METODI VARIAZIONALI Dispense per il corso di Meccanica...

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Universit`a degli studi di Trento Corso di Meccanica razionale 2 METODI VARIAZIONALI Dispense per il corso di Meccanica Razionale 2 di Stefano Siboni 1. Il calcolo delle variazioni 1.1 Il problema variazionale Sull’insieme delle funzioni q : λ [λ 1 2 ] q(λ) R n di classe C 2 nell’intervallo [λ 1 2 ] R si consideri il funzionale definito da L(q)= λ 2 λ 1 L[λ, q(λ), ˙ q (λ)] (1.1) dove ˙ q = dq/dλ e L ` e una funzione C 2 delle variabili λ R, (1) q A = int(A) R n e ˙ q R n . In generale, si parla di funzionale in riferimento ad una applicazione che ad ogni funzione di una certa famiglia fa corrispondere un numero reale. Il problema fondamentale del calcolo delle variazioni consiste nell’individuare la funzione q(λ) con i valori al contorno assegnati q(λ 1 )= q (1) A q(λ 2 )= q (2) A (1.2) in modo che il funzionale L(q) assuma un valore estremo — minimo o massimo. A questo scopo si introduce il concetto di prima variazione del funzionale. 1.2 Prima variazione Dato il funzionale (1.1) si supponga di variare la funzione q(λ) ad estremi fissi, cio` e di sostituire a q(λ) la funzione variata q(λ)+ δq(λ) q(λ) −−−−−−−−→ q(λ)+ δq(λ) dove δq(λ)` e una qualsiasi funzione C 2 nell’intervallo [λ 1 2 ] nulla agli estremi del proprio dominio di definizione δq(λ 1 )= δq(λ 2 )=0 . Beninteso, il modulo di δq(λ) dovr` a risultare abbastanza piccolo da assicurare che la curva variata sia contenuta nell’aperto A q(λ)+ δq(λ) A λ [λ 1 2 ] . Tipicamente la variazione di q(λ) viene espressa nella forma δq(λ)= αη (λ) (1.3) con α costante reale arbitraria e η (λ) di classe C 2 in [λ 1 2 ], nulla agli estremi dello stesso intervallo. Il valore assunto dal funzionale (1.1) in corrispondenza della funzione variata risultaperci`o L(q + αη )= λ 2 λ 1 L[λ, q(λ)+ αη (λ), ˙ q(λ)+ α ˙ η(λ)] (1) in luogo di R si pu` o considerare un intervallo aperto che includa [λ 1 2 ]. Stefano Siboni 1

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METODI VARIAZIONALIDispense per il corso di Meccanica Razionale 2di Stefano Siboni

1. Il calcolo delle variazioni1.1 Il problema variazionaleSull’insieme delle funzioni q : λ ∈ [λ1, λ2] → q(λ) ∈ Rn di classe C2 nell’intervallo[λ1, λ2] ⊂ R si consideri il funzionale definito da

L(q) =

λ2∫λ1

L[λ, q(λ), q(λ)] dλ (1.1)

dove q = dq/dλ e L e una funzione C2 delle variabili λ ∈ R,(1) q ∈ A = int(A) ⊆ Rn eq ∈ R

n. In generale, si parla di funzionale in riferimento ad una applicazione che ad ognifunzione di una certa famiglia fa corrispondere un numero reale. Il problema fondamentaledel calcolo delle variazioni consiste nell’individuare la funzione q(λ) con i valori al contornoassegnati

q(λ1) = q(1) ∈ A q(λ2) = q(2) ∈ A (1.2)

in modo che il funzionale L(q) assuma un valore estremo — minimo o massimo. A questoscopo si introduce il concetto di prima variazione del funzionale.

1.2 Prima variazioneDato il funzionale (1.1) si supponga di variare la funzione q(λ) ad estremi fissi, cioe disostituire a q(λ) la funzione variata q(λ) + δq(λ)

q(λ) −−−−−−−−→ q(λ) + δq(λ)

dove δq(λ) e una qualsiasi funzione C2 nell’intervallo [λ1, λ2] nulla agli estremi del propriodominio di definizione

δq(λ1) = δq(λ2) = 0 .

Beninteso, il modulo di δq(λ) dovra risultare abbastanza piccolo da assicurare che la curvavariata sia contenuta nell’aperto A

q(λ) + δq(λ) ∈ A ∀λ ∈ [λ1, λ2] .

Tipicamente la variazione di q(λ) viene espressa nella forma

δq(λ) = αη(λ) (1.3)

con α costante reale arbitraria e η(λ) di classe C2 in [λ1, λ2], nulla agli estremi dello stessointervallo. Il valore assunto dal funzionale (1.1) in corrispondenza della funzione variatarisulta percio

L(q + αη) =

λ2∫λ1

L[λ, q(λ) + αη(λ), q(λ) + αη(λ)] dλ

(1)in luogo di R si puo considerare un intervallo aperto che includa [λ1,λ2].

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e per ogni q(λ) e η(λ) assegnate si puo intendere come una funzione reale della variabilereale α. Qualora q(λ) costituisca un estremo del funzionale, dovra necessariamente risultare

d

dαL(q + αη)

∣∣∣∣α=0

= 0

deve cioe annullarsi la variazione prima del fuzionale in q(λ) definita da

δL(q, δq) = αd

dαL(q + αη)

∣∣∣∣α=0

. (1.4)

La derivata rispetto ad α si puo portare sotto integrale e porge

d

dαL(q + αη)

∣∣∣∣α=0

=d

λ2∫λ1

L[λ, q(λ) + αη(λ), q(λ) + αη(λ)] dλ

∣∣∣∣α=0

=

=

λ2∫λ1

∂αL[λ, q(λ) + αη(λ), q(λ) + αη(λ)]

∣∣∣∣α=0

dλ =

=n∑

i=1

λ2∫λ1

[∂L

∂qi[λ, q(λ), q(λ)]ηi(λ) +

∂L

∂qi[λ, q(λ), q(λ)]ηi(λ)

]dλ.

Integrando per parti il secondo termine e raccogliendo il fattore comune ηi si ottiene

d

dαL(q + αη)

∣∣∣∣α=0

=n∑

i=1

[∂L

∂qiηi(λ)

]λ2

λ1

+n∑

i=1

λ2∫λ1

[∂L

∂qi− d

( ∂L

∂qi

)]ηi(λ)dλ

espressione nella quale la variazione δq(λ) di q(λ) e nulla agli estremi di integrazione, percui il termine estratto dall’integrale risulta identicamente nullo

d

dαL(q + αη)

∣∣∣∣α=0

=n∑

i=1

λ2∫λ1

[∂L

∂qi− d

( ∂L

∂qi

)]ηi(λ)dλ

e la prima variazione del funzionale (1.1) assume la forma

δL(q, δq) =

λ2∫λ1

n∑i=1

[∂L

∂qi− d

( ∂L

∂qi

)]δqi(λ)dλ . (1.5)

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1.3 Osservazione. Definizione generale di variazioneAgli stessi risultati si perviene, in modo del tutto equivalente, adottando una definizionepiu generale di variazione della funzione q(λ). Non e infatti indispensabile assumere chela variazione di q(λ) debba essere lineare in α, secondo la (1.3). Si consideri una qualsiasifunzione u(α, λ) di classe C2 in (α, λ) ∈ [−ε, ε] × [λ1, λ2] per ε > 0 assegnato, a valori inRn e tale che

u(0, λ) = 0 ∀λ ∈ [λ1, λ2] ,

con l’ulteriore condizione di annullamento agli estremi

u(α, λ1) = u(α, λ2) = 0 ∀α ∈ [−ε, ε] .

Le relazioni ricavate in precedenza rimangono valide a patto di porre, come e evidente,

δq(λ) =∂u

∂α(α, λ)

∣∣∣∣α=0

∀λ ∈ [λ1, λ2] .

La δq(λ) cosı definita puo essere una qualsiasi funzione C2 in [λ1, λ2] nulla agli estremiλ1 e λ2. Si noti che applicando questa definizione generale a variazioni del tipo (1.3) siottiene

δq(λ) = η(λ) ∀λ ∈ [λ1, λ2]

per cui nella nuova definizione:

(i) δq(λ) differisce dalla (1.3) per la soppressione del fattore α;

(ii) comunque αδq(λ) non coincide, in generale, con la variazione u(α, λ);

(iii) la stessa soppressione del fattore α si riflette anche nella definizione (1.5) per la va-riazione δL(q, δq) del funzionale L(q).

In effetti, nel calcolo delle variazioni la quantita rilevante e la derivata ∂u/∂α(0, λ), mentreil fattore α eventualmente introdotto non gioca alcun ruolo se non quello di riscalare levariazioni intorno a valori prossimi a zero. Venendo generalmente meno l’identificazionefra δq(λ) e variazione u(α, λ), l’inessenziale fattore α puo essere tranquillamente ignorato.

1.4 Condizione di stazionarita del funzionaleIn forza del risultato precedente la condizione di stazionarieta del funzionale si scrive

n∑i=1

λ2∫λ1

[∂L

∂qi− d

( ∂L

∂qi

)]δqi(λ)dλ = 0 (1.6)

per qualsiasi variazione δq(λ) di classe C2 in [λ1, λ2] e nulla agli estremi. Si verificaagevolmente che questa condizione e equivalente alle equazioni di Eulero-Lagrange

d

( ∂L

∂qi

)− ∂L

∂qi= 0 ∀ i = 1, . . . , n . (1.7)

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L’equivalenza va intesa nel senso che se q(λ) rende stazionario il funzionale (1.1) alloradeve anche risolvere le equazioni (1.7) con le assegnate condizioni al contorno (1.2), eviceversa. Nulla puo affermarsi, in generale, circa l’esistenza e l’unicita della soluzionedell’uno o dell’altro dei due problemi; si ricorda, in particolare, che per il problema a valorial contorno — o di Sturm-Liouville — i teoremi di esistenza e unicita sono decisamentenon banali persino nel caso di equazioni differenziali lineari. La sufficienza delle equazioni(1.7) per la validita delle (1.6) e evidente. La necessita si prova per assurdo, ammettendoche esista un λ ∈ [λ1, λ2] tale che una delle funzioni entro parentesi quadre in (1.6) siadiverso da zero. Per fissare le idee, si assuma ad esempio che

[d

( ∂L

∂q1

)− ∂L

∂q1

](λ) > 0 (1.8)

per λ ∈ (λ1, λ2). Per continuita esistera un intorno (λ − ε, λ + ε) ⊂ [λ1, λ2], per ε > 0opportuno, in cui la funzione si mantiene strettamente positiva. Se si sceglie allora lafunzione δq1 della forma

δq1(λ) =

(λ − λ + ε)3(λ + ε − λ)3 se λ ∈ (λ − ε, λ + ε)

0 per λ ∈ [λ1, λ2] \ (λ − ε, λ + ε)

e si pone nel contempo δqi = 0 ∀ i = 2, . . . , n in modo da cancellare identicamente tutti glin − 1 integrali successivi al primo nella (1.6), si perviene alla conclusione

λ2∫λ1

[∂L

∂q1− d

( ∂L

∂q1

)]δq1 dλ +

n∑i=2

λ2∫λ1

[∂L

∂qi− d

( ∂L

∂qi

)]δqi dλ =

=

λ+ε∫λ−ε

[∂L

∂q1− d

( ∂L

∂q1

)]δq1 dλ < 0

che e palesemente contraddittoria in quanto le funzioni δqi, i = 1, . . . , n assegnate hannotutte le proprieta di regolarita prescritte per la validita della (1.6) — sono C2 nell’intervallo[λ1, λ2] e si annullano agli estremi. Ad un analogo risultato si perviene nell’ipotesi che in(1.8) valga la diseguaglianza opposta, oppure λ sia un estremo dell’intervallo [λ1, λ2], oancora che la relazione sia verificata per una qualsiasi delle altre funzioni

d

( ∂L

∂qi

)− ∂L

∂qii = 2, . . . , n .

La stazionarieta del funzionale L(q), e quindi l’annullarsi della prima variazione (1.5), econdizione necessaria ma in generale non sufficiente per l’esistenza di un estremo.

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1.5 Integrale di BeltramiPuo darsi il caso che la lagrangiana formale del funzionale (1.1) non dipenda esplicitamentedalla funzione q1(λ). La condizione di stazionarieta del funzionale conduce allora alleequazioni di Eulero-Lagrange (1.7), la prima delle quali si scrive

d

( ∂L

∂q1

)= 0

ed implica che lungo tutte le sue soluzioni si mantenga costante l’espressione entro parentesi

p1(λ, q, q) =∂L

∂q1(λ, q, q) . (1.9)

La (1.9) definisce pertanto un integrale primo delle equazioni di Eulero-Lagrange, notocome integrale di Beltrami. Analogo risultato vale qualora la lagrangiana sia indipendenteda qualche altra delle funzioni qi(λ), i = 2, . . . , n. Si osservi che qualora la variabileindipendente λ abbia il significato fisico di un tempo e L sia interpretabile come la la-grangiana di un sistema olonomo a vincoli ideali, la variabile q1 in (1.9) e l’equivalente diuna variabile ciclica o ignorabile, mentre l’integrale di Beltrami si identifica con l’usualeintegrale di Poisson.

1.6 Integrale di JacobiUn ulteriore integrale primo delle equazioni di Eulero-Lagrange ricorre quando la la-grangiana L non dipende esplicitamente dalla variabile indipendente λ:

L = L(q, q) .

Moltiplicando membro a membro le (1.7) per la derivata qi corrispondente si ottiene infatti

d

( ∂L

∂qi

)qi −

∂L

∂qiqi = 0 ∀ i = 1, . . . , n

ossia, manipolando un poco l’espressione della derivata totale in λ,

d

( ∂L

∂qiqi

)− ∂L

∂qiqi −

∂L

∂qiqi = 0 ∀ i = 1, . . . , n

e sommando sull’indice i = 1, . . . , n:

d

( n∑i=1

∂L

∂qiqi

)−( n∑

i=1

∂L

∂qiqi +

n∑i=1

∂L

∂qiqi

)= 0 ,

in modo che basta fare uso dell’identita generale

d

dλL(λ, q, q) =

n∑i=1

∂L

∂qiqi +

n∑i=1

∂L

∂qiqi +

∂L

∂λ

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per ottenere l’equazione

d

(−L +

n∑i=1

∂L

∂qiqi

)+

∂L

∂λ= 0 .

Qualora la lagrangiana non dipenda esplicitamente da λ, si conclude che ∂L/∂λ = 0 e chela funzione

J(q, q) = −L +n∑

i=1

∂L

∂qiqi (1.10)

definisce un integrale primo per le equazioni di Eulero-Lagrange. Detta funzione (1.10) enota come integrale di Jacobi e costituisce l’esatto analogo dell’energia meccanica genera-lizzata(1) dei sistemi olonomi a vincoli ideali con lagrangiana indipendente dal tempo.

1.7 Estremo di un funzionale con vincoli di tipo funzionaleSi hanno casi di interesse in cui del funzionale (1.1) si deve determinare un punto stazio-nario q(λ), λ ∈ [λ1, λ2], a estremi fissi, subordinatamente ad m vincoli del tipo

λ2∫λ1

Fk[λ, q(λ), q(λ)] dλ = Lk ∀ k = 1, . . . ,m (1.11)

dove L1, . . . , Lm sono costanti reali assegnate e le F1, . . . ,Fm funzioni C2 di (λ, q, q) ∈R × A × Rn. Le variazioni δq(λ) non soggiaciono quindi alle sole condizioni di regolaritae di annullamento agli estremi di integrazione, ma devono anche essere scelte in modo dasoddisfare gli ulteriori vincoli (1.11)

λ2∫λ1

Fk[λ, q(λ) + δq(λ), q(λ) + δq(λ)] dλ = Lk ∀ k = 1, . . . ,m .

Problemi variazionali di questo tipo vengono convenzionalmente indicati come problemiisoperimetrici in quanto, storicamente, il primo problema variazionale con una condizionedella forma (1.11) ad essere studiato fu quello della determinazione della curva piana chiusadi lunghezza assegnata che racchiuda la superficie di area massima — la circonferenza. Perstabilire la condizione di stazionarieta del funzionale (1.1) sotto i vincoli (1.11) si rendononecessarie alcune nozioni preliminari.

1.7.1 Definizione. Funzioni linearmente indipendenti in un intervallo realeLe funzioni f1(λ), . . . , fm(λ), continue e definite nell’intervallo [λ1, λ2] si dicono linearmenteindipendenti in tale intervallo se l’equazione

m∑k=1

ckfk(λ) = 0 ∀λ ∈ [λ1, λ2] , (1.12)

(1)altrimenti nota, non a caso, con la stessa denominazione di integrale di Jacobi

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per c1, . . . , cm costanti reali assegnate, implica ck = 0 ∀ k = 1, . . . ,m.

1.7.2 Lemma (caratterizzazione delle funzioni linearmente indipendenti)Le funzioni continue f1(λ), . . . , fm(λ) sono linearmente indipendenti nell’intervallo [λ1, λ2]se e soltanto se esistono m punti distinti ξ1, . . . , ξm ∈ [λ1, λ2] tali che

det

f1(ξ1) f1(ξ2) . . . f1(ξm)...

.... . .

...fm(ξ1) fm(ξ2) . . . fm(ξm)

= 0 . (1.13)

DimostrazioneLa sufficienza della condizione e immediata: per qualsiasi insieme di punti ξ1, . . . , ξm ∈[λ1, λ2], dalla combinazione lineare (1.12) segue il sistema di equazioni lineari omogenee

f1(ξ1) . . . f1(ξm)...

. . ....

fm(ξ1) . . . fm(ξm)

c1

...cm

=

0

...0

che se i punti soddisfano la (1.13) ammette (c1, . . . , cm) = (0, . . . , 0) come unica soluzione.Per la necessita della condizione si procede dimostrando per induzione che se

det

f1(ξ1) . . . f1(ξm)...

. . ....

fm(ξ1) . . . fm(ξm)

= 0 ∀ ξ1, . . . , ξm ∈ [λ1, λ2] , (1.14)

allora le funzioni f1(λ), . . . , fm(λ) sono linearmente dipendenti in [λ1, λ2]. Per una singolafunzione f1(λ) la condizione

f1(ξ1) = 0 ∀ ξ1 ∈ [λ1, λ2]

significa semplicemente che f1(λ) e identicamente nulla nell’intervallo di definizione edimplica pertanto che

c1f1(λ) = c10 = 0 ∀λ ∈ [λ1, λ2]

qualunque sia la costante c1 ∈ R, in particolare per qualsiasi c1 = 0; la funzione f1(λ) edunque linearmente dipendente. Si supponga poi che l’asserto sia verificato per un sistemadi m funzioni: se la condizione (1.14) e soddisfatta allora le funzioni f1(λ), . . . , fm(λ)risultano linearmente dipendenti. Si consideri allora il sistema di m+1 funzioni f1(λ), . . .,fmλ, fm+1(λ), continue in [λ1, λ2], e si assuma che

det

f1(ξ1) . . . f1(ξm) f1(ξm+1)... . . .

......

fm(ξ1) . . . fm(ξm) fm(ξm+1)fm+1(ξ1) . . . fm+1(ξm) fm+1(ξm+1)

= 0 ∀ ξ1, . . . , ξm, ξm+1 ∈ [λ1, λ2] .

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Il teorema di Laplace applicato rispetto all’ultima riga porge

m+1∑k=1

ck(ξ1, . . . , ξm) fk(ξm+1) = 0 ∀ ξ1, . . . , ξm, ξm+1 ∈ [λ1, λ2] (1.15)

dove si e indicato con ck(ξ1, . . . , ξm) l’aggiunto classico dell’elemento di matrice fk(ξm+1).Vale, in particolare,

cm+1(ξ1, . . . , ξm) = det

f1(ξ1) . . . f1(ξm)...

. . ....

fm(ξ1) . . . fm(ξm)

.

Se esiste un insieme di valori ξ1, . . . , ξm ∈ [λ1, λ2] tale che cm+1(ξ1, . . . , ξm) = 0, al-lora la relazione (1.15) definisce ∀ ξm+1 ∈ [λ1, λ2] una combinazione lineare delle funzionif1(ξm+1), . . . , fm+1(ξm+1) identicamente nulla e con un coefficiente non nullo: le funzionirisultano percio linearmente dipendenti. Qualora fosse, all’opposto, cm+1(ξ1, . . . , ξm) = 0∀ ξ1, . . . , ξm ∈ [λ1, λ2], le funzioni f1(λ), . . . , fm(λ) sono linearmente dipendenti per viadell’ipotesi di induzione; di conseguenza, linearmente dipendente risulta anche il piu am-pio sistema f1(λ), . . . , fm(λ), fm+1(λ).

1.7.3 Lemma (generatrice delle funzioni test)La funzione definita da

ρ(λ) =

1N(s)

(λ + 1)s(1 − λ)s ∀λ ∈ [−1, 1]

0 ∀λ ∈ R \ [−1, 1]

per s ≥ 3 intero assegnato ed N(s) > 0 fattore di normalizzazione opportuno, gode delleseguenti proprieta:

(i) ρ(λ) e Cs−1 in R;

(ii) il supporto di ρ(λ) si identifica con l’intervallo [−1,+1];

(iii) la funzione e strettamente positiva nell’intervallo aperto (−1, 1), nulla altrove;

(iv) ρ(λ) risulta integrabile in R e, posto

N(s) =

+1∫−1

(λ + 1)s(1 − λ)sdλ = 2s∏

r=1

2r

2r + 1,

soddisfa la condizione di normalizzazione∫R

ρ(λ)dλ = 1.

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DimostrazioneTutte le proprieta elencate sono ovvie. Conviene soltanto ricordare che il fattore di nor-malizzazione N(s) si calcola introducendo il cambiamento di variabile λ = sin θ, θ ∈[−π/2, π/2], e facendo uso della relazione di ricorrenza

N(0) = 2 , N(s) = 2sN(s − 1) − 2sN(s) ∀ s ∈ N , s ≥ 1 ,

che segue immediatamente da una integrazione per parti.

1.7.4 Definizione. Funzioni test nell’intervallo [λ1, λ2]Per s ≥ 3 fissato, nell’intervallo [λ1, λ2] si definiscono le seguenti funzioni test, tutte diclasse Cs−1, a supporto compatto, non-negative e normalizzate:

(i) ∀λ0 ∈ (λ1, λ2) e ∀ ε > 0, ε < minλ0 − λ1, λ2 − λ0,

ρε(λ0, λ) =1ερ(λ − λ0

ε

),

con supporto [λ0 − ε, λ0 + ε];

(ii) per λ0 = λ1 e ∀ ε > 0, ε < (λ2 − λ1)/2,

ρε(λ1, λ) =1ερ(λ − λ1 − ε

ε

),

di supporto [λ1, λ1 + 2ε];

(iii) per λ0 = λ2 e ∀ ε > 0, ε < (λ2 − λ1)/2,

ρε(λ2, λ) =1ερ(λ − λ2 + ε

ε

)

con supporto [λ2 − 2ε, λ2]. La figura seguente illustra il grafico delle funzioni test cosıintrodotte

Le proprieta di supporto e di normalizzazione seguono immediatamente dalla definizione diρ(λ) e dal fatto che le funzioni test sono ottenute da ρ(λ) con la sostituzione λ → (λ−λ0)/ε.

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1.7.5 Teorema (estensione del teorema della media di Lagrange)Per ogni funzione f(λ) continua nell’intervallo [λ1, λ2] e per ogni funzione test ρε(λ0, λ),λ0 ∈ [λ1, λ2], vale la relazione

λ2∫λ1

f(λ)ρε(λ0, λ)dλ = f(λε) (1.16)

per un λε opportuno contenuto nel supporto di ρε(λ0, λ).

DimostrazioneSi supponga, per fissare le idee, che λ0 ∈ (λ1, λ2), i casi di λ0 = λ1 e λ0 = λ2 potendositrattare in modo del tutto analogo. L’integrale a primo membro in (1.16) si riduce a

λ0+ε∫λ0−ε

f(λ)ρε(λ0, λ)dλ (1.17)

ed in esso conviene introdurre il cambiamento regolare di variabile λ → µ definito da

µ(λ) =

λ∫λ0−ε

ρε(λ0, λ)dλ ,

funzione monotona crescente e di classe C1 in [λ0 − ε, λ0 + ε], con codominio [0, 1] ederivata dµ/dλ = ρε(λ0, λ) > 0 ∀λ ∈ (λ0 − ε, λ0 + ε). La corrispondente funzione inversaλ(µ) : [0, 1] → [λ0 − ε, λ0 + ε] ha la stessa regolarita in (0, 1) e risulta continua in [0, 1],quale inversa di una funzione continua. Con tale cambiamento di variabile l’integrale (1.17)diventa

1∫0

f [λ(µ)] dµ

e poiche f [λ(µ)] e continua in [0, 1] in quanto composizione di funzioni continue, il teoremadella media di Lagrange porge

1∫0

f [λ(µ)] dµ = f [λ(µε)]

per µε ∈ [0, 1] opportuno. Basta infine porre λε

= λ(µε) ∈ [λ0 − ε, λ0 + ε] per ottenere il

risultato richiesto (1.16).

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1.7.6 Lemma (caratterizzazione delle variazioni compatibili con i vincoli)Sia q : λ ∈ [λ1, λ2]−−→ q(λ) ∈ A, una funzione C2 nulla agli estremi dell’intervallo didefinizione che soddisfa i vincoli (1.11). Si supponga inoltre che per almeno un valoredell’indice i = 1, . . . , n le funzioni

[∂Fk

∂qi− d

(∂Fk

∂qi

)][λ, q(λ), q(λ)] ∀ k = 1, . . . ,m . (1.18)

siano linearmente indipendenti in [λ1, λ2]. Allora per ogni variazione u(α, λ) di q(λ) aestremi fissi e compatibile con i vincoli (1.11), posto al solito δq(λ) = ∂u/∂α(0, λ) =(δq1(λ), . . . , δqn(λ)) si ha

λ2∫λ1

n∑i=1

[∂Fk

∂qi− d

(∂Fk

∂qi

)][λ, q(λ), q(λ)] δqi(λ)dλ = 0 ∀ k = 1, . . . ,m . (1.19)

Viceversa, per qualsiasi δq(λ) di classe C2 in [λ1, λ2], nulla agli estremi e che soddisfi lecondizioni (1.19), esiste una variazione u(α, λ), sempre di classe C2 nello stesso intervalloe nulla agli estremi, che rispetta i vincoli (1.11) e per la quale risulta

∂u

∂α(α, λ)

∣∣∣∣α=0

= δq(λ) ∀λ ∈ [λ1, λ2] .

NotaSi osservi che l’insieme delle funzioni δq(λ) definite dalle (1.19) costituisce uno spaziovettoriale ed e certamente non vuoto. Quelle relazioni possono infatti essere interpretatecome condizioni di ortogonalita fra δq(λ) e le funzioni

g(k)(λ) :=[∂Fk

∂q− d

(∂Fk

∂q

)][λ, q(λ), q(λ)] ∀ k = 1, . . . ,m (1.20)

secondo il prodotto scalare 〈·|·〉 definito da

〈f |h〉 =

λ2∫λ1

f(λ) · h(λ)dλ =

λ2∫λ1

n∑i=1

fi(λ)hi(λ)dλ (1.21)

∀ f, h : [λ1, λ2] → Rn continue in [λ1, λ2] e di componenti rispettive (f1, . . . , fn), (h1, . . . ,hn). Se le g(k)(λ) sono linearmente indipendenti in [λ1, λ2] e sempre possibile applicareloro il metodo di Gram-Schmidt ed ottenerne un sistema ortonomale w1(λ), . . . , wm(λ)

〈wk|wj〉 =

λ2∫λ1

wk(λ)wj(λ)dλ = δjk ∀ j, k = 1, . . . ,m

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costituito da opportune combinazioni lineari degli stessi vettori g(k)(λ). Tutte e soltantole funzioni del tipo δq(λ) possono allora ricavarsi per mezzo della proiezione ortogonale

δq(λ) = ψ(λ) −m∑

k=1

〈wk|ψ〉wk(λ) (1.22)

dove ψ(λ) e una qualsiasi funzione C2 nell’intervallo [λ1, λ2], nulla agli estremi e a valoriin Rn.

Dimostrazione del lemma 1.7.6Per provare la necessita della condizione si assuma che esista una variazione u(α, λ), diclasse C2 in [−ε, ε] × [λ1, λ2] e nulla in λ = λ1 e λ = λ2 per la quale si abbia

λ2∫λ1

Fk

[λ, q(λ) + u(α, λ), q(λ) +

∂u

∂λ(α, λ)

]dλ = Lk ∀ k = 1, . . . ,m .

Derivando ambo i membri rispetto ad α e prendendo il risultato in α = 0 si ottiene allora

λ2∫λ1

n∑i=1

[∂Fk

∂qiδqi(λ) +

∂Fk

∂qiδqi(λ)

]dλ = 0 ∀ k = 1, . . . ,m

per cui una integrazione per parti, unitamente alle condizioni al contorno δq(λ1) = δq(λ2)= 0, conduce alle (1.19). Da notare che questo risultato e valido a prescindere dallacondizione di lineare indipendenza delle funzioni (1.18).L’argomento che dimostra la sufficienza e un poco piu articolato. Sia δq(λ) una funzioneC2 in [λ1, λ2] che si annulla agli estremi dell’intervallo e che soddisfa le relazioni (1.19). Sisupponga che le m funzioni

[∂Fk

∂q1− d

(∂Fk

∂q1

)][λ, q(λ), q(λ)] k = 1, . . . ,m (1.23)

risultino linearmente indipendenti in [λ1, λ2]. Dato un qualsiasi sistema di funzioni ζ(1)(λ),. . ., ζ(m)(λ) di classe C2 nell’intervallo [λ1, λ2], a valori in Rn e nulle agli estremi, percostanti α, c1, . . . , cm ∈ R abbastanza vicine a zero sono definite le funzioni

Fk(α; c1, . . . , cm) =

λ2∫λ1

Fk

[λ,q(λ) + αδq(λ) +

m∑r=1

crζ(r)(λ),

q(λ) + αδq(λ) +m∑

r=1

cr ζ(r)(λ)

]dλ − Lk

∀ k = 1, . . . ,m

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di classe C2 in un intorno aperto di (α, c1, . . . , cm) = (0, 0, . . . , 0). Le derivate parzialiprime delle Fk rispetto alle cj si determinano derivando sotto il segno di integrale

∂Fk

∂cj(α; c1, . . . , cm) =

λ2∫λ1

n∑i=1

[∂Fk

∂qi− d

(∂Fk

∂qi

)][λ, q(λ) + αδq(λ) +

m∑r=1

crζ(r)(λ),

q(λ) + αδq(λ) +m∑

r=1

crζ(r)(λ)

]ζ(j)i (λ)dλ

dove si e indicata con ζ(j)i (λ) la componente i-esima di ζ(j)(λ). Queste funzioni possono

sempre scegliersi in modo che la matrice ∂F/∂c(0, 0, . . . , 0) di elementi

∂Fk

∂cj(0; 0, . . . , 0) =

λ2∫λ1

n∑i=1

[∂Fk

∂qi− d

(∂Fk

∂qi

)][λ, q(λ), q(λ)]ζ(j)

i (λ)dλ j, k = 1, . . . ,m

abbia determinante diverso da zero. Basta ad esempio assumerle della forma ζ(j)(λ) =(ζ(j)

1 (λ), 0, . . . , 0) con

ζ(j)1 (λ) = ρε(ξj , λ) ∀ j = 1, . . . ,m ,

essendo ξ1, . . . , ξm ∈ [λ1, λ2] punti assegnati in modo che risulti diverso da zero il determi-nante della matrice di elementi[

∂Fk

∂q1− d

(∂Fk

∂q1

)][ξj, q(ξj), q(ξj)] k, j = 1, . . . ,m

e che e sempre possibile individuare per la postulata lineare indipendenza delle (1.23);l’estensione del teorema della media implica infatti che per λε

k,j ∈ suppρε(ξj , λ) opportunisi abbia

∂Fk

∂cj(0; 0, . . . , 0) =

λ2∫λ1

[∂Fk

∂q1− d

(∂Fk

∂q1

)][λ, q(λ), q(λ)]ρε(ξj , λ)dλ =

=[∂Fk

∂q1− d

(∂Fk

∂q1

)][λε

k,j , q(λεk,j), q(λε

k,j)] j, k = 1, . . . ,m

e se ε → 0+ dalla continuita di[∂Fk

∂q1− d

(∂Fk

∂q1

)][λ, q(λ), q(λ)] ∀ k = 1, . . . ,m

segue che ∀ k, j = 1, . . . ,m[∂Fk

∂q1− d

(∂Fk

∂q1

)][λε

k,j , q(λεk,j), q(λε

k,j)]−−→[∂Fk

∂q1− d

(∂Fk

∂q1

)][ξj , q(ξj), q(ξj)]

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in quanto suppρε(ξj , λ) → ξj per ε → 0+. E dunque sufficiente considerare ε > 0 abba-stanza piccolo per soddisfare la condizione richiesta

det(∂F

∂c

)(0; 0 . . . , 0) = 0 .

Riassumendo, la funzione F (α; c1, . . . , cm), di componenti Fk(α; c1, . . . , cm), k = 1, . . . ,m:

(i) e di classe C2 in un intorno di (α, c1, . . . , cm) = (0, 0 . . . , 0) ∈ R × Rm;

(ii) si annulla in (α, c1, . . . , cm) = (0, 0, . . . , 0)

F (0; 0, . . . , 0) = 0 ;

(iii) la matrice delle derivate parziali rispetto alle variabili c1, . . . , cm e non singolare nellostesso punto

det(∂F

∂c

)(0; 0 . . . , 0) = 0 .

Il teorema delle funzioni implicite assicura allora che in un intorno aperto I ⊂ R di α = 0e definita una funzione c(α) = (c1(α), . . . , cm(α)) a valori in un intorno aperto C ⊂ Rm di(c1, . . . , cm) = (0, . . . , 0) tale che

F [α, c(α)] = 0 ∀α ∈ I .

Tale funzione risulta di classe C2 nel proprio dominio di definizione e soddisfa, per la regoladi catena,

∂F

∂α[α, c(α)] +

∂F

∂c[α, c(α)]

dc

dα(α) = 0 ∀α ∈ I

in modo chedc

dα(α) = −

(∂F

∂c[α, c(α)]

)−1 ∂F

∂α[α, c(α)] ∀α ∈ I

e, in particolare,dc

dα(0) =

(∂F

∂c(0; 0, . . . , 0)

)−1 ∂F

∂α(0; 0, . . . , 0) .

Si puo pertanto scrivere, ∀α ∈ I e ∀ k = 1, . . . ,m,

λ2∫λ1

Fk

[λ, q(λ) + αδq(λ) +

m∑r=1

cr(α)ζ(r)(λ), q(λ) + αδq(λ) +m∑

r=1

cr(α)ζ(r)(λ)]dλ = Lk

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con derivata prima rispetto ad α nulla in α = 0:

λ2∫λ1

n∑i=1

∂Fk

∂qi

[λ, q(λ) + αδq(λ) +

m∑r=1

c(α)rζ(r)(λ), q(λ) + αδq(λ) +

m∑r=1

c(α)r ζ(r)(λ)

·[δqi(λ) +

m∑r=1

dcr

dα(α)ζ(r)

i (λ)]+

+∂Fk

∂qi

[λ, q(λ) + αδq(λ) +

m∑r=1

c(α)rζ(r)(λ), q(λ) + αδq(λ) +

m∑r=1

c(α)r ζ(r)(λ)

·[δqi(λ) +

m∑r=1

dcr

dα(α)ζ(r)

i (λ)]

∣∣∣∣∣α=0

=

=

λ2∫λ1

n∑i=1

[∂Fk

∂qi[λ, q(λ), q(λ)]δqi(λ) +

∂Fk

∂qi[λ, q(λ), q(λ)]δqi(λ)

]dλ =

=

λ2∫λ1

n∑i=1

[∂Fk

∂qi− d

(∂Fk

∂qi

)]δqi(λ)dλ = 0

per via delle relazioni (1.19). La funzione

u(α, λ) = αδq(λ) +m∑

r=1

cr(α)ζ(r)(λ) ∀ (α, λ) ∈ I × [λ1, λ2]

e di classe C2 in I × [λ1, λ2], con u(0, λ) = 0 ∀λ ∈ [λ1, λ2], risulta nulla agli estremi

u(α, λs) = αδq(λs) +m∑

r=1

cr(α)ζ(r)(λs) = 0 s = 1, 2

e soddisfa i vincoli (1.11). Essa costituisce percio una variazione di q(λ) compatibile con ivincoli e obbedisce alla condizione

∂u(α, λ)∂α

∣∣∣∣α=0

= δq(λ) ∀λ ∈ [λ1, λ2]

come richiesto.

1.7.7 Osservazione. Estensione del lemma 1.7.6Si noti che la caratterizzazione (1.19) delle funzioni η(λ) offerta dal precedente lemma puoessere estesa, con un argomento analogo, al piu generale caso in cui si assumano linearmenteindipendenti in [λ1, λ2] le funzioni[

∂Fk

∂qi(k)− d

( ∂Fk

∂qi(k)

)][λ, q(λ), q(λ)] ∀ k = 1, . . . ,m

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dove i(k) ∈ 1, . . . , n ∀ k = 1, . . . ,m — non e cioe indispensabile che i(k) sia costante pertutti i k come richiesto in (1.18).

1.7.8 Teorema (punti stazionari condizionati)Sia q : λ ∈ [λ1, λ2]−−→ q(λ) un punto stazionario del funzionale

L(q) =

λ2∫λ1

L[λ, q(λ), q(λ)] dλ (1.24)

che soddisfa i vincoli (1.11)

λ2∫λ1

Fk[λ, q(λ), q(λ)] dλ = Lk ∀ k = 1, . . . ,m (1.11)

con L1, . . . , Lm costanti reali assegnate e tale che le funzioni[∂Fk

∂qi(k)− d

( ∂Fk

∂qi(k)

)][λ, q(λ), q(λ)] ∀ k = 1, . . . ,m (1.25)

risultano linearmente indipendenti in [λ1, λ2] per opportuni i(k) ∈ 1, . . . , n, k = 1, . . . ,m.Esistono allora m costanti reali µ1, . . . , µm tali che

∂L

∂qi− d

( ∂L

∂qi

)=

m∑k=1

µk

[∂Fk

∂qi− d

(∂Fk

∂qi

)]∀ i = 1, . . . , n . (1.26)

1.7.9 Osservazione. Funzione ausiliaria e moltiplicatori di LagrangeLa condizione (1.26) necessaria per la stazionarieta condizionata del funzionale L(q) sipuo intendere come equivalente a scrivere le equazioni di Eulero-Lagrange non per lalagrangiana formale L(λ, q, q) ma per la funzione ausiliaria

L(λ, q, q) −m∑

k=1

µk Fk(λ, q, q)

con µ1, . . . , µm costanti reali opportune, note come moltiplicatori di Lagrange del proble-ma estremale. Beninteso, le equazioni di Eulero-Lagrange vanno risolte tenendo conto deivincoli (1.11).

Dimostrazione del teorema 1.7.8La stazionarieta del funzionale (1.24) condizionato ai vincoli (1.11) richiede che si annullila variazione prima (1.5)

δL(q, δq) =

λ2∫λ1

n∑i=1

[∂L

∂qi− d

( ∂L

∂qi

)]δqi(λ)dλ = 0

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non piu per qualsiasi variazione u(α, λ), a estremi fissi, della funzione q(λ), ma limitata-mente alle variazioni che soddisfano anche gli ulteriori vincoli (1.11). Le variazioni diq(λ) compatibili con i vincoli (1.11) sono tutte e soltanto le u(α, λ) per le quali δq(λ) =∂u/∂α(0, λ) soddisfa le condizioni (1.19). Deve percio aversi

λ2∫λ1

n∑i=1

[∂L

∂qi− d

( ∂L

∂qi

)][λ, q(λ), q(λ)] δqi(λ)dλ = 0

per ogni δq(λ) di classe C2 in [λ1, λ2], nulla agli estremi e tale che

λ2∫λ1

n∑i=1

[∂Fk

∂qi− d

(∂Fk

∂qi

)][λ, q(λ), q(λ)] δqi(λ)dλ = 0 ∀ k = 1, . . . ,m .

Ponendo per brevita, come gia in (1.20),

g(k)(λ) :=[∂Fk

∂q− d

(∂Fk

∂q

)][λ, q(λ), q(λ)] ∀ k = 1, . . . ,m

unitamente a

a(λ) :=[∂L

∂q− d

(∂L

∂q

)][λ, q(λ), q(λ)] ,

e ricordando la nozione di prodotto scalare introdotta in (1.21), la condizione di staziona-rieta diventa

〈a|δq〉 = 0 ∀ δq : 〈g(k)|δq〉 = 0 ∀ k = 1, . . . ,m ,

dove le δq si intendono C2 nel loro intervallo di definizione e nulle agli estremi dello stesso.Di qui segue facilmente che a(λ) deve essere una combinazione lineare delle g(k)(λ)

a(λ) =m∑

k=1

µk g(k)(λ) ∀λ ∈ [λ1, λ2]

secondo opportuni coefficienti costanti µ1, . . . , µm ∈ R, provando in tal modo la relazione(1.26). Per convincersi di cio basta osservare che la condizione (1.25) implica la lineareindipendenza in [λ1, λ2] delle g(k)(λ), in modo che e sempre possibile combinare linearmentequeste funzioni per ottenere un sistema ortonormale di m vettori w(1)(λ), . . . , w(m)(λ)

〈w(j)|w(h)〉 = δjh ∀ j, h = 1, . . . ,m

che genera lo stesso sottospazio vettoriale di funzioni. I vettori δq(λ) ortogonali a tutti ig(k)(λ) assumono percio la forma

δq = ψ −m∑

k=1

〈w(k)|ψ〉w(k)

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essendo ψ : [λ1, λ2] → Rn una qualsiasi funzione C2 nel proprio intervallo di definizione enulla agli estremi; per ogni δq cosiffatto deve aversi

0 = 〈a|δq〉 = 〈a|ψ〉 −m∑

k=1

〈w(k)|ψ〉〈a|w(k)〉 =⟨a −

m∑k=1

〈a|w(k)〉w(k)∣∣∣ψ⟩

e quindi grazie alla arbitrarieta di ψ — che puo sempre identificarsi con una funzione testdi supporto arbitrario in [λ1, λ2] —

a −m∑

k=1

〈a|w(k)〉w(k) = 0 .

Non resta che indicare esplicitamente la trasformazione lineare che lega i vettori w(k) e g(j)

w(k) =m∑

j=1

Rkj g(j)

secondo una appropriata matrice non singolare R di coefficienti Rkj , per ottenere

a =m∑

k=1

〈a|w(k)〉w(k) =m∑

k=1

〈a|w(k)〉m∑

j=1

Rkj g(j) =m∑

j=1

m∑k=1

〈a|w(k)〉Rkj g(j)

ossia∂L

∂q− d

(∂L

∂q

)=

m∑j=1

µj

[∂Fj

∂q− d

(∂Fj

∂q

)]

a patto di porre µj =m∑

k=1

〈a|w(k)〉Rkj ∀ j = 1, . . . ,m.

1.8 Estremo di un funzionale soggetto a vincoli olonomiPer questo argomento si rinvia al volume Calculus of variations, R. Weinstock, Dover, NewYork, 1974Estremo di un funzionale con vincoli espressi da equazioni finiteDescrizione del problema variazionale con questo tipo di vincoliNozione di variazioni a supporto concentrato, sufficienti per caratterizzare gli estremi

1.8.1 Teorema (estremi dei funzionali soggetti a vincoli olonomi)Funzione moltiplicatrice di Lagrange

Dimostrazione del teorema 1.8.1

1.9 Estremo di un funzionale soggetto a vincoli anolonomiPer questo argomento si rinvia al volume Calculus of variations, R. Weinstock, Dover, NewYork, 1974

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Estremo di un funzionale con vincoli espressi da equazioni differenzialiDescrizione del problema variazionale con questo tipo di vincoli

1.9.1 Teorema (estremi dei funzionali soggetti a vincoli anolonomi)Funzione moltiplicatrice di Lagrange

(1.27)

Si indica con (1.27) la condizione che la matrice del differenziale dei vincoli rispetto allederivate prime deve avere rango massimo lungo tutte le funzioni che rispettano il vincolodifferenziale (o fra le quali vengono ricercati gli estremi)

Dimostrazione del teorema 1.9.1

2. I principi variazioniali della meccanicaLe equazioni della dinamica per i sistemi olonomi a vincoli — bilaterali — ideali sonosuscettibili di riformulazioni notevoli in termini di problemi o “principi” variazionali ap-propriati. I piu singificativi di questi sono il principio di Hamilton ed il principio dell’azionestazionaria, o di Maupertuis.

2.1 Principio di HamiltonSia dato un sistema olonomo a vincoli bilaterali ideali e n gradi di liberta, descritto daiparametri lagrangiani q = (q1, . . . , qn) variabili in un aperto A di Rn e da una lagrangianaL(t, q, q) di classe C2 in R ×A× Rn. Si consideri un moto regolare q = q(t) nell’intervallo[t1, t2] ⊂ R, di estremi assegnati q(1) e q(2) ∈ A:

q(t1) = q(1) q(t2) = q(2). (2.1.1)

La funzione principale di Hamilton(1) per il moto q(t) e definita da

S[q(t)] =

t2∫t1

L[t, q(t), q(t)] dt . (2.1.2)

La funzione principale si puo intendere come un funzionale non lineare sullo spazio dellefunzioni q(t) di classe C2 in un intervallo di tempo [t1, t2]. Il principio di Hamilton affermal’equivalenza dei seguenti asserti:

(i) la funzione q = q(t), di classe C2 in t ∈ [t1, t2], soddisfa le equazioni lagrangiane delmoto e le condizioni al contorno (2.1.1). Essa e percio soluzione del problema a valorial contorno

d

dt

( ∂L

∂qi

)− ∂L

∂qi= 0 ∀ i = 1, . . . , n , q(t1) = q(1) , q(t2) = q(2) ;

(1)da non pochi autori correntemente designata come azione di Hamilton, ovvero integrale dell′azione o

semplicemente azione

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(ii) la funzione q = q(t), di classe C2 in t ∈ [t1, t2], rende stazionaria la funzione principaledi Hamilton (2.1.2), nel senso che ne annulla la variazione prima a estremi fissi

δS[q(t)] = δ

t2∫t1

L[t, q(t), q(t)] dt

per qualsiasi variazione δq(t) del moto che sia di classe C2 nell’intervallo [t1, t2] e chesi annulli agli estremi:

δq(t1) = δq(t2) = 0 .

E significativo sottolineare che il principio sancisce l’equivalenza di un problema a valorial contorno e di un problema variazionale, nel senso che tutte e sole le soluzioni dell’unosono anche tutte e sole le soluzioni dell’altro, ma non assicura in alcun modo ne l’esistenzane l’unicita di dette soluzioni — come ben noto, per il problema a valori al contorno nonesiste alcun analogo semplice del teorema di esistenza e unicita delle soluzioni massimaliper il problema di Cauchy. Questa osservazione permette di riformulare il principio diHamilton, equivalentemente, nella forma seguente:

in un sistema olonomo a vincoli bilaterali ideali, di lagrangiana L, i moti naturali delsistema sono descritti da tutte e sole le funzioni q(t), definite e C2 in un qualsiasi inter-vallo di tempo [t1, t2], che rendono stazionaria la funzione principale di Hamilton per ognivariazione δq(t) ad estremi fissi della funzione q(t).

Dimostrazione del principio di HamiltonPer provare il principio e sufficiente osservare che la condizione di stazionarieta sul fun-zionale dell’azione, per variazioni δq(t) del moto q(t) che si annullino agli estremi, equivaleal sistema delle equazioni di Eulero-Lagrange:

∂L

∂qi− d

dt

( ∂L

∂qi

)= 0 ∀ i = 1, . . . , n ,

che dovra essere soddisfatto da una funzione q(t) di classe C2 in [t1, t2] e con valori alcontorno assegnati q(t1) = q(1) e q(t2) = q(2).

2.1.1 Osservazione. Sistemi lagrangiani generaliE interessante notare che la prova del principio di Hamilton non presuppone in alcun modouna lagrangiana classica, interpretabile come somma di un termine di energia cineticaT (t, q, q) = T0(t, q) + T1(t, q, q) + T2(t, q, q), polinomio di secondo grado nelle velocitageneralizzate q con parte quadratica definita positiva, e di un termine potenziale U(q):

L(t, q, q) = T0(t, q) + T1(t, q, q) + T2(t, q, q) + U(q) ,

in cui si sono evidenziati rispettivamente il termine costante T0, quello lineare T1 e quelloquadratico T2 rispetto a q dell’energia cinetica. In realta il principio si estende immediata-mente a sistemi lagrangiani di tipo generale, la cui lagrangiana sia una generica funzioneC2 dei propri argomenti (t, q, q) ∈ R × A × Rn:

L = L(t, q, q) (2.1.3)

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e soddisfi la condizione supplementare che per ogni (t, q, q) ∈ R × A × Rn la matrice —simmetrica — delle derivate parziali seconde rispetto alle velocita generalizzate

∂2L

∂qh∂qk(t, q, q) h, k = 1, . . . , n (2.1.4)

risulti non singolare. Il requisito (2.1.4) e teso ad assicurare la riducibilita alla formanormale delle relative equazioni di Lagrange del moto

d

dt

( ∂L

∂qh

)− ∂L

∂qh= 0 h = 1, . . . , n .

In tal modo e possibile applicare il teorema di esistenza ed unicita delle soluzioni massi-mali per il problema di Cauchy, sempreche il secondo membro delle equazioni ridotte informa normale sia adeguatamente regolare — localmente lipschitziano in (q, q) ∈ A × Rn

uniformemente in t ∈ R o, piu semplicemente, C1 nel dominio R×A× Rn dell’argomento(t, q, q). Questa condizione di regolarita sul secondo membro si assume sempre soddisfattain tutti i sistemi lagrangiani di interesse.

2.2 Principio dell’azione stazionaria, o di MaupertuisDiversamente dal principio di Hamilton, il principio di Maupertuis classico non riguardai sistemi olonomi lagrangiani di tipo generale, ma soltanto quelli scleronomi posizionaliconservativi, la cui lagrangiana assume la forma particolare

L(q, q) = T (q, q) + U(q) ,

dove U(q) indica il potenziale delle sollecitazioni agenti sul sistema mentre l’energia cineticaT (q, q) e una forma quadratica definita positiva delle velocita generalizzate

T (q, q) =12

n∑h,k=1

ahk(q) qh qk

con coefficienti ahk(q) che sono funzioni C1 delle coordinate lagrangiane. Come ben noto,i sistemi di questo tipo ammettono l’integrale primo dell’energia meccanica, definito da

H(q, q) = T (q, q) − U(q) , (2.2.1)

per cui tutti i moti naturali del sistema sono di energia costante. Non e pero vero ilviceversa: un moto possibile q(t), t ∈ [t1, t2], di energia costante

H[q(t), q(t)] = E , ∀ t ∈ [t1, t2]

non costituisce necessariamente un moto naturale del sistema. Lo scopo del principio diMaupertuis e precisamente quello di caratterizzare, fra tutti i moti di energia costante,quelli che siano effettivamente moti naturali per il sistema. Il procedimento logico che

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permette di impostare, enunciare e dimostrare il principio si puo articolare in una serie dipunti successivi, di seguito illustrati.

2.2.1 Moti testIl principio di Maupertuis riguarda una particolare classe di moti possibili che verrannodenominati moti test. Moto test e un qualsiasi moto q(t), definito e di classe C2 in unintervallo di tempo limitato e chiuso [t1, t2], che abbia energia costante E ∈ R:

H[q(t), q(t)] = E ∀ t ∈ [t1, t2]

e che non presenti alcun istante di arresto:

q(t) = 0 ∀ t ∈ [t1, t2] .

A tale moto sono associate una configurazione iniziale q(t1) = q(1) ed una configurazionefinale q(t1) = q(2). Si sottolinea che tali configurazioni iniziale e finale non sono necessaria-mente distinte: il principio di Maupertuis permette di caratterizzare anche eventuali motinaturali periodici considerati su un periodo, per i quali e evidentemente q(1) = q(2). Comerisultera chiaro nel seguito, la richiesta che il moto test non contempli istanti di arresto egiustificata dalla necessita di poter introdurre moti variati — “asincroni” — di sufficientegeneralita.

2.2.2 Moti variati asincroniDato un qualsiasi moto test q(t) in [t1, t2], di energia E e configurazioni estreme q(t1) = q(1),q(t1) = q(2), se ne vogliono considerare i piu generali moti variati con la stessa energia ele stesse configurazioni iniziale e finale: configurazioni estreme ed energia costante sonouguali a quelle del moto non variato q(t), che d’ora innanzi verra denominato moto base.E facile convincersi che in generale un moto variato di energia costante non puo esseredefinito sullo stesso intervallo di tempo [t1, t2] del moto base; esso non puo cioe scriversinella forma

q(t) + δq(t) ∀ t ∈ [t1, t2] , (2.2.2)

gia considerata nell’enunciato del principio di Hamilton, di classe C2 e con δq(t1) =δq(t2) = 0 — moti variati di questo tipo sono detti sincroni, con riferimento al fattoche l’intervallo di tempo su cui sono definiti non varia rispetto a quello del moto base. Seinfatti si impone ad un moto variato sincrono come (2.2.2) di conservare l’energia mecca-nica, si perviene ad una equazione differenziale non autonoma in δq(t)

H[q(t) + δq(t), q(t) + δq(t)] = E

alla quale non e possibile associare le condizioni δq(t1) = 0 e δq(t2) = 0, in quanto — di re-gola — il corrispondente problema a valori al contorno non ammette alcuna soluzione oltrea quella banale δq(t) = 0 ∀ t ∈ [t1, t2]. Si rende cosı necessario ricorrere ai cosiddetti motivariati asincroni nei quali puo essere variato anche l’intervallo di tempo [t1, t2]. Un motovariato asincrono viene costruito variando non soltanto la funzione q(t) che rappresenta ilmoto ma anche la coordinata temporale t; tempo e moto vengono espressi in termini di

Stefano Siboni 22

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un comune parametro ausiliario u definito su un intervallo fisso [u1, u2], compatto in R, inmodo che il moto variato sia parametrizzato da

t = u + δτ (u)

q = q(u) + δq(u), u ∈ [u1, u2] . (2.2.3)

In questa espressione δτ (u) e δq(u) sono funzioni C2 dell’intervallo [u1, u2] ed ivi “piccole”,nel senso che le costanti numeriche

maxu∈[u1,u2]

|δτ (u)| maxu∈[u1,u2]

∣∣∣∣dτ

du(u)∣∣∣∣ max

u∈[u1,u2]|δq(u)| max

u∈[u1,u2]

∣∣∣∣dδq

du(u)∣∣∣∣

devono risultare sufficientemente vicine a zero; in particolare si richiede che valga

maxu∈[u1,u2]

∣∣∣∣dτ

du(u)∣∣∣∣ < 1

in modo che la trasformazione u → t definisca un diffeomorfismo C2 dell’intervallo fisso[u1, u2] su un intervallo variabile [t1, t2] del tempo t — cosı da assicurare che gli istantiiniziale t1 = u1 + δτ (u1) e finale t2 = u2 + δτ (u2) siano lasciati liberi. Ne segue che laderivata prima dt/du(u) e non solo strettamente positiva ma anche limitata tanto inferior-mente quanto superiormente in [u1, u2]. Il moto base si ottiene evidentemente dalla (2.2.3)per δτ (u) = 0 e δq(u) = 0 ∀u ∈ [u1, u2], allorquando t = u, q = q(t), t1 = u1 e t2 = u2.E altrettamento evidente che i moti variati sincroni sono sempre esprimibili nella forma(2.2.3) per δτ (u) = 0 identicamente in [u1, u2]. La richiesta che le configurazioni iniziale efinale dei moti variati coincidano con le corrispondenti configurazioni del moto base, ossiache q(t1) = q(1) e q(t2) = q(2), si traducono nelle condizioni al contorno

q(u1) + δq(u1) = q(1) e q(u2) + δq(u2) = q(2)

che, per effetto delle analoghe condizioni al contorno valide per il moto base

q(u1) = q(1) q(u2) = q(2) ,

equivalgono piu semplicemente alle

δq(u1) = 0 δq(u2) = 0 .

Ricordando che si tratta di una forma quadratica nelle velocita generalizzate, l’energiacinetica del moto variato si scrive

T(q(u) + δq(u),

d

dt[q(u) + δq(u)]

)=

=T(q(u) + δq(u),

d

du[q(u) + δq(u)]

1dt/du(u)

)=

=T(q(u) + δq(u),

d

du[q(u) + δq(u)]

) 1[dt/du(u)]2

=

=T(q(u) + δq(u),

d

du[q(u) + δq(u)]

) 1[1 +

d

duδτ (u)

]2Stefano Siboni 23

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e indicata con un apice la derivata rispetto ad u si riduce all’espressione piu compatta

T[q(u) + δq(u), q′(u) + δq′(u)

] 1[1 + δτ ′(u)]2

.

La condizione di conservazione, al valore E del moto base, dell’energia meccanica lungo ilmoto variato assume percio la forma

T[q(u) + δq(u), q′(u) + δq′(u)

] 1[1 + δτ ′(u)]2

− U [q(u) + δq(u)] = E ∀u ∈ [u1, u2] .

(2.2.4)Per definizione, il moto test non presenta istanti di arresto e quindi q(t) = 0 ∀ t ∈ [t1, t2];ne deriva che l’energia cinetica si mantiene strettamente positiva lungo l’intero moto:

T [q(t), q(t)] > 0 ⇐⇒ E + U [q(t)] > 0 ∀ t ∈ [t1, t2] .

In tali condizioni la variazione δq(u) puo essere assegnata a piacere, purche C2 in [u1, u2],nulla agli estremi — δq(u1) = δq(u2) = 0 — e “abbastanza piccola”, nel senso che i numeripositivi

maxu∈[u1,u2]

|δq(u)| e maxu∈[u1,u2]

|δq′(u)|

siano sufficientemente vicini a zero. In tal caso si ha infatti che tanto T [q(u)+δq(u), q′(u)+δq′(u)] quanto E +U [q(u)+ δq(u)] risulteranno strettamente positivi ∀u ∈ [u1, u2], per cui

[1 + δτ ′(u)]2 =T [q(u) + δq(u), q′(u) + δq′(u)]

E + U [q(u) + δq(u)]

e la variazione sul tempo δτ (u) potra sempre essere assegnata in modo da mantenerecostante l’energia, risolvendo l’equazione differenziale

dδτ

du(u) = −1 +

√T [q(u) + δq(u), q′(u) + δq′(u)]

E + U [q(u) + δq(u)]

con una immediata integrazione diretta

δτ (u) = δτ (u1) − u + u1 +

u∫u1

√T [q(u) + δq(u), q′(u) + δq′(u)]

E + U [q(u) + δq(u)]du ∀u ∈ [u1, u2] ,

ponendo ad esempio δτ (u1) = 0 — il che equivale a fissare l’istante iniziale t1. Per ragionidi continuita e evidente che per δq(u) abbastanza piccolo anche la funzione δτ (u) risultapiccola.E importante sottolineare che la possibilita di scegliere arbitrariamente, nel senso anzidetto,la variazione δq(u) ad energia costante, verrebbe meno in corrispondenza degli eventuali

Stefano Siboni 24

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istanti di arresto del moto. Se q(u0) = q0 e una posizione di arresto del moto, corrispon-dente al valore u = u0 del parametro ausiliario, l’annullarsi dell’energia cinetica implicainfatti che

−U(q0) = E ,

per cui si possono distinguere due casi:

se q0 non e un minimo relativo di U(q), in ogni intorno sferico di Q0 di raggio ε piccoloa piacere e sempre possibile determinare almeno un punto qε dove

U(qε) < U(q0) .

La variazione δq(u), per quanto piccola nel senso predetto, non puo assumere in u0

nessuno dei valori qε − q0 che, causa il segno non negativo dell’energia cinetica, nonconsentono di rispettare la condizione di conservazione dell’energia E:

T [q0 + δq(u0), q′(u0) + δq′(u0)] − U [q0 + δq(u0)] ≥

≥ −U [q0 + δq(u0)] = −U(qε) > −U(q0) = E ;

se q0 costituisce un minimo relativo di U(q), in generale non sara possibile esplicitarela derivata dδτ/du(u) dall’equazione (2.2.4) di conservazione dell’energia:

dδτ

du(u) = −1 +

√T [q(u) + δq(u), q′(u) + δq′(u)]

U [q(u) + δq(u)] − U(q0)

causa l’eventuale annullarsi del denominatore, infinitesimo per q(u) + δq(u) → q0.Anche nel caso sia consentita la riduzione alla forma normale rispetto alla variabiledipendente δτ (u), la derivata dδτ/du(u) in generale non risultera “piccola” per δq(u)e δq′(u) arbitrari e piccoli, nel senso precedentemente precisato.

Queste osservazioni giustificano la definizione di moto test come moto di energia costanteprivo di istanti di arresto. E importante sottolineare che in un moto variato asincronodi energia assegnata sono fissate le configurazioni iniziale e finale, ma non gli istanti t1e t2 in corrispondenza dei quali dette configurazioni sono raggiunte dal sistema: e semprepossibile richiedere, senza perdita di generalita, che sia assegnato l’istante iniziale t1, manon e tuttavia dato di fissare quello finale t2.

2.2.3 AzioneL’azione(1) e il funzionale non lineare che al moto base q(t), t ∈ [t1, t2] associa il numeroreale S[q(t)] definito dall’integrale

t2∫t1

2T [q(t), q(t)] dt , (2.2.5)

(1)nota anche, piu precisamente, come azione di Maupertuis o azione ridotta

Stefano Siboni 25

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e sfruttando la costanza dell’energia lungo q(t) puo anche riscriversi nella forma equiva-lente

S[q(t)] =

t2∫t1

(T [q(t), q(t)] + U [q(t)] + T [q(t), q(t)] − U [q(t)]

)dt =

=

t2∫t1

(T [q(t), q(t)] + U [q(t)]

)dt + E(t2 − t1) . (2.2.6)

2.2.4 Variazione dell’azioneLa variazione dell’azione (2.2.5) deve essere calcolata per moti variati asincroni arbitrari,di energia costante E e con estremi fissati q(1) e q(2). L’azione di Maupertuis per ilmoto base q(t), t ∈ [t1, t2], di energia E ed estremi q(t1) = q(1), q(t2) = q(2), e datadall’integrale (2.2.6). Il generico moto variato asincrono q(t), di uguale energia e con lestesse configurazioni estreme, sara espresso dalle equazioni parametriche

t = u + δτ (u)

q = u + δq(u)u ∈ [u1, u2]

con δq(u) e δτ (u) funzioni C2 sull’intervallo fisso [u1, u2] del parametro u, unitamente allacondizione δq(u1) = δq(u2) = 0 e a quella di conservazione dell’energia (2.2.4). Il motovariato sara percio definito sull’intervallo di tempo di estremi

t1 = u1 + δτ (u1) t2 = u2 + δτ (u2)

per i quali si potra sempre assumere, senza perdita di generalita, t1 = t1.(1) L’azione peril moto variato si scrive percio

S[q(t)] =

t2∫t1

(T [q(t), ˙q(t)] + U [q(t)]

)dt + E(t2 − t1)

ed introducendo il parametro u come variabile di integrazione, oltre alla forma esplicitadegli istanti iniziale e finale variati, diventa

S[q(t)] = E[u2 + δτ (u2) − u1 − δτ (u1)]+

+

u2∫u1

[T [q(u) + δq(u), q′(u) + δq′(u)]

1[dt/du(u)]2

+ U [q(u) + δq(u)]]

dt

du(u)du

(1)in termini del parametro ausiliario u il moto base e individuato da δq(u)=0 e δτ(u)=0, per cui t1=u1 e

t2=u2; la condizione t1=t1 equivale percio a richiedere che sia δτ(u1)=0.

Stefano Siboni 26

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ossia

S[q(t)] = E[u2 − u1 + δτ (u2) − δτ (u1)]+

+

u2∫u1

[T [q(u) + δq(u), q′(u) + δq′(u)]

1

1 +dδτ

du(u)

+ U [q(u) + δq(u)][1 +

dδτ

du(u)]]

du .

Seguendo lo stesso procedimento generale indicato nella sezione 1.2, e dunque considerandoi soli termini al primo ordine in δq(u) e δτ (u) e relative derivate, la prima variazionedell’azione di Maupertuis lungo il moto base assume cosı la forma

δS[q(t)] = E[δτ (u2) − δτ (u1)] +

u2∫u1

[−T [q(u), q′(u)]

d

duδτ (u) +

∂T

∂q[q(u), q′(u)] · δq′(u)+

+∂T

∂q[q(u), q′(u)] · δq(u) + U [q(u)]

d

duδτ (u) +

∂U

∂q[q(u)] · δq(u)

]du

dove per brevita si e indicato con il punto il prodotto scalare fra vettori di Rn. Unriordinamento dei termini porge allora l’espressione

δS[q(t)] = E[δτ (u2) − δτ (u1)] +

u2∫u1

(−T [q(u), q′(u)] + U [q(u)]

) d

duδτ (u)du+

+

u2∫u1

[∂T

∂q[q(u), q′(u)] · δq′(u) +

(∂T

∂q[q(u), q′(u)] +

∂U

∂q[q(u)]

)· δq(u)

]du

nella quale, per la conservazione dell’energia lungo il moto base, si ha

−T [q(u), q′(u)] + U [q(u)] = −E ∀u ∈ [u1, u2]

in modo cheδS[q(t)] = −E[δτ (u2) − δτ (u1)] + E[δτ (u2) − δτ (u1)]+

+

u2∫u1

[∂T

∂q[q(u), q′(u)] · δq′(u) +

(∂T

∂q[q(u), q′(u)] +

∂U

∂q[q(u)]

)· δq(u)

]du

=

u2∫u1

[∂T

∂q[q(u), q′(u)] · δq′(u) +

(∂T

∂q[q(u), q′(u)] +

∂U

∂q[q(u)]

)· δq(u)

]du .

Non rimane che riesprimere il termine in δq′(u) come un’unica derivata di un prodotto,introducendo il termine correttivo appropriato,

δS[q(t)] =

u2∫u1

[d

du

(∂T

∂q[q(u), q′(u)] · δq(u)

) d

du

(∂T

∂q[q(u), q′(u)]

)· δq(u)+

+(∂T

∂q[q(u), q′(u)] +

∂U

∂q[q(u)]

)· δq(u)

]du

Stefano Siboni 27

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e raccogliere tutti i termini in δq(u), integrando poi la derivata totale in u,

δS[q(t)] =

u2∫u1

[− d

du

(∂T

∂q

)+

∂T

∂q+

∂U

∂q

]· δq(u)du +

[∂T

∂q· δq(u)

]u2

u1

per ottenere, grazie alla condizione al contorno δq(u1) = δq(u2) = 0, l’espressione finaledella variazione

δS[q(t)] =

u2∫u1

[− d

du

(∂T

∂q

)+

∂q(T + U)

]· δq(u)du

che puo anche scriversi come

δS[q(t)] =

u2∫u1

[− d

du

( ∂

∂q(T + U)

)+

∂q(T + U)

]· δq(u)du (2.2.7)

in quanto il potenziale U dipende unicamente da q e non da q. Si osservi che il fattoreentro parentesi quadre nell’integrando di (2.2.7) e calcolato lungo il moto base q(t), percui alla variabile ausiliaria u si puo in esso intendere sostituito il tempo t: a parte uncambiamento di segno, l’espressione entro parentesi quadre in (2.2.7) si identifica con ilbinomio di Lagrange per il sistema scleronomo di lagrangiana L = T + U , valutato lungoil moto base q(t).

2.2.5 Stazionarieta dell’azione come condizione necessaria per i moti naturaliDalla relazione (2.2.7) risulta evidente che se il moto base q(t) e naturale per il sistema dilagrangiana L = T + U tale moto costituisce una soluzione delle equazioni di Lagrange edeve percio aversi

d

dt

(∂L

∂q[q(t), q(t)]

)− ∂L

∂q[q(t), q(t)] = 0 ∀ t ∈ [t1, t2]

e la variazione prima dell’azione di Maupertuis lungo lo stesso moto base deve annullarsi

δS[q(t)] = 0

per qualsiasi moto variato asincrono di uguali estremi ed energia. La stazionarieta dell’a-zione di Maupertuis, l’annullarsi cioe della sua variazione prima rispetto a moti variati deltipo descritto, e condizione necessaria perche il moto base sia naturale.Va rilevato che la condizione necessaria rimane valida anche per moti base naturali chenon siano test, lungo i quali cioe siano presenti istanti di arresto — ferma restando laconservazione dell’energia, comunque soddisfatta per tutti i moti naturali del sistema.E anche importante sottolineare che la condizione non e in generale sufficiente per ri-conoscere il generico moto base come naturale: di regola le funzioni δq(u) non si possono

Stefano Siboni 28

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assegnare a piacere, o comunque con la generalita sufficiente a concludere dalla stazionarie-ta dell’azione di Maupertuis in (2.2.7) che il moto base soddisfa le equazioni di Lagrange.

2.2.6 Stazionarieta dell’azione come condizione sufficiente affinche un moto testsia naturale

Nel caso che quello base sia un moto test, si e gia osservato come sia sempre dato di asse-gnare arbitrariamente, purche abbastanza piccole, le variazioni δq(u) in modo da generareun moto variato asincrono di energia e configurazioni estreme uguali a quelle del motobase: l’assenza di istanti di arresto permette sempre di aggiustare la variazione sul tempo,δτ (u), in modo da ottenere un moto variato dell’energia desiderata, a patto di scegliere lefunzioni δq(u) di classe C2 in [u1, u2], nulle agli estremi — δq(u1) = δq(u2) = 0 — e conle costanti:

maxu∈[u1,u2]

|δq(u)| , maxu∈[u1,u2]

|δq′(u)|

abbastanza vicine a zero. Questa scelta delle funzioni δq(u) e sufficiente a provare, in virtudella procedura illustrata alla sezione 1.4, l’implicazione

u2∫u1

[− d

du

( ∂

∂q(T + U)

)+

∂q(T + U)

]· δq(u) = 0 ∀ δq(u)

=⇒ − d

du

( ∂

∂q(T + U)

)+

∂q(T + U) = 0 ∀u ∈ [u1, u2]

come affermato. Si e cosı provato che per tutti i moti regolari, privi di istanti di arresto,rendere stazionaria l’azione di Maupertuis rispetto a moti variati isoenergetici di estremifissati q(1) e q(2) equivale a risolvere le equazioni di Lagrange con le condizioni al contornoq(t1) = q(1), q(t2) = q(2). Si perviene in tal modo al principio di Maupertuis, di seguitoenunciato.

In un sistema scleronomo a vincoli bilaterali ideali, soggetto a sollecitazioni posizionaliconservative di potenziale U(q), per ogni moto possibile q(t), di classe C2 in t ∈ [t1, t2],con configurazione iniziale q(t1) = q(1) e configurazione finale q(t2) = q(2), di energiacostante E e privo di istanti di arresto, le proposizioni seguenti sono equivalenti:

(a) q(t) descrive un moto naturale del sistema di configurazione iniziale q(1) e configu-razione finale q(2), essendo soluzione delle equazioni di Lagrange con le condizioni alcontorno q(t1) = q(1) e q(t2) = q(2);

(b) la funzione q(t) rende stazionaria l’azione di Maupertuis (2.2.5) rispetto a moti variati— asincroni — di classe C2, uguale energia E e medesimi estremi q(1), q(2).

Come gia quello di Hamilton, il principio di Maupertuis afferma l’equivalenza di un pro-blema a valori al contorno — (a) — e di un problema variazionale — (b) — senza entrarenel merito della esistenza ed eventuale unicita delle corrispondenti soluzioni. In sintesi,il principio di Maupertuis permette di individuare, fra tutti i moti possibili isoenergeticiprivi di istanti di arresto, tutti e soltato quelli naturali per il sistema.Puo essere interessante sottolineare che la possibilita di assegnare a piacere, per un qual-siasi moto test, le variazioni δq(u) senza mai pregiudicare la condizione di conservazione

Stefano Siboni 29

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dell’energia (2.2.4) appare evidente anche considerando l’approssimazione di Taylor dellastessa equazione (2.2.4) al primo ordine in δq(u) e δτ (u):

−2T [q(u), q′(u)]d

duδτ (u) +

∂T

∂q[q(u), q′(u)] · δq(u)+

+∂T

∂q′[q(u), q′(u)] · δq′(u) − ∂U

∂q[q(u)] · δq(u) = 0

dove e sempre possibile esplicitare la derivata dδτ/du(u)

dδτ

du(u) =

12T [q(u), q′(u)]

[∂T

∂q[q(u), q′(u)]·δq(u)+

∂T

∂q′[q(u), q′(u)]·δq′(u)− ∂U

∂q[q(u)]·δq(u)

]

grazie al segno strettamente positivo dell’energia cinetica, assicurato dall’assenza di istantidi arresto.

2.2.7 Determinazione alternativa della condizione di stazionarieta dell’azioneper i moti test

Per i moti test il calcolo della condizione di stazionarieta dell’azione (2.2.5), relativamente amoti variati asincroni di energia e configurazioni estreme uguali a quelle del moto base, puoessere eseguito ricorrendo ad una procedura alternativa che fa uso dei risultati della sezione1.9, riguardante i problemi variazionali con vincoli espressi da equazioni differenziali. Inprimo luogo si riesprime l’azione di Maupertuis (2.2.5) come integrale sul parametro ausil-iario u ∈ [u1, u2]

u2∫u1

2T[q(u), q′(u)

du

dt(u)] dt

du(u)du =

u2∫u1

2T[q(u), q′(u)ω(u)

] 1ω(u)

du =

=

u2∫u1

2T[q(u), q′(u)

]ω(u)2

1ω(u)

du =

u2∫u1

2T[q(u), q′(u)

]ω(u)du (2.2.8)

ponendo formalmente 1/[dt/du(u)] = ω(u) > 0. Introducendo la stessa trasformazioneformale t → u e la stessa funzione ausiliaria ω(u), la condizione di energia costante diventa

E = T[q(u), q′(u)ω(u)

]− U [q(u)] ∀u ∈ [u1, u2]

che, essendo T una forma quadratica in q, equivale a

E = T[q(u), q′(u)

]ω(u)2 − U [q(u)] ∀u ∈ [u1, u2] . (2.2.9)

Si osservi come al moto base sia in realta associata la funzione ω(u) = 1 ∀u ∈ [u1, u2], chedeve pero essere variata per includere i moti variati propriamente asincroni nella ricercadella condizione di stazionarieta dell’azione (2.2.8): per semplicita e opportuno assumereper ω(u) una generica funzione C1 strettamente positiva in [u1, u2]; risultera che la con-dizione di stazionarieta dell’azione non determina in alcun modo la ω(u), per la quale si

Stefano Siboni 30

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potra sempre richiedere a posteriori che sia ω(u) = 1. L’integrale (2.2.8) si puo alloraintendere come funzionale delle funzioni incognite q(u) e ω(u), la prima rappresentativadi un generico moto test e la seconda strettamente positiva nell’intervallo [u1, u2]. Di taleintegrale si deve calcolare la variazione per moti variati q(u) + δq(u) ad estremi fissi —δq(u1) = δq(u2) = 0 — e funzioni variate ω(u) + δω(q), nel rispetto della condizione sup-plementare sull’energia (2.2.9): da notare come quest’ultima e le condizioni al contorno suδq(u) implichino l’annullarsi di δω(u) negli estremi — δω(u1) = δω(u2) = 0.Si deve cosı determinare la condizione di stazionarieta dell’azione

u2∫u1

2T (q, q′)ω du (2.2.10)

rispetto a variazioni arbitrarie a estremi fissi delle funzioni q(u) e ω(u) nell’intervallo asse-gnato [u1, u2], rappresentativa di un moto test la prima e strettamente positiva la seconda,che conservino l’energia

T (q, q′)ω2 − U(q) = E . (2.2.11)

Si osservi che la condizione (2.2.11) deve essere soddisfatta tanto dalle funzioni incogniteq(u), ω(u) quanto dalle corrispondenti funzioni variate q(u) + δq(u), ω(u) + δω(u) e co-stituisce percio un vincolo per il problema variazionale, da rispettare nella ricerca dellacondizione di stazionarieta del funzionale (2.2.10). Va altresı sottolineato che il volerlimitare la ricerca delle possibili soluzioni alle sole funzioni q(u), ω(u) tali che q′(u) = 0e ω(u) > 0 ∀u ∈ [u1, u2] di per se non rappresenta un vincolo ulteriore per il calcolo deipunti stazionari del funzionale (2.2.10) gia soggetto al vincolo (2.2.11): le stesse condizionisono infatti verificate anche dalle funzioni variate q(u) + δq(u), ω(u) + δω(u), qualora levariazioni δq(u) e δω(u) siano sufficientemente “piccole” nel senso usuale, e questo bastaad applicare l’analisi variazionale standard — che e puramente locale.Va rilevato che il vincolo (2.2.11) ha la regolarita prescritta per poter applicare il metodo deimoltiplicatori di Lagrange. Il vincolo e infatti specificato da una funzione di classe C2, e siverifica facilmente che la matrice delle derivate parziali della funzione vincolare rispetto allevariabili q′ ha sempre rango massimo — 1 — per tutti i valori di (q, q′, ω) ∈ A×R

n\0×R+

che rispettano il vincolo, vale a dire che il vettore di componenti

∂q′i[T (q, q′)ω2 − U(q) − E] =

∂T

∂q′i(q, q′) i = 1, . . . , n

e sempre diverso da zero negli stessi (q, q′, ω), in modo che il requisito (1.27) risulta sod-disfatto. Se cosı non fosse, dovrebbe aversi

0 =n∑

i=1

0 q′i =n∑

i=1

∂T

∂q′i(q, q′) q′i = 2T (q, q′)

per via del teorema di Eulero applicato alla funzione T (q, q′), omogenea di ordine 2 in q′.La contraddizione e evidente, in quanto lungo i moti test qui considerati risulta in realtaq′ = 0 e dunque T (q, q′) > 0.

Stefano Siboni 31

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Conformemente ai risultati illustrati nella sezione 1.9 si deve dunque applicare il metodo deimoltiplicatori di Lagrange e calcolare le equazioni di Eulero-Lagrange per la lagrangianaefficace

F(q, q′, ω) = 2T (q, q′)ω − λ[T (q, q′)ω2 − U(q) − E] (2.2.12)

dove λ = λ(u) e una funzione C1 nell’intervallo [u1, u2] da determinare — moltiplicatore diLagrange associato al vincolo (2.2.11). Di queste equazioni si dovranno considerare le solesoluzioni q(u), ω(u) in [u1, u2] per le quali risulti q′(u) = 0 e ω(u) > 0 ∀u ∈ [u1, u2]. Poichela lagrangiana (2.2.12) non dipende esplicitamente da ω′, l’equazione di Eulero-Lagrangerelativa ad ω si riduce a

∂F

∂ω= 0

ovvero a2T (q, q′) − 2λT (q, q′)ω = 0 .

Si ottiene pertanto(1 − λω)T (q, q′) = 0 (2.2.13)

e siccome per ipotesi i moti base di interesse devono essere privi di istanti di arresto, risultacertamente

q′(u) = 0 ⇐⇒ T [q(u), q′(u)] > 0 ∀u ∈ [u1, u2]

e dunque, dovendosi richiedere altresı ω(u) > 0 ∀u ∈ [u1, u2],

1 − λω = 0 =⇒ λ(u) =1

ω(u)∀u ∈ [u1, u2] . (2.2.14)

Le equazioni di Eulero-Lagrange associate ai parametri lagrangiani qh, per h = 1, . . . , n,diventano invece

d

du

[(2− λω)ω

∂T

∂q′h(q, q′)

]− (2− λω)ω

∂T

∂qh(q, q′)− λ

∂U

∂qh(q) = 0 h = 1, . . . , n (2.2.15)

e con la sostituzione di (2.2.14) si riducono a

d

du

∂T

∂q′h(q, q′)

]− ω

∂T

∂qh(q, q′) − 1

ω

∂U

∂qh(q) = 0 h = 1, . . . , n (2.2.16)

Una moltiplicazione membro a membro per ω porge

ωd

du

∂T

∂q′h(q, q′)

]− ω2 ∂T

∂qh(q, q′) − ∂U

∂qh(q) = 0 , (2.2.17)

espressione nella quale risulta

ω∂T

∂q′h(q, q′) = ω

n∑k=1

ahk(q)q′k =n∑

k=1

ahk(q)dqk

duω =

=n∑

k=1

ahk(q)dqk

du

du

dt=

n∑k=1

ahk(q)qk =∂T

∂qh(q, q)

Stefano Siboni 32

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mentreω2 ∂T

∂qh(q, q′) =

∂T

∂qh(q, q′ω) =

∂T

∂qh(q, q)

per cui (2.2.17) si rilegge comed

dt

[ ∂T

∂qh(q, q)

]− ∂T

∂qh(q, q) − ∂U

∂qh(q) = 0 .

In definitiva, in virtu della identificazione ω(u) = 1/[dt/du(u)] i moti test che rendonostazionaria l’azione di Maupertuis rispetto a moti variati del tipo illustrato sono tutti esoli quelli che soddisfano le equazioni di Lagrange — moti naturali. Lungo tutti i moti na-turali l’energia meccanica e conservata, in modo che il vincolo (2.2.11) risulta automatica-mente soddisfatto. Giova sottolineare che, a stretto rigore, le equazioni di Eulero-Lagrange(2.2.13) e (2.2.16) non individuano univocamente la funzione ausiliaria ω(u), strettamentepositiva sull’intervallo compatto [u1, u2]: questa indeterminazione non modifica la conclu-sione che nella variabile t il moto base test che rende stazionaria l’azione di Maupertuissoddisfa le equazioni di Lagrange e costituisce dunque un moto naturale del sistema. Unafunzione ω(u) diversa dalla costante 1 descrive la stessa traiettoria del moto naturale madiversamente parametrizzata — in u anziche in t — ed e associata ad una variazione as-incrona del moto naturale che non modifica la traiettoria di questo.(1) In questi termini,per h = 1, . . . , n si puo guardare alle (2.2.17), con ω(u) > 0 ricavato dalla conservazionedell’energia (2.2.9)

ω =

√E + U(q)T (q, q′)

,

come alle equazioni che individuano le traiettorie dei moti naturali di energia E privi diistanti di arresto, a prescindere dalla legge oraria con cui tali traiettorie sono effettivamentepercorse.

2.2.8 Calcolo diretto delle traiettorie dei moti naturaliSi e provato che il principio di Maupertuis consente di caratterizzare completamente tutti esoli i moti naturali del sistema che siano privi di istanti di arresto. Nondimeno, il principioviene correntemente utilizzato per scrivere in modo diretto l’equazione delle sole traiettoriedei moti naturali predetti, senza preoccuparsi della legge oraria con cui tali traiettorie sonopercorse. Sotto questo aspetto, il principio di Maupertuis presenta forti analogie con ilcosiddetto principio di Fermat dell’ottica geometrica, che caratterizza i percorsi seguiti dairaggi luminosi in un mezzo con indice di rifrazione dipendente dalla posizione, e che verraesaminato nel seguito. Dopo aver riespresso l’azione di Maupertuis nella forma (2.2.8),cioe su un intervallo [u1, u2] fisso del parametro ausiliario u, anziche ricorrere al metododei moltiplicatori di Lagrange per tenere conto della condizione supplementare (2.2.11)sull’energia si ricava la funzione ω(u) > 0 dalla stessa relazione

ω =

√E + U(q)T (q, q′)

(1)per il moto naturale in senso stretto, cosı come si deve porre t=u e dunque ω(u)=1 ∀ u∈[u1,u2], anche il

moltiplicatore di Lagrange deve ritenersi uguale alla costante 1: λ(u)= 1/ω(1)=1 ∀u∈[u1,u2]

Stefano Siboni 33

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e si sostituisce l’espressione ottenuta nell’integrale dell’azione

S[q(t)] =

u2∫u1

2T (q, q′)

√E + U(q)T (q, q′)

du =√

2

u2∫u1

√2T (q, q′)

√E + U(q) du , (2.2.18)

di cui si impone poi la stazionarieta per variazioni δq(u) arbitrarie, di classe C2 in [u1, u2]e ad estremi fissi. Le equazioni differenziali delle traiettorie q(u) dei moti naturali regolaridi energia E, privi di istanti di arresto, sono allora date dalle equazioni di Eulero-Lagrange

d

du

(∂LE

∂q′h

)− ∂LE

∂qh= 0 , h = 1, . . . , n , (2.2.19)

in termini della lagrangiana efficace

LE(q, q′) =

√2√

2T (q, q′)√

E + U(q)

che, si osservi, dipende esplicitamente dal livello di energia E fissato. La correttezza delleequazioni (2.2.19) e presto verificata. Scritta esplicitamente la lagrangiana efficace

LE(q, q′) =

√2[ n∑

h,k=1

ahk(q) q′hq′k

]1/2

[E + U(q)]1/2

per ogni i = 1, . . . , n si ha infatti

∂LE

∂q′i=

√2

2n∑

k=1

aik(q) q′k

2[ n∑

h,k=1

ahk(q) q′hq′k

]1/2[E + U(q)]1/2 =

√E + U(q)T (q, q′)

n∑k=1

aik(q) q′k

cosicched

du

(∂LE

∂q′i

)=

d

du

[√E + U(q)T (q, q′)

n∑k=1

aik(q) q′k

]

mentre per il secondo termine del binomio di Lagrange risulta

∂LE

∂qi=

√E + U(q)T (q, q′)

12

n∑h,k=1

∂ahk

∂qi(q) q′hq′k +

√T (q, q′)

E + U(q)∂U

∂qi(q) .

La i-esima equazione di Eulero-Lagrange (2.2.19) assume percio la forma esplicita

d

du

[√E + U(q)T (q, q′)

n∑k=1

aik(q) q′k

]−

−√

E + U(q)T (q, q′)

12

n∑h,k=1

∂ahk

∂qi(q) q′hq′k −

√T (q, q′)

E + U(q)∂U

∂qi(q) = 0

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e moltiplicata membro a membro per√

E + U(q)/√

T (q, q′) si riduce a

√E + U(q)T (q, q′)

d

du

[√E + U(q)T (q, q′)

n∑k=1

aik(q) q′k

]− 1

2E + U(q)T (q, q′)

n∑h,k=1

∂ahk

∂qi(q) q′hq′k −

∂U

∂qi(q) = 0

(2.2.20) .Ma vale altresı

E = −U(q) + T (q, q) = −U(q) + T(q, q′

du

dt

)= −U(q) + T (q, q′)

(du

dt

)2

per cuidu

dt=

√E + U(q)T (q, q′)

e le equazioni (2.2.20) diventano

du

dt

d

du

[du

dt

n∑k=1

aik(q) q′k

]= −1

2

n∑h,k=1

∂ahk

∂qi(q) q′hq′k

(du

dt

)2

− ∂U

∂qi(q) = 0

ossiad

dt

[ n∑k=1

aik(q) qk

]− 1

2

n∑h,k=1

∂ahk

∂qi(q) qh qk − ∂U

∂qi(q) = 0

chiaramente identificabili con le equazioni di Lagrange del moto

d

dt

( ∂L

∂qi

)− ∂L

∂qi= 0 , i = 1, . . . , n ,

di lagrangiana L = T (q, q) + U(q):

L(q, q) =12

n∑h,k=1

ahk(q)qh qk + U(q) .

2.3 Principio di Maupertuis generalizzatoIl principio di Maupertuis si puo estendere al caso di sistemi lagrangiani arbitrari la cuilagrangiana non dipenda esplicitamente dal tempo t: per la validita del principio non ecioe essenziale richiedere che la lagrangiana del sistema abbia la struttura classica L =T (q, q) + U(q), con T forma quadratica definita positiva nelle velocita generalizzate q.In questo caso, in luogo della (2.2.5) si introduce la definizione seguente per l’azione diMaupertuis

S[q(t)] =

t2∫t1

n∑h=1

∂L

∂qh[q(t), q(t)] qh(t)dt (2.3.1)

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valida per un qualsiasi moto possibile q(t), regolare in [t1, t2]. I moti naturali del sistemasono ancora identificabili con tutte e sole le soluzioni delle equazioni di Lagrange

d

dt

( ∂L

∂qh

)− ∂L

∂qh= 0 , h = 1, . . . , n ,

di cui un ovvio integrale primo e quello di Jacobi:

J(q, q) =n∑

h=1

∂L

∂qh(q, q) qh − L(q, q) (2.3.2)

che nell’enunciato del principio di Maupertuis prende il posto dell’energia meccanica. Tuttii moti naturali del sistema si accompagnano ad un valore costante dell’integrale di JacobiJ(q, q), ma in generale non e dato affermare il viceversa: esistono moti possibili q(t),t ∈ [t1, t2], che conservano la funzione di Jacobi J(q, q) ma che non risultano naturali per ilsistema. Il principio di Maupertuis generalizzato ha precisamente lo scopo di caratterizzarefra tutti i moti regolari per i quali J e conservata soltanto quelli naturali. Salvo che perla sostituzione di (2.3.1) a (2.2.5) e dell’integrale di Jacobi (2.3.2) all’energia meccanica(2.2.1), l’enunciato del principio generalizzato e la relativa dimostrazione sono sostanzial-mente identici a quelli gia illustrati per il teorema classico.

2.3.1 Requisiti della lagrangianaI requisiti base della lagrangiana sono gli stessi gia discussi nella sezione 2.1.1 per i sistemilagrangiani generali, in modo da assicurare la riducibilita alla forma normale delle equazionidi Lagrange e l’applicabilita del teorema di esistenza e unicita delle soluzioni massimaliper il problema di Cauchy. Requisito piu specifico e quello della indipendenza esplicita daltempo:

L = L(q, q)

che assicura l’esistenza dell’integrale primo di Jacobi (2.3.2). La lagrangiana L sara dunquedi classe C2 nei suoi due argomenti q ∈ A e q ∈ Rn, con A aperto di Rn, e si richiederainoltre che per ogni (q, q) ∈ A × Rn la matrice simmetrica delle derivate parziali seconderispetto alle velocita generalizzate

∂2L

∂qh∂qk(q, q) h, k = 1, . . . , n (2.3.3)

sia non singolare. In molti casi di interesse e soddisfatta la condizione piu restrittiva chela stessa matrice (2.3.3) sia in effetti definita positiva per ogni scelta di (q, q) ∈ A × Rn:

( ∂2L

∂qh∂qk(q, q)

)h,k=1,...,n

definita positiva ∀ (q, q) ∈ A × Rn. (2.3.4)

Stefano Siboni 36

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2.3.2 Moti testNella forma generalizzata del principio di Maupertuis si intende per moto test un qualsiasimoto possibile q(t), di classe C2 in un intervallo di tempo limitato e chiuso [t1, t2], lungoil quale sia conservata la funzione di Jacobi

J [q(t), q(t)] = E , costante , ∀ t ∈ [t1, t2] (2.3.5)

e si mantenga di segno costante(1) ∀ t ∈ [t1, t2] l’espressione

n∑h,k=1

∂2L

∂qh∂qk[q(t), q(t)] qh(t)qk(t) . (2.3.6)

Si osservi che qualora sia soddisfatta l’ipotesi restrittiva (2.3.4) sulla lagrangiana, la con-dizione di segno costante sulla (2.3.6) si riduce a prescrivere l’assenza di istanti di arrestolungo il moto test. Per il moto test sono definite una configurazione iniziale q(t1) = q(1) euna configurazione finale q(t2) = q(2).

2.3.3 Moti variati asincroniSia dato un arbitrario moto test q(t) in [t1, t2], di configurazioni estreme q(t1) = q(1),q(t2) = q(2) e caratterizzato da un valore costante E della funzione di Jacobi (2.3.2). Se nevuole costruire una famiglia sufficientemente ampia di moti variati asincroni, contraddi-stinti dallo stesso valore costante E dell’integrale di Jacobi e dalle medesime configurazioniestreme. Moti cosiffatti hanno la forma generale descritta in (2.2.3):

t = u + δτ (u)

q = q(u) + δq(u), u ∈ [u1, u2]

con le funzioni δτ (u) e δq(u) di classe C2 nell’intervallo fisso [u1, u2] ed ivi “piccole” nelsenso gia specificato alla sezione 2.2. L’aver fissato le configurazioni estreme implica chele variazioni δq(u) debbano soggiacere alle condizioni al contorno

δq(u1) = 0 δq(u2) = 0 .

In termini del parametro ausiliario u, la condizione di conservazione della funzione di Jacobiassume allora la forma

J

[q(u) + δq(u), [q′(u) + δq′(u)]

11 + δτ ′(u)

]= E ∀u ∈ [u1, u2] .

Imporre la condizione di conservazione, al valore invariato E, dell’integrale di Jacobi lungoil moto variato e operazione piu complessa che non nel caso classico. In effetti non sidimostrera che le variazioni δq(u) possano essere assegnate a piacere, purche C2, nulle

(1)ovvero, per continuita, non si annulli

Stefano Siboni 37

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agli estremi e sufficientemente piccole nel senso solito: si provera l’asserto limitatamente avariazioni δq(u) definite su un qualsiasi intervallo chiuso e sufficientemente piccolo, collo-cabile a piacere nell’intervallo [u1, u2] del parametro ausiliario u. Questa caratterizzazioneparziale dei moti variati asincroni che rispettano la conservazione dell’integrale di Jacobie adeguata allo studio delle condizioni di stazionarieta dell’azione, come si illustrera nelseguito.

(i) ω come funzione locale di q e q′ ad E fissato, lungo i moti testE facile verificare che lungo un qualsiasi moto test, q(u), u ∈ [u1, u2], per il quale sia E ilvalore conservato della funzione di Jacobi, l’equazione algebrica

J(q, q′ω) − E = 0

per q′ = 0 consente di ricavare ω come funzione C1 di q e q′. Basta infatti considerare lafunzione ausiliaria

GE(q, q′, ω) = J(q, q′ω) − E

ed osservare che:

GE(q, q′, ω) e di classe C1 nelle variabili q, q′, ω;

per (q, q′, ω) = (q(u), q′(u), 1) la funzione ausiliaria si annulla

GE(q(u), q′(u), 1) = 0

qualunque sia u ∈ [u1, u2] fissato;

la derivata parziale prima di GE(q, q′, ω) rispetto a ω risulta diversa da zero lungo ilmoto test, in quanto

∂GE

∂ω(q, q′, ω) =

n∑h=1

∂J

∂qh(q, q′ω)q′h =

n∑h=1

q′h

[∂

∂qh

n∑k=1

qk∂L

∂qk− ∂L

∂qh

]∣∣∣∣∣q=q′ω

=

=n∑

h=1

q′h

[ n∑k=1

qk∂2L

∂qh∂qk+

∂L

∂qh− ∂L

∂qh

]∣∣∣∣∣q=q′ω

=n∑

h,k=1

∂2L

∂qh∂qkq′hq′k ω

per cui, come affermato,

∂GE

∂ω(q(u), q′(u), 1) =

n∑h,k=1

∂2L

∂qh∂qk[q(u), q′(u)] q′h(u)q′k(u) = 0 ∀u ∈ [u1, u2]

in virtu della condizione su (2.3.6).

Se si fissa un valore u0 ∈ [u1, u2], per il teorema delle funzioni implicite esistono allora trecostanti positive ε, ε′, ε′′, con ε′′ < 1, ed altrettanti intorni sferici:

− B(q(u2), ε) ⊂ A ⊆ Rn del punto q(u0),

Stefano Siboni 38

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− B(q′(u2), ε′) ⊂ Rn di q′(u0),

− B(1, ε′′) ⊂ R di 1,

tali che l’equazione J(q, q′ω) − E = 0 per

q ∈ B(q(u0), ε) , q′ ∈ B(q′(u0), ε′) e ω ∈ B(1, ε′′)

definisce ω come funzione C1 delle variabili q e q′:

ω = Ω(q, q′) ∈ B(1, ε′′) ∀ (q, q′) ∈ B(q(u0), ε) × B(q′(u0), ε′) .

Restringendone eventualmente il raggio, se necessario, i predetti intorni si possono sempreconsiderare chiusi.

(ii) Variazioni δq(u) di supporto sufficientemente piccoloSi omette per brevita questa parte della dimostrazione

(iii) Variazioni δτ (u) sui tempiSi omette per brevita questa parte della dimostrazione

2.3.4 AzionePer un sistema lagrangiano di tipo generale l’azione di Maupertuis del moto base q(t),t ∈ [t1, t2], e definita dall’integrale

S[q(t)] =

t2∫t1

n∑h=1

∂L

∂qh[q(t), q(t)] qh(t)dt =

t2∫t1

∂L

∂q[q(t), q(t)] · q(t)dt (2.3.7)

che generalizza la corrispondente definizione classica (2.2.5). Per la conservazione dellafunzione di Jacobi lungo il moto base, l’espressione precedente equivale a

S[q(t)] =

t2∫t1

(∂L

∂q[q(t), q(t)] · q(t) − L[q(t), q(t)]

)dt +

t2∫t1

L[q(t), q(t)] dt =

= E(t2 − t1) +

t2∫t1

L[q(t), q(t)] dt , (2.3.8)

essendo E il valore costante assunto dall’integrale di Jacobi lungo il moto.

2.3.5 Variazione dell’azioneSi deve determinare la variazione prima dell’azione di Maupertuis (2.3.7) per moti variatiasincroni arbitrari che conservano la funzione di Jacobi al valore E e presentano configura-zioni estreme assegnate q(1) e q(2): la costante E e gli estremi fissi q(1), q(2) sono gli stessidel moto non variato che, come per i sistemi lagrangiani classici, verra denominato moto

Stefano Siboni 39

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base. Per quest’ultimo l’azione di Maupertuis e data dall’integrale (2.3.8). Si dovra alloraprendere in esame il generico moto variato asincrono q(t) parametrizzato da

t = u + δτ (u)

q = u + δq(u)u ∈ [u1, u2]

in termini delle funzioni δq(u) e δτ (u), che si intenderanno C2 sull’intervallo fisso [u1, u2]del parametro ausiliario u, oltre a soddisfare le condizioni al contorno δq(u1) = δq(u2) = 0— che esprimono la fissita delle configurazioni estreme — e il requisito (2.3.5) relativo allaconservazione della funzione di Jacobi. Detto moto sara definito nell’intervallo di tempo[t1, t2], di estremi

t1 = u1 + δτ (u1) t2 = u2 + δτ (u2) .

L’azione per il moto variato si scrive, secondo la relazione (2.3.8),

S[q(t)] = E(t2 − t1) +

t2∫t1

L[q(t), ˙q(t)] dt (2.3.9)

e usando il parametro u come variabile di integrazione diventa

S[q(t)] = E[u2+δτ (u2)−u1−δτ (u1)]+

u2∫u1

L

[q(u),

q′(u) + δq′(u)1 + δτ ′(u)

][1+δτ ′(u)

]du . (2.3.10)

La variazione prima dell’azione lungo il moto base viene calcolata in modo analogo a quantogia visto per la lagrangiana classica, con una approssimazione di Taylor al primo ordinenelle funzioni δq(u), δτ (u) e nelle relative derivate prime. Piu precisamente, si osserva cheal primo ordine in δq(u), δτ (u) e corrispondenti derivate l’integrando in (2.3.10) ammettel’approssimazione di Taylor definita da

L

[q(u) + δq(u), [q′(u) + δq′(u)]

11 + δτ ′(u)

][1 + δτ ′(u)] ∼

∼L[q(u) + δq(u), [q′(u) + δq′(u)][1 − δτ ′(u)]

][1 + δτ ′(u)] ∼

∼L[q(u) + δq(u), q′(u) − q′(u)δτ ′(u) + δq′(u)

][1 + δτ ′(u)] ∼

L[q(u), q′(u)] +∂L

∂q· δq(u) +

∂L

∂q′·[δq′(u) − q′(u)δτ ′(u)

][1 + δτ ′(u)] ∼

∼L[q(u), q′(u)] + L[q(u), q′(u)] δτ ′(u) +∂L

∂q· δq(u) +

∂L

∂q′· δq′(u) − ∂L

∂q′· q′(u) δτ ′(u) =

=L[q(u), q′(u)] −[

∂L

∂q′· q′(u) − L[q(u), q′(u)]

]δτ ′(u) +

∂L

∂q· δq(u) +

∂L

∂q′· δq′(u)

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dove le derivate parziali ∂L/∂q e ∂L/∂q′ si intendono calcolate lungo il moto base q(u):

∂L

∂q′=

∂L

∂q′[q(u), q′(u)]

∂L

∂q=

∂L

∂q[q(u), q′(u)] .

Lungo lo stesso moto vale peraltro, essendo t = u,

∂L

∂q′[q(u), q′(u)] · q′(u) − L[q(u), q′(u)] =

∂L

∂q[q(t), q(t)] · q(t) − L[q(t), q(t)] = E

e la variazione prima dell’integrale di Maupertuis assume percio la forma

δS[q(t)] = E[δτ (u2) − δτ (u1)] +

u2∫u1

[−Eδτ ′(u) +

∂L

∂q· δq(u) +

∂L

∂q′· δq′(u)

]du .

L’integrazione del termine contenente il fattore E nell’integrando semplifica l’espressione

δS[q(t)] =

u2∫u1

[∂L

∂q· δq(u) +

∂L

∂q′· δq′(u)

]du

che una ulteriore integrazione per parti, standard, permette di scrivere nella forma equi-valente

δS[q(t)] =[

∂L

∂q′· δq(u)

]u2

u1

+

u2∫u1

[∂L

∂q− d

du

( ∂L

∂q′

)]· δq(u)du

e grazie alle condizioni al contorno δq(u1) = δq(u2) = 0 si riduce a

δS[q(t)] =

u2∫u1

[∂L

∂q− d

du

( ∂L

∂q′

)]· δq(u)du . (2.3.11)

L’integrale a secondo membro deve essere valutato lungo il moto base, per il quale e t = u:la variabile d’integrazione u puo dunque sostituirsi con il tempo t. Ne deriva che a menodi un cambiamento di segno la somma entro parentesi quadre in (2.3.11) si identifica conil binomio di Lagrange per il sistema di lagrangiana L(q, q), calcolato lungo il moto baseq(t).

2.3.6 Stazionarieta dell’azione come condizione necessaria per i moti naturaliDall’espressione (2.3.11) della variazione dell’azione segue immediatamente che se il motobase q(t) e naturale esso soddisfa le equazioni di Lagrange di lagrangiana L(q, q)

d

dt

(∂L

∂q[q(t), q(t)]

)− ∂L

∂q[q(t), q(t)] = 0 ∀ t ∈ [t1, t2]

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e rende percio stazionaria l’azione di Maupertuis:

δS[q(t)] = 0

per qualsiasi moto variato asincrono con gli stessi estremi e lo stesso valore E dell’integraledi Jacobi. Anche per un sistema lagrangiano generale la stazionarieta dell’azione di Mau-pertuis, rispetto a moti variati del tipo anzidetto, e condizione necessaria affinche il motobase sia naturale.Giova sottolineare che la necessita della condizione sussiste anche per i moti base che nonsiano test, lungo i quali la funzione di Jacobi e costante — come per tutti i moti naturali— ma la funzione (2.3.6) non ha segno definito — ossia presenta almeno uno zero in [t1, t2].Da notare altresı che la stazionarieta dell’azione di Maupertuis non costituisce una con-dizione sufficiente a riconoscere il moto base generico come moto naturale. Il problemanasce dal fatto che per un moto base qualsiasi le variazioni δq(u) nella formula (2.3.11)non possono essere scelte in modo abbastanza generale da concludere che se S[q(t)] risultastazionaria allora il moto base q(t) deve essere naturale.

2.3.7 Stazionarieta dell’azione come condizione sufficiente perche un moto testsia naturale

Qualora quello base sia un moto test si e gia dimostrato che e sempre possibile introdurremoti variati asincroni in modo che le variazioni δq(u) siano funzioni C2 “piccole” e diverseda zero in un intervallo limitato e chiuso di ampiezza sufficientemente ridotta ma colloca-bile a piacere nell’intervallo [u1, u2]. In queste condizioni, la procedura presentata nellasezione 1.4 permette di dimostrare immediatamente — per assurdo — che la stazionarietadell’azione di Maupertuis (2.3.11)

δS[q(t)] =

u2∫u1

[∂L

∂q(q, q′) − d

du

( ∂L

∂q′(q, q′)

)]· δq(u)du = 0

implica l’annullarsi della funzione entro parentesi quadre nell’integrando:

∂L

∂q(q, q′) − d

du

( ∂L

∂q′(q, q′)

)= 0 ∀u ∈ [u1, u2]

in modo che il moto base — lungo il quale u = t, q(u) = q(t) e q′(u) = q(t) — risultanaturale per il sistema

∂L

∂q(q, q) − d

dt

(∂L

∂q(q, q)

)= 0 ∀ t ∈ [t1, t2] .

Si e cosı dimostrato il principio di Maupertuis generalizzato, che puo enunciarsi nei terminiseguenti:

In un sistema lagrangiano generale di lagrangiana L(q, q), C2 e indipendente dal tempo,per ogni moto possibile q(t), di classe C2 in [t1, t2], con configurazione iniziale q(t1) = q(1)

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e configurazione finale q(t2) = q(2), lungo il quale la funzione di Jacobi sia conservata alvalore E e la funzione ausiliaria

n∑h,k=1

∂2L

∂qh∂qk(q, q)qh qk

mantenga segno costante, le seguenti proposizioni sono equivalenti:

(a) q(t) descrive un moto naturale del sistema con configurazione iniziale q(1) e configu-razione finale q(2), in quanto soluzione delle equazioni di Lagrange con le condizionial contorno q(t1) = q(1), q(t2) = q(2);

(b) la funzione q(t) rende stazionaria l’azione di Maupertuis (2.3.2) rispetto a moti variatiasincroni di classe C2, con lo stesso valore conservato E della funzione di Jacobi e lestesse configurazioni estreme q(1), q(2).

Come gia la sua versione classica, il principio di Maupertuis generalizzato afferma l’equiva-lenza del problema a valori al contorno (a) e del problema variazionale (b), senza tuttaviaassicurare l’esistenza o tantomeno l’unicita della corrispondente soluzione. In definitiva, ilprincipio consente di caratterizzare, fra tutti i moti possibili che conservino la funzione diJacobi e lungo i quali la funzione ausiliaria (2.3.6) si mantenga non nulla, tutti e soltantoquelli naturali per il sistema.

2.3.8 Determinazione alternativa della condizione di stazionarieta dell’azioneper i moti test

Il calcolo della condizione di stazionarieta dell’azione (2.3.7) sui moti test, relativamente amoti variati asincroni con estremi e valore della funzione di Jacobi rispettivamente ugualia quelli del moto base, puo essere condotto con un metodo alternativo basato sui risultatidella sezione 1.9, in modo analogo a quanto gia visto per le lagrangiane classiche. L’azionedi Maupertuis viene scritta come integrale nel parametro ausiliario u, sull’intervallo fisso[u1, u2], ponendo ω(u) = 1/[dt/du(u)]:

S[q(t)] =

t2∫t1

n∑h=1

∂L

∂qh[q(t), q(t)] qh(t)dt =

=

u2∫u1

n∑h=1

∂L

∂qh[q(u), q′(u)ω(u)] q′h(u)ω(u)

1ω(u)

du =

=

u2∫u1

n∑h=1

∂L

∂qh[q(u), q′(u)ω(u)] q′h(u)du

(2.3.12)

e la condizione addizionale circa la conservazione della funzione di Jacobi assume la forma

J [q(u), q′(u)ω(u)] = E ∀u ∈ [u1, u2] , (2.3.13)

Stefano Siboni 43

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dove

J(q, q′ω) =n∑

h=1

∂L

∂qh(q, q′ω) q′h ω − L(q, q′ω) .

Il moto base q(u) puo essere un qualsiasi moto test, mentre sarebbe ω(u) = 1 identicamentelungo il moto base. Tuttavia, siccome anche ω(u) deve essere variata per assicurare ilrispetto del vincolo (2.3.13) — e descrivendo cosı moti variati propriamente asincroni —conviene rendere meno rigida la scelta di ω(u) e assumere per questa una qualsiasi funzioneC1 strettamente positiva in [u1, u2]. Si vedra che la condizione di stazionarieta dell’azionenon determina in alcun modo la funzione ω(u), per la quale si potra sempre richiedere aposteriori che sia ω(u) = 1.La stazionarieta dell’azione di Maupertuis (2.3.12) deve essere analizzata per variazioniarbitrarie δq(u), δω(u), con δq(u1) = δq(u2) = 0, che conservano la funzione di Jacobi alvalore costante E:

J(q(u) + δq(u), [q′(u) + δq′(u)][ω(u) + δω(u)]

)= E ∀u ∈ [u1, u2] ;

la conservazione di J e l’essere δq(u1) = δq(u2) = 0 autorizzano a richiedere che si abbiaaltresı δω(u1) = δω(u2) = 0. Si e cosı condotti a studiare la condizione di stazionarietarispetto alle funzioni incognite q(u) e ω(u), definite sull’intervallo fisso [u1, u2], di un fun-zionale (2.3.12) soggetto ad un vincolo descritto da una equazione differenziale (2.3.13),per variazioni δq(u), δω(u) nulle agli estremi. L’ulteriore richiesta che ω(u) sia positivae che q(u) renda di segno definito l’espressione (2.3.6) ∀u ∈ [u1, u2] risulta certamentesoddisfatta anche dalle funzioni variate ω(u)+ δω(u) e q(u)+ δq(u) se le variazioni δω(u) eδq(u) sono abbastanza piccole, nel senso consueto: e cosı possibile applicare i metodi stan-dard, illustrati alla sezione 1.9, per calcolare gli estremi locali di un funzionale soggetto aun vincolo rappresentato da una equazione differenziale, salvo poi selezionare tutte e e solele soluzioni conformi ai requisiti addizionali sul segno di ω(u) e di (2.3.6). E necessariorichiedere che la funzione di Jacobi sia di classe C2 nei suoi argomenti e per questo bastaassumere una lagrangiana di classe C3. La condizione (1.27) risulta invece sempre soddis-fatta per i moti test: essa richiede infatti che la matrice delle derivate prime di J(q, q′ω)−Erispetto alle q′ abbia rango massimo per ogni (q, q′, ω) che soddisfa il vincolo, ovvero cheil vettore di componenti

∂q′k[J(q, q′ω) − E] = ω

n∑h=1

[∂2L

∂qk∂qh(q, q′ω)ω q′h +

∂L

∂qh(q, q′ω) δhk

]− ∂L

∂qk(q, q′ω)ω =

= ω2n∑

h=1

∂2L

∂qk∂qh(q, q′ω) q′h k = 1, . . . , n (2.3.14)

risulti sempre diverso da zero per gli stessi valori di (q, q′, ω). Qualora cosı non fosse, inun qualche punto (q, q′, ω) compatibile con il vincolo dovrebbe aversi

∂J

∂q′k(q, q′ω) = 0 ∀ k = 1, . . . , n

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e quindin∑

k=1

∂J

∂q′k(q, q′ω) q′k =

n∑k=1

0 q′k = 0 ,

circostanza che non puo ricorrere in quanto per la (2.3.14)

n∑k=1

∂J

∂q′k(q, q′ω) q′k = ω2

n∑h=1

∂2L

∂qk∂qh(q, q′ω) q′h q′k =

n∑h=1

∂2L

∂qk∂qh(q, q′ω) qh qk

e l’espressione finale, coincidendo con la (2.3.6), e sempre diversa da zero lungo i moti test.Il problema viene percio risolto con il metodo dei moltiplicatori di Lagrange, calcolando len + 1 equazioni di Eulero-Lagrange associate alla lagrangiana efficace

F(q, q′, ω) =n∑

h=1

∂L

∂qh(q, q′ω) q′h − λ

[ n∑h=1

∂L

∂qh(q, q′ω) q′h ω − L(q, q′ω)

],

dove q = q(u) e ω = ω(u) sono le funzioni incognite, mentre λ = λ(u) indica il solomoltiplicatore di Lagrange del problema, corrispondente all’unico vincolo (2.3.13). SiccomeF non dipende esplicitamente da ω′, si ha

∂F

∂ω(q, q′, ω) = 0

ossia

n∑h,k=1

∂2L

∂qh∂qk(q, q′ω) q′hq′k−

−λ

[ n∑h,k=1

∂2L

∂qh∂qk(q, q′ω) q′hq′k ω +

n∑h=1

∂L

∂qh(q, q′ω) q′h −

n∑h=1

∂L

∂qh(q, q′ω) q′h

]= 0

e quindi

(1 − λω)n∑

h,k=1

∂2L

∂qh∂qk(q, q′ω) q′hq′k = 0 ∀u ∈ [u1, u2] . (2.3.15)

Ma i moti base q(t) considerati sono per ipotesi moti test, lungo i quali l’espressione

n∑h,k=1

∂2L

∂qh∂qk(q, q) qh qk = ω2

n∑h,k=1

∂2L

∂qh∂qk(q, q′ω) q′hq′k

si mantiene sistematicamente diversa da zero ∀u ∈ [u1, u2], in conformita alla (2.3.6), conω > 0. Di conseguenza, l’equazione (2.3.15) si riduce a

1 − λω = 0 ⇐⇒ λ(u) =1

ω(u)∀u ∈ [u1, u2] . (2.3.16)

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Le equazioni di Eulero-Lagrange relative alle qi(u) diventano invece, ∀ i = 1, . . . , n,

d

du

[∂F

∂q′i(q, q′, ω)

]− ∂F

∂qi(q, q′, ω) = 0

dove in forza della (2.3.16) vale

∂F

∂q′i(q, q′, ω) =

∂L

∂qi(q, q′ω) +

n∑h=1

∂2L

∂qi∂qh(q, q′ω)ω q′h−

− λ

[∂L

∂qi(q, q′ω)ω +

n∑h=1

∂2L

∂qi∂qh(q, q′ω) q′hω2 − ∂L

∂qi(q, q′ω)ω

]=

=∂L

∂qi(q, q′ω) + ω(1 − λω)

n∑h=1

∂2L

∂qi∂qh(q, q′ω) q′h =

∂L

∂qi(q, q′ω)

e pertantod

du

[∂F

∂q′i(q, q′, ω)

]=

d

du

[∂L

∂qi(q, q′ω)

],

mentre

∂F

∂qi(q, q′, ω) =

n∑h=1

∂2L

∂qi∂qh(q, q′ω) q′h − λ

[ n∑h=1

∂2L

∂qi∂qh(q, q′ω) q′h ω − ∂L

∂qi(q, q′ω)

]=

= (1 − λω)n∑

h=1

∂2L

∂qi∂qh(q, q′ω) q′h + λ

∂L

∂qi(q, q′ω) = λ

∂L

∂qi(q, q′ω) =

∂L

∂qi(q, q′ω)

per cuid

du

[∂L

∂qi(q, q′ω)

]− 1

ω

∂L

∂qi(q, q′ω) = 0 , i = 1, . . . , n . (2.3.17)

Come preannunciato, ω(u) non e determinata univocamente dalla stazionarieta dell’azionedi Maupertuis e si puo identificare con una arbitraria funzione C1 strettamente positivanell’intervallo [u1, u2], da interpretare come il reciproco della derivata dt/du(u)

ω(u) =1

dt/du(u)∀u ∈ [u1, u2]

di un generico moto variato asincrono che non modifica la traiettoria q(u), u ∈ [u1, u2] delmoto — una trasformazione cioe del tipo t = u+δτ (u), q = q(u), ∀u ∈ [u1, u2]. E evidenteche nella variabile indipendente t le equazioni (2.3.17) diventano quelle di Lagrange, unavolta moltiplicate membro a membro per ω(u),

d

dt

[∂L

∂qi(q, q)

]− ∂L

∂qi(q, q) = 0 , i = 1, . . . , n

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per cui si conclude che il moto base test e naturale, come gia per altra via stabilito. Lungoquesto moto naturale — come lungo qualsiasi altro — la funzione di Jacobi si conserva edi conseguenza il vincolo (2.3.13) e automaticamente rispettato. Al pari di ω(u), anche ilmoltiplicatore di Lagrange λ(u) = 1/ω(u) rimane indeterminato, sebbene per ricavare ilmoto naturale con la corretta legge oraria sia necessario identificare u con t ed assumeredi conseguenza ω(u) = λ(u) = 1 ∀u ∈ [u1, u2]. Ogni scelta di ω(u) positiva e C1, madiversa da ω(u) = 1 ∀u ∈ [u1, u2], individua la stessa traiettoria q(u), u ∈ [u1, u2] delmoto naturale, ma con una diversa legge oraria. In questo senso si possono riguardare le(2.3.17) come le equazioni che caratterizzano le traiettorie dei moti naturali lungo i qualil’espressione (2.3.6) presenta segno costante, prescindendo dalla legge oraria con cui talitraiettorie sono effettivamente percorse.

2.3.9 Calcolo diretto delle traiettorie dei moti naturaliIl principio di Maupertuis generalizzato puo essere usato per scrivere le equazioni differen-ziali delle traiettorie dei moti naturali lungo i quali l’espressione (2.3.6) conserva segnocostante. Come gia per la lagrangiana classica, l’idea e quella di riesprimere l’azione diMaupertuis come integrale sull’intervallo fisso [u1, u2] del parametro ausiliario, secondo laformula (2.3.12):

S[q(t)] =

u2∫u1

n∑h=1

∂L

∂qh[q(u), q′(u)ω(u)] q′h(u)du (2.3.18)

per poi andare ad esprimere la funzione ausiliaria ω(u) in termini di q(u), q′(u) ed E,facendo uso della conservazione della funzione di Jacobi:

J(q, q′ω) =n∑

k=1

∂L

∂qk(q, q′ω) q′kω − L(q, q′ω) = E ∀u ∈ [u1, u2] (2.3.19)

— moto base e moti variati devono infatti conservare la funzione di Jacobi, e ad un comunevalore E. Che l’equazione (2.3.19) consenta di ricavare ω > 0 come funzione di E, q, q′ sistabilisce molto facilmente calcolando la derivata parziale:

∂J

∂ω(q, q′ω) =

n∑h=1

∂J

∂qh(q, q′ω) q′h =

=n∑

h=1

q′h

[∂L

∂qh(q, q′ω) +

n∑k=1

∂2L

∂qh∂qk(q, q′ω)q′kω − ∂L

∂qh(q, q′ω)

]=

= ωn∑

h,k=1

q′hq′k∂2L

∂qh∂qk(q, q′ω) =

n∑h,k=1

qhqk∂2L

∂qh∂qk(q, q) .

Si nota immediatamente che limitandosi a considerare regioni dello spazio delle fasi (q, q) ∈A × Rn nelle quali l’espressione

n∑h,k=1

∂2L

∂qh∂qk(q, q) qh qk

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abbia segno definito, la derivata ∂J/∂ω si mantiene a sua volta di segno costante, in modoche per ogni (q, q′) assegnati come sopra, E risulta una funzione strettamente monotonadi ω: esistera percio la funzione C1

ω = ω(q, q′, E) , (2.3.20)

nella quale (q, q′) vanno scelti nel modo sopra precisato e l’intervallo di definizione di Edipende in generale da q e q′. Non rimane che sostituire la funzione (2.3.20) nell’integrale(2.3.18) per eliminare ω ed ottenere l’espressione dell’azione di Maupertuis:

S[q(t)] =

u2∫u1

n∑h=1

∂L

∂qh(q, q′ω) q′h

∣∣∣∣ω=ω(q,q′,E)

du

operazione certamente lecita in quanto il moto base q(t) mantiene costante, per ipotesi, ilsegno della funzione (2.3.6) — si tratta cioe di un moto test. In tal modo viene rimossala funzione ausiliaria ω e si evita il ricorso al metodo dei moltiplicatori di Lagrange pertenere conto del vincolo di consevazione della funzione di Jacobi, vincolo che viene impostodirettamente per ricavare ω in funzione di q e q′: l’azione di Maupertuis, cosı riespressa,dipende unicamente dalle funzioni incognite q(u), che descrivono la traiettoria del moto.Il presso pagato, naturalmente, e l’introduzione esplicita della costante E nell’integraledell’azione. Le traiettorie dei moti test naturali sono dunque tutte e sole le soluzioni delleequazioni di Eulero-Lagrange

d

du

(∂LE

∂q′i

)− ∂LE

∂qi= 0 i = 1, . . . , n (2.3.21)

nelle quali figura la lagrangiana efficace

LE(q, q′) =

n∑h=1

∂L

∂qh

[q, q′ω(q, q′, E)

]q′h . (2.3.22)

Non e particolarmente impegnativo verificare la correttezza delle equazioni (2.3.21). A talescopo conviene osservare in via preliminare che, identicamente in q, q′, deve aversi

n∑k=1

∂L

∂qk(q, q′ω)q′k ω − L(q, q′ω)

∣∣∣∣ω=ω(q,q′,E)

= E

ossia, ricordando la definizione (2.3.22),

LEω − L(q, q′ω)

∣∣∣∣ω=ω(q,q′ ,E)

= E . (2.3.23)

Indicata per brevita con ω la funzione ω(q, q′, E), una derivazione parziale dell’identita(2.3.23) rispetto a q′i, i = 1, . . . , n porge l’equazione

∂LE

∂q′iω + L

E ∂ω

∂q′i−

n∑k=1

∂L

∂qk(q, q′ω)

(δik ω + q′k

∂ω

∂q′i

)= 0

Stefano Siboni 48

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che contraendo il delta di Kronecker si riduce a

∂LE

∂q′iω + L

E ∂ω

∂q′i− ∂L

∂qi(q, q′ω)ω −

n∑k=1

∂L

∂qk(q, q′ω)q′k

∂ω

∂q′i= 0

e con la raccolta del fattore comune ∂ω/∂q′i diventa

∂LE

∂q′iω − ∂L

∂qi(q, q′ω)ω +

[LE −

n∑k=1

∂L

∂qk(q, q′ω)q′k

]∂ω

∂q′i= 0 .

Facendo uso della definizione (2.3.22), che permette di rimuovere la parentesi quadrata, edella positivita di ω, che puo essere raccolto e semplificato, si perviene infine alla semplicerelazione

∂LE

∂q′i(q, q′) =

∂L

∂qi(q, q′ω) ∀ i = 1, . . . , n .

In modo analogo, derivando la stessa (2.3.23) rispetto ai parametri lagrangiani qi, si ottienel’equazione

∂LE

∂qiω + L

E ∂ω

∂qi− ∂L

∂qi(q, q′ω) −

n∑h=1

∂L

∂qh(q, q′ω)q′h

∂ω

∂qi= 0

che un ovvio raccoglimento a fattore comune

∂LE

∂qiω − ∂L

∂qi(q, q′ω) +

[LE −

n∑h=1

∂L

∂qh(q, q′ω)q′h

]∂ω

∂qi= 0

e la definizione (2.3.22) consentono di riesprimere come

∂LE

∂qi(q, q′) =

∂L

∂qi(q, q′ω) ∀ i = 1, . . . , n .

Le equazioni di Eulero-Lagrange (2.3.21) assumono percio la forma

d

du

[∂L

∂qi(q, q′ω)

]− 1

ω

∂L

∂qi(q, q′ω) = 0 ∀ i = 1, . . . , n (2.3.24)

e ricordando che ω(u) = 1/[dt/du(u)] si riducono alle equazioni di Lagrange del moto

d

dt

( ∂L

∂qi(q, q)

)− ∂L

∂qi= 0 ∀ i = 1, . . . , n

La funzione q(u) che rende stazionaria l’azione di Maupertuis descrive pertanto la trai-ettoria di un moto test naturale del sistema. L’equazione della traiettoria puo esserericavata risolvendo il sistema di equazioni differenziali (2.3.24), che costituiscono dunquele equazioni differenziali delle orbite per i moti test naturali del sistema.

Stefano Siboni 49

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2.4 Moto di una carica elettrica in un campo elettromagnetico staticoUna applicazione notevole del principio di Maupertuis — nella forma generalizzata —riguada il punto materiale elettricamente carico in moto in un campo elettromagneticoindipendente dal tempo rispetto ad un riferimento inerziale Ox1x2x3. Indicato con x ilvettore posizione del punto materiale, i campi statici E(x) e B(x) si potranno rappresentaremediante un potenziale scalare φ(x) ed un potenziale vettore A(x) opportuni:

E(x) = ∇φ(x) B(x) = ∇∧ A(x) ∀ x ∈ R3,

entrambi indipendenti dal tempo.

Lagrangiana del sistemaPer una particella di massa m e carica q la lagrangiana relativistica si scrive

L(x, x) = −mc2

√1 − |x|2

c2− qφ(x) + q x · A(x) , (2.4.1)

dove c indica la velocita della luce nel vuoto e x = x1e1+x2e2+x3e3 e la velocita istantaneadel punto. Poiche nel caso di campi stazionari la lagrangiana non dipende esplicitamentedal tempo il sistema ammette l’integrale di Jacobi come costante del moto, necessariapremessa all’applicazione del principio di Maupertuis. Si osservi tuttavia che la (2.4.1) nonha la struttura di una lagrangiana classica, somma di un potenziale U , funzione dei soliparametri lagrangiani, e di una energia cinetica T , forma quadratica definita positiva dellevelocita generalizzate: non e percio possibile ricorrere alla forma classica dell’enunciato diMaupertuis.

Momenti coniugati e integrale di JacobiIl momento coniugato alla coordinata xi, per i = 1, 2, 3, e dato da

∂L

∂xi= m

(1 − |x|2

c2

)−1/2

xi + q Ai(x)

e di conseguenza l’integrale di Jacobi vale

J(x, x) =3∑

i=1

xi∂L

∂xi− L =

=(1 − |x|2

c2

)−1/2

x2i + q A(x) · x + mc2

(1 − |x|2

c2

)1/2

+ qφ(x) − q A(x) · x =

= mc2(1 − |x|2

c2

)−1/2

+ qφ(x)

che si identifica con l’energia meccanica totale. Introducendo la trasformazione t → usulla scala dei tempi e ponendo come prima du/dt[t(u)] = ω(u) > 0 e dx/du(u) = x ′(u),l’integrale di Jacobi diventa allora

J(x, x ′ω) = mc2(1 − |x ′|2

c2ω2)−1/2

+ qφ(x)

Stefano Siboni 50

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e uguagliato ad un valore costante E porge un’equazione che deve essere risolta in ω.

Determinazione di ω in funzione di EPer un fissato valore E dell’integrale di Jacobi deve essere possibile determinare univoca-mente il corrispondente valore del parametro ω > 0, risolvendo l’equazione

mc2(1 − |x ′|2

c2ω2)−1/2

+ qφ(x) = E . (2.4.2)

Si verifica facilmente che e soddisfatta la condizione forte (2.3.4) di riducibilita delle equa-zioni di Lagrange alla forma normale, dal momento che la matrice delle derivate parzialiseconde

∂2L

∂xj∂xi= m

(1 − |x|2

c2

)−3/2[(

1 − |x|2c2

)δij +

xixj

c2

]

risulta reale simmetrica e definita positiva. Essendo di necessita |x| < c, per ogni vettorev =∈ R

3, di componenti cartesiane v1, v2, v3, vale infatti

∂2L

∂xi∂xjvivj = m

(1 − |x|2

c2

)−3/2[vivi

(1 − |x|2

c2

)+ vivj

xixj

c2

]=

= m(1 − |x|2

c2

)−3/2[|v|2

(1 − |x|2

c2

)+(v · x

c

)2]≥ 0 ∀v ∈ R

3

ed inoltre∂2L

∂xi∂xjvivj = 0 ⇐⇒ |v| = 0 .

In ogni caso, la soluzione richiesta esiste globalmente ogni qual volta risulti x ′ = 0 —ovvero E − qφ(x) > 0 — e puo essere ricavata in modo esplicito. Dall’equazione (2.4.2) siottiene infatti

1 − |x ′|2c2

ω2 =[

mc2

E − qφ(x)

]2(2.4.3)

e quindi, escludendo l’eventualita di avere x ′ = 0 e ricordando che ci si limita a considerarevalori di ω strettamente positivi,

ω =c

|x ′|

√1 −

[mc2

E − qφ(x)

]2. (2.4.4)

Azione di Maupertuis e lagrangiana efficaceL’azione di Maupertuis del sistema per un generico moto x(t), t ∈ [t1, t2], e data dall’e-spressione

S[x(t)] =

t2∫t1

3∑i=1

xi∂L

∂xidt =

t2∫t1

[m(1 − |x|2

c2

)−1/2

|x|2 + q A(x) · x]dt

Stefano Siboni 51

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che con la ridefinizione della scala dei tempi t → u si riduce all’integrale sull’intervallo fisso[u1, u2]:

S[x(t)] =

u2∫u1

[m(1 − |x ′|2

c2ω2)−1/2

|x ′|2ω + q A(x) · x ′]du

e con la sostituzione di (2.4.4) diventa

S[x(t)] =

u2∫u1

[[E − qφ(x)]

|x ′|2c2

c

|x ′|

√1 −

[mc2

E − qφ(x)

]2+ q A(x) · x ′

]du =

=

u2∫u1

[|x ′|c

√[E − qφ(x)]2 − m2c4 + q A(x) · x ′

]du =

u2∫u1

LE(x, x ′)du ,

in termini della lagrangiana efficace

LE(x, x ′) :=

|x ′|c

√[E − qφ(x)]2 − m2c4 + q A(x) · x ′ .

Equazioni delle traiettorieLe equazioni di Eulero-Lagrange che specificano le traiettorie dei moti naturali privi diistanti di arresto sono percio

d

du

(∂LE

∂x′i

)− ∂LE

∂xi= 0 i = 1, 2, 3

ed avendosi:∂LE

∂x′i

=1c

x′i

|x ′|√

[E − qφ(x)]2 −m2c4 + qAi(x)

∂LE

∂xi= −|x ′|

c

E − qφ(x)√[E − qφ(x)]2 − m2c4

q∂φ

∂xi(x) + q

∂ A

∂xi(x) · x ′

si scrivono esplicitamente come

d

du

[1c

x′i

|x ′|√

[E − qφ(x)]2 − m2c4 + qAi(x)]+ (2.4.5)

+|x ′|c

E − qφ(x)√[E − qφ(x)]2 − m2c4

q∂φ

∂xi(x) − q

∂ A

∂xi(x) · x ′ = 0 , i = 1, 2, 3 ,

con x′i = dxi/du. Va ricordato che

− ∂φ

∂xi(x) = Ei(x) i = 1, 2, 3 ,

Stefano Siboni 52

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mentre, convenendo la somma sugli indici ripetuti e usando note proprieta del delta diKnorecker e del permutatore di Ricci εijk,

−dAi

du(x) +

∂ A

∂xi(x) · x ′ = − ∂Ai

∂xjx′

j +∂Aj

∂xix′

j =(∂Aj

∂xi− ∂Ai

∂xj

)x′

j =

= (δjhδik − δihδjk)∂Ah

∂xkx′

j = εjirεhkr∂Ah

∂xkx′

j = εijrx′jεrkh

∂Ah

∂xk=

= εijrx′jBr(x) = ei · x ′ ∧ B(x) ,

in modo che le equazioni (2.4.5) si leggono anche

d

du

[1c

x′i

|x ′|√

[E − qφ(x)]2 − m2c4

]=

=|x ′|c

E − qφ(x)√[E − qφ(x)]2 −m2c4

qei · E(x) + qei · x ′ ∧ B(x) , i = 1, 2, 3 ,

ovvero, in notazione vettoriale,

d

du

[1c

x ′

|x ′|√

[E − qφ(x)]2 − m2c4

]= (2.4.6)

=|x ′|c

E − qφ(x)√[E − qφ(x)]2 −m2c4

q E(x) + qx ′ ∧ B(x) .

Verifica dell’equazione delle orbiteE facile verificare che l’equazione (2.4.6) descrive effettivamente le orbite di tutti i motinaturali senza istanti di arresto. Dalla (2.4.3) si deduce infatti che lungo un qualsiasi motonaturale valgono le relazioni:

E − qφ(x) =mc2√

1 − |x|2c2

√[E − qφ(x)]2 −m2c4

E − qφ(x)=

|x|c

per cui √[E − qφ(x)]2 − m2c4 =

mc|x|√1 − |x|2

c2

e una sostituzione nella (2.4.3), tenuto conto che x = 0, porge

d

du

[x ′

|x ′|m|x|√1 − |x|2

c2

]=

|x ′||x|

q E(x) + qx ′ ∧ B(x) . (2.4.7)

Stefano Siboni 53

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Basta allora osservare che

x ′

|x ′| |x| = x|x ′||x|

=dt

dux ′ = x

dt

du

e moltiplicare membro a membro la (2.4.7) per du/dt per ricavare l’equazione differenziale

d

dt

[mx√

1 − |x|2c2

]= q E(x) + qx ∧ B(x)

che coincide con la corretta equazione relativistica del moto della particella carica.

2.4.1 Caso della particella carica in un campo magnetico costantePer un punto materiale soggetto ad un campo di induzione magnetica costante B i poten-ziali scalare e vettore del campo elettromagnetico assumono la forma

φ(x) = 0 A(x) =12

B ∧ x .

Per semplificare la discussione, ma senza alcuna perdita di generalita, si puo ritenere che ilcampo di induzione sia diretto secondo l’asse Oz della terna di riferimento assoluta Oxyz,cosicche B = B e3 e il potenziale vettore si riduce a

A(x) =B

2(−y e1 + x e2) .

Posto per brevita√

E2 − m2c4 = α le equazioni delle orbite per i moti privi di punti diarresto si scrivono

d

du

( x′

|x ′|α − B

2y)− B

2y′ = 0

d

du

( y′

|x ′|α +B

2x)

+B

2x′ = 0

d

du

( z′

|x ′|α)

= 0

ossia

αd

du

( x′

|x ′|)− By′ = 0

αd

du

( y′

|x ′|)

+ Bx′ = 0

αd

du

( z′

|x ′|)

= 0

(2.4.8)

Stefano Siboni 54

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dove si e indicata con l’apice la derivata rispetto al parametro u. Si osservi che

x2

c2= 1 − m2c4

E2=

E2 − m2c4

E2=

α2

E2

per cui valgono le seguenti equivalenze:

α = 0 ⇐⇒ x = 0

α > 0 ⇐⇒ x = 0

essendo in ogni caso

|x| =c α

E= costante positiva .

E importante discutere separatamente i casi α = 0 e α > 0.

Traiettorie per α = 0Il sistema (2.4.8) si riduce a

−By′ = 0 Bx′ = 0

da cui segue chex = costante y = costante

mentre la coordinata z appare completamente indeterminata: la relativa traiettoria, ingenerale, consisterebbe in un segmento parallelo al campo di induzione magnetica Be3.In realta, come ben noto, la condizione α = |x| = 0 individua moti con velocita inizialenulla che per una particella soggetta esclusivamente ad un campo di induzione magneticain un riferimento inerziale corrispondono a stati di quiete. La traiettoria corretta sarebbedunque del tipo (x, y, z) = costante, costituita da un unico punto, senza coordinata z libera:nella fattispecie il principio di Maupertuis non individua correttamente le traiettorie delmoto. Cio ribadisce la necessita di escludere, nell’enunciato del principio, i moti di energiacostante lungo i quali siano presenti istanti di arresto — e dunque, in particolare, gli statidi quiete.

Traiettorie per α > 0In questo caso le equazioni delle traiettorie diventano invece

d

du

x′

|x ′| − By)

= 0

d

du

y′

|x ′| + Bx)

= 0

d

du

z′

|x ′| = 0

(2.4.9)

Stefano Siboni 55

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e porge, per β, γ ed n3 costanti opportune,

αx′

|x ′| − By = β

αy′

|x ′| + Bx = γ

z′

|x ′| = n3 , costante ,

dove n3 ∈ [−1, 1] rappresenta la componente lungo e3 del versore tangente alla traiettoria.Con una immediata manipolazione algebrica si perviene cosı al sistema di equazioni

x′

|x ′| =β + By

αy′

|x ′| =γ − Bx

αz′

|x ′| = n3 .

E opportuno scegliere come parametro l’ascissa curvilinea s della traiettoria, in modo che|x ′| = 1 e il sistema precedente assume la forma piu semplice

dx

ds=

β

α+

B

αy

dy

ds=

γ

α− B

αx

dz

ds= n3

(2.4.10)

con α > 0, β, γ, n3 ∈ [−1, 1] e B costanti. Il sistema lineare non omogeneo (2.4.10) si puorisolvere convenientemente in rappresentazione complessa, sommando alla prima equazionela seconda moltiplicata membro a membro per l’unita immaginaria:

d

ds(x + iy) =

β + iγ

α+

B

αy − i

B

αx =

β + iγ

α− i

B

α(x + iy)

in modo che l’equazione complessa ottenuta porge la soluzione generale

x + iy =β + iγ

iB+ K eiϕe−i B

α s =γ

B− i

β

B+ K cos

(ϕ − B

αs)

+ iK sin(ϕ − B

αs)

essendo K ≥ 0 e ϕ ∈ R rispettivamente un modulo e una fase costanti. Considerato poi chela soluzione generale della terza equazione in (2.4.10) e immediata, la soluzione completarisulta

x =γ

B+ K cos

(ϕ − B

αs)

y = − β

B+ K sin

(ϕ − B

αs)

z = n3s + h

(2.4.11)

Stefano Siboni 56

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con h ulteriore costante. In effetti le costanti che compaiono nella soluzione generale(2.4.11) non sono tutte indipendenti, dal momento che l’uso dell’ascissa curvilinea comevariabile indipendente impone che si abbia

1 =(dx

ds

)2

+(dy

ds

)2

+(dz

ds

)2

=B2

α2K2 + n2

3

per cui

K =√

1 − n23

α

|B| .

Ad ogni buon conto, dall’equazione parametrica (2.4.11) si conclude che la traiettoria diun qualsiasi moto privo di istanti di arresto e un’elica cilindrica, come si puo facilmenteverificare integrando direttamente le equazioni legrangiane o newtoniane del moto. Un casolimite ricorre per n3 = 0, allorquando la traiettoria degenera in una semplice circonferenza,che peraltro si puo sempre riguardare come elica cilindrica di passo nullo. Per K = 0,ovvero n3 = ±1, si ottengono infine traiettorie rettilinee parallele al campo di induzioneB e3 e associate ai moti uniformi della particella carica nella medesima direzione — quandola velocita e parallela a B la forza di Lorentz risulta identicamente nulla e non disturba inalcun modo il moto rettilineo ed uniforme della carica nel riferimento inerziale Oxyz.

2.5 Principio di Hamilton per i sistemi hamiltoniani. Teorema di HelmholtzIl principio di Hamilton e suscettibile di una estensione notevole al caso dei sistemi hamil-toniani, estensione che va sotto il nome di teorema di Helmholtz. Un sistema hamilto-niano e definito da una funzione hamiltoniana H(t, p, q) di classe C2 nello spazio dellefasi esteso delle variabili (t, p, q), che si identifica con un aperto Ω di R × Rn × Rn. Conq = (q1, . . . , qn) ∈ Rn si indicano, al solito, le coordinate lagrangiane del sistema, mentrep = (p1, . . . , pn) ∈ Rn sono i corrispondenti momenti coniugati. Le equazioni del moto delsistema sono quelle di Hamilton

pi = −∂H

∂qi(t, p, q)

qi =∂H

∂pi(t, p, q)

i = 1, . . . , n . (2.5.1)

Per brevita, e in analogia con il linguaggio adottato per i sistemi lagrangiani, le soluzioni diqueste equazioni verranno dette moti naturali del sistema hamiltoniano. Per un genericomoto (p(t), q(t)), t ∈ [t1, t2], nello spazio delle fasi Ω, la relativa funzione principale diHamilton(1) e definita dall’integrale

S[p(t), q(t)] =

t2∫t1

[ n∑h=1

ph(t)qh(t) − H[t, p(t), q(t)]]dt . (2.5.2)

(1)nota anche come azione di Hamilton o, semplicemente, azione

Stefano Siboni 57

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Di tale moto (p(t), q(t)), t ∈ [t1, t2], che verra denominato moto base, si vogliono considerarearbitrari moti variati sincroni di classe C2 e con configurazioni estreme fissate q(t1) e q(t2),che si potranno sempre esprimere nella forma

p = p(t) + δp(t)

q = q(t) + δq(t), ∀ t ∈ [t1, t2] , (2.5.3)

dove δp(t), δq(t) sono arbitrarie funzioni C2 nello stesso intervallo [t1, t2] del moto basesoggette alle condizioni al contorno δq(t1) = δq(t2) = 0. Lungo un moto variato la funzioneprincipale di Hamilton diventa, omesse per brevita le dipendenze dal tempo delle variefunzioni in gioco,

S[p(t)+ δp(t), q(t)+ δq(t)] =

t2∫t1

[ n∑h=1

(ph + δph)(qh + δqh)−H(t, p+ δp, q + δq)]dt (2.5.4)

in cui l’integrando ammette l’approssimazione di Taylor al primo ordine in δp, δq, δq,definita da

n∑h=1

(ph + δph)(qh + δqh) − H(t, p + δp, q + δq) ∼

∼n∑

h=1

(phqh + phδqh + qhδph) −n∑

h=1

( ∂H

∂ph(t, p, q)δph +

∂H

∂qh(t, p, q)δqh

)∼

∼n∑

h=1

phqh +n∑

h=1

[phδqh − ∂H

∂qh(t, p, q)δqh +

(qh − ∂H

∂ph(t, p, q)

)δph

]. (2.5.5)

La variazione prima della funzione principale di Hamilton (2.5.2) si ottiene sostituendol’integrando con il termine lineare dello sviluppo (2.5.5)

δS[p(t), q(t)] =

t2∫t1

n∑h=1

[phδqh − ∂H

∂qh(t, p, q)δqh +

(qh − ∂H

∂ph(t, p, q)

)δph

]dt (2.5.6)

e integrando per parti i termini in δq viene espressa nella forma equivalente

δS[p(t), q(t)] =[ n∑

h=1

phδqh

]t2

t1

+

t2∫t1

n∑h=1

[−(ph +

∂H

∂qh

)δqh +

(qh − ∂H

∂ph

)δph

]dt =

=

t2∫t1

n∑h=1

[−(ph +

∂H

∂qh

)δqh +

(qh − ∂H

∂ph

)δph

]dt (2.5.7)

Stefano Siboni 58

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per via delle condizioni al contorno δq(t1) = δq(t2) = 0. La condizione di stazionarietadella funzione principale di Hamilton per moti variati sincroni arbitrari, C2 e con configu-razioni estreme uguali a quelle del moto base, corrisponde ad annullare la variazione primaδS[p(t), q(t)]:

t2∫t1

n∑h=1

[−(ph +

∂H

∂qh

)δqh +

(qh − ∂H

∂ph

)δph

]dt = 0

per ogni scelta delle funzioni δp(t), δq(t), di classe C2 e tali che δq(t1) = δq(t2) = 0. Invirtu dell’argomento standard gia sviluppato nella sezione 1.4, cio equivale a richiedere che∀ t ∈ [t1, t2] siano soddisfatte le equazioni differenziali

ph +∂H

∂qh= 0 qh − ∂H

∂ph= 0 h = 1, . . . , n

che corrispondono alle equazioni di Hamilton (2.5.1). Si e cosı stabilito il seguente

2.5.1 Teorema di HelmholtzSia dato un sistema hamiltoniano di hamiltoniana H(t, p, q) nella spazio delle fasi estesoΩ e si consideri in Ω un moto (p(t), q(t)) di classe C2 nell’intervallo t ∈ [t1, t2], di valoriestremi (p(t1), q(t1)) = (p(1), q(1)) e (p(t2), q(t2)) = (p(2), q(2)). Allora le proposizioniseguenti sono equivalenti:

(i) il moto (p(t), q(t)) soddisfa le equazioni di Hamilton — ovvero costituisce un motonaturale del sistema hamiltoniano — con le condizioni al contorno assegnate:

pi = −∂H

∂qi(t, p, q)

qi =∂H

∂pi(t, p, q)

i = 1, . . . , n ,(p(t1), q(t1)) = (p(1), q(1))

(p(t2), q(t2)) = (p(2), q(2));

(ii) il moto (p(t), q(t)) rende stazionaria la funzione principale di Hamilton

S[p(t), q(t)] =

t2∫t1

[ n∑h=1

ph(t)qh(t) − H[t, p(t), q(t)]]dt

per moti variati sincroni arbitrari di classe C2 e con le stesse configurazioni estreme q(t1) =q(1), q(t2) = q(2).

Va osservato che nel rendere stazionaria la funzione principale di Hamilton non e necessariorichiedere che i moti variati sincroni abbiano gli stessi valori estremi, p(t1) = p(1) e p(t2) =p(2), dei momenti coniugati. Da sottolineare inoltre che il teorema di Helmholtz assicural’equivalenza di un problema a valori al contorno e di un problema variazionale, ma nonentra nel merito della esistenza ed eventuale unicita delle relative soluzioni — in generaletutt’altro che ovvie.

Stefano Siboni 59

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2.6 Estensione del principio di Maupertuis ai sistemi hamiltonianiOltre che ai sistemi lagrangiani di tipo generale il principio di Maupertuis puo essere estesoanche ai sistemi hamiltoniani, per quanto non esattamente negli stessi termini. In questasezione si illustra la procedura che consente tale estensione e si formula l’enunciato generaledel principio per i sistemi hamiltoniani.

2.6.1 Sistemi hamiltoniani conservativiSi considera un sistema hamiltoniano definito da una hamiltoniana indipendente dal tempoH(p, q), di classe C2 nello spazio delle fasi Ω ⊆ Rn × Rn delle coordinate generalizzateq = (q1, . . . , qn) e dei relativi momenti coniugati p = (p1, . . . , pn). Le equazioni del motosono quelle di Hamilton

pi = −∂H

∂qi(p, q)

qi =∂H

∂pi(p, q)

i = 1, . . . , n (2.6.1)

di cui l’hamiltoniana costituisce un ovvio integrale primo, come e immediato verificarecalcolando la derivata di H(p, q) lungo le soluzioni di (2.6.1):

H(p, q) =n∑

i=1

∂H

∂pi(p, q)pi +

n∑i=1

∂H

∂qi(p, q)qi =

=n∑

i=1

∂H

∂pi(p, q)

(−∂H

∂qi(p, q)

)+

n∑i=1

∂H

∂qi(p, q)

∂H

∂pi(p, q) = 0 .

(2.6.2)

In questo senso il sistema hamiltoniano con hamiltoniana indipendente dal tempo risultaconservativo: lungo qualsiasi moto di un sistema hamiltoniano conservativo l’hamiltoniana,che solitamente ha il significato fisico di una energia, si mantiene costante. Non e pero verala proposizione inversa: un generico moto di energia costante non soddisfa le equazioni diHamilton (2.6.1) e dunque non costituisce un moto del sistema. Scopo del principio diMaupertuis e proprio quello di caratterizzare fra tutti i moti di energia costante quelli cherisolvono le equazioni di Hamilton — i cosiddetti moti naturali del sistema hamiltoniano— o piu precisamente, le orbite di tali moti.

2.6.2 Moti test e superfici isoenergeticheNel formulare la versione hamiltoniana del principio di Maupertuis si definisce moto testun qualsiasi moto (p(t), q(t)) di classe C2 in un intervallo di tempo limitato e chiuso [t1, t2],che conservi l’energia ad un valore E

H[p(t), q(t)] = E , costante ,

e che sia privo di punti stazionari,(1) in modo che risulti

(p(t), q(t)) = 0 ∀ t ∈ [t1, t2] .

(1)Si dice stazionario il punto (p,q) della traiettoria dove le derivate in t di coordinate e momenti sono simul-

taneamente nulle

Stefano Siboni 60

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Al moto test sono associate una configurazione iniziale q(t1) = q(1) e una configurazionefinale q(t2) = q(2), come pure un momento iniziale p(t1) = p(1) ed un momento finalep(t2) = p(2). La superficie isoenergetica di energia E e il sottoinsieme dello spazio dellefasi Ω ⊆ Rn × Rn composto da tutti e soli i punti (p, q) che soddisfano l’equazione

H(p, q) = E .

Le superfici isoenergetiche sono quindi le superfici di livello dell’hamiltoniana. Per sem-plicita, si assume che in ogni punto della superficie isoenergetica di energia E il gradientedell’hamiltoniana rispetto alle variabili di fase (p, q) risulti diverso da zero:

(∂H

∂p(p, q),

∂H

∂q(p, q)

)= 0 ∀ (p, q) ∈ Ω : H(p, q) = E ; (2.6.3)

cio basta ad assicurare che la superficie isoenergetica costituisca una 2n−1 varieta differen-ziabile di classe C2 immersa nello spazio delle fasi Ω ⊆ Rn × Rn. Per definizione, appareevidente che l’orbita di un moto test appartiene sempre ad una superficie isoenergetica.

2.6.3 Moti variati sincroniSia dato un qualsiasi moto test (p(t), q(t)) in [t1, t2], di energia E, con valori estremi(p(t1), q(t1)) = (p(1), q(1)) e (p(t2), q(t2)) = (p(2), q(2)) delle variabili di fase. Se ne voglionoconsiderare i relativi moti variati sincroni, definiti sullo stesso intervallo di tempo [t1, t2],con gli stessi valori iniziale e finale e con la stessa energia. I moti variati sono quindiesprimibili nella forma generale

p = p(t) + δp(t)

q = q(t) + δq(t)∀ t ∈ [t1, t2]

con le funzioni δp(t) e δq(t) di classe C2 in [t1, t2], nulle agli estremi

δp(t1) = δq(t1) = 0 δp(t2) = δq(t2) = 0

e conformi alla condizione di conservazione dell’energia

H[p(t) + δp(t), q(t) + δq(t)] = E ∀ t ∈ [t1, t2] .

Questa definizione presenta analogie e differenze rispetto al concetto di moto variato cheviene introdotto per il principio di Hamilton, per quello di Maupertuis o per il teorema diHelmholtz:

(i) anche i moti variati sincroni del principio di Hamilton sono definiti sullo stesso inter-vallo di tempo [t1, t2] del moto non variato. Tuttavia le variazioni sono limitate allasola dipendenza dal tempo dei parametri lagrangiani, attraverso l’introduzione dellefunzioni ausiliarie δq(t), e non riguardano i relativi momenti coniugati p = ∂L/∂q, le

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cui variazioni sono indotte dalle δq(t). Le configurazioni estreme essendo fisse, si im-pongono le condizioni al contorno δq(t1) = δq(t2) = 0 che implicano l’annullarsi dellevariazioni dei momenti coniugati agli estremi. Nei moti variati del principio di Hamil-ton non e inoltre richiesta la conservazione dell’energia — che puo tranquillamentenon costituire un integrale primo per le equazioni di Lagrange del moto;

(ii) i moti variati del principio di Maupertuis, classico come generalizzato, conservanol’energia o la funzione di Jacobi. Vengono generati variando la dipendenza dal tempodei parametri lagrangiani q e non dei corrispondenti momenti coniugati p = ∂L/∂q;tuttavia, l’esigenza di conservare l’energia o la funzione di Jacobi obbliga a variareanche la coordinata t e il moto variato che ne risulta non e definito sullo stesso in-tervallo [t1, t2] del moto non variato. In questo senso i moti variati sono asincroni.La variazione dei momenti coniugati e determinata di conseguenza e non assegnataliberamente;

(iii) i moti variati che si considerano nel teorema di Helmholtz sono costruiti variando apiacere tanto le coordinate generalizzate quanto i momenti, per mezzo delle appro-priate funzioni δp(t) e δq(t) dell’intervallo fisso [t1, t2]. Non e tuttavia richiesto cheδp(t1) = δp(t2) = 0, ne ai moti variati viene imposta la conservazione dell’energia.Fatti salvi i requisiti di regolarita e la condizione al contorno δq(t1) = δq(t2) = 0, levariazioni δp(t) e δq(t) sono completamente arbitrarie.

E interessante sottolineare che, diversamente dai sistemi lagrangiani ha senso consideraremoti variati sincroni di energia costante — senza dunque variare l’intervallo di tempo[t1, t2] in cui i moti variati sono definiti. Il motivo e che nel caso hamiltoniano vengonovariati anche i momenti coniugati p e non soltanto le coordinate generalizzate q, potendocosı assicurare la conservazione dell’energia senza dover intervenire sulla coordinata t e sulrelativo intervallo [t1, t2].Come gia per il principio di Maupertuis classico e per quello generalizzato, il moto (p(t),q(t)), t ∈ [t1, t2], su cui vengono introdotte le variazioni δp(t), δq(t) si indichera con iltermine di moto base.

2.6.4 AzionePer un sistema hamiltoniano conservativo l’azione di Maupertuis del moto base (p(t), q(t)),t ∈ [t1, t2], e data dall’integrale

S[p(t), q(t)] =

t2∫t1

n∑i=1

pi(t)qi(t)dt (2.6.4)

che in virtu della conservazione dell’energia — il cui valore e E — si puo anche riscriverecome

S[p(t), q(t)] =

t2∫t1

[ n∑i=1

pi(t)qi(t) − H[p(t), q(t)]]dt + E(t2 − t1) (2.6.5)

dove l’integrale residuo coincide con la funzione principale di Hamilton definita in (2.5.2).

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2.6.5 Variazione dell’azioneLa variazione prima dell’azione di Maupertuis (2.6.4) deve essere calcolata rispetto a motivariati sincroni arbitrari con valori estremi fissi ed energia conservata e uguale a quelladel moto base. La relazione (2.6.5), nella quale E, t1 e t2 sono costanti, permette diidentificare la variazione dell’azione di Maupertuis con quella della funzione principale diHamilton (2.5.2); l’espressione cercata e quindi la (2.5.7):

δS[p(t), q(t)] =

t2∫t1

n∑h=1

[−(ph +

∂H

∂qh(p, q)

)δqh +

(qh − ∂H

∂ph(p, q)

)δph

]dt ,

con p = p(t), q = q(t) e le variazioni δp(t), δq(t) funzioni C2 arbitrarie dell’intervallo[t1, t2], purche nulle agli estremi e di energia E:

H[p(t) + δp(t), q(t) + δq(t)] = E ∀ t ∈ [t1, t2] .

2.6.6 Stazionarieta dell’azione come condizione necessaria per i moti naturaliL’espressione precedente per la variazione prima dell’azione di Maupertuis dimostra inmodo ovvio che se il moto base (p(t), q(t), t ∈ [t1, t2], e naturale, l’azione di Maupertuis estazionaria per qualsiasi moto variato

δS[p(t), q(t)] = 0

essendo soddisfatte le equazioni di Hamilton (2.6.1). La stazionarieta dell’azione di Mau-pertuis rispetto a moti variati arbitrari sincroni C2, con valori estremi ed energia uguali aquelli del moto base, e condizione necessaria perche quest’ultimo sia un moto naturale delsistema hamiltoniano. Non e irrilevante sottolineare che questa proprieta sussiste a pre-scindere dal fatto che la superficie isoenergetica sulla quale l’orbita del moto base si collocasia o meno una varieta, e indipendentemente dalla mancanza o meno di punti stazionarilungo lo stesso moto. Il altri termini, la condizione necessaria e valida anche per motibase che non siano test. Da notare che l’annullarsi della variazione prima dell’azione diMaupertuis

t2∫t1

n∑h=1

[−(ph +

∂H

∂qh(p, q)

)δqh +

(qh − ∂H

∂ph(p, q)

)δph

]dt = 0

per qualsiasi moto variato sincrono del tipo descritto non e condizione sufficiente percheil moto base sia naturale, neppure nel caso dei moti test. Il vincolo di conservazionedell’energia esclude infatti che le variazioni δpi(t), δqi(t) si possano scegliere indipendente-mente le une dalle altre — condizione cruciale per poter applicare la procedura descrittanella sezione 1.4.

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2.6.7 Forma hamiltoniana del principio di MaupertuisSi vuole determinare la condizione necessaria e sufficiente affinche l’azione di Maupertuis(2.6.4):

t2∫t1

n∑i=1

piqi dt

sia stazionaria in corrispondenza di un moto base di energia costante E, per moti variatisincroni arbitrari di classe C2 delle funzioni incognite p(t), q(t), con valori estremi p(1),q(1), p(2), q(2) ed energia E uguali a quelli del moto base. Moto base e relative variazionia valori estremi fissi devono rispettare il vincolo di energia costante

H(p, q) = E ∀ t ∈ [t1, t2] . (2.6.6)

Si richiede inoltre che il moto base (p(t), q(t)) sia un moto test e che la superficie isoen-ergetica di energia E su cui esso si svolge sia una varieta C2 dello spazio delle fasi. Percontinuita, il requisito che (p(t), q(t)) sia privo di punti stazionari e sicuramente rispettatoanche da tutti i moti variati (p(t)+ δp(t), q(t)+ δq(t)) dove le variazioni (δp(t), δq(t)) sianoabbastanza piccole, ovvero, piu specificamente,

maxt∈[t1,t2]

|δq(t)| < ε

con | · | norma euclidea di Rn ed ε > 0 sufficientemente vicino a zero: nell’analisi locale distazionarieta del funzionale (2.6.4) soggetto alla condizione (2.6.6), l’esclusione dei puntistazionari lungo il moto base non rappresenta un vincolo e puo essere considerata solo aposteriori, dopo aver calcolato tutte le possibili soluzioni con i metodi standard del calcolovariazionale. Le soluzioni si determinano percio, conformemente ai risultati della sezione1.8, con il metodo dei moltiplicatori di Lagrange: le funzioni (p(t), q(t)) di energia E cherendono stazionario il funzionale (2.6.4) sono tutte e sole le funzioni di uguali estremi edenergia che soddisfano le equazioni di Eulero-Lagrange associate alla lagrangiana efficace

LE(p, q, q) =

n∑i=1

piqi − λ[H(p, q) − E]

per una appropriata funzione λ(t), di classe C1 in [t1, t2] — il moltiplicatore di Lagrangedel problema. Di queste soluzioni si prenderanno in considerazione soltanto quelle prive dipunti stazionari.

2.6.8 Osservazione: la superficie isoenergetica puo non essere una varietaOmissis

2.6.9 Derivazione alternativa del principio di MaupertuisOmissis

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2.6.10 Osservazione: relazione con il principio di HamiltonDa notare che il principio di Hamilton vale anche per sistemi hamiltoniani non conservativi,dove l’hamiltoniana dipende esplicitamente dal tempo e non costituisce un integrale primoper il sistema, mentre la versione hamiltoniana del principio di Maupertuis riguarda i solisistemi hamiltoniani conservativi.Sembrerebbe che, essendosi limitati a considerare moti variati di energia E uguale a quelladel moto base e su un intervallo di tempo fisso [t1, t2], rendere stazionaria l’azione diMaupertuis o la funzione principale di Hamilton — che differiscono per il termine costanteE(t2−t1) — sia esattamente la stessa cosa e che percio la forma hamiltoniana del principiodi Maupertuis sia equivalente al principio di Hamilton classico, sia pure limitatamente aisoli sistemi hamiltoniani conservativi. In realta le cose non stanno cosı. In effetti, nel casoconservativo le variazioni prime dell’azione di Maupertuis e della funzione principale diHamilton sono identiche:

δS[p(t), q(t)] = δS[p(t), q(t)] =

t2∫t1

n∑h=1

[−(ph +

∂H

∂qh(p, q)

)δqh +

(qh −

∂H

∂ph(p, q)

)δph

]dt .

(2.6.7)Ma nel principio di Hamilton le variazioni δq(t), δp(t) sono arbitrarie, compatibilmente conle condizioni al contorno δq(t1) = δq(t2) = 0, mentre nel principio di Maupertuis i motivariati sono isoenergetici, oltre a doversi assumere anche l’ulteriore condizione al contornoδp(t1) = δp(t2) = 0 — nel principio di Hamilton quest’ultimo requisito e irrilevante e puoessere omesso nell’ununciato. In altri termini, nel principio di Maupertuis le variazioniδq(t), δp(t) che compaiono in (2.6.7) non sono indipendenti e dall’annullarsi della variazioneprima non e dato concludere che le equazioni di Hamilton siano soddisfatte.E infatti la caratterizzazione che si ottiene non e quella — completa — di tutti i motinaturali, ma soltanto quella — parziale — delle loro orbite, a prescindere dalla correttalegge oraria con cui le stesse sono percorse.

2.6.11 Esempio illustrativoDato un aperto non vuoto B di Rn, si consideri una hamiltoniana della forma

H(p, q) = H(p) =n∑

i=1

Hi(pi) , (p, q) ∈ B × Rn (2.6.8)

interpretabile come l’hamiltoniana di un sistema integrabile espresso in variabili d’azione— i momenti coniugati pi — e angolo — le coordinate generalizzate qi. Per un datolivello E di energia, si assuma soddisfatta la condizione supplementare (2.6.3) sul gradientedell’hamiltoniana lungo la superficie isoenergetica corrispondente, che nella fattispecie siriduce a richiedere che(

H ′1(p1),H ′

2(p2), . . . ,H ′n(pn)

)= 0 ∀ p ∈ B : H(p) = E .

Per fissare le idee si supponga che H ′n(pn) = 0. Localmente, l’equazione H(p, q) = E puo

allora essere risolta in pn:

pn = H−1n

[E −

n−1∑i=1

Hi(pi)]

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essendo H−1n l’inversa locale della funzione Hn.

3. Linee geodetiche di una superficie assegnataSi consideri la superficie S di R3 di parametrizzazione regolare C2

(u, v) ∈ D −−−−→ ϕ(u, v) ∈ R3,

in cui D indica un qualsiasi dominio di R2. Una generica curva regolare C2 su S si

rappresentera per mezzo della parametrizzazione

s ∈ [0, L] −−−−→ ϕ[u(s), v(s)] ∈ R3,

dove s ∈ [0, L] → (u(s), v(s)) ∈ D e una qualsiasi funzione C2 con derivata prima nonnulla dell’intervallo [0, L], mentre s ed L rappresentano rispettivamente l’ascissa curvilineae la lunghezza della curva. Una curva regolare C2 si dice linea geodetica o semplicementegeodetica(1) della superficie S se in ogni suo punto biregolare — dove e definito il relativoversore normale — la normale alla curva coincide con la normale alla superficie nellostesso punto. Detto altrimenti:

in ogni punto biregolare di una linea geodetica su S il versore normale alla curva e quellonormale alla superficie sono paralleli.

Indicato con τ il versore tangente alla curva regolare, le linee geodetiche della superficie Ssono individuate completamente dalle equazioni

ds· ϕu = 0

ds· ϕv = 0 , (3.1)

nel quale per brevita si sono indicate con ϕu e ϕv le derivate parziali prime della parametriz-zazione ϕ rispetto alle variabili u e v rispettivamente. Si tratta di un sistema di dueequazioni differenziali del secondo ordine nelle variabili u, v. Non tutte le curve su S sonolinee geodetiche, ma soltanto quelle per le quali le funzioni u(s) e v(s) soddisfano le (3.1).

3.1 Geodetiche come linee di lunghezza stazionaria a estremi fissiDelle linee geodetiche di una superficie S si puo dare una caratterizzazione piu intuitivae del tutto equivalente come linee di lunghezza minima o stazionaria sulla superficie adestremi fissati.(1) Per illustrare e dimostrare questa caratterizzazione equivalente convieneconsiderare la parametrizzazione di una curva regolare C2 della superficie S nella suaforma piu generale, facendo uso di un parametro generico λ che non necessariamente abbiail significato geometrico di una ascissa curvilinea:

P (λ) = ϕ[u(λ), v(λ)] , λ ∈ [λ1, λ2] ,

(1)queste curve sono a volte indicate come estremali della superficie, il termine geodetiche essendo riservato

alle sole curve di lunghezza minima, ad estremi fissati, sulla superficie (definizione di Kneser)

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con ϕ(u, v), u(λ) e v(λ) funzioni C2 nei rispettivi domini di definizione. La condizione diregolarita della curva viene soddisfatta, vista la regolarita di S, richiedendo semplicementeche

(u(λ), v(λ)) = (0, 0) ∀λ ∈ [λ1, λ2] ,

in modo che la derivata prima della parametrizzazione sia diversa da zero in tutto l’inter-vallo di definizione:

P (λ) =dϕ

dλ(λ) = ϕu

du

dλ+ ϕv

dv

dλ= ϕuu + ϕvv

essendosi indicata con il punto, per brevita, la derivata rispetto al parametro libero λ. Lalunghezza della curva si scrive allora

L =

λ2∫λ1

|P (λ)| dλ =

λ2∫λ1

(P 2)1/2dλ =

λ2∫λ1

Ldλ , (3.1.1)

essendosi introdotta la “funzione di Lagrange”

L = (P 2)1/2 =[(ϕuu + ϕvv)2

]1/2 = L(u, v, u, v) . (3.1.2)

Si consideri ora una nuova curva regolare C2 sulla superficie S che abbia gli stessi estremiP (λ1) e P (λ2). Tale curva viene detta curva variata a estremi fissi e la sua parametriz-zazione si potra esprimere nella forma

P (λ) = ϕ[u(λ) + δu(λ), v(λ) + δv(λ)]

con le funzioni δu e δv definite e C2 sullo stesso intervallo [λ1, λ2] e nulle agli estremi:

δu(λ1) = δu(λ2) = 0 δv(λ1) = δv(λ2) = 0 .

La prima variazione a estremi fissi della lunghezza (3.1.1) si scrive allora

δL(u, v, δu, δv) =

λ2∫λ1

[∂L

∂u− d

(∂L

∂u

)]δu dλ +

λ2∫λ1

[∂L

∂v− d

(∂L

∂v

)]δv dλ (3.1.3)

e per l’arbitrarieta delle variazioni δu, δv la condizione di stazionarieta della lunghezzaconduce alle equazioni di Eulero-Lagrange:

d

(∂L

∂u

)− ∂L

∂u= 0

d

(∂L

∂v

)− ∂L

∂v= 0

L = (P 2)1/2 (3.1.4)

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che equivalgono all’annullarsi della prima variazione (3.1.3). Questa condizione risulta ne-cessaria ma non sufficiente perche la lunghezza della curva a estremi fissati sia minima.Quando la variazione prima e zero si parla piu genericamente di stazionarieta dell’integra-le della lunghezza. Le equazioni di Eulero-Lagrange (3.1.4) sono quindi equivalenti allastazionarieta dell’integrale della lunghezza della curva.

Non rimane che scrivere in modo piu esplicito le equazioni di Eulero-Lagrange. Osservatoche

∂P

∂u=

∂u

[ϕu(u, v)u + ϕv(u, v)v

]= ϕu(u, v) =

∂P

∂ue

∂P

∂u=

∂u

[ϕu(u, v)u + ϕv(u, v)v

]=

∂ϕu

∂u(u, v)u +

∂ϕv

∂u(u, v)v =

=∂2ϕ

∂u2(u, v)u +

∂2ϕ

∂u∂v(u, v)v =

∂2ϕ

∂u2(u, v)u +

∂2ϕ

∂v∂u(u, v)v =

=∂

∂u

(∂ϕ

∂u

)u +

∂v

(∂ϕ

∂u

)v =

d

(∂ϕ

∂u

),

e che analoghe espressioni valgono per le derivate in v

∂P

∂v=

∂P

∂v

∂P

∂v=

d

(∂P

∂v

),

si ottiene:∂L

∂u=

12(P 2)−1/22P · ∂P

∂u= (P 2)−1/2P · ∂P

∂u=

P

|P |· ∂P

∂u

∂L

∂u=

12(P 2)−1/22P · ∂P

∂u=

P

|P |· ∂P

∂u=

P

|P |· d

(∂P

∂u

)ossia

∂L

∂u= τ · ∂P

∂u

∂L

∂u= τ · d

(∂P

∂u

),

per cuid

(∂L

∂u

)− ∂L

∂u=

d

(τ · ∂P

∂u

)− τ · d

(∂P

∂u

)=

dλ· ∂P

∂u= 0

ed analogamented

(∂L

∂v

)− ∂L

∂v=

dλ· ∂P

∂v= 0 .

Lungo la linea geodetica la derivata dτ/dλ risulta pertanto normale alla superficie vinco-lare, avendosi

dλ· ∂P

∂u= 0

dλ· ∂P

∂v= 0 . (3.1.5)

Poiche la stessa derivata, se non nulla, e per definizione parallela al versore normale allacurva

dλ‖ n ,

si conclude che lungo la geodetica la normale alla curva coincide punto per punto con lanormale alla superficie. L’asserto e provato.

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3.2 Esempio: geodetiche sul cilindro circolarePer illustrare la nozione di linea geodetica su una superficie assegnata, si vogliono carat-terizzare le linee geodetiche di una superficie cilindrica — cilindro circolare. La superficiecilindrica in questione abbia asse coincidente con l’asse coordinato Oz e sezione circolaredi raggio R > 0, con parametrizzazione

x = R cos u

y = R sin u

z = v

u, v ∈ R . (3.2.1)

Una generica curva appartenente alla superficie si rappresentera mediante la stessa para-metrizzazione, a patto di sostituire agli argomenti u e v funzioni regolari del parametro λnell’intervallo [λ1, λ2] ⊂ R

P (λ) − O = R cos u(λ) e1 + R sinu(λ) e2 + v(λ) e3 . (3.2.2)

La derivata prima in λ della parametrizzazione diventa percio

P = −R sin u u e1 + R cos u u e2 + v e3

con modulo quadratoP 2 = R2u2 + v2

in modo che la funzione da integrare fra λ1 e λ2 per ottenere la lunghezza della curva edata da

L = (R2u2 + v2)1/2 . (3.2.3)

E ora sufficiente sostituire la parametrizzazione (3.2.2) nelle equazioni delle geodetiche(3.1)

dλ· ∂ϕ

∂u= 0

dλ· ∂ϕ

∂v= 0

per ottenere il sistema di equazioni

dλ· (− sinu e1 + cos u e2) = 0

dλ· e3 = 0

(3.2.4)

che caratterizzano tutte e sole le linee geodetiche sulla superficie cilindrica.La seconda delle equazioni (3.2.4) equivale a

d

dλ(τ · e3) = 0

Stefano Siboni 69

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per cui lungo la linea geodetica il prodotto τ · e3 deve mantenersi costante, ossia

v

(R2u2 + v2)1/2= a , costante , (3.2.5)

con la costante a necessariamente compresa fra −1 e +1 — u e v sono numeri reali. Eopportuno distinguere i casi in cui la costante a sia diversa da zero o nulla.

(i) Se a = 0, allora dalla (3.2.5) si ha

v = 0 e |P | = (R2u2 + v2)1/2 =v

asicche

τ =P

|P |=

−R sin u u e1 + R cos u u e2 + v e3

v/a= a

[−R sin u

u

ve1 + R cos u

u

ve2 + e3

]

espressione nella quale, peraltro, la stessa equazione (3.2.5) implica che il quoziente u/vsia costante. Derivando rispetto a λ si ottiene allora

dλ= aR

u

v

d

dλ(− sin u e1 + cos u e2) = aR

u

v(− cos u e1 − sin u e2) u

e la prima delle equazioni (3.2.4) diventa

0 = −aRu

v(cos u e1 + sinu e2) u · (− sin u e1 + cos u e2)

risultando cosı identicamente soddisfatta. La seconda delle equazioni (3.2.4), ovvero l’equi-valente (3.2.5), e quindi la sola che caratterizza le linee geodetiche del sistema per a = 0.Essa porge la relazione

v2

R2u2 + v2= a2 , a2 ≤ 1

nella quale deve essere necessariamente v = 0 e quindi

R2 u2

v2+ 1 =

1a2

ovverou2

v2=

1R2

( 1a2

− 1)

> 0 per − 1 < |a| < +1 ,

condizione che individua un’elica cilindrica. Per a = ±1 vale u = 0 e quindi u = costante,mentre v e libero. Si tratta di un segmento di retta parallelo alla generatrice — ovveroall’asse del cilindro.

(ii) Se a = 0 si ha invece v = 0 (e u = 0) per cui

τ =(−R sin u e1 + R cos u e2) u

R|u| = (− sin u e1 + cos u e2)u

|u|

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e quindidτ

dλ=

u

|u| (− cos u e1 − sin u e2) u

in modo che la prima delle (3.2.4)

0 =dτ

dλ· (− sinu e1 + cos u e2)

e identicamente soddisfatta. Anche in questo caso le geodetiche sono individuatequindi dalla (3.2.5), ma con a = 0

v

(R2u2 + v2)1/2= 0 .

Si ha percio v = 0, cioe v = costante, mentre u e libero: la curva descritta e un arcodi circonferenza a quota z costante.

In conclusione, le geodetiche di una superficie cilindrica circolare retta sono di tre tipidiversi: archi di elica cilindrica, archi di circonferenza di quota costante, segmenti diretta paralleli alla generatrice, ovvero all’asse del cilindro. Si noti che circonferenze esegmenti possono essere visti come casi limite di eliche cilindriche, di passo nullo o infinito.rispettivamente.

3.2.1 Osservazione: linee geodetiche e integrale di BeltramiUn approccio alternativo alla determinazione delle linee geodetiche sul cilindro e offertodall’uso diretto delle equazioni di Eulero-Lagrange (3.1.4) e dall’introduzione degli ap-propriati integrali di Beltrami. Poiche la lagrangiana L = (R2u2 + v2)1/2 = L(u, v) nondipende esplicitamente dalle funzioni u e v, le equazioni delle geodetiche sul cilindro

d

(∂L

∂u

)− ∂L

∂u= 0

d

(∂L

∂v

)− ∂L

∂v= 0

si riducono ad

(∂L

∂u

)= 0

d

(∂L

∂v

)= 0

e porgono percio ben due integrali di Beltrami:

∂L

∂u= α

∂L

∂v= β

ossia, esplicitamente,

R2u√R2u2 + v2

= αv√

R2u2 + v2= β (3.2.6)

dove α, β sono costanti reali arbitrarie e le derivate u e v non possono risultare simulta-neamente nulle. Si devono distinguere tre casi:

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(i) se u = 0 e v = 0 e immediato dedurre dalle (3.2.6) che

α = 0 e β =v

|v| = ±1

per cui la coppia composta da u(λ) = costante e v(λ) funzione C2 arbitraria conderivata non nulla nel proprio intervallo di definizione [λ1, λ2], scelto a piacere, rapp-resenta sempre una soluzione delle equazioni assegnate. Si ottengono in tal modo lelinee geodetiche collocate lungo le rette parallele all’asse del cilindro — e che ne cos-tituiscono la superficie, e bene ricordare che il cilindro costituisce un classico esempiodi superficie rigata, identificabile cioe con una unione di rette;

(ii) se all’opposto u = 0 e v = 0 risulta

α =u

|u| = ±1 e β = 0

e si ottiene soluzione per v(λ) = costante arbitraria qualunque sia la funzione u(λ),C2 e con derivata non nulla nell’intervallo di definizione arbitrario [λ1, λ2];

(iii) se infine u = 0 e v = 0, dividendo la prima per la seconda delle (3.2.6) si ricava

R2u

v=

α

β=⇒ u

v=

α

βR2, costante

e quindiu − α

βR2v = 0 ⇐⇒ u − α

βR2v = γ , costante

in modo che la (3.2.1) diventa

x = R cos( α

βR2v + γ

)y = R sin

( α

βR2v + γ

)z = v

(3.2.7)

con v variabile monotonicamente in un qualsiasi intervallo reale, a parametrizzare unarco di elica cilindrica di passo 2πβR2/α.

3.2.2 Osservazione: le linee geodetiche sono curve di minima lunghezzaLe linee geodetiche sul cilindro circolare in realta non sono semplicemente delle curveestremali, che rendono stazionaria la variazione prima dell’integrale (3.1.1), ma bensı curvedi lunghezza localmente minima a estremi fissi. Con cio si vuole intendere che qualsiasicurva variata C2, che abbia gli stessi estremi della geodetica e che sia sufficientementeprossima a questa, e caratterizzata da una lunghezza maggiore di quella della geodetica.Per provarlo e sufficiente:

Stefano Siboni 72

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considerare variazioni della forma

δu(λ) = αη1(λ) δv(λ) = αη2(λ) (3.2.8)

con η1, η2 funzioni C2 a derivata non nulla in [λ1, λ2], nulle agli estremi, e α ∼ 0;

introdurre la variazione seconda dell’integrale della lunghezza (3.1.1), che assume unaforma particolarmente semplice

δ2L(u, v, δu, δv) =

λ2∫λ1

[∂2L

∂u2δu2 + 2

∂2L

∂u∂vδuδv +

∂2L

∂v2δv2

]dλ (3.2.9)

in conseguenza del fatto che la lagrangiana (3.2.3) con contiene alcuna dipendenzaesplicita dagli argomenti u e v, ma soltanto dalle derivate prime corrispondenti u e v.

Nella fattispecie, dalle derivate parziali prime

∂L

∂u= R2(R2u2 + v2)−1/2u

∂L

∂v= R2(R2u2 + v2)−1/2v

si deducono immediatamente le espressioni delle derivate parziali seconde richieste:

∂2L

∂u2= (R2u2 + v2)−3/2R2v2

∂2L

∂u∂v= −(R2u2 + v2)−3/2R2uv

∂2L

∂v2= (R2u2 + v2)−3/2R2u2

che sostituite nella formula (3.2.9) porgono

δ2L(u, v, δu, δv) = R2

λ2∫λ1

(R2u2 + v2)−3/2(v2δu2 − 2uv δuδv + u2δv2)dλ =

= R2

λ2∫λ1

(R2u2 + v2)−3/2(v δu − u δv)2dλ .

L’espressione cosı ottenuta e chiaramente di segno non negativo. Spingendosi piu oltre,data la continuita dell’integrando e la conseguente possibilita di applicare il teorema dipermanenza del segno, la variazione seconda δ2L risulta strettamente positiva a meno chenon si abbia

u δv − v δu = 0 ∀λ ∈ [λ1, λ2] (3.2.10)

equazione che deve essere soddisfatta dalle variazioni δu(λ) e δv(λ) lungo la parametriz-zazione (u(λ), v(λ)) di una linea geodetica arbitraria. Secondo il tipo di geodetica si devonodistinguere, come gia visto in precedenza, tre diversi casi.

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(i) Per le geodetiche rettilinee, laddove risulta u(λ) = costante e v(λ) arbitraria(1) la(3.2.10) si riduce a

−v δu = 0

e quindi, essendo v = 0 ∀λ ∈ [λ1, λ2], alla semplice condizione

δu(λ) = 0 ∀λ ∈ [λ1, λ2] .

La variazione δu deve cosı risultare costante sull’intero intervallo di definizione

δu(λ) = costante ∀λ ∈ [λ1, λ2]

ed anzi nullaδu(λ) = 0 ∀λ ∈ [λ1, λ2]

a causa delle condizioni al contorno che, per via degli estremi fissi, impongono δu(λ1) =δu(λ2) = 0. Per questa classe di geodetiche non e definita alcuna curva variata C2

che abbia gli estremi fissi e annulli la variazione seconda della lunghezza.

(ii) Per le geodetiche circolari, lungo le quali risulta v(λ) costante e u(λ) funzione C2

arbitraria con derivata prima non nulla, si perviene ad una conclusione analoga inquanto la (3.2.10) diventa

u δv = 0 =⇒ δv = 0 =⇒ δv = costante

per cui δv(λ) = 0 ∀λ ∈ [λ1, λ2] a causa della condizione al contorno δv(λ1) = δv(λ2) =0. Anche per questa tipologia di linee geodetiche non sono definite curve variate C2

con gli estremi assegnati che annullino la variazione seconda δ2L.

(iii) Nel caso delle geodetiche elicoidali la parametrizzazione (3.2.7) richiede che si abbia

u(λ) =α

βR2v(λ) + γ

con α, β, γ costanti e v(λ) arbitraria funzione C2 con derivata prima diversa da zeronell’intervallo [λ1, λ2], assegnato a piacere. L’equazione (3.2.10) assume percio laforma

α

βR2v δv − v δu = 0

e raccogliendo le derivate dopo aver semplificato il fattore non nullo v si riduce a

d

( α

βR2δv − δu

)= 0

sicche risultaδu =

α

βR2δv + costante . (3.2.11)

(1)purche C2 e con v(λ) =0 ∀λ∈[λ1,λ2]

Stefano Siboni 74

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In effetti, le condizioni al contorno impongono che si abbia

0 = δu(λi) =α

βR2δv(λi) + costante =

α

βR2· 0 + costante = costante i = 1, 2 ,

in modo che (3.2.11) vale semplicemente

δu =α

βR2δv .

Dalla parametrizzazione (3.2.7) appare allora evidente che la curva variata (u(λ) +δu(λ), v(λ) + δv(λ)) e in realta ancora lo stesso arco di elica cilindrica, diversamenteparametrizzato in funzione di λ.(1) Non esistono curve variate in senso geometrico: lesole variazioni consentite si limitano a riparametrizzare la linea geodetica assegnata.

Le linee geodetiche sul cilindro sono dunque caratterizzate dall’annullarsi, ad estremi fissi,della variazione prima e dal segno positivo della variazione seconda della lunghezza (3.2.3).Queste due condizioni bastano ad assicurare che la lunghezza L delle linee geodetiche siaminima, ad estremi fissi, per qualsiasi curva variata sufficientemente prossima alla geode-tica. Si puo discutere la questione in termini generali, considerando un funzionale dellaforma (1.1) nella funzione incognita q(λ), soluzione delle equazioni di Eulero-Lagrange, eduna variazione δq(λ) del tipo (1.3). Il valore del funzionale in corrispondenza della funzionevariata q(λ) + δq(λ) e allora dato dall’espressione

L(q + αη) =

λ2∫λ1

L[λ, q(λ) + αη(λ), q(λ) + αη(λ)] dλ

che per q(λ) ed η(λ) assegnati si puo intendere come una funzione di α ∼ 0. Questafunzione risulta derivabile con continuita k volte se la lagrangiana L e di classe Ck, e lederivate possono essere calcolate derivando sotto integrale. In particolare, per una L diclasse C3 si hanno le relazioni:

dL

dα(q + αη) =

λ2∫λ1

( ∂L

∂qiηi +

∂L

∂qiηi

)dλ

d2L

dα2(q + αη) =

λ2∫λ1

( ∂2L

∂qi∂qjηiηj + 2

∂2L

∂qi∂qjηiηj +

∂2L

∂qi∂qjηiηj

)dλ

d3L

dα3(q + αη) =

λ2∫λ1

( ∂3L

∂qi∂qj∂qkηiηjηk + 3

∂3L

∂qi∂qj∂qkηiηjηk+

+3∂3L

∂qi∂qj∂qkηiηj ηk +

∂3L

∂qi∂qj∂qkηiηjηk

)dλ

(1)la parametrizzazione e data dalla (3.2.7) con v=v(λ)+δv(λ) in luogo di v=v(λ)

Stefano Siboni 75

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nelle quali le derivate della lagrangiana si intendono calcolate in (λ, q + αη, q + αη) e si einoltre adottata la convenzione di somma sugli indici ripetuti. L’approssimazione di Tayloral secondo ordine in α con resto in forma di Lagrange porge allora, per θ = θ(α) ∈ (0, 1)opportuno,

L(q + αη) = L(q) +dL

dα(q + αη)

∣∣∣∣α=0

α +12

d2L

dα2(q + αη)

∣∣∣∣α=0

α2 +16

d3L

dα3(q + θαη)α3

dove:

ricordando la definizione (1.4) della variazione prima, vale

dL

dα(q + αη)

∣∣∣∣α=0

α = δL(q, δq) = 0 ,

essendo per ipotesi q(λ) soluzione delle equazioni di Eulero-Lagrange;

la derivata seconda corrisponde alla variazione seconda del funzionale L nella soluzionestazionaria q(λ) e con variazione δq(λ):

d2L

dα2(q + αη)

∣∣∣∣α=0

α2 = δ2L(q, δq) ;

se per una funzione η(λ), C2, a derivata non nulla e con estremi nulli in [λ1, λ2], risultaδ2L(q, η) > 0, si avra certamente che per ogni α ∈ R di modulo abbastanza piccolovale la diseguaglianza

L(q + αη) > L(q) .

L’asserto segue dalla relazione

L(q + αη) − L(q) =12δ2L(q, η)α2 +

16

d3L

dα3(q + θαη)α3 =

=[12δ2L(q, η) +

16

d3L

dα3(q + θαη)α

]α2

nella quale, se |α| e abbastanza piccolo, il secondo membro assume segno positivo pervia della diseguaglianza

16

∣∣∣∣d3L

dα3(q + θαη)α

∣∣∣∣ <12δ2L(q, η)

la cui validita e assicurata dalla continuita della derivata terza.

Nel caso specifico delle geodetiche sul cilindro si ha δ2L(u, v, η1, η2) > 0 per tutte le funzioniη1, η2 di classe C2, con derivata diversa da zero e nulle agli estremi di [λ1, λ2]. Per ogni αabbastanza vicino a zero le variazioni (3.2.8) soddisfano percio

L(u + αη1, v + αη2) > L(u, v) .

In questo senso le linee geodetiche sul cilindro circolare sono curve di lunghezza localmenteminima a estremi fissi.

Stefano Siboni 76

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3.3 Esempio: geodetiche sul cono circolareCome ulteriore esempio di caratterizzazione delle geodetiche si considera il caso di unasuperficie conica a base circolare. Il vertice e l’asse del cono circolare si identificanorispettivamente con l’origine O e l’asse coordinato Oz di una terna cartesiana ortog-onale Oxyz. Come ben noto, la superficie conica completa non e regolare in quantonel vertice O non risulta definibile alcun versore normale; ci si limitera percio alla solafalda z > 0 della superficie, rappresentabile per mezzo della parametrizzazione regolareϕ : (u, v) ∈ R × R+ −−→ϕ(u, v) ∈ R3 definita da

x = v cos uy = v sinu (u, v) ∈ R × R+

z = kv

dove k indica una costante positiva legata all’angolo di apertura del cono.(1) Una qualsiasicurva regolare C2 sulla superficie sara rappresentata per mezzo della parametrizzazioneϕ, sostituendo le variabili u ∈ R e v ∈ R+ con funzioni C2 e a derivata non nulla dellavariabile λ ∈ [λ1, λ2], intervallo reale arbitrario:

P (λ) − O = v(λ) cos u(λ) e1 + v(λ) sin u(λ) e2 + kv e3 .

La derivata di P (λ) vale pertanto

P = (v cos u − v sin u u) e1 + (v sinu + v cos u u) e2 + kv e3

ed ha modulo quadrato dato da

P 2 = (1 + k2)v2 + v2u2

in modo che la lagrangiana da inserire nelle equazioni di Eulero-Lagrange assume la forma

L =√

(1 + k2)v2 + v2u2 . (3.3.1)

Le equazioni delle geodetiche sono percio

d

(∂L

∂u

)− ∂L

∂u= 0 e

d

(∂L

∂v

)− ∂L

∂v= 0 .

Siccome la lagrangiana (3.3.1) non dipende esplicitamente dalla variabile u, alla primaequazione di Eulero-Lagrange e associato l’integrale di Beltrami

∂L

∂u=

v2u√(1 + k2)v2 + v2u2

= α (3.3.2)

(1)dalla relazione α= arctg(1/k), se α indica l’angolo di apertura del cono.

Stefano Siboni 77

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dove α e una costante reale arbitraria. La seconda equazione di Eulero-Lagrange si scriveesplicitamente come

d

[(1 + k2)v√

(1 + k2)v2 + v2u2

]− vu2√

(1 + k2)v2 + v2u2= 0 .

Si possono distinguere due diverse tipologie di soluzioni.

(i) Soluzioni, corrispondenti al valore α = 0 dell’integrale di Beltrami (3.3.2), si hannoper u(λ) = costante. In tal caso infatti la seconda equazione di Eulero-Lagrange siriduce a

d

[(1 + k2)v√(1 + k2)v2

]= 0

ovverod

( v

|v|)

= 0

ed e soddisfatta per qualsiasi funzione v(λ) > 0 di classe C2 e con v(λ) = 0 ∀λ ∈[λ1, λ2], intervallo reale arbitrario. Le geodetiche corrispondenti sono segmenti dellesemirette passanti per il vertice O che costituiscono la superficie — rigata — di cia-scuna falda del cono circolare.

(ii) Se α = 0, l’integrale di Beltrami porge

u =α

v2

√(1 + k2)v2 + v2u2 (3.3.3)

per cui u ha segno costante — lo stesso di α — ed e pertanto possibile adottare ucome variabile indipendente in luogo di λ. La seconda equazione di Eulero-Lagrangediventa allora, dividendo membro a membro per u e cambiando la variabile,

d

du

[(1 + k2)

dv

du

α

v2

]− v

α

v2= 0

e puo porsi nella forma equivalente

d2

du2

(1v

)+

11 + k2

1v

= 0

dalla quale si deduce che

1v

= β cos( 1√

1 + k2u + γ

)

ossiav =

1

β cos( 1√

1 + k2u + γ

) (3.3.4)

Stefano Siboni 78

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con β > 0 e γ ∈ R costanti assegnate. Le linee geodetiche di questo tipo sono descrittedalla parametrizzazione (3.3.4) con la u variabile monotonicamente in un intervalloassegnato. Causa la condizione v > 0, detto intervallo deve essere incluso in uno degliintervalli reali della forma:√

1 + k2(2πn − π

2− γ

)< u <

√1 + k2

(2πn +

π

2− γ

), n ∈ Z ,

dove il coseno in (3.3.4) e strettamente positivo. Esempi di linee geodetiche di questogenere sono illustrati nelle figure seguenti, dove la stessa superficie conica e la stessageodetica sono rappresentate secondo diverse prospettive

Vale la pena di notare che in realta la costante positiva β che compare in (3.3.4) risultacorrelata al valore α dell’integrale di Beltrami. Si ha infatti, sostituendo la soluzione (3.3.4)nella formula (3.3.3),

u = α

√u2

v2+ (1 + k2)

[ d

(1v

)]2=

= α

√u2β2cos2

( 1√1 + k2

u + γ)

+ (1 + k2)β2

1 + k2sin2

( 1√1 + k2

u + γ)u2 =

= αβ|u|

per cui

β =1α

u

|u| =1α

sgnu

in quanto deve essere u = 0 e di segno costante nel proprio intervallo di definizione [λ1, λ2].

3.3.1 Osservazione: geodetiche come rette nello sviluppo piano del conoLe linee geodetiche del cono circolare sono suscettibili di una notevole interpretazionegeometrica. E conveniente distinguere le geodetiche rigate e quelle del tipo (3.3.4).

Stefano Siboni 79

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(i) Per una geodetica del tipo (3.3.4) e sempre possibile scegliere il parametro u(1) inmodo che γ = 0 e la relazione (3.3.4) si riduca a

v =1

β cos( 1√

1 + k2u) , con − π

2

√1 + k2 < u <

π

2

√1 + k2 .

Si introduce allora la trasformazione che “srotola” su un piano la superficie del cono— sviluppo piano della superficie conica — nel modo seguente. L’arco di circon-ferenza individuato sul cono da v > 0 costante e da u ∈ (−π

2

√1 + k2, π

2

√1 + k2)

viene mappato sulla semicirconferenza di centro O — il vertice del cono — e raggiov√

1 + k2 collocata nel piano tangente al cono lungo la retta di equazione u = 0.Indicando tale retta come asse Oξ, e definendo un secondo asse coordinato Oη comepassante per il diametro della semicirconferenza immagine, il generico punto di coor-dinate (u, v) ∈ (−π

2

√1 + k2, π

2

√1 + k2)×R+ sul cono viene mappato nel punto (ξ, η)

del semipiano R+ × R secondo la trasformazione

ξ = v√

1 + k2 cos θ = v√

1 + k2 cos( 1√

1 + k2u)

η = v√

1 + k2 sin θ = v√

1 + k2 sin( 1√

1 + k2u)

dove θ = u/√

1 + k2 rappresenta l’angolo al vertice che il raggio condotto per il puntoimmagine forma con la direzione positiva dell’asse Oξ — vedi figura.

Nel semipiano dei punti (ξ, η) ∈ R+×R cosı costruito l’equazione della linea geodeticadiventa√

1 + k2v cos( 1√

1 + k2u)

=1β

√1 + k2 , −π

2

√1 + k2 < u <

π

2

√1 + k2 ,

(1)pagando l’eventuale prezzo di una traslazione

Stefano Siboni 80

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ossiaξ =

√1 + k2 ∀ η ∈ R .

Si conclude pertanto che la geodetica viene proiettata nel semipiano R+×R come unaretta parallela all’asse Oη.

(ii) Le geodetiche “rettilinee” sul cono sono rappresentate nel semipiano degli (ξ, η) ∈R+×R come semirette passanti per il vertice O, in quanto per ciascuna di esse risulta

ξ = v√

1 + k2 cos( 1√

1 + k2u)

ξ = v√

1 + k2 sin( 1√

1 + k2u)

con u = u0 costante e v > 0 arbitrario, per cui

ξ sin( 1√

1 + k2u0

)− η cos

( 1√1 + k2

u0

)= 0

che rappresenta precisamente l’equazione di una retta nel semipiano R+ × R di Oξηpassante per l’origine O.

3.3.2 Osservazione: geodetiche con punti doppi (o autointersezioni)Le geodetiche non rettilinee, di rappresentazione

v =1

β cos( 1√

1 + k2u) , con − π

2

√1 + k2 < u <

π

2

√1 + k2 ,

presenta una autointersezione — o punto doppio — se esistono due valori distinti u1 eu2 del parametro u nell’intervallo (−π

2

√1 + k2, π

2

√1 + k2) di definizione della curva, che

differiscono per un multiplo intero di 2π in modo da collocarsi nello stesso piano con-dotto dall’asse del cono e che presentano nel contempo lo stesso valore del corrispondenteparametro v, e dunque della quota z,

cos( 1√

1 + k2u1

)=

cos( 1√

1 + k2u2

). (3.3.5)

Grazie alle formule di prostaferesi, l’equazione (3.3.5) puo riscriversi nella forma

cos( 1√

1 + k2u1

)−cos

( 1√1 + k2

u2

)= 2 sin

(u2 − u1

21√

1 + k2

)sin(u1 + u2

21√

1 + k2

)= 0

e le sue soluzioni possono percio determinarsi annullando separatamente o il primo o ilsecondo fattore del profotto fra seni.

Stefano Siboni 81

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(a) Annullare il primo seno trigonometrico con u1 e u2 distinti significa richiedere che siabbia

u2 − u1 = 2πq√

1 + k2 , q ∈ Z \ 0

in modo che la distanza fra u2 e u1 non puo risultare inferiore a 2π√

1 + k2; la con-dizione non puo evidentemente essere soddisfatta, in quanto l’ampiezza dell’intervallodi definizione di u1, u2 e pari a π

√1 + k2, ossia inferiore.

(b) l’annullarsi del secondo seno trigonometrico nella formula di prostaferesi equivale allacondizione

u1 + u2 = 2πp√

1 + k2 , p ∈ Z , (3.3.6)

cui va affiancata la condizione di periodicita sulla variabile angolare u

u1 − u2 = 2πn , n ∈ Z \ 0 . (3.3.7)

Ne derivano cosı le relazioni

u1 = π(p√

1 + k2 + n)

u2 = π(p√

1 + k2 − n)

, p ∈ Z , n ∈ Z \ 0 .

D’altra parte, e facile ricavare l’intervallo di definizione della somma u1 +u2 noto chesia quello delle variabili u1, u2:

−π

2

√1 + k2 < u1, u2 <

π

2

√1 + k2 =⇒ −π

√1 + k2 < u1 + u2 < π

√1 + k2

per cui la sola scelta possibile in (3.3.6) e p = 0 e quindi

u1 + u2 = 0 ⇐⇒ u2 = −u1 .

Dalla (3.3.7) si conclude che i punti doppi della geodetica si hanno per tutti gli u1

della formau1 = πn , n ∈ Z \ 0

a condizione che risulti

n ∈(−1

2

√1 + k2,

12

√1 + k2

). (3.3.8)

Da quest’ultima prescrizione si vede come il numero dei punti doppi per le geodetichecomplete dipenda unicamente dal parametro k e cresca all’aumentare di questo, ovveroal diminuire dell’angolo di apertura del cono. In particolare, il valore di k per il qualele geodetiche complete presentano almeno un punto doppio deve essere maggiore di√

3, in modo che l’intervallo (− 12

√1 + k2, 1

2

√1 + k2) contenga almeno un intero non

nullo — conformemente alla (3.3.8).

Stefano Siboni 82

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3.4 Esempio: geodetiche sulla sferaPer determinare le geodetiche di una superficie sferica di centro O e raggio R e possibileutilizzare due diverse metodologie: la prima opera direttamente in coordinate cartesianee, benche si tratti di una procedura generale, risulta particolarmente vantaggiosa nellacaratterizzazione del geodetiche sferiche; la seconda fa invece uso di una parametrizzazionedella sfera in coordinate polari.

3.4.1 Geodetiche della sfera in coordinate cartesianeLe geodetiche della sfera direttamente in coordinate cartesiane si ricavano imponendo lastazionarieta, a estremi fissi, dell’integrale della lunghezza

L =

λ2∫λ1

√x2 + y2 + z2 dλ (3.4.1)

con la condizione di vincolox2 + y2 + z2 − R2 = 0 . (3.4.2)

Secondo quanto osservato nella sezione 1.8, cio equivale a scrivere le equazioni di Eulero-Lagrange nelle variabili x, y, z con la lagrangiana efficace

L(x, y, z, x, y, z) =√

x2 + y2 + z2 + µ(x2 + y2 + z2 − R2) ,

dove µ = µ(λ) e una funzione C1 di λ da determinare — il moltiplicatore di Lagrange delproblema. Si verifica immediatamente che le equazioni di Eulero-Lagrange associate allalagrangiana L sono

d

( x√x2 + y2 + z2

)− 2µx = 0

d

( y√x2 + y2 + z2

)− 2µy = 0

d

( z√x2 + y2 + z2

)− 2µz = 0

e che introducendo l’ascissa curvilinea s della geodetica dette equazioni possono esprimersinella forma equivalente

d2x

ds2= 2

dsµx

d2y

ds2= 2

dsµ y

d2z

ds2= 2

dsµ z .

(3.4.3)

Posto P −O = x e1 +y e2 + z e3, l’equazione delle geodetiche (3.4.3) si riduce alla relazionevettoriale

d2P

ds2= 2

dsµ (P −O) (3.4.4)

Stefano Siboni 83

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che formalmente presenta una struttura analoga alle equazioni del moto per un puntomateriale in un campo di forze centrali. Moltiplicando vettorialmente membro a membroda sinistra la (3.4.4) per P −O si ottiene infatti l’equazione

(P − O) ∧ d2P

ds2= (P − O) ∧ 2

dsµ (P − O) = 0

che in forza dell’identita(1)

(P − O) ∧ d2P

ds2=

d

ds

[(P −O) ∧ dP

ds

]

diventad

ds

[(P − O) ∧ dP

ds

]= 0

e porge pertanto

(P − O) ∧ dP

ds= K

con K vettore costante di R3. Da notare che, per effetto del vincolo (P −O)2 −R2 = 0, ilvettore P − O — raggio della sfera condotto dal punto P di questa — e il versore dP/ds— tangente alla geodetica e alla sfera in P — sono diversi da zero e fra loro ortogonali

2(P − O) · dP

ds= 0 ,

per cui e certamente K = 0 — e il vettore K e tangente alla sfera nel punto P dellageodetica. Ne deriva che

(P − O) · K = (P − O) · (P −O) ∧ dP

ds= 0

ovvero, posto K = K1e1 + K2e2 + K3e3 e tornando alle coordinate cartesiane,

K1x + K2y + K3z = 0

che e l’equazione di un piano passante per il centro O della superficie sferica. E siccome leintersezioni fra la sfera e i piani passanti per il suo centro sono i cosiddetti cerchi massimidella sfera, si conclude che le geodetiche della sfera sono i suoi archi di cerchio massimo.La prova che le geodetiche giacciono su un piano passante per il centro O e molto similealla dimostrazione della planarita delle traiettorie per il punto materiale in moto in uncampo di forze centrali.

(1)si noti in questo l’analogia con la derivazione della seconda equazione cardinale della dinamica, laddove

(P−O)∧ mP= ddt [(P−O)∧mP ], con O punto fisso

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3.4.2 Geodetiche della sfera in coordinate polariSi puo rappresentare la superficie sferica mediante la parametrizzazione regolare

x = R sin θ cos φ

y = R sin θ sinφ

z = R cos θ

θ ∈ (0, π) , φ ∈ R , (3.4.5)

dove θ e φ sono le usuali coordinate polari di colatitudine e longitudine. Lungo unagenerica curva regolare sulla superficie, parametrizzata da (3.4.5) con θ = θ(λ) e φ = φ(λ),λ ∈ [λ1, λ2], si hanno le derivate prime

x = R(cos θ cos φ θ − sin θ sinφ φ)y = R(cos θ sinφ θ + sin θ cos φ φ)

z = −R sin θ θ

ed il conseguente modulo quadrato

x2 + y2 + z2 = R2(θ2 + sin2θφ2)

in modo che l’integrale della lunghezza diventa

L =

λ2∫λ1

R(θ2 + sin2θφ2)1/2dλ

essendo, per una curva regolare, θ2 + sin2θ φ2 > 0 ∀λ ∈ [λ1, λ2]. Omesso l’inessenzialefattore costante R, la lagrangiana efficace del sistema si riduce a

L(θ, θ, φ) = (θ2 + sin2θφ2)1/2

e le geodetiche sono individuate da tutte e soltanto le soluzioni delle equazioni di Eulero-Lagrange

d

(∂L

∂φ

)− ∂L

∂φ= 0

d

(∂L

∂θ

)− ∂L

∂θ= 0 . (3.4.6)

Poiche ∂L/∂φ = 0 dalla prima equazione segue l’integrale di Beltrami

∂L

∂φ=

sin2θ φ

(θ2 + sin2θφ2)1/2= a , costante , (3.4.7)

mentre la seconda delle equazioni (3.4.6) si scrive esplicitamente come

d

(θ2 + sin2θφ2)1/2

]− sin θ cos θ φ2

(θ2 + sin2θφ2)1/2= 0 . (3.4.8)

Conviene esaminare separatamente i casi di a = 0 e a = 0.

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(i) Integrale di Beltrami nulloPer a = 0 l’equazione (3.4.7) si riduce a

sin2θ φ = 0 ⇐⇒ φ = 0

in modo che la seconda equazione (3.4.8) diventa

d

( θ

|θ|

)= 0

e non potendo che risultare |θ| > 0 e identicamente soddisfatta. Tutte le funzioni

φ = costante

con θ variabile a piacere in (0, π) sono dunque soluzioni delle equazioni di Eulero-Lagrangeed individuano altrettante linee geodetiche della sfera. Si tratta dei meridiani tracciatisulla sfera, privati dei poli θ = 0 e θ = π, che devono essere esclusi per garantire laregolarita della parametrizzazione (3.4.5).

(ii) Integrale di Beltrami diverso da zeroSe a = 0, dalla (3.4.7) si deduce

φ =a

sin2θ(θ2 + sin2θ φ2)1/2 (3.4.9)

e che pertanto φ e di segno costante lungo tutta la soluzione. Cio significa che φ(λ) e unafunzione monotona crescente, e percio invertibile, di λ: essa costituisce un diffeomorfismodi [λ1, λ2] su un opportuno intervallo chiuso e limitato della variabile φ. Per esprimere lageodetica e cosı possibile usare φ come variabile indipendente in luogo di λ. Sostituendo la(3.4.9), la seconda equazione di Eulero-Lagrange diventa allora un’equazione differenzialenella funzione incognita θ(φ):

φd

( dθ

a

sin2θ

)− a

sin2θsin θ cos θ φ = 0

nella quale i fattori non nulli a e φ si possono raccogliere e semplificare:

d

( 1sin2θ

)− cos θ

sin θ= 0 . (3.4.10)

L’equazione ottenuta si puo integrare esplicitamente notando che

1sin2θ

dφ= − d

(cos θ

sin θ

)

per cui la (3.4.10) diventad2

dφ2

(cos θ

sin θ

)+

cos θ

sin θ= 0

Stefano Siboni 86

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in cui e immediato riconoscere l’equazione di un oscillatore armonico di pulsazione unitariaed elongazione cos θ/ sin θ. La relativa soluzione generale si scrive percio

cos θ

sin θ= b cos(φ + c) , φ ∈ R , (3.4.11)

con b e c costanti reali arbitrarie. Il risultato ottenuto si puo interpretare conveneiente-mente dal punto di vista geometrico espandendo il secondo membro della (3.4.11) con laformula di somma del coseno

cos θ

sin θ= b cos c cos φ − b sin c sin φ

e moltiplicando poi membro a membro per R sin θ

R cos θ = b cos c R sin θ cos φ − b sin c R sin θ sinφ .

Basta infatti sostituire le espressioni (3.4.5) per arrivare alla relazione fra le coordinatex, y, z:

z = b cos c x − b sin c y

che per l’arbitrarieta delle costanti b e c rappresenta un qualsiasi piano passante per ilcentro O ma non per l’asse Oz: la geodetica corrispondente si identifica con un qualsiasiarco di cerchio massimo che non coincida con un meridiano.

Mettendo insieme i risultati (i) e (ii) si conclude che le linee geodetiche sulla sfera sonotutti e soli gli archi di cerchio massimo, in accordo con quanto gia stabilito.

4. Catenaria omogenea.Come e noto la catenaria omogenea e la curva secondo la quale si dispone, all’equilibrio,una fune ideale omogenea inestendibile ad estremi fissi soggetta unicamente al proprio peso— curva funicolare.

4.1 Caratterizzazione mediante le equazioni intrinseche di equilibrio della funeLe equazioni intrinseche di equilibrio della fune si scrivono

d

ds

(T

dP

ds

)+ f = 0

dove s e l’ascissa curvilinea, T > 0 rappresenta la tensione della fune e f indica la densitadelle forze distribuite. Rispetto ad una terna cartesiana ortogonale Ox1x2x3 avente l’asseOx3 orientato verticalmente verso l’alto, la densita delle forze peso assume la forma

f = −λg e3

in termini dell’accelerazione gravitazionale g > 0 e della densita lineare di massa λ dellafune. Le equazioni intrinseche di equilibrio diventano percio

d

ds

(T

dP

ds

)− λg e3 = 0

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e separando le singole componenti cartesiane si riducono al sistema

d

ds

(T

dx1

ds

)= 0

d

ds

(T

dx2

ds

)= 0

d

ds

(T

dx3

ds

)= λg .

(4.1.1)

Dalle prime due equazioni si deducono gli ovvi integrali primi

Tdx1

ds= p1 T

dx2

ds= p2 . (4.1.2)

Qualora le costanti p1 e p2 siano entrambe nulle la curva di equilibrio e una retta verticale,avendosi

dx1

ds= 0

dx2

ds= 0

mentre dalla condizione di normalizzazione del versore tangente

(dx1

ds

)2

+(dx2

ds

)2

+(dx3

ds

)2

= 1

segue che l’ascissa curvilinea coincide con la quota x3 a meno di un eventuale cambiamentodi segno e di una traslazione, in quanto

(dx

ds

)2

= 1 .

In ogni caso la terza delle equazioni di equilibrio (4.1.1) si semplifica e prende la forma

dT

dx3= λg

dalla quale si deduce il campo di tensioni lungo la funicolare

T (x3) = λgx3 + T (0) .

Se viceversa le costanti p1 e p2 non sono entrambe nulle, e sempre possibile usare una dellevariabili x1 o x2 come variabile indipendente in luogo dell’ascissa curvilinea s. Si supponga,per fissare le idee, che p1 = 0. Allora la prima delle (4.1.2) consente di riconoscere x1(s)come funzione monotona dell’ascissa curvilinea, avendo derivata di segno definito — lostesso di p1 —

dx1

ds=

p1

T.

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Risulta cosı definita la funzione inversa s = s(x1), di cui e inoltre facile verificare laregolarita C2: in tal modo l’ascissa x1 viene adottata come variabile indipendente al postodell’ascissa curvilinea s. La seconda delle (4.1.2) diventa

dx2

dx1=

p2

p1

e porta a concludere che la curva funicolare si colloca in un piano verticale

x2 =p2

p1x1 + costante

come peraltro ci si aspetta a priori data la natura del campo di forze distribuite applicato— sistema di forze parallele. La terza equazione di equilibrio (4.1.1) si scrive invece

d

ds

(p1

dx3

dx1

)= λg

ossiadx1

ds

d2x3

dx21

=λg

p1

dove ( ds

dx1

)2

= 1 +(dx2

dx1

)2

+(dx3

dx1

)2

= 1 +(p2

p1

)2

+(dx3

dx1

)2

per cuidx1

ds=

sgnp1√1 +

(p2

p1

)2

+(dx3

dx1

)2

e quindisgnp1√

1 +(p2

p1

)2

+(dx3

dx1

)2

d2x3

dx21

=λg

p1. (4.1.3)

Con la sostituzione

x3 =

√1 +

(p2

p1

)2

z

l’equazione (4.1.3) diventa1√

1 +( dz

dx1

)2

d2z

dx21

=λg

|p1|

che e risolvibile per separazione di variabili ponendo preliminarmente dz/dx1 = ξ

1√1 + ξ2

dx1=

λg

|p1|

Stefano Siboni 89

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e quindi integrando l’equazione ottenuta∫1√

1 + ξ2dξ =

λg

|p1|x1 + a

per otteneredz

dx1= ξ = sinh

( λg

|p1|x1 + a

).

Una ulteriore integrazione porge infine la soluzione cercata

z =|p1|λg

cosh( λg

|p1|x1 + a

)+ b

che nelle variabili originarie torna a scriversi come

x3 =

√p21 + p2

2

λgcosh

( λg

|p1|x1 + a

)+ b

√p21 + p2

2

|p1|

con a e b costanti reali arbitrarie. Si noti che la forma della soluzione generale ottenutanon cambia se il fattore positivo che moltiplica la costante arbitraria b viene omesso:

x3 =

√p21 + p2

2

λgcosh

( λg

|p1|x1 + a

)+ b . (4.1.4)

4.2 Caratterizzazione variazionale della catenariaLo stesso risultato del punto precedente puo ricavarsi imponendo che la fune, di estremifissi e lunghezza assegnata, abbia energia potenziale gravitazionale stazionaria.L’energia potenziale — gravitazionale — della fune si ricava integrando la densita di energiapotenziale gravitazionale

Wg =

ξ2∫ξ1

[P (ξ) − O] · e3 λg|P ′(ξ)| dξ =

ξ2∫ξ1

[P (ξ) − O] · e3 λg[P ′(ξ)2]1/2dξ

mentre la condizione di inestendibilita si traduce nel constraintξ2∫

ξ1

|P ′(ξ)| dξ =

ξ2∫ξ1

[P ′(ξ)2]1/2dξ = L , costante .

Si richiede dunque di calcolare il minimo ad estremi fissi del funzionale dell’energia poten-ziale Wg con il vincolo di L costante. Si tratta di determinare una funzione P (ξ), ξ ∈ [ξ1, ξ2]che renda stazionario, ad estremi fissi, il funzionale ausiliario

Wg − µL =

ξ2∫ξ1

[P (ξ) − O] · e3 λg − µ[P ′(ξ)2]1/2dξ

Stefano Siboni 90

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in cui la costante scalare µ rappresenta il cosiddetto moltiplicatore di Lagrange del prob-lema. La condizione di stazionarieta ad estremi fissi del funzionale Wg − µL equivale alleequazioni di Eulero-Lagrange

d

( ∂L

∂xi

)− ∂L

∂xi= 0 i = 1, 2, 3

con Lagrangiana

L(x1, x2, x3, x1, x2, x3) = (λgx3 − µ)[x21 + x2

2 + x23]

1/2

essendosi indicate con x1 = x1(ξ), x2 = x2(ξ), x3 = x3(ξ) le coordinate cartesiane di P (ξ)e con x1 = x1(ξ), x2 = x2(ξ), x3 = x3(ξ) le relative derivate prime rispetto alla variabileindipendente ξ. Si hanno due integrali primi di Poisson — o di Beltrami — associati allevariabili cicliche x1 ed x2:

p1 =∂L

∂x1= (λgx3 − µ)

x1

[x21 + x2

2 + x23]1/2

p2 =∂L

∂x2= (λgx3 − µ)

x2

[x21 + x2

2 + x23]1/2

(4.2.1)

dai quali si deduce che

p2x1 − p1x2 = 0 ⇐⇒ p2x1 − p1x2 = c , costante , ∀ ξ ∈ [ξ1, ξ2]

a conferma del fatto che la funicolare e una curva piana, completamente ubicata nel pianoverticale di equazione p2x1 − p1x2 = c. Gli integrali p1 e p2 sono associati alle prime dueequazioni di Eulero-Lagrange, per i = 1, 2 rispettivamente. La terza equazione vale invece

d

[(λgx3 − µ)

x3

[x21 + x2

2 + x23]1/2

]− λg[x2

1 + x22 + x2

3]1/2 = 0

ed in termini dell’ascissa curvilinea s definita da

ds

dξ= [x2

1 + x22 + x2

3]1/2

si esprime nella forma equivalente

d

ds

[(λgx3 − µ)

dx3

ds

]= λg (4.2.2)

Usando s come variabile indipendente le equazioni (4.2.1) diventano infine

p1 = (λgx3 − µ)dx1

dsp2 = (λgx3 − µ)

dx2

ds. (4.2.3)

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Se p1 e p2 assumono entrambe valore nullo, le (4.2.3) implicano che x1 e x2 si mantenganocostanti lungo l’intera curva di equilibrio, che pertanto costituisce un segmento di rettaverticale. La circostanza piu interessante ricorre quando (p1, p2) = (0, 0). Si supponga,per fissare le idee, che p1 = 0. Per le (4.2.3) lungo la funicolare deve aversi

λgx3 − µ = 0dx1

ds= 0

e quindidx1

ds=

p1

λgx3 − µ

di segno costante per via della continuita delle funzioni dx1/ds e λgx3 −µ. E dunque pos-sibile utilizzare x1 come variabile indipendente in luogo dell’ascissa curvilinea s e scriverela seconda delle (4.2.3) come

p2 = (λgx3 − µ)dx1

ds

dx2

dx1= p1

dx2

dx1

mentre per la (4.2.2) risulta

dx1

ds

d

dx1

[(λgx3 − µ)

dx3

dx1

dx1

ds

]= λg

ossiap1

λgx3 − µ

d

dx1

(p1

dx3

dx1

)= λg

e quindi, isolando la derivata a primo membro

d2x3

dx21

=λ2g2

p21

x3 −µλg

p21

.

Di questa equazione del secondo ordine, lineare a coefficienti costanti non omogenea, lasoluzione generale si esprime nella forma

x3 = a + c1eλg|p1 |x1 + c2e

− λg|p1|x1

dove c1, c2 sono costanti reali arbitrarie e la costante a e determinata come soluzioneparticolare

0 =λ2g2

p21

a − µλg

p21

risultando percio

a =p21

λ2g2

µλg

p21

λg

Stefano Siboni 92

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in modo che la soluzione generale dell’equazione diventa

x3 =µ

λg+ c1e

λg|p1 |x1 + c2e

− λg|p1|x1 . (4.2.4)

In realta le costanti c1 e c2 non possono assegnarsi a piacere in quanto la variabile in-dipendente originaria, s, ha il significato geometrico di una ascissa curvilinea e deve percioverificare la condizione di normalizzazione del versore tangente

1 =(dx1

ds

)2[1 +

(dx2

dx1

)2

+(dx3

dx1

)2]

=

=p21

(λgx3 − µ)2

[1 +

p22

p21

+λ2g2

p21

(c1e

λg|p1| x1 − c2e

− λg|p1 |x1

)2]

=

=p21 + p2

2 + λ2g2(c1e

λg|p1| x1 − c2e

− λg|p1 |x1

)2

λ2g2(c1e

λg|p1|x1 + c2e

− λg|p1| x1

)2 =

p21 + p2

2

λ2g2+ c2

1e2λg|p1|x1 + c2

2e− 2λg

|p1| x1 − 2c1c2

c21e

2λg|p1 |x1 + c2

2e− 2λg

|p1|x1 + 2c1c2

,

per cuip21 + p2

2

λ2g2− 2c1c2 = 2c1c2

ed infine

c1c2 =p21 + p2

2

4λ2g2> 0 .

La soluzione (4.2.4) ha cosı una forma piu particolare

x3 =µ

λg+

√c1c2

[√c1

c2e

λg|p1| x1 +

√c2

c1e− λg

|p1| x1

]=

λg+

√p21 + p2

2

2λg

[√c1

c2e

λg|p1| x1 +

√c2

c1e− λg

|p1 |x1

] (4.2.5)

per via del fatto che le costanti c1 c2 hanno prodotto pari ad una costante positiva fissata.Questo risultato puo porsi facilmente nella forma (4.1.4) con la sostituzione√

c1

c2= ea ⇐⇒

√c2

c1= e−a , a ∈ R ,

sicche la (4.2.5) si riduce a

x3 =µ

λg+

√p21 + p2

2

2λg

[e

λg|p1| x1+a + e

−( λg|p1| x1+a)

]=

µ

λg+

√p21 + p2

2

λgcosh

( λg

|p1|x1 + a

)

e basta identificare la costante arbitraria µ/λg con la costante b, del pari arbitraria, perottenere l’espressione (4.1.4). La caratterizzazione variazionale della catenaria omogeneae equivalente a quella basata sulle equazioni intrinseche di equilibrio dei fili.

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5. Equilibrio di una fune ideale omogenea in un campo conservativoSi supponga che una fune omogenea ideale, perfettamente flessibile e inestendibile, adestremi fissati, sia soggetta ad un campo di forze distribuite posizionali conservative didensita

f(x) = −∂W

∂x(x)

essendo W (x) la densita di energia potenziale di dette sollecitazioni. Le equazioni intrin-seche di equilibrio della fune si scrivono allora

d

ds

(T

dxi

ds

)− ∂W

∂xi= 0 i = 1, 2, 3

ossia, una volta eseguita la derivata del prodotto,

dT

ds

dxi

ds+ T

d2xi

ds2− ∂W

∂xi(x) = 0 i = 1, 2, 3 .

Moltiplicando membro a membro per dxi/ds le equazioni precedenti e sommando in i =1, 2, 3 si ottiene

dT

ds

3∑i=1

dxi

ds

dxi

ds+ T

3∑i=1

d2xi

ds2

dxi

ds−

3∑i=1

∂W

∂xi(x)

dxi

ds= 0

ma poiche

3∑i=1

dxi

ds

dxi

ds= 1

3∑i=1

d2xi

ds2

dxi

ds=

d

ds

[12

3∑i=1

(dxi

ds

)2]

= 0 ,

mentre3∑

i=1

∂W

∂xi(x)

dxi

ds=

dW (x)ds

,

si conclude chedT

ds− dW

ds= 0

e quindi che lungo la funicolare deve aversi

T (s) − W [x(s)] = −µ ∀ s ∈ [0, L]

per una costante reale µ opportuna, essendo L la lunghezza complessiva della fune. Latensione della fune coincide con la densita di energia potenziale, a meno di una costanteadditiva che dipende dalle condizioni iniziali — o al contorno. Le equazioni di equilibriopossono percio porsi nella forma

d

ds

([W (x) − µ]

dxi

ds

)− ∂W

∂xi(x) = 0 i = 1, 2, 3 (5.1)

Stefano Siboni 94

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per una appropriata costante µ ∈ R.Di questo risultato si puo dare una caratterizzazione variazionale, considerando l’energiapotenziale totale Wγ della fune che viene ricavata per integrazione della densita W (x). Sex(ξ), ξ ∈ [ξ1, ξ2], e la parametrizzazione regolare del supporto γ della fune, si ha

Wγ =

ξ2∫ξ1

W [x(ξ)]∣∣∣∣dx

dξ(ξ)∣∣∣∣ dξ .

Di questa energia potenziale si vuole determinare un estremo ad estremi fissi imponendola condizione che la lunghezza totale della fune

L =

ξ2∫ξ1

∣∣∣∣dx

dξ(ξ)∣∣∣∣ dξ

si mantenga costante. Cio equivale ad individuare un estremo del funzionale

Wγ − µL =

ξ2∫ξ1

[W [x(ξ)] − µ]∣∣∣∣dx

dξ(ξ)∣∣∣∣ dξ (5.2)

dove la costante µ costituisce il moltiplicatore di Lagrange del problema. Posto al solitox = dx/dξ, la lagrangiana formale associata al funzionale (5.2) vale

L(x, x) = [W (x) − µ](x2)1/2

per cui la condizione di stazionarieta δ(Wγ − µL) del funzionale equivale alle equazioni diEulero-Lagrange

d

( ∂L

∂xi

)− ∂L

∂xi= 0 i = 1, 2, 3

dove∂L

∂xi= [W (x) − µ](x2)−1/2xi = [W (x) − µ]

dxi

ds

d

( ∂L

∂xi

)=

d

([W (x) − µ]

dxi

ds

) ∂L

∂xi=

∂W

∂xi(x)(x2)1/2

e quindid

ds

([W (x) − µ]

dxi

ds

)− ∂W

∂xi(x) = 0 i = 1, 2, 3 . (5.3)

Appare evidente che queste equazioni coincidono con quelle gia ricavate partendo diretta-mente dalle equazioni intrinseche di equilibrio della fune.

Stefano Siboni 95

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6. Il problema della brachistocrona.Il primo, e dunque il piu classico, dei problemi variazionali e quello detto della brachis-tocrona, che storicamente venne risolto ricorrendo al principio di Fermat dell’ottica ge-ometrica. In queste note il problema verra affrontato utilizzando i metodi standard delcalcolo delle variazioni.

6.1 Formulazione del problema fisicoUn punto materiale pesante e vincolato a scorrere lungo una curva liscia che congiungedue punti fissati in un piano verticale. Il punto parte con velocita nulla dal primo estremo,quindi si muove lungo la curva sotto l’azione del proprio peso e della reazione vincolare.Si vuole determinare per quale curva di estremi assegnati il tempo occorrente al puntomateriale per passare dal primo al secondo estremo risulta minimo. Tale curva risultadefinita ed univocamente determinata dalle posizioni estreme del moto ed e nota comebrachistocrona — letteralmente, dal greco, linea del tempo piu breve.

6.2 Curve ammissibiliNel piano Oxy, con asse verticale Oy, un punto materiale pesante P di massa m e vincolatoa scorrere senza attrito lungo una curva γ di estremi fissati. La curva si assume regolare eC2, con parametrizzazione

λ ∈ [λ1, λ2] −−−−−−−−−−−→ (x(λ), y(λ)) ∈ R2

in modo che (dx

dλ(λ),

dy

dλ(λ))= (0, 0) ∀λ ∈ [λ1, λ2] .

Senza perdita di generalita il primo estremo di γ viene identificato con l’origine del sistemadi coordinate

(x(λ1), y(λ1)) = (0, 0)

mentre il secondo estremo viene indicato per brevita come

(x(λ2), y(λ2)) = (a, f(a)) ,

Stefano Siboni 96

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potendosi sempre assumere a ≥ 0 — ricorrendo alla eventuale inversione dell’asse delleascisse, se necessario.

La lagrangiana del sistema ideale si scrive

L =m

2

[(dx

)2

+( dy

)2]

λ2 − mgy(λ)

e l’equazione pura del moto e quella di Lagrange

d

dt

(∂L

∂λ

)− ∂L

∂λ= 0

di cui siamo interessati alla soluzione di condizioni iniziali (λ(0), λ(0)) = (λ1, 0). Talesoluzione deve accedere alla posizione finale (x(λ2), y(λ2)) = (a, f(a)) in un intervallo ditempo finito. La condizione necessaria e sufficiente affinche questa proprieta risulti soddi-sfatta si determina applicando i criteri di Weierstrass all’energia potenziale gravitazionale

W (λ) = mgy(λ) , λ ∈ [λ1, λ2]

e consiste nel richiedere che:

(i) sia y(λ) < 0 ∀λ ∈ (λ1, λ2). Se infatti esistesse un λ ∈ (λ1, λ2) tale che y(λ) = 0,allora per y′(λ) = 0 la soluzione ammetterebbe in λ = λ un punto di meta asintotica,per cui la soluzione considerata non passarebbe per l’estremo B. In modo analogo,per y′(λ) > 0 ricorre in λ = λ un punto di inversione del moto. Anche in questosecondo caso la soluzione considerata non potrebbe transitare per l’estremo B;

(ii) debba aversi y(λ1) = 0, in conformita alle condizioni iniziali, ed inoltre y′(λ1) < 0.Qualora fosse y′(λ1) > 0, la funzione y(λ) assumerebbe segno positivo in un intornodestro di λ2 e l’estremo B risulterebbe inaccessibile al moto, mentre per y′(λ1) = 0 lasoluzione si ridurrebbe alla quiete nel primo estremo O, ancora senza alcuna possibilitadi accesso all’estremo finale;

(iii) valga y(λ2) ≤ 0, con y′(λ2) > 0 per y(λ2) = 0. Se si avesse y′(λ2) = 0 il moto pre-senterebbe una meta asintotica in λ = λ2 ed il tempo di percorrenza della traiettoriarisultarebbe infinito.

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Le traiettorie ammissibili sono quindi quelle per le quali la funzione y(λ) ha uno degliandamenti illustrati nella figura seguente:

6.3 Tempo di percorrenza della curvaIl teorema di conservazione dell’energia meccanica porge l’equazione

m

2v(λ)2 + mgy(λ) =

m

2v(λ1)2 + mgy(λ1) =

m

202 + mg0 = 0

nella quale v(λ) indica la velocita istantanea scalare del punto in una generica posizione,individuata da λ, lungo la traiettoria γ. Tale velocita scalare puo pertanto scriversi infunzione della posizione λ

v(λ) =√

2g√

−y(λ)

e consente di esprimere il tempo di percorrenza della traiettoria per mezzo dell’integraledefinito

T =

λ2∫λ1

ds(λ)v(λ)

=1√2g

λ2∫λ1

1√−y

√(dx

)2

+(dy

)2

dλ (6.3.1)

dove l’elemento infinitesimo di lunghezza di γ e definito come

ds(λ) =

√(dx

)2

+(dy

)2

dλ .

6.4 Condizione di stazionarieta per il tempo di percorrenzaL’integrale del tempo di percorrenza puo essere interpretato come un funzionale non linearedelle funzioni incognite x(λ) e y(λ). Piu specificamente, puo esprimersi nella forma

T =1√2g

λ2∫λ1

F(x, y, y)dλ (6.4.1)

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a patto di porre per brevitadx

dλ= x

dy

dλ= y

e di introdurre la funzione

F(x, y, y) =

√x2 + y2

√−y= (x2 + y2)

12 (−y)−

12 (6.4.2)

definita nell’intero intervallo di integrazione [λ1, λ2] esclusi al piu gli estremi — la funzionee formalmente indefinita in λ1 in quanto y(λ1) = 0 per ipotesi, mentre puo esserlo o menonel secondo estremo λ2, secondo che sia y(λ2) = 0 o y(λ2) < 0.Condizione necessaria perche la curva considerata (x(λ), y(λ)) sia quella con il tempo dipercorrenza minimo fra tutte le curve di uguali estremi e che si annulli la variazione primadel funzionale ad estremi fissi

δT =1√2g

λ2∫λ1

[∂F

∂x− d

(∂F

∂x

)]δxdλ +

1√2g

λ2∫λ1

[∂F

∂y− d

(∂F

∂y

)]δy dλ (6.4.3)

per ogni variazione (δx(λ), δy(λ)) della parametrizzazione (x(λ), y(λ)), che sia C2 in [λ1, λ2]e tale che (δ(λ1), δ(λ1)) = (δ(λ2), δ(λ2)) = (0, 0). Condizione equivalente e che esista unasoluzione in λ ∈ (λ1, λ2) delle equazioni di Eulero-Lagrange

d

(∂F

∂x

)− ∂F

∂x= 0

d

(∂F

∂y

)− ∂F

∂y= 0 (6.4.4)

che soddisfi le condizioni al contorno assegnate:

(x(λ1), y(λ1)) = (0, 0) (x(λ2), y(λ2)) = (a, f(a)) .

E opportuno sottolineare come l’integrando nel funzionale (6.4.1) non sia di classe C2

nell’intero dominio di integrazione [λ1, λ2], causa la singolarita integrabile certamente pre-sente in λ = λ1 e quella che potrebbe altresı ricorrere in λ = λ2, qualora fosse y(λ2) = 0.Apparentemente viene percio meno il requisito di regolarita che consente di esprimere lavariazione prima di T per mezzo della relazione (6.4.3). In realta l’argomento che con-duce alla (6.4.3) ed alle susseguenti equazioni di Eulero-Lagrange e ancora applicabilenell’intervallo aperto (λ1, λ2), a patto di considerare variazioni δx(λ) e δy(λ) con supportocompatto incluso nello stesso intervallo (λ1, λ2) — mentre potrebbero incontrarsi probleminel caso di variazioni il cui supporto comprenda l’uno o l’altro degli estremi di integrazione.Sostituendo la (6.4.2) in (6.4.4) in modo si ottengono le equazioni di Eulero-Lagrange informa esplicita:

d

( x√x2 + y2

1√−y

)= 0 (6.4.5a)

d

( y√x2 + y2

1√−y

)=

12

√x2 + y2 (−y)−

32 . (6.4.5b)

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6.5 Soluzione delle equazioni di Eulero-LagrangeL’equazione (6.4.5a) individua l’integrale primo

px(x, y, x, y) =x√

x2 + y2

1√−y(6.5.1)

per cui lungo tutte le soluzioni delle equazioni di Eulero-Lagrange vale

x√x2 + y2

1√−y= c = costante .

Conseguentemente, devono distinguersi tre diversi casi:

(i) se c > 0 si ha che x > 0, in modo che l’ascissa e una funzione monotona crescente delparametro λ. In particolare, dovra aversi a > 0;

(ii) se c = 0 si deduce che x = 0 identicamente nell’intervallo [λ1, λ2], sicche x(λ) simantiene costante nello stesso dominio. In virtu della condizione costante x(λ1) = 0si conclude che x(λ) = 0 ∀λ ∈ [λ1, λ2]: cio significa che la curva γ si dispone lungol’asse verticale Oy.

(iii) se infine c < 0 risulta invece x < 0 ∀λ ∈ [λ1, λ2]. x(λ) e percio una funzione monotonadecrescente, con a < 0;

I casi (i) e (iii) sono sostanzialmente equivalenti, potendosi ricondurre l’uno all’altro me-diante una semplice inversione dell’asse delle ascisse; ci si puo pertanto limitare ad esami-nare in dettaglio il solo caso (i). A parte va esaminato il caso (ii).

Caso (i)Essendo x > 0 ∀λ ∈ [λ1, λ2] la funzione x(λ) risulta monotona crescente ed e lecito consid-erare x come variabile indipendente in luogo del parametro λ. L’ordinata y si esprimeradunque come funzione di x:

y = f(x) = y[λ(x)]

derivabile con derivata primady

dx(x) = f ′(x) =

y

x.

L’integrale primo (6.5.1) diventa percio

Px[x, f(x), f ′(x)] =1√

1 + f ′(x)21√

−f(x)

mentre l’equazione (6.4.5b) assume la forma

d

dx

[f ′(x)√

1 + f ′(x)21√

−f(x)

]=

12

√1 + f ′(x)2 [−f(x)]−

32

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ossia, eseguendo la derivata a primo membro e semplificando,

[−f(x)] f ′′(x) − 12[1 + f ′(x)2] = 0 (6.5.2)

grazie all’identita

d

dx

[f ′(x)√

1 + f ′(x)21√

−f(x)

]=

=∂

∂f ′[f ′(1 + f ′2)−1/2

]f ′′(−f)−1/2 + f ′(1 + f ′2)−1/2

(−1

2

)(−f)−3/2(−f ′) =

= (1 + f ′2)−3/2f ′′(−f)−1/2 +12f ′2(1 + f ′2)−1/2(−f)−3/2 .

L’equazione (6.5.2) e immediatamente riducibile alla forma normale

f ′′ =12

1 + f ′2

−f

e puo ovviamente esprimere come sistema normale equivalente del primo ordine nelle va-riabili dipendenti f ed h = f ′:

f ′ = h

h′ =12

1 + h2

−f

(f, h) ∈ R− × R (6.5.3)

che ammette l’integrale primo

πx(f, h) =1√

1 + h2

1√−f

per cui lungo le soluzioni di (6.5.3) deve aversi

1√1 + h2

1√−f

= c

ossia(1 + h2)(−f) =

1c2

(6.5.4)

con c costante positiva. La seconda delle (6.5.3) puo allora essere ridotta ad una equazionenella sola variabile h:

h′ =12

1 + h2

−f=

c2

2(1 + h2)2 (6.5.5)

dalla quale e subito evidente che la slope h della curva estremale risulta una funzionemonotona crescente: la brachistocrona e una curva convessa. Dalla (6.5.4) appare peraltrochiaro che essendo c2 >, f(0) = 0 e f(x) > 0 ∀x ∈ (0, a), deve aversi

limx→0+

h(x)2 = limx→0+

1c2

1−f(x)

− 1 = +∞

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per cuilim

x→0+f ′(x) = lim

x→0+h(x) = −∞ . (6.5.6)

La (6.5.5) si risolve per separazione di variabili mediante la formula

c2

2x =

f ′(x)∫f ′(0+)

dh

(1 + h2)2=

f ′(x)∫−∞

dh

(1 + h2)2∀x ∈ (0, a)

dove l’integrale a secondo membro si calcola esplicitamente introducendo il cambiamentodi variabili h → ξ definito da

ξ ∈ (−π/2, ξ+) −−−−−−→ h = tgξ ∈ (−∞, f ′(a)) , ξ+ = tg−1[f ′(a)] ,

che porge

c2

2x =

ξ∫−π/2

1(1 + tg2ξ)2

1cos2 ξ

dξ =

ξ∫−π/2

cos4ξ1

cos2ξdξ =

ξ∫−π/2

cos2ξ dξ =

=

ξ∫−π/2

1 + cos 2ξ

2dξ =

12

[ξ +

sin 2ξ

2

−π/2

=12

(ξ +

sin2ξ

2+

π

2

)

e quindi

x =1

2c2(2ξ + sin2ξ + π) , ξ ∈ (−π/2, ξ+) . (6.5.7)

La componente y(ξ) della parametrizzazione si ricava integrando l’espressione della derivata

dy

dξ= f ′[x(ξ)]

dx

dξ(ξ) = tgξ

12c2

(2 + 2 cos 2ξ) = tgξ1c2

(1 + cos 2ξ) =

=1c2

tgξ 2 cos2ξ =1c2

2 sin ξ cos ξ =1c2

sin 2ξ

dalla quale segue

y(ξ) = y(−π/2) +

ξ∫−π/2

1c2

sin 2ξ dξ = 0 +1c2

[−cos 2ξ

2

−π/2

=1

2c2(−1 − cos 2ξ)

∀ ξ ∈ (−π/2, ξ+). Prolungando il risultato, per continuita, anche agli estremi ξ = −π/2 eξ = ξ+, la parametrizzazione della brachistocrona si scrive pertanto

x =

12c2

(2ξ + sin 2ξ + π)

y =1

2c2(−1 − cos 2ξ)

ξ ∈ [−π/2, ξ+] . (6.5.8)

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Si tratta di determinare i parametri c > 0 e ξ+ ∈ (−π/2, π/2] usando le coordinate delsecondo estremo

a =

12c2

(2ξ+ + sin 2ξ+ + π)

f(a) =1

2c2(−1 − cos 2ξ+) .

Il parametro ξ+ e specificato univocamente dal quoziente delle due equazioni:

−f(a)a

=1 + cos 2ξ+

2ξ+ + sin2ξ+ + π:= Ψ(ξ+) (6.5.9)

dal momento che la funzione Ψ a secondo membro risulta monotona decrescente nell’inter-vallo [−π/2, π/2], con codominio [0,+∞), come illustrato nel grafico seguente

La costante c > 0 viene infine calcolata dall’ascissa della parametrizzazione:

c =

√12a

(2ξ+ + sin2ξ+ + π) . (6.5.10)

La curva che rende stazionario il tempo di percorrenza e dunque individuata univocamentedai punti iniziale e finale della traiettoria, nel caso considerato che i punti in questionenon siano allineati lungo una retta verticale — a = 0. La brachistocrona cosı ottenuta esuscettibile di una interpretazione geometrica molto semplice, potendosi identificare conun arco di cicloide di parametri opportunamente definiti. La cicloide e definita come lacurva descritta da un punto fissato di una circonferenza che rotola senza strisciare su unaretta assegnata. Scelto l’asse orizzontale Ox come retta di rotolamento e collocata unacirconferenza Γ di raggio r al di sotto di questa, se si indica con θ l’angolo di rotazionedella circonferenza le equazioni

x = rθ − r sin θ = r(θ − sin θ)y = −r + r cos θ = r(−1 + cos θ) ∀ θ ∈ [0, 2π] (6.5.11)

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parametrizzano la cicloide descritta dal punto di Γ che occupa l’origine del sistema dicoordinate per θ = 0 — vedi figura.

La parametrizzazione (6.5.11) della cicloide si riconduce a quella (6.5.8) della brachistocro-na identificando il raggio r della circonferenza generatrice con la costante positiva 1/2c2

ed introducendo in luogo dell’angolo di rotazione θ ∈ [0, 2π] la variabile ξ ∈ [−π/2, π/2]definita da

θ = π + 2ξ .

Il tempo di percorrenza della brachistocrona si ottiene sostituendo la parametrizzazione(6.5.8) nell’espressione (6.3.1), che diventa — con λ = ξ —

Tmin =1√2g

ξ+∫−π/2

1√−y

√(dx

)2

+(dy

)2

dξ =

=1√2g

ξ+∫−π/2

1√1

2c2(1 + cos 2ξ)

√1c4

(1 + cos 2ξ)2 +1c4

sin22ξ dξ =

=1√2g

ξ+∫−π/2

2c

dξ =1c

√2g

(ξ+ +

π

2

)

con le costanti ξ+ ∈ [−π/2, π/2] e c > 0 specificate da (6.5.9) e (6.5.10).

Caso (ii)Nell’ipotesi che sia c = 0 l’individuazione della brachistocrona e molto piu semplice rispettoal caso precedente. Dalla (6.4.5a) si ha infatti che x(λ) = 0 ∀λ ∈ (λ1, λ2), mentrel’equazione (6.4.5b) si riduce ad una identita a patto che risulti y(λ) = 0 ∀λ ∈ (λ1, λ2).Conseguentemente:

− deve risultare x(λ) = a ∀λ ∈ [λ1, λ2];

− y(λ) deve essere una funzione monotona in [λ1, λ2]. In effetti, dovendosi avere y(λ1) =0 e y(λ) < 0 ∀λ ∈ (λ1, λ2), la funzione y(λ) dovra assumersi monotona decrescente.

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Si conclude che la brachistocrona e il segmento di retta verticale che congiunge i due estremiassegnati. Il tempo di percorrenza della traiettoria viene ricavato, al solito, facendo usodella definizione (6.3.1), che diventa

Tmin =1√2g

λ2∫λ1

1√−y

√x2 + y2 dλ =

1√2g

λ2∫λ1

|y|√−ydλ =

1√2g

λ2∫λ1

−y√−ydλ =

=1√2g

[2√

−y(λ)]λ2

λ1

=√

2g

[√−y(λ2) −

√−y(λ1)

]=√

−2gy(λ2)

e corrisponde al tempo di caduta di un grave soggetto all’accelerazione g che parte dallaquiete e percorre una distanza −y(λ2) lungo la verticale.

6.6 Verifica della condizione di minimo localeNel caso di a = 0 — brachistocrona in senso proprio — si puo verificare agevolmente chela curva estremale corrisponde effettivamente ad un minimo relativo forte per il funzionale(6.3.1) del tempo di percorrenza, ad estremi fissi. Scegliendo direttamente l’ascissa x comevariabile indipendente il funzionale si scrive infatti:

T =1√2g

a∫0

√1 + f ′(x)2√−f(x)

dx =1√2g

a∫0

F[f(x), f ′(x)] dx

in termini della funzione densita

F[f(x), f ′(x)] =

√1 + f ′(x)2√−f(x)

.

Per una qualsiasi funzione η(x), di classe C2 nell’intervallo [0, a] e a supporto compattonell’interno dello stesso intervallo, e ∀α ∈ R, la variazione prima del campo f(x) e definitada

δf(x) = αη(x) , x ∈ (0, a)

in modo che si puo scrivere

T (α) =1√2g

a∫0

F[f(x)+αη(x), f ′(x)+αη′(x)] dx = T (0)+δT +12δ2T +o(α2) (α → 0)

dove:

• T (0) rappresenta il valore di T lungo la curva estremale

T (0) = Tmin ;

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• δT e la variazione prima del funzionale, ossia

δT = αdT

dα(α)∣∣∣∣α=0

= αd

a∫0

F[f(x) + αη(x), f ′(x) + αη′(x)] dx

∣∣∣∣α=0

=

=

a∫0

[∂F

∂f− d

dx

( ∂F

∂f ′

)]δf(x)dx = 0 ;

• δ2T indica la variazione seconda del funzionale e vale

δ2T = α2 d2

dα2

a∫0

F[f(x) + αη(x), f ′(x) + αη′(x)] dx

∣∣∣∣α=0

=

= α2

a∫0

[∂2F

∂f2η(x)2 + 2

∂2F

∂f∂f ′ η(x)η′(x) +∂2F

∂f ′2 η′(x)2]

dx =

=

a∫0

[∂2F

∂f2δf(x)2 + 2

∂2F

∂f∂f ′ δf(x)δf ′(x) +∂2F

∂f ′2 δf ′(x)2]

dx

=

a∫0

( δf(x) δf ′(x) )

∂2F

∂f2

∂2F

∂f∂f ′

∂2F

∂f∂f ′∂2F

∂f ′2

δf(x)

δf ′(x)

dx =

=

a∫0

( δf(x) δf ′(x) )HF(f, f ′)

δf(x)

δf ′(x)

dx .

Nella fattispecie un calcolo diretto mostra che

∂2F

∂f2=

34(1 + f ′2)1/2(−f)−5/2

∂2F

∂f∂f ′ =12(1 + f ′2)−1/2f ′(−f)−3/2

∂2F

∂f ′2 = (1 + f ′2)−3/2(−f)−1/2

in modo che la matrice delle derivate seconde diventa

HF(f, f ′) = (−f)−5/2(1 + f ′2)−1/2

3

4(1 + f ′2) −1

2f

−12f (1 + f ′2)−1(−f)2

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con determinante e traccia strettamente positive nell’intero intervallo aperto (0, a):

detHF(f, f ′) =34(−f)2 − 1

4(−f)2 =

12(−f)2

trHF(f, f ′) =34(1 + f ′2) + (1 + f ′2)−1(−f)2 .

La matrice HF(f, f ′) e dunque reale, simmetrica e definita positiva ∀x ∈ (0, a), e costituisceuna funzione continua di x nello stesso intervallo. Ne consegue che per ogni variazione δf(x)C2 in [0, a], a supporto compatto in (0, a) e non identicamente nulla, deve aversi

δ2T =

a∫0

( δf(x) δf ′(x) )HF (f, f ′)

δf(x)

δf ′(x)

dx > 0 ; (6.6.1)

basta osservare che l’integrando in (6.6.1) e strettamente positivo in ogni punto x ∈ (0, a)tale che (δf(x), δf ′(x)) = (0, 0) e che, per la continuita delle funzioni in gioco, la stessaproprieta deve essere soddisfatta in un intorno appropriato di x — teorema di permanenzadel segno. Dall’approssimazione di Taylor

T (α) = T (0) +12δ2T + o(α2) (α → 0)

si deduce la natura di minimo locale della soluzione stazionaria.

7. Il pendolo cicloidaleLa cicloide, il cui arco e stato riconosciuto come il tipo piu generale di brachistocrona, godedi molte proprieta notevoli. Particolarmente interessante e il cosiddetto pendolo cicloidaleche puo immaginarsi realizzato da un punto materiale pesante P , di massa m, vincolatoa scorrere senza attrito lungo una cicloide γ ubicata in un piano verticale, in modo chela sua retta generatrice sia disposta orizzontalmente. Per semplicita conviene scegliere laterna di riferimento Oxyz in modo che l’origine coincida con il punto piu basso della curva— vedi figura.

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La parametrizzazione standard della cicloide, rispetto alla terna O′x′y′z′ che vede collocatonell’origine O′ il punto di pendenza infinita del grafico, e data da

x′ = r(θ − sin θ)

y′ = r(−1 + cos θ)θ ∈ [0, 2π]

dove r > 0 indica il raggio della circonferenza generatrice. Il punto piu basso di γ hacoordinate (x′, y′) = (πr,−2r), per cui la trasformazione fra le coordinate (x′, y′) e lecoordinate (x, y) si scrive

x′ = x + πry′ = y − 2r

⇐⇒

x = x′ − πry = y′ + 2r

In luogo di θ ∈ [0, 2π] conviene poi introdurre il nuovo parametro ξ ∈ [−π, π] definito dallatraslazione

ξ = θ − π .

In questo modo la parametrizzazione della cicloide relativamente alla terna Oxyz diventa

x = r(ξ + sin ξ)

y = r(1 − cos ξ)ξ ∈ [−π, π]

regolare ∀ ξ ∈ (−π, π): gli estremi vanno quindi esclusi dall’analisi del moto vincolato delpunto. La posizione del punto materiale lungo la cicloide, rispetto alla terna Oxyz, vienecosı individuata in termini del parametro lagrangiano ξ:

P − O = r(ξ + sin ξ) e1 + r(1 − cos ξ) e2

in modo che la velocita istantanea vale

P = r[(1 + cos ξ) e1 + sin ξ e2] ξ

e l’accelerazione istantanea si scrive

P = r[(1 + cos ξ) e1 + sin ξ e2] ξ + r(− sin ξ e1 + cos ξ e2) ξ2 .

D’altra parte, un vettore tangente alla cicloide e dato da

1r

∂P

∂ξ= (1 + cos ξ) e1 + sin ξ e2

per cui l’equazione pura del moto, nell’ipotesi di curva liscia, diventa

mP · 1r

∂P

∂ξ= −mg e2 ·

1r

∂P

∂ξ(7.1)

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in quanto le reazioni vincolari Φ esplicabili dal vincolo sono tutte e sole quelle ortogonalialla curva nella posizione occupata dal punto

Φ · 1r

∂P

∂ξ= 0 .

Eseguiti i prodotti scalari l’equazione (7.1) assume la forma esplicita

r[(1 + cos ξ)2 + sin2ξ]ξ + r(− sin ξ − sin ξ cos ξ + cos ξ sin ξ)ξ2 = −g sin ξ

che con semplici manipolazioni algebriche si riduce a

r(1 + cos2ξ + 2 cos ξ + sin2ξ)ξ − r sin ξ ξ2 = −g sin ξ

ed infine a2r(1 + cos ξ)ξ − r sin ξ ξ2 = −g sin ξ

ovvero, equivalentemente,

2(1 + cos ξ)ξ − sin ξ ξ2 = −g

rsin ξ . (7.2)

Nella (7.2) si pone ξ = 2u, introducendo la nuova variabile

u =ξ

2∈(−π

2,π

2

),

per cui l’equazione del moto diventa

2 2 cos2u 2u − 2 sin u cos u 4u2 = −g

r2 sin u cos u

ossiacos2u u − sinu cos u u2 = − g

4rsinu cos u

e quindi semplificando un fattore cosu, mai nullo in (−π/2, π/2),

cos udu

dt+

d

dt(cos u) u = − g

4rsin u .

Il primo membro si puo esprimere come un’unica derivatad

dt(cos uu) = − g

4rsinu

che a sua volta e identificabile con la derivata seconda di sinu

d2

dt2(sin u) = − g

4rsinu .

Non rimane che porre v = sinu ∈ (−1, 1) per ottenere

v = − g

4rv

che e l’equazione di un oscillatore armonico semplice unidimensionale di pulsazione ω =√g/4r. Tutti i moti del sistema sono periodici e rigorosamente isocroni, avendo esatta-

mente lo stesso periodo

T =2π

ω= 2π

√4r

g= 4π

√r

g.

Stefano Siboni 109

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7.1 Realizzazione fisica alternativa del pendolo cicloidaleUn modo fisicamente semplice per realizzare il pendolo cicloidale e il pendolo matematicoa filo con ostacolo fisso rigido. Si supponga che un punto materiale P , di massa m esoggetto al proprio peso, sia connesso mediante un filo di lunghezza L, imponderabile,inestendibile e perfettamente flessibile all’origine O di una terna inerziale Oxyz, aventel’asse Oy diretto verticalmente verso l’alto. Il punto sia vincolato a restare nel pianocoordinato Oxy. Una curva convessa γ, di parametrizzazione (x, y, z) = (x(ξ), y(ξ), 0),ξ ∈ [ξ1, ξ2], passa per l’origine O e costituisce un ostacolo fisso per il filo che, mentre ilpunto P oscilla, si avvolge parzialmente su di essa. Si indichi con s(ξ) l’ascissa curvilinealungo γ, assumendo l’origine O come origine degli spazi lungo la curva, in modo che s = 0in O.

In una generica configurazione del sistema il filo si disporra per un certo tratto OQ lungola curva γ e per il tratto residuo QP seguira la retta tangente a γ in Q. Se si usa laparametrizzazione della curva per rappresentare la posizione del punto di tangenza Q,allora vale

Q −O = x(ξ) e1 + y(ξ) e2

e la posizione del punto P sara individuata dalla relazione geometrica

x = x(ξ) + [L − s(ξ)]dx(ξ)ds(ξ)

y = y(ξ) + [L − s(ξ)]dy(ξ)ds(ξ)

ξ ∈ [ξ1, ξ2] (7.1.1)

nella quale l’ascissa curvilinea s(ξ) di Q dovra beninteso risultare non superiore allalunghezza complessiva L del filo:

s(ξ) ≤ L ∀ ξ ∈ [ξ1, ξ2] .

Per ricavare la (7.1.1) e sufficiente osservare che il segmento di retta QP ha lunghezza paria quella del tratto residuo di filo non avvolto su γ, L− s(ξ), e risulta parallelo e concorde

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con il versore tangente alla curva nella posizione Q

τ (ξ) =dQ(ξ)ds(ξ)

=dx(ξ)ds(ξ)

e1 +dy(ξ)ds(ξ)

e2 .

Di fatto, quindi, il punto P e vincolato a scorrere senza attrito sulla curva Γ di parametriz-zazione (7.1.1).

Nella fattispecie, interessa considerare il caso in cui la curva vincolare γ e una cicloide diparametrizzazione

x = r(θ − sin θ)

y = −r(1 − cos θ)θ ∈ [−2π, 2π]

il cui supporto viene rappresentato nella figura seguente — si tratta di due archi regolaricompleti di cicloide, su ognuno dei quali il filo si avvolge, alternativamente, quando il puntomateriale muove verso destra o verso sinistra rispetto all’origine

Si intende verificare che, a patto di assumere L = 4r, la curva Γ lungo la quale muoveil punto materiale P e ancora un arco di cicloide, convenientemente traslato rispetto allaprecedente curva γ. In primo luogo conviene calcolare l’espressione dell’ascissa curvilineapartendo dalla relazione differenziale

ds2 = dx2 + dy2 = r2[(1 − cos θ)2 + sin2θ] dθ2 = r2[2 − 2 cos θ] dθ2 = 4r2sin2 θ

2dθ2

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dalla quale si deduce che il differenziale dell’ascissa curvilinea vale

ds = 2r sinθ

2dθ

e quindi, integrando a partire dall’origine degli spazi, che

s(θ) =

θ∫0

2r sinθ

2dθ = 4r

[− cos

θ

2

0

= 4r

[1 − cos

θ

2

]. (7.1.2)

Facendo uso della (7.1.1), per la parametrizzazione di Γ si hanno allora le espressioni

x = r(θ − sin θ) +(L − 4r + 4r cos

θ

2

)r(1 − cos θ)

4r sinθ

212

= (7.1.3a)

= r(θ − sin θ) +(L − 4r + 4r cos

θ

2

)sin

θ

2=

= r(θ − sin θ) + (L − 4r) sinθ

2+ 2r sin θ = r(θ + sin θ) + (L − 4r) sin

θ

2

e

y = −r(1 − cos θ) +(L − 4r + 4r cos

θ

2

) −r sin θ

4r sinθ

212

=

= −r(1 − cos θ) −(L − 4r + 4r cos

θ

2

)cos

θ

2= (7.1.3b)

= −r(1 − cos θ) − (L − 4r) cosθ

2− 4r

1 + cos θ

2= −r(3 + cos θ) − (L − 4r) cos

θ

2,

che nell’ipotesi di L = 4r si riducono a

x = r(θ + sin θ)

y = −2r − r(1 + cos θ)∀ θ ∈ [−π, π]

l’intervallo di definizione essendo il solo [−π, π] a causa della limitazione |s(θ)| ≤ L = 4r

−4r ≤ 4r(1 − cos

θ

2

)≤ 4r .

Il cambiamento di parametro θ ∈ [−π, π] → ξ ∈ [−2π, 0] definito da θ = π + ξ porge poi

x = r(π + ξ − sin ξ) = πr + r(ξ − sin ξ)

y = −2r − r(1 − cos ξ)∀ ξ ∈ [−2π, 0]

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e la traslazione di coordinate cartesiane (x, y) → (x′, y′) = (x − rπ, y + 2r) conduce allaparametrizzazione di un solo arco di cicloide

x = r(ξ − sin ξ) = πr + r(ξ − sin ξ)

y = −r(1 − cos ξ)∀ ξ ∈ [−2π, 0]

della stessa forma e dimensione di quelli che costituiscono γ. La figura seguente mostracome sono reciprocamente collocate le curve γ e Γ

7.2 Osservazione. Evoluta di una curvaSi dice evoluta di una curva biregolare assegnata Γ la curva γ costituita dai centri dicurvatura della curva stessa. Per centro di curvatura di una curva biregolare Γ in un suopunto P si intende il punto collocato lungo la normale a Γ in P e ad una distanza daquesto pari al raggio di curvatura. Γ viene anche detta involuta di γ. Se la curva Γ e pianasi verifica facilmente che anche la sua evoluta γ e ancora una curva piana.Per le curve biregolari piane vale il seguente

7.2.1 Teorema (costruzione di una classe di involute)Sia data la curva biregolare piana γ di parametrizzazione

Q = Q(s) , s ∈ [s1, s2] ,

in cui s indica una ascissa curvilinea di γ. Sia τ(s) il versore tangente di γ in Q(s). Allora∀L ∈ R \ [s1, s2] assegnato, la curva Γ di parametrizzazione

P (s) = Q(s) + (L − s)τ (s) , s ∈ [s1, s2] (7.2.1)

e involuta di γ — ammette cioe γ come propria evoluta.

DimostrazioneIndicando con n(s) e ρ(s) rispettivamente il versore normale ed il raggio di curvatura di γin Q(s), la derivata prima della parametrizzazione di Γ si scrive

dP

ds(s) =

dQ

ds(s) − τ (s) + (L − s)

ds(s) =

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= τ(s) − τ (s) + (L − s)1

ρ(s)n(s) = (L − s)

1ρ(s)

n(s) (7.2.2)

e risulta diversa da zero ∀ s ∈ [s1, s2], causa la regolarita di Q(s) e l’essere L ∈ R \ [s1, s2]:la curva Γ e quindi regolare in ogni suo punto. L’ascissa curvilinea S lungo Γ e cosı definitada

dS

ds=∣∣∣∣dP

ds(s)∣∣∣∣ =

|L − s|ρ(s)

∀ s ∈ [s1, s2]

e si scrive esplicitamente come

S(s) =

s∫s1

∣∣∣∣dP

ds(s)∣∣∣∣ ds =

s∫s1

|L − s|ρ(s)

ds

sicche la parametrizzazione (7.2.1) diventa

P (S) = P [s(S)] = Q[s(S)] + [L − s(S)]τ [s(S)] ∀S ∈ [0, S(s2)]

con versore tangente

T (S) =dP

dS(S) =

1dS

ds(s)

dP

ds(s)∣∣∣∣s=s(S)

=ρ(s)

|L − s|L− s

ρ(s)n(s)

∣∣∣∣s=s(S)

= sgn[L − s(S)]n[s(S)].

Una ulteriore derivazione porge

dT

dS(S) =

1dS

ds(s)

dT

ds

∣∣∣∣s=s(S)

=ρ(s)

|L − s| sgn(L − s)dn

ds(s)∣∣∣∣s=s(S)

e poiche in una curva piana le formule di Frenet-Serret impongono che si abbia

dn

ds(s) = − 1

ρ(s)τ (s)

si conclude chedT

dS(S) = −sgn(L − s)

1|L − s| τ (s)

∣∣∣∣s=s(S)

per cui il versore normale ed il raggio di curvatura della curva Γ nel punto P (S) sono datida

N (S) = −sgn(L − s)τ (s)∣∣∣∣s=s(S)

= −sgn[L − s(S)] τ [s(S)]

e

R(S) = |L − s|∣∣∣∣s=s(S)

= |L − s(S)| .

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L’evoluta di Γ ammette allora la parametrizzazione

P (S) + R(S) N (S) = Q[s(S)] + [L − s(S)] τ [s(S)]+

+ |L − s(S)|−sgn[L − s(S)] τ [s(S)]

= Q[s(S)]

che, tornando alla variabile s in luogo dell’ascissa curvilinea S, puo anche esprimersi come

Q(s) , s ∈ [s1, s2] .

L’evoluta di Γ coincide dunque con la curva γ, come affermato.

Il risultato seguente costituisce una sorta di inversione del teorema appena dimostrato. Peruna data curva γ tutte le involute Γ hanno la forma (7.2.1) per L ∈ R \ [s1, s2] opportuno.Si ha infatti il risultato seguente

7.2.2 Teorema (caratterizzazione delle involute regolari piane)Sia data la curva biregolare piana γ di parametrizzazione

Q = Q(s) , s ∈ [s1, s2]

con s ascissa curvilinea. Allora tutte le involute piane regolari di γ sono della forma

P (s) = Q(s) + (L − s) τ (s) s ∈ [s1, s2]

per ogni L ∈ R \ [s1, s2] assegnato.

DimostrazioneSia

P = P (S) , S ∈ [S1, S2] ,

la parametrizzazione di una qualsiasi involuta Γ di γ, in termini della sua ascissa curvilineaS. Il versore tangente a Γ in P (S) e dato dalla derivata prima

T (S) =dP

dS(S)

mentre il versore normale N(S) ed il raggio di curvatura R(S) nello stesso punto si ricavanodalla derivata seconda

d2P

dS2(S) =

dT

dS(S) =

1R(S)

N(S) .

Si vuole che l’evoluta di Γ coincida con γ. Deve percio esistere una biiezione regolares ∈ [s1, s2] → S ∈ [S1, S2] tale che

Q[s(S)] = P (S) + R(S) N (S) ∀S ∈ [S1, S2] . (7.2.3)

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Derivando membro a membro rispetto ad S si ha

dQ

ds[s(S)]

ds

dS(S) =

dP

dS(S) +

dR

dS(S) N (S) + R(S)

dN

dS(S)

ma siccome Γ e per ipotesi una curva piana deve risultare

dQ

ds[s(S)]

ds

dS(S) = T (S) +

dR

dS(S) N (S) + R(S)

[− 1

R(S)T (S)

]=

dR

dS(S) N (S)

in modo che, indicato con τ (s) il versore tangente a γ in Q(s), vale

τ [s(S)]ds

dS(S) =

dR

dS(S) N (S) ∀S ∈ [S1, S2]

ossiaτ (s) =

d

dsR[S(s)] N [S(s)] ∀ s ∈ [s1, s2] , (7.2.4)

relazione nella quale si sono riespressi ambo i membri in funzione di s. Da questa si deduceche ∣∣∣∣ d

dsR[S(s)]

∣∣∣∣ = 1 ∀ s ∈ [s1, s2]

per cui la continuita della derivata implica

d

dsR[S(s)] = a costante ∀ s ∈ [s1, s2]

con a = +1 o a = −1. Ne segue pertanto che per una appropriata costante b ∈ R deveaversi

R[S(s)] = as + b ∀ s ∈ [s1, s2] , (7.2.5)

mentre la (7.2.4) fornisce l’equazione vettoriale

τ(s) = a N [S(s)] ∀ s ∈ [s1, s2] . (7.2.6)

La (7.2.3) diventa cosı , sostituendo le formule (7.2.5)-(7.2.6) e tornando alla variabile s,

Q(s) = P [S(s)] + (as + b)1aτ (s) ∀ s ∈ [s1, s2]

per cui la parametrizzazione dell’involuta Γ si scrive nella forma

P (s) = P [S(s)] = Q(s) +(− b

a− s)τ(s) ∀ s ∈ [s1, s2] .

Come gia visto nella (7.2.2) del teorema precedente, la condizione di regolarita dell’involutarichiede che si abbia −b/a − s = 0 ∀ s ∈ [s1, s2]. Basta porre −b/a = L per concludere ladimostrazione.

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7.2.3 ConclusioniDal primo dei teoremi precedenti segue che se un filo ideale di lunghezza L ha una estremitaO fissata in un punto della curva piana biregolare γ ed e vincolato ad avvolgersi su γmantenendo rettilineo l’eventuale tratto non avvolto, allora il secondo estremo P del filosi muove su una involuta di γ.

Beninteso, involute diverse si ottengono considerando fili di lunghezza L differente. Neicasi di interesse fisico l’evoluta γ deve essere una curva convessa, in modo che la condizionedi avvolgimento possa essere soddisfatta semplicemente mantenendo il filo ben teso.

Cosı ad esempio dalle relazioni (7.1.3a) e (7.1.3b) ricavate in precedenza e facile dedurreche tutte le curve di parametrizzazione

x = r(r + sin θ) + (L − 4r) sinθ

2

y = −r(3 + cos θ) − (L − 4r) cosθ

2

θ ∈ (−π, π) (7.2.7)

per ogni L ≥ 4r assegnato sono involute della stessa evoluta, la cicloide di parametriz-zazione

r(θ − sin θ)

r(−1 + cos θ)∀ θ ∈ (−π, π) . (7.2.8)

Ma soltanto per L = 4r la (7.2.7) e a sua volta una cicloide — identica alla (7.2.8) econvenientemente traslata.

8. Il problema della tautocronaSi vuole determinare una curva regolare γ, disposta in un piano verticale Oxy e passanteper un punto assegnato, che si identifichera con l’origine O, in modo che un punto materialepesante P vincolato a scorrere lungo di essa impieghi sempre lo stesso intervallo di tempoa coprire il tratto di curva compreso fra un qualsiasi punto A = O di questa, in cui P siacollocato con velocita nulla all’istante iniziale, e il punto fissato O. Una curva cosiffatta sidice tautocrona — termine di etimo greco che significa linea dei tempi uguali.

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Da sottolineare che il punto O viene espressamente escluso dal novero delle possibili po-sizioni iniziali del punto materiale: per A = O infatti il tempo di percorrenza risultabanalmente nullo, per cui includere anche O nell’analisi renderebbe il problema privo disignificato fisico — e evidente che per A = 0 il tempo di percorrenza non potrebbe maiessere nullo e la condizione di tautocronia sarebbe impossibile da soddisfare.

8.1 Formulazione matematica del problemaPer fissare le idee, si assuma l’asse Oy diretto verticalmente verso l’alto e si indichi con mla massa del punto P . La posizione di P lungo la curva γ sara individuata mediante laparametrizzazione P (ξ) di questa, che assumera la forma

P (ξ) − O = x(ξ) e1 + y(ξ) e2 , ξ ∈ [0, ξmax] ,

con x(0) = 0 e y(0) = 0. La corrispondente equazione del moto si scrive

md

dt

[√(dx

)2

+(dy

)2

ξ

]= −mg

dy

1√(dx

)2

+(dy

)2

ed ammette l’integrale primo dell’energia meccanica

H(ξ, ξ) =m

2

[(dx

)2

+(dy

)2]ξ2 + mgy(ξ) (8.1.1)

che consente di discutere l’andamento qualitativo delle soluzioni applicando l’analisi diWeierstrass alla funzione energia potenziale

W (ξ) = mgy(ξ) .

Si richiede preliminarmente che qualunque sia la posizione iniziale del punto P lungo γ,distinta da P (0) = O, il moto con velocita iniziale nulla raggiunga l’estremo O in unintervallo di tempo finito. Dai criteri di Weierstrass segue allora che:

(i) l’ordinata y(ξ) dei punti lungo la curva deve avere derivata non nulla in tutto l’inter-vallo (0, ξmax]. Se infatti fosse y′(ξ), per un dato ξ ∈ (0, ξmax], allora alla condizione

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iniziale (ξ, ξ) = (ξ, 0) corrisponderebbe lo stato di quiete in ξ = ξ e il punto materialenon potrebbe raggiungere l’estremo O. Da notare che nessuna condizione e individuatasulla derivata y′(0), che in effetti potrebbe risultare nulla;

(ii) l’ordinata y(ξ) dei punti lungo la curva deve essere una funzione monotona crescentedel parametro ξ ∈ (0, ξmax]. Se infatti esistessero ξ1, ξ2 ∈ (0, ξmax], ξ1 < ξ2, taliche y(ξ1) > y(ξ2), la conservazione dell’energia meccanica impedirebbe al moto didato iniziale (ξ, ξ) = (ξ2, 0) di raggiungere l’origine ξ = 0. Anche la possibilita chesia y(ξ1) = y(ξ2) deve essere scartata, in quanto il teorema di Rolle implicherebbel’esistenza di un ξ intermedio dove y′(ξ) = 0, in contrasto con quanto gia rilevatoin (i).

Si conclude, in particolare, che l’applicazione y = y(ξ) definisce un diffeomorfismo C1

dell’intervallo (0, ξmax] in un intervallo (0, ymax] dell’ordinata y.Il tempo di percorrenza T della traiettoria viene determinato scrivendo la conservazionedell’energia (8.1.1) per le assegnate condizioni iniziali. Se ξ0 ∈ (0, ξmax] individua laposizione iniziale del punto si ha

m

2

[(dx

)2

+(dy

)2]ξ2 + mgy(ξ) = mgy(ξ0)

e ricavando il modulo di ξ

|ξ| =√

2g√

y(ξ0) − y(ξ)

/√(dx

)2

+(dy

)2

(8.1.2)

— si ricordi che il denominatore della (8.1.2) e certamente diverso da zero per l’ipotesi di re-golarita della curva γ. Conseguentemente, il tempo di percorrenza e espresso dall’integraledefinito

T =

ξ0∫0

1|ξ|

dξ =1√2g

ξ0∫0

1√y(ξ0) − y(ξ)

√(dx

)2

+(dy

)2

dξ (8.1.3)

che con il cambiamento di variabile y = y(ξ) diventa

√2gT =

y(ξ0)∫0

1√y(ξ0) − y

√1 +

(dx

dy

)2

dy

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in cui la sola funzione incognita e ora x = x(y). Quella ottenuta e una equazione integralelineare della forma √

2g T =

y(ξ0)∫0

ϕ(y)√y(ξ0) − y

dy (8.1.4)

a patto di porre

ϕ(y) =

√1 +

(dx

dy

)2

∀ y ∈ (0, ymax] . (8.1.5)

Il problema si separa quindi in due parti: in primo luogo si deve ricavare la funzione ϕ(y)risolvendo l’equazione integrale (8.1.4); una volta determinata ϕ(y) si puo procedere alcalcolo della funzione incognita x(y) integrando l’equazione differenziale (8.1.5), ovvero

dx

dy= ±

√ϕ(y)2 − 1 . (8.1.6)

8.2 Soluzione dell’equazione integraleL’equazione integrale (8.1.4) — lineare — si risolve con la tecnica delle trasformate diLaplace. Posto per brevita a = y(ξ0) > 0, si calcola la trasformata di Laplace rispetto ada di ambo i membri

+∞∫0

da e−λa

a∫0

ϕ(y)√a − y

dy =√

2g T

+∞∫0

da e−λa

ottenendo, per λ > 0, l’equazione+∞∫0

da

a∫0

dy e−λa ϕ(y)√a − y

=√

2g T1λ

. (8.2.1)

L’integrale doppio a primo membro e esteso al dominio evidenziato con l’ombreggiaturanella figura seguente

ed invertendo l’ordine delle integrazioni, per Fubini, diventa+∞∫0

dy

+∞∫y

da e−λa 1√a − y

ϕ(y) =

+∞∫0

dy ϕ(y)

+∞∫y

da e−λa 1√a − y

. (8.2.2)

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Nell’integrale piu interno conviene introdurre, ad y > 0 fissato, il cambiamento di variabilea ∈ (y,+∞) → t ∈ R+ definito da a = y + t2. Si ottiene in tal modo

+∞∫y

da e−λa 1√a − y

=

+∞∫0

dt 2t e−λ(y+t2) 1t

= e−λy 2√λ

+∞∫0

e−λt2√

λdt

e con l’ulteriore sostituzione u =√

λt

e−λy 2√λ

+∞∫0

e−u2du = e−λy 2√

λ

√π

2=

√π√λ

e−λy

dove si e fatto uso della ben nota relazione+∞∫0

e−u2du =

12

+∞∫−∞

e−u2du =

√π

2.

Tramite la (8.2.2) la (8.2.1) si riduce percio alla formula seguente

+∞∫0

dy ϕ(y)√

π√λ

e−λy =√

π√λ

Lϕ(λ) =√

2g T1λ

dalla quale segue la trasformata di Laplace Lϕ(λ) della funzione incognita ϕ(y)

Lϕ(λ) =√

2gT√π

1√λ

. (8.2.3)

L’antitrasformata di Laplace della funzione 1/√

λ e data da 1/√

πy — la verifica di questorisultato si trova in appendice — per cui

ϕ(y) =√

2gT√π

1√

πy=√

2gT

π

1√

y∀ y ∈ (0, ymax] . (8.2.4)

8.3 Soluzione dell’equazione differenziale finaleL’equazione (8.1.5) si scrive ora esplicitamente come(dx

dy

)2

= 2gT 2

π2

1y− 1 ∀ y ∈ (0, ymax]

dove x(y) = x[ξ(y)] e una funzione di classe C1 in (0, ymax] in quanto composizione difunzioni di classe C1. Cio implica che nell’equazione ottenuta estraendo membro a membrola radice quadrata dell’equazione precedente

dx

dy= ±

√2g

T 2

π2

1y− 1

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il cambiamento di segno potrebbe ricorrere soltanto qualora si annullasse il radicando, ossiaper y = 2gT 2/π2, valore oltre il quale il radicando risulta in effetti negativo e la radicenon e definita — si avra, in particolare, ymax ≤ 2gT 2/π2. In realta nessun cambiamentodi segno puo dunque verificarsi e due soli casi sono possibili:

(i)dx

dy= +

√2g

T 2

π2

1y− 1 ∀ y ∈ (0, ymax], nel qual caso la x(y) e una funzione monotona

crescente al pari della corrispondente inversa y(x);

(ii)dx

dy= −

√2g

T 2

π2

1y− 1 ∀ y ∈ (0, ymax], equazione che invece implica il carattere stret-

tamente decrescente di x(y) e della relativa inversa y(x).

Caso (i)L’equazione della curva si risolve per separazione di variabili e, tenuto conto della con-dizione iniziale limite x(0) = 0, e data da

x =

y∫0

√2g

T 2

π2− y

1√

ydy ∀ y ∈ (0, ymax] . (8.3.1)

Nell’integrale si puo introdurre il cambiamento di variabile y → η definito dalle relazioni

y = 2gT 2

π2sin2η ∈ (0, ymax] η = arc sin

√π2

2gT 2y ∈ [0, ηmax] ⊆

(0,

π

2

]per ottenere

x =

η∫0

√2g

T 2

π2cos η

1√2g

T 2

π2sinη

2gT 2

π22 sin η cos η dη = 2g

T 2

π2

η∫0

2cos2η dη =

= 2gT 2

π2

η∫0

(1 + cos 2η)dη = 2gT 2

π2

[η +

sin 2η

2

0

= gT 2

π2(2η + sin2η) .

Facendo uso dell’identita trigonometrica 2sin2η = 1 − cos 2η, l’equazione della tautocronasi esprime percio nella forma parametrica

x = g

T 2

π2(2η + sin2η)

y = gT 2

π2(1 − cos 2η)

η ∈ [0, ηmax]

(0 < ηmax ≤ π/2)

che con l’ovvia sostituzione 2η = φ — e 2ηmax = φmax — equivale a

x = gT 2

π2(φ + sin φ)

y = gT 2

π2(1 − cos φ)

φ ∈ [0, φmax]

(0 < φmax ≤ π) .(8.3.2)

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Il risultato ottenuto si puo interpretare convenientemente ricordando la parametrizzazionedell’arco completo di cicloide

x′ = r(θ − sin θ)

y′ = r(1 − cos θ)θ ∈ [0, 2π]

che con il cambiamento di variabile angolare θ = π + φ diventa

x′ = r(π + φ + sin φ) = πr + r(φ + sin φ)

y′ = r(1 + cos φ) = 2r + r(−1 + cos φ)φ ∈ [−π, π]

ossia

x′ − πr = r(φ + sinφ)

−(y′ − 2r) = r(1 − cos φ)φ ∈ [−π, π]

e limitatamente all’arco individuato da φ ∈ [0, φmax] ⊆ [0, π] si identifica con la (8.3.2) acondizione di porre

x = x′ − πr y = −(y′ − 2r) c = gT 2

π2.

L’arco in questione e evidenziato in grassetto nella figura seguente

Si tratta dunque di un arco di cicloide rovesciata rispetto all’asse orizzontale Ox, con ilminimo assoluto nell’origine e parametro di scala r = gT 2/π2.

Caso (ii)Il caso di dx/dy < 0 si tratta in modo analogo, l’unica differenza risultando il cambia-mento di segno dell’ascissa x. La tautocrona e ancora un arco della stessa cicloide, maparametrizzato in un intervallo del tipo φ ∈ [φmin, 0], con φmin ∈ [−π, 0) assegnato.

8.4 Verifica della tautocroniaSi vuole verificare che la curva (8.3.2) soddisfa effettivamente la condizione di tautocro-nia. Il tempo di percorrenza e dato dall’equivalente della formula (8.1.3) in termini della

Stefano Siboni 123

Universita degli studi di Trento Corso di Meccanica razionale 2

parametrizzazione standard (8.3.2)

Tφmax =1√2g

φmax∫0

1√y(φmax) − y(φ)

√(dx

)2

+( dy

)2

dφ .

Si ha cosı

Tφmax =1√2g

φmax∫0

1√g

T 2

π2(cos φ − cos φmax)

gT 2

π2

√(1 + cos φ)2 + sin2φ dφ =

=1√2g

√g

T

π

φmax∫0

1√cos φ − cos φmax

√2(1 + cos φ) dφ =

=T

π

φmax∫0

√1 + cos φ√

cos φ− cos φmaxdφ

espressione che con la sostituzione φ = 2η diventa

Tφmax =T

π

φmax/2∫0

√2 cos η√

2 sin2 φmax

2− 2 sin2η

2 dη =2π

T

φmax/2∫0

cos η√sin2 φmax

2− sin2η

e con l’ulteriore cambiamento di variabile

sin η = sinφmax

2sinu , u ∈ [0, π/2]

si riduce a

Tφmax =2π

T

π/2∫0

1

sinφmax

2cos u

sinφmax

2cos u du = T

qualunque sia la posizione iniziale del punto materiale, individuata da φmax ∈ (0, π]. Dasottolineare che la tautocrona non e un arco di cicloide qualsiasi: il punto di arrivo delgrave deve essere il punto di minimo della cicloide. Un arco di cicloide che non comprendala posizione di minimo come punto di arrivo non soddisfa la condizione di tautocronia.

Stefano Siboni 124

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8.5 Condizione di tautocronia per le curve non pianeLo studio della tautocrona e stato condotto sotto l’ipotesi che la curva sia piana. Nel casodi curve non piane e ancora possibile caratterizzare le curve che soddisfano la condizionedi tautocronia, ma le soluzioni del problema non sono affatto delle cicloidi: si tratta diuna classe di curve assai piu ampia. Assumendo che il traguardo dei moti sia semprenell’origine O, la parametrizzazione regolare della curva γ dovra essere in questo caso dellaforma generale

P − O = x(ξ) e1 + y(ξ) e2 + z(ξ) e3 , ξ ∈ [0, ξmax]

con P (0) = 0. Come prima, la condizione necessaria e sufficiente affinche tutti i moti didato iniziale (ξ, ξ) = (ξ0, 0), per ξ0 ∈ (0, ξmax] assegnato, transitino per l’origine in unintervallo di tempo finito e che la funzione energia potenziale

W (ξ) = mgy(ξ) , ξ ∈ [0, ξmax]

sia monotona crescente e non abbia punti critici nell’intervallo (0, ξmax] — valgono semprele stesse considerazioni gia espresse circa la necessita di escludere il punto di arrivo O dallepossibili posizioni iniziali. Pertanto

dy

dξ(ξ) > 0 , ξ ∈ (0, ξmax] ,

per cui e possibile usare la y come variabile indipendente in luogo della ξ. Il tempo dipercorrenza per il moto di condizioni iniziali (ξ, ξ) = (ξ0, 0) e quindi espresso da

T =1√2g

ξ0∫0

√(dx

)2

+(dy

)2

+(dz

)2 1√y(ξ0) − y(ξ)

dξ =

=1√2g

y(ξ0)∫0

√1 +

(dx

dy

)2

+(dz

dy

)2 1√y(ξ0) − y

dy

e dalla condizione che T sia costante ∀ y(ξ0) ∈ (0, y(ξmax)] si deduce che√1 +

(dx

dy

)2

+(dz

dy

)2

=√

2gT

π

1√

y.

La condizione di tautocronia si scrive cosı(dx

dy

)2

+(dz

dy

)2

= 2gT 2

π2

1y− 1 ∀ y ∈ (0, y(ξmax)]

con y(ξmax) ≤ 2gT 2/π2. La sua soluzione generale puo esprimersi integrando il seguentesistema generale di equazioni differenziali

dx

dy= cos α(y)

1√

y

√2g

T 2

π2− y

dz

dy= sinα(y)

1√

y

√2g

T 2

π2− y

(8.5.1)

Stefano Siboni 125

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in termini di una qualsiasi funzione α(y) di classe C1 nell’intervallo [0, y(ξmax)]. Il casodella cicloide considerato in precedenza ricorre ad esempio per α(y) = 0 ∀ y ∈ (0, y(ξmax)]— ovvero per α(y) = π ∀ y ∈ (0, y(ξmax)]. Tenuto conto della condizione al contornox(0) = z(0) = 0, la soluzione generale di (8.5.1) vale

x(y) =

y∫0

1√

y

√2g

T 2

π2− y cos α(y)dy

z(y) =

y∫0

1√

y

√2g

T 2

π2− y sinα(y)dy

∀ y ∈ [0, y(ξmax)] ,

dove gli integrandi presentano una singolarita sempre integrabile in y = 0, corrispondenteal punto di arrivo del moto. A titolo di esempio, nelle figure seguenti sono rappresentategraficamente le tautocrone corrispondenti ad α(y) = y2, α(y) = y4 e α(y) = 1 + ey.

α(y) = y2

α(y) = y4

α(y) = 1 + ey

Stefano Siboni 126

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9. Il principio di Fermat in otticaUn’altra classica ed interessante applicazione dei metodi variazionali riguarda l’ottica ge-ometrica ed e costituita dal cosiddetto principio di Fermat. Benche si tratti di un ambitocompletamente diverso da quello della meccanica, nella sua formulazione matematica ilproblema presenta notevoli analogie con la meccanica del punto materiale ed in molti casiimportanti puo essere studiato usando i metodi propri di questa, quali l’analisi di Weier-strass o il teorema di Noether. L’ottica geometrica descrive la propagazione della luce permezzo di raggi luminosi, ignorando la natura ondulatoria della radiazione; nondimeno, sesi tiene conto delle leggi di Snell per la riflessione e la rifrazione, l’ottica geometrica costitu-isce una buona approssimazione in molti casi di interesse pratico, fornendo risultati moltosimili a quelli ottenibili applicando la rigorosa teoria ondulatoria — equazioni di Maxwelldel campo elettromagnetico. I raggi luminosi si intendono coprire dei percorsi curvilineiad una velocita che puo dipendere dalle caratteristiche ottiche del mezzo in cui avviene lapropagazione. Si supponga che il raggio luminoso percorra la curva γ di parametrizzazione

P (λ) −O =3∑

i=1

xi(λ) ei , λ ∈ [λ1, λ2]

regolare e di classe C2 nel proprio intervallo di definizione [λ1, λ2] ⊂ R.

Il cammino ottico I del raggio luminoso viene definito come il prodotto fra il tempo dipercorrenza T , necessario a che il raggio copra per intero il proprio tragitto dall’estremoiniziale a quello finale, e la velocita della luce nel vuoto, la costante universale c. Il camminoottico si esprime in termini del indice di rifrazione assoluto n ≥ 1 del mezzo, dato dalrapporto fra la velocita c della luce nel vuoto e quella v nel mezzo assegnato. In un mezzonon omogeneo e isotropo velocita v e indice di rifrazione assoluto n possono dipenderedalla posizione e dalla direzione di propagazione del raggio. In molti casi, tuttavia, l’indicedi rifrazione puo ritenersi funzione della sola posizione e non anche della direzione dipropagazione del raggio, per cui n = n(P ). Il cammino ottico e espresso da una relazionedella forma

I = cT = c

s2∫s1

1v

ds =

s2∫s1

c

vds =

s2∫s1

nds =∫γ

nds .

Il principio di Fermat afferma che fra gli infiniti cammini regolari che hanno come estremi ipunti fissi P1 = P (λ1) e P2 = P (λ2), il percorso effettivamente seguito dal raggio luminosonel passare dall’estremo P1 all’estremo P2 e quello di cammino ottico minimo. Condizionenecessaria per tale minimo e che per una generica variazione del percorso ottico P (λ) →

Stefano Siboni 127

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P (λ) + δP (λ), con variazione δP (λ) di classe C2 in [λ1, λ2] e tale che δP (λi) = 0, i = 1, 2(estremi fissi), si abbia δI = 0, ossia

δ

λ2∫λ1

n[P (λ)] |P (λ)| dλ = 0 . (9.1)

Il problema variazionale e equivalente a risolvere le equazioni di Eulero-Lagrange

d

( ∂L

∂xi

)− ∂L

∂xi= 0 , i = 1, 2, 3 , (9.2)

dove la lagrangiana formale si identifica con l’integrando del funzionale (9.1)

L = n(P ) (P 2)1/2 . (9.3)

Di qui e facile ricavare le relazioni

∂L

∂xi= n

12

(P 2)−1/22P · ∂P

∂xi= n τ · ∂P

∂xi

d

( ∂L

∂xi

)=

d

dλ(nτ ) · ∂P

∂xi+ nτ · ∂P

∂xi

∂L

∂xi=

∂n

∂xi(P 2)1/2 + n

12(P 2)−1/22P · ∂P

∂xi= |P | ∂n

∂xi+ nτ · ∂P

∂xi

che sostituite nelle (9.2) conducono alle equazioni di propagazione

d

dλ(nτ ) · ∂P

∂xi− |P | ∂n

∂xi= 0 i = 1, 2, 3 .

Ricordando che |P | = ds/dλ, essendo s un’ascissa curvilinea della traiettoria, queste sipossono anche scrivere nella forma equivalente

d

ds(nτ ) · ei −

∂n

∂xi= 0 i = 1, 2, 3

ossia, in notazione vettoriale,d

ds(nτ ) = ∇n . (9.4)

Eseguendo la derivata a primo membro si ottiene l’equazione

dn

dsτ + n

ds= ∇n

che per via della postulata dipendenza dell’indice di rifrazione dalla sola posizione diventa

∇n · dP

dsτ + n

ds= ∇n

Stefano Siboni 128

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e quindi, essendo dP/ds = τ ,

ndτ

ds= ∇n−∇n · τ τ

ovverodτ

ds=

1n

[∇n−∇n · τ τ

].

Si ha cosı il sistema di equazioni del primo ordine in forma normale

ds=

1n(P )

[∇n(P ) −∇n(P ) · τ τ

]dP

ds= τ

(9.5)

dove P ∈ R3 e τ ∈ R3 tale che τ 2 = 1. L’indice di rifrazione n(P ) si assumera funzione diclasse C2 in R3, per cui i secondi membri delle equazioni differenziali risultano funzioni C1

degli argomenti (P, τ ). La questione dell’esistenza ed unicita della soluzione massimale peril problema di Cauchy e tuttavia delicata in quanto il dominio di definizione del sistemarappresenta un sottoinsieme chiuso di R

6:

K = (P, τ ) ∈ R3 × R

3 : |τ |2 = 1 = R3 × S

2 ⊂ R6 .

La difficolta puo essere aggirata considerando in luogo di (9.5) il sistema

ds=

1n(P )

[∇n(P ) − ∇n(P ) · τ

τ 2τ

]dP

ds= τ

(P, τ ) ∈ R3 ×

(R

3 \ 0)

(9.6)

definito nel dominio aperto di R6

Ω = (P, τ ) ∈ R3 × (R3 \ 0) = R

3 × (R3 \ 0) .

Il sistema (9.6) differisce da (9.5) per la sola introduzione del fattore di normalizzazioneτ 2 > 0 a denominatore del termine ∇n(P ) · τ nella prima equazione e per il fatto di esseredefinito sull’aperto Ω ⊂ R6: il vettore τ non viene piu necessariamente identificato conun versore. Al nuovo sistema il teorema di esistenza ed unicita e quindi immediatamenteapplicabile: per ogni scelta dei valori iniziali (P (0), τ (0)) ∈ Ω di (P, τ ) esistera unicala relativa soluzione massimale (P (s), τ (s)), definita su un intervallo aperto della variabileindipendente s. D’altra parte e altresı evidente che (9.6) ammette τ 2 come integrale primo:

d

ds(τ 2) = 2τ · dτ

ds= 2τ · 1

n

(∇n− ∇n · τ

τ 2τ

)=

2n

(τ · ∇n− ∇n · τ

τ 2τ · τ

)= 0 .

In particolare, il sistema (9.6) ammette una ed una sola soluzione massimale per qualsiasidato iniziale P (0) ∈ R3 e τ (0) di modulo unitario, ma τ(s)2 si mantiene costante al valore 1lungo l’intera soluzione, come richiesto dal significato geometrico del vettore. Risolvere la

Stefano Siboni 129

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(9.6) con dato iniziale (P (0), τ (0)) tale che τ(0)2 = 1 equivale dunque a risolvere il sistema(9.5).

Le equazioni (9.6) sono ovviamente equivalenti al sistema di equazioni scalari

dτx

ds=

1n

[∂n

∂x− 1

τ 2x + τ 2

y + τ 2z

(∂n

∂xτx +

∂n

∂yτy +

∂n

∂zτz

)τx

]dτy

ds=

1n

[∂n

∂y− 1

τ 2x + τ 2

y + τ 2z

(∂n

∂xτx +

∂n

∂yτy +

∂n

∂zτz

)τy

]dτz

ds=

1n

[∂n

∂z− 1

τ 2x + τ 2

y + τ 2z

(∂n

∂xτx +

∂n

∂yτy +

∂n

∂zτz

)τz

]dx

ds= τx

dy

ds= τy (x, y, z) ∈ R

3

dz

ds= τz (τx, τy, τz) ∈ R

3 \ 0

(9.7)

in cui si sono indicate con x, y, z le coordinate del generico punto P e con τx, τy, τz lecomponenti del versore τ , mentre n = n(x, y, z). Ogni soluzione completa di (9.7) saraindividuata assegnando i valori iniziali delle variabili dipendenti

x(0) = xo y(0) = yo z(0) = zo τx(0) = τ ox τy(0) = τ o

y τz(0) = τ oz

con (τ ox)2 + (τ o

y )2 + (τ oz )2 = 1.

9.1 Principio di invertibilita dei raggi luminosiE facile convincersi che se

P (s) , τ(s) , s ∈ [0, L] ,

e soluzione del sistema (9.6) con condizioni iniziali

P (0) = P o τ (0) = τ o ,

allora le funzioni

Q(s) = P (L − s) , T (s) = −τ(L − s) , s ∈ [0, L] ,

Stefano Siboni 130

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definiscono una soluzione dello stesso sistema di equazioni differenziali soddisfacente lecondizioni iniziali

Q(0) = P (L) T (0) = −τ(L)

e con valori finali

Q(L) = P (0) = P o T (L) = −τ(0) = −τ o .

Si ha in effetti che

dQ

ds(s) = −dP

ds(L − s) = −τ(L − s) = T (s) ∀ s ∈ [0, L]

mentre

dT

ds(s) =

ds(L − s) =

1n[P (L − s)]

[∇n[P (L − s)] − ∇n[P (L− s)] · τ(L − s)

τ (L − s)2τ(L − s)

]

=1

n[Q(s)]

[∇n[Q(s)] − ∇n[Q(s)] · T (s)

T (s)2T (s)

].

Il risultato si interpreta nel senso che se P (s), s ∈ [0, L] rappresenta la traiettoria di unraggio luminoso che congiunge il punto iniziale P (0) con l’estremo finale P (L), allora l’arcoP (L− s), s ∈ [0, L] costituisce ancora una soluzione delle equazioni di propagazione e cor-risponde al percorso del raggio luminoso che congiunge l’estremo iniziale P (L) all’estremofinale P (0) — principio di invertibilita dei raggi luminosi.

9.2 Caso notevole. Strato limite e leggi di SnellSi supponga che l’indice di rifrazione assoluto costituisca un campo scalare C2 in R3 e cheil suo dominio di definizione sia ripartito in tre regioni come di seguito descritte:

(i) un ε-intorno σ di una superficie aperta S semplicemente connessa, vale a dire, per unqualche ε > 0 piccolo, l’insieme

σ =⋃x∈S

y ∈ R3 : |y − x| < ε ,

in modo che σ separi R3 in due componenti connesse Ω1 e Ω2;

Stefano Siboni 131

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(ii) il dominio chiuso e connesso Ω1 dove l’indice di rifrazione si mantiene costante alvalore n1;

(iii) il dominio chiuso e connesso residuo Ω2, caratterizzato da un indice di rifrazionecostante n2 = n1.

Dalle ipotesi assunte segue che l’indice di rifrazione deve essere una funzione regolare erapidamente variabile nell’aperto σ fra i valori n1 ed n2. Per la sua conformazione σ puoriguardarsi come uno strato sottile del mezzo trasparente caratterizzato da una variazionemolto rapida e localizzata dell’indice di rifrazione, costante a valori distinti n1 ed n2 nelleregioni contigue alle facce che delimitano lo strato: σ costituisce una sorta di strato limitefra le regioni Ω1 ed Ω2 nelle quali l’indice di rifrazione risulta costante ai valori n1 ed n2

rispettivamente.

In effetti, ses ∈ [s1, s2] −−−−−−−−→ P (s) ∈ σ

e la parametrizzazione regolare del tratto di raggio luminoso compreso entro lo strato σ,dall’equazione (9.4) si deduce

s2∫s1

d

ds(n τ )ds =

s2∫s1

∇nds =

s2∫s1

∇n[P (s)] ds

ossia, eseguendo l’integrale dell’integrando continuo a primo membro ed applicando ilteorema della media al secondo,

(n τ )(s2) − (n τ )(s1) =3∑

i=1

s2∫s1

∇n[P (s)] · ei ds ei = (s2 − s1)3∑

i=1

∇n[P (ξi)] · ei ei

per ξi ∈ (s1, s2), i = 1, 2, 3, opportuni. Poiche lo strato σ e di spessore molto piccolo el’indice di rifrazione assoluto n costituisce un campo C2 della posizione, si puo assumeresenza introdurre errori rilevanti

3∑i=1

∇n[P (ξi)] · ei ei ∇n[P (s1)] ∇n[P (s2)]

Stefano Siboni 132

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vettori che, in quanto normali alle superfici n = n[P (s1)] = costante e n = n[P (s2)] =costante che delimitano lo strato σ, individuano la retta normale a σ in P (s1), ovvero inP (s2). Si ha allora

n2τ(s2) − n1τ(s1) = (s2 − s1)∇n(s1) . (9.2.1)

Questa equazione precisa due circostanze importanti:

(i) i vettori n(s2)τ (s2), ∇n(s2) e n(s1)τ (s1) sono linearmente dipendenti, per cui possonoimmaginarsi complanari ed applicati nel punto P (s1) P (s2);

(ii) la componente di n τ tangente allo strato σ e continua attraverso lo strato stesso.

Se si indicano con i ed r gli angoli formati dai versori τ(s1) e τ (s2) con il vettore normale∇n, la componente di n τ tangente allo strato σ proiettata nel piano individuato da ∇n en1τ (s1) porge

n1 sin i = n2 sin r

ossiasin r

sin i=

n1

n2

che e la ben nota legge di Snell della rifrazione.

Si osservi che qualora il raggio incidente sullo strato limite σ fosse riflesso nella stessaregione Ω1 di provenienza, la componente di nτ tangente a σ dovrebbe risultare continuaprima e dopo la riflessione; data la costanza dell’indice di rifrazione, uguale a n1 primae dopo la riflessione, se ne dedurrebbe la continuita della componente di τ tangente a σe quindi l’identita fra angolo di incidenza e angolo di riflessione — legge di Snell dellariflessione.

9.3 Esempio di interesse fisico: i miraggiIl modello basato sul principio di Fermat puo spiegare anche fenomeni relativamente com-plessi quali i miraggi. Si supponga che l’indice di rifrazione dipenda unicamente dallacoordinata z, con un andamento di tipo sigmoidale come quello della funzione

n(x, y, z) = n(z) = 1.2 + 0.2 tanh(5z) (9.3.1)

in cui la variazione dell’indice di rifrazione e esagerata rispetto a quanto potrebbe avvenirein una situazione fisica reale al solo scopo di amplificare l’effetto. L’indice di rifrazione e

Stefano Siboni 133

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circa costante per z 0 e per z 0, subendo una variazione molto accentuata nell’intornodi z = 0 — la funzione tanh ξ ha andamento sigmoidale, con derivata significativamentediversa da zero soltanto nell’intorno dell’origine ξ = 0. Il grafico di n(z) ha l’aspettoillustrato nella figura seguente:

Le equazioni dei raggi, scritte per componenti, assumono allora la forma semplificata

dx

ds= τx

dτx

ds= − 1

n

1τ 2

∂n

∂zτz τx

dy

ds= τy

dτy

ds= − 1

n

1τ 2

∂n

∂zτz τy

dz

ds= τz

dτz

ds=

1n

(∂n

∂z− 1

τ 2

∂n

∂zτz τz

)

con n(z) dato dalla (9.3.1). Per esemplificare l’andamento delle soluzioni si considerinodue raggi passanti per il comune punto P (0) di coordinate (x(0), y(0), z(0)) e con direzioniiniziali leggermente diverse. I raggi di condizioni iniziali rispettive

x(0) = 0 y(0) = −1 z(0) = 1 τx(0) = 0 τy(0) = 0.979795897113 τz(0) = −0.2e

x(0) = 0 y(0) = −1 z(0) = 1 τx(0) = 0 τy(0) = 0.994987437107 τz(0) = −0.1

sono indicati con i simboli I e II nella figura di seguito riportata

Stefano Siboni 134

Universita degli studi di Trento Corso di Meccanica razionale 2

Si nota immediatamente che entrambi i raggi vengono riflessi nel semispazio z > 0 senzaattraversare il piano coordinato Oxy; il raggio I, con l’angolo di incidenza maggiore, e anchequello con l’angolo di riflessione piu alto, mentre il raggio II ha inferiori tanto l’angolo diincidenza quanto quello di riflessione. Collocando un osservatore in P (0) ed applicandoil principio di invertibilita dei raggi luminosi, i raggi provenienti da un oggetto collocatonel semispazio z > 0 verranno percepiti, a seguito di una propagazione apparente in linearetta, come provenienti dal semispazio z < 0 e daranno luogo ad una immagine virtualerovesciata dell’oggetto — miraggio.

9.4 Descrizione meccanica equivalente della propagazione dei raggi luminosiIl teorema di Fermat prevede che il percorso γ seguito dal raggio luminoso che congiungei punti P1 e P2 e quello di minimo cammino ottico

I =∫γ

n(P )ds .

D’altra parte, il principio di Maupertuis — o di minima azione — stabilisce che per unpunto materiale libero, di massa m e soggetto esclusivamente a sollecitazioni posizionaliconservative di potenziale U(P ), la traiettoria γ corrispondente al moto naturale che ilpunto materiale percorre fra posizioni estreme fissate P1 e P2 e per un preassegnato valoreE dell’energia e quella che rende stazionaria l’azione ridotta

W =∫γ

√2m[E + U(P )] ds .

Si osserva allora che la condizione di stazionarieta δI = 0 risulta equivalente a quellameccanica δW = 0 a patto di considerare un punto materiale di massa unitaria soggetto

Stefano Siboni 135

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ad una forza posizionale conservativa di potenziale U(P ) = n2(P )/2 e limitatamente aimoti naturali di energia nulla, avendosi in tali condizioni

W =∫γ

√2m[E + U(P )] ds =

∫γ

√2n(P )2

2ds =

∫γ

n(P )ds = I .

Pertanto:

i percorsi dei raggi luminosi si identificano tutti e soltanto con le traiettorie di energia nulladi un punto materiale libero di massa unitaria e soggetto esclusivamente a sollecitazioniposizionali conservative di potenziale n(P )2/2.

L’asserto e suscettibile di una verifica diretta. Le equazioni del moto per il punto materialesopradescritto risultano infatti quelle lagrangiane

P = n(P )∇(P ) (9.4.1)

ed ammettono l’ovvio integrale primo dell’energia meccanica

H(P, P ) =12P 2 − 1

2n(P )2 .

Lungo un qualsiasi moto naturale di energia nulla si ha

12P 2 − 1

2n(P )2 = 0

ossia, introducendo l’ascissa curvilinea s,

s2 = n(P )2

e quindis = n(P )

— il caso alternativo s = −n(P ) si tratta in modo analogo e conduce allo stesso risultato.Di conseguenza la (9.4.1) diventa

d

dt

(dP

dsn(P )

)= n(P )∇n(P )

ma siccome il primo membro si riesprime come

d

dt

(dP

dsn(P )

)= s

d

ds

(dP

dsn(P )

)= n(P )

d

ds

(dP

dsn(P )

)ne deriva che [

d

ds

(dP

dsn(P )

)−∇n(P )

]n(P ) = 0 .

Stefano Siboni 136

Universita degli studi di Trento Corso di Meccanica razionale 2

Basta ricordare che n(P ) ≥ 1 ∀ p ∈ R3 per giungere all’equazione delle traiettorie

d

ds

[n(P )

dP

ds

]−∇n(P ) = 0

ossiad

ds(n τ ) = ∇n

che e precisamente l’equazione di propagazione dei raggi in ottica geometrica.

Si osservi che, potendosi definire i funzionali del cammino ottico e dell’azione ridotta ameno di una costante moltiplicativa arbitraria senza per questo modificare i relativi principivariazionali, la condizione che il punto materiale equivalente abbia massa unitaria non erestrittiva e puo essere in realta rimossa.

Sulla base di questa analogia formale fra i percorsi dei raggi luminosi e le traiettoriedei moti di energia nulla del punto materiale libero soggetto al potenziale n(P )2/2, larifrazione di un raggio luminoso che passa da un mezzo meno rifrangente — Ω1 di indicen1 — a uno piu rifrangente — Ω2 di indice n2 > n1 — si puo interpretare come motodi un punto materiale che si muove uniformemente tanto in Ω1 quanto in Ω2 ed accelerain corrispondenza dell’interfaccia fra i due mezzi a causa del gradiente di potenziale. Lafigura seguente illustra questa osservazione nel caso che l’indice di rifrazione, per esigenzedi visualizzazione grafica, sia indipendente dalla coordinata z, quasi costante in due ampidominii Ω1, Ω2 di (x, y) e rapidamente variabile in una sottile regione di transizione fra idue.

9.5 Teorema di NoetherNella successiva discussione e di fondamentale importanza individuare gli integrali primidell’equazione di propagazione dei raggi luminosi. A questo scopo e molto vantaggiosoricorrere al teorema di Noether, che associa appropriati integrali primi alle trasformazionidi invarianza della lagrangiana.

Stefano Siboni 137

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Si consideri un sistema descritto dalle coordinate generalizzate q = (q1, . . . , qn) ∈ A =int(A) ⊆ Rn e governato dalle equazioni di evoluzione di Eulero-Lagrange

d

dt

( ∂L

∂qh

)− ∂L

∂qh= 0 h = 1, . . . , n (9.5.1)

con lagrangiana L(t, q, q), (t, q, q) ∈ R × A × Rn. Si supponga definita una famiglia didiffeomorfismi C2 di A su A, interpretabili come trasformazioni di coordinate lagrangianeq → Q, dipendente in modo regolare C2 dai parametri reali (α1, . . . , αp) = α ∈ U , p < n,essendo U un intorno aperto di α = 0 in Rp:

Q = Q(q, α) ⇐⇒ Qk = Qk(q1, . . . , qn, α1, . . . , αp) , k = 1, . . . , n ;

la trasformazione di coordinate coincida con l’identita per α = 0:

Q(q, 0) = q .

La lagrangiana del sistema sia invariante rispetto ai diffeomorfismi Q(q, α) ∀α ∈ U

L(t,Q(t, α), Q(q, α)) = L(t, q, q) ∀α ∈ U , (9.5.2)

essendo Q = (Q1, . . . , Qn) la velocita generalizzata naturalmente indotta dalla trasfor-mazione q → Q:

Qk = Qk(q, q, α) =n∑

h=1

∂Qk

∂qh(q, α) qh , k = 1, . . . , n .

In tali ipotesi si dimostra che il sistema ammette i p integrali primi, non necessariamenteindipendenti,

(JO)r =n∑

k=1

∂L

∂qk(t, q, q)

∂Qk

∂αr(q, α)

∣∣∣∣α=0

r = 1, . . . , p . (9.5.3)

Per provare il teorema e sufficiente derivare parzialmente membro a membro la (9.5.2)rispetto ad un qualsiasi parametro αr, r = 1, . . . , p, per ottenere la relazione

n∑k=1

∂L

∂Qk(t,Q(q, α), Q(q, q, α))

∂Qk

∂αr(q, α)+

+n∑

k=1

∂L

∂Qk

(t,Q(q, α), Q(q, q, α))∂

∂αr

[n∑

h=1

∂Qk

∂qh(q, α) qh

]= 0

che puo esprimersi nella forma equivalente

n∑k=1

[∂L

∂Qk(t,Q(q, α), Q(q, q, α))

∂Qk

∂αr(q, α)+

+∂L

∂Qk

(t,Q(q, α), Q(q, q, α))n∑

h=1

∂2Qk

∂qh∂αr(q, α) qh

]= 0

Stefano Siboni 138

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e calcolata in α = 0 porge

n∑k=1

[∂L

∂qk(t, q, q)

∂Qk

∂αr(q, α)

∣∣∣∣α=0

+∂L

∂qk(t, q, q)

n∑h=1

∂qh

(∂Qk

∂αr(q, α)

∣∣∣∣α=0

)qh

]= 0 . (9.5.4)

Lungo una arbitraria soluzione delle equazioni di evoluzione (9.5.1) vale la relazione

∂L

∂qk(t, q, q) =

d

dt

( ∂L

∂qk(t, q, q)

)k = 1, . . . , n

che sostituita in (9.5.4) fornisce

n∑k=1

[d

dt

( ∂L

∂qk(t, q, q)

)∂Qk

∂αr(q, α)

∣∣∣∣α=0

+∂L

∂qk(t, q, q)

n∑h=1

∂qh

(∂Qk

∂αr(q, α)

∣∣∣∣α=0

)qh

]= 0

ossia, applicando al secondo termine il teorema di derivazione delle funzioni composte

n∑k=1

[d

dt

( ∂L

∂qk(t, q, q)

)∂Qk

∂αr(q, α)

∣∣∣∣α=0

+∂L

∂qk(t, q, q)

d

dt

(∂Qk

∂αr(q, α)

∣∣∣∣α=0

)]= 0

ed infined

dt

[n∑

k=1

∂L

∂qk(t, q, q)

∂Qk

∂αr(q, α)

∣∣∣∣α=0

]= 0 .

Se ne conclude che la funzione entro parentesi quadre

(JO)r(t, q, q) =n∑

k=1

∂L

∂qk(t, q, q)

∂Qk

∂αr(q, α)

∣∣∣∣α=0

(9.5.5)

si mantiene costante lungo tutte le soluzioni delle equazioni di Eulero-Lagrange, delle qualicostituisce pertanto un integrale primo. L’arbitrarieta dell’indice r = 1, . . . , p permette diconcludere quanto affermato.

9.6 Campo di rifrazione a simmetria sfericaNell’equazione (9.6) si assuma che l’indice di rifrazione costituisca un campo scalare C2 asimmetria sferica di centro O: il potenziale e funzione della distanza r del generico puntoP dal centro O del campo

n(P ) = η(r) , r = |P − O| .

Per semplicita, nella trattazione che segue conviene indicare con x1, x2, x3 le coordinatedel generico punto P ∈ R3 rispetto ad una terna Ox1x2x3. Il simbolo x denotera ilcorrispondente vettore colonna di tali componenti

x =

x1

x2

x3

∈ R

3.

Stefano Siboni 139

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Un campo con questo tipo di simmetria puo modellare l’effetto di rifrazione prodotto dauna atmosfera planetaria trasparente sui raggi luminosi provenienti da una sorgente astro-nomica — una stella, ad esempio. La rifrazione della luce determina variazioni sistematichee significative nella posizione apparente degli astri, con particolare riguardo all’epoca delsorgere o del tramontare di questi, allorquando i raggi luminosi attraversano l’atmosferain direzione fortemente non radiale e l’azione rifrangente risulta massima . Cio e dovutoal fatto che i raggi luminosi vengono percepiti dall’occhio come propagantisi in linea retta— vedi figura.

Integrale primoNell’ipotesi di simmetria sferica del campo di rifrazione, la lagrangiana (9.3) e invarianteper rotazioni arbitrarie. Cio significa che sotto trasformazioni lineari ortogonali arbitrariedelle coordinate cartesiane e delle relative derivate prime

X = Rx X = Rx

la lagrangiana si mantiene inalterata

L(X, X) = L(Rx,Rx) = L(x, x) .

Le matrici ortogonali R che descrivono le rotazioni possono scegliersi della forma

R(α) = exp

0 −α3 α2

α3 0 −α1

−α2 α1 0

(9.6.1)

funzione C∞ dei tre parametri reali (α1, α2, α3) = α ∈ R3, sicche e sempre lecito porreX = R(α)x = X(x, α). Per α = 0 si ha R(0) = I e la trasformazione di coordinate siriduce all’identita. Il teorema di Noether prevede che il sistema debba ammettere i treintegrali primi definiti dalle espressioni

(JO)r =3∑

k=1

∂L

∂xk(x, x)

∂Xk

∂αr(x, α)

∣∣∣∣α=0

r = 1, 2, 3

Stefano Siboni 140

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in cui le derivate parziali prime rispetto ai parametri della trasformazione valgono

∂Xk

∂αr(x, α)

∣∣∣∣α=0

=3∑

j=1

∂Rkj

∂αr(α)xj

∣∣∣∣α=0

=3∑

j=1

∂Rkj

∂αr(0)xj

mentre∂L

∂xk(x, x) = η(|x|) xk

|x| = η(|x|)dxk

ds= η(|x|)τk

e pertanto

(JO)r = η(|x|)3∑

k,j=1

∂Rkj

∂αr(0)xj

dxk

dsr = 1, 2, 3 . (9.6.2)

D’altra parte l’espressione (9.6.1) porge, per definizione di esponenziale di una matrice,

R(α) =∞∑

n=0

1n!

0 −α3 α2

α3 0 −α1

−α2 α1 0

n

= I +

0 −α3 α2

α3 0 −α1

−α2 α1 0

+ o(|α|) α → 0

e di conseguenza deve aversi

Rkj(α) = δkj − εkjrαr + o(|α|) (α → 0)

in modo che risulta∂Rkj

∂αr(α) = −εkjr + o(1) (α → 0)

e per α = 0 vale∂Rkj

∂αr(0) = −εkjr . (9.6.3)

Non resta che sostituire (9.6.3) in (9.6.2) per ricavare l’espressione esplicita degli integraliprimi

(JO)r = η(|x|)3∑

k,j=1

(−εkjr)xjdxk

ds= η(|x|)

3∑j,k=1

εrjkxjdxk

dsr = 1, 2, 3

i quali altro non sono se non le componenti cartesiane del vettore

JO = η(|x|)x ∧ dx

ds= η(|P − O|) (P − O) ∧ dP

ds= η(|P − O|) (P − O) ∧ τ . (9.6.4)

Allo stesso risultato si perviene interpretando i parametri α come funzioni regolari deltempo tali che α(0) = 0. In tal modo R e una matrice di rotazione dipendente dal tempoche descrive un qualsiasi moto rotatorio del sistema con punto fisso O e tale che R(0) = I.Dal teorema di Poisson per l’atto di moto rigido si deduce allora che per ogni punto x vale

d

dtR[α(t)]x = ω ∧ R[α(t)]x =

3∑r=1

ωr er ∧ R[α(t)]x

Stefano Siboni 141

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e quindi all’istante iniziale t = 0

d

dtR[α(t)]x

∣∣∣∣t=0

=3∑

r=1

ωr er ∧ x (9.6.5)

espressione nella quale la velocita angolare istantanea ω puo essere un qualsiasi vettore diR3, di componenti ω1, ω2, ω3 arbitrarie. Una applicazione del teorema di derivazione dellefunzioni composte al primo membro della (9.6.5) porge peraltro

3∑r=1

αr(0)∂R

∂αr(0)x =

3∑r=1

ωr er ∧ x

e basta identificare le derivate arbitrarie αr(0) con le componenti ωr della velocita angolareistantanea a t = 0 per ottenere

∂R

∂αr(0)x = er ∧ x r = 1, 2, 3

da cui, per l’arbitrarieta di x ∈ R3, segue la (9.6.3). L’integrale JO presenta una evidenteanalogia formale con il momento angolare, la cui conservazione per un punto materialelibero di muoversi in un campo di forze centrali segue infatti dall’invarianza del poten-ziale scalare per rotazioni attorno al centro e da una analoga applicazione del teorema diNoether. Beninteso, dal punto di vista fisico non mancano le differenze: in luogo dellamassa costante troviamo l’indice di rifrazione, che e funzione della posizione, mentre lavelocita istantanea viene sostituita dal versore tangente al raggio luminoso nella posizioneconsiderata.

Verifica diretta dell’integrale primoL’esistenza dell’integrale primo (9.6.4) puo essere stabilita anche per via diretta, ma-nipolando l’equazione dei raggi (9.5). In forza della simmetria del potenziale, le componentidel gradiente di n(P ) assumono una forma assai particolare

∂n

∂xi=

dr

∂r

∂xi=

dr

xi

ri = 1, 2, 3 .

Conviene porreP − O = r r

dove r e il versore radiale concorde con il raggio vettore P − O. Si ottiene allora per ilgradiente dell’indice di rifrazione l’espressione

∇n =dη

dr(r)

1|P − O| (P −O) =

dr(r) r ,

mentre il versore tangente al raggio luminoso si scrive

τ =dP

ds=

dr

dsr + r

dr

ds

Stefano Siboni 142

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e l’unitarieta del suo modulo impone che si abbia

1 =(dr

ds

)2

+ r2∣∣∣dr

ds

∣∣∣2dal momento che dr/ds e un vettore ortogonale ad r

dr

ds· r =

d

ds

(12r2)

=d

ds

(12

)= 0 .

L’equazione di propagazione diventa

ds=

[dη

drr − dη

drr ·(dr

dsr + r

dr

ds

)(dr

dsr + r

dr

ds

)]=

=1η

[dη

drr − dη

dr

dr

ds

(dr

dsr + r

dr

ds

)]=

[dη

drr − dη

ds

(dr

dsr + r

dr

ds

)]

e di conseguenza e possibile scrivere

d

ds[(P − O) ∧ τ ] =

dP

ds∧ τ + (P − O) ∧ dτ

ds=

= τ ∧ τ + r r ∧ 1η

[dη

drr − dη

ds

(dr

dsr + r

dr

ds

)]=

= −1η

r r ∧ dη

ds

(dr

dsr + r

dr

ds

)= −1

η

ds(P − O) ∧ τ

ovvero

ηd

ds[(P − O) ∧ τ ] +

ds(P − O) ∧ τ = 0

o ancorad

ds[η(P − O) ∧ τ ] = 0 .

Pertanto il vettore entro parentesi quadre

JO = η(P −O) ∧ τ

e un integrale primo del sistema, come si voleva verificare.

Traiettorie pianeL’esistenza dell’integrale primo (9.6.4) ha come immediata conseguenza il fatto che letraiettorie di tutti i raggi luminosi sono piane. Si devono distinguere due casi.

(i) Se JO = 0 allora, essendo η ≥ 1 si ha (P − O) ∧ τ = 0, ossia

(P − O) ∧ dP

ds= 0

Stefano Siboni 143

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e quindidP

ds= λ(s)(P −O)

per cui, usando ad esempio il metodo del fattore integrante, la traiettoria del raggiodeve essere descritta da una espressione del tipo

P (s) −O = exp( s∫

0

λ(ξ)dξ

)[P (0) − O]

dalla quale appare evidente che il raggio luminoso si propaga in direzione radiale.

(ii) Se viceversa JO = 0 risulta invece

JO · (P − O) = η(P − O) ∧ τ · (P − O) = 0

che e l’equazione cartesiana di un piano passante per l’origine; il raggio luminosopercorre dunque una traiettoria piana. Il piano e quello passante per O e normale alvettore JO, ovvero quello contenente i valori iniziali dei vettori P −O e τ .

La circostanza (i) non appare particolarmente interessante, in quanto la propagazione delraggio avviene semplicemente lungo una retta passante per il centro del campo di rifrazione.Nella discussione seguente ci si limitera pertanto a considerare il solo caso (ii), con JO = 0.Si osservi comunque la stretta analogia con la prova che tutte le traiettorie di un puntomateriale libero in un campo di forze centrali sono piane: nel caso meccanico l’argomentousato e la conservazione del momento angolare calcolato rispetto al centro del campo,mentre nella circostanza presente si fa uso, in modo sostanzialmente identico, dell’analogointegrale JO.

Terna cartesiana adattata al piano di giacitura della traiettoriaCome per i moti centrali conviene scegliere una terna di riferimento cartesiana ortogonalein modo che Oxy sia il piano di giacitura del raggio e quindi

JO = c e3 ,

con c = 0 costante reale opportuna. Pagando il prezzo di una eventuale rotazione supple-mentare che inverta l’orientamento dell’asse Oz, puo sempre ritenersi c > 0. In tale ipotesisi avra allora

c e3 = n(xe1 + ye2) ∧(dx

dse1 +

dy

dse2

)= n

(x

dy

ds− y

dx

ds

)e3

e quindi

n(x

dy

ds− y

dx

ds

)= c . (9.6.6)

In coordinate polari piane risulta

x = r cos φ

y = r sin φ

dx

ds=

dr

dscos φ − r sin φ

ds

dy

ds=

dr

dssin φ + r cos φ

ds

(9.6.7)

Stefano Siboni 144

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per cui

xdy

ds− y

dx

ds= r2 dφ

ds

e la condizione (9.6.6) assume la forma

η(r) r2 dφ

ds= c . (9.6.8)

Vale la pena di sottolineare che il valore della costante c e completamente specificato dallecondizioni iniziali per mezzo della relazione c = |JO| = |η(|P −O|)(P −O)∧ τ | ovvero, conla particolare scelta della terna di riferimento considerata, mediante la formula

c = η(r)(xτy − yτx) . (9.6.9)

E altresı evidente dalla (9.6.8) che la costante c non puo eccedere, in valore assoluto, ilmassimo di rη(r) per r > 0:

|c| = rη(r)∣∣∣rdφ

ds

∣∣∣ ≤ rη(r)[(

rdφ

ds

)2

+(dr

ds

)2]2

= rη(r) ≤ supr>0

rη(r) . (9.6.10)

Nonostante la sua interpretazione fisica sia alquanto diversa, l’equazione (9.6.8) richiamaalla memoria la legge delle aree — o prima legge di Keplero — per i moti centrali.

Equazione delle traiettorie in coordinate polari pianeUsando le coordinate polari (9.6.7) nel piano Oxy di giacitura della traiettoria, l’equazione(9.5) del raggio luminoso diventa

ds=

1η(r)

dr(r)(r − r · τ τ )

d

ds(r cos φ e1 + r sin φ e2) = τ .

(9.6.11)

La seconda equazione fornisce le equazioni scalari

dr

dscos φ − dφ

dsr sin φ = τx

dr

dssinφ +

dsr cos φ = τy

che possono facilmente ricondursi alla forma normale del primo ordine

dr

ds= τx cos φ + τy sin φ

ds=

1r(−τx sin φ + τy cos φ) .

Stefano Siboni 145

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Ricordando che r = cos φ e1 + sin φ e2, le equazioni (9.6.11) si riducono a

dτx

ds=

1η(r)

dr(r)[cos φ − (τx cos φ + τy sinφ) τx

]dτy

ds=

1η(r)

dr(r)[sin φ− (τx cos φ + τy sin φ) τy

]dr

ds= τx cos φ + τy sinφ

ds=

1r(−τx sinφ + τy cos φ) .

(9.6.12)

in forma normale del primo ordine nelle quattro variabili dipendenti (r, φ, τx, τy) ∈ R+×R3,con τ 2

x + τ 2y = 1. Esistenza ed unicita della soluzione massimale per qualsiasi problema

di Cauchy sono gia state provate nel caso generale; tuttavia e molto semplice stabilire ilrisultato anche in coordinate polari, eseguendo le sostituzioni

(τx cos φ + τy sin φ) τx −−−−−−→ τx cos φ + τy sinφ

τ 2x + τ 2

y

τx

(τx cos φ + τy sin φ) τy −−−−−−→ τx cos φ + τy sinφ

τ 2x + τ 2

y

τy

nei membri destri delle prime due equazioni, assumendo (τx, τy) ∈ R2 \ 0 e verificandoche τ 2

x + τ 2y costituisce un integrale primo del sistema di equazioni cosı modificato.

Equazione delle traiettorie in coordinate polari: angolo φ come variabile indipendenteL’espressione (9.6.4), per JO = 0, esclude che la traiettoria massimale del raggio luminosopossa attraversare il centro del campo di rifrazione dove peraltro il sistema di coordinatepolari risulterebbe singolare. In caso contrario si avrebbe infatti, contro l’ipotesi di JO nonnullo,

JO = η(|P − O|)(P − O) ∧ τ = η(0) 0 ∧ τ = 0 .

La stessa conclusione e confermata dalla corrispondente espressione in coordinate polari(9.6.8), dalla quale e percio lecito dedurre che lungo la traiettoria massimale deve aversi

ds=

c

η(r)r2> 0 . (9.6.13)

Nel proprio intervallo di definizione, la parte angolare φ(s) della soluzione completa devequindi risultare una funzione monotona crescente dell’ascissa curvilinea s, in modo cheappare definita la corrispondente funzione inversa

s = s(φ) .

La funzione e di classe C2 nel proprio intervallo di definizione, lo si puo verificare facilmenteapplicando il teorema delle funzioni implicite alla funzione C2 di s e φ

F (φ, s) = −φ + φ(0) +

s∫0

c

η(r) r2ds

Stefano Siboni 146

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per la quale risulta∂F

∂s(φ, s) =

c

η[r(s)] r(s)2> 0 .

La derivata prima della funzione s(φ) risulta, in particolare,

ds

dφ(φ) =

1cη(r) r2 (9.6.14)

E cosı possibile usare l’angolo φ in luogo dell’ascissa curvilinea s come variabile indipen-dente e considerare quindi in luogo della soluzione (r(s), φ(s)) la sola funzione incognita

r = r[s(φ)] = r(φ)

che rappresenta la traiettoria del raggio direttamente — e non parametricamente — in co-ordinate polari piane. Il versore tangente τ sara poi determinabile calcolando la derivataprima della parametrizzazione e normalizzando il risultato. Per un assegnato valore nonnullo della costante c e dato di scrivere una equazione differenziale delle orbite per la fun-zione r(φ). A questo scopo conviene riprendere l’equazione dei raggi nella forma primitiva(9.4) ed esprimerla in coordinate polari nel piano di giacitura Oxy, proiettandola lungo gliassi Ox e Oy ed eliminando τ :

d

ds

d

ds(r cos φ)

]=

drcos φ

d

ds

d

ds(r sin φ)

]=

drsinφ .

(9.6.15)

Con il cambiamento di variabile indipendente s → φ e ricordando la (9.6.13) le espressionientro parentesi quadre diventano

ηd

ds(r cos φ) =

c

r2

( dr

dφcos φ − r sin φ

d

ds(r sin φ) =

c

r2

( dr

dφsinφ + r cos φ

)per cui le (9.6.15) assumono la forma

c

ηr2

d

[c

r2

( dr

dφcos φ − r sin φ

)]=

drcos φ

c

ηr2

d

[c

r2

( dr

dφsin φ + r cos φ

)]=

drsin φ

che equivale a

c2

ηr2

d

[− d

(1r

)cos φ − 1

rsinφ

]=

drcos φ

c2

ηr2

d

[− d

(1r

)sin φ +

1r

cos φ

]=

drsin φ .

Stefano Siboni 147

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Vale d’altra partedη

dr(r) =

dη(r)d(1/r)

d

dr

(1r

)= − 1

r2

dη(r)d(1/r)

per cui ponendo 1/r = u ∈ (0,+∞) e η(1/u) = η(u) si ottiene

u2 c2

η

d

[−du

dφcos φ− u sin φ

]= −u2 dη

ducos φ

u2 c2

η

d

[−du

dφsinφ + u cos φ

]= −u2 dη

dusinφ

ossia

c2

η

d

(du

dφcos φ + u sin φ

)=

ducos φ

c2

η

d

(du

dφsinφ − u cos φ

)=

dusinφ

ed infine

d

(du

dφcos φ + u sinφ

)=

η

c2

ducos φ

d

(du

dφsinφ − u cosφ

)=

η

c2

dusin φ .

Non rimane che eseguire le derivate a primo membro per ricavare le equazioni

d2u

dφ2cos φ− du

dφsinφ +

du

dφsinφ + u cos φ =

η

c2

ducos φ

d2u

dφ2sinφ +

du

dφcos φ − du

dφcos φ + u sin φ =

η

c2

dusinφ

che semplificando e raccogliendo i fattori comuni si riducono a

(d2u

dφ2+ u − η

c2

du

)cos φ = 0(d2u

dφ2+ u − η

c2

du

)sinφ = 0 .

Non potendo risultare cos φ e sinφ simultaneamente nulli, il sistema e equivalente alla solaequazione differenziale scalare

d2u

dφ2+ u − η

c2

du= 0 (9.6.16)

che costituisce l’equazione delle orbite cercata.

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Analisi di WeierstrassA patto di sostituire l’angolo φ con il tempo, l’equazione (9.6.16) ha una forma analoga aquella del moto di un sistema scleronomo unidimensionale soggetto soltanto a sollecitazioniposizionali conservative, dal momento che puo scriversi come

d2u

dφ2=

1c2

ηdη

du(u) − u = − d

du

[12

(u2 − 1

c2η2(u)

)]= −dW

du(u)

in termini dell’energia potenziale formale

W (u) =12

(u2 − 1

c2η2(u)

). (9.6.17)

L’equazione delle orbite (9.6.16) ammette dunque l’integrale primo, analogo dell’energiameccanica,

H(u,

du

)=

12

(du

)2

+ W (u) (9.6.18)

che consente di applicare l’analisi di Weierstrass allo studio qualitativo delle soluzioniu = u(φ) e dunque di r = r(φ) = 1/u(φ). In realta la discussione di Weierstrass deve essereutilizzata in un modo molto particolare, in quanto l’integrale primo (9.6.18) e identicamentenullo. Cio e dovuto al fatto che nelle equazioni (9.6.15) di propagazione dei raggi lavariabile indipendente s non costituisce un parametro qualsiasi ma rappresenta una ascissacurvilinea, legata dunque a r(s) e φ(s) dalla relazione differenziale

ds2 = dr2 + r2dφ2 .

Si ha cosı ( ds

)2

=( dr

)2

+ r2

per cui, sostituendo la (9.6.14),

1c2

η(r)2r4 =( dr

)2

+ r2

e quindi1r4

( dr

)2

+1r2

− 1c2

η(r)2 = 0 .

Basta infine porre u = 1/r per ottenere

(du

)2

+ u2 − 1c2

η(u)2 = 0

e concludere che H(u, du/dφ) = 0, come affermato. La funzione di Weierstrass dipendepercio unicamente dalla costante c

Ψc(u) =1c2

η(u)2 − u2

Stefano Siboni 149

Universita degli studi di Trento Corso di Meccanica razionale 2

a sua volta determinata univocamente dalle condizioni iniziali per mezzo della (9.6.9) o, incoordinate polari, da

c = η(r) r (τu cos φ − τx sinφ) =1u

η(u)(τy cos φ − τx sinφ) .

Per stabilire l’andamento qualitativo della soluzione radiale u = u(φ) occorre e bastadeterminare gli zeri della funzione Ψc, ossia le soluzioni di[

1cη(u) + u

][1cη(u) − u

]= 0

che per per l’essere c > 0 e u > 0 si identificano con le soluzioni dell’equazione

η(u) − cu = 0 , u > 0 .

E altresı importante stabilire il simultaneo annullarsi o meno della derivata prima di Ψc

dΨc

du(u) =

[1c

du(u) + 1

][1cη(u) − u

]+[1cη(u) + u

][1c

du(u) − 1

](9.6.19)

onde assicurarsi che lo zero di Ψc sia semplice o doppio, rappresentando nel primo un casoun punto di inversione della soluzione, ovvero un punto di meta asintotica nel secondo. Siosservi che in corrispondenza di un punto critico di Ψc, la derivata (9.6.19) si semplificain modo significativo, riducendosi all’espressione

dΨc

du(u) =

[1cη(u) + u

][1c

du(u) − 1

]in cui annullarsi o meno dipende unicamente dal secondo fattore

dΨc

du(u) = 0 ⇐⇒ dη

du(u) = c , u > 0 .

Giova ricordare che per via della relazione (9.6.10) la costante c deve soddisfare la dise-guaglianza

c ≤ supu>0

η(u)/u .

A titolo esemplificativo, si supponga che la funzione η(u) abbia l’andamento illustrato nelgrafico seguente. Si osservi, in particolare, che per u → 0+ — ovvero per r → +∞ —l’indice di rifrazione tende al valore +1, caratteristico del vuoto.

Stefano Siboni 150

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Secondo il valore della costante c > 0 possono distinguersi varie tipologie di traiettorie;quelle piu interessanti corrispondono ai casi notevoli illustrati nel seguito, per valori de-crescenti di c.

Primo casoPer c > 0 sufficientemente grande esiste un unico punto di intersezione u = umax fra ilgrafico di η(u) e la retta cu; in u = umax il grafico di η(u) ha pendenza minore di c per cui ilpunto rappresenta uno zero semplice della funzione di Weierstrass Ψc, punto di inversionedella soluzione.

Per una variazione finita ∆φ della variabile angolare la soluzione u(φ) passa da 0 al suovalore massimo umax, essendo

∆φ =

umax∫0

1√Ψc(u)

du =

umax∫0

1√1c2

η(u)2 − u2

du

integrale generalizzato convergente. Con una ulteriore variazione ∆φ dell’angolo φ lasoluzione passa a ritroso dal valore massimo a zero. In coordinate polari il raggio partedall’infinito e al crescere di φ si avvicina monotonicamente al centro, raggiungendo una dis-tanza minima r = 1/umax da questo mentre l’angolo varia di ∆φ rispetto al proprio valoreiniziale; superata questa posizione di massimo avvicinamento il raggio torna ad allonta-narsi dal centro e si porta a distanza infinita con una ulteriore variazione ∆φ dell’anomalia.La variazione complessiva subita dalla variabile angolare lungo la traiettoria completa delraggio vale 2∆φ e la deflessione totale del raggio si scrive percio

∆φdeflessione = 2∆φ− π = 2

umax∫0

1√1c2

η(u)2 − u2

du − π .

La figura sottoriportata illustra quanto affermato.

Stefano Siboni 151

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Secondo casoSe la costante c scende ad un valore critico c1 la retta c1u oltre ad intersecare il graficodi η(u) in un punto umas analogo a quello considerato nel caso precedente, risulta altresıtangente a detto grafico in un successivo punto u0 > umax — vedi figura.

Accanto alla soluzione di codominio (0, umax], che presenta un andamento simile a quellagia esaminata nel primo caso, compare una soluzione costante u(φ) = u0, ∀φ ∈ R, checorrisponde ad una traiettoria circolare del raggio luminoso ad una distanza dal centropari a 1/u0.

Stefano Siboni 152

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Terzo casoPer c > 0 un poco piu piccolo di c1 si ha ancora una intersezione propria del tipo umax

come nei casi precedenti, oltre alla quale tuttavia compaiono altre due intersezioni proprieu− e u+, con umax < u− < u+ e

η(u) > cu ∀u ∈ (u−, u+) .

In quanto intersezioni proprie fra i due grafici, entrambi i punti u− e u+ sono punti diinversione della soluzione, che risulta percio periodica e di codominio chiuso [u−, u+],alternando tratti crescenti a tratti decrescenti definiti su uguali intervalli della variabileangolare. La traiettoria del raggio e quindi completamente compresa fra le circonferenzedi centro O e raggi rispettivi 1/u+ e 1/u−. Il minimo periodo positivo e dato dall’integraledi Weierstrass completo

Tφ = 2

u+∫u−

1√Ψc(u)

du = 2

u+∫u−

1√1c2

η(u)2 − u2

du (9.6.20)

sicche risulta u(φ+Tφ) = u(φ) ∀φ ∈ R. In particolare Tφ rappresenta l’intervallo angolarefra due posizioni successive del raggio luminoso alla minima distanza 1/u+ dal centro —pericentro. Da cio e evidente che il raggio luminoso si richiude su se stesso se e soltanto seesistono due interi positivi m, q ∈ N tali che

Tφ = 2πm

q

in modo che in m rivoluzioni complete attorno al centro O il raggio luminoso compie unnumero intero q di passaggi al pericentro. In caso contrario il raggio riempie densamentela corona circolare chiusa di centro O e compresa fra i raggi 1/u+ e 1/u−, come illustratonella figura seguente.

Stefano Siboni 153

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Quarto caso

Riducendo ulteriormente la costante c si perviene ad un valore critico c2 in corrispondenzadel quale i grafici di η(u) e c2u hanno un punto di tangenza in u0 ed una intersezionepropria per u = umax > u0 — vedi figura.

Si hanno orbite per valori iniziali di u minori di u0, uguali a u0, oppure compresi nell’inter-vallo (u0, umax]. Se u < u0 e du/dφ < 0 la soluzione u(φ) decresce monotonicamente a zero,in modo che il raggio si allontana indefinitamente dal centro compiendo un numero finito dirivoluzioni — l’integrale di Weierstrass fra 0 e u < u0 e convergente. Se all’opposto u < u0

ma du/dφ > 0, u(φ) tende asintoticamente crescendo al valore asintotico u0, eseguendo nelcontempo un numero infinito di rivoluzioni attorno al centro — integrale di Weierstrassdivergente. Qualora u0 sia il valore iniziale della variabile u, l’equazione del raggio e sem-plicemente u(φ) = u0 ∀φ ∈ R e la propagazione avviene lungo una circonferenza di centroO e raggio 1/u0. Se infine il dato iniziale per la variabile u sia compreso nell’intervallo

Stefano Siboni 154

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(u0, umax], la soluzione massimale presenta i comportamenti asintotici

limφ→−∞

u(φ) = u0 limφ→+∞

u(φ) = u0

risultando tangente alla circonferenza di centro O e raggio 1/umax — vedi figura. Dallafigura e altresı evidente, come peraltro appare ovvio, che la circonferenza centrata in Oe di raggio 1/u0 costituisce l’insieme α-limite e l’insieme ω-limite della soluzione 1/u(φ).Quest’ultima tipologia di traiettorie, la piu interessante, e rappresentata qualitativamentenella figura sottoriportata

Quinto casoSe infine si considera c < c2 i grafici di η(u) e di cu assumono una disposizione relativamolto simile a quella gia considerata nel primo caso, con un unico punto di intersezionepropria in u = umax. La differenza consiste nel fatto che il valore critico umax risulta piuelevato, per cui il raggio luminoso transita ad una distanza minima del centro inferiorerispetto al caso considerato in precedenza.

Stefano Siboni 155

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9.7 Integrale primo del tipo Runge-LenzE ben noto dalla meccanica che un punto materiale P in moto in un campo centrale ditipo coulombiano/kepleriano, di potenziale V (r) = −k/r, ammette come integrale primonotevole il vettore

A(P, P ) = mP ∧ [(P −O) ∧ P ] − mkP − O

|P − O| (9.7.1)

che e definito grazie alla particolare dipendenza del campo dalla distanza r = |P − O| diP dal centro O del campo e si aggiunge agli integrali primi del momento angolare in Oe dell’energia meccanica, validi per qualsiasi campo di forze centrali. L’integrale primo(9.7.1) e noto come integrale di Runge-Lenz ed e responsabile del fatto che nel camponewtoniano tutte le orbite limitate sono chiuse — ellittiche.Si e gia sottolineato che le traiettorie dei raggi luminosi in un mezzo con indice di rifrazionen(P ) si identificano con quelle di un punto materiale libero di massa unitaria e soggettoa una forza conservativa di potenziale n(P )2/2; ci si aspetta pertanto che l’equazione dipropagazione di un raggio luminoso in un campo di rifrazione del tipo

n(P ) =√

α

|P − O| + β , P ∈ R3 ,

con α > 0 e β ≥ 1, debba ammettere un integrale primo di forma analoga a (9.7.1).Naturalmente, in luogo della massa si deve considerare l’indice di rifrazione e la velocitaistantanea del punto materiale viene sostituita dalla derivata del parametrizzazione rispettoall’ascissa curvilinea. Posto per brevita P − O = x, si vuole quindi verificare che perη(r) =

√α/r + β il campo vettoriale

A(x, dx/ds) = η(r)dx

ds∧[x ∧ η(r)

dx

ds

]− α

2x

r(9.7.2)

costituisce un integrale primo per le equazioni (9.4). Derivando il primo termine nel se-condo membro della (9.7.2) lungo le soluzioni delle (9.4) si ottiene

d

ds

[ηdx

ds∧(x ∧ η

dx

ds

)]=

=d

ds

(ηdx

ds

)∧(x ∧ η

dx

ds

)+ η

dx

ds∧[dx

ds∧ η

dx

ds+ x ∧ d

ds

(ηdx

ds

)]

=dη

dr

x

r∧(x ∧ η

dx

ds

)+ η

dx

ds∧(x ∧ dη

dr

x

r

)espressione nella quale il primo termine, il solo non nullo, si riscrive come

dr

x

r∧(x ∧ η

dx

ds

)=

dr

(xη

dx

ds· x

r− dx

dsηx · x

r

)=

=dη

dr

[x

η

r

d

ds

(x2

2

)− ηr

dx

ds

]=

dr

(x

η

rrdr

ds− ηr

dx

ds

)

Stefano Siboni 156

Universita degli studi di Trento Corso di Meccanica razionale 2

e raccogliendo i fattori comuni diventa

drη(x

dr

ds− r

dx

ds

). (9.7.3)

Si puo riesprimere (9.7.3) evidenziando la derivata del vettore x/r

−ηdη

drr2

rdx

ds− x

dr

dsr2

= −ηdη

drr2 d

ds

(x

r

)e il risultato si riduce a

α

2d

ds

(x

r

)=

d

ds

2x

r

)a patto di assumere che sia

ηdη

drr2 = −α

2(9.7.4)

per α ∈ R costante assegnata. Si conclude pertanto che

d

ds

η(r)

dx

ds∧[x ∧ η(r)

dx

ds

]− α

2x

r

= 0

per qualsiasi funzione η(r) soluzione positiva dell’equazione (9.7.4), che si ricava per sep-arazione di variabili

η(r) =√

α

r+ β

e nella quale si deve richiedere che sia α > 0 e β ≥ 1 in modo da assicurare il requisito fisicodi η(r) ≥ 1 ∀ r > 0. L’integrale primo (9.7.2) e l’equivalente, nel caso ottico, dell’integraledi Runge-Lenz per il problema di Keplero.

9.8 Campo di rifrazione a simmetria assialeSi supponga che l’indice di rifrazione costituisca un campo scalare C2 con simmetria assialerispetto all’asse On. Se si indica con R(θ) la matrice ortogonale che descrive una rotazionedi un angolo θ attorno all’asse On, in modo che R(0) = I, sostituendo a θ una qualsiasifunzione regolare θ(t) del tempo il teorema di Poisson consente di scrivere la relazione

d

dtR[θ(t)]x = θ(t) n ∧ R[θ(t)]x

che all’istante iniziale t = 0 si riduce a

d

dtR[θ(t)]x

∣∣∣∣t=0

= θ(0) n ∧ x .

Basta allora ricorrere al teorema di derivazione delle funzioni composte al primo membro

θ(0)∂R

∂θ(0)x = θ(0) n ∧ x

Stefano Siboni 157

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e ricordare l’arbitrarieta di θ(0) per concludere che

∂R

∂θ(0)x = n ∧ x ∀x ∈ R

3 .

Dal teorema di Noether e dall’invarianza della lagrangiana (9.3) sotto rotazioni del tipoR(θ) segue allora che un integrale primo del sistema (9.5) si scrive

3∑i=1

∂L

∂xi

[∂R

∂θ(0)x

]i

=∂L

∂x· ∂R

∂θ(0)x =

∂L

∂x· n ∧ x =

= n · x ∧ ∂L

∂x= n · x ∧ n(x)

x

|x| = n · x ∧ n(x)dx

ds= n · JO

(9.8.1)

espressione identificabile con la componente di JO lungo l’asse di simmetria. Un modoalternativo ma del tutto equivalente di ottenere questo risultato consiste nel considerarel’asse coordinato Ox3 come asse di simmetria, in modo che risulti

n(x) = n(√

x21 + x2

2, x3) (9.8.2)

e la lagrangiana (9.3) sia quindi invariante

L(x, x) = L[R(θ)x,R(θ)x]

per qualsiasi rotazione attorno all’asse di simmetria

R(θ) =

cos θ − sin θ 0

sin θ cos θ 00 0 1

∀ θ ∈ R .

Vale allora∂R

∂θ(0) =

0 −1 0

1 0 00 0 0

per cui

∂R

∂θ(0)x =

0 −1 0

1 0 00 0 0

x1

x2

x3

=

−x2

x1

0

= e3 ∧ x

e l’integrale primo di Noether (9.5.5) diventa

∂L

∂x· ∂R

∂θ(0)x =

∂L

∂x· e3 ∧ x = e3 · x ∧ ∂L

∂x= e3 · x ∧ n(x)

dx

ds

in accordo con il risultato precedente per n = e3.

Stefano Siboni 158

Universita degli studi di Trento Corso di Meccanica razionale 2

Terna di riferimento adattata all’asse di simmetria del campoIn presenza di un asse di simmetria e sempre dato di scegliere la terna di riferimento Oxyzin modo che l’asse coordinato Oz concida con l’asse di simmetria e l’indice di rifrazionesia un campo scalare della forma (9.8.2)

n(x, y, z) = η(√

x2 + y2, z) (x, y, z) ∈ R3 .

In coordinate cilindriche si ha

x = ρ cos φ

y = ρ sinφ

dx

ds=

dscos φ − ρ sinφ

dsdy

ds=

dssinφ + ρ cos φ

ds

per cui

xdy

ds− y

dx

ds= ρ cos φ

(dρ

dssin φ + ρ cos φ

ds

)− ρ sin φ

(dρ

dscos φ − ρ sinφ

ds

)= ρ2 dφ

ds

e l’integrale primo (9.8.1) assume percio la forma

n · JO = η(ρ, z)ρ2 dφ

ds. (9.8.3)

Da quest’ultima relazione e immediato verificare che i valori della costante del moto devonosoddisfare la limitazione

|n · JO| = ρ η(ρ, z)∣∣∣ρdφ

ds

∣∣∣ ≤ ρ η(ρ, z)[(

ρdφ

ds

)2

+(dr

ds

)2]1/2

=

= ρ η(ρ, z) ≤ sup(ρ,z)∈R+×R

ρ η(ρ, z) .(9.8.4)

Equazione delle traiettorie in coordinate cilindricheScritta in coordinate cilindriche, l’equazione τ = dP/ds diventa

τ =d

ds(ρ cos φ e1 + ρ sin φ e2 + z e3)

cui corrispondono le componenti

τx =dρ

dscos φ− ρ sin φ

ds

τy =dρ

dssin φ + ρ cos φ

ds

τz =dz

ds

Stefano Siboni 159

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la cui inversione e immediata

ds= τx cos φ + τy sin φ

ds= −1

ρτx sinφ +

1ρτy cos φ

dz

ds= τz .

(9.8.5)

Le equazioni differenziali ottenute, del primo ordine ed in forma normale, chiudono leequazioni (9.5) del raggio luminoso, che in coordinate cilindriche si riducono a

dτx

ds=

1η(ρ, z)

[∂η

∂ρcos φ − dη

dsτx

]=

1η(ρ, z)

[∂η

∂ρcos φ −

(∂η

∂ρ

ds+

∂η

∂z

dz

ds

)τx

]dτy

ds=

1η(ρ, z)

[∂η

∂ρsinφ − dη

dsτy

]=

1η(ρ, z)

[∂η

∂ρsin φ −

(∂η

∂ρ

ds+

∂η

∂z

dz

ds

)τy

]dτz

ds=

1η(ρ, z)

[∂η

∂z− dη

dsτz

]=

1η(ρ, z)

[∂η

∂z−(∂η

∂ρ

ds+

∂η

∂z

dz

ds

)τz

].

La propagazione dei raggi luminosi e quindi governata dal sistema di 6 equazioni differen-ziali del primo ordine in forma normale di 6 variabili:

ds= τx cos φ + τy sinφ

ds= −1

ρτx sinφ +

1ρτy cos φ

dz

ds= τz

dτx

ds=

1η(ρ, z)

[∂η

∂ρcos φ −

(∂η

∂ρ(τx cos φ + τy sinφ) +

∂η

∂zτz

)τx

]

dτy

ds=

1η(ρ, z)

[∂η

∂ρsinφ −

(∂η

∂ρ(τx cos φ + τy sin φ) +

∂η

∂zτz

)τy

]

dτz

ds=

1η(ρ, z)

[∂η

∂z−(∂η

∂ρ(τx cos φ + τy sinφ) +

∂η

∂zτz

)τz

]

definito ∀ (ρ, φ, z) ∈ R+ × R × R e (τx, τy, τz) ∈ R3 con τ 2x + τ 2

y + τ 2z = 1. Come nel caso

di simmetria sferica, nell’ipotesi che η sia funzione C2 dei propri argomenti, e possibileapplicare il teorema di esistenza e unicita del problema di Cauchy introducendo a secondomembro la sostituzione

∂η

∂ρ(τx cos φ+ τy sin φ)+

∂η

∂zτz −−−−−−→ 1

τ 2x + τ 2

y + τ 2z

(∂η

∂ρ(τx cos φ+ τy sin φ)+

∂η

∂zτz

)

che rende il sistema definito sul dominio aperto(ρ, φ, z, τx, τy, τz) : (ρ, φ, z) ∈ R

+ × R2 , (τx, τy, τz) ∈ R

3 \ 0

Stefano Siboni 160

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e munito dell’integrale primo τ 2x + τ 2

y + τ 2z .

Equazione delle traiettorie in coordinate cilindriche: angolo φ come variabile indipendentePer n ·JO = 0 si ha dφ/ds = 0, ossia φ = costante: la traiettoria del raggio luminoso giaceinteramente in un piano passante per l’asse di simmetria Oz. Qualora risulti n ·JO = c = 0il segno di dφ/ds coincide con quello di c

ds=

c

η(ρ, z)ρ2= 0 (9.8.6)

ed e lecito ricorrere all’angolo φ come variabile indipendente in luogo dell’ascissa curvi-linea s. Per ricavare l’equazione differenziale delle traiettorie in coordinate cilindriche intermini di φ conviene riferirsi all’equazione (9.4), che in coordinate cilindriche e separandole componenti cartesiane diventa

d

ds

d

ds(ρ cos φ)

]=

∂η

∂ρcos φ

d

ds

d

ds(ρ sin φ)

]=

∂η

∂ρsin φ

d

ds

(ηdz

ds

)=

∂η

∂z.

Nella prima equazione l’espressione entro parentesi quadre si riscrive mediante la (9.8.6)come

ηd

ds(ρ cos φ) = η

ds

d

dφ(ρ cos φ) =

c

ρ2

d

dφ(ρ cos φ) =

c

ρ2

( dρ

dφcos φ− ρ sin φ

)=

= c

[1ρ2

dφcos φ − 1

ρsinφ

]= c

[− d

(1ρ

)cos φ− 1

ρsin φ

]

per cui

d

ds

d

ds(ρ cos φ)

]= c

ds

d

[− d

(1ρ

)cos φ − 1

ρsin φ

]=

=c2

ηρ2

[− d2

dφ2

(1ρ

)cos φ +

d

(1ρ

)− d

(1ρ

)− 1

ρcos φ

]= − c2

ηρ2

[d2

dφ2

(1ρ

)+

]cos φ.

In modo analogo si prova che

d

ds

d

ds(ρ sin φ)

]= − c2

ηρ2

[d2

dφ2

(1ρ

)+

]sinφ

e che

d

ds

(ηdz

ds

)=

ds

d

ds

dz

)=

c

ηρ2

d

c

ηρ2

dz

)=

c2

ηρ2

d

( 1ρ2

dz

).

Stefano Siboni 161

Universita degli studi di Trento Corso di Meccanica razionale 2

Le equazioni del raggio luminoso diventano cosı

− c2

ηρ2

[d2

dφ2

(1ρ

)+

]cos φ =

∂η

∂ρcos φ

− c2

ηρ2

[d2

dφ2

(1ρ

)+

]sinφ =

∂η

∂ρsinφ

c2

ηρ2

d

( 1ρ2

dz

)=

∂η

∂z

ossia

− c2

ηρ2

[d2

dφ2

(1ρ

)+

]=

∂η

∂ρ

c2

ηρ2

d

( 1ρ2

dz

)=

∂η

∂z.

Con le sostituzioni u = 1/ρ e η(u, z) = η(1/u, z) le equazioni precedenti si riducono a

c2(d2u

dφ2+ u

)= η(u, z)

∂η

∂u(u, z)

c2u2 d

(u2 dz

)= η(u, z)

∂η

∂z(u, z) .

(9.8.7)

Traiettorie limitate nella coordinata radiale ρLe (9.8.7) si possono esprimere in modo equivalente come

d2u

dφ2+ u =

∂u

[1

2c2η(u, z)2

]

u2 d

(u2 dz

)=

∂z

[1

2c2η(u, z)2

].

(9.8.8)

Moltiplicando membro a membro la prima per du/dφ e la seconda per dz/dφ, la sommadei prodotti ottenuti porge l’equazione

du

(d2u

dφ2+ u

)+

dz

dφu2 d

(u2 dz

)=

d

[1

2c2η(u, z)2

]

dalla quale si deduce

d

[12

(du

)2

+u2

2+

12

(u2 dz

)2]

=d

[1

2c2η(u, z)2

]

Stefano Siboni 162

Universita degli studi di Trento Corso di Meccanica razionale 2

ed infine12

(du

)2

+u2

2+

12

(u2 dz

)2

− 12c2

η(u, z)2 = γ , costante ,

ovvero (du

)2

+ u2 + u4( dz

)2

− 1c2

η(u, z)2 = 2γ . (9.8.9)

La costante γ non e arbitraria, ma risulta determinata univocamente dalla condizione

1 =(dρ

ds

)2

+ ρ2(dφ

ds

)2

+(dz

ds

)2

che si riscrive come

1 =(dφ

ds

)2[( dρ

)2

+ ρ2 +( dz

)2]

=c2

η2ρ4

[( dρ

)2

+ ρ2 +( dz

)2]

=

=c2

η2

[1ρ4

( dρ

)2

+1ρ2

+1ρ4

(dz

)2]

=c2

η2

[(du

)2

+ u2 + u4( dz

)2]

e quindi sostituendo la (9.8.9)

1 =c2

η2

(2γ +

η2

c2

)= 2γ

c2

η2+ 1

per cui γ = 0. Di conseguenza la (9.8.9) diventa

(du

)2

+ u2 + u4(dz

)2

− 1c2

η(u, z)2 = 0

ossia, equivalentemente,

(du

)2

+ u4( dz

)2

=1c2

η(u, z)2 − u2 . (9.8.10)

Da quest’ultima relazione si deduce che lungo la traiettoria di un raggio luminoso deverisultare

1c2

η(u, z)2 − u2 ≥ 0 .

Siano allora η(u, z) e c = 0 tali che la funzione Ξ(u, z) = η(u, z)2/c2−u2 abbia l’andamento“a bande” illustrato nella figura seguente

Stefano Siboni 163

Universita degli studi di Trento Corso di Meccanica razionale 2

Il semipiano (u, z) ∈ R+ × R si suddivide in almeno 4 regioni aperte Σ1,Σ2,Σ3,Σ4, . . .dai contorni non necessariamente rettilinei sui quali la funzione Ξ(u, z) assume alternati-vamente segno positivo e negativo. Piu precisamente:

(i) essendo η(ρ, z) ≥ 1 ∀ (ρ, z) ∈ R+ × R, vale certamente

Ξ(u, z) ≥ 1c2

− u2 > 0 ∀u < 1/|c| ,

per cui e certamente definita una banda aperta Σ1 contigua all’asse u = 0 in cuiΞ(u, z) > 0;

(ii) si assume l’esistenza di una banda aperta Σ2, contigua a Σ1, dove risulta Ξ(u, z) < 0e la cui larghezza lungo u non tende a zero

infz∈R

[sup

(u,z)∈Σ2

u − inf(u,z)∈Σ2

u

]> 0;

(iii) esista una regione Σ3, continua a Σ2, in cui Ξ(u, z) > 0, e di larghezza strettamentepositiva

infz∈R

[sup

(u,z)∈Σ3

u − inf(u,z)∈Σ3

u

]> 0 ;

(iv) non puo non essere definita una regione finale Σ4, che potrebbe essere eventualmentepreceduta da altre coppie di regioni adiacenti del tipo Σ2 e Σ3 dove sia alternativa-mente Ξ(u, z) < 0 e Ξ(u, z) > 0, in cui si abbia Ξ(u, z) < 0. Il ricorrere di una regionecosiffatta e conseguenza immediata dell’avere assunto, per ragioni fisiche, η(ρ, z) limi-tata: e infatti evidente che ∀ z ∈ R fissato vale

Ξ(u, z) ≤ 1c2

[sup

(u,z)∈R+×R

η(u, z)2]− u2 < 0 ∀u >

1|c| sup

(u,z)∈R+×R

η(u, z) .

Stefano Siboni 164

Universita degli studi di Trento Corso di Meccanica razionale 2

La condizione puo certamente ricorrere nel caso l’indice di rifrazione η(ρ, z) sia una funzioneperiodica dell’argomento z ∈ R

η(ρ, z + T ) = η(ρ, z) ∀ (ρ, z) ∈ R+ × R ,

allorquando e sufficiente che η(u, z)2/c2 − u2 presenti la struttura a bande sopra descrittanella striscia

(u, z) ∈ R+ × R , z ∈ [0, Tz]

essendo T il minimo periodo positivo di η(ρ, z) in z.

Nelle ipotesi suindicate appare evidente che per ogni condizione iniziale le cui componenti(u, z) siano comprese nel dominio aperto Σ3, la continuita della funzione Ξ(u, z) assicurache Σ3 sia una regione invariante per l’intera traiettoria del raggio luminoso. Poichetale dominio si mantiene a distanza strettamente positiva dall’asse u = 0, si concludeche il raggio luminoso segue una traiettoria limitata secondo la coordinata radiale ρ. Uncomportamento di questo tipo si verifica per esempio per i raggi periassiali di una fibraottica rettilinea assisimmetrica.

Caso notevole: invarianza lungo l’asse di simmetria cilindricaQualora l’indice di rifrazione sia invariante lungo l’asse di simmetria cilindrica Oz si ha

n = η(ρ)

e le equazioni (9.8.7) assumono la forma

c2(d2u

dφ2+ u

)= η(u)

∂η

∂u(u)

d

(u2 dz

)= 0 .

(9.8.11)

La prima delle (9.8.11) e una equazione differenziale nella sola funzione incognita u(φ) epuo risolversi per quadrature. La si riesprime infatti come

d2u

dφ2=

∂u

[−u2

2+

12c2

η(u)2]

,

relazione che implica sia

12

(du

)2

+u2

2− 1

2c2η(u)2 = γ , costante

ovvero (du

)2

= 2γ − u2 +1c2

η(u)2 .

Da questa equazione e anche possibile ricavare l’andamento qualitativo della soluzioneu(φ) facendo uso dell’analisi di Weierstrass. Una volta determinata u(φ), si completa

Stefano Siboni 165

Universita degli studi di Trento Corso di Meccanica razionale 2

l’individuazione della traiettoria per mezzo della seconda equazione, alla quale e associatoun secondo integrale primo

u2 dz

dφ= a , costante

e da cui segue perciodz

dφ=

a

u(φ)2

ed infinez(φ) =

∫a

u(φ)2dφ .

E importante sottolineare che le costanti γ e a non sono indipendenti, dovendosi avere

1 =(dρ

ds

)2

+ ρ2(dφ

ds

)2

+(dz

ds

)2

=(dφ

ds

)2[(dρ

)2

+ ρ2 +( dz

)2]

=

=c2

η(ρ)2ρ4

[(dρ

)2

+ ρ2 +( dz

)2]

=c2

η(u)2

[(du

)2

+ u2 + u4( dz

)2]

=

=c2

η(u)2

[2γ − u2 +

1c2

η(u)2 + u2 + u4 a2

u4

]=

c2

η(u)2

[2γ + a2 +

1c2

η(u)2]

e dunque

γ = −a2

2.

Le traiettorie dei raggi sono pertanto, per c = 0, tutte e sole le soluzioni del sistema(du

)2

= −a2 − u2 +1c2

η(u)2

z(φ) =∫

a

u(φ)2dφ

dove a indica una costante reale arbitraria, dipendente dai dati iniziali. Da notare che invirtu della diseguaglianza (9.8.4) per la costante c deve aversi

|c| ≤ supu>0

η(u)/u .

Per la prima delle due equazioni, autonoma, si possono individuare tutte le tipologie disoluzioni gia descritte per il campo di rifrazione a simmetria sferica.

9.9 Campo di rifrazione a simmetria traslazionaleSi supponga che l’indice di rifrazione sia un campo C2 invariante per traslazioni arbitrarielungo la direzione individuata dal versore n:

n(x + αn) = n(x) ∀α ∈ R , x ∈ R3 .

Stefano Siboni 166

Universita degli studi di Trento Corso di Meccanica razionale 2

La lagrangiana (9.3) e allora invariante rispetto alle stesse traslazioni

L(x + α n, x) = L(x, x)

per cui

0 =∂

∂αL(x + α n, x)

∣∣∣∣α=0

=∂L

∂x(x + α n, x) · n

∣∣∣∣α=0

=

=∂L

∂x(x, x) · n =

d

(∂L

∂x

)· n =

d

(∂L

∂x· n)

.

Questa procedura, che equivale ad applicare il teorema di Noether, porta a concludere cheil sistema ammette l’integrale primo

Q · n =∂L

∂x· n = n(x)

x

|x| · n = n(x)dx

ds· n (9.9.1)

formalmente analogo alla componente lungo On dell’impulso, a patto di considerare l’indicedi rifrazione in luogo della massa ed il versore tangente dx/ds al posto della velocitaistantanea.

Terna di riferimento adattata alla simmetria dell’indice di rifrazioneIn introduca una terna di riferimento Oxyz in modo che il versore di base e3 coincida conil versore n associato alle proprieta di invarianza dell’indice di rifrazione. Quest’ultimorisulta percio indipendente dalla coordinata z

n(x, y, z) = η(x, y) ∀ (x, y, z) ∈ R3

e l’integrale primo (9.9.1) assume la forma particolare

Q3 = Q · e3 = η(x, y)dz

ds. (9.9.2)

Equazione delle traiettorieRispetto alla terna di riferimento introdotta al punto precedente le equazioni dei raggicostituiscono un sistema di 6 equazioni differenziali del primo ordine in forma normale

dx

ds= τx

dy

ds= τy

dz

ds= τz

dτx

ds=

1η(x, y)

[∂η

∂x−(∂η

∂xτx +

∂η

∂yτy

)τx

]

dτy

ds=

1η(x, y)

[∂η

∂y−(∂η

∂xτx +

∂η

∂yτy

)τy

]

dτz

ds=

1η(x, y)

[−(∂η

∂xτx +

∂η

∂yτy

)τz

]

(9.9.3)

Stefano Siboni 167

Universita degli studi di Trento Corso di Meccanica razionale 2

definito nel dominio chiuso (x, y, z, τx, τy, τz) ∈ R6 : τ 2x + τ 2

y + τ 2z = 1, ma sempre

estendibile al dominio aperto

Ω =(x, y, z, τx, τy, τz) ∈ R

6 , : (τx, τy, τz) ∈ R3 \ 0

a condizione di eseguire la sostituzione

∂η

∂xτx +

∂η

∂yτy −−−−−−→

1τ 2x + τ 2

y + τ 2z

(∂η

∂xτx +

∂η

∂yτy

)

che assicura τ 2x +τ 2

y +τ 2z essere un integrale primo per il sistema cosı modificato. Per η(x, y)

di classe C2 il teorema di esistenza ed unicita assicura l’esistenza di un’unica soluzionemassimale per qualsiasi problema di Cauchy.

Equazione delle traiettorie: coordinata z come variabile indipendentePer Q3 = 0 si ha che dz/ds = 0, per cui la coordinata z si mantiene costante lungo l’interatraiettoria del raggio luminoso, la quale giace pertanto in un piano z = costante; la terzae la sesta delle equazioni (9.9.3) sono identicamente soddisfatte per τz(s) = 0 ∀ s, mentrela traiettoria e descritta unicamente dalle quattro equazioni residue nelle sole incognitex, y, τx, τy.Piu interessante e il caso di Q3 = c = 0, allorquando la (9.9.2) impone che si abbia

dz

ds=

c

η(x, y)= 0 (9.9.4)

con z funzione monotona dell’ascissa curvilinea s — e facile verificare che si tratta di undiffeomorfismo C2. Si puo allora introdurre z in luogo di s come variabile indipendente esemplificare le equazioni (9.9.3) dei raggi. Dalle (9.4) si ha infatti

d

ds

(ηdx

ds

)=

∂η

∂xd

ds

(ηdy

ds

)=

∂η

∂yd

ds

(ηdz

ds

)= 0

(9.9.5)

dove l’ultima equazione si riduce ad una identita, mentre

d

ds

(ηdx

ds

)=

dz

ds

d

dz

(ηdz

ds

dx

dz

)=

c2

η

d2x

dz2

ed analogamented

ds

(ηdy

ds

)=

c2

η

d2y

dz2

Stefano Siboni 168

Universita degli studi di Trento Corso di Meccanica razionale 2

in modo che il sistema (9.9.5) si riduce a

d2x

dz2=

1c2

η(x, y)∂η

∂x(x, y) =

∂x

[1

2c2η(x, y)2

]

d2y

dz2=

1c2

η(x, y)∂η

∂y(x, y) =

∂y

[1

2c2η(x, y)2

] (9.9.6)

formalmente equivalente alle equazioni del moto di un punto materiale di massa unitariavincolato a muoversi nel piano Oxy e soggetto a forze posizionali conservative di potenzialeη(x, y)2/2c2 — in luogo del tempo t, la variabile indipendente e la quota z. La soluzione(x, y) = (x(z), y(z)) descrive parametricamente la traiettoria del raggio luminoso. Si os-servi che la costante c deve soddisfare la limitazione

|c| = η(x, y)∣∣∣dz

ds

∣∣∣ ≤ η(x, y) ≤ sup(x,y)∈R2

η(x, y) ,

dovuta alla definizione (9.9.2).

Treiettorie limitate in (x, y)Si moltiplichino membro a membro le due equazioni (9.9.6) per dx/dz e dy/dz rispettiva-mente. Sommando membro a membro i risultati ottenuti si perviene all’equazione

d

dz

[12

(dx

dz

)2

+12

(dy

dz

)2]

=d

dz

[1

2c2η(x, y)2

]

dalla quale si deduce che lungo la traiettoria deve risultare

12

(dx

dz

)2

+12

(dy

dz

)2

− 12c2

η(x, y)2 = γ , costante . (9.9.7)

In realta la costante γ e determinata univocamente dalla condizione

1 =(dx

ds

)2

+(dy

ds

)2

+(dz

ds

)2

=(dz

ds

)2[(dx

dz

)2

+(dy

dz

)2

+ 1]

che in virtu della (9.9.4) e di (9.9.7) diventa

1 =c2

η2

[2γ +

1c2

η2 + 1]

= 1 + (2γ + 1)c2

η2

per cui γ = −1/2. La (9.9.7) si riduce percio a

(dx

dz

)2

+(dy

dz

)2

− 1c2

η(x, y)2 = −1

ossia (dx

dz

)2

+(dy

dz

)2

=1c2

η(x, y)2 − 1 ,

Stefano Siboni 169

Universita degli studi di Trento Corso di Meccanica razionale 2

in modo che lungo la traiettoria di un qualsiasi raggio luminoso deve risultare1c2

η(x, y)2 − 1 ≥ 0 .

Cio premesso, siano η(x, y) e c = 0 tali che il piano Oxy risulti suddiviso in 3 domini apertie connessi ∆1,∆2,∆3 disposti secondo quanto illustrato nella figura seguente

vale a dire tali che:

(i) sull’aperto connesso ∆1 la funzione Θ(x, y) = η(x, y)2/c2 − 1 e strettamente positiva;

(ii) il dominio ∆2 circonda completamente ∆1 in modo che la distanza fra le rispettivefrontiere fr(∆1) e fr(∆2) \ fr(∆1) risulta strettamente positiva

inf√

(x1 − x2)2 + (y1 − y2)2 : (x1, y1) ∈ fr(∆1) , (x2 , y2) ∈ fr(∆2) \ fr(∆1) > 0

e su di esso si ha Θ(x, y) < 0;

(iii) ∆3 e il complemento in Oxy dell’unione delle chiusure di ∆1 e ∆2. Su di esso nonsono assunte ipotesi particolari circa il segno di Θ(x, y).

In tal caso appare chiaro che per ogni condizione iniziale le cui componenti (x, y) sianocontenute nel dominio aperto ∆1, la continuita della funzione Θ(x, y) implica che ∆1

sia una regione invariante lungo l’intera traiettoria del raggio luminoso, non essendoconsentito l’attraversamento del dominio “proibito” ∆2 che la circonda. La traietto-ria del raggio si mantiene quindi limitata nelle coordinate (x, y), sviluppandosi essen-zialmente secondo la direzione z. Da notare che per il teorema di prolungabilita inqueste condizioni la soluzione massimale deve essere definita ∀ z ∈ R — la soluzione(x(z), y(z), dx/dz(z), dy/dz(z)) si mantiene limitata mentre il dominio di definizione dellevariabili dipendenti (x, y, dx/dz, dy/dz) e l’intero R4. Un modello di questo tipo puo descri-vere ad esempio i raggi periassiali in una fibra ottica rettilinea, anche non assisimmetrica.

A titolo di esempio si consideri per l’indice di rifrazione una espressione della forma

η(x, y) = 1 + α e−β(2x2+2xy+y2)

con α e β costanti positive assegnate. Si fissino poi le condizioni iniziali x(0), y(0), z(0),dx/ds(0), dy/ds(0), dz/ds(0) del raggio in modo che si abbia

1c

=1∣∣∣∣dz

ds(0)∣∣∣∣[1 + αe−β[2x(0)2+2x(0)y(0)+y(0)2]

] < 1 ,

Stefano Siboni 170

Universita degli studi di Trento Corso di Meccanica razionale 2

in cui |dz/ds(0)| < 1. Vale allora

Θ(x, y) =1c2

η(x, y)2 − 1 =

1 + αe−β(2x2+2xy+y2)∣∣∣∣dz

ds(0)∣∣∣∣[1 + αe−β[2x(0)2+2x(0)y(0)+y(0)2]

]

2

− 1

conΘ(x(0), y(0)) =

1∣∣∣∣dz

ds(0)∣∣∣∣2 − 1 > 0 ,

mentre, monotonicamente,

lim√x2+y2→+∞

Θ(x, y) =1c2

− 1 < 0 .

La regione permessa ∆1 e quella proibita ∆2 sono percio del tipo indicato in figura

Caso particolare: doppia simmetria traslazionaleSi supponga che l’indice di rifrazione dipenda unicamente dalla coordinata x

n(x, y, z) = η(x)

in modo che la lagrangiana (9.3) soddisfi alle relazioni di simmetria

L(x + α e2, x) = L(x, x) ∀α ∈ R , ∀x, x ∈ R3

L(x + β e3, x) = L(x, x) ∀β ∈ R , ∀x, x ∈ R3.

Il teorema di Noether implica l’esistenza delle due quantita conservate

Q2 =∂L

∂x· e2 =

∂L

∂y= η(x)

dy

ds

Stefano Siboni 171

Universita degli studi di Trento Corso di Meccanica razionale 2

Q3 =∂L

∂x· e3 =

∂L

∂z= η(x)

dz

ds

per cui lungo ogni traiettoria devono valere le relazioni

dy

ds=

c2

η(x)dz

ds=

c3

η(x)

per appropriate costanti c2 e c3. Le equazioni di propagazione (9.4) diventano infatti

d

ds

[η(x)

dx

ds

]=

∂η

∂x(x)

d

ds

[η(x)

dy

ds

]=

∂η

∂x(y) = 0

d

ds

[η(x)

dz

ds

]=

∂η

∂x(z) = 0

ossia

d

ds

[η(x)

dx

ds

]=

dx(x)

η(x)dy

ds= c2

η(x)dz

ds= c3 .

(9.9.8)

Se entrambe le costanti c2 e c3 sono nulle, allora anche y(s) e z(s) risultano costanti e lapropagazione del raggio luminoso avviene lungo una retta parallela all’asse Ox. In effettiper la condizione di normalizzazione del versore tangente

1 =(dx

ds

)2

+(dy

ds

)2

+(dz

ds

)2

=(dx

ds

)2

non puo che aversidx

ds= 1 oppure

dx

ds= −1

e in ambo i casi la prima delle (9.9.8) diventa l’identita

d

dxη(x) =

dx(x)

in modo che per x(s) si puo assumere una funzione arbitraria.

Il caso piu interessante ricorre quando almeno una delle costanti c2, c3 e diversa da zero.Per fissare le idee, si supponga c3 = 0. Allora la derivata dz/ds ha segno costante, lo stessodi c3,

dz

ds=

c3

η(x)= 0 (9.9.9)

Stefano Siboni 172

Universita degli studi di Trento Corso di Meccanica razionale 2

e la z puo essere introdotta come variabile indipendente in luogo dell’ascissa curvilinea s.Per la seconda delle equazioni (9.9.8) si ha

η(x)dy

dz

dz

ds= c2

ovvero, in virtu della (9.9.9),dy

dz=

c2

c3, (9.9.10)

in modo che la traiettoria del raggio luminoso si sviluppa completamente in un pianoparallelo all’asse Ox, di equazione c3y − c2z = costante. La prima delle equazioni dipropagazione (9.9.8) si riesprime invece come

dz

ds

d

dz

[η(x)

dz

ds

dx

dz

]=

dx(x)

ovvero nella forma equivalentec23

η(x)d2x

dz2=

dx(x)

dalla quale si deduce

d2x

dz2=

1c23

η(x)dη

dx(x) =

d

dx

[1

2c23

η(x)2]

.

Di conseguenza lungo il raggio deve risultare

12

(dx

dz

)2

− 12c2

3

η(x)2 = γ , costante . (9.9.11)

In realta la costante γ non e indipendente da c2 e da c3; ci si convince facilmente di cionotando che a causa delle (9.9.10) e (9.9.11) vale

1 =(dx

ds

)2

+(dy

ds

)2

+(dz

ds

)2

=(dz

ds

)2[(dx

dz

)2

+(dy

dz

)2

+ 1]

=

=c23

η(x)2

[1c23

η(x)2 + 2γ +c22

c23

+ 1]

= 1 +c23

η(x)2(2γ +

c22

c23

+ 1)

e pertanto

γ = −12

c22 + c2

3

c23

.

La (9.9.11) si riscrive dunque nella forma

(dx

dz

)2

= 2γ +1c23

η(x)2 =η(x)2 − c2

2 − c23

c23

Stefano Siboni 173

Universita degli studi di Trento Corso di Meccanica razionale 2

che, al solito, si puo risolvere per quadrature, consentendo comunque l’analisi qualitativadelle soluzioni per mezzo della discussione di Weierstrass. La funzione di Weierstrassdipende da entrambe le costanti c2 e c3:

Φc2,c3(x) =

η(x)2 − c22 − c2

3

c23

=1c23

[η(x) +

√c22 + c2

3

][η(x) −

√c22 + c2

3

]

e la sua derivata prima ha lo stesso segno di η′(x)

Φ′c2,c3

(x) =2c23

η(x)η′(x) ∀x ∈ R .

10. Appendice. Antitrasformata di Laplace di 1/√

λ, λ > 0Si vuole verificare che l’antitrasformata di Laplace della funzione 1/

√λ, λ > 0, e data da

1/√

πy, y > 0:

L

[ 1√πt

](s) :=

+∞∫0

e−st 1√πt

dt =1√s

∀ s > 0 . (10.1)

La verifica diretta e immediata, in quanto con la sostituzione t = u2/s, u ∈ R+, il primomembro della (10.1) diventa

L

[ 1√πt

](s) =

+∞∫0

e−st 1√πt

dt =1√π

+∞∫0

e−u2 1u/

√s

2u

sdu =

=2√πs

+∞∫0

e−u2du =

2√πs

√π

2=

1√s

∀ s > 0 .

In alternativa, ma in modo del tutto equivalente, si puo fare ricorso alla formula diBromwich per il calcolo dell’antitrasformata

L−1

[1√s

](t) =

12πi

limM→+∞

c+iM∫c−iM

1√s

est ds =1√πt

∀ t > 0 , (10.2)

in cui la funzione 1/√

s si intende prolungata analiticamente all’intero piano complessoprivato dell’origine e del semiasse reale negativo e c rappresenta una qualsiasi costantepositiva — tale da escludere ogni singolarita della funzione analitica 1/

√s dal semipiano

complesso s ∈ C : e(s) > c. L’integrale in (10.2) si puo determinare ricorrendo allatecnica dei residui, che deve essere applicata ad un percorso chiuso in C del tipo illustratoin figura:

Stefano Siboni 174

Universita degli studi di Trento Corso di Meccanica razionale 2

e che si compone dei seguenti tratti regolari, dove R, c ed ε R sono tre costanti positivee α indica un angolo compreso strettamente fra π/2 e π:

un arco rettilineo γ1 parallelo all’asse immaginario, di estremi c−iR sinα e c+iR sinα,orientato secondo il verso positivo dell’asse immaginario;

un arco rettilineo γ2 parallelo all’asse reale, di estremo iniziale c + iR sin α ed estremofinale R cos α + iR sinα;

un arco circolare γ3 di centro O e raggio R, con estremo iniziale R cos α + iR sinα edestremo finale −

√R2 − ε2 + iε;

un tratto rettilineo γ4 parallelo all’asse reale e rispetto a questo concordemente orien-tato, di estremi −

√R2 − ε2 + iε e iε;

una semicirconferenza γ5, avente centro O e raggio ε, di estremi iniziale e finale iε e−iε rispettivamente;

un tratto rettilineo γ6 di estremo iniziale −iε ed estremo finale −√

R2 − ε2 − iε;

un arco di circonferenza γ7, di centro O e raggio R, che ha nel punto −√

R2 − ε2 − iεil proprio estremo iniziale e in R cos α − iR sin α quello finale;

un tratto rettilineo γ8 di estremi R cos α − iR sinα e c − iR sinα.

Degli integrali sui vari archi interessa considerare il limite per ε → 0+ e per R → +∞.

Integrale su γ2

L’arco γ2 e parametrizzato da

z = x + iR sinα , x ∈ [c,R cos α]

Stefano Siboni 175

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ed il corrispondente integrale curvilineo si scrive percio

∫γ2

est

√s

ds =

R cosα∫c

etx+itR sin α

√x + iR sinα

dx = −c∫

R cosα

etx+itR sin α

√x + iR sinα

dx

e con il cambiamento di variabile x = Rξ diventa

∫γ2

est

√s

ds = −c/R∫

cos α

etRξ+itR sin α

√ξ + i sin α

√R dξ . (10.3)

Il modulo dell’integrale (10.3) si stima con l’integrale del modulo dell’integrando

∣∣∣∣∫γ2

est

√s

ds

∣∣∣∣ ≤c/R∫

cosα

etRξ√

R

(ξ2 + sin2α)1/4dξ =

√R√

sinα

c/R∫cosα

etRξ( ξ2

sin2 α+ 1

)1/4dξ ≤

≤√

R√sinα

c/R∫cos α

etRξdξ =

√R√

sinα

[etRξ

tR

]c/R

cosα

=1

t√

R sin α

(etc − etR cosα

)

che tende a zero nel limite per R → +∞:

1t√

R sin α

(etc − etR cosα

)−−−−−−−−→

R→+∞0

in virtu della condizione cos α < 0.

Integrale su γ3

L’arco di circonferenza γ3 viene descritto dalla parametrizzazione

z = Reiφ = R cos φ + iR sinφ , φ ∈ [α, π − arcsin(ε/R)]

in modo che il relativo integrale curvilineo diventa

∫γ3

est

√s

ds =

π−arcsin(ε/R)∫α

etR cosφ+itR sinφ

√R eiφ/2

iR eiφ dφ =

= i√

R

π−arcsin(ε/R)∫α

etR cosφei[tR sin φ+(φ/2)] dφ

e il suo modulo quadro si stima con

∣∣∣∣∫γ3

est

√s

ds

∣∣∣∣ ≤ √R

π−arcsin(ε/R)∫α

etR cosφ dφ =√

R etR cosα

π−arcsin(ε/R)∫α

etR(cosφ−cosα) dφ ≤

Stefano Siboni 176

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≤√

R etR cosα

π−arcsin(ε/R)∫α

1 dφ =√

R etR cosα[π − arcsin(ε/R) − α]

avendosi cos φ − cos α ≤ 0 ∀φ ∈ [α, π − arcsin(ε/R)]. L’essere cos α < 0 comporta chequest’ultimo integrale tenda a zero nel limite per R → +∞:

√RetR cosα[π − arcsin(ε/R) − α] −−−−−−−−→

R→+∞0 .

Integrale su γ4

Si usa la parametrizzazione

−x + iε , x ∈[√

R2 − ε2, 0]

che porge per l’integrale su γ4 l’espressione

∫γ4

est

√s

ds =

0∫√

R2−ε2

et(−x+iε)

√−x + iε

(−1)dx =

√R2−ε2∫0

et(−x+iε)

√−x + iε

dx =

√R2−ε2∫0

e−txeitε

i√

x − iεdx

e con il cambiamento di variabile x = ξ2 diventa

∫γ4

est

√s

ds =

(R2−ε2)1/4∫0

e−tξ2

i√

ξ2 − iεeitε 2ξ dξ =

2eitε

i

(R2−ε2)1/4∫0

e−tξ2√ξ2 − iε

ξ dξ .

Il limite per ε → 0+ di quest’ultimo integrale vale

limε→0+

2eitε

i

(R2−ε2)1/4∫0

e−tξ2√ξ2 − iε

ξ dξ =2i

√R∫

0

e−tξ2dξ

e con l’ulteriore cambiamento di variabile u =√

tξ si riduce a

2i

√R∫

0

e−tξ2dξ =

2i√

t

√tR∫

0

e−u2du

e nel limite per R → +∞ converge ad un limite esplicitamente calcolabile

2i√

t

√tR∫

0

e−u2du −−−−−−−−→

R→+∞

2i√

t

+∞∫0

e−u2du =

2i√

t

√π

2=

√π

i√

t.

Stefano Siboni 177

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Integrale su γ5

Il percorso semicircolare γ5 e parametrizzato dal’esponenziale complessa

z = ε eiφ = ε cos φ + iε sin φ , φ ∈ [π/2,−π/2]

cui e dunque associato l’integrale curvilineo

∫γ5

est

√s

ds =

−π/2∫π/2

etε cosφ+itε sin φ

√ε eiφ/2

i ε eiφ dφ = −i√

ε

π/2∫−π/2

etε cosφeitε sin φ+i(φ/2) dφ

che in modulo ammette la maggiorazione

∣∣∣∣∫γ5

est

√s

ds

∣∣∣∣ ≤ √ε

π/2∫−π/2

etε cosφ dφ ≤√

ε

π/2∫−π/2

etε dφ =√

ε etεπ

tendente a zero nel limite di ε → 0+.

Integrale su γ6

Il segmento rettilineo γ6 viene descritto da

z = −x − iε , x ∈ [0,√

R2 − ε2] .

L’integrale curvilineo su γ6 assume percio la forma

∫γ6

est

√s

ds =

√R2−ε2∫0

et(−x−iε)

√−x − iε

(−1)dx = −

√R2−ε2∫0

et(−x−iε)

√−x − iε

dx =

= −

√R2−ε2∫0

et(−x−iε)

−i√

x + iεdx =

e−itε

i

√R2−ε2∫0

e−tx

√x + iε

dx

e con il cambiamento di variabile x = u2/t si riduce all’espressione

∫γ6

est

√s

ds =e−itε

i

√t(R2−ε2)1/4∫

0

e−u2 1√u2

t+ iε

2u

tdu =

=2e−itε

i√

t

√t(R2−ε2)1/4∫

0

e−u2 u√u2 + iεt

du

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che per ε → 0+ converge al limite:

limε→0+

2e−itε

i√

t

√t(R2−ε2)1/4∫

0

e−u2 u√u2 + iεt

du =2

i√

t

√Rt∫

0

e−u2du

e per R → +∞ porge infine:

limR→+∞

2i√

t

√Rt∫

0

e−u2du =

2i√

t

+∞∫0

e−u2du =

2i√

t

√π

2=

√π

i√

t.

Integrale su γ7

L’arco di circonferenza γ7 si parametrizza con

z = Reiφ = R cos φ + iR sinφ , φ ∈ [−π + arcsin(ε/R),−α]

che consente di scrivere il relativo integrale curvilineo nella forma esplicita

∫γ7

est

√s

ds =

−α∫−π+arcsin(ε/R)

etR cosφ+itR sin φ

√Reiφ/2

iR eiφ dφ =

= i√

R

−α∫−π+arcsin(ε/R)

etR cosφeitR sin φ+i(φ/2) dφ

per la quale e immediato stabilire la maggiorazione in modulo

∣∣∣∣∫γ7

est

√s

ds

∣∣∣∣ ≤ √R

−α∫−π+arcsin(ε/R)

etR cosφ dφ ≤√

R

−α∫−π+arcsin(ε/R)

etR cosα dφ =

=√

RetR cos α[−α + π − arcsin(ε/R)]

grazie alla evidente diseguaglianza cos φ ≤ cos α valida ∀φ ∈ [−π + arcsin(ε/R),−α].Essendo poi cos α < 0, l’espressione ottenuta converge a zero nel limite per R → +∞:

√R etR cosα[−α + π − arcsin(ε/R)] −−−−−−−−→

R→+∞0 .

Integrale su γ8

L’arco finale γ ammette l’ovvia parametrizzazione

z = x − iR sinα , x ∈ [R cos α, c]

Stefano Siboni 179

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e per l’integrale curvilineo associato conduce all’espressione

∫γ8

est

√s

ds =

c∫R cosα

etx−itR sinα

√x − iR sin α

dx =√

R

c/R∫cosα

etRξ−itR sin α

√ξ − i sin α

dove si e introdotto il cambiamento di variabile x = Rξ. Il modulo dell’integrale si maggioracon l’integrale del modulo dell’integrando e converge a zero per R → +∞:

∣∣∣∣∫γ8

est

√s

ds

∣∣∣∣ ≤ √R

c/R∫cosα

etRξ 1(ξ2 + sin2α)1/4

dξ ≤√

R√sin α

c/R∫cosα

etRξ dξ =

=1

t√

R sinα

(etc − etR cos α

)−−−−−−−−→

R→+∞0

sempre per via della condizione cos α < 0.

Applicando il teorema dei residui alla funzione est/√

s, analitica nel piano complesso pri-vato dell’origine e del semiasse reale negativo, integrata lungo il cammino chiuso regolarea tratti ∪8

j=1γj si ottiene8∑

j=1

∫γj

est

√s

ds = 0

e segue percio che ∫γ1

est

√s

ds = −8∑

j=2

∫γj

est

√s

ds , (10.4)

dove l’integrale a primo membro e calcolato lungo il segmento di parametrizzazione c + iy,y ∈ [−R sin α,R sin α], e si scrive dunque:

∫γ1

est

√s

ds =

c+iR sin α∫c−iR sin α

est

√s

ds =

R sinα∫−R sin α

et(c+iy)

√c + iy

i dy .

D’altra parte, sono stati stabiliti i limiti seguenti:

limR→+∞

∫γ2

est

√s

ds = 0 limR→+∞

∫γ3

est

√s

ds = 0 limR→+∞

limε→0+

∫γ4

est

√s

ds =√

π

i√

t

limε→0+

∫γ5

est

√s

ds = 0 limR→+∞

limε→0+

∫γ6

est

√s

ds =√

π

i√

t

limR→+∞

∫γ7

est

√s

ds = 0 limR→+∞

∫γ8

est

√s

ds = 0 ,

Stefano Siboni 180

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in modo che la (10.4) implica altresı l’esistenza del limite

limR→+∞

c+iR sin α∫c−iR sin α

est

√s

ds = limR→+∞

R sin α∫−R sinα

et(c+iy)

√c + iy

i dy = −8∑

j=2

limR→+∞

∫γj

est

√s

ds =

= −8∑

j=2

limR→+∞

limε→0+

∫γj

est

√s

ds = −2√

π

i√

t=

2i√

π√t

.

La formula di Bromwich per l’antitrasformata di 1/√

s porge allora, per ogni t > 0 fissato,

L−1

[1√s

](t) =

12πi

limM→+∞

c+iM∫c−iM

1√sest ds =

=1

2πilim

R→+∞

c+iR sin α∫c−iR sinα

1√sest ds =

12πi

2i√

π√t

=1√πt

che e la trasformata richiesta.

Stefano Siboni 181

Universita degli studi di Trento Corso di Meccanica razionale 2

Indice degli argomenti

1. Il calcolo delle variazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11.1 Il problema variazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11.2 Prima variazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11.3 Osservazione. Definizione generale di variazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31.4 Condizione di stazionarieta del funzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41.5 Integrale di Beltrami . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51.6 Integrale di Jacobi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51.7 Estremo di un funzionale con vincoli di tipo funzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61.7.1 Definizione. Funzioni linearmente indipendenti in un intervallo reale . . . . . . . . . . 61.7.2 Lemma (caratterizzazione delle funzioni linearmente indipendenti) . . . . . . . . . . . . 71.7.3 Lemma (generatrice delle funzioni test) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81.7.4 Definizione. Funzioni test nell’intervallo [λ1, λ2] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91.7.5 Teorema (estensione del teorema della media di Lagrange) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101.7.6 Lemma (caratterizzazione delle variazioni compatibili con i vincoli) . . . . . . . . . . . 111.7.7 Osservazione. Estensione del lemma 1.7.6 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151.7.8 Teorema (punti stazionari condizionati) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161.7.9 Osservazione. Funzione ausiliaria e moltiplicatori di Lagrange . . . . . . . . . . . . . . . . . 161.8 Estremo di un funzionale soggetto a vincoli olonomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181.8.1 Teorema (estremi dei funzionali soggetti a vincoli olonomi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181.9 Estremo di un funzionale soggetto a vincoli anolonomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181.9.1 Teorema (estremi dei funzionali soggetti a vincoli anolonomi) . . . . . . . . . . . . . . . . . 182. I principi variazionali della meccanica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 192.1 Principio di Hamilton . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 192.1.1 Osservazione. Sistemi lagrangiani generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 202.2 Principio dell’azione stazionaria, o di Maupertuis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 212.2.1 Moti test . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 222.2.2 Moti variati asincroni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 222.2.3 Azione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 252.2.4 Variazione dell’azione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 262.2.5 Stazionarieta dell’azione come condizione necessaria per i moti naturali . . . . . . . 282.2.6 Stazionarieta dell’azione come condizione sufficiente affinche un moto test

sia naturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 292.2.7 Determinazione alternativa della condizione di stazionarieta dell’azione

per i moti test . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 302.2.8 Calcolo diretto delle traiettorie dei moti naturali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 332.3 Principio di Maupertuis generalizzato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 352.3.1 Requisiti della lagrangiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 362.3.2 Moti test . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 372.3.3 Moti variati asincroni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 372.3.4 Azione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 392.3.5 Variazione dell’azione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 392.3.6 Stazionarieta dell’azione come condizione necessaria per i moti naturali . . . . . . . 41

Stefano Siboni i

Universita degli studi di Trento Corso di Meccanica razionale 2

2.3.7 Stazionarieta dell’azione come condizione sufficiente perche un moto testsia naturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42

2.3.8 Determinazione alternativa della condizione di stazionarieta dell’azioneper i moti test . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43

2.3.9 Calcolo diretto delle traiettorie dei moti naturali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 472.4 Moto di una carica elettrica in un campo elettromagnetico statico . . . . . . . . . . . . . 502.4.1 Caso della particella carica in un campo elettromagnetico costante . . . . . . . . . . . . 542.5 Principio di Hamilton per i sistemi hamiltoniani. Teorema di Helmholtz . . . . . . . 572.5.1 Teorema di Helmholtz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 592.6 Estensione del principio di Maupertuis ai sistemi hamiltoniani . . . . . . . . . . . . . . . . 602.6.1 Sistemi hamiltoniani conservativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 602.6.2 Moti test e superfici isoenergetiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 602.6.3 Moti variati sincroni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 612.6.4 Azione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 622.6.5 Variazione dell’azione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 632.6.6 Stazionarieta dell’azione come condizione necessaria per i moti naturali . . . . . . . 632.6.7 Forma hamiltoniana del principio di Maupertuis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 642.6.8 Osservazione: la superficie isoenergetica puo non essere una varieta . . . . . . . . . . . 642.6.9 Derivazione alternativa del principio di Maupertuis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 642.6.10 Osservazione: relazione con il principio di Hamilton . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 652.6.11 Esempio illustrativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 653. Linee geodetiche di una superficie assegnata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 663.1 Geodetiche come linee di lunghezza stazionaria a estremi fissi . . . . . . . . . . . . . . . . . 663.2 Esempio: geodetiche sul cilindro circolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 693.2.1 Osservazione: linee geodetiche e integrale di Beltrami . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 713.2.2 Osservazione: le linee geodetiche sono curve di minima lunghezza . . . . . . . . . . . . . 723.3 Esempio: geodetiche sul cono circolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 773.3.1 Osservazione: geodetiche come rette nello sviluppo piano del cono . . . . . . . . . . . . . 793.3.2 Osservazione: geodetiche con punti doppi (o autointersezioni) . . . . . . . . . . . . . . . . . 813.4 Esempio: geodetiche sulla sfera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 833.4.1 Geodetiche della sfera in coordinate cartesiane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 833.4.2 Geodetiche della sfera in coordinate polari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 854. Catenaria omogenea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 874.1 Caratterizzazione mediante le equazioni di equilibrio dei fili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 874.2 Caratterizzazione variazionale della catenaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 905. Equilibrio di una fune ideale omogenea in un campo conservativo . . . . . . . . . . . . . 946. Il problema della brachistocrona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 966.1 Formulazione del problema fisico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 966.2 Curve ammissibili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 966.3 Tempo di percorrenza della curva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 986.4 Condizione di stazionarieta per il tempo di percorrenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 986.5 Soluzione delle equazioni di Eulero-Lagrange . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1006.6 Verifica della condizione di minimo locale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1057. Il pendolo cicloidale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107

Stefano Siboni ii

Universita degli studi di Trento Corso di Meccanica razionale 2

7.1 Realizzazione fisica alternativa del pendolo cicloidale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1107.2 Osservazione. Evoluta di una curva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1137.2.1 Teorema (costruzione di una classe di involute) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1137.2.2 Teorema (caratterizzazione delle involute regolari piane) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1157.2.3 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1178. Il problema della tautocrona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1178.1 Formulazione matematica del problema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1188.2 Soluzione dell’equazione integrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1208.3 Soluzione dell’equazione differenziale finale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1218.4 Verifica della tautocronia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1238.5 Condizione di tautocronia per curve non piane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1259. Il principio di Fermat in ottica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1279.1 Principio di invertibilita dei raggi luminosi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1309.2 Caso notevole. Strato limite e leggi di Snell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1319.3 Esempio di interesse fisico: i miraggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1339.4 Descrizione meccanica equivalente della propagazione dei raggi luminosi . . . . . . . 1359.5 Teorema di Noether . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1379.6 Campo di rifrazione a simmetria sferica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1399.7 Integrale primo del tipo Runge-Lenz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1569.8 Campo di rifrazione a simmetria assiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1579.9 Campo di rifrazione a simmetria traslazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 166

10. Appendice. Antitrasformata di Laplace di 1/√

λ, λ > 0 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174

Stefano Siboni iii