incontro, in groppa a un asino, umile benché sia il vincitore!'»

«Maestro», disse Matteo per metterlo alla prova, «sei dunque stanco? Non puoi andare a piedi a Gerusalemme?»

«No», rispose Gesù, «perché me lo chiedi? Sento di aver voglia di andarci su una cavalcatura.»

«Dovresti andarci su un cavallo bianco», fece Pietro. «Non sei tu il re d'Israele? In groppa a un cavallo bianco, dovresti entrare nella tua

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capitale.»Gesù lanciò una fugace occhiata a Giuda e non rispose.Maddalena era comparsa; si fermò sulla porta. Non aveva dormito tutta

la notte e i suoi grandi occhi erano stanchi. Si appoggiò alla cornice della porta e si mise a guardare Gesù. Il suo sguardo era profondo, sconsolato, come per dirgli addio. Avrebbe voluto gridargli: «Non partire!» ma sentiva la gola serrata. Matteo vide le sue labbra muoversi senza che ne uscisse parola e comprese: «I profeti non le permettono di parlare», pensò, «non le permettono di impedire al Maestro di compiere ciò che essi hanno profe-tizzato. Salirà sull'asina e andrà a Gerusalemme; che Maddalena lo voglia o meno, che il Maestro stesso lo voglia o meno. È scritto».

In quel momento arrivarono, festanti, Filippo e Natamele, tirandosi die-tro, con una corda, la madre e l'asinello senza sella.

«È stato esattamente come avevi detto tu, Maestro», disse Filippo. «Monta in sella e incamminiamoci.»

Gesù si girò. Le donne erano in piedi, le braccia conserte, tristi ma si-lenziose, e guardavano: la vecchia Salomè e le due sorelle, e davanti a loro Maddalena.

«Marta», chiese Gesù, «c'è un nerbo di bue in casa?»«No, maestro», rispose Marta. «C'è solo il pungolo di nostro fratello.»«Dammelo.»I discepoli avevano deposto i loro abiti sulla groppa del docile animale,

così che il Maestro avesse un sedile morbido; Marta vi gettò sopra una co-perta rossa che aveva tessuto e decorata agli orli con piccoli cipressi neri.

«Siete tutti pronti?» chiese Gesù. «Sicuri?»«Sicuri», rispose Pietro. Si mise alla testa, prese la briglia della bestia e

la guidò.Gli abitanti dí Betania sentendo il corteo che passava aprivano le porte.«Dove andate, figlioli? Perché il profeta è a cavallo oggi?»I discepoli si chinavano e confidavano il segreto: «Oggi va a insediarsi

sul suo trono».«Ma che trono?»«Taci, è un segreto. Quest'uomo che vedete è il re d'Israele.»«Che cosa dite!» gridavano le comari. «Andiamo con lui!» e la folla

s'ingrossava sempre più.I bambini tagliavano dei rami di alloro, passavano in testa e cantavano

felici: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore!» Gli uomini si toglievano i mantelli e ne tappezzavano la via perché ci passasse sopra.

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Come correvano! Che primavera, come erano vivaci quest'anno i fiori, co-me si precipitavano anche loro, al seguito del corteo, verso Gerusalemme!

Giacomo si chinò all'orecchio del fratello.«Nostra madre gli ha parlato ieri, gli ha detto di metterci a destra e a

sinistra di lui ora che salirà sul suo trono di gloria. Ma lui non ha risposto. Forse s'è arrabbiato. Ha fatto, pare, il viso scuro.»

«Sicuramente si è arrabbiato», rispose Giovanni. «Non era il caso di parlargliene.»

«Come sarebbe? Dobbiamo farci mettere da parte, lasciare che dia la preferenza, che so, a Giuda Iscariota? Hai visto in questi ultimi giorni co-me si parlano in segreto, come sono inseparabili? Apri l'occhio, Giovanni, vacci a parlare anche tu, che nessuno ci danneggi. È vicino il momento di spartirci gli onori.»

Ma Giovanni scosse la testa.«Fratello», disse, «guarda com'è triste. Sembra che stia andando a

morire.»«Vorrei sapere», pensava Matteo camminando da solo dietro agli altri,

«che cosa succederà adesso. I profeti non sono chiari. Alcuni parlano di trono, altri di morte. Quale delle due profezie si avvererà? Una profezia si può spiegare solo dopo che l'evento si è verificato. Soltanto allora com-prendiamo quello che voleva dire il profeta. Pazienza, dunque, vediamo che succede, e stasera rincasando scriverò, non voglio correre il rischio di sbagliarmi.»

Nel frattempo la buona novella aveva raggiunto i villaggi vicini e le capanne sparse tra gli oliveti e nelle vigne. I contadini accorrevano da ogni dove, posando il mantello a terra, e le contadine il fazzoletto, perché il profeta ci passasse sopra... C'era una moltitudine di storpi, di ammalati, di pezzenti. Ogni tanto Gesù girava la testa e guardava dietro di sé il suo esercito. A un tratto avvertì una grande solitudine. Si girò ancora e gridò:

«Giuda!» ma il discepolo dal cuore duro camminava in coda, non lo sentì.

«Giuda!» gridò ancora Gesù, disperato.«Eccomi», rispose il Rosso, e scansò i discepoli per passare.«Che cosa vuoi, Maestro?»«Resta accanto a me. Giuda, tienimi compagnia.» «Non preoccuparti,

non ti lascio, Maestro!» Prese la corda dalle mani di Pietro e si mise a condurre lui. «Non lasciarmi solo, Giuda, fratello», ripeté Gesù. «Perché dovrei lasciarti, Maestro? Non siamo d'accordo?»

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Finalmente arrivarono presso Gerusalemme, La città santa si levò davanti a loro, sul monte di Sion, tutta bianca sotto il sole impietoso. Passavano in un piccolo villaggio quando sentirono, da una parte all'altra delle case, dei lamenti calmi, dolci, come la calda pioggia di primavera.

«Chi piangono? Chi è morto?» domandò Gesù rabbrividendo. Ma i con-tadini che correvano dietro di loro risero.

«Non preoccuparti, Maestro, non è morto nessuno. Sono le ragazze del villaggio che lavorano al mulino e cantano le lamentazioni.»

«Ma perché?»«Per esercizio, Maestro. Per sapersi lamentare al momento opportuno.»Superarono la salita pietrosa e ingrata ed entrarono nella città mangia-

trice d'uomini. Greggi tumultuose, variopinte, provenienti da tutti i ghetti del mondo, ciascuna recante i profumi e i fetori del suo paese, si mescola-vano; era l'antivigilia della festa immortale, tutti gli Ebrei erano fratelli. Vedevano Gesù in groppa all'umile asinello, seguito da una turba che recava rami di alloro, e ridevano:

«E chi è quello?»I malati, gli storpi, i mendicanti, levavano il pungo minacciosi:«Vedrete. E Gesù di Nazareth, re dei Giudei».Gesù smontò, si affrettò a salire, a due alla volta, gli scalini del Tempio.

Raggiunse il portico di Salomone e si fermò. Si guardò attorno; avevano drizzato dei banchi, una fitta folla di gente che vendeva la loro mercanzia, mercanti, cambiavalute, osti, prostitute. Il fiele montò agli occhi di Gesù, un sacro furore s'impadronì di lui. Alzò il bastone, prese d'infilata i betto-lieri, i banchi, le botteghe; rovesciò i tavoli, colpì i mercanti e avanzò: «Fuori di qui! Fuori di qui! Fuori di qui!» agitava il pungolo e gridava. Dentro di lui sentiva crescere una preghiera appena mormorata, amaris-sima: «Signore, Signore, che accada quello che hai deciso, ma presto. Non ti chiedo altra grazia; presto, finché sono ancora in grado di sopportarlo».

La folla si precipitava dietro di lui, gridava anche lei, scalmanata: «Fuori di qui! Fuori di qui!» e rovesciava i banchi. Al portico reale, sopra la valle del Cedron, Gesù si fermò: da tutto il corpo si levava un fumo, i lunghi capelli corvini gli si agitavano sulle spalle, gli occhi lanciavano fiamme.

«Sono venuto per dare fuoco al mondo!» gridò. «Giovanni, nel deserto, proclamava: Pentitevi! Pentitevi! Il giorno del Signore è vicino! E io vi dico: Non c'è più tempo di pentirsi, ci siamo, ci siamo, sono io il giorno del Signore. Giovanni nel deserto battezzava con l'acqua, io battezzo col fuo-

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co. Io battezzo gli uomini, le montagne, le città, i vascelli, vedo già il fuo-co far presa ai quattro angoli della terra, ai quattro angoli dell'anima, e mi rallegro. arrivato il giorno del Signore, il mio giorno!»

«Fuoco! Fuoco!» gridava la folla. «Appicchiamo il fuoco, incendiamo il mondo!»

I Leviti presero le lance e le spade, Giacomo, il fratello di Gesù, si mise alla loro testa con le sue medaglie appese al collo, incitando gli uomini.

Ma il popolo si scatenò, i discepoli presero coraggio e cominciarono a spingere anche loro, tutti assieme, ruggendo. In alto, sulla torre del Palaz-zo, le sentinelle romane li guardavano e ridevano.

Pietro prese da una baracca una torcia accesa.«Diamogli addosso, fratelli, l'ora è arrivata!»Allora molto sangue sarebbe scorso nelle corti del palazzo di Dio se le

trombe dei Romani, minacciose, non avessero risuonato dall'alto della torre di Pilato. Il sommo sacerdote Caifa uscì dal Tempio e ordinò ai Leviti di abbassare le armi. Aveva lui stesso, con grande abilità, teso la trappola al ribelle, che vi sarebbe caduto sicuramente e senza chiasso.

I discepoli avevano circondato Gesù e lo guardavano con ansia. Avrebbe dato il segnale? Che aspettava? Fino a quando avrebbe atteso? Perché tardava, perché invece di alzare la mano e fare un segno al cielo, guardava la terra ai suoi piedi? Lui forse non aveva fretta, ma loro erano poveri, avevano sacrificato tutto, era venuta l'ora di riscuotere la ricompensa per le loro pene.

«Maestro», disse Pietro sovreccitato, «deciditi, dai il segnale!»Gesù, immobile, aveva chiuso gli occhi; il sudore gli imperlava la

fronte. «Il tuo giorno si avvicina, Signore, la fine del mondo è arrivata. Sono io che l'arrecherò, lo so, sono io, ma con la mia morte...» ripeteva dentro di sé; prendeva coraggio.

Giacomo si avvicinò a sua volta. Gli toccò la spalla per fargli aprire gli occhi, lo scosse.

«Se non dai subito il segnale», disse, «siamo perduti. Quel che hai fatto oggi significa morte.»

«Significa morte», aggiunse Tommaso, «e noi non vogliamo morire, sappilo.»

«Morire!» gridarono Filippo e Nataniele. «Ma noi, sia mo venuti qui per essere re!»

Giovanni appoggiò la testa al petto di Gesù. «Maestro», disse, «a che cosa pensi?»

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Ma Gesù lo respinse.«Giuda, vieni vicino a me», disse, e si appoggiò al suo solido braccio.«Coraggio, Maestro», gli mormorò il Rosso. «L'ora è giunta, non

copriamoci dí vergogna.»Giacomo guardò Giuda con odio. Prima il Maestro non gli concedeva

neanche uno sguardo, e ora che cos'erano quei segni di amicizia, quei conciliaboli segreti? Complottavano qualcosa tutti e due... «Che ne dici, Matteo?»

«Io non dico niente; ascolto quello che dite voi, guardo quello che fate voi e scrivo. È questo il mio lavoro.»

Gesù strinse il braccio di Giuda. Per un attimo lo prese la vertigine. Giuda lo sorresse.

«Sei stanco, Maestro?» domandò.«Sì, sono stanco.»«Pensa a Dio per riposarti», disse il Rosso.Gesù si riprese. Si rivolse ai discepoli. «Andiamocene», disse.Ma i discepoli esitavano. Non volevano andare. Andare dove? Di nuovo

a Betania? Fino a quando? Non ne potevano più di andare avanti e indietro.

«Credo che si prenda gioco di noi», disse a bassa voce Nataniele al suo amico. «Io non vado da nessuna parte!»

Ma detto ciò, seguì gli altri discepoli che riprendevano, avviliti, la strada di Betania.

Dietro di loro, i Leviti e i Farisei sghignazzavano. Un Levita giovane, brutto e ingobbito, lanciò un pomodoro che colse in pieno Pietro.

«Bel colpo, Saul», gridarono delle voci, «hai fatto centro!»Pietro avrebbe voluto girarsi, precipitarsi sul Levita, ma Andrea lo

trattenne.«Abbi pazienza, fratello», disse, «verrà il nostro turno.» «Ma quando, Andrea», mormorò Pietro, «quando? Non vedi in che stato

siamo?»Umili, silenziosi, si misero in cammino. La gente che era venuta con

loro si era dispersa imprecando. Nessuno li seguiva più, nessuno posava il suo mantello a terra perché il Maestro potesse passarci sopra. Adesso l'asina la tirava Filippo. Dietro, Nataniele teneva la coda della bestia; avevano fretta tutti e due di renderla al proprietario per non avere fastidi. Il sole bruciava, soffiava un vento caldo, una nuvola di polvere si alzò; soffocavano. Avvicinandosi a Betania videro a un tratto davanti a loro Ba-

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rabba e due suoi amici, due bestioni dall'aria selvaggia e con grandi baffi.«Dove lo portate, il vostro Maestro?» gridò Barabba. «Parola mia, ha

reso l'anima!»«Lo portano da Lazzaro per risuscitarlo!» risposero i compagni scop-

piando a ridere.Quando arrivarono a Betania ed entrarono in casa, trovarono il vecchio

rabbino in agonia. Le donne, inginocchiate al suo capezzale, lo guardavano andarsene, silenziose, immobili. Sapevano che non potevano far niente per fermarlo. Gesù si avvicinò, posò la mano sulla fronte del vecchio. Il rabbi-no sorrise ma non aprì gli occhi.

I discepoli si raccolsero nel cortile, con la bocca amara; tacevano. Gesù fece cenno a Giuda.

«Giuda, fratello, il momento è arrivato. Sei pronto?» «Ancora una volta, Maestro. Perché hai scelto me?» «Tu sei il più forte, lo sai. Gli altri non hanno la forza. Ci sei andato?

Hai parlato col sommo sacerdote Caifa?» «Gli ho parlato. Vuol sapere dove e quando.»«Digli: la notte di Pasqua, dopo il pranzo pasquale, a Getsemani. Fatti

coraggio, Giuda, fratello. Anch'io mi faccio coraggio.»Giuda scosse la testa senza una parola. Uscì in strada e attese che la

luna sorgesse.«Che cosa è successo a Gerusalemme?» domandò la vecchia Salomè ai

suoi figli. «Che avete? Perché non parlate?»«Io credo, madre, che abbiamo costruito sulla sabbia», rispose Giaco-

mo. «Credo che sia finita!»«E il Maestro? E gli splendori? E gli abiti di seta ricamata, e i troni? Mi

ha ingannato allora?» chiedeva la vecchia. Guardava i figli, batteva le mani, ma nessuno le rispondeva.

La luna comparve, malinconica, tutta tonda, sopra le montagne di Moab. Si fermò un attimo sulla cresta della montagna, esitante. Guardò il mondo e bruscamente si decise, si staccò dal monte e prese a salire. Il borgo di Lazzaro, immerso nell'oscurità, sembrò improvvisamente imbian-cato di calce e si mise a brillare, bianchissimo.

Il giorno si levò, i discepoli sì radunarono attorno al Maestro. Lui non parlò, li guardò uno per uno, come se li vedesse per la prima volta, o per l'ultima. Verso mezzogiorno aprì bocca.

«Desidero, compagni, festeggiare con voi la santa Pasqua. È il giorno in cui i nostri antenati sono partiti, lasciandosi dietro la terra della servitù, e

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sono entrati nella libertà del deserto. Anche noi, in questo giorno di Pa-squa, usciamo per la prima volta da un'altra servitù ed entriamo in un'altra libertà. Chi ha orecchie intenda!»

Tutti tacevano. Quelle parole erano oscure, qual era questa nuova liber-tà? Non capivano. Dopo un momento, parlò Pietro.

«Io so una cosa, Maestro. La Pasqua senza agnello non si festeggia. Dove lo troviamo l'agnello?»

Gesù sorrise mestamente.«L'agnello .è pronto, Pietro. In questo momento va lui stesso a farsi

sgozzare perché i poveri del mondo facciano una Pasqua nuova. Non preoccuparti per l'agnello.»

Lazzaro, che rimaneva seduto in un angolo senza parlare, si alzò, posò la mano scheletrica sul petto e disse:

«Maestro, ti devo la vita; e per cattiva che sia, vale sempre di più delle tenebre della morte. Sarò io quindi a portare in dono l'agnello pasquale. Ho un amico pastore sulla montagna, ci vado».

I discepoli lo guardarono stupiti. Dove aveva trovato, quest'uomo mez-zo vivo e mezzo morto, la forza di alzarsi e di arrivare fino alla porta! Le sorelle sì precipitarono su di lui per impedirgli di uscire; ma lui le respinse, prese una canna per appoggiarsi e superò la soglia.

Penetrò nelle stradine del villaggio, le porte si aprivano al suo passag-gio, le donne comparivano, impaurite, e si stupivano che quelle gambe gracili potessero camminare, che quella schiena, curva, non si spezzasse. Lui soffriva,.ma si faceva coraggio e ogni tanto cercava di fischiare per mostrare che era ringiovanito, ma le sue labbra non riuscivano bene a toccarsi. Rinunciò allora a fischiare e, serio, prese a salire il monte, verso il pascolo del suo amico.

Non aveva fatto molta strada che vide davanti a sé Barabba, in mezzo alle ginestre in fiore. Erano tanti giorni che ronzava attorno al villaggio, aspettando che il maledetto risorto mettesse il naso fuori casa, per farlo scomparire e impedire che gli uomini vedendolo pensassero al miracolo. Il figlio di Maria era diventato assai pretenzioso da quando lo aveva risu-scitato; bisognava quindi riprecipitarlo nella tomba, per avere pace!

«Ehi, disertore dell'Inferno!» gli gridò. «Ti ho trovato finalmente. Dimmi, in nome del cielo, te la sei passata bene laggiù? Che cosa è me-glio, la vita o la morte?»

«È lo stesso», rispose Lazzaro. Riprese la strada, ma Barabba allungò il braccio e gli sbarrò il cammino.

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«Scusami, vecchio reduce», disse, «ma arriva la Pasqua, io non ho agnelli e ho giurato a Dio questa mattina di sgozzare come agnello il primo essere vivente che avrei incontrato sul mio cammino, per festeggiare la Pasqua come tutti. Porgi la gola dunque, sei fortunato, sei una vittima per Dio.»

Lazzaro cacciò un urlo. Barabba lo afferrò per la gola, ma si spaventò. Stringeva qualcosa di molle, come cotone; più molle ancora, quasi come aria. Le unghie di Barabba entravano e uscivano, senza che ne venisse una goccia di sangue. «Che sia uno spettro?» pensò, e la sua faccia butterata dal vaiolo si fece smorta.

«Non hai male?» gli chiese.«No», rispose Lazzaro, e gli scivolò tra le dita, per scappare.«Aspetta!» ringhiò Barabba, e lo prese per i capelli. Ma i capelli e la

pelle del cranio gli rimasero in mano. Il cranio di Lazzaro si mise a scintil-lare, giallastro, al sole.

«Maledetto!» mormorò Barabba tremando. «Non sarai un fantasma?» Lo afferrò per il braccio destro e si mise a scuoterlo. «Di' che sei un fantasma e ti lascio.»

Ma mentre lo scuoteva, il braccio di Lazzaro gli rimase in mano. Il terrore s'impadronì di Barabba, gettò tra le ginestre fiorite il braccio putrefatto e sputò per la nausea. La paura gli aveva fatto rizzare i capelli sulla testa. Prese il coltello, aveva fretta di ucciderlo e di farla finita. Lo prese con cautela, per la nuca, gli appoggiò il collo su una pietra per sgoz-zarlo. Tagliava, tagliava, ma il coltello non affondava, era come attaccare una matassa di lana. Il sangue di Barabba si gelò: sto sgozzando un morto? pensò. Attaccò la salita per andarsene, ma lo vide muoversi ancora, e temette che il suo maledetto amico lo trovasse e lo risuscitasse di nuovo. Dominò il panico, lo afferrò per le estremità, come si fa per strizzare un panno bagnato prima di stenderlo, lo torse, poi gli diede una scossa; le vertebre gli si spezzarono, si divise all'altezza della vita in due pezzi; Barabba li nascose sotto i ginestri e fuggì di corsa. Correva, correva, per la prima volta in vita sua aveva paura, non osava girarsi. «Ah», mormorò, «se riesco a entrare a Gerusalemme, a vedere Giacomo, deve darmi un amuleto per scacciare il demonio!»

Nel frattempo, in casa di Lazzaro, Gesù si chinava sui discepoli e si sforzava di far entrare un po' di luce nel loro spirito, perché non si spaven-tassero di quanto stavano per vedere, non fossero presi dalla disperazione.

«Io sono il cammino», disse, «e la casa dove voi siete diretti. Io sono

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anche il viandante e voi mi venite incontro. Abbiate fede in me, non abbiate paura, qualsiasi cosa vediate, io non posso morire. Avete capito? Io non posso morire.»

Giuda era solo in cortile e cavava sassi dal terreno col piede. Gesù volgeva continuamente gli occhi su di lui, lo guardava e sul suo viso si spandeva una tristezza inesprimibile.

«Maestro», disse Giovanni con un tono di rimprovero, «perché lo chiami sempre vicino a te? Se lo guardi in fondo agli occhi, ci vedi un pugnale.»

«No, Giovanni diletto», rispose Gesù, «non un pugnale. Una croce.»I discepoli si guardarono, scossi.«Una croce!» disse Giovanni, appoggiandosi al petto di Gesù.

«Maestro, chi è il crocifisso?»«Chi si china su questi occhi e guarda, vedrà il suo volto sulla croce. Io

mi ci sono chinato e ho visto il mio.» I discepoli non capirono, si misero a ridere.

«Hai fatto bene a dircelo», fece Tommaso. «Non mi chinerò mai sugli occhi del Rosso.»

«Ci si chineranno i tuoi figli e i tuoi nipoti, Tommaso», rispose Gesù, osservando dalla finestra Giuda che ora, sulla porta della strada, guardava verso Gerusalemme.

Matteo si lamentò: «Maestro, le tue parole sono oscure», disse. Da tem-po aveva pronto il suo calamo e non riusciva a capire nulla da poter an-notare. «Le tue parole sono oscure, come vuoi che le scriva sulle mie carte?»

«Io non parlo perché tu scriva, Matteo», rispose Gesù con asprezza. «Hanno ragione a chiamarvi galli, voialtri imbrattacarte. Voi credete che il sole non si alzi se non lo chiamate voi. Mi viene voglia di prendere i tuoi fogli e la tua cannuccia e di buttare tutto nel fuoco!»

Matteo raccolse svelto le sue carte e ritirò la testa nelle spalle. La rabbia di Gesù durava ancora.

«Io dico una cosa, e voi ne scrivete un'altra, e quelli che vi leggono ne capiscono un'altra ancora! Io dico: croce, morte, regno dei cieli, Dio, e voi che cosa capite? Ognuno di voi mette in ognuna di queste parole sacre le sue passioni, i suoi interessi, quello che gli conviene, e la mia parola sparisce, la mia anima si perde, non ne posso più!»

Si alzò, soffocava. D'un tratto si sentì il cuore e lo spirito riempirsi di rabbia.

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I discepoli se ne stettero zitti. Sembrava che il Maestro avesse ancora in mano il pungolo e li colpisse, e che loro fossero buoi indolenti che rifiutavano di muoversi. Il mondo era un carretto, loro vi erano aggiogati, Gesù li pungolava e loro recalcitravano, non si muovevano. Gesù li guar-dava e si sentiva sfinito. Lunga è la strada dalla terra al cielo, e loro rima-nevano immobili.

«Fino a quando mi avrete tra voi?» esclamò. «Quelli tra voi che serbano dentro di sé una domanda importante, si affrettino a interrogarmi. Quelli che hanno una parola tenera da dirmi, me la dicano subito, mi farà bene. Non voglio che abbiate dei rimpianti quando me ne sarò andato né che diciate: 'Ah, non abbiamo avuto il tempo di dirgli una buona parola, non gli abbiamo mai fatto capire quanto l'amavamo!' Allora sarà troppo tardi.»

Le donne, appartate in un angolo, il mento appoggiato alle ginocchia, ascoltavano. Di tanto in tanto sospiravano, almeno loro capivano tutto, ma non potevano dire niente. Improvvisamente Maddalena levò un gridò: ave-va indovinato per prima, il lamento funebre era dentro di lei. Si alzò bru-scamente, entrò nella camera in fondo, cercò il suo guanciale, trovò il fla-cone di cristallo che aveva portato con sé, pieno di profumo di Arabia. Uno del suoi amanti di un tempo glielo aveva regalato, come pagamento dí una notte. Lo portava sempre con sé, da quando seguiva Gesù, e si diceva, l'in-felice: Chi sa, Dio è grande; può darsi che verrà un giorno che potrà im-pregnare di quel profumo la capigliatura dell'amato; può darsi che verrà un giorno che lui accetterà di tenerla accanto a sé e di essere suo sposo. Con questi desideri segreti nascosti nel fondo del suo essere, vedeva adesso la morte dietro il corpo dell'amato; non l'amore ma la morta. E occorrevano anche lì, come per le nozze, profumi. Prese il flacone di cristallo di sotto il guanciale, l'appoggiò al petto e si mise a piangere. Piangeva sommessa-mente, per non essere sentita; teneva il flacone sul seno e lo cullava, come un bambino; poi si asciugò gli occhi, uscì e si gettò ai piedi di Gesù. E prima che lui avesse il tempo di chinarsi per farla alzare, lei aveva spez-zato il cristallo e versato il profumo sui santi piedi. Poi si sciolse i capelli, asciugò piangendo i piedi profumati e, con quello che restava del profumo, impregnò la testa adorata. Subito, poi, si accasciò di nuovo ai piedi del Maestro e si mise a baciarli.

I discepoli erano sconvolti.«Che peccato sprecare un profumo così caro», disse Tommaso il mer-

cante. «Se l'avessimo venduto, avremmo potuto nutrire tanti poveri.»«Curare orfani», disse Nataniele.

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«Comperare dei montoni», disse Filippo.«Brutto segno», mormorò Giovanni sospirando. «Sono le essenze di cui

si profumano i morti ricchi. Non bisognava farlo, Maria. E se la morte sente il suo profumo preferito e viene?»

Gesù sorrise.«I poveri li avrete sempre con voi», disse, «me, no. Che importa che si

sia sciupato per farmi piacere un flacone di profumo? Ci sono dei momenti in cui la Prodigalità sale al cielo e si accomoda accanto alla sua princi-pesca sorella, la Nobiltà. E tu, diletto Giovanni, non affliggerti. La Morte viene sempre. Meglio che venga con i capelli profumati.»

La casa profumava tutta come un ricco sepolcro. Apparve Giuda, gettò un rapido sguardo al Maestro - che avesse rivelato il segreto ai discepoli e loro avessero profumato il moribondo di essenze funerarie? Ma Gesù sor-rise.

«Giuda, fratello», disse, «la rondine in cielo va più in fretta della cerva sulla terra. Più in fretta della rondine va lo spirito dell'uomo. E più in fretta ancora dello spirito dell'uomo va il cuore della donna», e accennò con lo sguardo a Maddalena.

Pietro aprì la bocca.«Abbiamo detto tante cose ma abbiamo dimenticato la più importante:

dove faremo Pasqua a Gerusalemme, Maestro? Io sono dell'idea di andare alla taverna di Simone il Cireneo.»

«Dio ha deciso diversamente», disse Gesù. «Alzati, Pietro, prendi Gio-vanni con te, andate a Gerusalemme. Vedrete un uomo con un orcio sulla spalla, seguitelo. Entrerà in una casa, entrateci anche voi e dite al proprie-tario: il nostro Maestro ti saluta e ti manda a chiedere: `Dove hai preparato la tavola perché io festeggi la Pasqua con i miei discepoli?' Lui risponderà: 'Portate i miei saluti al vostro Maestro; tutto è pronto, che sia il benvenuto!'»

I discepoli si guardarono, pieni di stupore come dei bambini. Pietro spalancò gli occhi.

«Dici sul serio, Maestro? Tutto è pronto? L'agnello, lo spiedo, il vino, tutto?»

«Tutto», rispose Gesù, «andate, abbiate fede. Noi restiamo seduti a di-scutere ma Dio non resta seduto, non discute, lavora per gli uomini.»

In quel momento si sentì un flebile lamento dal fondo della stanza. Tutti si girarono, pieni di vergogna. Avevano dimenticato il vecchio rabbino e la sua agonia. Maddalena accorse, seguita dalle tre donne, poi dai discepoli.

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Gesù pose di nuovo la mano sulla bocca gelata del vecchio. Aprì gli occhi, lo vide e gli sorrise. Agitò la mano e fece segno agli uomini e alle donne di andarsene. Quando furono soli Gesù si chinò e gli baciò la bocca, gli occhi e la fronte. Il vecchio lo guardava nel fondo degli occhi e il suo volto era raggiante.

«Vi ho rivisti», mormorò, «tutti e tre: Elia, Mosè e te. Ora sono sicuro. Me ne vado.»

«Addio, vecchio. Sei soddisfatto?»«Sì. Dammi la mano, perché te la baci.»Prese la mano di Gesù e vi tenne su a lungo le sue labbra di ghiaccio.Lo guardò estasiato, gli disse addio e tacque. Poi, dopoun momento: «Quando verrai anche tu lassù?» gli chiese. «Domani, il

giorno di Pasqua. A presto, vecchio.» Il vecchio rabbino incrociò le mani.«Riprenditi il tuo servitore, Signore», mormorò. «I miei occhi hanno

visto il Salvatore!»

28

Il sole s'era inclinato e scivolava, scarlatto, verso ponente. Dall'altro versante del cielo cominciava a imbiancare. Sarebbe presto apparsa, enor-me, muta, la luna di Pasqua. I raggi del sole, pallidissimi, entravano ancora nella casa, illuminavano obliquamente il viso affilato di Gesù, sfioravano la fronte, il naso, le mani dei discepoli e andavano a carezzare nell'angolo il volto pacificato, gioioso, ormai immortale del vecchio rabbino. Maria era seduta al telaio, ritirata nell'ombra, e nessuno vedeva le lacrime che silenziose le scorrevano lungo le guance, sul mento e sulla tela tessuta a metà. La casa profumava ancora e la punta delle dita di Gesù sapeva di mirra.

A un tratto, mentre erano seduti in silenzio e il cuore di ognuno si fa-ceva sempre più scuro a mano a mano che cadeva la notte, una rondine entrò dalla finestra; fendendo l'aria volteggiò tre volte sopra le loro teste con un gorgheggio festoso, si volse verso la luce e ripartì come una frec-cia. Tutti ebbero appena il tempo di scorgere le sue ali appuntite, il suo ventre bianco.

Come se avesse compreso questo segno segreto, Gesù si alzò.«È l'ora», disse.Con lo sguardo abbracciò lentamente il camino, gli attrezzi da lavoro,

gli utensili della casa, la lampada, l'orcio, il telaio, poi le quattro donne, la

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vecchia Salomè, Marta, Maddalena, Maria. E per ultimo il vecchio tutto bianco che era entrato nell'immortalità.

«Addio», disse, scuotendo la mano.Nessuna delle tre donne poté rispondergli. Solo la vecchia Salomè gli

disse: «Non guardarci così, figlio mio. Sembra che ci dici addio per sem-pre».

«Addio», disse di nuovo Gesù, e si avvicinò alle donne. Pose la mano sui capelli di Maddalena, poi su quelli di Marta. Maria si alzò, si avvicinò e chinò la testa. Era come se le benedicesse, come se le stringesse tra le braccia, come se le portasse con sé per l'ultima volta. E improvvisamente tutt'e tre si sciolsero in un lamento.

Uscirono in cortile. Dietro Gesù venivano i discepoli. Un caprifoglio era fiorito sul muro del cortile, sopra il pozzo. Ora che era giunta la notte, il suo profumo si spandeva. Gesù allungò la mano, colse un fiore e lo portò alle labbra. «Che Dio mi dia la forza», pregò nel fondo del cuore, «che Dio mi dia la forza di tenere tra i denti questo fiore delicato e negli spasimi della crocifissione di non morderlo!»

Giunto alla porta della strada, sulla soglia, si fermò ancora. Alzò la mano e gridò con voce profonda:

«Donne, donne, addio!»Nessuna di loro gli rispose. Il loro lamento echeggiò nel cortile.Gesù prese la testa del corteo che si mise in cammino verso Gerusalem-

me. La luna piena si stagliava sopra i monti di Moab, il sole scendeva dietro le montagne della Giudea. Per un attimo questi due grandi gioielli del cielo si fermarono e si guardarono. Poi uno prese a salire, l'altro si oscurò.

Gesù fece cenno a Giuda, che venne a metterglisi al fianco. Dovevano avere dei segreti da dirsi, parlavano bisbigliando, e ora era Gesù ad abbas-sare la testa, ora Giuda. Pesavano le parole, aspettavano ciascuno la rispo-sta dell'altro.

«Perdonami, Giuda, fratello», diceva Gesù, «ma è necessario!»«Maestro, te l'ho già chiesto, ma non c'è altra via?»«No, Giuda, fratello. Anch'io l'avrei desiderato; finora anch'io lo spera-

vo e attendevo. Invano. No, non c'è altra via. La fine del mondo è arrivata, la fine di questo mondo che è il regno del Maligno. Il regno dei cicli arriva e sarò io a portarlo. Come? Con la mia morte. Non esiste altra via. Non abbatterti, Giuda, fratello mio, dopo tre giorni risorgerò.»

«Lo dici per consolarmi, per costringermi a tradirti senza che il mio

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cuore si laceri. No, più si avvicina l'istante terribile, no, non ne ho la forza, maestro.»

«Ce l'hai, Giuda, fratello. Dio ti darà la forza, quella che ti manca, perché è necessario. È necessario che io sia ucciso e che tu mi tradisca. Noi due dobbiamo salvare il mondo. Aiutami.»

Giuda chinò il capo, poi, dopo un momento disse:«Se dovessi tradire tu il tuo maestro, lo faresti?»Gesù restò a lungo pensoso. Finalmente rispose:«No, ho paura di no; non potrei. Perché Dio ha avuto pietà di me e mi

ha dato il compito più facile: quello di farmi crocifiggere».Gesù l'aveva preso per il braccio; gli parlava dolcemente, come per

sedurlo.«Non lasciarmi solo, aiutami. Non hai parlato con il sommo sacerdote

Caifa? I servitori del Tempio che devono arrestarmi non sono pronti, armati? Non si compirà tutto come abbiamo convenuto, Giuda, fratello? Festeggiamo dunque la Pasqua questa sera tutti assieme e io ti farò il se-gnale perché ti alzi e vada a cercarli. Saranno tre giorni funesti, passeranno come un lampo. E ci riuniremo e danzeremo tutti assieme il terzo giorno, il giorno della resurrezione!»

«E gli altri lo sapranno?» chiese Giuda indicando col pollice dietro di sé il gregge dei discepoli.

«Glielo dirò questa sera, perché non facciamo resistenza ai soldati e ai Leviti che verranno a prendermi.»

Giuda torse le labbra con disprezzo.«Resistenza loro?» disse. «Dove li hai trovati, Maestro? Sono uno più

pauroso dell'altro.»Gesù chinò il capo senza rispondere.La luna saliva nel cielo, si riversava sulla terra, lambiva le pietre, gli al-

beri, gli uomini. I discepoli parlavano e discutevano. Chi si leccava le lab-bra al pensiero delle tavole imbandite, chi, preoccupato, citava le parole ambigue del Maestro. E Tommaso pensò al povero vecchio rabbino.

«Un altro che se n'è andato», disse. «Tocca a noi adesso!» «Che? Mo-riamo anche noi?» disse Nataniele, spaventato. «Non abbiamo detto che stiamo andando verso l'immortalità?»

«Sì, ma dobbiamo prima passare per la morte, a quanto pare», gli spiegò Tommaso.

Nataniele scosse il suo testone e mormorò:«Prendiamo una brutta strada per l'immortalità. Avremo dei fastidi

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laggiù, tra i morti, ricordatevi quello che vi dico!»Ora Gerusalemme si levava davanti a loro contro il cielo, inondata dalla

luna, tutta bianca e trasparente come un fantasma. Sembrava che le case si fossero staccate nella luce della luna e si librassero nell'aria.

Alla porta orientale c'erano Pietro e Giovanni ad attenderli. Sotto i raggi della luna i loro visi scintillavano. Felici, corsero loro incontro.

«È avvenuto tutto come hai detto tu, Maestro. Le tavole sono apparec-chiate. Entra, andiamo a mangiare!»

«Il padrone di casa, poi», disse Giovanni ridendo, «ha preparato tutto ed è scomparso.»

Gesù sorrise.«È questa la suprema ospitalità», disse, «che l'ospite scompaia.»Affrettarono tutti il passo. Le strade erano piene di gente, di lanterne

accese e di mirto. Dietro le porte chiuse risuonava, trionfale, il salmo della Pasqua:

Quando Israele uscì d'Egitto,Quando la casa di Giacobbe si liberò dei barbari,Il mare vide e fuggì,Il Giordano risalì il suo corso,I monti saltarono come montoniE le colline come agnelli.Che hai, mare, da ritirarti,E tu, Giordano, da scorrere a ritroso?Che avete da saltare come montoni, montiE voi, colline, come agnelli?Trema davanti al Signore, o Terra.Davanti al Dio d'Israele.Egli tocca la roccia e la roccia si trasforma in lago,E la pietra getta acqua fresca!

I discepoli passarono, intonarono anche loro il salmo pasquale e lo can-tavano con Pietro e Giovanni in testa che li guidavano. Tranne Gesù e Giu-da, avevano tutti dimenticato le loro preoccupazioni le loro paure e si affrettavano verso le tavole imbandite.

Pietro e Giovanni si fermarono. Spinsero una porta segnata col sangue dell'agnello sacrificato ed entrarono, seguiti da Gesù e dalla scorta affama-ta. Attraversarono il cortile, salirono una scala di pietra, arrivarono al pia-

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no. Le tavole erano apparecchiate, e tre candelieri a sette braccia illumina-vano l'agnello, il vino, il pane azzimo. E anche i bastoni, che essi doveva-no tenere vicino mangiando, come pronti per un lungo viaggio.

«Siamo felici di trovarti», disse Gesù. Alzò la mano e benedisse l'ospite invisibile.

I discepoli risero.«Chi saluti, Maestro?»«L'invisibile», rispose Gesù, e li fissò severo.Cinse un ampio telo, prese una brocca d'acqua, s'inginocchiò, cominciò

a lavare i piedi ai discepoli.«Maestro, non permetterò mai che tu mi lavi i piedi!» protestò Pietro.«Pietro, se io non ti lavo i piedi tu non entrerai mai con me nel regno

dei cicli.»«Allora puoi lavarmi non soltanto i piedi ma anche le mani e la testa»,

rispose Pietro.Si misero a tavola. Avevano fame, ma nessuno osava allungare la mano

per mangiare. Il viso del Maestro era severo, e le sue labbra avevano una piega amara. Gesù guardò i discepoli a uno a uno, Pietro alla sua destra, Giovanni alla sua sinistra, tutti. E di fronte a sé il suo complice dal volto rude e grave, dalla barba rossa.

«Prima di tutto», disse, «beviamo acqua salata per ricordarci delle lacrime che hanno versato i nostri padri nella terra della schiavitù.» Prese la brocca piena di acqua salata, riempì per primo, fino all'orlo, il bicchiere di Giuda, poi versò qualche goccia nei bicchieri degli altri e infine riempì il suo.

«Ricordiamoci delle lacrime, della sofferenza, della lotta che l'uomo conduce per la sua libertà», disse, e vuotò d'un fiato il suo bicchiere pieno.

Anche gli altri bevvero, facendo delle smorfie. Giuda bevve il suo bicchiere d'un fiato. Poi lo mostrò a Gesù e lo rovesciò. Non ce n'era più neppure una goccia.

Gesù gli disse sorridendo: «Tu sei un coraggioso, Giuda. Tu sai soppor-tare la più grande amarezza».

Prese il pane azzimo, lo divise. Poi distribuì l'agnello. Ognuno tese la mano e mise sulla sua porzione le erbe amare imposte dalla Legge: l'ori-gano, il lauro. Poi versarono sulla carne un sugo rosso in ricordo dei rossi mattoni che gli antenati fabbricavano durante la cattività. Mangiarono rapidamente, come ordina la Legge, e ognuno di loro stringeva in mano il bastone e teneva un piede sollevato, per essere pronto a partire.

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Gesù li guardava mangiare, ma non mangiava. Teneva anche lui il bastone e aveva sollevato il piede destro, pronto al grande viaggio. Tutti ta-cevano. Si sentivano solo le mascelle che macinavano, le lingue che lecca-vano le ossa, i bicchieri di vino che si toccavano. Attraverso il lucernario, sopra di loro, entrava la luna. Metà delle tavole erano immerse nella luce, l'altra metà rimanevano in una penombra violetta.

Dopo un profondo silenzio, Gesù parlò:«Miei fedeli compagni di strada, Pasqua significa passaggio. Passaggio

dalle tenebre alla luce, dalla schiavitù alla libertà. Ma la Pasqua che cele-briamo questa sera porta ancora più lontano. La Pasqua di questa sera vuol dire: passaggio dalla morte all'immortalità. Io vado avanti, compagni, e vi apro la via».

Pietro sussultò.«Maestro», disse, «ancora una volta parli di morte. Ancora una volta le

tue parole sono come un pugnale a due lame. Se qualcosa ti minaccia, parla francamente. Noi siamo i tuoi uomini.»

«È vero, le tue parole sono più amare di queste erbe amare, Maestro», disse Giovanni. «Abbi pietà di noi, parlaci chiaramente.»

Gesù prese la sua parte di pane rimasta intatta e la divise in bocconi tra i discepoli.

«Prendete e mangiate», disse, «questo è il mio corpo.»Prese poi il suo bicchiere pieno di vino e lo fece girare di bocca in

bocca. Ne bevvero tutti.«Prendete e bevete», disse, «questo è il mio sangue.»I discepoli mangiarono tutti un boccone di pane, bevvero un sorso di vi-

no, e il loro spirito vacillò. Il vino sembrava denso, come sangue, e il boc-cone di pane scese dentro di loro come un carbone ardente. All'improvviso sentirono tutti con terrore che Gesù metteva radici dentro di loro e divorava le loro interiora. Pietro appoggiò i gomiti alla tavola e si mise a piangere. Giovanni si appoggiò al petto di Gesù. Balbettò:

«Tu vuoi partire, Maestro, tu vuoi partire... partire...» Non riusciva a dire null'altro.

«Non andrai da nessuna parte!» gridò Andrea. «L'altroieri hai detto: 'Chi non ha un coltello venda il suo abito per comperarne uno!' Noi vende-remo i nostri vestiti, ci armeremo, e che la Morte venga a toccarti, se ha il coraggio!»

«Voi mi abbandonerete tutti», disse Gesù pacatamente. «Tutti.»«Io mai!» urlò Pietro asciugandosi le lacrime. «Mai!»

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«Pietro, Pietro, prima che il gallo canti tu mi rinnegherai tre volte.»«Io? Io?» gemette Pietro battendosi il petto con i pugni. «Io ti rinneghe-

rò? Io sarò con te fino alla morte.»«Fino alla morte!» ripeterono tutti i discepoli, esaltati, e si alzarono tutti

assieme.«Sedete», disse con calma Gesù, «non è ancora l'ora. In questo giorno

di Pasqua devo confidarvi un grande segreto. Aprite il vostro spirito, aprite i vostri cuori, non vi spaventate!»

«Parla, Maestro», mormorò Giovanni. Il suo cuore tremava come una foglia di canna.

«Avete finito di mangiare? Non avete più fame? Il corpo è sazio? Può finalmente lasciare che la vostra anima ascolti tranquillamente?»

Pendevano tutti dalle labbra di Gesù, tremanti.«Compagni diletti», esclamò, «addio, io parto!»I discepoli lanciarono un grido. Si gettarono su Gesù per impedirgli di

partire. Molti piangevano. Ma Gesù si volse tranquillamente a Matteo.«Matteo», disse, «tu conosci a memoria le Scritture. Alzati e recita a

voce alta le parole profetiche di Isaia, perché il loro cuore si rinforzi. Le ricordi?

«'S'è levato davanti agli occhi del Signore come un fragile alberello...'»Matteo s'illuminò, si alzò in piedi di scatto. Era gobbo, storto, avvizzito,

le sue dita lunghe e magre erano sempre sporche di inchiostro. Ma improv-visamente, inesplicabilmente, la gobba sparì, le guance gli si fecero lisce, il collo gli si raddrizzò e si sentirono risuonare lungo le alte pareti della stanza, piene di forza e di tristezza, le parole del Profeta:

S'è levato davanti agli occhi del Signore come un fragile alberello.Che sorge dalla terra disseccata.Non aveva né bellezza né splendore perché gli sguardi si volgessero a lui;Il suo viso non aveva nulla per piacerci,Disprezzato, abbandonato dagli uomini,Anima dolente, tormentata,Abbiamo rivolto altrove i nostri occhi e l'abbiamo disprezzato.Eppure egli ha preso su di sé tutte le nostre sofferenze.È stato ferito dalle nostre colpe,È stato schiacciato dalle nostre iniquità,E le sue piaghe ci hanno guarito.

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L'hanno flagellato, torturato.E lui non ha aperto bocca,Come l'agnello che si conduce al mattatoio,Non ha aperto bocca.«Basta», disse Gesù. Sospirò. Si volse ai compagni.«Sono io», disse pacatamente, «è di me che parla il profeta Isaia, sono

io l'agnello; mi portano al mattatoio e io non aprirò bocca.»Tacque, poi dopo qualche istante aggiunse:«Dal giorno in cui sono nato mi portano al mattatoio».Confusi, sgomenti, i discepoli lo guardavano. Si sforzavano di com-

prendere più di quanto avesse detto. E a un tratto, tutti assieme, piegarono la testa sulla tavola e si misero a lamentarsi.

Per un momento anche il cuore di Gesù tremò. Come poteva lasciare i suoi compagni piangenti e andarsene? Alzò gli occhi, vide Giuda. Ma quello mantenne per un lungo momento gli occhi azzurri e duri fissi su Gesù. Aveva indovinato quello che succedeva dentro di lui, aveva capito che l'amore poteva paralizzare la sua forza. Lo spazio di un lampo, i due sguardi si incontrarono e lottarono. Uno era severo, spietato, l'altro suppli-ce e desolato. Lo spazio di un lampo, e subito Gesù scosse la testa, fece un sorriso amaro e si girò nuovamente verso i discepoli.

«Perché piangete?» disse. «Perché temete il più compassionevole degli arcangeli di Dio, quello che ama più gli uomini, la morte? È necessario che io sia martirizzato, crocifisso, che discenda tra i morti. Ma dopo tre giorni mi leverò dal mio sepolcro, salirò al cielo e siederò alla destra del Padre.»

«Ci lascerai ancora?» gridò Giovanni in lacrime. «Portami con te tra i morti e in cielo, Maestro.»

«Il compito è pesante anche sulla terra, Giovanni diletto, bisogna che restiate per rimanere qui sulla terra. Combattete nel mondo, amate, atten-dete, e io tornerò!»

Ma Giacomo s'era già familiarizzato con l'idea della morte del Maestro e pensava a quello che avrebbero dovuto fare quando fossero rimasti sulla terra senza di lui.

«Non possiamo opporci alla volontà di Dio, né alla volontà del Maestro. E tuo dovere, Maestro, morire come dicono i profeti, il dovere nostro è vivere. Perché le parole che tu hai pronunciato non vadano perdute, occorre che le fissiamo in Sacre Scritture nuove, che facciamo delle leggi, che costruiamo le nostre sinagoghe, che scegliamo i nostri sommi sacer-doti, i nostri Scribi e i nostri Farisei.»

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Gesù si sentì sgomento.«Tu crocifiggi lo spirito, Giacomo», esclamò. «No, non voglio!»«Solo così potremo impedire allo spirito di farsi vento e di andarsene»,

rispose Giacomo.«Ma non sarà più libero, non sarà più spirito!»«Non importa. Somiglierà allo spirito. Per il nostro lavoro è sufficiente,

Maestro.»Un sudore freddo inondò Gesù. Lanciò un rapido sguardo ai discepoli,

ma nessuno alzò la testa per partecipare alla discussione. Pietro guardò il figlio di Zebedeo con ammirazione. «Lui sì che ha la testa sulle spalle, lui ha preso il suo verso sulle barche del padre, che comandava. Ora, vedrete, metterà in riga anche il Maestro...»

Disperato, Gesù tese le mani come per chiedere aiuto.«Vi manderò lo Spirito Santo», disse, «lo spirito di verità. Lui vi guide-

rà.» «Mandaci presto lo Spirito Santo», gridò Giovanni, perché non ci smarriamo, perché non ti perdiamo, Maestro.»

Giacomo scosse la testa, duro e ostinato.«Questo spirito di verità di cui parli, anche questo spirito sarà crocifis-

so. Finché esisteranno gli uomini, Maestro, lo spirito sarà crocifisso, sap-pilo. Ma non importa. Resta sempre qualcosa e quel poco ci basta, te l'ho detto.»

«Non basta a me!» esclamò Gesù disperato.Giacomo fu sconvolto nell'udire quel grido doloroso. Si avvicinò e pre-

se la mano del Maestro:«Non ti basta, ed è per questo che ti crocifiggono. Perdonami se ti ho

contraddetto».Gesù posò la mano su quella testa ostinata.«Se è volontà di Dio che eternamente lo spinto sia crocifisso sulla terra,

sia benedetta la croce. Portiamola sulle spalle con amore, con pazienza, con fiducia. Un giorno, sulle nostre spalle, si tramuterà in un paio di ali.»

Tacquero. Ora la luna era alta nel cielo. Una luminosità funerea s'era sparsa sulle tavole. Gesù unì le mani.

«Il giorno è finito», disse. «Quello che dovevo fare l'ho fatto; quello che dovevo dire l'ho detto. Ho fatto il mio dovere, penso. Unisco le mani.»

Poi fece cenno a Giuda di fronte a lui. Quello si alzò, si strinse la cintura di cuoio, impugnò il nodoso bastone. Gesù gli fece un gesto con la mano, come per dirgli addio.

«Questa sera andiamo a pregare sotto gli olivi del Getsemani, di là dalla

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valle del Cedron. Va', in grazia di Dio, e che Dio sia con te, Giuda, fratello.»

Giuda aprì la bocca, avrebbe voluto dire qualcosa, ma ci ripensò. La porta era aperta, si precipitò fuori. Si sentirono i suoi piedi scendere pesan-ti la scala di pietra.

«Dove va?» chiese Pietro preoccupato. Fece per alzarsi per seguirlo, ma Gesù lo trattenne.

«La mano di Dio è in cammino», disse, «non metterti sulla sua strada.»Il vento s'era levato, le fiamme dei candelieri a sette braccia oscillarono.

A un tratto un colpo di vento violento soffiò e le spense. La luna tutta intera entrò nella stanza. Nataniele ebbe paura, si chinò verso l'amico.

«Non è vento questo, Filippo. È entrato qualcuno. Dio mio, e se fosse la morte?» «E anche se fosse lei, che potrebbe farti?» gli rispose il pastore. «Non viene per noi!»

Batté la mano sulla schiena dell'amico, che non riusciva a riprendersi.«Le grandi tempeste sono per i grandi bastimenti», disse. «Noi siamo

barchette, gusci di noce, sia lodato Iddio!»La luna si era impossessata del viso di Gesù e l'aveva divorato. Non

rimanevano di lui che due occhi nerissimi. Giovanni ebbe timore. Tese furtivo la mano verso il volto del Maestro, per vedere se era ancora lì.

«Maestro», mormorò, «dove sei?»«Non me ne sono ancora andato, Giovanni diletto», rispose Gesù. «So-

no scomparso per un attimo perché pensavo a una cosa che mi disse un giorno un asceta sulla montagna santa del Carmelo. 'Ero', mi disse, 'im-merso nei cinque trogoli del mio corpo, come un maiale.' 'E come li sei liberato, padre mio?' gli ho chiesto. 'Hai lottato a lungo?' E lui mi ha risposto: 'Per nulla. Un mattino ho visto un mandorlo in fiore e sono stato liberato'. Un mandorlo in fiore, Giovanni diletto, ecco come stasera, per un attimo, mi è apparsa la morte.»

Si alzò.«Andiamo», disse, «è giunta l'ora.»Gesù precedeva, i discepoli venivano dietro, pensierosi.«Andiamocene», disse sottovoce Nataniele al suo amico. «Sento puzza

di complicazioni.»«Ci stavo pensando», rispose Filippo, «ma portiamoci anche Tomma-

so.»Cercarono Tommaso al chiaro di luna, ma quello se l'era già svignata tra

i vicoli. Rimasero tutti e due indietro e, al momento di entrare nella valle

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del Cedron, si lasciarono distanziare dagli altri, poi si misero le gambe in spalla.

Gesù discese con quelli che restavano nella valle del Cedron, risalì dall'altro versante, prese il sentiero che portava all'orto del Getsemani. Quante volte avevano passato la notte sotto quegli olivi antichi, parlando della misericordia di Dio e delle iniquità degli uomini!

Si fermarono. Quella sera i discepoli avevano mangiato e bevuto abbon-dantemente, avevano sonno. Smossero la terra con i piedi, si sistemarono per dormire.

«Ne mancano tre», disse il Maestro cercando attorno a sé. «Che cosa gli sarà successo?» «Sono scappati...» rispose Andrea in collera.

Ma Gesù sorrise. Disse:«Non giudicarli, Andrea. Un giorno, vedrai, torneranno tutti e tre, e

ognuno di loro porterà una corona, la più regale delle corone, fatta di spine e di semprevivi!» Poi si accostò a un olivo, sentendosi d'improvviso stanchissimo.

I discepoli erano già coricati. Avevano trovato delle grandi pietre da usare per guanciale, si erano messi comodi.

«Vieni a sdraiarti tra noi, Maestro», disse Pietro sbadigliando. «Andrea farà la guardia.»

Gesù si staccò dall'albero.«Pietro, Giacomo, Giovanni», disse, «venite con me.»La sua voce era piena di tristezza e di autorità.Pietro fece il sordo, si stirò, a terra, sbadigliò di nuovo. Ma i due figli di

Zebedeo lo presero per le braccia e lo trascinarono.«Andiamo», dissero, «non ti vergogni?»Pietro si avvicinò al fratello:«Andrea, non si sa che cosa può succedere; dammi il tuo coltello».Gesù camminava davanti; uscirono di sotto gli olivi e arrivarono a una

radura. Gerusalemme scintillava davanti a loro, vestita di luna, tutta bian-ca. Sopra la loro testa un cielo di latte, neppure una stella, e la luna piena, che avevano visto levarsi prima, precoce, era adesso sospesa nel mezzo del cielo, e immobile.

«Padre», mormorò Gesù, «Padre che sei nei cicli, Padre che sei sulla terra, il mondo che tu hai creato e che noi vediamo è bello, e il mondo che noi non vediamo è bello. Non so, perdonami, non so, Padre, quale dei due è più bello.»

Si chinò, prese una manciata di terra, la respirò. L'odore penetrò profon-

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damente nel suo corpo. Dovevano esserci nelle vicinanze dei lentischi, la terra odorava di resina e miele. Se l'appoggiò sulla guancia, sul collo, sulle labbra.

«Che profumo», mormorò, «che calore, che fraternità!»Le lacrime lo presero. Strinse la terra nella mano e non avrebbe più

.voluto separarsene. Mormorò:«Entreremo assieme, sorella mia, assieme, nella morte. Non ho altra

compagnia». «Non ne posso più», disse Pietro sfinito. «Dove ci porta? Non ho intenzione di andare oltre. Io mi corico qui.»

Ma mentre cercava attorno a sé un incavo comodo per stendersi, vide Gesù venire lentamente verso di loro. Subito si ringagliardì e gli si avviò incontro.

«Maestro», disse, «presto sarà mezzanotte. Qui si sta bene per sdraiar-si.»

«Figli miei», disse Gesù, «la mia anima è profondamente triste. Tornate a stendervi sotto gli alberi, io rimango qui allo scoperto per pregare. Ve ne supplico, non dormite. Vegliate, pregate con me questa sera. Figli miei, aiutatemi a passare quest'ora così difficile.»

Volse il viso verso Gerusalemme.«Andate», disse, «lasciatemi solo.»I discepoli si allontanarono un po' e si rannicchiarono sotto gli olivi.

Gesù si gettò a terra, le labbra incollate al suolo. Il suo spirito, il suo cuore, le sue labbra non si staccavano dalla terra. Erano diventati terra.

«Padre», mormorò, «Padre, sto bene qui, terra contro terra, lasciami così. Il calice che mi dai da bere è amaro, troppo amaro, non ne posso più... Se è possibile, Padre, allontanamelo dalle labbra.»

Tacque. Rimase in ascolto, cercando di sentire nella notte la voce del Padre. Aveva chiuso gli occhi, chi sa, Dio è buono; forse verrà dentro di lui il Padre, gli sorriderà con compassione, gli farà un cenno. Attese, attese tremando. Non sentì niente, non vide niente. Si guardò attorno, era solo. Ebbe paura, si alzò, si mosse per ritrovare i suoi compagni, per farsi forza. Li trovò tutti e tre addormentati. Toccò Pietro col piede, poi Giovanni, poi Giacomo.

«Non vi vergognate?» disse con tristezza. «Non avete la forza di pre-gare un po' con me?»

«Maestro», disse Pietro, che non riusciva a tenere gli occhi aperti, «Maestro, l'anima è pronta ma la carne è debole, perdonaci.»

Gesù tornò nella radura e cadde in ginocchio sulle pietre.

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«Padre», esclamò ancora, «il calice che mi tendi è amaro, troppo amaro. Allontanamelo dalle labbra.»

L'aveva appena detto che vide alla luce della luna, su di lui, un angelo dal volto pallidissimo, severo, che scendeva. Le sue ali erano fatte di luna e teneva tra le mani un calice d'argento. Gesù nascose la faccia tra le mani e crollò a terra.

«È questa la tua risposta, Padre? Non hai dunque pietà?»Attese un po'. Pian piano aprì le dita per vedere se l'angelo era ancora su

di lui. Era sceso ancora più giù; il calice ora toccava le sue labbra. Lanciò un grido, allargò le braccia e cadde a terra riverso.

Quando tornò in sé, la luna s'era spostata di un cubito nel cielo e l'ange-lo si era dissolto nel chiarore. Lontano, sulla strada di Gerusalemme, erano comparse, sparse, delle luci che si muovevano, come di torce accese. Si avvicinavano? Si allontanavano? Dove andavano? La paura lo prese di nuovo assieme al desiderio di vedere degli uomini, di sentire delle voci umane, di toccare delle mani amate. Partì di corsa alla ricerca dei suoi compagni.

Dormivano ancora tutti e tre e i loro visi fluttuavano, inondati dalla luna, sereni. Giovanni aveva preso per guanciale la spalla di Pietro e Pietro il petto di Giacomo, che aveva appoggiato la sua testa nera e riccioluta su una pietra; dormiva a braccia spalancate sotto il cielo. E si vedevano i suoi denti brillare tra i baffi e la barba corvina. Doveva star facendo un bel sogno, rideva. Gesù ebbe pietà di loro e stavolta non li scosse per svegliar-li; tornò sui suoi passi in punta di piedi. Ricadde faccia a terra e si mise a piangere.

«Padre», disse a voce bassissima, come se volesse che Dio non l'udisse, «Padre, sia fatta non la mia volontà ma la tua, Padre.»

Si alzò, guardò di nuovo verso la strada di Gerusalemme. Le luci si era-no fatte più vicine; si vedevano con chiarezza le ombre che si agitavano attorno a esse e delle armature che mandavano lampi.

«Vengono... Vengono», mormorò Gesù e le ginocchia cedettero sotto di lui. E proprio in quel momento, su un giovane cipresso, venne a posarsi un usignolo. Gonfiò la gola: la luna piena, i profumi della primavera, la notte calda e umida lo avevano inebriato, e un Dio onnipotente era entrato in lui, lo stesso Dio che aveva creato il cielo e la terra e le anime degli uomini, e si mise a cantare. Gesù aveva sollevato la testa, l'ascoltava. Questo Dio sarebbe il vero Dio degli uomini, quello che ama la terra e la fragile gola degli uccelli. Sentì sorgere dentro di sé, dal fondo delle sue viscere, un

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altro usignolo, che rispose al richiamo del primo e si mise a sua volta a cantare le pene eterne e le eterne gioie, Dio, l'amore, la speranza...

L'usignolo cantava e Gesù tremava. Non sapeva di avere dentro di sé tante ricchezze, tante gioie e tante colpe, invisibili e dolcissime. Le sue viscere fiorirono, l'usignolo svolazzava tra i rami e non poteva più, non voleva più andarsene. Dove andare? Perché partire? Il Paradiso è su questa terra... E mentre Gesù ascoltava il canto dei due uccelli ed entrava senza spogliarsi del corpo, in Paradiso, udì delle voci roche; le torce accese si avvicinarono, le armature di bronzo lo sovrastarono, e nel mezzo delle fiamme e del fumo - gli parve di scorgere Giuda - due solide braccia lo af-ferrarono e una barba rossastra gli punse il volto. Gli sembrò per un attimo di aver lanciato un grido e perso conoscenza. Ma aveva avuto il tempo di sentire l'alito forte di Giuda, che aveva incollato la bocca alla sua, e di sentire il suono della sua voce rauca, disperata:

«Ti saluto, Maestro».La luna stava per raggiungere le montagne lattiginose della Giudea.

Una brezza gelida si levò, le unghie e le labbra di Gesù si fecero blu; Gerusalemme si levava sotto la luna cieca e smorta.

Gesù si girò, vide i soldati e i Leviti.«Inviati di Dio, siate i benvenuti», disse, «andiamo!»Per un attimo vide in mezzo alla ressa Pietro che aveva tirato fuori il

coltello per tagliare l'orecchio di un Levita.«Rinfodera il tuo coltello», ordinò. «Se rispondiamo al pugnale col

pugnale, quando, nel mondo, cesseranno i massacri?»

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Gesù fu afferrato tra i clamori. Lo trascinarono sulle pietre tra i cipressi e gli olivi, lo fecero scendere nella valle del Cedron, entrarono a Geru-salemme e arrivarono al palazzo di Caifa. Là s'era riunito il sinedrio e aspettava il ribelle per giudicarlo.

Faceva freddo, i servi avevano acceso dei fuochi nel cortile e si scal-davano. A intervalli regolari dei Leviti uscivano dal palazzo portando le novità. Quello di cui l'accusavano i testimoni faceva drizzare i capelli sulla testa, le bestemmie che il maledetto aveva pronunciato contro il Dio d'Israele, contro la Legge d'Israele, contro il Santo Tempio, le minacce di distruggerlo e di versare sale sulle rovine.

Con la testa tra le spalle, Pietro s'infilò nel cortile. Le mani tese verso il

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fuoco, si scaldava e ascoltava, tremante, le notizie. Una serva che passava lo vide e si fermò.

«Ehi, tu, vecchio», disse, «perché ti nascondi? Alza la testa, fatti vedere. Anche tu eri con lui, mi sembra.»

Qualcuno dei Leviti aveva sentito quelle parole; si avvicinarono. Pietro ebbe paura, alzò la mano e disse: «Giuro che non conosco quell'uomo!» Poi si diresse verso la porta.

Un'altra serva passò, e lo vide nel momento in cui stava per uscire.«Ehi, vecchio, dove vai? Eri anche tu con lui, ti ho visto.»«Non conosco quell'uomo!» esclamò di nuovo Pietro; scansò la ragazza

e passò. Ma sulla soglia due Leviti si fermarono. Lo afferrarono per le spalle scuotendolo. «Il tuo accento ti tradisce», gli gridarono, «tu sei Galileo e suo discepolo.»

Allora Pietro si mise a imprecare e a maledire e a gridare:«Non conosco quell'uomo!»In quel momento il gallo del cortile cantò. Pietro tacque di colpo. Gli

erano tornate alla memoria le parole del Maestro: «Pietro, Pietro, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte...!» Uscì dal palazzo, si pro-strò a terra e si sciolse in lacrime.

Il giorno si levava. Il cielo divenne scarlatto, pieno di sangue. Un Levi-ta, pallido, si precipitò, sconvolto, fuori dalla sala del Consiglio.

«Il sommo sacerdote si straccia le vesti. Il criminale ha detto: 'Io sono Gesù, il figlio di Dio!' Tutti gli anziani sono balzati in piedi e si laceravano le vesti gridando: 'A morte! A morte!'»

Uscì un altro Levita:«Ora lo portano da Pilato. Lui solo ha il diritto di farlo uccidere.

Scansatevi, lasciatelo passare. Aprite le porte».Le porte si aprirono, i signori di Israele avanzarono e alla loro testa, a

passi lenti, congestionato, il sommo sacerdote, Caifa. Dietro di lui - una folla di barbe, di occhi scaltri e malvagi, di bocche sdentate, di lingue perfide - venivano gli Anziani. I loro corpi fumavano, fremevano dalla rab-bia. Dietro di loro, Gesù, calmo, afflitto, la testa sanguinante poiché l'ave-vano colpito. Nel cortile si levarono urla, risate, bestemmie. Pietro si scos-se, si appoggiò allo stipite della porta d'entrata, le lacrime gli scorsero lungo il viso. Mormorò: «Pietro, Pietro, vigliacco, bugiardo, traditore! Balza avanti e grida: sono dei suoi! anche se dovessero ucciderti». Si fece coraggio, ma il corpo inerte si appoggiò allo stipite e tremò. Sulla soglia Gesù incespicò; allungò il braccio per un appiglio e si aggrappò alla spalla

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di Pietro. Pietro si irrigidì, spaventato, ma non un suono gli uscì dalle labbra e non fece un gesto. Sentiva la mano del Maestro aggrappata a lui, che non lo lasciava. Non era ancora giorno pieno, appena un crepuscolo azzurrino, e Gesù non si volse a vedere dove s'era appoggiato per non cadere. Ritrovato l'equilibrio, riprese il cammino dietro gli Anziani, in mezzo ai soldati, in direzione della Torre di Pilato.

Pilato si era svegliato, lavato, cosparso di oli aromatici, e camminava avanti e indietro sulla alta terrazza della torre, nervoso. Non gli era mai piaciuta quella giornata di Pasqua; gli Ebrei si sarebbero scatenati, ubriachi del loro Dio, scontrati ancora una volta con i soldati romani; anche quell'-anno poteva scoppiare una strage, e questo non era negli interessi di Roma. E quella volta aveva delle noie in più. Gli Ebrei volevano a tutti i costi quel disgraziato nazareno l'idiota. Che sporca razza!

Pilato strinse i pugni. Era in preda all'idea fissa di salvarlo, quell'idiota, non perché fosse innocente - innocente non significa niente - né perché avesse pietà di lui, ma per far infuriare quella sporca razza ebrea.

Un gran clamore si levò sotto le finestre della Torre. Pilato si affacciò. Vide che il cortile si era riempito di Ebrei e che i portici e le terrazze del Tempio erano sommersi da una folla scatenata armata di bastoni e fionde, che tempestava Gesù di pugni, calci e sputi. I soldati romani lo scortavano e lo spingevano verso la grande porta della Torre.

Pilato rientrò e andò a sedersi sul suo trono scolpito. La porta si aprì, i due giganti neri spinsero Gesù nella sala. La sua veste era ridotta in bran-delli, il viso coperto di sangue, ma la testa era eretta e negli occhi risplen-deva una luce serena e distante. Pilato sorrise.

«Eccoti di nuovo davanti a me, Gesù di Nazareth, re dei Giudei. A quanto pare vogliono ucciderti.»

Attraverso la finestra Gesù guardò il cielo; il suo spirito e il suo corpo s'erano già separati. Non parlò. Pilato s'incollerì.

«Lascia perdere il cielo», gridò, «è me che devi guardare. Non lo sai che io ho il potere di liberarti o di crocifiggerti?»

«Tu non hai su di me nessun potere», rispose con calma Gesù. «Solo Dio ha potere su di me.»

Dal basso della Torre salivano le grida: «A morte! A morte!»«Perché sono così infuriati?» chiese Pilato. «Che cosa hai fatto?»«Ho detto loro la verità», rispose Gesù.Pilato sorrise.«Che verità? Che cosa vuol dire, la verità?»

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Il cuore di Gesù ebbe una stretta. Quello era dunque il mondo, quelli erano i signori del mondo? Pilato che chiede che cos'è la verità e ride.

Pilato comparve alla finestra. Gli era venuto in mente che proprio il giorno prima avevano arrestato Barabba, colpevole della morte di Lazzaro.

Una vecchia consuetudine voleva che il giorno di Pasqua i Romani libe-rassero un condannato a morte.

«Chi volete che liberi, Gesù re dei Giudei, o Barabba il bandito?»«Barabba! Barabba!» urlò la folla.Pilato chiamò le guardie, indicò Gesù e ordinò:«Flagellatelo, mettetegli una corona di spine, avvolgetelo in una tunica

rossa e mettetegli in mano una lunga canna che terrà come scettro. È re: vestitelo da re!»

Aveva pensato di presentarlo alla folla in quello stato pietoso sperando di muoverla a compassione.

Le guardie lo presero, lo legarono a una colonna e cominciarono a bat-terlo e a sputargli in faccia. Poi intrecciarono una corona di spine e gliela piantarono in testa; il sangue sgorgò dalla fronte e dalle tempie di Gesù. Gli gettarono sulle spalle un panno rosso, gli misero in mano una lunga canna e lo ricondussero a Pilato. Vedendolo, quello non poté trattenersi dal ridere.

«Sia benvenuta la Tua Maestà», disse. «Vieni che ti mostro alla tua gente.»

Lo prese per mano e uscì sulla terrazza.«Ecco l'uomo!» gridò loro.«Che sia crocifisso! Che sia crocifisso!» urlò ancora la folla.Pilato ordinò che gli si portasse un catino e una brocca d'acqua. Si chi-

nò, si lavò le mani davanti alla folla.«Me ne lavo le mani», disse. «Non sono io che verso il suo sangue. Io

sono innocente. La colpa ricada su di voi!»«Che il suo sangue ricada sulla nostra testa e su quella dei nostri figli!»

ruggì la folla.«Portatelo via», disse Pilato.Lo presero, gli caricarono addosso la croce; gli sputavano in faccia, lo

colpivano, lo spingevano a calci verso il Golgota. Lui barcollava, la croce era pesante, e si guardò attorno nella speranza di scoprire un discepolo tra la folla e fargli un segno, per muoverlo a pietà. Guardava, guardava, nessu-no. Sospirò.

«Benedetta sia la morte», mormorò. «Gloria a te, Dio mio!»

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Nel frattempo i discepoli si erano rintanati nella taverna di Simone di Cirene e attendevano che la crocifissione fosse compiuta e cadesse la not-te, per fuggire senza che nessuno li vedesse. Accoccolati dietro le botti, tendevano l'orecchio verso la strada sentendo la folla che passava, festante. Tutti, uomini e donne, correvano verso il Golgota; avevano celebrato bene la Pasqua, mangiato a sazietà la carne, bevuto a sazietà il vino, e ora ave-vano la crocifissione per distrarsi, e accorrevano.

I discepoli tremavano di paura. Di tanto in tanto si sentivano i singhioz-zi soffocati di Giovanni, e a volte Andrea si alzava, camminava avanti e indietro nella taverna e minacciava. Pietro malediceva e imprecava perché era vile e non aveva avuto il coraggio di lanciarsi avanti e di farsi uccidere assieme al Maestro... Quante volte gli aveva fatto giuramento: «Con te, Maestro, fino alla morte!» E ora che la morte era arrivata, si era nascosto dietro le botti.

Giacomo scattò.«Giovanni», disse, «smettila una buona volta con queste lagne, sei un

uomo; quanto a te, Andrea, fanfarone, finiscila di tormentarti i baffi, mettiti seduto. Venite tutti qua, prendiamo una uccisione. Se è veramente il Mes-sia! Se resuscita dopo tre giorni, con che faccia ci presenteremo davanti a lui? Ci avete mai pensato? Tu che cosa ne dici, Pietro?»

«Se è il Messia siamo perduti, ecco che cosa dico», rispose Pietro dispe-rato. «Io, ve l'ho detto, l'ho già rinnegato tre volte.»

«Ma se non è il Messia siamo perduti lo stesso», disse Giacomo. «Tu che cosa ne pensi, Nataniele?»

«Io dico che dobbiamo andarcene. Sia o no il Messia, siamo perduti.»«E lasciarlo così senza protezione? Come potrebbe sopportarlo, il no-

stro cuore?» disse Andrea, che fece per precipitarsi alla porta. Ma Pietro lo trattenne per le vesti.

«Stai calmo, disgraziato. Troviamo un'altra soluzione.»«Che soluzione, ipocriti, farisei?» sibilò Tommaso. «Parliamoci chiaro,

senza falsi pudori: noi abbiamo tentato un affare, ci abbiamo messo tutto quanto il nostro capitale. Sì, era commercio, c'è poco da fare quelle facce scandalizzate. Proprio così, abbiamo fatto un commercio: niente per nien-te. Io ho dato le mie mercanzie, i pettini, i rocchetti, gli specchietti, in cam-bio del regno dei cieli. E voi lo stesso. Uno ha dato la sua barca, l'altro i suoi montoni, un altro ancora le sue comodità. E adesso l'affare è saltato, abbiamo fatto bancarotta, il nostro capitale se n'è andato al diavolo. Oc-

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chio! Che non ci perdiamo anche la vita. Allora il consiglio che do io è: si salvi chi può!»

«D'accordo!» esclamarono Filippo e Nataniele. «Si salvi chi può!»Pietro si volse, agitato, verso Matteo che, seduto in disparte, aveva aper-

to tanto d'orecchie ascoltando senza dir niente.«In nome del cielo, Matteo», disse, «non scrivere niente di tutto questo,

fai finta di non aver sentito. Non coprirci di ridicolo fino alla fine dei tempi.»

«Non ti allarmare», rispose Matteo, «so fare il mio mestiere. Vedo, sen-to tante cose, ma faccio una scelta. Solo un consiglio: mostratevi forti, prendete una decisione coraggiosa, che io possa riportare per la vostra glo-ria, miei poveri amici. Siete degli apostoli, non è mica uno scherzo!»

In quel momento Simone di Cirene aprì la porta della taverna ed entrò. I suoi abiti erano in brandelli, il viso e il petto coperti di sangue, e l'occhio destro era gonfio. Imprecava e bestemmiava. Si tolse gli stracci che gli restavano, tuffò la testa nell'acquaio dove lavava i bicchieri di vino, afferrò un tovagliolo. Si asciugò senza smettere di imprecare e di sputare. Poi appoggiò la bocca al beccuccio di un tino. Si mise a bere. Sentì dei rumori dietro le botti, si abbassò e vide, rannicchiati, i discepoli. Lo prese la rab-bia.

«Il diavolo vi porti, luride bestie!» gridò. «È così che si abbandona il capo? È così che si diserta dalla battaglia, sporchi Galilei, sporchi Samari-tani, sporche canaglie?»

«La nostra anima voleva combattere, sai, Simone», azzardò Pietro, «la nostra anima voleva, Dio è testimone, ma il corpo...»

«Basta, buffone! Maledizione, quando l'anima vuole qualcosa, che cosa può fare il corpo? Tutto diventa anima, il randello che stringi, l'abito che porti, la pietra che calpesti, tutto, tutto! Ecco, guardate, razza di vigliacchi, la mia carne è tutta blu; i miei vestiti sono a pezzi, per poco non mi cavano gli occhi. Perché? La peste vi porti via, sporchi discepoli! Perché, maledi-zione, io ho difeso il vostro Maestro, io mi sono messo contro tutta una folla, io, io, il taverniere, lo sporco Cireneo! E perché l'ho fatto? Forse per-ché credevo che è il Messia, e che domani farà di me un grande e potente personaggio?Macché, macché. Ma perché il mio orgoglio, accidenti a lui, è stato punto, e non me ne pento!»

Andava e veniva, dava calci agli sgabelli, sputava e imprecava. Ma Matteo era sui carboni ardenti, voleva sapere che cosa era successo da Cai-fa, da Pilato, le parole che il Maestro aveva pronunciato, quello che gri-

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dava la folla, per trascriverlo sulle sue carte.«Se tu credi in Dio, Simone, fratello», gli disse, «calmati, raccontaci

quello che è successo, dicci come, dove e quando, e se il Maestro ha detto qualcosa.»

«E come no?» rispose Simone. «'Discepoli, andate a farvi impiccare!' Questo ha detto. Che hai da guardarmi? Prendi la tua cannuccia e scrivi: 'Andate a farvi impiccare!'»

Un lamento si levò da dietro i tini, Giovanni si rotolava a terra e urlava; Pietro picchiava la grossa testa contro il muro.

«Se tu credi in Dio, Simone», supplicò di nuovo Matteo, «di' la verità, perché io la possa scrivere. Ma non capisci che in questo momento tutto il mondo pende dalle tue labbra?»

Pietro continuava a battere la testa contro il muro.«Maledizione, Pietro, non disperarti», gli fece il taverniere, «adesso ti

dico che cosa devi fare per essere glorificato nei secoli dei secoli. Allora, senti: lo faranno passare da qui, sento già dei clamori, tu alzati, apri corag-giosamente la porta e vagli a prendere la croce dalle spalle e prendila sulle tue. E pesante, che sia maledetta, e il vostro Dio è delicatino, si stanca.»

Rise, e con una mossa improvvisa spinse Pietro col piede.«Lo fai? Ti voglio vedere!»«Lo farei, te lo giuro, se non ci fosse la folla», piagnucolò Pietro. «Mi

faranno a polpette!»Il taverniere sputò, furibondo.«Andate a farvi impiccare!» gridò. «Nessuno di voi ha intenzione di

farlo? Tu, Natamele, specie di spilungone? E tu, Andrea, che hai il coltello facile? Come, nessuno? Nessuno? Puah, crepate! Eh, povero Messia mio, che soldati ti sei scelto per conquistare il mondo! Me, dovevi sceglierei, me! Io sarò forse un pendaglio da forca ma ho il mio amor proprio, potrò essere un ubriacone, un bandito, un bugiardo, ma sono un uomo. Ma se uno amor proprio non ne ha, a che cosa gli serve essere una colomba bianca, puah!, non vale un chiodo!»

Sputò ancora, poi andò ad aprire la porta e rimase sulla soglia sbuffando dal disgusto.

Le strade si erano riempite di gente, gli uomini, le donne, correvano e gridavano:

«Arriva, arriva, arriva il re dei Giudei!»I discepoli si rintanarono di nuovo dietro le botti. Simone si girò:«Razza di canaglie, non volete uscire a vederlo? Perché vi veda anche

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lui e si senta consolato, il disgraziato? Bene, allora, esco io, gli farò io un segno come per dire: Io ci sono, Simone di Cirene, presente!»

Subito, d'un balzo, si trovò nella via.La folla passava a ondate. In testa i cavalieri romani, dietro Gesù con la

croce; grondava di sangue e i vestiti pendevano a brandelli. Non aveva più la forza di camminare; inciampava continuamente, era sul punto di cadere, e continuamente lo rimettevano in piedi a calci, e avanzava. Dietro di lui correvano gli zoppi, i ciechi, gli storpi, furiosi perché non li aveva guariti, e l'insultavano e lo colpivano con le stampelle, con i bastoni. Lui si guar-dava incessantemente attorno; non avrebbe visto nessuno dei suoi com-pagni? Che cosa ne era dei suoi diletti?

Davanti alla taverna si girò, vide il taverniere che gli faceva un cenno con la mano. Il suo cuore si riempì di gioia, avrebbe voluto muovere la testa per dirgli grazie ma inciampò in una pietra e cadde a terra con la croce sulla schiena. Lanciò un grido di dolore.

Il Cireneo si slanciò, sollevò Gesù, prese la croce, se la mise sulle spal-le, si girò e gli sorrise.

«Coraggio», gli disse, «ci sono io, non aver paura.» Uscirono per la por-ta di Davide, attaccarono la salita. Presto raggiunsero la sommità del Gol-gota; non c'erano che pietre, spini e ossa. Vi si crocifiggevano i ribelli, vi si lasciavano i corpi dei crocifissi e gli uccelli da preda li divoravano; l'aria era impestata dal puzzo di carogna.

Il Cireneo scaricò la croce dalle spalle. Due soldati si misero a scavare per piantarla tra le pietre. Gesù s'era seduto su un sasso e aspettava. Il sole splendeva altissimo in un cielo bianco torrido e fermo, Non una fiamma, non un angelo, non il minimo segno per dire che lassù qualcuno guarda quello che avviene quaggiù sulla terra... E mentre era seduto e aspettava, sbriciolando un piccolo grumo di terra tra le dita, Gesù sentì che qualcuno era sopra di lui e lo guardava. Tranquillamente, senza fretta, alzò la testa, la vide, la riconobbe.

«Sii là benvenuta», mormorò, «fedele compagna di strada. Il viaggio finisce qui. Quello che volevi è avvenuto. Per tutta la vita ho lottato per trasformare l'Anatema in benedizione; è fatta, siamo riconciliati. Addio, Madre», disse, e agitò leggermente la mano verso l'ombra crudele.

Due soldati afferrarono Gesù per le spalle.«In piedi, Maestà!» gli gridarono. «Sali sul tuo trono!»Spogliarono quel corpo smunto, che si rivelò tutto coperto di sangue.Il caldo era torrido. La folla, stanca di sgolarsi, guardava in silenzio.

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«Dagli da bere del vino, perché si faccia coraggio», disse un soldato. Ma Gesù respinse la coppa e stese le braccia verso la croce.

«Padre», mormorò, «sia fatta la tua volontà.»«Bugiardo! Scellerato! Sfruttatore del popolo!» urlavano ora i ciechi, i

lebbrosi, gli storpi.«Dov'è il regno dei cieli? Dove sono i forni pieni di pane?» urlavano i

pezzenti lanciandogli contro pietre e sassi.Gesù aprì le braccia. Avrebbe voluto gridare: «Fratelli», ma i soldati lo

afferrarono e lo issarono sulla croce. Chiamarono perché fosse inchiodato. Quando si levarono i martelli e si sentì il primo colpo, il sole nascose il suo viso. Al secondo colpo di martello il cielo si scurì e apparvero le stelle. Non erano stelle, erano grosse lacrime che cadevano goccia a goccia sulla terra.

Il timore si impadronì del popolo. I cavalli su cui montavano i Romani si imbizzarrirono, si impennarono e cominciarono a galoppare, scatenati, e a scalciare. D'un tratto cielo, terra e aria si fecero muti, come quando si prepara un terremoto. Simone il Cireneo si gettò ventre a terra sulle pietre, la terra aveva tremato spesso sotto i suoi piedi, aveva paura.

«Oh», mormorò, «adesso la terra si apre e ci ingoia.»Alzò la testa, si guardò attorno. Sembrava che il mondo fosse svanito, e

brillasse, pallido e nebbioso, nelle tenebre azzurrine. Le teste della folla erano sparite e solo i loro occhi, come buchi neri, attraversavano l'aria. Un fitto stormo di corvi, che attirati dal sangue si erano installati sul Golgota, si allontanò, spaventato. Un flebile rantolo, lamentoso, scendeva dalla croce; il Cireneo si fece coraggio, alzò gli occhi, guardò. Subito levò un grido. Non erano uomini quelli che inchiodavano il crocifisso; una folla di angeli era scesa dal cielo, con martelli e chiodi, e volavano attorno a Gesù, colpivano con gran forza, festosi, e inchiodavano mani e piedi; altri lega-vano saldamente il corpo del crocifisso con grosse corde perché non cadesse, e un angioletto con le guance rosate e i riccioli biondi teneva una lancia e trafiggeva il cuore di Gesù.

«Che cos'è questo?» mormorò il Cireneo tremando. «Dio stesso, è Dio stesso che lo crocifigge!»

Allora Simone di Cirene provò la più grande paura, il più grande dolore della sua vita: una voce forte ruppe l'aria dall'alto in basso, lacerante, piena di rimprovero:

«Eli... Eli...»Non riusciva a emettere il grido, voleva ma non ci riuscì, non aveva più

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fiato in gola. Il crocifisso chinò la testa e perse i sensi.

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Le palpebre sbatterono, piene di allegria e di sorpresa. Non era una croce, era un albero gigantesco, che andava dalla terra al cielo; era pri-mavera e l'albero era tutto in fiore. In cima a ogni ramo, sul vuoto, s'era posato un uccello e cantava... E lui in piedi, appoggiato con tutto il corpo all'albero fiorito, aveva alzato la testa e contava; uno, due, tre...

«Trentatré», mormorò, «quanti sono i miei anni. Trentatré uccelli che cantano.»

Gli occhi si allargarono, debordarono, gli invasero tutto il viso. Vedeva contemporaneamente da tutti i lati, senza girarsi, il mondo in fiore. Le orecchie, come due conchiglie a spirale, raccoglievano i clamori, le im-precazioni e i singhiozzi del mondo trasformandoli in una canzone. Dal cuore, trapassato da una lancia, scorreva il sangue.

Una dopo l'altra, affettuosamente, senza che soffiasse il minimo vento, le foglie si staccavano e cadevano sui suoi capelli intrecciati di spine e sulle sue mani sanguinanti. E mentre si sforzava, nel mezzo di un oceano di cinguettii, di ricordarsi chi era e dove si trovava, a un tratto l'aria turbinò e si rapprese - un angelo era ritto davanti a lui... In quell'attimo il giorno si levò.

Aveva visto tanti angeli, in sogno e da sveglio, ma mai un angelo simile a quello. Quella bellezza calda e umana, quella peluria delicata sulle guan-ce e sul labbro. I suoi occhi gai scintillavano, pieni di passione, come quel-li di una donna innamorata, come quelli di un adolescente innamorato. Il suo corpo era morbido e sodo, i polpacci e le cosce tornite rivestiti anch'-essi di una peluria conturbante, nera dai riflessi azzurrini. Le ascelle ema-navano quell'odore di sudore umano che tanto gli piaceva.

Gesù si sentì scosso.«Chi sei?» gli chiese.Il cuore gli batteva con violenza. L'angelo sorrise, tutto il suo viso si ad-

dolcì, come un viso umano. Ripiegò le due grandi ali verdi, come se te-messe di impaurire troppo Gesù.

«Io sono come te», rispose. «Sono il tuo angelo custode, abbi fiducia.»La sua voce era profonda e carezzevole, affettuosa e familiare come una

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voce umana. Finora le voci d'angelo che aveva sentito erano severe, lo rimproveravano. Si rallegrò. Guardò l'angelo con un'aria supplichevole e attese che parlasse ancora.

L'angelo capì e rispose sorridendo al desiderio dell'uomo.«Dio mi ha mandato ad addolcire le tue labbra. Gli uomini ti hanno dato

da bere tanta amarezza, e anche il cielo l'ha fatto. Hai sofferto, hai lottato, e in tutta la vita non hai conosciuto un sol giorno di dolcezza. Tua madre, i tuoi fratelli, i tuoi discepoli, i poveri, i malati, gli oppressi, tutti, tutti all'-ultimo momento, nel momento terribile, ti hanno abbandonato. Sei rimasto completamente solo, senza difesa, su una roccia, nelle tenebre. Allora Dio, il Padre, ha avuto pietà di te. Mi ha gridato: 'Ehi, com'è che resti lì senza far niente? Non sei il suo angelo custode? Scendi a salvarlo. Non voglio che sia crocifisso, basta così!'

«'Signore delle Potenze', gli ho risposto tremando, 'non lo hai mandato sulla terra perché fosse crocifisso? Perché salvasse gli uomini? Per questo restavo qui, tranquillo. Credevo che quella fosse la tua volontà.'

«'Che sia crocifisso in sogno', ha risposto Dio. 'Proverà lo stesso sgo-mento; lo stesso dolore.'»

«Angelo custode», gridò Gesù prendendogli la testa con tutt'e due le mani perché non gli sfuggisse, «angelo custode, il mio spirito vacilla. Allo-ra non sono stato crocifisso?»

L'angelo posò la sua mano bianchissima sul cuore sconvolto di Gesù, per calmarlo.

«Tranquillizzati, mio caro», disse e i suoi occhi ammaliatori danzavano. «Non agitarti: no, non sei stato crocifisso.»

«Erano dunque un sogno la croce, i chiodi, il dolore, il sole che si oscurava?»

«Erano un sogno. Hai vissuto tutta la Passione in sogno. Sei salito sulla croce, sei stato inchiodato in sogno, cinque piaghe ti si sono aperte nelle mani, nei piedi e nel costato con una forza tale che, guarda, il sangue scor-re ancora...»

Gesù si guardò attorno, estasiato. Dov'era? Che pianura era quella, che alberi in fiore e che acque? E Gerusalemme? E l'anima sua? Si volse all'-angelo, gli toccò il braccio, com'era fresca la sua carne, com'era soda!

«Angelo custode, figlio mio», disse, «mentre mi parli la carne mi si alleggerisce, la croce diventa l'ombra di una croce, i chiodi ombre di chiodi e la crocifissione si libra nel cielo sopra la mia testa, come una nuvola...»

«Andiamo», disse l'angelo, e si mise a volare sopra l'erba fiorita. «Gran-

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di gioie ti aspettano, Gesù di Nazareth. Dio mi ha lasciato libero di farti gustare tutte le gioie che hai desiderato in segreto per tutta la vita, mio amato. La terra è buona, vedrai, e ridere è buono, e il vino e le labbra della donna e i salti del primogenito sulle tue ginocchia... Noialtri angeli, ci credi? spesso ci affacciamo dal cielo e guardiamo la terra sospirando.»

Le grandi ali verdi si misero a battere e lo avvolsero.«Volta il capo», disse, «guarda dietro di te.»Gesù obbedì, e che cosa vide? Lontanissima, altissima, la collina di Na-

zareth splendeva sotto il sole nascente. Le porte fortificate della città erano aperte, una folla immensa ne usciva; solo signori e dame, tutti vestiti d'oro, sopra cavalli bianchi, agitando nell'aria stendardi di seta bianchi come ne-ve e ricamati di gigli d'oro. Calavano tra montagne in fiore, passavano da-vanti a castelli regali, seguivano i fianchi delle colline, attraversavano fiumi. Si sentiva un confuso brusio fatto di risate, di conversazioni som-messe e di sospiri lievi sotto il folto degli alberi...

«Angelo custode», disse Gesù, perplesso, «che cos'è quella folla di si-gnori? Chi sono questi re e queste regine, dove vanno?»

«È un corteo regale», rispose l'angelo sorridendo. «Vanno a un matri-monio.»

«E chi si sposa?»«Tu», rispose. «È la prima gioia che ti do.»Gesù sentì il sangue salirgli alla testa. Indovinò di colpo chi era la spo-

sa. Tutta la sua carne fremette di felicità, impaziente,«Andiamo», disse.Subito sentì che anche lui montava su un cavallo bianco con sella e

briglie d'oro. Guardò il suo corpo. Com'era successo che la sua povera veste tutta rappezzata fosse diventata un abito di velluto e d'oro? Una piuma blu gli si agitava sulla testa.

«E questo il regno dei cieli che annunciavo agli uomini sulla terra?» domandò. «È questo?»

«No, no», rispose l'angelo ridendo. «Questa è la terra.»«Come mai è mutata tanto?»«Non è lei che è mutata, sei tu. Il tuo cuore, un tempo, non voleva, an-

dava contro la volontà della terra, e ora l'accetta: il segreto è tutto qua. L'armonia tra il cuore e la terra, Gesù di Nazareth, è quello il regno dei cieli... Ma perché perdere tempo in chiacchiere? Andiamo, il matrimonio ci aspetta.»

L'angelo salì su un cavallo bianco e i due partirono a vivace andatura.

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Dietro di loro le montagne echeggiavano di nitriti, invase dalla scorta regale che scendeva. Le risate delle donne erano sempre più forti. Nel cielo gli uccelli volavano ad ali spiegate verso sud, cantando: Arriva! Arriva! Il cuore di Gesù era anche lui un uccello; si era posato sulla cima della sua testa e cantava: Arrivo! Arrivo! Arrivo!

Improvvisamente, mentre galoppava, nel mezzo della sua grande alle-gria, si ricordò dei discepoli. Si girò, scrutò la folla dei signori, li cercò e non li trovò. Sorpreso, guardò il suo compagno.

«E i miei discepoli?» domandò. «Non li vedo, dove possono essere?»Gli rispose una risata beffarda.«Dispersi.»«Perché?»«La paura.»«Anche Giuda?»«Tutti! Tutti! Sono tornati alle loro stamberghe, giurano di non averti

mai visto, di non conoscerti... Non guardarti più indietro, non pensare più a loro. Guarda davanti a te.»

Un odore inebriante di fiori di limone riempiva l'aria.«Eccoci arrivati», disse l'angelo mettendo il piede a terra. Il suo cavallo

si trasformò in luce e scomparve.Un muggito grave e lamentoso risuonò tra gli olivi, pieno di mestizia e

di dolcezza. Gesù ne fu turbato, come se fossero state le sue stesse viscere a gridare. Guardò. Legato al tronco di un olivo, le corna coronate, la coda eretta, splendeva un toro nero dalla fronte bianca. Gesù non aveva mai vi-sto tanta forza, una tale energia, una carne così dura, degli occhi così tristi, così pieni di virilità. Ebbe paura. Non è un toro quello, pensò, è uno dei volti tenebrosi, immortali, del Dio onnipotente.

L'angelo restava in piedi accanto a lui e sorrideva malizioso.«Non aver paura, Gesù di Nazareth, è un toro, un giovanissimo toro an-

cora vergine. Guarda: la sua lingua va e viene, lecca le narici umide; si ab-bassa e dà cornate contro l'ulivo, per lottare con lui; si dibatte per spezzare la corda e andarsene... Guarda, là in fondo nella prateria, che cosa vedi?»

«Giovenche, giovani giovenche... Passano.»«No. Aspettano che il giovane toro spezzi la corda. Sentilo, muggisce

ancora. Che tenerezza, che implorazione, che forza! Davvero, sembra un Dio tenebroso e ferito... Perché il tuo viso si è fatto feroce, Gesù di Naza-reth? Perché mi guardi con quegli occhi scuri e severi?»

«Andiamocene», muggì sordamente Gesù, e la sua voce era piena di te-

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nerezza, di implorazione, di forza.«Aspetta, liberiamo prima il torello», rispose l'angelo ridendo. «Non ti

fa pena?»Si avvicinò, slegò la corda; la bestia vergine rimase un attimo im-

mobile; poi all'improvviso capì di essere libera, fece un balzo e si slanciò verso la prateria.

Proprio in quell'istante un dolce tinnire di braccialetti e di collane risuo-nò sotto i limoni. Gesù si girò: Maria Maddalena, timida, tremante, coro-nata di fiori di limone, era ritta davanti a lui.

Gesù si slanciò e la prese tra le braccia.«Maddalena, mia amata», esclamò, «per quanti anni ho desiderato que-

sto istante! Chi era dunque a separarci? Era Dio? Perché piangi?»«La mia gioia è troppo forte, mio amato, il mio desiderio troppo grande.

Vieni!»«Andiamo, guidami!»Si girò per dire addio al suo compagno, ma l'angelo era già sparito nell'-

aria. Il grande corteo regale che lo seguiva - i signori, le dame, i re, i ca-valli bianchi, i gigli bianchi - tutto era scomparso. In fondo alla prateria, il toro montava le giovenche.

«Chi cerchi, mio amato? Perché ti guardi indietro? Non ci siamo più che noi due al mondo. Bacio le cinque piaghe delle tue mani, dei tuoi piedi, del tuo cuore. Che gioia, che Pasqua! Il mondo è risorto, vieni!»

«Dove? Dammi la mano, guidami. Mi affido a te.»«In un profondo giardino. Ti cercano, vengono a prenderti; tutto era

pronto - la croce, i chiodi, il popolo, Pilato... e a un tratto è venuto un an-gelo e ti ha portato via. Vieni, prima che il sole si alzi nel cielo, prima che ti vedano. Sono infuriati, vogliono la tua morte.»

«Che cosa ho fatto?»«Volevi il loro bene, la loro salvezza. Come potrebbero mai perdonarti?

Dammi la mano, mio amato, segui la donna. E lei che trova la via, senza mai sbagliare.»

Lo prese per mano. Il suo velo rosso fuoco si gonfiava mentre avanzava con impeto, sotto i limoni coperti di fiori. Le sue dita, allacciate alle dita dell'uomo, erano brucianti. La sua bocca profumava di foglia di limone.

D'un tratto si fermò, ansimante, e guardò Gesù. Lui rabbrividì; aveva visto l'occhio di lei scintillare, ammaliatore, malizioso, come quello dell'-angelo. Ma gli sorrise.

«Non temere, mio amato», gli disse. «Per anni e anni ho avuto una

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parola sulle labbra, ma mai ho avuto il coraggio di dirtela. Ora voglio rivelartela.»

«Quale parola? Parla senza timore, mia amata.»«Se sei al settimo cielo e un viandante ti chiede un bicchier d'acqua,

scendi dal settimo cielo per darglielo. Se sei un santo asceta e una donna ti chiede un bacio, scendi dalla tua santità per darglielo. Se no, non puoi essere salvato.»

Gesù la prese, le rovesciò la testa all'indietro e la baciò sulla bocca.S'erano fatti pallidi tutti e due, le ginocchia cedevano, non potevano

andare oltre. Rotolarono a terra sotto un limone in fiore.Il sole si. fermò sopra di loro. Il vento si alzò, dei fiori di limone cad-

dero sui due corpi nudi. Una lucertola verde si era fermata contro una pietra davanti a loro e li guardava col suo occhio tondo e immobile. Per qualche attimo si sentì di lontano il muggito del toro, ora placato, sazio. Prese a piovigginare dolcemente, le gocce cadevano su di loro e i due corpi ardenti si rinfrescarono. Salì un profumo di terra bagnata.

Maria Maddalena teneva l'uomo stretto tra le braccia, non lo lasciava allontanarsi, gemeva sommessamente.

«Mai uomo mi ha abbracciata, mai ho sentito sulle mie labbra, sulle mie guance, una barba d'uomo, né tra le mie ginocchia delle ginocchia d'uomo; solo oggi sono nata! Ma perché piangi?»

«Non lo sapevo, donna amata, che il mondo era così bello, la carne così santa, che era anche lei figlia di Dio e sorella piena di grazia dell'anima. E che la gioia del nostro corpo non era peccato.»

«Perché sei partito a conquistare il cielo, perché sospiravi, cercando l'acqua della Giovinezza? Sono io l'acqua della Giovinezza, tu ti sei chinato, hai bevuto e ti sei dissetato. Sospiri ancora? A che pensi?»

«Il mio cuore è una rosa appassita di Gerico che risorge e sboccia nell'acqua. La fonte dell'acqua della Giovinezza è la donna. Adesso l'ho capito.»

«E allora?»«È quella la via.»«La via? Che via, Gesù mio amato?»«La via per cui il mortale diventa immortale. Per cui Dio scende sulla

terra sotto forma di uomo. Mi ero smarrito. Cercavo una strada fuori dalla carne. Nelle nubi, nei grandi pensieri, nella morte. Donna, preziosa aiu-tante di Dio, perdonami. Mi inchino davanti a te e ti adoro, Madre di Dio. Il figlio che avremo, come lo chiameremo?»

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«Portalo al Giordano e battezzalo secondo il tuo piacere. È tuo.»«Lo chiameremo Paracleto.»«Taci; ho sentito tra gli alberi qualcuno che si avvicina. Dev'essere il

mio fedele negretto. Gli ho detto di fare la guardia nei dintorni perché non si avvicini nessuno. Eccolo!»

«Padrona, Saulo...»Gli occhi del negretto danzavano, bianchissimi, tutto il suo corpo paffu-

to sudava come un cavallo che ha galoppato a lungo. Maddalena si alzò di scatto e gli chiuse la bocca:

«Zitto!»Si volse a Gesù: «Sposo mio amato», disse, «sei stanco, addormentati.

Io tornerò subito.»Aveva già chiuso gli occhi, un dolce sonno si era posato sulle sue pal-

pebre e sulle sue tempie; non vide Maddalena allontanarsi sotto i limoni e sparire sulla strada deserta.

Ma il suo spirito si dibatté, abbandonò a terra la carne che dormiva e partì sulle tracce di Maddalena. Dove andava? Perché i suoi occhi si erano improvvisamente riempiti di lacrime, perché il mondo si era oscurato? Pareva che uno sparviero volasse sopra di loro e non la lasciasse fuggire.

Il negretto trottava ansioso davanti a lei, spaventato. Attraversarono Po-liveto, il sole non era ancora tramontato; entrarono nella prateria, le gio-venche sdraiate sul prato ruminavano; discesero in un crepaccio ombroso, tutto pietroso. Sentirono cani che abbaiavano, uomini che ansimavano. Il negretto fu preso dal terrore.

«Io me ne vado!» disse, e fuggì come il fulmine.Maddalena rimase sola. Si guardò attorno: pietre, selci, qualche rovo,

un fico selvatico, sterile, steso riverso sul precipizio, due corvi sulla roccia più scoperta, di sentinella. Appena scorsero Maddalena si misero a grac-chiare, come per richiamare i loro compagni.

Le pietre si muovevano, degli uomini salirono l'erta ripida, comparve un cane nero a macchie rosse, la lingua penzolante. Il burrone si riempì di ci-pressi e di piante di alloro, come un cimitero. Sentì una voce, felice, sere-na: «Sii la benvenuta!»

Maddalena si guardò attorno.«Chi ha parlato? Chi mi dà il benvenuto?»«Io.»«Chi io?»«Dio.»

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«Dio! Mi copro i capelli, mi nascondo il petto, volgi la testa, non guar-dare la mia nudità, Signore; mi vergogno. Perché mi hai condotta in questo deserto selvaggio? Dove sono? Non vedo che cipressi e piante di alloro.»

«È quello che occorre: la morte e l'immortalità. Ti ho condotto, Grande Martire, là dove volevo. Preparati a morire, Maddalena, per diventare im-mortale.»

«Io non voglio morire, non voglio diventare immortale. Voglio vivere ancora sulla terra; dopo, riducimi pure in cenere.»

«La morte è una carovana carica di spezie e di profumi, non aver paura. Sali sulla cavalcatura della notte ed entra nel deserto del cielo, Madda-lena.»

«Oh, che cosa sono quelle armate scatenate apparse dietro i cipressi?»«Non aver paura, Maddalena, sono i miei cammellieri. Schermati gli

occhi con la mano. Non vedi il destriero nero che ti portano, con la sua sella di velluto rosso? Non resistere, monta in groppa.»

«Signore, non temo la morte, ma sono piena di rimpianti; oggi per la prima volta è stato accordato alla mia carne e alla mia anima di avere le stesse labbra; per la prima volta hanno ricevuto tutt'e due lo stesso bacio e devo morire!»

«Questo istante è buono per morire, Maddalena, non ne troverai di mi-gliori, non resistere.»

«Oh, che cosa sono queste grida, queste minacce, queste risate di scher-no che sento? Signore, non abbandonarmi; mi uccidono!»

Allora sentì, lontanissima ma sempre felice e serena, la voce:«Sei arrivata, Maddalena, all'atto della più alta gioia della tua vita. Non

puoi salire più in alto. È bello morire adesso. A presto, Prima Martire!»La voce si perse. A una svolta del crepaccio apparve la folla: Leviti

scatenati e schiavi di Caifa abituati a leccare il sangue, armati di pugnali e di asce. Videro Maddalena, le asce, i cani e gli uomini si precipitarono su di lei.

«Maria Maddalena, puttana!» urlavano tra scoppi di risa.Una nube nera coprì il sole, il mondo si oscurò.«Non sono io, non sono io!» gridava la sventurata. «Lo ero, ma ora non

più, io sono nata oggi!»«Maria Maddalena, puttana!»«Lo ero, non lo sono più, lo giuro. Non mi uccidete, pietà! Chi sei tu,

con quella testa calva, il ventre gonfio e le gambe storte, tu, gobbo? Non toccarmi!»

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«Maria Maddalena, puttana, io sono Saulo. Il Dio d'Israele mi ha fatto venire da Damasco e mi ha dato il potere di ucciderlo.»

«Chi?»«Il tuo amante.» Si girò verso la folla:«Buttatevi su di lei, figli, lei lo saprà. Parla, impudica, dove l'hai nasco-

sto?»«Non lo dico.»«Ti ucciderò.»«A Betania.»«Bugiarda! Veniamo di lì. Lo tieni nascosto da queste parti. Vogliamo la

verità.»«Non prendermi per i capelli! Perché vuoi ucciderlo? Che cosa ti ha

fatto?»«A colui che si ribella contro la santa Legge, morte!»Il gobbo parlava, la guardava con cupidigia, non cessava di avvicinarsi;

il suo respiro era bruciante. Le palpebre di Maddalena sbatterono.«Saulo», disse, «guarda il mio petto, le mie braccia, la mia gola. Non è

un peccato che spariscano? Non ucciderli!»Saulo si fece ancora più vicino. La sua voce era roca, soffocata.«Di' dov'è il suo nascondiglio e io non ti uccido. Mi piacciono i tuoi

seni, le tue braccia, la tua gola. Abbi pietà della tua bellezza, confessa! Che hai da guardarmi? A che pensi?»

«Penso al miracolo che avresti fatto, Saulo, se Dio all'improvviso aves-se lanciato la folgore su di te e ti avesse fatto vedere la verità! Discepoli come te occorrevano al mio amante per conquistare il mondo; non pesca-tori, mercanti, pastori. Fiamme come te, Saulo!»

«Per conquistare il mondo! Voleva conquistare il mondo? E come? Par-la, Maddalena; anch'io lo voglio.»

«Con l'amore.»«Con l'amore?»«Saulo, ascolta quel che ti dico. Allontana gli altri, che non sentano.

Colui al quale tu dai la caccia e che vuoi uccidere è il figlio di Dio, il Sal-vatore del mondo, il Messia! Sì, sull'anima che sto per rendere a Dio!»

Un Levita magro, tisico, con una barbetta grigia e rada, sibilò:«Saulo, Saulo, le sue braccia sono tagliole con cui si prendono i lupi.

Sta' attento!»«Vattene.»Si girò di nuovo verso Maddalena.

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«Con l'amore? Anch'io voglio conquistare il mondo; scendo ai porti, ve-do i vascelli che partono e il mio cuore si spezza. Anch'io voglio andare ai confini del mondo, non come uno schiavo, non come un mendicante ebreo, ma da re, con la mia spada. Ma come? Non posso, e a volte, per la rabbia, ho voglia di uccidermi. Nell'attesa, sgozzo, per calmarmi.»

Tacque, poi dopo un momento, avvicinandosi ancora di più alla donna:«Dov'è il tuo Maestro, Maddalena?» chiese con voce dolce. «Confes-

salo, lo troverò, gli parlerò, lui mi dirà che cosa è l'amore. Che cosa è que-sto amore che dominerà il mondo... Perché piangi?»

«Perché vorrei rivelarti dove si trova, perché vi incontriate; lui è tutto dolcezza, tu sei tutto fiamma, voi due dominerete il mondo; ma non mi fido di te. Non mi fido di te, Saulo, è per questo che piango.»

Parlava ancora quando una pietra sibilando squarciò l'aria; la mandibola di Maddalena fu spezzata.

«Fratelli, nel nome del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, colpi-te!» urlò il Levita tisico. Lui per primo aveva levato la pietra e l'aveva scagliata.

Dei tuoni brontolarono in cielo; lontano l'occidente annegò nel sangue.«Su quella bocca mille volte baciata!» urlò uno schiavo di Caifa. I denti

di Maddalena si sparsero a terra.«Io sul suo ventre!»«Io sul suo cuore!»«Io tra i suoi occhi!»Maddalena ritirò la testa tra le spalle per ripararla. Il sangue scorreva

dalla bocca, dal petto, dal ventre. Cominciò a rantolare.

Lo sparviero batté le ali, l'occhio rotondo colse la scena, cacciò un grido penetrante e tornò indietro. Trovò il suo corpo disteso sotto i limoni e vi entrò. Le palpebre di Gesù sbatterono, una grossa goccia di pioggia gli cadde sulle labbra, si svegliò. Si alzò, si mise a sedere sulla terra grassa, pensieroso. Che sogno aveva fatto? Non lo ricordava. Quello che gli era ri-masto nella memoria erano solo pietre, una donna e il sangue... Era Mad-dalena, quella donna? Il suo viso era mutevole, scorreva come acqua, non si poteva fissare, Gesù non riusciva a vederlo. Mentre si sforzava di distin-guerlo, le pietre e il sangue divennero, gli parve, un telaio e ora la donna era seduta davanti al telaio e tesseva cantando. La sua voce era dolcissima, piena di dolente rimprovero.

Sopra la sua testa, tra le foglie scure del limone, splendevano i frutti do-

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rati. Appoggiò le palme delle mani alla terra umida, ne sentì la freschezza e il calore primaverile, lanciò un rapido sguardo attorno a sé, nessuno lo vedeva; si chinò e baciò la terra.

«Madre», disse a bassa voce, «stringimi come ti stringo io; Madre, per-ché non sei tu il mio Dio?»

Le foglie del limone si agitarono, dei passi leggeri risuonarono sulla terra umida, un merlo invisibile cantò. Gesù alzò gli occhi e vide, ritto da-vanti a lui, soddisfatto, sorridente, l'angelo custode dalle ali verdi. La pe-luria del suo corpo brillava sotto i raggi obliqui del sole che tramontava.

«Benvenuto», disse Gesù. «Il tuo viso è sfavillante. Quale buona notizia mi porti ancora? Ho fiducia in te; le tue ali sono verdi come l'erba della terra.»

L'angelo rise, chiuse le ali e si accovacciò accanto a lui. Accartocciò una foglia di limone e l'annusò avidamente. Guardò lontano, verso l'occi-dente, che era diventato color della porpora. Una brezza leggera si levò da terra e tutte le foglie dei limoni si misero a stormire festosamente; danza-vano.

«Come siete fortunati, voi uomini!» disse l'angelo. «Siete fatti di terra e di acqua e tutto quello che esiste in questo mondo è fatto di terra e di acqua, è per questo che siete in accordo: uomini e donne, carne, erbe, frut-ti... Non siete tutti la stessa terra? La stessa acqua? Volete tutti riunirvi. Ecco, venendo qui ho sentito una donna che ti chiamava.»

«Perché mi chiama? Che vuole da me?»L'angelo sorrise.«L'acqua e la terra che sono in lei chiamano l'acqua e la terra che sono

in te. È seduta davanti a un telaio, tesse e canta. La sua canzone trafora le montagne e si riversa nella pianura, in cerca di te. Ascolta, adesso arriverà fin qui, tra i limoni. Zitto, eccola, la senti? Credevo che fosse una canzone, non è una canzone, è un canto funebre. Presta orecchio. Che cosa senti?»

«Sento gli uccelli che tornano al nido. La sera che scende.»«E nient'altro? Raccogli tutte le forze, lascia che l'anima sfugga dal cor-

po per ascoltare.»«Sento! Sento! Una voce di donna, lontanissima, lontanissima, che

piange. Ma non distinguo le parole.»«Io le sento chiarissime. Ascoltale anche tu. Perché si lamenta?»Gesù si alzò, raccolse tutte le forze, l'anima fuggì dal corpo, arrivò al

villaggio, entrò nella casa, si fermò nel cortile.«Sento...» disse Gesù e pose un dito sulle labbra.

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«Parla.»«Tomba d'argento, tomba d'oro, tomba vermiglia, non divorare queste

labbra rosse, non divorare questi occhi neri. Né questa piccola lingua che cantava come un usignolo.'»

«Hai riconosciuto la voce, Gesù di Nazareth?»«Sì.»«È Maria, la sorella di Lazzaro. Tesse ancora il suo corredo; ti crede

morto e piange. La sua gola di neve è scoperta, la sua collana di turchesi le pesa sul petto; un odore sale da tutto il suo corpo umido di sudore. Un odo-re di pane appena uscito dal forno, di cotogna matura, di terra bagnata. Alzati, andiamo a consolarla.»

«E Maddalena?» esclamò Gesù. «Maddalena?»L'angelo prese Gesù per un braccio e lo fece sedere a terra:«Maddalena?» disse con calma. «È vero, mi ero dimenticato di dirtelo.

È morta».«Morta?»«L'hanno uccisa. Ehi, dove vai, Gesù di Nazareth, con i pugni stretti?

Chi vuoi uccidere? Dio? È lui che l'ha fatta morire. Siedi! La Bontà infinita ha lanciato una freccia, l'ha trafitta sulla più alta vetta della felicità e Mad-dalena è diventata, lassù, immortale. Esiste gioia più grande per una don-na? Non vedrà l'amore offuscarsi, il cuore farsi stanco, la carne sfiorire. Io ero presente quando l'ha uccisa, ho visto. Ha alzato le braccia al cielo gri-dando. 'Dio mio, ti ringrazio, è questo che volevo!'»

Ma Gesù s'era infiammato:«Un tale desiderio di sottomissione esiste solo tra i cani e gli angeli. Io

non sono né un cane né un angelo, io sono un uomo e grido: È un'-ingiustizia, Onnipotente, un'ingiustizia averla uccisa! Il più rozzo dei ta-glialegna ha ritegno ad abbattere un albero in fiore. E Maddalena, dalla testa fino ai piedi, era in fiore!»

L'angelo lo prese tra le braccia; gli carezzò i capelli, le spalle, le ginoc-chia. Gli parlò a bassa voce, sommessamente; ora imbruniva, si levò una brezza, le nuvole si dispersero e apparve una grande stella, doveva essere la stella della sera.

«Sii paziente», gli diceva, «sottomettiti, non disperarti. Esiste una sola donna al mondo, una sola donna con innumerevoli visi. Uno scompare, emerge l'altro; Maria Maddalena è morta, Maria sorella di Lazzaro vive, ci aspetta, ti aspetta, è anche lei Maddalena con un altro viso. Ascolta, ha sospirato ancora, andiamo a consolarla. È lei che serba nel suo seno, che

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serba per te, Gesù di Nazareth, la più grande gioia, un figlio. Tuo figlio. Non indugiare oltre, andiamo!»

L'angelo carezzò teneramente e sollevò con delicatezza da terra il suo amico, ora erano ritti tutti e due sotto i limoni. La stella della sera scese sopra di loro, ridente.

Il cuore di Gesù si addolcì a poco a poco, il viso di Maria Maddalena e quello di Maria sorella di Lazzaro si confondevano, nella penombra umida, e non erano più che un solo viso... Venne la notte, gravida di profumi, e li coprì.

«Andiamo», mormorò l'angelo, passando il braccio tornito e coperto di peluria attorno alla vita di Gesù. Il suo alito sapeva di terra bagnata e di noce moscata. Gesù chinò la testa su di lui e chiuse gli occhi, per respirare profondamente e lasciar entrare fino in fondo alle viscere il respiro dell'-angelo custode.

L'angelo aprì con un sorriso una delle sue ali; con la notte un gelo pun-gente cominciava a scendere e lui avvolse Gesù nelle sue ali spesse perché non avesse freddo. Si sentì di nuovo nell'aria umida, come una tranquilla brina di primavera, il lamento della donna:

«Tomba d'argento, tomba d'oro...»«Andiamo», disse Gesù. Sorrideva.

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Tutta la notte, avvolto nell'ala verde, tenendosi stretto all'angelo per la vita, Gesù volò, rasentando il suolo. Una gran luna era salita nel cielo, strana, gioiosa: non vi si vedeva più Caino che uccide Abele, ma una larga bocca felice e due guance ben nutrite, inondate di luce, tondo viso di donna innamorata che vaga per la notte. Gli alberi fuggivano, gli uccelli notturni parlavano una lingua umana, le montagne si aprivano, assorbivano i due viaggiatori notturni e si richiudevano dietro di loro.

«Che bello volare sfiorando appena la terra, come si vola in sogno! La vita è diventata un sogno, forse è questo il Paradiso?» Fece per chiederlo all'angelo ma rimase zitto; temeva di svegliarsi parlando.

Si guardò attorno. Come gli spiriti della pietra, dell'aria, della montagna erano diventati leggeri! Era come quando si sta seduti assieme agli amici, il cuore leggero, quando arriva il vino fresco e si beve: lo spirito a poco a poco si rallegra, plana, vola sopra la testa, diventa una nube rosa dove si riflette rovesciato, fatto di oro e di vento, il mondo.

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Fece di nuovo per girarsi e parlare all'angelo ma quello si mise un dito sulle labbra, gli sorrise e gli disse teneramente: «Zitto!»

Si avvicinavano a un villaggio, i galli cantarono, il giorno si levava. La luna ora era discesa dietro la montagna, l'aurora rischiarava tranquilla il mondo. La terra uscì dalla sua ebbrezza, il tempo ridivenne ragionevole, la montagna, il villaggio, l'oliveto tornarono a fissarsi là dove Dio li aveva posti per attendere la fine del mondo. Ecco la strada amata, il villaggio fidato nascosto tra gli olivi, i fichi e le vigne, Betania. Ecco la casa fresca dell'amicizia, il santo telaio, il fuoco nel camino e le due sorelle, le due fiamme che non sonnecchiano mai...

«Stiamo arrivando», disse l'angelo.Il fumo saliva dal camino, le due sorelle dovevano essersi svegliate,

avevano acceso il fuoco.«Gesù di Nazareth», disse l'angelo liberando Gesù dall'ala, «le due so-

relle hanno acceso il fuoco, sono andate a mungere di buon mattino e ti preparano il latte. È il Paradiso? È questo che volevi chiedermi mentre eravamo in viaggio, è vero? È un affollarsi di piccole gioie, Gesù di Nazareth; tu bussi a una porta, viene una donna ad aprirti, ti siedi davanti al focolare, lei ti prepara il posto a tavola e quando la notte è arrivata, spe-gne la lampada e ti prende tra le braccia. Così, a poco a poco, di abbraccio in abbraccio, di figlio in figlio, arriva il Redentore. È quello il cammino.»

«Capisco», disse Gesù. Si fermò davanti alla porta azzurra e prese il battaglio per bussare. Ma l'angelo lo trattenne.

«Non aver fretta», disse, «ascolta. Non voglio che ci lasciamo più, ho paura di lasciarti solo e senza difesa; vengo con te. Mi trasformerò in un negretto, quello che hai visto tra i limoni, e dirai che sono il tuo piccolo servitore. Non voglio che tu prenda la cattiva strada e che ti perda.»

L'aveva appena detto che un negretto era davanti a Gesù. Gli arrivava al ginocchio, aveva dei grandi denti bianchi, due anelli d'oro alle orecchie e portava un paniere pieno zeppo.

«Maestro», disse sorridendo, «ecco dei doni per le due sorelle: abiti di seta, braccialetti, orecchini, ventagli di piume preziose; tutti gli ornamenti della donna. Adesso puoi bussare alla porta.»

Gesù bussò, un rumore di sandali risuonò nel cortile e una voce dolce domandò:

«Chi è?»Gesù si fece tutto rosso, aveva riconosciuto la voce: era quella di Maria.

La porta si aprì, le due sorelle si gettarono ai suoi piedi.

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«Maestro, veneriamo la tua Passione; salutiamo la tua santa Resurre-zione. Sei il benvenuto!»

«Lascia ch'io tocchi il tuo petto, Maestro, per vedere se sei davvero tu», disse Maria.

«È proprio di carne, Maria»,disse Marta, «di carne come noi; non lo vedi? Guarda la sua ombra sulla soglia.»

Gesù le ascoltava sorridendo. Sentiva le due sorelle che lo guardavano e si rallegravano.

«Marta, Maria, fiamme gemelle, sono felice di ritrovarvi. Casa d'uomo, calma, modesta, ospitale, sono felice di ritrovarti. Viviamo ancora, abbia-mo ancora fame e piangiamo, sia lodato Iddio!»

Parlando, salutando, entrò in casa.«Sono felice di ritrovarvi, focolare, telaio, madia dove lievita il pane,

tavola, conocchia e lampada amata! Servitori fedeli della donna, m'inchino e saluto i vostri talenti. Quando la donna arriverà alla porta del Paradiso, si fermerà a domandare:

«'Signore, entreranno anche i miei compagni?'«'Che compagni?' domanderà Dio.«'Oh, la madia, la lampada, la conocchia, il filatoio. Se non entrano loro

non entro neppure io.'«E Dio, che ha buon cuore, riderà:«'Siete donne', dirà, 'non posso rifiutarvi nulla. Entrate tutti. Il paradiso

è pieno di madie e di telai. Non so più dove mettere i santi.'»Le due donne risero. Si girarono, videro il piccolo servitore con il suo

paniere carico.«Chi è questo negretto, Maestro?» disse Maria. «Mi piacciono i suoi

denti.»Gesù sedette davanti al camino. Loro gli portarono il latte, il miele, il

pane di frumento. I suoi occhi si riempirono di lacrime.«I sette cieli erano troppo stretti per me», disse, «le sette grandi virtù e

le sette grandi idee. E ora, che miracolo è questo, sorelle mie? Una casetta mi basta, con un pezzo di pane e qualche semplice parola di donna!»

Andava e veniva a suo agio nella casa; andò a prendere una bracciata di rami dal cortile e li gettò nel camino, le fiamme salirono; si chinò sul poz-zo, tirò l'acqua e bevve. Posò le braccia sulle spalle di Marta e di Maria e prese possesso delle due donne.

«Cambio nome, Marta e Maria care», disse. «Vi hanno ucciso il fratello che avevo risuscitato, ora mi siedo nel posto dove sedeva lui, in questo

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angolo, prendo il suo pungolo, lavoro, semino e irrigo i suoi campi. Torno la sera, le mie sorelle mi lavano i piedi stanchi, apparecchiano la tavola per me, mi siedo davanti al focolare sul mio sgabello. Mi chiamo Lazzaro.»

Mentre parlava, il negretto lo ammaliava con i suoi grandi occhi. Guar-dandolo, il viso di Gesù si trasformava, poi tutto quanto il suo corpo, la te-sta, il petto, le gambe, le mani, i piedi; assomigliava sempre più a Lazzaro; a un Lazzaro in età matura, pieno di salute e di forza: il torso abbronzato, le mani grandi e nodose, il collo taurino. Le due sorelle lo guardavano trasformarsi così nella penombra e tremavano.

«Cambio corpo, cambio anima, sono felice di essere con voi! Dichiaro guerra al digiuno, alla verginità, alla povertà. L'anima è una fiera piena di vita, vuol mangiare. E questa bocca, eccola, tra la mia barba e i miei baffi, è la sua bocca; non ne ha altre. C'è un bambino muto, annidato nel seno di ogni donna; che ne esca! Chi non figlia uccide! Perché piangi, Maria?»

«Che altra risposta vuoi che dia, Maestro? Le donne non ne conoscono altre.»

Marta spalancò le braccia.«Noi siamo, noi donne», disse, «due braccia inguaribilmente aperte. En-

tra, Rabbi, siediti, ordina. Tu sei il Maestro.»Il viso di Gesù era raggiante.«Io non lotto con Dio», disse, «ci siamo riconciliati. Non fabbricherò

più croci; fabbricherò madie, culle, cavalletti. Manderò a dire che mi porti-no i miei attrezzi da Nazareth; mia madre, che io ho straziato, verrà ad al-levare i suoi bambini, per sentire almeno un po' di miele sulle labbra.»

Una delle due donne appoggiò il petto sulle ginocchia di Gesù, l'altra gli teneva la mano e non lo lasciava. Davanti al fuoco, il negretto aveva ap-poggiato una guancia sulle ginocchia e faceva finta di dormire; ma tra le lunghe ciglia il suo nero occhio guardava Gesù e le due donne e sorrideva, malizioso e soddisfatto.

Maria, il petto appoggiato contro le ginocchia di Gesù, gli parlò:«Ero seduta al telaio e ricamavo la tua Passione su una coperta bianca:

una croce e tutt'attorno migliaia e migliaia di rondini. Passavo i fili rossi, i fili neri e cantavo un lamento. E tu, tu mi hai sentito, hai avuto pietà di me e sei venuto.»

Marta attese pazientemente che la sorella finisse di parlare, e cominciò a sua volta:

«Io so solo impastare il pane, lavare gli abiti e dire di sì. Non ho altri ta-lenti, Maestro. So che sarà mia sorella quella che sceglierai per moglie, ma

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lascia che io respiri presso di voi l'aria nuziale, che io faccia e disfi il vostro letto e mi occupi delle necessità della vita matrimoniale».

Tacque, sospirò e poi, dopo un momento, aggiunse:«Le ragazze del nostro villaggio cantano una canzone molto amara, in

primavera, durante i giorni in cui gli uccelli covano le uova. Te la farò sen-tire cantando, perché tu capisca, perché è nella musica la mia malinconia:

Oh, voi, ragazzi ancora imberbi,Sono stanca di vendere e di vendermiSenza trovare compratore;Svendo tutto e anche me,Il primo che arriva prende!Chi mi darà un uovo di rondineIo gli darò le mie labbra;Chi mi darà un uovo d'aquilaIo gli darò il mio petto;Chi mi darà un colpo di pugnaleIo gli darò il mio cuore!

Gli occhi le si riempirono di lacrime. Maria strinse la vita dell'uomo, come temendo che qualcuno glielo portasse via. Marta sentì un pugnale piantarsi nel cuore, ma riprese coraggio e ricominciò a parlare:

«Maestro, voglio dirti ancora una cosa prima di alzarmi e lasciarti solo con Maria. Un tempo viveva da queste parti, a Betlemme, un robusto co-lono, Booz. Era estate, i suoi servi avevano fatto la mietitura, battuto le spighe, separatone la pula e ammassato sull'aia, a destra il grano e a sini-stra la paglia; lui s'era addormentato tra il grano e la paglia. A mezzanotte arrivò una povera donna che si chiamava Ruth; piano piano, per non svegliarlo, si stese ai suoi piedi. Era vedova, senza figli, soffriva. L'uomo sentì sotto i piedi il calore del suo corpo, allungò un braccio, cercò, la tro-vò e la attirò fino al petto... Capisci, Maestro?»

«Capisco, taci», disse Gesù.«Vado», disse Marta alzandosi.Gesù e Maria rimasero soli. Presero una stuoia e la coperta dov'erano ri-

camate la croce e le rondini e salirono sulla terrazza della casa. Una nuvola complice venne a velare il sole. Si nascosero sotto la coperta per sottrarsi alla vista di Dio e cominciarono ad accarezzarsi... Per un attimo, così com'-era, Gesù aprì gli occhi e vide il negretto, seduto sul bordo della terrazza,

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che guardava verso Gerusalemme e suonava il flauto...L'indomani tutto il villaggio sfilò per vedere il nuovo Lazzaro. Il negret-

to correva, faceva le commissioni, tirava l'acqua dal pozzo, andava a mun-gere le pecore, aiutava Marta ad accendere il fuoco, poi andava ad accuc-ciarsi sulla soglia e suonava il flauto. I contadini venivano con i loro doni, latte, pannocchie di granoturco, datteri, miele, per augurare il benvenuto allo strano visitatore che somigliava tanto a Lazzaro. Vedevano il negretto sulla soglia, lo stuzzicavano e ridevano; lui rideva con loro.

Il notabile cieco entrò anche lui, allungò la sua grossa mano, tastò le ginocchia, le cosce, le spalle di Gesù, scosse la testa e scoppiò a ridere.

«Accidenti, ma voi non ci vedete!» gridò ai contadini che avevano riempito il cortile. «Non è Lazzaro. Non ha lo stesso alito, la sua carne non è della stessa pasta e sta attaccata alle ossa; un'ascia non riuscirebbe a separarle.»

Gesù, seduto in cortile, mescolava verità e menzogna, ridendo.«Non sono Lazzaro, piccoli miei, non abbiate paura, è proprio morto!

Semplicemente mi chiamo anche io Lazzaro, mastro Lazzaro, e faccio il falegname. Un angelo dalle ali verdi mi ha portato davanti a questa casa e mi ha fatto entrare!»

Dicendo ciò guardava il negretto, che scoppiava a ridere.Il tempo scorreva, come acqua di Giovinezza, e abbeverava il mondo.

Le spighe morirono, i grappoli d'uva si misero a brillare, le olive si gon-fiarono d'olio; e i melograni in fiore si caricarono di frutti. Venne l'autun-no, poi l'inverno, nacque il figlio. Maria, puerpera, contemplava distesa il neonato e non si stancava di ammirarlo. Dio mio, come aveva fatto quella meraviglia a uscire dal suo seno? «Ho bevuto dell'acqua di Giovinezza», diceva Maria sorridendo, «ho bevuto dell'acqua di Giovinezza e non mo-rirò.»

È notte buia, piove, la terra si apre e accoglie il cielo nel suo seno e lo trasforma in limone. Mastro Lazzaro è sdraiato sui trucioli nella sua bot-tega, tra le culle e le madie non ancora terminate, nell'ombra fitta; pensa al figlio appena nato, pensa a Dio, ascolta la pioggia e si rallegra. Per la prima volta nel suo spirito Dio ha preso forma di un bambino; lo sente piangere nella camera vicina, lo sente ridere e danzare sulle ginocchia del-la madre. «Dio era così vicino, dunque», pensa carezzandosi la barba nera, «i suoi piedi rosati erano così teneri, è così facile fargli il solletico e farlo ridere, lui, l'onnipotente, basta che le dita dell'uomo lo accarezzino?»

Il negretto che faceva finta di dormire nell'angolo opposto, accanto alla

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porta, sbadigliò. Udiva sorridendo i movimenti del neonato, soddisfatto. Ora, di notte, ora che nessuno lo vedeva, era ridiventato angelo; aveva spiegato le sue ali verdi sui trucioli e riposava.

«Gesù», bisbigliò nel buio, «Gesù, dormi?»Gesù fece finta di non sentire, perché gli piaceva molto sentire, senza

parlare, nel silenzio della notte, il figlio appena nato. Si limitò a sorridere. Si era affezionato molto a quel negretto; tutto il giorno gli faceva le com-missioni, l'aiutava a lavorare il legno e la sera, quando il lavoro s'interrom-peva, sedeva sul gradino della porta e suonava il flauto; Gesù l'ascoltava e dimenticava la stanchezza della giornata. Quando spuntava la prima stella, mangiavano tutti assieme alla stessa tavola e il negretto non smetteva di ridere, di scherzare, di prendere in giro l'infelice Marta, di stuzzicarla sulla sua verginità, raddoppiando le risate.

«Noialtri, laggiù, nel mio paese, in Barberia», diceva guardando Marta con un'aria maliziosa, «se ci brucia dentro di fare qualcosa, non lo nascon-diamo, non ci avveleniamo il sangue, come voialtri Ebrei. Ho voglia di mangiare una banana, che sia mia o di un altro, che differenza fa? La man-gio; voglio nuotare, nuoto; voglio baciare una donna, la bacio. Il nostro Dio non ci sgrida, è anche lui nero, ama i neri, porta anelli d'oro alle orec-chie e fa anche lui quello che vuole. È il nostro grande Fratello e abbiamo tutti e due la stessa madre, la Notte.»

«E muore, il vostro Dio, negretto?» gli chiese una sera Marta per stuz-zicarlo.

«Finché ci sarà un nero vivo, vivrà!» rispose lui chinandosi a solleti-carle la pianta dei piedi.

Tutte le sere, quando si spegnevano le luci, l'angelo custode spiegava le ali al buio e veniva a sdraiarsi accanto al suo compagno. Parlavano sotto-voce per non essere sentiti e l'angelo dava dei consigli per l'indomani. Poi ritornava negretto, si trascinava nei trucioli e si addormentava.

Ma quella sera non aveva sonno.«Gesù», ripeté più forte, «Gesù, dormi?»Vedendo che non riceveva risposta, si alzò. Si avvicinò a Gesù e lo

scosse:«Ehi, mastro Lazzaro, lo so che non dormi. Perché non rispondi?»«Non ho voglia di parlare, sono felice», rispose Gesù, e chiuse gli oc-

chi.«Sei contento di me?» chiese l'angelo gonfiando il petto. «Hai qualcosa

da rimproverarmi?»

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«Niente, figlio, niente... Il mio cuore si è scaldato.» Si sollevò. «Quanto mi ero ingannato», mormorò, «che deserto, che erta salita fiancheggiata di precipizi avevo intrapreso per trovare Dio! Gridavo, la mia voce riecheg-giava nella montagna deserta, tornava a me e io credevo che fosse una risposta!»

L'angelo si mise a ridere.«Da soli non si può trovare Dio, bisogna essere in due, un uomo e una

donna. Tu non lo sapevi, te l'ho insegnato io. Così, con Maria, tu hai tro-vato Dio, che cercavi da tanti anni. Ora sei seduto nell'oscurità, lo senti ridere e piangere e sei felice...»

«È quello Dio, è quello l'uomo, ecco la strada», mormorò Gesù chiudendo di nuovo gli occhi.

La sua vita passata gli attraversò lo spirito come un lampo, sospirò. Al-lungò la mano e incontrò quella dell'angelo.

«Angelo custode», disse, teneramente, «figlio mio, se non fossi venuto tu io sarei stato perso. Non lasciarmi mai più.»

«Non me ne andrò, non temere. Non ti lascio: tu mi piaci.»«Quanto durerà questa felicità?»«Finché io sarò con te, finché tu sarai con me, Gesù di Nazareth.»«Eternamente?»L'angelo sorrise.«Che vuol dire eternamente? Non sei ancora riuscito a liberarti dei pa-

roloni, Gesù di Nazareth? Dei paroloni, delle grandi idee, dei regni dei cieli? Neppure tuo figlio è riuscito a guarirti, allora?»

Batté l'impiantito col pugno.«Eccolo il regno dei cieli, è la terra. Eccolo Dio, è tuo figlio. Eccola

l'eternità, è ogni istante, Gesù di Nazareth, ogni istante che passa. L'istante non ti basta? Allora, sappilo, neppure l'eternità ti basterà.»

Tacque. Dei passi leggeri risonarono nel cortile, piedi nudi che si avvi-cinavano.

«Chi è?» disse Gesù alzandosi.«Una donna», rispose l'angelo sorridendo. Andò a tirare il chiavistello

della porta.«Che donna?»L'angelo agitò il dito come per rimproverarlo.«Te l'ho già detto, l'hai dimenticato? Non ci sono al mondo due donne,

ce n'è una sola. Una con innumerevoli facce. È una di queste facce che arriva. Alzati ad accoglierla. Io me ne vado.»

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Strisciò come un serpente tra i trucioli e scomparve.I piedi nudi si fermarono davanti alla porta. Gesù si girò verso il muro,

abbassò le palpebre e fece finta di dormire. Una mano spinse la porta, l'aprì. Una donna scivolò nella bottega, trattenendo il respiro. Camminava lentamente; arrivò nell'angolo dove Gesù era sdraiato e, senza parlare, senza far rumore, si accoccolò ai suoi piedi.

Gesù sentì il calore della donna salirgli ai piedi, alle ginocchia, alle co-sce, al cuore, alla gola. Allungò la mano, trovò le trecce della donna, cercò nel buio il suo viso, la gola, il petto. Lei si inarcava, piena di speranza, di sottomissione, e taceva. Tremava soltanto, e su tutto il suo corpo il sudore si imperlava come brina.

Con voce flebile e tenera, piena di compassione, l'uomo parlò.«Chi sei?»La donna tremava e taceva. Gesù si pentì d'averla interrogata, aveva

dimenticato ancora una volta le parole dell'angelo. Che gli importava di sa-pere il suo nome, da dove veniva, il disegno, il colore, la bellezza o la brut-tezza del suo viso? Era il volto femminile della terra, il suo petto era op-presso, una folla di figli e di figlie erano in lei, che soffocavano e non riu-scivano a uscire, e lei era venuta a trovare l'uomo perché aprisse loro la via. Il cuore di Gesù traboccò di compassione.

«Sono Ruth», mormorò la donna, tremando.«Ruth? Quale Ruth?»«Marta.»

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I giorni passavano, e i mesi e gli anni; i figli e le figlie si moltiplicavano nella casa di Lazzaro, Marta e Maria rivaleggiavano in fertilità. L'uomo lottava, sia nella sua bottega con il pino, la quercia verde e il cipresso, ad abbatterli e a tormentarli per farne strumenti al servizio dell'uomo, sia nei campi con i venti, le talpe e le ortiche, tornava spossato al crepuscolo e se-deva nel cortile, le sue donne venivano a lavargli i piedi e i polpacci, gli accendevano il fuoco, gli preparavano la tavolai gli spalancavano le brac-cia. E lui che lavorava il legno per liberarne le culle che vi erano racchiuse, che lavorava la terra per liberarne l'uva e le spighe, lavorava anche le sue donne, e liberava Dio che era in esse.

«Che felicità», pensava Gesù, «che corrispondenza profonda di anima e corpo, di uomo e terra!» Marta e Maria volevano toccare la loro felicità

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con la mano per vedere se tutta quella gioia e quella dolcezza erano reali e se era reale l'uomo che amavano e i bambini che uscivano dal loro seno e che gli somigliavano. Tutta quella felicità sembrava troppo grande, tre-mavano. Una notte Maria fece un sogno orribile. Si alzò, uscì in cortile e vide Gesù che si era appena alzato ed era seduto a terra, le mani appog-giate al suolo, felice. Gli si accostò e gli sedette accanto.

«Maestro», disse sottovoce, «che cosa sono i sogni, di cosa sono fatti? Chi li manda?»

«Non sono né di angeli né di demoni», le rispose Gesù. «Quando Luci-fero si è rivoltato contro Dio, i sogni sono rimasti, indecisi, tra demoni e angeli. Dio li ha precipitati negli abissi del sonno. Perché me lo chiedi? Che cosa hai sognato, Maria?»

Ma Maria scoppiò in singhiozzi; non parlava. Gesù le carezzò la mano:«Finché te lo terrai dentro, Maria, il tuo sogno ti roderà le viscere.

Portalo alla luce, per scacciarlo!»Maria fece per cominciare ma la gola le si strinse. Gesù l'accarezzò, lei

prese coraggio.«Tutta la notte, la luna splendeva forte, non ho potuto chiudere occhio.

Ma all'alba mi sono assopita, perché avevo visto un uccello, no, non era un uccello, aveva sei ali di fuoco, doveva essere uno dei serafini che circon-dano il trono di Dio... È venuto a svolazzare attorno a me e a un tratto si è precipitato, mi ha avvolto la testa tra le ali mi ha messo il becco nell'-orecchio e mi ha parlato... Maestro, mi getto ai tuoi piedi, li bacio. Ordi-nami di tacere.»

«Coraggio, Maria; non sono con te? Di che cosa hai paura? Ti ha parlato. Che ti ha detto?»

«Che tutto questo, Maestro, è...»La gola le si strinse di nuovo. Prese le ginocchia di Gesù e le strinse

forte tra le braccia.«Che tutto questo è...»«Che cosa è, Maria, mia amata?»«Un sogno...» mormorò. Scoppiò in lamenti.Gesù sussultò.«Un sogno?» dice.«Sì, Maestro, che tutto questo non è che un sogno.»«Come, tutto questo?»«Tu, io, Maria, i nostri abbracci notturni, i nostri figli... Tutto, tutto,

tutto non è altro che menzogna. La Tentazione li ha forgiati per ingannarci;

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ha preso un po' di sonno, di morte e di vento e li ha forgiati... Maestro, vieni, soccorrimi!»

Rotolò a terra, si dibatté per un momento e a un tratto si irrigidì. Marta accorse, portò dell'aceto aromatizzato, gliene strofinò le tempie, si riebbe. Aprì gli occhi, vide Gesù e si aggrappò a lui.

«Ha mosso le labbra, Maestro», disse Marta. «Chinati, vuole parlarti.»Gesù si chinò, le sollevò la testa. Lei muoveva le labbra e parlava...«Che dici, Maria, mia amata? Non ti sento.»Maria raccolse tutte le sue forze:«E che tu, Maestro...» mormorò.«Io?... Parla!»«... Tu sei stato crocifisso!» disse, e rotolò a terra, svenuta.La distesero sul letto, Marta rimase vicina a lei, Gesù aprì la porta e si

avviò per i campi; soffocava. Sentì dei passi dietro di sé e si girò. Era il negretto.

«Che vuoi?» gli gridò in collera. «Voglio restare solo.»«E io non voglio lasciarti solo, Gesù di Nazareth», rispose l'altro, con

gli occhi che gli brillavano. «Questo è un momento difficile; il tuo spirito può vacillare.»

«È proprio quello che voglio, che vacilli. Ci sono dei momenti che il mio spirito, che sia maledetto, mi impedisce di vedere.»

Il negretto si mise a ridere.«Sei forse una donna?» disse. «Credi ai sogni? Lascia che le donne

piangano. Sono donne; non riescono a sopportare una grande gioia e piangono. Ma noi, noi resistiamo. Non è vero?»

«Sì, taci!»Camminavano svelti. Salirono su una collina verdeggiante: tra l'erba

c'erano degli anemoni e delle margherite gialle; la terra odorava di timo. Gesù scorse la sua casa tra gli olivi; un fumo tranquillo si levava dal tetto; l'anima di Gesù si tranquillizzò: le donne si sono riprese, pensò, si sono messe davanti al camino, hanno acceso il fuoco.

«Torniamo indietro», disse al negretto, «e non aprir bocca; sono donne, abbi pietà di loro.»

Passarono dei giorni. Una sera vide apparire uno strano viandante, mez-zo ubriaco. Era il giorno del Sabbath, Gesù non lavorava; seduto sulla so-glia, si era fatto sedere il più piccolo dei suoi figli e la più piccola delle sue figlie sulle ginocchia e giocava con loro. Al mattino era caduta la pioggia e nel pomeriggio il tempo si era rimesso: ora delle nuvole tenui, color cremi-

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si, navigavano verso occidente; il cielo, tra le nubi, era verde come una prateria. Due piccioni tubavano sulla terrazza. Maria era seduta accanto a lui, il petto gonfio.

Il viandante si fermò, lanciò uno sguardo obliquo a Gesù e si mise a ridere.

«Eh, mastro Lazzaro», farfugliò. «Eh, mastro Lazzaro, ne hai di fortuna, tu! Gli anni passano davanti alla tua porta e se ne vanno, e tu rimani come il patriarca Giacobbe con le sue due donne Lia e Rachele, con le tue due, Marta e Maria. Una, a quanto mi hanno detto, s'incarica dell'andamento della casa, l'altra si incarica di te, e tu ti incarichi di tutto: il legno, la terra, la donna. E Dio. Ma esci un po', insomma, metti il naso fuori dalla porta, metti la mano a parare il sole e guarda quello che succede lontano, nel mondo... Hai mai sentito parlare di Pilato, Ponzio Pilato? Che possa arro-stire a fuoco lento all'Inferno!»

Gesù, che aveva riconosciuto il viandante mezzo ubriaco, sorrise.«Simone di Cirene», disse, «uomo di Dio e di vino, che tu sia il benve-

nuto. Prendi uno sgabello e siedi. Marta, porta del vino per il nostro vec-chio amico.»

Il viandante sedette sullo sgabello e prese la tazza che gli veniva offerta con le due mani.

«Mi conoscono tutti», disse, fiero di sé. «Tutti sono venuti a fare le de-vozioni nella mia taverna. Evidentemente anche tu, mastro Lazzaro. Ma non cambiare discorso. Ti ho chiesto se hai mai sentito parlare di Pilato, Ponzio Pilato. L'hai mai visto?»

Il negretto arrivò, si appoggiò al montante della porta e si mise in ascol-to.

«Una nube leggera», rispose Gesù sforzandosi di ricordare, «una nube leggera passa sopra il mio spirito. Due occhi di ghiaccio, grigio cenere come quelli dello sparviero, una risata piena di sarcasmo e un anello d'oro; questo è tutto quello che mi ricordo. E un bacile d'argento che gli porta-vano per lavarsi le mani; nient'altro. Doveva essere un sogno, una nebbia dello spirito, il sole s'è alzato, ed è scomparsa. Ma ora che mi ci fai pen-sare, Cireneo, mi ricordo. Mi ha tormentato tanto, nel mio sonno.»

«Che sia maledetto! Ho sentito dire che agli occhi di Dio il sogno ha più peso della realtà della veglia. Ebbene, Dio ha torturato Pilato. È stato cro-cifisso!»

Gesù lanciò un grido.«Crocifisso!»

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«Perché hai paura? Gli sta bene! Ieri all'alba l'hanno trovato crocifisso. La sua testa era turbata; non riusciva a chiudere occhio, si alzava, prendeva un catino e passava le notti a lavarsi le mani gridando: 'Mi lavo le mani, sono innocente!' Ma il sangue non voleva venir via da quelle mani, lui prendeva ancora dell'acqua, si lavava ancora... Usciva, andava a vagare sul Golgota, non trovava requie. Aveva due fedeli servitori negri, gli ordinava tutte le sere: prendete il mio nerbo di bue, frustatemi! Raccoglieva delle spine, ne faceva corone e se le piantava sulla testa; il sangue sgorgava.»

«Mi ricordo... Mi ricordo... Mi ricordo», mormorava Gesù, e lanciava di tanto in tanto uno sguardo al negretto che ascoltava, appoggiato al mon-tante della porta.

«Poi ha cominciato a bere; faceva il giro delle taverne, veniva anche nella mia, beveva, diventava un gallo, diventava un porco... La sua donna ne ha avuto schifo e l'ha lasciato. Sono arrivati ordini da Roma, l'hanno richiamato... Mi ascolti, mastro Lazzaro? Perché sospiri?»

Gesù abbassò gli occhi a terra e non rispose. Il negretto andò a riempire la tazza di Simone il Cireneo.

«Taci», gli bisbigliò dolcemente all'orecchio, «vattene!»Ma Simone si arrabbiò.«Perché dovrei tacere? Insomma, per farla breve: ieri all'alba hanno

trovato il tuo bravo Pilato sulla cima del Golgota, crocifisso!»Gesù sentì una fitta acuta al cuore, come se gli avessero piantato una

lancia. I quattro segni bluastri delle mani e dei piedi si gonfiarono e si arrossarono.

Maria lo vide impallidire, si avvicinò e gli carezzò le ginocchia.«Mio amato», disse, «sei stanco. Entra a sdraiarti.»Il sole era tramontato; l'aria rinfrescava. Il negretto prese Simone per un

braccio; era ora completamente ubriaco, ne aveva abbastanza di parlare, si addormentò. L'altro lo sollevò con un movimento brusco e lo trascinò fuori dal villaggio.

«Tu deliri», gli disse con ira. «Vattene!» e gli mostrò la strada che conduceva a Gerusalemme.

Il negretto tornò a casa, agitato. Gesù, coricato nella sua bottega, teneva gli occhi fissi sul lucernario. Marta preparava la cena, Maria allattava l'ultimo nato e guardava l'uomo, in silenzio. Il negretto entrò; gli occhi gli brillavano ancora di collera.

«Se n'è andato», disse, «era completamente ubriaco; non sapeva più che cosa diceva.»

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Gesù si girò e lo guardò con angoscia. Si morse le labbra; aveva paura di parlare.

Si volse di nuovo verso il negretto, come per chiedergli aiuto. Ma quello si mise un dito sulle labbra e gli sorrise:

«Dormi», disse, «dormi...»Gesù chiuse gli occhi, le labbra gli si schiusero, le rughe della fronte si

appianarono, entrò nel sonno. L'indomani all'alba, al risveglio, si sentì feli-ce e sollevato, come se fosse appena scampato a un grave pericolo. Il ne-gretto s'era svegliato anche lui. Puliva la bottega, ridendo sotto i baffi.

«Perché ridi?» chiese Gesù strizzandogli l'occhio.«Rido degli uomini, Gesù di Nazareth», rispose a voce bassa per non

farsi sentire dalle donne. «Quali terrori devono attraversare il vostro pove-ro spirito in ogni momento! A destra un baratro, a sinistra un baratro, die-tro un baratro, davanti solo una corda tesa sull'abisso!»

«Per un momento», disse Gesù ridendo a sua volta, «il mio spirito ha barcollato sulla corda, e credo che c'è mancato poco che finisse nell'abisso. Ma se sono uscito!»

Le donne entrarono, la conversazione cambiò argomento, accesero il fuoco nel camino, il giorno cominciava. Una folla di bambini si precipitò nel cortile tra scoppi di risa e si mise a giocare a moscacieca.

«Maria», disse Gesù ridendo, «quanti bambini abbiamo? Marta, il cor-tile è pieno. Bisognerà allargare la casa, o dovremmo smettere di averne.»

«Bisognerà allargare la casa», rispose Marta.«Presto cominceranno a scalare i muri e gli alberi del cortile come to-

polini e scoiattoli. Abbiamo dichiarato guerra alla morte, Maria. Siano be-nedette le viscere delle donne. Sono piene di uova, come quelle dei pesci, e ogni uovo è un uomo. La morte non ce la farà.»

«La morte non ce la farà, mio amato, e lo dobbiamo a te», rispose Maria.

Gesù era di buonumore, voleva punzecchiarla. E poi Maria gli piaceva molto quel giorno, appena sveglia, che si pettinava davanti a lui.

«Maria», disse, «tu non pensi mai alla morte, non invochi mai la mise-ricordia di Dio, non ti preoccupa quello che diventerai nell'altro mondo?»

Maria scosse ridendo i lunghi capelli.«Sono preoccupazioni da uomo», disse. «No, non invoco la misericor-

dia di Dio, invoco quella dell'uomo. Non busso alla porta di Dio per men-dicare le gioie eterne del Paradiso. Io abbraccio l'uomo che amo e non voglio altro Paradiso. Le gioie eterne sono per gli uomini.»

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«Le gioie eterne sono per gli uomini?» disse Gesù accarezzandole la spalla nuda. «La terra è un recinto stretto, donna mia amata. Come puoi chiudertici e non voler fuggire!»

«La donna è felice solo entro le frontiere, lo sai, Maestro. La donna è una cisterna, non una sorgente.»

Marta entrò di corsa.«Qualcuno cerca la nostra casa», disse, «sta arrivando. È tozzo e gobbo,

la sua testa è liscia come un uovo. Arriva trotterellando.»Il negretto arrivò anche lui, senza fiato:«Ha un'aria che non mi piace, gli chiudo la porta in faccia. Un altro

ancora che vuole metterci sottosopra.»Gesù lanciò uno sguardo furtivo al negretto.«Di che hai paura?» disse. «Chi è, da agitarti tanto? Apri la porta.»Il negretto ammiccò.«Caccialo via!» gli disse sottovoce.«Perché? Chi è?»«Caccialo via», ripeté il negretto, «non fare domande.»Gesù si irritò.«Non son libero? Non posso fare quello che voglio? Apri la porta!»Dei passi risuonarono nella strada e si fermarono. Qualcuno bussò alla

porta.«Chi è?» chiese Gesù precipitandosi nel cortile.«Sono un inviato di Dio, aprite!» disse una vocina flebile.La porta si aprì, sulla soglia c'era un ometto grasso, curvo, calvo, ancora

giovane. Gli occhi mandavano fiamme. Le due donne, che erano accorse a vedere, si ritrassero.

«Rallegratevi e siate felici, fratelli», disse il visitatore allargando le braccia, «vi porto la Buona Novella!»

Gesù lo guardava, sforzandosi di ricordarsi dove, l'aveva già visto, un brivido di ghiaccio gli corse lungo la schiena.

«Chi sei? Mi sembra di averti incontrato da qualche parte. Nel palazzo di Caifa? A una crocifissione?»

Il negretto, accoccolato in un angolo del cortile, esclamò con scherno:«Ma è Saulo, Saulo, il bevitore di sangue umano!»«Tu sei Saulo?» disse Gesù con orrore.«Lo ero, non sono più il sanguinario Saulo. Ho visto la vera luce. Sono

Paolo. Sia lodato il nome del Signore, sono stato salvato e sono partito a salvare il mondo. Non la Giudea, non la Palestina, tutta la terra. La Buona

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Novella che porto con me ha bisogno di mari, di città lontane, di grandi spazi. Non scuotere la testa, mastro Lazzaro, non sorridere, non burlarti di me: io salverò il mondo!»

«Io vengo di là dove tu stai andando, ragazzo mio», rispose Gesù. «Quando ero giovane come te, mi ricordo, ero anch'io per salvare il mon-do. Questo vuol dire essere giovani, voler salvare il mondo! Andavo scal-zo, vestito di stracci, con una corda chiodata per cintura, come gli antichi profeti, e gridavo: Amore! Amore! e tante altre cose di cui non ho voglia di ricordarmi. Mi hanno preso a pomodori, mi hanno riempito di botte e a momenti mi crocifiggevano. Ecco che cosa succederà anche a te, ragazzo mio!»

S'era infuocato, aveva dimenticato che faceva la parte di mastro Laz-zaro e aveva rivelato il suo segreto a uno straniero.

Il negretto ebbe paura; intervenne per sviare la conversazione su altri argomenti.

«Non parlargli, padrone, ho anch'io qualcosa da dirgli, lascia che gli parli io.»

Si volse allo straniero.«Non sei tu, maledetto, che hai ucciso, ingiustamente, per niente, Maria

di Magdala? Le tue mani sono ancora coperte di sangue. Esci da questa casa rispettabile.»

«Sei tu?» disse Gesù rabbrividendo.«Sono io», rispose Paolo con un profondo sospiro. «Mi batto il petto,

mi straccio le vesti e grido: Mea culpa! Mea culpa! Avevo avuto l'ordine scritto di uccidere tutti coloro che violavano la Legge di Mosè, ho ucciso tutti quelli che ho potuto e sono ripartito verso Damasco. Allora, all'im-provviso, un fulmine è scaturito dal cielo e mi ha gettato a terra. Il lampo troppo violento mi aveva accecato, non vedevo più. Ho sentito sopra, la mia testa una voce piena di rimprovero: 'Saulo, Saulo, perché mi persegui-ti? Che ti ho fatto?' 'Chi sei, Signore?' ho gridato. 'Io sono Gesù che tu perseguiti. Alzati, entra a Damasco e là i miei fedeli ti diranno quello che devi fare.' Mi sono alzato in un balzo, tremavo, i miei occhi erano aperti ma non vedevo. I miei compagni mi hanno preso per mano e mi hanno fatto entrare a Damasco. Nella casa dove mi sono fermato è venuto un di-scepolo di Gesù, Anania, che sia benedetto! Mi ha posto una mano sulla testa e ha detto una preghiera: 'Cristo, dagli la tua luce, perché percorra tutto il mondo, annunciando la Buona Novella! ' Aveva appena detto que-sto che il velo è caduto dai miei occhi, ho visto la luce, mi sono fatto bat-

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tezzare. Col battesimo sono diventato Paolo, l'apostolo delle Genti, pre-dico, sulla terra e sul mare, la Buona Novella.

«Che hai da spalancare gli occhi mentre mi guardi? Perché ti sei alzato tutto sconvolto, mastro Lazzaro?»

Gesù camminava avanti e indietro nel cortile, i pugni stretti, la schiuma alla bocca; vide le sue donne in un angolo, pallide, vide i suoi figli che piangevano, attaccati alle sottane delle loro madri.

«Andate via», ordinò, «lasciateci soli!» Il negretto, sovreccitato, si avvi-cinò per parlargli, ma lui lo respinse con ira.

«Non sono libero?» disse. «Non ce la faccio più, devo parlare!»Si volse verso Paolo, la voce gli tremava:«Quale Buona Novella?»«Gesù di Nazareth, ne avrai sentito parlare, non era figlio di Giuseppe e

di Maria, era figlio di Dio. È disceso sulla terra, ha preso un corpo umano, per salvare gli uomini. I sacerdoti e i Farisei, iniqui, lo hanno catturato, portato davanti a Pilato e crocifisso. Ma il terzo giorno è risorto ed è salito al cielo. La morte è stata vinta, fratelli, i peccati sono stati perdonati, le Porte del Paradiso si sono aperte!»

«Tu l'hai visto risorto, Gesù di Nazareth?» ruggì Gesù. «L'hai visto con i tuoi occhi? Com'era?»

«Una folgore, una folgore che parlava.»«Bugiardo!»«I suoi discepoli l'hanno visto. Erano riuniti, dopo la crocifissione, in un

granaio, e le porte erano sbarrate. Improvvisamente è arrivato, è rimasto in piedi tra loro e ha detto: 'La pace sia con voi!' L'hanno visto tutti, sono ri-masti sbalorditi; Tommaso non ci voleva credere, ha messo il dito sulle sue piaghe e gli ha dato da mangiare del pesce...»

«Bugiardo!»Ma Paolo si era lanciato, il suo corpo curvo s'era eretto, i suoi occhi

lanciavano lampi.«Non è nato da uomo, sua madre era vergine. L'arcangelo Gabriele è

disceso dal cielo e le ha detto: 'Ti saluto, Maria!' e la parola è caduta come seme nel suo ventre. È così che è nato.»

«Bugiardo! Bugiardo!»Paolo si fermò, perplesso. Il negretto si alzò e andò a sprangare la porta;

i vicini avevano sentito le grida, avevano socchiuso le loro porte e ten-devano l'orecchio; le due donne erano tornate in cortile, impaurite, ma il negretto le aveva chiuse di nuovo in casa. Gesù era fuori di sé, non padro-

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neggiava più il suo cuore; si avvicinò a Paolo, lo afferrò per un braccio e si mise a scuoterlo.

«Bugiardo! Bugiardo!» gli gridava. «Sono io Gesù di Nazareth, non sono mai stato crocifisso, non sono mai risorto, sono il figlio di Maria e di Giuseppe il falegname di Nazareth, non sono il figlio di Dio, sono, come tutti, figlio dell'uomo. Che sono queste bestemmie, queste infamie, queste menzogne? È con menzogne simili che tu osi voler salvare il mondo, scel-lerato?»

«Tu? tu?» mormorò Paolo sbalordito. Mentre mastro Lazzaro parlava e schiumava, Paolo aveva scorto sulle sue mani e sui piedi i segni bluastri, come segni di chiodi, e una ferita sul cuore.

«Che hai da roteare gli occhi?» gridò Gesù. «Che hai da guardarmi le mani e i piedi? I segni che vedi me li ha impressi Dio - Dio o la Tentazio-ne? Non riesco ancora a capire - in sogno. Ho sognato che ero crocifisso e che soffrivo, ma ho cacciato un urlo e mi sono svegliato; e mi sono calma-to. Quello che dovevo subire da sveglio l'ho subito in sogno, e ne sono sfuggito!»

«Taci! Taci!» ruggì Paolo stringendosi le tempie perché non scoppiasse-ro. «Taci!»

Ma Gesù non poteva più tacere. Sembrava che quelle parole fossero rinchiuse nel suo cuore da anni, e che ora il cuore si fosse aperto e loro si spandessero. Il negretto gli si attaccò al braccio. «Taci! Taci!» gli diceva, ma Gesù con uno strattone lo gettò a terra e si volse a Paolo:

«Sì, sì, dirò tutto per liberarmi! Quello che dovevo subire da sveglio l'ho subito in sogno, sono sfuggito a tutto e sono venuto in questo piccolo villaggio sotto altro nome, con un altro viso, e conduco la vita di un uomo: mangio, bevo, ho dei figli. I grandi incendi si sono placati, sono diventato come tutti gli altri, un buon fuoco tranquillo, mi metto buono buono davanti al camino e la mia donna cuoce la cena dei nostri bambini. Sono partito per conquistare il mondo e ho buttato l'ancora in questo porto familiare. Ecco: non ho niente di cui lagnarmi. Sono figlio dell'uomo, ti di-co, non sono figlio di Dio. E non correre nel mondo a predicare menzogne. Io mi leverò e griderò la verità!»

Paolo scattò a sua volta.«Chiudi quella bocca, sfrontato!» gli gridò precipitandosi su di lui.

«Taci, se ti sentono gli uomini si sentiranno con le gambe e le braccia tagliate. Nella putredine, l'ingiustizia e la povertà di questo mondo, Gesù il Crocifisso, Gesù il Risorto era l'unica e preziosa consolazione dell'uomo

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onesto e oppresso. Menzogna o verità, che mi importa? Basta che il mondo sia salvato!»

«Meglio che il mondo si perda nella verità piuttosto che salvarsi con la menzogna. Nel cuore di una redenzione di questo genere si trova il gran Verme, Satana.»

«Che cos'è la verità? Che cos'è la menzogna? La verità è ciò che dà ali agli uomini, ciò che crea grandi azioni e grandi anime e che ci fa sollevare con tutta la nostra statura al di sopra della terra. La menzogna è ciò che rode le ali degli uomini.»

«Non vuoi star zitto, figlio di Satana? Le ali di cui parli tu sono le ali di Lucifero.»

«Non starò zitto. Me ne rido delle verità e delle menzogne, di aver visto o no, che tu sia stato o no crocifisso. Io, con la testardaggine, la passione e la fede, io forgio la verità. Non mi affanno a trovarla, la fabbrico. La fab-brico più grande dell'uomo, e con ciò stesso rendo l'uomo più grande.

«Bisogna, capisci? bisogna assolutamente, perché il mondo si salvi, che tu sia crocifisso, e io ti metterò in croce, che tu lo voglia o no; bisogna che tu risorga e io ti farò risorgere, che tu lo voglia o no. Tu, signor mio, puoi benissimo rimanere nel tuo villaggio a fabbricare culle, madie e bambini. Io, sappilo, io costringerò l'aria a prendere la tua forma, a diventare il tuo corpo, la corona di spine, i chiodi, il sangue; tutto ciò fa ormai parte degli strumenti della salvezza, non se ne può più fare a meno. Innumerevoli oc-chi, fino ai confini della terra, si alzeranno e ti vedranno crocifisso in aria. Piangeranno e le lacrime purificheranno la loro anima di tutti i peccati. Ma il terzo giorno ti farò risorgere, perché senza resurrezione non c'è salvezza. L'ultimo, il più terribile dei nemici è la morte. Io l'abolirò. Come? Risu-scitandoti: Gesù, figlio di Dio, il Messia!»

«Non è vero! Mi alzerò e griderò: non sono stato crocifisso, non sono risorto, non sono Dio! Perché ridi?»

«Grida pure quanto vuoi, se ti diverte. Non ho paura di te, né ho più bi-sogno di te. La ruota che hai messo in moto è lanciata, chi può più fer-marla? È vero, per un attimo mentre parlavi ho avuto voglia di saltarti ad-dosso e di strozzarti, per paura che andassi a proclamare chi sei e che i poveri uomini vedessero che non eri stato crocifisso. Ma mi sono tranquil-lizzato immediatamente. Puoi gridare quanto ti pare. I tuoi fedeli ti pren-deranno e ti faranno salire sul rogo come bestemmiatore, e ti bruceranno!»

«Io ho detto una sola cosa, ho portato un solo messaggio: Amore. Amore, nient'altro.»

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«Tu hai detto: Amore e hai liberato tutti gli angeli e tutti i demoni che dormono nel petto dell'uomo. Non è, come credi tu, una parola semplice, di tutto riposo. Racchiude tanto sangue, eserciti che si ammazzano a vi-cenda e città che bruciano. Fiumi di sangue, fiumi di lacrime. La faccia della terra è cambiata. Adesso sgolati pure e grida finché vuoi: 'Non è quello che intendevo dire, non è quello l'amore, non vi uccidete tra voi, siamo tutti fratelli, fermatevi!' Non si azzarderanno a fermarsi, infelice. È finita!»

«Ridi come un demonio»«Rido come un apostolo. Io diverrò il tuo apostolo, che tu lo voglia o

no. Fabbricherò te, la tua vita, il tuo insegnamento, la tua crocifissione e la tua resurrezione come vorrò io. Non è stato Giuseppe, il falegname di Nazareth, che ti ha generato, sono stato io, Paolo di Tarso in Cilicia.»

«Non voglio! Non voglio!»«Chi ti ha chiesto che cosa vuoi? Io non ho bisogno del tuo permesso.

Che c'entri tu col mio lavoro?»Gesù si accasciò sui gradini del cortile. Nascose la testa tra le ginocchia,

disperato. Come lottare con un demonio simile?«Come potrà il mondo essere salvato da te, mastro Lazzaro?» Paolo era

venuto a piantarsi sopra Gesù, gli stava sulle spalle e gli parlava con di-sprezzo. «Che grande esempio gli dai perché metta ali alla sua anima? È me che il mondo seguirà, se vuole essere salvato, me!»

Si guardò attorno. Il cortile era deserto, il negretto, accoccolato in un angolo, roteava i suoi grandi occhi bianchi e guaiva come un cane da pa-store al guinzaglio. Le donne erano nascoste, i vicini se n'erano andati. Ma Paolo, come vedendo il cortile estendersi all'infinito, diventare una grande spianata, piena di gente, saltò sulla scalinata e cominciò a predicare alla folla invisibile:

«Fratelli, alzate gli occhi e guardate. Da una parte mastro Lazzaro, dall'-altra io, il servitore di Cristo; scegliete. Se andate con lui, con mastro Laz-zaro, trascinerete una povera vita monotona sotto il giogo, vivrete e mor-rete come vivono e muoiono i montoni, che lasciano dietro di sé un po' di lana, qualche belato e molto letame. Se venite con me, avrete l'amore, la lotta, la guerra, andremo a conquistare il mondo! Scegliete: da una parte il Cristo, figlio di Dio, salvezza del mondo, dall'altra mastro Lazzaro».

Si era infiammato. Percorse con i suoi occhi d'aquila tutt'attorno la folla invisibile. Il sangue gli ribolliva. Il cortile sprofondò, il negretto e mastro Lazzaro svanirono. Sentì una voce nell'aria:

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«Apostolo delle genti, anima grande, che fai lievitare la menzogna col tuo sangue e le tue lacrime e ne fai verità, mostraci la via, guidaci. Fin dove arriveremo?»

Paolo spalancò le braccia per abbracciare tutto il mondo e gridò:«Fin dove può arrivare l'occhio dell'uomo; più lontano ancora, fin dove

arriva il cuore dell'uomo. Il mondo è grande, sia lodato Iddio! Al di là della terra d'Israele c'è l'Egitto, la Siria, la Fenicia, l'Oriente, la Grecia e le sue grandi isole regali, Cipro, Rodi, Creta. Più lontano Roma, più lontano an-cora, con le loro trecce bionde e le asce a due lame, i barbari... Che gioia partire di buon mattino, essere sferzati dal vento di montagna o di mare, portare tra le mani la croce, piantarla tra le pietre e nei cuori e fare la conquista del mondo! Che gioia essere fischiati, picchiati, gettati in una fossa e infine uccisi, per il Cristo!»

Tornò in sé, si calmò, la folla invisibile svanì nel nulla, si girò e vide Gesù che ora, appoggiato al muro, lo ascoltava, intimorito.

«Per il Cristo, non per te, mastro Lazzaro, ma per quello vero, il mio!»Gesù non reggeva più; scoppiò in singhiozzi. Il negretto gli si accostò.«Gesù di Nazareth», gli disse sottovoce, «tu piangi, perché piangi?»«Com'è possibile, mio compagno segreto», mormorò Gesù, «vedere

qual è il solo mezzo per salvare il mondo senza mettersi a piangere?»Paolo discese dai gradini, i radi capelli del suo cranio fumavano. Rac-

colse i sandali, li batté per toglierne la polvere, si diresse verso la porta.«Ho scosso via dai sandali la povere della tua casa, addio!» disse a

Gesù, che restava ritto, confuso, in mezzo al cortile. «Ti auguro di mangiar bene, di bere bene, di baciare bene, mastro Lazzaro, felice vecchiaia! E ti consiglio di non immischiarti in quello che faccio io, saresti perduto. Hai capito, mastro Lazzaro? Perduto! Ma non dubitare, sono stato felicissimo di incontrarti: mi sento più libero; questo volevo, liberarmi di te, è fatta. Ora che sono libero, non ho nessuno che possa infastidirmi. Addio!»

Tolse il chiavistello della porta e d'un balzo si trovò sulla grande strada che va verso Gerusalemme.

«Si affretta, si è rimboccato le maniche e corre come un lupo affamato; va a divorare il mondo...» disse il negretto. Uscì sulla soglia della porta e gli lanciò un'occhiata feroce.

Si girò, per riconquistare Gesù a forza di moine e per scacciare lo spiri-to dannoso che era venuto dal cielo a tentarlo. Ma Gesù aveva superato la soglia; ritto in mezzo alla strada, guardava con angoscia e passione l'apo-stolo selvaggio che si allontanava di corsa. Ricordi e terribili passioni, che

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aveva dimenticato, rimontarono dentro di lui.Il negretto ebbe paura; lo prese per un braccio.«Gesù», gli disse sottovoce, come un comando, «Gesù di Nazareth, la

tua mente è turbata; che hai da guardare? Rientra in casa!»Ma Gesù, pallido, silenzioso, si scosse nervosamente e allontanò la ma-

no dell'angelo.«Rientra in casa!» ripeté l'altro in collera. «Ascolta quello che ti dico;

sai benissimo chi sono io.»«Lasciami!» ruggì Gesù, lo sguardo fisso su Paolo che scompariva in

fondo alla strada.«Vorresti andare con lui?»«Lasciami!» ruggì di nuovo Gesù. I suoi denti battevano che parevano

rompersi; si era messo tutto d'un tratto a tremare.«Maria!» gridò il negretto. «Marta!» e teneva stretto per la vita Gesù

per impedirgli di scappare.Le due donne lo sentirono e accorsero, e dietro di loro, la folla dei bam-

bini. Le porte d'intorno si aprirono, apparvero i vicini e circondarono Gesù. Era in mezzo alla strada, bianco come un lenzuolo. D'un tratto i suoi occhi si chiusero e, piano piano, delicatamente, si accasciò a terra.

Sentì che lo sollevavano, che lo sdraiavano su un letto, che gli strofina-vano le tempie con l'acqua di fiori d'arancio e che gli facevano annusare l'aceto aromatizzato. Aprì gli occhi, vide le sue due donne e sorrise. Vide il negretto e gli prese la mano.

«Tienimi forte», gli disse, «non lasciarmi andar via; sto bene qui.»

33

Gesù era seduto nel cortile sotto l'antico pergolato; la lunga barba bian-ca gli scendeva sul petto scoperto. Era il giorno di Pasqua; si era lavato, aveva messo degli abiti puliti, si era profumato i capelli, la barba, le ascel-le; la porta era chiusa, non c'era nessuno accanto a lui; le sue donne, i figli e i nipoti ridevano nella casa, e il negretto, fin dall'alba arrampicato sul tetto della casa, guardava verso Gerusalemme, silenzioso e corrucciato.

Gesù si guardò le mani, erano diventate troppo grosse e deformate; le vene, azzurre e secche, sporgevano, e su tutti e due i dorsi la vecchia ferita misteriosa aveva cominciato a cancellarsi e a sparire... Scosse la testa bian-ca e sospirò:

«Come sono passati in frettagli anni, come sono invecchiato! Le mie

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donne sono invecchiate anche loro, e gli alberi della mia corte, e le porte e le finestre, e le pietre che calpesto...»

Ebbe paura. Chiuse gli occhi. Senti scorrere dalla sommità della testa, attraversando la gola, il petto, le reni, le gambe, e perdendosi sotto i piedi, come acqua, il Tempo.

Udì dei passi nel cortile e aprì gli occhi: era Maria. L'aveva visto spro-fondato nei pensieri ed era venuta a sedersi ai suoi piedi. Gesù le posò una mano sui capelli, quei capelli un tempo corvini e divenuti anch'essi tutti bianchi. Una tenerezza invincibile s'impadronì dì lui: «Tra le mie mani è incanutita», pensò, «tra le mie mani è incanutita...» Si chinò e le parlò:

«Quante volte, Maria amata, ti ricordi ? Quante volte le rondini sono tornate, dal giorno benedetto in cui ho attraversato da padrone la soglia della vostra casa? In cui ho aperto da padrone il tuo seno, Maria? Quante volte abbiamo fatto semina, messe, raccolta delle olive insieme? I tuoi capelli sono diventati bianchi, Maria, delicata sposa, quelli di Marta la valorosa, si sono fatti bianchi anche loro».

«Sì, mio amato, siamo incanutiti», rispose Maria; «gli anni passano... Questo pergolato, che ci ripara adesso, l'abbiamo piantato l'anno che è venuto il maledetto gobbo che ti aveva gettato il malocchio e ti aveva fatto svenire, ti ricordi? Da quanti anni ormai mangiamo i suoi grappoli?»

Il negretto scivolò senza far rumore dal muro della terrazza e si piazzò davanti a loro. Maria si alzò e se ne andò. Non amava quello strano ser-vitore; non cresceva, non invecchiava, non era un uomo, era uno spirito, uno spirito maligno, era entrato nella casa e non voleva più andarsene; i suoi occhi neppure, schernitori e audaci, le piacevano, né le conversazioni a bassa voce che aveva con Gesù di notte.

Il negretto si avvicinò, con gli occhi pieni di scherno e i denti che scin-tillavano, bianchi e aguzzi.

«Gesù di Nazareth», bisbigliò, «ora la fine è vicina.»Gesù si volse, sorpreso:«Che fine?»Il negretto si mise un dito sulle labbra.«La fine è vicina», ripeté. Si accovacciò davanti a Gesù e lo guardò ri-

dendo.«Vuoi lasciarmi?»Gesù provò all'improvviso una gioia, un sollievo.«Sì, è la fine. Perché ridi, Gesù di Nazareth?»«Buon viaggio, negretto. Quello che volevo l'ho avuto; non ho più

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bisogno di te.»«È così che ti separi da me, ingrato? Invano dunque ho penato per te,

per tanti anni, per darti tutte le gioie che desideravi?»«Se avevi l'intenzione di annegarmi, come un'ape, nel miele, hai perso il

tuo tempo, negretto. Ho mangiato miele fino a saziarmi, finché ho potuto, ma non mi ci sono bagnato le ali.»

«Che ali, illuminato?»«La mia anima.»Il negretto fece una risata cattiva.«Credi di avere un'anima, povero infelice?»«Sì. Non ha bisogno di angeli custodi né di negretti; è libera.»L'angelo custode s'infuriò.«Ribelle!» urlò. Afferrò un sasso da terra, lo strinse tra le mani, lo

ridusse in polvere che disperse nel vento.«Sta bene», disse, «vedremo.» E si diresse verso la porta imprecando.

Risuonarono grida selvagge, gemiti e lamenti, nitrirono i cavalli, la via maestra si riempì di una torma umana che correva gridando:

«Gerusalemme è in fiamme! Hanno preso Gerusalemme! Siamo perdu-ti!»

I Romani la tenevano d'assedio da mesi, ma Israele riponeva le sue spe-ranze in Jahvé, era sicuro di lui, la città santa non poteva bruciare, la città santa non aveva nulla da temere: a ognuna delle sue porte era un angelo con una spada. E così...

Le donne si precipitavano in strada, urlando e strappandosi i capelli. Gli uomini si laceravano le vesti e gridavano a Dio di farsi vedere. Gesù si al-zò, prese Marta e Maria per mano, le fece rientrare in casa e sbarrò la porta.

«Perché piangete?» disse loro con compassione. «Perché resistete alla volontà di Dio? Ascoltate quel che vi dico e non abbiate timore: Il Tempo è un fuoco, amate donne, il Tempo è un fuoco. Dio tiene uno spiedo e cuoce ogni anno un agnello pasquale. Quest'anno l'agnello pasquale è Gerusa-lemme, l'anno prossimo sarà Roma, quello dopo...»

«Taci, Maestro», esclamò Maria. «Dimentichi che siamo donne, non ab-biamo la forza di sopportare...»

«Perdonami, Maria», disse Gesù, «avevo dimenticato. Il cuore dimenti-ca, il cuore è spietato quando intraprende la salita...»

Mentre parlavano si sentirono dei passi in strada, petti che ansimavano,

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grossi bastoni battuti violentemente contro la porta.Il negretto si precipitò, prese in mano il chiavistello e guardò Gesù con

un sorriso ironico.«Apro?» chiese, trattenendosi a stento dal ridere. «Sono i tuoi vecchi

compagni, Gesù di Nazareth.»«I miei vecchi compagni?»«Vedrai!» disse il negretto, e spalancò la porta.Gesù vide comparire sulla soglia e trascinarsi nel cortile, informi, irri-

conoscibili, sostenendosi l'un l'altro, un ammasso di piccoli vecchi che sembravano saldati e non riuscivano a separarsi.

Gesù fece un passo e si fermò. Stava andando a prenderli per mano, a dargli in benvenuto, ma all'improvviso un'amarezza intollerabile gli soffo-cò l'anima; un'amarezza, un'esasperazione e una pietà. Strinse i pugni e at-tese. Un tanfo greve si diffuse, un odore di carbone, di capelli bruciati e di ferite aperte; l'aria ne era piena. Il negretto, arrampicato sulla panca di pietra, li guardava ridendo.

Gesù fece ancora un passo e si volse al vecchio che si trascinava alla testa del gruppo.

«Vieni qui, tu che conduci gli altri», gli disse, «lascia che ti tolga di dosso i calcinacci di cui il tempo ti ha ricoperto, per vedere chi sei. Il mio cuore batte, ma queste carni cascanti e questi occhi lacrimosi io proprio non li riconosco.»

«Non mi riconosci, Maestro?»«Pietro! Sei tu, la pietra su cui un tempo, nella follia della mia gio-

vinezza, volevo erigere la mia chiesa? In che stato ti sei ridotto, figlio di Giona! Non sei più una pietra, sei una spugna tutta piena di buchi!»

«Gli anni, Maestro...»«Come, gli anni? Non è colpa degli anni. Finché l'anima rimane in

piedi, mantiene il corpo diritto e non permette che gli anni lo raggiungano. È la tua anima, che ha ceduto, Pietro, la tua anima!»

«Sono rimasto preso nei tormenti della vita, mi sono sposato, ho avuto dei figli, sono stato ferito, ho visto Gerusalemme bruciare, sono un uomo, questo mi ha spezzato...»

«Sei un uomo, questo ti ha spezzato...» mormorò Gesù, pieno di pietà. «Mio povero Pietro, al punto in cui è il mondo oggi, bisogna essere a un tempo Dio e il demonio per resistere.»

Si volse al secondo, che appariva dietro la spalla di Pietro.«E tu?» disse. «Ti hanno tagliato il naso, il tuo viso è nudo come un

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teschio e tutto pieno di buchi, come vuoi che ti riconosca? Parla, dunque, vecchio compagno, grida un po': Rabbi! E forse mi ricorderò chi sei.»

Il vecchio cencio gridò con tutte le sue forze:«Rabbi!» poi abbassò la testa e tacque.«Giacomo, il figlio maggiore di Zebedeo, la testa massiccia e ben pian-

tata, il colosso!»«Quello che ne resta, Maestro», disse Giacomo tirando su col naso.

«Una terribile tempesta mi ha reso storpio, la chiglia si è spaccata, la carena s'è aperta, l'albero s'è spezzato, sono un naufrago che torna in por-to.»

«Che porto?!»«Tu, Maestro.»«Che vuoi che faccia? Non sono un cantiere navale, per calafatarti.

Quello che ti dico sarà duro ma è giusto; non c'è altro porto per te ora, Giacomo, che il fondo del mare. Due più due fa quattro, come diceva tuo padre Zebedeo.»

D'un tratto la tristezza e la disperazione s'impadronirono di lui. Si girò verso un altro gruppo di vecchi:

«E voi tre? Tu, gran corpo dinoccolato, non eri Natamele, nei tempi an-tichi? Ti sei sfasciato, le cosce, il ventre, le guance ti cascano... Che ne hai fatto delle tue carni sode? Natamele? Non sei più altro che un cantiere per una casa di tre piani: non rimane che l'armatura. Ma non sospirare: è quan-to basta, Natamele, per salire fino al cielo».

Nataniele si scaldò:«Che cielo? Non te ne voglio perché ho perduto le orecchie, le dita e un

occhio, te ne voglio perché tutto quello che ci andavi ripetendo sempre come un ritornello, i fasti e gli splendori, i regni dei cieli, non erano che un'ubriacatura, e ora l'ubriacatura ci è passata. Che ne pensi, Filippo, non ho ragione?»

«Che vuoi che ti dica, Nataniele?» rispose sospirando un vecchietto perduto nella massa degli altri. «Che vuoi che ti dica, fratello? Sono io che ti ho trascinato!»

Gesù scosse la testa dalla pietà e prese per mano il vecchietto che ave-vano chiamato Filippo:

«Provavo per te una grande tenerezza, Filippo, principe dei pastori, per-ché tu non avevi montoni; avevi solo un bastone e spingevi il vuoto davan-ti a te. La notte uscivi ai quattro venti e lo menavi al pascolo. Accendevi sotto i paioli, facevi bollire il latte e lo facevi colare dall'alto della mon-

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tagna verso la pianura, per saziare i miseri. Avevi tutte le ricchezze nei cuore; fuori, la povertà, la solitudine, le urla, la fame. Questo significa es-sere mio discepolo! E ora... Filippo, Filippo, principe dei pastori, come sei caduto in basso! Hai desiderato, ahimè, dei montoni veri, con una lana tan-gibile, con una carne tangibile, sei perduto!»

«Ho fame», rispose Filippo, «ho fame. Che dovrei fare?»«Pensa a Dio per saziarti!» rispose Gesù e a un tratto il suo cuore s'in-

durì.Si volse a un piccolo vegliardo gobbo che si era accasciato su un trogo-

lo e batteva i denti. Sollevò gli stracci che lo ricoprivano, aggrottò la fron-te: non riusciva a capire chi fosse. Gli scostò i capelli, vi trovò sotto un grande orecchio dov'era ancora sistemato un vecchio calamo spaccato. Si mise a ridere.

«Benvenuto al grande orecchio», disse per saluto. «Lungo, diritto, pelo-so, si muoveva come quello della lepre, piena di timore, di curiosità e di fame! Benvenuti alle dita macchiate d'inchiostro e al calamaio che hai a forma di cuore! Imbratti ancora le carte, Matteo, scribacchino mio? Il cala-mo è ancora là, tutto spaccato, sul tuo orecchio. È con questo spiedo che ti sei battuto?»

«Perché mi prendi in giro?» rispose l'altro, aspramente. «Hai intenzione di metterci per sempre in ridicolo? Avevo cominciato, con tanta magnifi-cenza, a scrivere la storia della tua vita, sarei diventato immortale assieme a te, E allora? Il pavone ha perso le penne. Non era un pavone, era una gallina. Tutte le mie penne sono andate perdute!»

Gesù sentì a un tratto che le ginocchia gli cedevano, chinò il capo; ma subito lo rialzò con ira, tese il dito verso Matteo, minaccioso.

«Zitto», disse, «zitto, come osi?»Un vecchietto tutto rattrappito, strabico, passò la testa tra le gambe di

Nataniele con un sorrisetto. Gesù si girò, lo vide e lo riconobbe immedia-tamente.

«Tommaso, sii benvenuto! Dove hai seminato i tuoi denti? Che ne hai fatto di quei due capelli che avevi sul cranio? E a quale caprone hai strap-pato quella barbetta unta che ti pende dal mento? L'uomo con le idee sul fondo della testa, con gli occhi di traverso, il vecchio furbacchione, Tom-maso, sei tu?»

«In carne e ossa. Solo i denti mi mancano, li ho perduti lungo la strada. E i due capelli. Tutto il resto è al posto suo.»

«Lo spirito?»

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«Un vero gallo. Salta sul comignolo, sa benissimo di non essere lui a portare il sole, ma questo non gli impedisce di cantare tutte le mattine e di farlo arrivare. Perché sa quando è che deve cantare.»

«E tu, anche tu ti sei battuto, audace tra gli audaci, per salvare Gerusa-lemme?»

«Io battermi? Non sono così idiota. Io ho fatto il profeta.»«Il profeta? Sono dunque spuntate le ali alla formichina, al tuo spirito

Dio ha soffiato su di te?»«Che c'entra qui Dio? Il mio spirito l'ha trovato da solo il segreto.»«Che segreto?»«Che cosa è un profeta. Tua santità un tempo lo sapeva, ma credo che te

ne sei dimenticato.»«Ricordamelo tu allora, Tommaso, vecchio manigoldo, può darsi che ne

avrò ancora bisogno. Che cos'è un profeta?»«Il profeta è quello che, quando tutto il mondo dispera, è il solo a spe-

rare; e quando gli altri sperano, è il solo a disperare. Perché? mi dirai tu. Perché lui conosce il Grande Segreto: che la Ruota gira.»

«È pericoloso parlare con te, Tommaso», disse Gesù strizzandogli l'oc-chio. «Nei tuoi occhietti strabici e vivaci scorgo una coda e un paio di cor-na. E una scintilla di luce che brucia.»

«La luce vera brucia, Maestro; tu lo sai, ma hai pietà degli uomini. Il cuore prova pietà, ed ecco perché il mondo brucia... Tu mi fai segno di star zitto, hai ragione, taccio, non è il caso di svelare i segreti davanti a questi innocenti, loro non hanno la forza. Uno solo resiste, quello.»

«Chi?»Tommaso si trascinò fino alla porta della via e indicò, senza toccarlo, un

colosso ritto sulla soglia, come un albero secco; i suoi capelli e la sua bar-ba erano ancora rossi fino alla radice.

«Quello!» disse ritraendosi. «Giuda. Lui solo resiste ancora, solido, vi-goroso, senza cedere! Fai attenzione, Maestro, parlagli con cautela, pren-dilo con dolcezza, guarda: la sua fronte calva fuma dalla rabbia.»

«Cerchiamo allora di addomesticarlo, questo leone del deserto, perché non ci morda. Ecco dove siamo arrivati!» Alzò la voce: «Giuda, fratello, il Tempo è una tigre reale che divora gli uomini; divora anche gli dei! Te, però, non t'ha raggiunto; tu non ti sei arreso, non ti sei adattato. Vedo anco-ra sul tuo petto il pugnale implacabile e nei tuoi occhi le grandi fiamme della giovinezza, l'odio, la collera, la speranza. Sii il benvenuto!»

«Giuda», mormorò Giovanni che s'era accasciato ai piedi di Gesù, irri-

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conoscibile, con una barba tutta bianca e due profonde piaghe alla gola e sulle guance, «Giuda, non hai sentito? Il Maestro ti saluta, rispondigli!»

«Ha la testa dura ed è tutto d'un pezzo», disse Pietro, «si morde le lab-bra per non parlare.»

Gesù tenne fisso lo sguardo sul suo vecchio compagno e gli parlò con dolcezza:

«Giuda, gli uccelli chiacchieroni, portatori di notizie, sono passati sul tetto di casa mia; hanno lasciato cadere le notizie nel mio cortile. Pareva che ti fossi dato alla montagna per fare guerra al tiranno giudeo e al tiranno straniero. Poi sei disceso a Gerusalemme; hai catturato i traditori sadducei, gli hai passato un nastro rosso attorno al collo e li hai sgozzati come agnelli sull'altare del Dio d'Israele. Sei una grande anima, cupa e disperata. Dal momento che ci siamo separati, Giuda, fratello, non hai conosciuto un sol giorno di dolcezza. Mi sei mancato tanto; sii il benvenuto!»

Giovanni guardò con terrore Giuda che continuava a mordersi le labbra per non parlare.

«Il fumo non cessa di infittirsi in volute attorno alla sua testa», mor-morò trascinandosi a ritroso.

«Fai attenzione, Maestro», disse Pietro, «ti guarda da tutti gli angoli e studia come saltarti addosso!»

«Ti parlo, Giuda, fratello»; proseguì Gesù, «non mi senti? Io ti saluto, tu non ti metti la mano sul cuore per dire: Sono felice di trovarti? La sofferenza che ti ha inflitto Gerusalemme ti ha dunque fatto perdere la testa? Non morderti le labbra, sei uomo, resisti, trattieni i tuoi gemiti! Tu hai fatto il tuo dovere coraggiosamente. Quelle gravi ferite sulle braccia, sul petto, sul viso, tutte sul davanti, proclamano che ti sei battuto come un leone. Ma che può fare l'uomo contro Dio? È contro Dio che ti sei battuto lottando per salvare Gerusalemme. Erano anni che era diventata cenere nello spirito di Dio.»

«È avanzato di un passo», mormorò Filippo, spaventato. «Ha ritirato la testa nelle spalle, come un toro. Sta per spiccare un balzo.»

«Ritiriamoci, mettiamoci al sicuro, figli», disse Nataniele. «Ora alza il pugno.»

«Maestro, Maestro», gridarono Marta e Maria accorrendo. «Fai atten-zione!»

Ma Gesù continuava tranquillamente; le sue labbra però s'erano messe a tremare un po'.

«Anch'io ho lottato finché ho potuto, Giuda, fratello. Quando ero gio-

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vane, come un giovanotto; sono partito a salvare il mondo; poi, più tardi, quando il mio spirito si è maturato, sono entrato anch'io nella via degli uomini; mi sono messo al lavoro, ho zappato la terra, scavato pozzi, pian-tato vigne e olivi; ho preso tra le mani il corpo della donna col quale ho creato uomini, ho vinto la morte. È proprio quello che ho sempre detto, non è vero? Ho mantenuto la parola, ho vinto la morte!»

All'improvviso Giuda respinse con un gesto brusco Pietro e le donne che s'erano venute a mettere davanti a lui e cacciò un urlo selvaggio:

«Traditore!»Tutti quanti ritirarono la testa tra le spalle. Gesù impallidì e si mise le

mani sul petto.«Io, io, Giuda?» mormorò. «Quello che hai detto è grave. Ritiralo!»«Traditore! Disertore!»I vecchietti si fecero bianchi come lenzuoli e si volsero verso la porta

della strada. Tommaso aveva già superato la soglia. Le due donne interven-nero:

«Fratelli», esclamò Maria, «non andate via. Satana ha levato la mano sul nostro Maestro. Sta per colpirlo!»

«Pietro, dove vai?» disse Marta fermando Pietro. «Ancora? Hai inten-zione di rinnegarlo ancora?»

«Io non mi immischio», disse Filippo. «L'Iscariota ha la mano pesante e io sono vecchio. Andiamocene, Natamele!»

Giuda ora era davanti a Gesù, faccia a faccia, il suo corpo fumava e mandava odore di sudore e di piaghe infette.

«Vigliacco!» ruggì di nuovo. «Disertore! Il tuo posto era sulla croce, era quella la postazione che il Dio d'Israele ti aveva assegnato per combattere. Ma ti ha preso il panico nel momento in cui la morte si è drizzata davanti a te, ti sei messo le gambe in spalla. Sei corso a nasconderti tra le sottane di Marta e di Maria, vigliacco! Hai cambiato faccia e nome, falso Lazzaro, per fuggire!»

«Giuda Iscariota», esclamò Pietro, a cui le donne avevano dato un po' di coraggio, «Giuda Iscariota, è così che si parla al Maestro? Non hai ri-spetto?»

«Quale Maestro?» urlò Giuda tendendo il pugno. «Quello? Ma non avete occhi per vederlo, cervello per giudicarlo? Lui, Maestro? Che ci di-ceva? Che ci prometteva? Dov'è l'esercito di angeli che doveva discendere dal cielo per salvare Israele? Dov'è la croce che doveva essere il nostro trampolino per salire al cielo? Appena si è visto la croce davanti, questo

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falso Messia, ha perso la testa, è svanito, le donnette gli hanno messo su le mani e l'hanno installato a fargli fare figli. Si è battuto come gli altri, sem-brava, si è battuto con coraggio e lo grida dai tetti. Ma il tuo posto, disertore, lo sai bene, era sulla croce; ad altri il compito di dissodare la terra e le donne; il tuo era salire sulla croce, ecco quello che dico! Tu ti vanti di aver vinto la morte; bada a te! È così che si trionfa sulla morte? Tu hai fatto dei figli, cioè a dire cacciagione per la morte! Cacciagione per la morte! Che cos'è un bambino? Cacciagione per la morte! Tu ti sei fatto suo macellaio e le porti carne da divorare. Traditore, disertore, vigliacco!»

«Giuda, fratello», mormorò Gesù che ora cominciava a tremare in tutto il corpo, «Giuda, fratello, mostrami un po' più di clemenza...»

«Tu mi hai spezzato il cuore, figlio del falegname», ruggì Giuda, «mi hai spezzato il cuore, come vuoi che ti mostri più clemenza? Ho voglia di sciogliermi in lamenti, come le vedove, e di spaccarmi la testa contro le pietre. Sia maledetto il giorno in cui sei nato, e il giorno in cui sono nato io, e quello in cui ti ho incontrato e in cui mi hai riempito il cuore di speranza! Quando tu camminavi davanti a noi e ci trascinavi dietro di te, quando ci parlavi della terra e del cielo, che gioia era, che libertà, che ric-chezza! Gli acini d'uva ci sembravano grossi come bambini di dodici anni, ci saziava un chicco di grano. Un giorno non avevamo che cinque pani, abbiamo dato da mangiare a una gran folla e ci sono rimaste dodici ceste di pane. E le stelle, come brillavano, come inondavano il cielo di luce! Non erano stelle, erano angeli; non erano neppure angeli, eravamo noi stessi, noi, i tuoi discepoli, che sorgevamo e tramontavamo; tu eri in mezzo, immobile come la stella polare, e noi tutti attorno a te facevamo il giro-tondo! Mi tenevi tra le braccia, ti ricordi, e mi supplicavi:

«Tradiscimi, tradiscimi, perché io sia crocifisso, risorga, perché noi sal-viamo il mondo!'»

Giuda tacque un momento, sospirò, le sue ferite si riaprirono e si rimi-sero a sanguinare. I vecchietti si strinsero di nuovo l'un l'altro e chinarono il capo, cercando di ricordare e di rivivere.

Una lacrima brillò negli occhi di Giuda, lui la tolse via con rabbia. Il suo cuore non si era ancora vuotato, si rimise a gridare:

«'Io sono l'agnello di Dio', belavi, 'e mi farò macellare per salvare il mondo... Giuda, fratello, non aver paura, la morte è la porta dell'immortali-tà; è attraverso quella porta che devo passare, aiutami!' E io ti amavo talmente, avevo una tale fede in te che dissi di sì e andai a tradirti... E tu... tu...»

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La schiuma alla bocca, afferrò Gesù per la spalla, lo scosse violente-mente, lo schiacciò contro il muro; riprese a ruggire:

«Che ci stai a fare qui? Perché non sei stato crocifisso? Vigliacco, diser-tore, traditore! Questo è tutto quello che hai fatto? Non hai vergogna? Io alzo il pugno e ti domando: Perché, perché non sei stato crocifisso?»

«Zitto! Zitto!» supplicava Gesù. Il sangue cominciava a scorrere dalle sue cinque piaghe.

Pietro intervenne di nuovo.«Giuda Iscariota», disse, «non hai pietà? Non li vedi i suoi piedi ? Le

sue mani ? Metti la mano nel suo costato, se non credi, il sangue cola.»Ma Giuda fece una smorfia di derisione, sputò a terra e gridò:«Ehi, figlio del falegname, non ti azzardare a fregarmi! La notte il tuo

angelo custode è venuto...»Gesù sobbalzò.«Il mio angelo custode?...» mormorò rabbrividendo.«Il tuo angelo custode, Satana, e ti ha fatto quei segni rossi sulle mani

sui piedi e sul cuore per ingannare gli altri e per ingannare te stesso. Che hai da guardare? Perché non rispondi? Vigliacco, disertore, traditore!»

Gesù chiuse gli occhi; fu sul punto di svenire, ma trovò la forza di ri-manere in piedi.

«Giuda», disse con voce tremante, «tu sei sempre stato selvaggio e integro, non hai mai accettato i limiti dell'uomo. Tu dimentichi che l'anima dell'uomo è una freccia: sale verso il cielo, più in alto che può, ma poi ricade. La vita terrena vuol dire perdere le ali.»

Sentendolo, Giuda divenne pazzo dalla rabbia.«È una vergogna!» gridò. «Tu sei arrivato a questo, tu, il figlio di Davi-

de, il figlio di Dio, il Messia! La vita terrena vuol dire: mangiare pane e trasformare questo pane in ali, bere acqua e farne ali; la vita terrena vuol dire: che vi metta le ali! Questo ce l'hai detto tu stesso, tu, traditore, non sono parole mie, sono tue; e se le hai dimenticate, te le faccio tornare io in mente!

«Dove sei, Matteo, scribacchino? Vieni qua! Apri i tuoi libri, te li porti sempre addosso come io porto il pugnale. Apri i tuoi scritti; sono rosi dal tempo, dalle tarme e dal sudore, ma le lettere si riconoscono ancora abba-stanza bene. Apri i tuoi scritti, leggi, Matteo, perché questo signore senta e si ricordi: Una notte un gran notabile di Gerusalemme di nome Nicodemo è venuto di nascosto a trovarle e gli ha chiesto: 'Chi sei? Che lavoro fai?' E tu, figlio del falegname, gli hai risposto, ricordati: 'Io forgio ali!' E l'avevi

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appena detto che noi tutti abbiamo sentito spuntare ali sulle nostre spalle. Ora, dove sei arrivato, vecchio gallo spennato! Piagnucoli e mi dici: la vita terrena significa perdere le ali. Togliti dai miei occhi, codardo! Se non è lampo e tuono, che cosa me ne faccio della vita? Non ti avvicinare, Pietro, banderuola; e tu, Andrea, fanfarone; non guaite, donne; non gli farò niente. A che serve alzare la mano su di lui? È morto, è crepato. È ancora ritto sui piedi, parla, piange, ma è crepato, che Dio lo perdoni. Dio, perché io non posso.

Che il sangue, le lacrime, la cenere di Israele ricadano sulla sua testa!»I vecchietti non ressero più, crollarono tutti assieme a terra. La memoria

si risvegliò in loro, cominciarono a rivivere, ricordarono i regni dei cieli, i troni, gli splendori e si misero improvvisamente a gemere. Si lamentavano e picchiavano la fronte contro le pietre.

D'un tratto Gesù scoppiò in singhiozzi e fece per precipitarsi tra le brac-cia di Giuda gridando:

«Giuda, fratello, perdonami!»Ma l'altro fece uno scarto; mise le mani avanti e gli impedì di avvici-

narsi.«Non toccarmi», gridò. «Non credo più a niente, non credo più a nessu-

no, mi hai spezzato il cuore!»Gesù tentennò: cercò uno sguardo attorno a sé, un punto a cui aggrap-

parsi. Le donne, cadute faccia a terra, si strappavano i capelli e lo guar-davano con odio e collera. Il ne-gretto era scomparso.

«Sono un traditore», mormorò, «un disertore, un vigliacco. Ora lo capi-sco, sono perduto! Sì, sì, bisognava che fossi crocifisso, mi sono perso d'-animo, sono scappato-Fratelli, perdonatemi, vi ho ingannato... Ah, se po-tessi ricominciare la vita dall'inizio!»

Mentre parlava, si accasciò a terra; ora batteva la testa sui sassi del cortile.

«Compagni, vecchi amici, ditemi una parola buona, consolatemi, mi smarrisco, sono perduto! Tendo le braccia: nessuno di voi si alza per met-tere la mano nella mia e dirmi una parola buona? Nessuno? Neppure tu, Giovanni diletto? Neppure tu, Pietro?»

«Come vuoi che parli? Che potrei dirti?» gemette il discepolo predi-letto. «Che sortilegio ci hai gettato addosso, figlio di Maria?»

«Ci hai ingannato», disse a sua volta Pietro, asciugandosi le lacrime. «Ci hai ingannato, Giuda ha ragione, hai infranto il tuo giuramento. Ab-biamo buttato via la nostra vita.»

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D'un tratto, dal gruppo dei vecchi, si levò un brusio confuso e lamen-toso:

«Vigliacco! Disertore! Traditore!»«Vigliacco! Disertore! Traditore!»Ora Matteo si mise a gemere:«Le mie pene sono perdute, perdute, perdute! Con che abilità avevo fat-

to coincidere le tue parole e i tuoi atti con le profezie! È stato difficilis-simo, ma ci sono riuscito. Dicevo: nelle future sinagoghe i fedeli apriranno dei gran libri rilegati e diranno: 'Letture del santo Evangelo secondo Mat-teo! ' Questo mi dava le ali e scrivevo. Ora tutti quei capolavori se ne sono andati in fumo, ed è colpa tua, ingrato, traditore! Era necessario, sia pure solo per farmi piacere, perché questi scritti fossero salvi, che tu fossi cro-cifisso!»

Il brusio confuso e lamentoso si levò di nuovo dal gruppo dei vecchi:«Vigliacco! Disertore! Traditore!»«Vigliacco! Disertore! Traditore!»In quel momento Tommaso, dalla soglia, disse:«Io non ti lascio, io, Maestro, ora che tutti ti abbandonano e ti chiamano

traditore! Io non ti abbandono, io, Tommaso, il Profeta. L'abbiamo detto, la Ruota gira. Io rimango vicino a te. Aspetto che giri».

Pietro si alzò.«Andiamocene, noialtri», disse. «Mettiti tu in testa, Giuda, guidaci!»I vecchietti si alzarono ansimando e tesero il pugno a Gesù che, caduto

faccia a terra, le braccia spalancate, copriva tutto il cortile.«Vigliacco! Disertore! Traditore!»«Vigliacco! Disertore! Traditore!»Gesù volse gli occhi in tutte le direzioni e guardò. Era rimasto solo. Il

cortile era scomparso, la casa, gli alberi, le porte del villaggio; il villaggio; sole, restavano, sotto i suoi piedi, delle pietre insanguinate. Delle pietre e, di lontano, molto in fondo, nel buio, una folla di migliaia di teste.

Raccolse tutte le sue forze per vedere dov'era, chi era, perché soffriva. Avrebbe voluto completare il suo richiamo, gridare LAMA SABACH-TANI... Tentò di muovere le labbra ma non ci riuscì. Ebbe le vertigini, fu sul punto di perdere i sensi. C'era del buio in fondo al suo spirito-Ma d'un tratto, mentre si scuriva e scompariva, qualcuno, in basso, sulla terra, do-vette avere pietà di lui: tesero una canna davanti a lui e una spugna, imbevuta di aceto, giunse ad appoggiarglisi sulle labbra e sulle narici. Aspirò profondamente l'odore aspro, ritornò in sé, gonfiò il petto, guardò il

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Page 424: Nikos Kazantzakis - L'Ultima Tentazione

cielo e lanciò un grido lacerante: LAMA SABACHTANI.Chinò subito la testa, spossato.Sentì dei dolori atroci alle mani, ai piedi, nel cuore. I suoi occhi ritrova-

rono la vista, vide la corona di spine, il sangue e la croce. Nel sole oscu-ratosi scintillarono degli anelli d'oro e due file di denti aguzzi e bianchis-simi; una risata fresca e beffarda risuonò, gli anelli e i denti scomparvero, Gesù rimase sospeso in aria, solo.

Scosse la testa e bruscamente si ricordò dove si trovava, chi era e perché soffriva. Una gioia selvaggia e indomabile s'impadronì di lui. No, no, non era vigliacco, disertore, traditore. No, era inchiodato sulla croce, era stato leale fino alla fine, aveva mantenuto la sua parola. Lo spazio di un lampo, nell'attimo in cui aveva gridato: Eli! Eli! e in cui era svenuto, la Tentazione si era impossessata di lui e l'aveva sviato. Menzogne le gioie, i matrimoni, i figli; menzogne i vecchi decrepiti e avviliti che lo avevano trattato da vigliacco, da disertore, da traditore; tutto ciò, tutto ciò non era altro che una visione suscitata dal Maligno!

I suoi discepoli vivono e prosperano, hanno preso le vie di terra e di mare e annunciano la Buona Novella. Tutto è avvenuto come doveva, sia lodato Iddio!

Levò un grido di trionfo: TUTTO S'È COMPIUTO!E fu come se dicesse: Tutto comincia.

FINE

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