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associazione culturale Larici – http://www.larici.it Erodoto Le Storie. Libro IV στορίαι. Δ' βιβλίο L’ecumene di Ecateo (550? a.C. - 476? a.C.) L’ecumene di Erodoto (484? a.C. - 425 a.C.) 440-429 a.C. 1 1 Riproposizione integrale e redazione delle note: © associazione culturale Larici, 2008. 1

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Erodoto

Le Storie. Libro IV

Ἰστορίαι. Δ' βιβλίο

L’ecumene di Ecateo (550? a.C. - 476? a.C.) L’ecumene di Erodoto (484? a.C. - 425 a.C.)

440-429 a.C.1

1 Riproposizione integrale e redazione delle note: © associazione culturale Larici, 2008.

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1. Dopo la presa di Babilonia, Dario condusse personalmente una spedizione contro gli Sciti2. Dato che l’Asia era fiorente di uomini e vi affluivano grandi ricchezze, Dario ebbe il desiderio di vendicarsi degli Sciti, in quanto per primi, attaccato il paese dei Medi3 e sconfitto in battaglia chi ad essi si opponeva, avevano dato inizio alle offese. Infatti, come già prima ho ricordato4, gli Sciti dominarono per ventotto anni la parte settentrionale dell’Asia: essi, gettatisi all’inseguimento dei Cimmeri5, irruppero nell’Asia mettendo fine al dominio dei Medi, che vi regnarono prima dell’arrivo degli Sciti. Quando poi gli Sciti, rimasti per ventotto anni fuori della loro patria, tornarono, dopo così tanto tempo, a casa loro, li attendeva un’impresa ardua quanto la conquista della Media: trovarono ad accoglierli un esercito non piccolo, perché era accaduto che le loro mogli, prolungandosi l’assenza dei mariti, s’erano unite con gli schiavi.

2. Gli Sciti accecano tutti gli schiavi a causa della preparazione del latte che bevono; essa avviene così: prendono dei tubi d’osso, somigliantissimi a flauti, li introducono nei genitali delle cavalle e vi soffiano dentro con la bocca, e mentre alcuni soffiano altri mungono. Procedono in tal modo, dicono, perché le vene della cavalla insufflata si riempiono e le mammelle si inturgidiscono. Quando hanno munto il latte, lo versano in panciuti vasi di legno e lo fanno agitare dagli schiavi accecati disposti tutt’intorno ai vasi: scremano la parte di latte che rimane in superficie e la considerano la più pregiata, mentre considerano meno buona la parte che resta in basso. Per questa ragione gli Sciti accecano chiunque catturino, perché non sono agricoltori, ma nomadi6.

3. Da questi loro schiavi, dunque, e dalle loro mogli, nacque una

2 Non si conosce la data esatta della spedizione di Dario I il Grande – re di Persia e di Babilonia dal 521 al 486 a.C. – ma fu probabilmente tra il 514 e il 511 a.C., a potere consolidato. Anche il motivo della guerra è incerto: alcuni presumono sia dovuto al rifiuto di dargli una donna scita, altri propendono per l’ambizione di vincere un popolo guerriero ritenuto invincibile.

3 I Medi erano un popolo seminomade stanziato a sud del Mar Caspio, all’incirca sull’area dell’odierno Azerbaijan.

4 Cfr. Libro I, 106.5 I Cimmèri (o Cimmerii) occupavano i territori a nord del Mar Nero, ossia l’attuale Crimea

(nome derivato da Cimmeria).6 Non è noto il motivo dell’accecamento. Plutarco affermò che, se gli schiavi avessero

goduto della vista, avrebbero perso l’equilibrio continuando a girare attorno ai vasi.

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generazione di giovani, i quali, appresa la propria origine, si opposero agli Sciti che rimpatriavano dalla Media7. Per prima cosa cercarono di isolare il paese scavando un ampio fossato che si estendeva dai monti del Tauro fino alla Palude Meotide8, là dove è più ampia; poi, schierandosi di fronte agli Sciti che tentavano di fare irruzione, ingaggiavano battaglia. Si scontrarono varie volte, ma gli Sciti non riuscivano a prevalere con le armi e allora uno di essi disse: «Che stiamo facendo, o Sciti! Se combattiamo contro i nostri schiavi, assottigliamo le nostre file facendoci uccidere, e uccidendo loro diminuiamo il numero dei nostri futuri sudditi. Per me occorre mettere via lance e archi; ciascuno deve prendere la frusta del cavallo e spingersi più vicino a loro; finché ci vedevano con le armi si credevano uguali a noi e di uguale nascita, ma quando, anziché con le armi, ci vedranno con la frusta, capiranno che sono nostri schiavi e, riconoscendolo, non opporranno resistenza».

4. Udito il consiglio, gli Sciti lo misero in pratica; e i loro nemici, sbalorditi da quanto avveniva, si dimenticarono della battaglia e si diedero alla fuga. Così gli Sciti dominarono l’Asia e poi, cacciati via dai Medi, rientrarono nel loro paese. Ed ecco perché Dario, volendo vendicarsi, raccolse un esercito contro di loro.

5. A sentire gli Sciti, il loro sarebbe fra tutti il popolo più recente e avrebbe avuto origine come segue. In quella regione, allora desertica, nacque un primo uomo, che si chiamava Targitao. E di questo Targitao essi dicono – ma per conto mio non è credibile, ma così affermano – padre e madre sarebbero stati Zeus e la figlia del fiume Boristene9. Nato dunque da tali genitori, Targitao ebbe tre figli, Lipossai, Arpossai e Colassai10, il più giovane dei tre. Durante il loro regno sul suolo della Scizia caddero dal cielo degli oggetti d’oro, un aratro col suo giogo, un’ascia bipenne e una coppa11. Il più vecchio dei fratelli li vide per primo e subito si avvicinò per afferrarli; ma mentre si avvicinava l’oro divenne rovente. Egli allora si ritrasse e si fece sotto il secondo fratello, ma l’oro di nuovo reagì come prima. L’oro arroventandosi si difese dai primi due, ma al sopraggiungere del terzo fratello, il più giovane, smise di essere incandescente, ed egli se lo portò a

7 A differenza di alcune interpretazioni, pare chiaro che la reazione dei giovani non fu in risposta allo sdegno dei reduci sciti verso l’evidente infedeltà delle loro donne, ma fu generata dal timore di tornare alla condizione di schiavi.

8 I monti del Tauro circondano la parte meridionale dell’attuale Anatolia (Asia Minore) e dai quali sgorgano le sorgenti del Tigri (o Dicle) e dell’Eufrate (o Fırat). La palude Meotide è il braccio di mare situato a nord del Ponto Eusino (antico nome del Mar Nero) e corrisponde all’odierno Mar d’Azov.

9 Boristene è l’antico nome del fiume Dnepr, che nasce a sud dell’altipiano del Valdai (Russia occidentale), attraversa Belorussia e Ucraina (dove bagna Kiev) e sfocia nel Mar Nero.

10 Questi nomi si trovano anche scritti alla greca: Lipoxais, Arpoxais e Colaxais.11 Gli oggetti simboleggiano le tre classi dell’antica società iranica: contadini, guerrieri e

sacerdoti.

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casa. In seguito a ciò, i due fratelli maggiori, riconoscendo al più giovane la potestà regale, gliela cedettero integralmente.

6. Da Lipossai sarebbe nata la tribù scita detta degli Aucati, da Arpossai, il fratello di mezzo, i Catìari e i Traspi, dal più giovane la stirpe dei re, i Paralati; tutti insieme si chiamano Scoloti, dal nome del re, ma i Greci li chiamarono Sciti.

7. Gli Sciti ritengono che dalla loro origine, dagli anni trascorsi complessivamente dal primo re Targitao sino all’invasione di Dario, siano trascorsi mille anni e non uno di più. I re custodiscono l’oro sacro con la massima cura e ogni anno lo venerano con grandi sacrifici propiziatori. Se durante la festa uno dei custodi dell’oro si addormenta all’aperto, costui, dicono gli Sciti, non arriva alla fine dell’anno, perciò gli regalano tanta terra quanta riesca a fare il giro in un giorno a cavallo12. Essendo il paese sterminato, Colassai lo spartì in tre regni fra i propri figli, assegnando un territorio maggiore al regno in cui è custodito l’oro. I territori situati verso nord, oltre le estreme regioni abitate della Scizia, non si possono né vedere né attraversare più di tanto, si dice, perché vi cadono piume13: il suolo e l’aria ne sarebbero pieni, e le piume appunto impedirebbero la visuale.

8. Questo raccontano gli Sciti su di sé e sui territori settentrionali; ecco invece cosa narrano i Greci residenti sul Ponto14. Eracle, spingendo i buoi di Gerione, sarebbe giunto nella terra ora occupata dagli Sciti, allora desertica. Gerione risiedeva lontano dal Ponto, abitava nell’isola detta dai Greci Eritia, al di là delle colonne d’Eracle, di fronte a Cadice, nell’Oceano15. L’Oceano, dicono i Greci, ha origine nell’estremo oriente dove sorge il sole e scorre tutto intorno alla terra: così dicono, ma non sanno dimostrarlo con i fatti16.

12 Tale dono ricompensava il custode del fatto che compiva un servizio in cui poteva perdere la vita.

13 Nel cap. 31, Erodoto suppone che le piume siano fiocchi di neve.14 Il Ponto è la regione storica estesa nella zona nord-orientale dell’Asia Minore, affacciata

sul Mar Nero.15 Il riferimento è alla decima delle mitiche dodici fatiche di Ercole (in greco: Eracle). Da

Euristeo, Ercole aveva ricevuto l’ordine di recuperare le mandrie di Gerione, un gigante con tre teste e tre busti, figlio del dio Poseidone (Nettuno) e di Calliroe, figlia di Oceano. Le mandrie erano custodite dal pastore Eurizione nell’isola Eurizia (o Eritia), situata ai confini dell’Occidente. In quel luogo Ercole eresse due colonne: su una innalzò una statua rivolta a est, con una chiave nella mano destra, come per aprire una porta; sull’altra incise l’iscrizione “Ecco i confini di Ercole”, a indicare il limite invalicabile delle terre note. Secondo i più recenti studi, le Colonne d’Ercole erano originariamente su due isole dello stretto di Sicilia. Nel IV secolo a.C., in seguito alla conquiste di Alessandro Magno a Oriente, il geografo Eratostene spostò il confine occidentale del mondo greco per preservare la centralità della Grecia, identificando le Colonne d’Ercole con lo stretto di Gibilterra.

16 Erodoto allude alla teorie di Ecateo di Mileto, che visse attorno al 500 a.C. e fu tra i primi autori greci di scritti di storia e geografia. Grazie ai suoi numerosi viaggi nella terra abitata allora conosciuta (impero persiano, Grecia, Egitto, bacino del Mediterraneo), egli

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Da là giunse Eracle nel paese detto Scizia: sorpreso dall’inverno e dal gelo, si avvolse nella propria pelle di leone e si addormentò, ma, nel frattempo, per sorte divina, le cavalle staccate dal suo carro sparirono mentre pascolavano.

9. Appena sveglio, Eracle si mise a cercarle, percorrendo in lungo e in largo tutto il paese, finché giunse nella regione cosiddetta di Ilea17. Qui, in una grotta, trovò una creatura dalla duplice natura, mezza donna e mezza serpente, donna dai glutei in su e rettile in giù18. Eracle guardandola pieno di stupore le chiese se avesse visto in giro, da qualche parte, delle cavalle. Gli rispose che erano in mano sua, le cavalle, e che non gliele avrebbe ridate se prima non faceva l’amore con lei: un prezzo che Eracle accettò. Ma ella, poi, differiva la restituzione delle cavalle desiderando starsene con Eracle il più a lungo possibile, mentre lui voleva riprenderle e andarsene; infine la donna gliele rese e disse: «Io ti ho salvato queste cavalle, giunte fino a qui, e tu mi hai dato il compenso: da te ho concepito tre figli. Spetta a te ora indicarmi come agire una volta che siano adulti: li tengo qui – perché io sono la regina di questa regione – o li mando da te?». Così gli chiedeva ed Eracle le rispose: «Quando ti accorgerai che i ragazzi sono divenuti ormai uomini, regolati come ti dico e non sbaglierai: se ne vedi uno capace di tendere quest’arco come faccio io19 e di legarsi la cintura in questo modo, insedialo in questo paese; chi invece non riesce a compiere le azioni che dico, mandalo via. Agendo così tu stessa ne sarai felice e avrai realizzato il compito che ti affido».

10. Eracle dunque, dopo aver teso uno degli archi – fino ad allora ne portava due – e mostrato come si doveva allacciare la cintura, consegnò alla donna l’arco e la cintura, che portava sulla punta del fermaglio una coppa d’oro; dopodiché si allontanò. La donna, quando i suoi figli divennero adulti, impose loro i nomi di Agatirso al primo, Gelono al secondo, Scita20 al più giovane; poi, memore delle raccomandazioni di Eracle, eseguì quanto lui le aveva prescritto. E così due dei suoi figli, Agatirso e Gelono, non risultando capaci di superare la prova stabilita, se ne andarono via dal paese, scacciati

disegnò una carta geografica che perfezionava quella di Anassimandro. Oltre che in questo punto, Erodoto si manifesta contrario alla teoria di Ecateo in II, 21 e 23 e, soprattutto, in IV, 36: «Rido quando vedo che molti hanno disegnato la mappa della terra, ma che nessuno ne ha dato una spiegazione ragionevole: raffigurano un Oceano che scorre intorno alla terra, tonda come se l’avessero fatta col compasso, e disegnano l’Asia grande come l’Europa».

17 L’Ilea (che significa “terra coperta di boschi”) – poi identificata con la Piccola Tartaria – corrisponde oggi all’ampio territorio tra l’Ucraina occidentale e la Polonia sud-orientale.

18 Questa figura di donna era forse la divinità suprema del popolo cimmerio. Nelle mitologie antiche erano diffuse le divinità ctonie, cioè quelle divinità – generalmente femminili – legate ai culti infernali e agli dèi sotterranei, personificazione delle forze oscure.

19 Da uno scolio all’Iliade (VIII, 325) si sa che gli Sciti tendevano l’arco tirando la corda verso la spalla e non verso il petto.

20 O Scite.

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dalla madre; il più giovane invece, Scita, avendola portata a compimento, vi rimase. Da Scita figlio di Eracle, raccontano, discesero tutti i re succedutisi sul trono di Scizia, e a quella antica coppa risale l’attuale uso scita di portare una coppa appesa alla cintura. Questo dunque aveva compiuto per Scita sua madre. Così raccontano i Greci residenti sul Ponto.

11. Esiste ancora un’altra tradizione, a cui mi sento più incline, che narra così. Gli Sciti nomadi che vivevano in Asia, premuti in guerra dai Massageti21, attraversarono il fiume Arasse22 e si trasferirono nel territorio dei Cimmeri – e infatti il paese attualmente occupato dagli Sciti si dice appartenesse un tempo ai Cimmeri – e, vedendo giungere gli Sciti, i Cimmeri si consultarono sul da farsi, visto che in arrivo si profilava un esercito immenso: si contrapposero così due pareri, vigorosamente sostenuti entrambi, più forte però quello dei re. Il popolo riteneva che fosse il caso di ritirarsi e di non rischiare in pochi contro molti, mentre i re volevano battersi fino all’ultimo contro gli invasori per la loro terra. Nessuno era disposto a cedere, né il popolo ai sovrani né i sovrani al popolo; infine i sudditi decisero di andarsene, abbandonando il paese agli invasori senza combattere, i re invece preferirono giacere uccisi in patria che fuggire insieme con gli altri: pensavano ai privilegi di cui avevano sempre goduto e ai mali che prevedibilmente avrebbero patito in esilio, lontano dalla patria. Presa questa risoluzione, i re si divisero dunque in due gruppi di eguale numero e si affrontarono. Essendo tutti periti l’uno per mano dell’altro23, il popolo dei Cimmeri li seppellì presso il fiume Tira24 – dove è ancora visibile la loro tomba –; e dopo averli seppelliti in tal modo, i Cimmeri uscirono dal paese. Quando gli Sciti sopraggiunsero, conquistarono una regione ormai deserta.

12. Ancora oggi in Scizia ci sono le mura cimmerie e i varchi cimmeri, e c’è una regione che si chiama Cimmeria e il cosiddetto Bosforo Cimmerio25. Ed

21 Erodoto descrive i Massageti nel Libro I. Essi vivevano nelle sterminate pianure a oriente del Mar Caspio, erano guidati dalla regina Tomiri e avevano costumi assai strani: per esempio, quando un massageto diventava molto vecchio «i suoi parenti si raccolgono tutti insieme e lo uccidono; insieme a lui immolano altri animali e, fattene cuocere la carne, se ne cibano». Il re persiano Ciro mosse loro guerra e riuscì a catturare il figlio di Tomiri, Spargapise, ubriacandolo. Nella battaglia che seguì, Ciro fu sconfitto e ucciso. Erodoto specifica che questa è, per lui, la versione più attendibile sulla morte di Ciro.

22 L’Aras o Araks (anticamente Arasse) è il fiume che segna i confini tra la Repubblica autonoma di Nakhchivan (exclave dell’Azerbaijan) e l’Iran e tra la Turchia e l’Armenia. Confluisce nel fiume Kura (antico Cyrus), che sfocia nel Mar Caspio. A volte l’Arasse è identificato con il basso Volga confermando l’incertezza sull’origine degli Sciti e sull’estensione del loro territorio.

23 I re cimmeri sembrano troppi per essere tutti sovrani, probabilmente erano i membri della classe aristocratica.

24 Il Tira (o Tire) è un affluente di un ramo del delta del Danubio, identificabile con il Dnestr, che nasce dai Carpazi e sbocca nel Mar Nero.

25 Con “varchi cimmeri” si indica lo stretto tra il Mar Nero e il Mar d’Azov. La Cimmeria è l’odierna penisola di Crimea (anticamente detta anche Tauride) e il Bosforo Cimmerio

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è chiaro che i Cimmeri, fuggendo in Asia davanti agli Sciti, colonizzarono la penisoletta su cui ora sorge la città greca di Sinope26. Ed è anche chiaro che gli Sciti, nell’inseguirli, sbagliarono direzione e penetrarono nel paese dei Medi. Infatti, i Cimmeri in fuga si tennero costantemente lungo la costa, mentre gli Sciti, passando sulla sinistra del Caucaso, li inseguirono finché piegando verso l’interno invasero il paese dei Medi. E questa è la terza versione: la raccontano tanto i Greci quanto i Barbari.

13. Inoltre, Aristea, un uomo del Proconneso27, figlio di Castrobio, scrisse in un suo poema epico di essere giunto, posseduto da Febo, fino agli Issedoni28; a nord degli Issedoni, disse, abitano gli Arimaspi che hanno un solo occhio, più in là dei quali vivono i grifoni custodi dell’oro29; oltre i grifoni e fino al mare gli Iperborei30. Questi popoli, tranne gli Iperborei, avrebbero premuto sui loro confinanti, a partire dagli Arimaspi: gli Issedoni furono spinti fuori del loro paese dagli Arimaspi, gli Sciti dagli Issedoni, e i Cimmeri, stanziati lungo le coste del mare meridionale31, abbandonarono la loro terra scacciati dagli Sciti. Insomma, neppure Aristea è d’accordo con gli Sciti sulla storia di questa regione.

corrisponde allo stretto a sud di Kerc (Kerch), città dell’Ucraina meridionale posta sulla costa orientale della Crimea.

26 Sinop (antica Sinope) è il nome sia della città che della regione situata sul lato settentrionale dell’Asia minore, confinante col Ponto e affacciate sul Mar Nero.

27 Aristea di Proconneso (oggi Isola di Marmara nel mare omonimo), poeta e sciamano vissuto intorno al VI secolo a.C., scrisse il poema epico Arimaspea (o Gli Arimaspi) di cui ci sono pervenute soltanto alcune citazioni. Nell’Arimaspea erano descritte le più antiche conoscenze degli abitanti delle rive settentrionali del Ponto, in quanto sappiamo che gli Arimaspi monocoli e i grifoni custodi dei tesori – citati da Erodoto più avanti – costituivano gli elementi tipici della cultura popolare centro-asiatica.

28 Il territorio degli Issedoni era delimitato dalle catene montuose del Tien Shan (monti Azzurri) e dell’Altai, in una zona a cavallo tra Mongolia, Cina, Siberia e Kazakistan. Erodoto ha già spiegato che il fiume Arasse li separava dai Massageti: «I Massageti hanno fama di essere un popolo grande e valoroso: le loro sedi si trovano a est, dove sorge il sole, al di là del fiume Arasse, di fronte agli Issedoni; c’è chi sostiene che questo popolo sia di razza scita» (I, 201).

29 I grifoni, favolosi animali della mitologia greca, sono raffigurazioni ispirate ai protoceratopi, dinosauri quadrupedi lunghi circa due metri e provvisti di un becco adunco, estintisi oltre 60 milioni di anni fa. Uova (congelate nel permafrost) e scheletri di protoceratopo sono stati trovati in quantità nel territorio degli antichi Issedoni. I grifoni erano indicati come i “guardiani dell’oro” perché nella zona ci sono i graniti dei monti Azzurri e degli Altai (la radice di Altai significa “oro”) che costituivano la tradizionale fonte dell’oro degli Sciti: il metallo affiorava in superficie a causa dell’erosione e il vento lo accumulava, suggerendo l’immagine dei grifoni a difesa di mucchi d’oro. Il grifone era rappresentato con le ali, che il protoceratopo non aveva, per semplice deduzione: un animale provvisto di becco che deponeva le uova non poteva che essere un uccello.

30 Nei miti della religione greca, ripresi dagli storici (tra cui Erodoto), gli Iperborei erano un popolo che viveva in una regione lontanissima, a nord della Grecia, chiamata Hyperborea o Hyperboria (cioè “oltre Borea”, il vento del Nord). Essa era considerata un paese perfetto, illuminato dal sole per sei mesi l’anno, in cui era nato Apollo, dio della luce. Al di là delle terre degli Iperborei, vi erano quelle degli Arimaspi.

31 Si tratta del Mar Nero, considerato meridionale rispetto al mare degli Iperborei. Invece, nel successivo cap. 37, è chiamato settentrionale.

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14. Di dov’era nativo Aristea, l’autore di queste notizie, l’ho detto; ora invece riferirò quanto su di lui udivo raccontare a Proconneso e a Cizico32. Narrano infatti che Aristea, il quale per nobiltà di natali non era inferiore a nessuno nella sua città, entrò un giorno in una officina di scardassiere33 di Proconneso e vi morì; l’artigiano chiuse il negozio e si avviò per avvertire i parenti del defunto. Si sparse per la città la voce che Aristea era morto, ma giunse a contraddirla un uomo di Cizico, proveniente da Artace34, il quale sosteneva di aver incontrato Aristea che si dirigeva a Cizico e di aver chiacchierato con lui. E mentre costui ribadiva con ostinazione il suo discorso, i parenti del defunto già erano sulla porta dell’officina con il necessario per rimuovere il cadavere. Aprirono la porta del locale, ma di Aristea non c’era traccia, né vivo né morto. Sei anni dopo Aristea riapparve a Proconneso e vi compose il poema ora intitolato dai Greci Arimaspea, e dopo averlo composto sparì per la seconda volta.

15. Così si racconta in queste due città, ecco invece cosa so essere capitato agli abitanti di Metaponto in Italia35, 240 anni dopo la seconda scomparsa di Aristea, secondo quanto ho scoperto con le mie ricerche a Metaponto e a Proconneso. I Metapontini affermano che Aristea in persona apparve nel loro paese, ordinò di edificare un altare ad Apollo e di erigergli accanto una statua con la scritta “Aristea di Proconneso”; spiegò che essi erano i soli Italioti nel cui paese fosse venuto Apollo e che lui, che ora era Aristea, lo aveva seguito, ma che allora, quando accompagnava il dio, era un corvo. Detto ciò sarebbe scomparso. I Metapontini, a quanto asseriscono, inviarono una delegazione a Delfi per interrogare il dio sul significato di quell’apparizione, e la Pizia36 li avrebbe esortati a obbedire al fantasma, perché obbedendo sarebbe stato meglio per loro. Essi accettarono il responso ed eseguirono quanto prescritto. E oggi proprio accanto al monumento di Apollo si erge una statua intitolata ad Aristea, circondata da piante di alloro; il monumento di Apollo si trova nella piazza. E questo basti sul conto di Aristea.

16. Quanto al paese da cui è partito il mio discorso, nessuno sa con certezza cosa vi sia al suo nord: in effetti non ho mai potuto raccogliere notizie da qualcuno che si dichiarasse testimone oculare di tali contrade. E nemmeno quell’Aristea da me ricordato poco fa, neppure lui affermò nel suo poema di

32 Anche Cizico, come Proconneso, era una colonia greca sul Mar di Marmara. Vi si venerava la dea Cibele – culto che si riteneva introdotto dagli Argonauti – alla quale era dedicato un celebre tempio sul monte Dindimo.

33 Cardatore.34 Artace era il villaggio che dava il nome al porto di Cizico.35 Metaponto fu fondata da coloni greci dell’Acaia intorno alla metà del VII secolo a.C. tra i

fiumi Bradano e Basento. Diventò una delle città più importanti della Magna Grecia.36 Pizia (o Pitia) era il nome dato alla sacerdotessa che pronunciava gli oracoli in nome di

Apollo, nel santuario di Delfi, ai piedi del monte Parnaso.

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essere andato oltre gli Issedoni: delle regioni ulteriori parlava per sentito dire, e indicava negli Issedoni le sue fonti. Ebbene, quanto noi con certezza siamo stati in grado di apprendere grazie alle nostre fonti, spingendoci avanti il più possibile, ora qui sarà esposto.

17. Muovendo dal porto dei Boristeniti37 – che si trova giusto a metà dell’intera costa scitica – e muovendo da qui si incontrano per primi i Callippidi, che sono Ellenosciti38, e più a nord un altro popolo, i così chiamati Alizoni39. Alizoni e Callippidi praticano le stesse usanze degli Sciti, ma seminano grano e se ne cibano, e cipolle e agli e lenticchie e miglio. Al di là degli Alizoni vivono gli Sciti aratori40, che seminano il grano pure loro, ma non per cibarsene, bensì per venderlo; oltre gli Sciti aratori si trovano i Neuri41; a nord dei Neuri, per quanto ne sappiamo, non ci vive uomo.

18. Queste popolazioni sono stanziate lungo il fiume Ipani42 a ovest del Boristene. Attraversato il Boristene, la prima regione che si incontra, partendo dal mare, è l’Ilea43; oltre l’Ilea, nell’interno, dimorano gli Sciti agricoltori, quelli che i Greci residenti sul fiume Ipani chiamano Boristeniti, mentre a se stessi danno il nome di Olbiopoliti. Questi Sciti agricoltori abitano un territorio che si estende verso est per tre giorni di cammino fino al fiume chiamato Panticape44 e verso nord per undici giorni di navigazione a risalire il Boristene. A settentrione di questi Sciti il territorio è per ampio tratto disabitato; poi dopo il deserto vivono gli Androfagi45, una stirpe a sé, estranea al gruppo degli Sciti. Ancora più a nord ormai è deserto pieno e, per quanto ne sappiamo, non vi è stanziato nessun popolo.

19. Proseguendo, a est degli Sciti agricoltori, oltre il Panticape, si è ormai nel paese degli Sciti nomadi46 che non arano e non seminano niente. L’intera Scizia a eccezione dell’Ilea è spoglia di alberi. I nomadi occupano un

37 Il porto dei Boristeniti, alla foce del fiume Boristene (Dnepr), si chiamava Olbia ed era situato vicino all’odierno villaggio di Parutino, in Ucraina. Partendo da Olbia, Erodoto elenca le tribù che si incontrano, tra i fiumi Dnepr e Bug meridionale, procedendo da ovest a est e dalla costa verso l’interno.

38 O Greco-Sciti.39 Gli Alizoni occupavano la Podolia, regione posta nella zona centro-occidentale e sud-

occidentale della attuale Ucraina.40 Gli Sciti aratori (o coltivatori) occupavano la Moldavia, la Valacchia e parte della

Transilvania.41 Secondo la descrizione di Erodoto, i Neuri vivevano sui territori dell’odierna Polonia. Alcuni

storici hanno ipotizzato che i Neuri – mescolanza di Sciti, Greci ed Ebrei – siano stati gli antenati di Finni, Lapponi ed Estoni per le affinità linguistiche, ma è una teoria non sufficientemente dimostrata.

42 Il nome odierno del fiume Ipani è Bug meridionale, che scorre interamente in Ucraina.43 Cfr. nota 17.44 Il fiume Panticape risulta un affluente di sinistra del Boristene (Dnepr), ma non è

identificabile con precisione.45 Gli Androfagi sono descritti nel cap. 106.46 Agli Sciti nomadi si tramanda l’origine dei Cosacchi.

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territorio che si estende per quattordici giorni di viaggio in direzione est fino al fiume Gerro47.

20. Al di là del Gerro ci sono i territori cosiddetti “regi”: vi abitano gli Sciti più nobili e più numerosi, che giudicano come loro servi gli altri Sciti; essi si spingono verso sud fino alla regione del Tauro48, verso est fino al fosso scavato a suo tempo dai figli degli schiavi ciechi e fino al porto cosiddetto di Cremni, sulla palude Meotide49; parte di loro arrivano fino al fiume Tanai50. A nord degli Sciti regi vivono i Melancleni51; oltre i Melancleni ci sono paludi e la zona, per quanto ne sappiamo, è deserta di uomini.

21. Passato il Tanai, non è più Scizia: il primo tratto di territorio abitato appartiene ai Sauromati52, stanziati a partire dal recesso della palude Meotide e in direzione nord per quindici giorni di viaggio: una regione del tutto spoglia di alberi sia coltivati che selvatici. Al di sopra dei Sauromati, la seconda porzione di territorio è dei Budini53, che abitano una terra ricoperta interamente di alberi d’ogni specie.

22. Oltre i Budini, verso nord, dapprima c’è un deserto54, per sette giorni di viaggio; dopo la zona desertica, piegando alquanto verso oriente, ci sono i Tissageti55, popolazione numerosa ed etnicamente distinta; vivono di caccia. Di seguito, negli stessi territori, sono stanziati quelli chiamati Iurci, che vivono anch’essi di caccia, nel modo seguente. Si appostano in agguato sopra gli alberi (che sono numerosissimi in tutta la regione): ciascun cacciatore ha pronto un cavallo, a cui ha insegnato ad acquattarsi sul ventre per dare meno nell’occhio, e un cane; quando avvista la preda dall’alto dell’albero, le scaglia addosso una freccia, poi balza giù sul cavallo e la

47 Erodoto spiega nel cap. 56 che il fiume Gerro è un affluente del Boristene (Dnepr) proveniente da nord, ma non è identificabile con esattezza.

48 La regione del Tauro è l’odierna Crimea: cfr. nota 8. Gli Sciti regi (o, meglio, reali) costituivano l’aristocrazia dominante, che ebbe il merito di conferire al popolo scita la fisionomia di gruppo strutturato per circa cinque secoli.

49 L’area della palude Meotide (Mar d’Azov) faceva parte del regno delle Amazzoni, popolo favoloso di donne guerriere della mitologia greca.

50 Tanai (o, meglio, Tanais) è il nome greco arcaico del fiume Don, a lungo considerato la separazione tra Europa e Asia, ed era anche il nome di una colonia greca, fondata nel III secolo a.C. sul delta del Don nel Mar d’Azov, zona già occupata nell’Età del Bronzo. I Greci vi si insediarono nel VII secolo a.C.

51 Melancleni significa “dal mantello nero” (cfr. cap. 107). 52 I Sauromati erano gli appartenenti a una tribù sarmatica iranica di lingua indoeuropea,

più conosciuti con il nome di Álani. I Sàrmati abitavano inizialmente nella Russia meridionale a est del Don, fino ai monti Urali, e lungo il basso corso del Volga.

53 I Budini – forse una tribù protoslava – abitavano dal VI secolo a.C. le zone lungo i fiumi Don e Volga.

54 Il deserto si trovava nella regione sulla riva destra del Volga vicino all’odierna città di Simbirsk (già Uljanovsk).

55 Probabilmente, i Tissageti – che abitavano la valle del Kama, fiume tributario del Volga – e i loro vicini Iurci (o Iirci), nominati subito dopo, erano popoli finnici, dediti alla caccia e ancora poco civilizzati.

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insegue, mentre il cane la bracca. Oltre gli Iurci, verso occidente, vivono altri Sciti, che si ribellarono agli Sciti regi e sono così giunti a stabilirsi in questa regione.

23. Fino a questi Sciti tutta la regione fin qui descritta è pianeggiante e fertile: più avanti si fa pietrosa e aspra56. Superata anche la zona pietrosa, un’ampia regione ai piedi di alte montagne è abitata da uomini che, si dice, sono tutti calvi dalla nascita, uomini e donne indistintamente, hanno il naso schiacciato e il mento largo, parlano una lingua tutta propria ma si vestono come gli Sciti, e vivono dei frutti degli alberi. Pontico si chiama l’albero del cui prodotto si cibano57, ha le dimensioni di una pianta di fico, più o meno, e produce un frutto grande come una fava e che ha il nocciolo; quando è maturo lo filtrano attraverso panni e ne cola un succo denso e scuro, che chiamano “aschi”; se lo sorseggiano e se lo bevono mescolato col latte; di ciò che resta del frutto spremuto fanno delle focacce e se le mangiano. Animali non ne allevano molti perché non vi sono buoni pascoli. Ognuno abita sotto una pianta: d’inverno ne avvolge le fronde in un feltro bianco impermeabile, d’estate ne fa a meno58. Nessuno commette soprusi nei loro confronti, perché sono considerati uomini sacri, né essi si fabbricano armi da guerra. Sono loro a dirimere le controversie che sorgono fra i popoli confinanti e d’altra parte ogni esule che si rifugi presso di loro non subisce torti da nessuno. Si chiamano Argippei59.

24. Fino a tali uomini calvi, dunque, il paese e le genti al di qua sono ampiamente noti; infatti alcuni Sciti si spingono fino a loro e non è difficile ricavarne informazioni; come pure si ricavano dai Greci del porto di Boristene e degli altri empori del Ponto. Gli Sciti che arrivano sino agli Argippei negoziano in sette lingue per mezzo di altrettanti interpreti.

56 Il limite della pianura non era, per gli antichi, in una zona precisa del nord-est. Fu Plinio il Vecchio a indicare che gli Iperborei erano stanziati oltre i Monti Ripei, vicino al Polo Nord: «Alle spalle di quei monti [Ripei] e oltre il vento del nord si trova un popolo fortunato – se dobbiamo crederci! – cui è stato dato il nome di Iperborei; vivono sino a un’età carica di anni, e sono rinomati per mitiche meraviglie. Si crede che lì si trovi uno dei poli su cui il cosmo è imperniato, e lì termini il giro delle stelle; la luce vi durerebbe sei mesi, quando il sole è di faccia; non però, come dicono gli incompetenti, dall’equinozio primaverile all’autunno. In realtà, questa gente vede sorgere il sole una volta all’anno, al solstizio estivo, e una volta tramontare, a quello di inverno. La zona è solatìa e di clima felicemente temperato, esente da ogni aria nociva. Le loro case, boschi e foreste; i culti divini si svolgono singolarmente, o per raggruppamenti; le lotte intestine sono ignorate, e così pure qualsiasi malattia. La morte viene solo per sazietà di vivere...».

57 Il pontico è il ciliegio selvatico.58 L’usanza esiste ancora oggi nelle regioni fredde, dalla Scandinavia alla Mongolia, e,

soprattutto, tra i popoli nomadi. Tende, mantelle e stivali sono realizzati con la lana degli ovini feltrata, ossia sottoposta a uno specifico trattamento e a una lunga manipolazione per rendere l’infeltrimento irreversibile e il tessuto impermeabile.

59 Tribù mongolica, probabile antenata dei Baskiri (o Baschiri), stanziati nella parte sud-occidentale dei monti degli Urali e nelle pianure adiacenti.

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25. Se fino a costoro il paese è conosciuto, sui territori a nord degli uomini calvi nessuno è in grado di riferire con esattezza. La regione è tagliata fuori da alte montagne invalicabili, che nessuno oltrepassa. Da parte loro gli uomini calvi raccontano, ma non mi pare credibile, che sulle montagne abitano uomini con piedi caprini, oltre i quali vivono altri uomini che dormono per sei mesi consecutivi60. Ma questo proprio non lo accetto assolutamente. A est dei Calvi si sa con certezza che vivono gli Issedoni61, ma delle regioni più settentrionali, a nord tanto dei Calvi che degli Issedoni, non si sa nulla, se non quanto questi stessi popoli raccontano.

26. Ecco dunque quanto si narra sulle usanze degli Issedoni. Quando a un uomo muore il padre, tutti i parenti gli portano animali da allevamento: li sacrificano, ne tagliano le carni e vi aggiungono anche, tagliato a pezzi, il cadavere del padre dell’ospite; mescolano assieme tutte le carni e banchettano. La testa del morto, però, la radono, la puliscono, la indorano e poi la trattano come una immagine sacra, offrendole annualmente grandi sacrifici. Il figlio onora il padre così, come i Greci commemorano i defunti. Inoltre hanno anch’essi fama di essere giusti: e le donne fra loro godono degli stessi poteri degli uomini.

27. Anche sugli Issedoni, dunque, siamo informati. Più oltre verso nord sono gli Issedoni a parlare dell’esistenza di uomini muniti di un solo occhio e di grifi custodi dell’oro: gli Sciti lo riferiscono avendolo udito dagli Issedoni, e noi, che lo abbiamo appreso dagli Sciti, chiamiamo quegli uomini, con voce scita, “Arimaspi”: in lingua scita àrima vuol dire “uno” e spu “occhio”62.

28. Tutta la regione qui menzionata soffre di inverni molto rigidi, e per otto mesi vi regna un freddo addirittura insopportabile; in tal periodo versando a terra dell’acqua non produrrai fango: il fango lo formerai accendendo un fuoco. Si gela il mare e tutto il Bosforo Cimmerio e sul lastrone di ghiaccio gli Sciti residenti al di qua del fossato si mettono in marcia e si spingono oltre con i loro carri, verso il paese dei Sindi63. L’inverno si mantiene così per otto mesi; e per i quattro mesi restanti la temperatura è ancora fredda. È un tipo di inverno diverso da tutti gli inverni degli altri paesi: non ci sono piogge degne di nota nella stagione in cui le si aspetterebbe, mentre d’estate non smette mai di piovere; i tuoni, assenti quando altrove si fanno sentire, sono fittissimi in estate. Un tuono che si produca d’inverno è accolto

60 Probabile allusione alle lunghe notti invernali del Nord, che costringono gli abitanti a stare rinchiusi per mesi.

61 Cfr. nota 28.62 Con maggior probabilità, l’etimologia di Arimaspi deriva dal sanscrito aryama e aspa, cioè

“coloro che amano i cavalli”.63 Si suppone che i Sindi – di ceppo sarmatico – fossero un popolo attestato sul lato

orientale della Palude Meotide (Mar d’Azov) e su parte del Caucaso che abitavano di fronte ai Maeoti, altra tribù scitica. Nel cap. 86 sono però considerati gli abitanti della Penisola di Taman (Crimea orientale) sul lato del Mar d’Azov, cioè gli stessi Maeoti.

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con stupore, come un prodigio; lo stesso se si verifica un terremoto, d’inverno come d’estate, in Scizia è considerato un prodigio. I cavalli riescono a sopportare un simile inverno, ma i muli non ce la fanno assolutamente, e neppure gli asini, mentre in altri paesi i cavalli nel gelo muoiono per assideramento e invece asini e muli resistono.

29. Secondo me è questa la ragione per cui in quel paese la razza di buoi “senza corna”64 è, appunto, priva di esse; me ne dà una prova anche un verso di Omero, dall’Odissea: «e in Libia... ove spuntan ratto a gli agnellin le corna»65, molto esatto: nei paesi caldi le corna crescono rapidamente. Invece nei paesi a clima rigido le corna o crescono poco o non spuntano affatto.

30. Ecco dunque cosa accade lassù per il freddo. Ma io mi meraviglio proprio – e lo dico perché fin dal principio il mio racconto cercava digressioni –, mi meraviglio che in tutta la regione dell’Elide66 non possano nascere muli: perché il paese non è freddo né ci sono altre cause palesi. Gli Elei, dal canto loro, affermano che da loro non nascono muli per una maledizione67. Così quando è il momento di far accoppiare le cavalle, le portano nei paesi vicini, lì le fanno montare dagli asini finché si ingravidano, dopodiché se le riportano indietro.

31. Quanto alle piume di cui l’aria secondo gli Sciti sarebbe piena e che impedirebbero sia di inoltrarsi nel paese sia di spingere lo sguardo nell’interno, la mia opinione è la seguente: a nord di queste regioni nevica in continuazione, un po’ meno d’estate che d’inverno ovviamente. Ora, chi ha già visto da vicino la neve cadere fitta fitta, sa cosa voglio dire: i fiocchi di neve sono simili a piume. E poiché l’inverno là è quello che è, le regioni settentrionali di questo continente non sono abitabili. Credo dunque che gli Sciti e i loro vicini descrivano la neve come piume per paragone68. E questo basti sulle regioni dette le più remote del mondo.

64 O “mutili”.65 Odissea, IV, 107-109.66 L’Elide è una regione storica del Peloponneso, il cui centro era Olimpia.67 La maledizione è quella di Enomào, re di Pisa (città scomparsa già in epoca classica, nei

pressi della posteriore Olimpia), il quale aveva condannato gli incroci, ritenuti nocivi alla purezza della razza equina. Secondo la mitologia, Enomao aveva messo in palio la mano della figlia Ippodamia a chi fosse riuscito a vincerlo in una gara di corsa col carro, altrimenti questi sarebbe stato ucciso. Enomao vinceva sempre perché suo padre, il dio Ares, gli aveva donato un tiro di cavalle rapide come il vento, e il carro era guidato da Mirtilo, figlio di Ermes, il più esperto degli aurighi. Solo Pelope superò la prova dopo che Ippodamia lo convinse a corrompere Mirtilo, che fece cadere il padrone durante la corsa provocandone la morte. Dalle fonti risulta chiaro che Enomào era amante incestuoso della figlia e aveva escogitato quella gara impari per impedirne l’allontanamento. La leggenda si conclude con l’uccisione di Mirtilo perché aveva tentato di violentare Ippodamia.

68 Anticamente la neve era spesso confrontata con la lana, per esempio, nell’Apocalisse è scritto «I capelli della testa erano candidi, simili a lana candida, come neve» (I, 14).

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32. Degli Iperborei non discorrono né gli Sciti né gli altri abitanti di questo continente, a eccezione degli Issedoni. Ma io credo che anch’essi non dicano niente, altrimenti ne parlerebbero pure gli Sciti, come parlano degli uomini con un occhio solo. Si fa menzione degli Iperborei in Esiodo69 e anche in Omero, negli Epigoni, ammesso che Omero abbia effettivamente composto tale poema70.

33. Le notizie di gran lunga più sostanziose sul conto degli Iperborei le forniscono i Deli71: essi affermano che le offerte sacre, avvolte in paglia di grano, provenienti dagli Iperborei arrivano nelle mani degli Sciti e dagli Sciti via via passano di gente in gente fino a giungere nel lontanissimo occidente, fino all’Adriatico. Da qui vengono inviate verso sud: i primi Greci a riceverle sono quelli di Dodona72, da dove poi scendono al Golfo Maliaco73 per essere traghettate in Eubea74; di città in città giungono a Caristo75; Andro76 viene saltata: i Caristi le recapitano direttamente a Teno77, e infine i Teni a Delo Così dunque arrivano a Delo le sacre offerte, ma in un primo tempo gli Iperborei mandarono a portarle due ragazze, di nome, secondo i Deli,

69 Esiodo, poeta greco dell’VIII-VII secolo a.C., scrisse: «Gli Iperborei dai bei cavalli che la terra dai molti pascoli aveva generato numerosi presso le rapide correnti dell’Eridano profondo», dove per Iperborei si intendono le popolazioni dell’Alto Adriatico e per Erìdano il fiume Po.

70 Il poeta greco Omero (VIII secolo a.C.) menziona nel poema Epigoni, a lui attribuito con molta incertezza, gli Iperborei come i figli dei sette re che avevano partecipato con Edipo alla prima spedizione contro Tebe, capitale della Boezia, città dalle sette porte. I sette re si erano posti ciascuno accanto ad una porta ed erano caduti sotto le mura di Tebe nel tentativo di conquistarla. Gli Epigoni mossero verso la città per vendicare i padri e riuscirono a impadronirsene.

71 I Deli (o Delii) erano gli abitanti dell’isola di Delos (o Delo) nell’arcipelago delle Cicladi. I reperti archeologici hanno dimostrato che l’isola era abitata fin dal 3000 a.C. Secondo la mitologia greca, vi trovò rifugiò Latona per partorire i figli avuti da Zeus – Apollo, dio della luce e della musica, e Artemide (Diana), dea della caccia – e, quindi, sfuggire l’ira di Era. Gli antichi Greci consideravano Delo il loro più importante santuario e sacra l’isola. Presumendo che gli Iperborei fossero i Greci del Ponto, il loro rapporto con i Deli viene spiegato indicando la rotta Fenicia-Ponto, utilizzata per il trasporto di grano, oppure, più semplicemente, con il fatto di possedere un culto in comune.

72 Dodona era un’antica città dell’Epiro (regione occidentale della Grecia) con la sede di uno dei più famosi santuari dedicati a Zeus, il quale dava i suoi responsi (i cosiddetti “oracoli di Dodona”) a mezzo dei sacerdoti e delle sacerdotesse che ascoltavano lo stormire delle foglie delle querce del vicino bosco sacro, guardavano il volo delle colombe che vi avevano il nido e interpretavano il suono dei grandi cembali di bronzo mossi dal vento.

73 Il Golfo Maliaco si trova nella Locride orientale (o Locride Opunzi, Grecia centrale) che comprende parte della costa davanti all’isola di Eubea e la pianura delle Termopili.

74 Dopo Creta, Eubea è la più grande isola del Mare Egeo, adiacente a parte della costa sud-orientale della penisola, con capoluogo Calcide. Ha nome Eubea perché un tempo era famosa per i suoi numerosi, ottimi buoi.

75 Città dell’Eubea.76 L’isola di Andro (o Andros) costituisce un prolungamento della catena montuosa di

Negroponte. Un breve braccio di mare la separa dall’isola di Tino.77 Tenos (ora Tynos o Tino) è un’isola dell’arcipelago delle Cicladi, a nord di Delo. È con

Syros, Mykonos, Naxos e Paros una delle isole che circondano l’isola sacra di Delos.

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Iperoche e Laodice78. Insieme con loro, per proteggerle, gli Iperborei inviarono cinque concittadini come accompagnatori: oggi si chiamano Perferei e a Delo godono di grandi privilegi. Ma poiché i delegati non rientrarono in patria, gli Iperborei, ritenendo grave la possibilità di non più rivedere le persone di volta in volta inviate, portarono le loro offerte ai confini, le consegnarono ai popoli limitrofi avvolte in paglia di grano, pregandoli di farle proseguire ulteriormente. Spedite in tal modo, narrano, le offerte giungono a Delo. Io so di un sistema di offerta molto simile in uso fra le donne della Tracia e della Peonia79: quando sacrificano ad Artemide regina, non compiono i riti se non hanno paglia di grano.

34. Che facciano questo lo so. In onore delle vergini degli Iperborei che andarono a Delo e vi morirono si recidono i capelli sia le ragazze sia i ragazzi di Delo: le ragazze si tagliano un ricciolo prima delle nozze, lo avvolgono intorno a un fuso e lo depongono sopra la tomba – la tomba si trova all’interno del santuario di Artemide, sulla sinistra, e sopra vi è cresciuto un olivo –; tutti i ragazzi di Delo legano un loro ricciolo intorno a un ciuffo d’erba e lo depongono anch’essi sul tumulo. Tali dunque le onoranze che ricevono dagli abitanti di Delo.

35. Sempre i Deli raccontano che anche Arge e Opi80, due vergini iperboree, giunsero a Delo viaggiando attraverso le stesse genti su menzionate e ben prima di Iperoche e Laodice. Ma mentre queste ultime vennero a portare a Ilizia81 il tributo che gli Iperborei si erano imposti per rendere grazie del rapido parto, Arge e Opi sarebbero venute insieme con le dee in persona; e dicono che a esse altre onoranze furono tributate a Delo: per loro infatti le donne raccolgono denaro invocandone i nomi nel carme composto per l’occasione da Olene di Licia82; dalle donne di Delo le isolane e le donne ioniche hanno imparato a celebrare negli inni Opi e Arge e a fare la questua – Olene venne dalla Licia e compose anche gli altri antichi inni che si cantano a Delo –; e quando le cosce delle vittime bruciano sull’altare, la cenere residua viene utilizzata per essere sparsa sulla tomba di Opi e di Arge. La tomba si trova nel retro del santuario, verso est, proprio accanto

78 Probabili epiteti della dea Artemide.79 Tracia e Peonia erano regioni settentrionali esterne ai confini dell’antica Grecia (Ellade).

Delimitavano, rispettivamente a est e a nord, la Macedonia.80 Arge significa “la splendente” e Opi “la veggente”. Entrambi sono epiteti di Artemide.81 Secondo l’Inno ad Apollo di Omero, nell’imminenza del parto di Latona (cfr. nota 71), Era

catturò Ilizia mentre stava tornando dal nord dagli Iperborei, ma le altre dee che volevano presenziare alla nascita la riportarono a Delo. Non appena Ilizia mise piede sull’isola, iniziarono le doglie di Latona. Da quel momento Ilizia fu considerata dai Greci la dea protettrice del parto.

82 Olene (o Olen) di Licia – regione storica situata sulla costa meridionale dell’Anatolia – è un poeta leggendario ritenuto da Pausania (IX, 27, 2) il più antico compositore di inni greci. Lo si considera infatti l’inventore del poema epico e il primo profeta del dio Apollo a Delo. La sede dell’oracolo viene descritta come una caverna ipogea da cui usciva il vento divino e sulla cui imboccatura era posto un alto treppiede.

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alla sala da banchetto dei Cei.

36. E questo sia sufficiente sul conto degli Iperborei. Né sto qui a raccontare la storia di Abari, il quale si dice fosse un Iperboreo, che avrebbe portato la sua freccia in giro per il mondo senza mai toccare cibo83. Se esistono degli uomini iperboreali allora esistono anche gli iperaustrali84. Io rido quando vedo che molti hanno disegnato la mappa della terra, ma che nessuno ne ha dato una spiegazione ragionevole: raffigurano un Oceano che scorre intorno alla terra, tonda come se l’avessero fatta col compasso, e disegnano l’Asia grande come l’Europa85. Ora in poche parole spiegherò io quanto è vasto ciascun continente e quali contorni presenta.

37. Il territorio dei Persiani si estende fino al mare meridionale, il cosiddetto Eritreo86; sopra di loro verso nord sono stanziati i Medi, oltre i Medi i Saspiri87 e al di là dei Saspiri i Colchi88 sulle rive del mare settentrionale, dove sfocia il fiume Fasi89. Questi quattro popoli occupano la regione fra i due mari.

38. Da qui, in direzione ovest, si dipartono dall’Asia e si inoltrano nel mare due penisole, che ora descriverò. La prima si allunga in mare, a nord, a cominciare dal Fasi lungo il Ponto e l’Ellesponto90 fino al capo Sigeo nella Troade91, e a sud si protende in mare, questa stessa penisola, dal golfo di

83 Abari era un leggendario taumaturgo greco che fu nominato primo sacerdote di Apollo per aver esaltato in versi il viaggio del dio agli Iperborei. Secondo il mito, ottenne inoltre da Apollo il dono dello spirito profetico e una freccia d’oro, a cavalcioni della quale egli soleva fendere il cielo. Erodoto non crede a questa leggenda – probabile prodotto della cultura sciamanistica greco-scita manifestatasi dopo la colonizzazione del Mar Nero – perché dice che Abari “portò” la freccia e non che da essa “fu portato”.

84 Il termine originale greco viene tradotto con “iperaustrali” o “ipernoti”.85 Per l’allusione alle teorie di Ecateo, cfr. nota 16.86 Per Mare Eritreo gli antichi Greci intendevano il Mar Rosso, il Golfo Persico e l’Oceano

Indiano fino all’India.87 I Saspiri (o Sasperi) appartenevano a una tribù che viveva a nord della Media. Assieme

agli abitanti della Colchide occupavano il territorio dell’attuale Georgia. È probabilmente a loro che si deve la formazione del regno di Iberia (Sasperi = Speri = Hberi = Iberi).

88 Abitanti della Colchide, l’antica regione affacciata sul Mar Nero, attualmente parte della Georgia. Nella mitologia greca, vi era custodito il “vello d’oro” (cfr. nota 284).

89 Il mare settentrionale (o boreale) è il Mar Nero e Fasi era una divinità-fiume della Colchide, oggi chiamato Rioni. Figlio di Elio e dell’Oceanina Ocirroe, Fasi scoprì l’adulterio della madre e la uccise. Inseguito dalle Erinni si gettò nel fiume Arturo, che da allora cambiò nome in Fasi (attuale Rion, in Georgia).

90 Ellesponto è l’antico nome dello stretto dei Dardanelli, che divide il Mar Egeo dal Mar di Marmara e dal Mar Nero (Ponto Eusino), vicino a Troia. Il suo nome (letteralmente “mare di Elle”) deriva da un mito: Elle, sorella di Frisso e figlia di Atamante e Nefele, durante il viaggio verso la Colchide in groppa all’ariete dal vello d’oro (cfr. nota 284) cadde in questo braccio di mare che da allora si chiama Ellesponto.

91 La Troade è l’antica regione a nord-ovest dell’Asia Minore, delimitata a nord dal Mar di Marmara e dallo stretto dei Dardanelli, e a est dal monte Ida. Sul promontorio del Sigeo si ergeva, secondo Omero, la superba reggia di Priamo, re di Troia.

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Miriando92, adiacente alla Fenicia, fino al promontorio Triopico93. In questa penisola sono stanziati trenta popoli.

39. Questa è la prima penisola; la seconda si estende verso il Mare Eritreo a partire dalla Persia, comprende in successione il territorio persiano, l’Assiria e l’Arabia94; l’Arabia termina, ma solo per convenzione, nel Golfo Arabico95, nel quale Dario fece sfociare un canale proveniente dal Nilo. Dalla Persia alla Fenicia96, la regione si presenta pianeggiante e ampia; dalla Fenicia la penisola si protende nel mare a noi vicino lungo la Siria Palestina e l’Egitto, dove termina. In questa regione vivono tre soli popoli.

40. Ecco dunque i territori asiatici occidentali a partire dalla Persia; i paesi oltre la Persia, la Media, la Saspiria e la Colchide, verso est, verso i primi raggi del sole, corrono da una parte lungo il Mare Eritreo e dall’altra, a nord, lungo il Mar Caspio e il fiume Arasse, che scorre verso il levar del sole. L’Asia è abitata fino all’India: da qui in poi, verso oriente, nessuno ci vive e nessuno sa dire come sia.

41. Tali sono la forma e l’estensione dell’Asia. La Libia97 appartiene alla seconda penisola, essa infatti succede immediatamente all’Egitto; all’altezza dell’Egitto tale penisola si fa ben stretta. Dal nostro mare al Mare Eritreo98 ci sono centomila orgie, vale a dire mille stadi99; dopo tale parte stretta la penisola, che ora si chiama Libia, torna ad essere assai ampia.

42. Mi meraviglio dunque di quanti separano con tanto di confini Libia, Asia ed Europa, che sono molto differenti tra loro. Nel senso della lunghezza l’Europa si sviluppa lungo Asia e Libia insieme, in larghezza non mi pare neppure che possa essere paragonabile100. La Libia infatti si rivela essere interamente circondata dal mare, fuorché nel tratto di confine con l’Asia. Per quanto ne sappiamo il primo ad averlo dimostrato fu il re d’Egitto Neco101:

92 Il golfo di Miriando (o Miriandico) è l’odierno golfo di Alessandretta, tra Turchia e Siria.93 Il Triopico, oggi Triopio, è un sottile promontorio della Caria sud-occidentale, in Anatolia,

dove i Dori greci – guidati dal mitico Trioper – avevano fondato la città di Cnido. Il promontorio era unito al continente da un breve e stretto istmo.

94 Col nome di Arabia sono compresi i territori dei Fenici, dei Palestinesi e degli Ebrei.95 Nell’antichità il Mare Arabico indicava l’Oceano Indiano.96 Non si conoscono i confini della Fenicia, ma corrispondono all’incirca all’attuale Libano.97 Con Libia, gli antichi Greci indicavano tutta l’Africa conosciuta e, in particolare, il litorale

africano del Mediterraneo. Nella storia, le prime menzioni della Libia si riferiscono ai soldati libici assunti come mercenari dagli Egizi nel primo millennio a.C. La costa libica era divisa tra Fenici, a ovest, e Greci, a est.

98 In questo caso è il Mar Rosso.99 Lo stadio corrispondeva a circa 185 metri, quindi l’orgia era 1,85 metri.100 In realtà, Erodoto non poteva fare confronti, non conoscendo i confini dell’Europa.101 Il faraone Neco regnò dal 609 al 595 a.C., dando all’Egitto un periodo di indipendenza e

splendore. Neco, progettando di unire il Nilo col Mar Rosso per creare un passaggio fra i due mari, si valse di marinai fenici per effettuare la circumnavigazione dell’Africa, su cui mostra perplessità Erodoto alla fine di questo capitolo. Tuttavia, il fatto che i marinai

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interrotto lo scavo del canale che dal Nilo porta al Golfo Arabico, egli inviò dei Fenici su delle navi con l’incarico di attraversare le Colonne d’Eracle102

sulla via del ritorno, fino a giungere nel mare settentrionale103 e così in Egitto. I Fenici, pertanto, partiti dal Mare Eritreo, navigavano nel mare meridionale; ogni volta che veniva l’autunno, approdavano, in qualunque punto della Libia fossero giunti, seminavano e aspettavano il tempo della mietitura. Dopo aver raccolto il grano, ripartivano, cosicché al terzo anno dopo due trascorsi in viaggio doppiarono le Colonne d’Eracle e giunsero in Egitto. E raccontarono anche particolari attendibili per qualcun altro ma non per me, per esempio che nel circumnavigare la Libia si erano trovati il sole sulla destra.

43. Così si seppe la prima volta com’è la Libia; poi l’hanno confermato i Cartaginesi104 a dirlo, in quanto l’Achemenide105 Sataspe, figlio di Teaspe106, non circumnavigò la Libia, benché fosse stato inviato con tale compito: ebbe paura della lunghezza della navigazione e della solitudine e tornò indietro, senza portare a termine la prova che sua madre gli aveva imposto. Sataspe aveva violentato una ragazza, figlia di Zopiro figlio di Megabisso107; quando poi per la sua colpa stava per venire impalato per ordine del re Serse108, sua

videro sorgere il sole alla loro destra, conferma la realtà del viaggio, perché le navi, doppiato il Capo di Buona Speranza e risalendo verso nord, dovettero effettivamente avere alla loro destra l’oriente, che fino ad allora avevano avuto a sinistra. Di Neco parla anche la Bibbia: alleatosi con l’Assiria per combattere Babilonia (609 a.C.), fu intercettato da Giosia e costretto a combattere a Meghiddo. L’Egitto vinse e Giosia fu ucciso, ma a causa di questa battaglia l’Egitto non poté aiutare gli Assiri (2Re 23,29; 2Cr 35,20-24). Ritornando in Egitto, Neco prese con sé il nuovo re Ioacaz, figlio di Giosia, e lo sostituì con Eliachim (2Re 23,31-35; 2Cr 36,1-4). Nel 605 a.C. Babilonia conquistò tutto il territorio che l’Egitto aveva in Palestina dopo la battaglia di Carchemis (Ger 46,2) e Neco rimase nel suo paese (2Re 24,7), ma nel 601 a.C. Babilonia invase Egitto ma questa risultò una battaglia inconcludente (Ger 46,17; 46,25).

102 Come detto (cfr. nota 15), ai tempi di Erodoto le Colonne di Eracle (o Ercole) erano probabilmente due isole nello stretto di Sicilia. Esse rappresentavano il limite del mondo conosciuto e il limite della conoscenza.

103 O australe: Mar Mediterraneo.104 La città di Cartagine fu fondata sul Mar Mediterraneo attorno al 814 a.C., da coloni o

profughi fenici provenienti dalla città di Tiro e guidati da Didone (o Elissa). La città acquisì il dominio commerciale del Mediterraneo e si tramanda che Annone il Navigatore (inizio del VI secolo a.C.) si sia spinto lungo la costa dell’Africa fino alla Sierra Leone.

105 Gli Achemenidi furono la prima dinastia dell’impero persiano, fondata da Achemenes quando i Persiani ottennero l’indipendenza dai Medi, intorno al 700 a.C.

106 Teaspe è Teispe (675-640 a.C.), il figlio di Achemenes, mitico capostipite della dinastia che fondò l’impero persiano. Teispe fu il primo ad assumere il titolo di “re di Ansan e di Persia” dopo aver conquistato l’Ansan, antico regno dell’Elam, in Mesopotamia.

107 La storia di Gobria Megabisso (o Megabizo) è narrata da Erodoto nel Libro III. Gobria era un sacerdote (evirato) di Artemide e fu uno dei maggiorenti persiani chiamati a esprimersi sulla forma di governo da dare all’impero. In quell’occasione, Otane si pronunciò per la democrazia, Megabisso per l’oligarchia e Dario per la monarchia. Gli argomenti di Megabisso e di Dario mettevano l’accento sull’uso efficace e illuminato del potere; quello di Otane sul problema del suo controllo.

108 Serse I, figlio di Dario I e di Atossa (figlia di Ciro il Grande), regnò sull’impero persiano

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madre, sorella di Dario, intercedette per lui, affermando che gli avrebbe imposto una punizione ancora maggiore: lo avrebbe costretto a navigare intorno alla Libia fino a tornare, ultimato il giro, nel Golfo Arabico. A queste condizioni Serse si dichiarò d’accordo, sicché Sataspe venne in Egitto, prese con sé navi e marinai egiziani e salpò alla volta delle Colonne d’Eracle; le varcò, doppiò il capo estremo della Libia, che si chiama Solunte109, e diresse la rotta verso sud, percorrendo in molti mesi un lungo tratto di mare; ma gli restava pur sempre il tratto maggiore, voltò la prua e se ne tornò in Egitto. Da qui si recò presso re Serse e gli raccontò che nel punto più lontano raggiunto avevano costeggiato un paese abitato da piccoli uomini110 vestiti con foglie di palma, i quali, tutte le volte che accostavano a riva, fuggivano verso le montagne abbandonando i loro villaggi; essi vi erano entrati senza danneggiarli, limitandosi a catturarvi qualche animale. Per giustificare il mancato periplo della Libia spiegò che l’imbarcazione non era più in grado di proseguire, ma si era bloccata. Serse non riconobbe come vere le sue parole e lo fece impalare, eseguendo l’antica sentenza, perché non aveva comunque compiuto la prova stabilita. Un eunuco di questo Sataspe scappò via a Samo111 appena apprese la morte del padrone; si portò via grandi ricchezze che poi finirono nelle mani di un uomo di Samo: io ne conosco il nome, ma preferisco non menzionarlo.

44. La maggior parte dell’Asia fu esplorata all’epoca di Dario, il quale, desiderando sapere dove andasse a sfociare in mare il fiume Indo, che è uno dei due soli fiumi al mondo popolati da coccodrilli112, inviò su navi persone di cui si fidava che gli avrebbero riferito la verità, fra le quali Scilace

degli Achemenidi dal 486 a.C. al 465 a.C. Combatté contro la Grecia e riuscì ad occupare l’Attica e Atene, ma fu sconfitto a Salamina e a Platea e costretto a ritirarsi. Fu assassinato in una congiura organizzata dal suo primo ministro Artabano e gli successe il figlio Artaserse.

109 La localizzazione del promontorio Solunte suscita perplessità negli studiosi in quanto nel Periplo di Annone il Navigatore – un cartaginese del VII-VI secolo a.C., che, per fondare nuove colonie fenice arrivò fino al Golfo di Guinea con sessanta navi e trentamila uomini – si cita il promontorio Soloente, identificato nell’attuale Capo Cantin (o, secondo altri, Capo Spartel) all’ingresso dello stretto di Gibilterra. Se Solunte e Soloente fossero lo stesso promontorio, le Colonne d’Eracle (cfr. nota 15) sarebbero state effettivamente fra Spagna e Africa, ma al tempo di Erodoto non si conosceva ancora la Spagna.

110 Sono i Pigmei – il cui nome deriva dalla parola greca pygmâios, cioè alto un cubito (cfr. nota 204), piccolo – che costituiscono, molto probabilmente, la popolazione più antica delle foreste equatoriali e tropicali africane.

111 Erodoto parla delle vicende belliche e politiche di Samo (Samos) nel Libro III. L’isola di Samos è l’ottava per grandezza della Grecia, situata vicino alla Turchia, in cui nacquero il filosofo matematico Pitagora e il tiranno Policrate. Vi fu costruito il primo tempio greco dedicato alla dea Era.

112 L’altro fiume è il Nilo. Confrontando il testo con II, 32, si pensa che Erodoto confonda il Nilo con il Niger.

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di Carianda113. Essi salparono dalla città di Caspatiro114 e dalla terra dei Patti115 navigando sul fiume in direzione est, verso il levar del sole, fino al mare; per mare poi puntarono verso occidente e dopo ventinove mesi giunsero nello stesso luogo116 da cui il re egiziano aveva spedito a circumnavigare la Libia i Fenici di cui ho già detto. Dopo il loro periplo, Dario sottomise gli Indiani117 e cominciò a servirsi di questo mare. E così si è accertato che l’Asia, a eccezione delle regioni più orientali, è per il resto simile alla Libia118.

45. Invece a nessuno è chiaramente noto, né dalla parte d’oriente né da quella di settentrione, se l’Europa sia circondata dal mare; si sa però la sua lunghezza, che è pari a quella degli altri due continenti insieme. Non riesco a comprendere perché per una terra sola ci siano tre nomi diversi, derivati da donne, e perché le furono imposti come confini i fiumi Nilo d’Egitto e Fasi di Colchide – altri indicano il Tanai119 della Meotide e lo stretto dei Cimmeri –; né sono riuscito a sapere chi abbia fissato questi confini e da dove ricavò le denominazioni. Molti Greci affermano che la Libia è così chiamata dal nome di una donna del luogo; a sua volta Asia sarebbe stato il nome della moglie di Prometeo. L’appellativo Asia per altro se lo rivendicano i Lidi120

sostenendo che deriva da Asio, figlio di Coti figlio di Mane121, e non dall’Asia di Prometeo; da questa Asio avrebbe preso nome anche la tribù Asiada a Sardi122. Quanto all’Europa, come nessuno sa se è circondata dal mare, così nessuno sa né da dove abbia preso il suo nome né chi sia stato a imporglielo, a meno di sostenere che lo si ricavò da Europa di Tiro123; prima

113 Per incarico di Dario I, il navigatore e geografo greco Scilace di Carianda (isola antistante le coste della Caria) era partito dall’odierna Peshawar (Pakistan settentrionale) e aveva esplorato il corso del fiume Indo sino alla foce e le coste del Mare Eritreo (Oceano Indiano) e del Golfo Arabico (Mar Rosso). Il suo resoconto del viaggio, compiuto tra il 519 e il 509 a.C., è perduto.

114 La città è citata anche in III, 102: alcuni storici la identificano con Multan (Pakistan), altri con Kabul (Afghanistan).

115 O regione Pattiica o dei Pashtun (o Pathan o Afghani), gruppo etnico-linguistico che ancora oggi abita in prevalenza l’Afghanistan orientale e meridionale e il Pakistan occidentale.

116 Il Golfo di Suez.117 Indiani o Indi.118 Ossia delimitata da fiumi e da mari.119 Antico nome del Don (cfr. nota 50).120 La Lidia era un’antica regione dell’Asia Minore, situata ad occidente della Frigia, a nord

della Caria e a sud della Misia. Secondo Erodoto, la Lidia sarebbe stata la patria di provenienza degli Etruschi.

121 In mitologia, da Giove discese Mane, primo dominatore delle regioni dell’Asia Minore; da Mane nacque Coti e da questi discesero Asio (o Adie) e Ati; da Ati, infine, discesero Lidio, Miso, Care e Tirreno. Ati divise tra i primi tre figli il regno paterno di Coti, mandando il quarto, Tirreno, con molti sudditi, a procurarsi un nuovo regno.

122 Sardi era la capitale del regno di Lidia nel VII secolo a.C. situata alla confluenza dei fiumi Ermo e Pattolo. Secondo Erodoto, furono i re di Sardi a inventare la moneta.

123 Tiro era una città fenicia, situata lungo la costa dell’attuale Libano. Nella mitologia greca, Zeus si innamorò di Europa, unica figlia femmina di Agenore, un pastore della terra di

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dunque non avrebbe avuto nome, come gli altri continenti. Ma Europa sicuramente era di origine asiatica e non giunse mai nel nostro continente, quello ora detto Europa dai Greci: si limitò a passare dalla Fenicia a Creta, e da Creta in Licia124. E qui si arresti il mio discorso: noi ci serviremo dei nomi tradizionali.

46. Il Ponto Eusino, verso cui Dario muoveva le sue truppe, è la regione che presenta, fra tutte, le popolazioni più ignoranti, escludendo gli Sciti: infatti nell’ambito del Ponto non sapremmo segnalare per sapienza nessun popolo, se non gli Sciti, né conosciamo alcun uomo di dottrina, se non Anacarsi125. La sola ottima trovata, in campo umano, la più astuta a nostra conoscenza, è dovuta alla stirpe degli Sciti; nient’altro suscita la mia ammirazione. La grandissima trovata è che nessuno, se li assale, può più sfuggire loro e nessuno è in grado di sorprenderli, se non vogliono farsi trovare: essi non si costruiscono né mura né città e le case se le trascinano dietro, tirano con l’arco da cavallo, non vivono di agricoltura ma di allevamento, dimorano su carri; come potrebbero non essere invincibili, inattaccabili?

47. E questo l’hanno ottenuto grazie al terreno favorevole e alla presenza di fiumi che si rivelano loro alleati; la regione infatti è pianeggiante, erbosa e ricca di acqua, attraversata da fiumi che sono poco meno numerosi dei canali d’Egitto. Ora menzionerò i fiumi più rinomati e navigabili dal mare verso l’interno: l’Istro, con le sue cinque foci, il Tira, l’Ipani, il Boristene, il Panticape, l’Ipaciri, il Gerro e il Tanai126; ed ecco come si presenta il loro corso.

Canaan, e incaricò Ermes di spingere il bestiame di questi fino alla riva del mare presso Tiro, dove Europa e le sue compagne usavano passeggiare. Zeus stesso si confuse nella mandria, sotto le spoglie di un toro bianco come la neve, con un petto robusto e due piccole corna, simili a gemme, tra le quali correva un’unica striscia nera. Europa fu colpita dalla sua bellezza e, poiché il toro si rivelò mansueto come un agnello, cominciò a giocare con lui ponendogli dei fiori in bocca e appendendo ghirlande alle sue corna; infine gli balzò sulla groppa e si lasciò condurre al piccolo trotto fino alla riva del mare. All’improvviso il toro si lanciò nelle onde e cominciò a nuotare, ed Europa sgomenta, volgendo il capo, fissava la riva sempre più lontana: con la mano destra stringeva il corno del toro, con la sinistra un canestro colmo di fiori. Giunto su una spiaggia cretese, nei pressi di Gortina, Zeus si trasformò in aquila e amoreggiò con Europa in un boschetto di salici presso a una fonte; o come altri dicono, sotto un platano sempreverde. Europa generò tre figli: Minosse, Radamanto e Sarpedonte.

124 La Fenicia era sulla costa orientale del mar Mediterraneo, oggi suddivisa tra Libano, Siria e Israele. Creta è la più grande isola della Grecia e la quinta del Mediterraneo per superficie. La Licia era una regione dell’Asia Minore.

125 Il filosofo Anacarsi lo Scita era uno dei Sette Sapienti greci (o Sette Savi) – tra cui erano Solone da Salamina, Talete di Mileto, Biante di Priene e Pittaco da Mitilene – che diventò simbolo della saggezza non corrotta dalla civiltà. Ad Anacarsi fu attribuita l’invenzione della ruota del vasaio. Dal cap. 76, Erodoto ne racconta le vicende.

126 Si ricorda che l’Istro (o Ister) è il Danubio e il Tira un suo affluente, probabilmente il Dnestr; l’Ipani è il Bug meridionale; il Boristene è il Dnepr; l’Ipaciri, il Panticape e il Gerro sono affluenti non identificati del Dnepr; il Tanai è il Don.

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48. L’Istro, il maggiore dei fiumi che conosciamo, ha sempre la stessa portata, d’estate come d’inverno; e scorrendo per primo da occidente tra i fiumi della Scizia è anche il più imponente, perché anche altri corsi d’acqua si versano in lui. Di questi fiumi, dunque, che lo ingrossano, cinque passano attraverso la Scizia: gli Sciti li chiamano Porata e i Greci Pireto, Tiaranto, Araro, Napari e Ordesso127. Il primo da me nominato, il Pireto, è grande e mescola le sue acque all’Istro verso oriente; il secondo, il Tiaranto, più verso occidente ed è più piccolo; l’Araro, il Napari e l’Ordesso si gettano nell’Istro scorrendo in mezzo agli altri due. Questi fiumi lo ingrossano e sono fiumi della Scizia, mentre il Mari128 sfocia nell’Istro provenendo dal paese degli Agatirsi129.

49. Dalle vette dell’Emo130 scendono in direzione nord altri tre affluenti dell’Istro, e cioè l’Atlante131, l’Aura e il Tibisi; attraverso la Tracia132 e i Traci Crobizi133 scorrono l’Atri, il Noe134 e l’Artane135 e si immettono nell’Istro. Dal

127 Sicuramente il fiume Porata o Pireto è l’attuale Prut (o Pruth), per l’identificazione degli altri mancano riferimenti certi.

128 È chiamato Mari l’odierno fiume Maros, in Romania.129 Gli Agatirsi (o Agathyrsi) era un popolo composto dagli Sciti, dai Traci e dall’unione dei

due (Traco-sciti), che, nel periodo di Erodoto, aveva occupato la pianura del fiume, nella regione ora conosciuta come Transilvania (cfr. cap. 100 e ss.).

130 Con monte Emo si intendono i monti Balcani, allora in Tracia. Il nome Emo deriva dalla mitologia greca. Tifone (o Tifeo), figlio di Gea (dea della terra) e di Tartaro, era un mostro che la madre destinò sin dalla nascita a lottare contro Zeus e gli abitanti dell’Olimpo, colpevoli ai suoi occhi di aver sconfitto i Titani, suoi figli. Secondo Esiodo (VIII-VII secolo a.C.), Tifone aveva cento teste di drago e una voce tonante, ma, dopo un’aspra lotta, fu ferito gravemente da Zeus su un alto monte e il suo sangue colò a fiotti lungo pendici. Da quel momento il monte si chiamò Emo (cioè “sangue” in greco). Tifone, poi, fuggì in Sicilia, dove Zeus lo seppellì vivo sotto l’Etna, che ancora oggi freme e sputa fuori il fiato del gigante moribondo.

131 O Atlas.132 La Tracia storica si estendeva verso est dalla Macedonia al Mar Nero e al Mar di

Marmara, compreso il sud dell’attuale Bulgaria, e verso sud dal Danubio al Mar Egeo.133 I Traci Crobizi erano una tribù dei Daci e dei Geti (o Geto-daci). Abitavano in Dacia, che

era un’ampia regione dell’Europa centrale, delimitata a nord dai monti Carpazi, a sud dal Danubio, ad ovest dal Tisa (fiume Tibisco, che scorre principalmente in Ungheria) e ad est dal Tyras (fiume Nistro, in Moldavia). La capitale della Dacia era Sarmizegetusa. Gli abitanti di questa regione appartenevano al ceppo tracico. Erano conosciuti come Geton (al plurale, Getae) dai greci, e come Dacus (al plurale, Daci) dai romani, oltre che Dagae e Gaete, secondo la Tabula Peutingeriana. Gli scrittori antichi sono unanimi nel considerare i Geti e i Daci uno stesso popolo. Nelle diverse fasi storiche la Dacia ha avuto confini differenti; nel I secolo a.C., il re Burebista (Byrebistas) unificò i popoli della Tracia in un unico regno che si estendeva dal fiume Bug Meridionale, nell’Ucraina fino al Danubio nella Slovacchia, e dai monti Balcani nella Bulgaria fino alla Transcarpazia in Ucraina.

134 O Noi.135 Il fiume Artane, non identificato con precisione, è citato da Flavio Arriano di Nicomedia

(I-II secolo) in una lettera all’imperatore Adriano: «Da capo Melano al fiume Artane, dov’è porto per picciole navi presso al tempio di Venere, sono altri centocinquanta stadii, e dall’Artane al fiume Psile pur centocinquanta: e vi si potrebbono fermare sicure le navi picciole sotto un sasso che sporge in fuori, non lungi di là dove il fiume mette in mare» (in G.B. Ramusio (1485-1557), Delle Navigationi et Viaggi, tomo IV).

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paese dei Peoni136 e dal monte Rodope il fiume Scio137 si getta nell’Istro dividendo a metà il monte Emo. Dal paese degli Illiri138 scende verso nord il fiume Angro che irrompe nella Pianura Triballica139 e nel fiume Brongo, e il Brongo nell’Istro: così l’Istro riceve entrambi questi due notevoli corsi d’acqua. Dalla regione a nord degli Umbri140 si gettano nell’Istro procedendo anch’essi verso settentrione i fiumi Carpi e Alpi141. L’Istro in effetti attraversa tutta l’Europa a cominciare dal paese dei Celti142, che sono gli ultimi abitanti dell’Europa verso occidente prima dei Cineti143; scorrendo attraverso l’Europa, l’Istro va a finire nella pianura della Scizia.

136 Gli antichi Peoni abitavano, in età classica, nella valle del fiume Axios (oggi Vardar), nell’attuale Macedonia slava. Erodoto parla dei Peoni nel Libro V.

137 I Monti Rodopi sono una catena montuosa nell’Europa meridionale, compresa per più dell’83% nell’area della Bulgaria meridionale e per il resto in Grecia. Il fiume Scio è l’Iskar, che scorre principalmente in Bulgaria ed è un affluente del Danubio. Molto spesso i Rodopi sono considerati il luogo mitologico di nascita del leggendario suonatore di lira Orfeo e della moglie Euridice, ma anche la trasformazione voluta da Zeus della regina Rhodope di Tracia e del re Haemus che si erano dimostrati particolarmente vanitosi.

138 Popolazione di lingua indoeuropea, stanziata, dal 1000 a.C., nella parte nord-occidentale della penisola balcanica, in quei territori che ora fanno parte di Slovenia, Croazia, Bosnia, Montenegro e Albania. Il nome indicava in origine una tribù che viveva in una zona compresa tra Scodra (odierna Scutari) e il fiume Mati. In seguito, Greci e Romani estesero il nome a tutte le tribù della costa orientale adriatica di lingua affine. Sulle origini o sulle sedi degli Illiri la tradizione greca offre le notizie più antiche, ma anche le più vaghe. Dopo essersi infiltrati in Grecia e aver contribuito al popolamento dell’Italia (dove sono stati riconosciuti di certa origine illirica gli Iapigi e i Messapi), si ridussero sul versante occidentale della penisola balcanica in seguito all’invasione celtica e, mescolati anche con elementi traci, si distinsero in vari gruppi: Istri, Giapidi, Liburni, Dalmati. Sebbene fossero venuti presto a contatto con i Greci, che fondarono colonie ed empori sulla costa e nelle isole, come Epidamno (627 o 625 a.C.), Apollonia (circa 600 a.C.), Corcira Nera, Lisso (Alessio), Faro (Lesina), si mantennero barbari e feroci ed esercitarono largamente la pirateria, specialmente dopo la costituzione, intorno alla metà del III sec. a.C., di un ampio Stato nella parte meridionale della regione (Illiride greca e parte della Dalmazia) sotto il re Agrone e la regina Teuta, sua moglie, che gli successe nel 231-230 a.C.

139 I Triballi erano una popolazione trace la cui patria originaria si trovava nei pressi della confluenza dei fiumi Angro e Brongo, nell’attuale Moravia sud-occidentale. Il loro territorio comprendeva verso sud la “pianura triballiana”, che corrisponde alla regione del Kosovo.

140 Gli Umbri sono qui considerati gli abitanti di tutta l’Italia settentrionale. All’epoca di Erodoto, gli Umbri – che occupavano all’incirca il territorio compreso tra il fiume Tevere e il mare Adriatico – cominciavano ad aggregarsi in città (Assisi, Foligno, Gubbio, Nocera Umbra, Spoleto, Gualdo Tadino, Città di Castello, Todi, Terni, Narni ecc.) e non più in piccoli villaggi fortificati e posti sulle alture.

141 Ci sono dubbi sull’interpretazione dei nomi Carpi e Alpi, anche se l’opinione corrente vuole che siano dei toponimi indicanti le catene montuose dei Carpazi e delle Alpi, da cui provengono molti affluenti del Danubio. Altri ritengono che il Carpi e l’Alpi (o Alpis) siano i fiumi Culpa e Sava nell’antica Pannonia (odierna Croazia).

142 I Celti erano una popolazione indoeuropea che, nel periodo di massimo splendore (V-III secolo a.C.), si estese in un’ampia area dell’Europa, dalle Isole britanniche fino al bacino del Danubio, oltre ad alcuni insediamenti isolati più a sud, nelle penisole iberica, italica e anatolica.

143 I Cineti (o Cinesii) costituivano un’antica popolazione di origine ligure, stanziata nella parte sud occidentale della Penisola iberica nella regione odierna dell’Algarve (Portogallo

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50. In tal modo, cioè col concorso degli affluenti nominati e di molti altri, l’Istro diventa il più grande dei fiumi, giacché, a confrontare le singole portate d’acqua, al Nilo spetta il primato di volume: nel Nilo nessun fiume confluisce, nessun corso d’acqua vi sfocia e contribuisce a ingrossarlo. L’Istro ha sempre identica portata, d’estate e d’inverno, e la ragione a mio parere è la seguente: d’inverno è come è, un po’ maggiore di quanto comporta la sua natura; in effetti d’inverno queste regioni sono bagnate ben poco dalla pioggia, per lo più si coprono di neve. D’estate la neve caduta nell’inverno, copiosissima, si scioglie e affluisce da ogni parte nell’Istro; lo ingrossa, dunque, la neve, ma anche continue e violente piogge; perché d’estate piove. Il sole fa evaporare verso di sé tanta più acqua d’estate che in inverno, quanto maggiori d’estate rispetto all’inverno sono le acque che si mescolano all’Istro. I due contrari fenomeni si compensano a vicenda, e l’Istro appare sempre uguale a se stesso.

51. L’Istro è solo uno dei fiumi della Scizia; dopo l’Istro c’è il Tira, proveniente dalle regioni settentrionali: ha origine da un grande lago che segna il confine fra la Scizia e la terra dei Neuri144. Alla sua foce sorge un insediamento di Greci, i cosiddetti Tiriti145.

52. L’Ipani146, terzo fiume, viene dalla Scizia, da un grande lago sulle cui rive vivono bianchi cavalli selvaggi; questo lago si chiama a buon diritto Madre dell’Ipani. Dal lago e per cinque giorni di navigazione l’Ipani scorre poco profondo e la sua acqua è dolce, ma da lì, e per quattro giorni verso la foce, l’acqua si fa terribilmente amara: vi confluisce infatti un ruscello amaro, ma così amaro che, pur essendo piccolissimo, rovina tutto l’Ipani, che è un fiume grande come pochi. La sorgente si trova al confine fra gli Sciti aratori e gli Alizoni. Il nome della sorgente e della località da cui scaturisce è Esampeo, in lingua scita, o le Sacre Vie, in lingua greca. All’altezza degli Alizoni, il Tira e l’Ipani si accostano, oltre divergono e scorrono ampiamente distanziati.

53. Il quarto fiume è il Boristene147, il maggiore fra questi dopo l’Istro e il

meridionale) e scomparsa nel III secolo a.C. Poiché all’epoca di Erodoto non si conosceva la Penisola iberica, si è pensato che i Cineti fossero gli antichi abitanti della Sardegna.

144 Si suppone che i Neuri costituissero una tribù che viveva lungo il corso del fiume Bug, a ovest del Dnepr, all’incirca nella regione della Polonia moderna. Di loro parlano anche Plinio il Vecchio e Claudio Tolomeo, ma non si sa con certezza se essi volessero indicare le popolazioni germaniche o quelle slave.

145 Abitanti di Tiras, una colonia di Mileto alla foce dell’omonimo fiume Tiras (Dnestr) fondata nel VII secolo a.C.

146 L’Ipani è il fiume Bug meridionale (in greco antico: Hypanis), che nasce dalle colline della Podolia (regione dell’Ucraina) e scorre in un’area paludosa. Presso le foci nel Mar Nero, formanti una laguna, sorgeva la colonia greca Olbia, poco lontano dall’odierna Odessa.

147 Il Boristene è il fiume Dnepr, che nasce dall’altopiano del Valdai (Russia occidentale), attraversa Belorussia e Ucraina (dove bagna Kiev) e sfocia nel Mar Nero. Il Dnepr ha sempre rappresentato la principale via di comunicazione tra il Mar Nero e il mar Baltico.

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più utile, a nostro giudizio, non solo fra i fiumi della Scizia, ma in assoluto, secondo solo al Nilo dell’Egitto148; al Nilo in effetti non si può paragonare alcun fiume, ma dei restanti il Boristene è il più utile: offre al bestiame pascoli bellissimi e assai curati, pesci particolarmente buoni in gran quantità, ha un’acqua gradevolissima a bersi, scorre puro in mezzo a corsi d’acqua limacciosi; sulle sue rive le messi sono splendide e dove il terreno non è coltivato cresce un’erba foltissima. Alla sua foce si cristallizzano spontaneamente mucchi di sale senza fine, fornisce pesci enormi privi di lische, adatti alla conservazione sotto sale, che si chiamano “storioni”, e molte altre autentiche meraviglie ittiche. Fino alla regione del Gerro, distante quaranta giorni di navigazione, si sa che proviene da nord, più oltre non c’è essere umano che sappia dire per che regioni scorra: evidentemente fluisce attraverso un deserto verso il paese degli Sciti agricoltori. Questi Sciti abitano attorno alle sue rive per un tratto pari a dieci giorni di navigazione. Il Boristene è l’unico fiume, col Nilo, di cui non so indicare le sorgenti; del resto nessun Greco credo lo sappia. Il Boristene, in un tratto ormai non lontano dal mare, riceve le acque dell’Ipani, che sfocia nella medesima palude. La zona compresa tra i due fiumi, un vero cuneo di terra, è detta Promontorio di Ippolao149; vi sorge un tempio di Demetra150; oltre il santuario, sull’Ipani, abitano i Boristeniti. Tali sono le notizie su questi fiumi.

54. Il quinto fiume, poi, si chiama Panticape151: proviene anch’esso da nord e da un lago; fra il corso suo e quello del Boristene vivono gli Sciti agricoltori; sbocca nell’Ilea, oltrepassata la quale confluisce nel Boristene.

55. Il sesto è il fiume Ipaciri, che ha origine da un lago e attraversa nel mezzo gli Sciti nomadi e sfocia presso la città di Carcinitide152, chiudendo sulla sua destra l’Ilea e il cosiddetto Corso d’Achille153.

56. Settimo è il fiume Gerro154, che si divide dal Boristene proprio nel punto fino al quale si spinge la nostra conoscenza del Boristene: la regione in cui si separa si chiama Gerro, come il fiume stesso. Prosegue poi verso il mare

148 Il Nilo è lungo 6.650 km, mentre il Dnepr 2.287 km. Tra i fiumi citati da Erodoto, il Dnepr è superato anche dal Danubio (2.850 km circa).

149 Identificato con la piccola penisola di Nikolaev (ora Mykolayiv), città della Ucraina meridionale.

150 Demetra (per i Romani, Cerere) è la dea del grano e dell’agricoltura.151 Sia il Panticape che l’Ipaciri (cap. 55) non sono identificabili con sicurezza.152 Città sul versante nord-occidentale dell’istmo di Perekop (Crimea settentrionale), cioè la

sottile lingua di terra che unisce la penisola di Crimea alla terraferma, tra la baia di Karkinit (Mar Nero) e il lago Siva.

153 Il Corso d’Achille (o Pista d’Achille) non è descritto da Erodoto, ma era molto noto: era una lunga striscia sabbiosa, parallela alla costa, cui era unita in un solo punto. Era anche chiamata Leuca (la bianca isola) e si credeva che Teti l’avesse donata ad Achille, il quale la abitò ed ebbe un tempio a lui dedicato.

154 Come detto (cfr. note 47 e 126) il Gerro non è stato identificato, ma potrebbe essere il Sejm, affluente del Desna, a sua volta affluente del Dnepr, che corre nel distretto di Kiev.

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segnando il confine fra la regione degli Sciti nomadi e il paese degli Sciti regi; si immette nell’Ipaciri.

57. Ottavo è il fiume Tanai: ha origine da un lago155 e va a sfociare in un lago ancora più grande, la Palude Meotide, che separa gli Sciti regi dai Sauromati156. Nel Tanai si getta un altro corso d’acqua, l’Irgi157.

58. Tali sono dunque i fiumi famosi di cui godono gli Sciti. Per il bestiame il foraggio che cresce nella Scizia è il più attivo a produrre bile158 fra tutte le erbe a nostra conoscenza; ci si può rendere conto che è così sventrando gli animali.

59. Le risorse fondamentali gli Sciti le hanno dunque facilmente a disposizione; per il resto ecco le loro consuetudini. Venerano soltanto le seguenti divinità: Estia, principalmente, poi Zeus e la Terra, che ritengono moglie di Zeus, poi Apollo, Afrodite Urania, Eracle e Ares159. Questi sono gli dèi di tutti gli Sciti; gli Sciti regi compiono sacrifici anche in onore di Posidone160. In lingua scita Estia si chiama Tabitì, Zeus – a mio parere, il nome è appropriatissimo – è detto Papeo161; Terra si dice Apì, Apollo Getosiro162, Afrodite Urania Argímpasa e Posidone Tagimasáda163. Di regola non edificano né statue, né altari, né templi, se non ad Ares: per Ares è un’usanza normale.

60. La tecnica sacrificale è identica per tutte le cerimonie ed è la seguente: la vittima sta in piedi con le zampe anteriori legate, il sacrificante si pone dietro la bestia e la fa cadere dando uno strappo all’estremità della corda; mentre l’animale cade il sacrificante invoca il dio cui il sacrificio è destinato,

155 Il Tanai (o Tanaïs, come scritto in molti testi antichi) è il Don, che nasce vicino a Tula, a sud-est di Mosca, da una laguna chiamata Ivan. Sfocia nel Mar d’Azov (antica palude Meotide).

156 Cfr. nota 52.157 Probabilmente si fa riferimento al principale tributario del Don: il fiume Donec (Donets),

ma potrebbe essere il Kuban (cfr. nota 260).158 La bile, secreta dal fegato, aiuta la digestione dei grassi e l’assorbimento delle vitamine

in essi contenuti, oltre ad avere un’azione battericida dei microbi nocivi introdotti con il cibo. È noto che alcune erbe – specie quelle officinali – stimolano questa attività.

159 Nella mitologia greca, Estia (per i Romani, Vesta) era figlia primogenita di Crono (Saturno) e di Rea (Opi), la più anziana nella prima generazione degli dèi dell’Olimpo. Suoi fratelli e sorelle, in ordine di nascita, furono: Demetra (Cerere), Era (Giunone), Ade (Plutone), Poseidone (Nettuno) e Zeus (Giove). La Terra (Gea o Gaia) non era considerata dai Greci la moglie di Zeus, ma la nonna, essendo la madre di Crono. Dei figli di Zeus citati, i gemelli Apollo e Afrodite Urania (Diana) ed Eracle (Ercole) erano figli illegittimi, mentre Ares (Marte) era stato concepito con la moglie Era.

160 Poseidone o Posìdone (per i Latini, Nettuno) era il dio del mare, dei cavalli e, soprattutto, dei terremoti, particolarmente frequenti nella Penisola balcanica.

161 Erodoto collega il nome Papeo con il termine greco pappas (padre): per i Greci, Zeus era il padre degli dèi e degli uomini.

162 O Ghetosiro.163 O Thagimasada.

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poi passa un laccio intorno al collo dell’animale, vi introduce un bastone e lo gira fino a strozzare la vittima; fuoco, offerta di primizie e libagioni non ce ne sono. Dopo averla strozzata e scuoiata si accinge a cuocerla.

61. E poiché la Scizia è terribilmente povera di legname ecco quale sistema di cottura hanno escogitato. Quando scuoiano la bestia, separano la carne dalle ossa e la gettano, se ce l’hanno, in lebeti164 di fabbricazione locale, molto simili ai crateri di Lesbo165, ma assai più grandi. Qui dentro la cuociono accendendovi sotto il fuoco con le ossa delle vittime. Se non hanno un lebete a disposizione, alcuni introducono tutte le carni nel ventre della vittima, vi aggiungono acqua e le mettono ad arrostire sul fuoco d’ossa166. Le ossa bruciano benissimo e le pance contengono agevolmente le carni disossate; in questo modo un bue basterà a cuocere se stesso e così ogni altro capo di bestiame. Quando le carni sono cotte il sacrificante sceglie come primizie pezzi di carne e di interiora e le scaglia davanti a sé. Gli Sciti sacrificano anche altre specie di animali e soprattutto cavalli.

62. Agli altri dèi offrono sacrifici così e con questi animali, ad Ares invece come segue: nei vari distretti di ciascuno dei regni hanno un santuario di Ares fatto così: vengono accatastate fascine di legna per tre stadi167 in lunghezza e altrettanti in larghezza; l’altezza è inferiore. Sopra la catasta si costruisce un piano quadrangolare scosceso su tre lati e accessibile dal quarto. Ogni anno vi ammassano sopra centocinquanta carri di legna, dato che le intemperie riducono di volta in volta il materiale168. Su questo cumulo in ogni distretto viene piantata una spada169 antica di ferro, a mo’ di immagine di Ares170, e a questa spada offrono annuali sacrifici di bestiame e di cavalli in maggior numero che non agli altri dèi. I nemici catturati vivi li uccidono in ragione di uno su cento, non come fanno con gli animali, ma in un altro modo: gli versano del vino sulla testa e li sgozzano sopra un vaso; portano poi tale recipiente in cima alla catasta di legna e versano il sangue sulla spada. Il sangue lo portano di sopra, sotto invece accanto al santuario compiono un altro rito: tagliano la spalla destra e il braccio delle vittime e li scagliano in aria, poi, quando hanno finito con le altre vittime se ne vanno;

164 Nell’antichità classica, il lebete era un recipiente di bronzo o terracotta usato per bere e cuocere cibi, per sacrifici e abluzioni rituali, anche come premio nelle gare ginniche.

165 Originario della civiltà assira, ma diffuso tra Fenici, Greci e Romani, il cratere era un grande vaso nel quale si miscelavano l’acqua e il vino (di solito, in proporzione di 3 a 1) da servire nei banchetti. Nel VII secolo a.C., fu inventato a Lesbo il “simposio conviviale”: dopo il banchetto, i commensali bevevano secondo le prescrizioni del simposiarca, intonavano canti conviviali (skólia) o si intrattenevano con la recita di carmi, con danze, conversazioni, giochi ecc.

166 Sulle coste del Mar Nero non c’era abbondanza di legna.167 Lo stadio era, nella Grecia antica, un’unità di misura di lunghezza pari a 600 piedi, circa

177 metri nel sistema attico e circa 185 metri nel sistema alessandrino.168 Le misure sembrano comunque esagerate, data la scarsità di legno nella regione.169 O scimitarra.170 Ares è il latino Marte, il dio che incorporava lo spirito violento e brutale della guerra.

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il braccio resta lì dove cade, lontano dal cadavere.

63. Tali sono dunque i loro riti sacrificali. Maiali non ne usano per niente, e nemmeno ne vogliono allevare nel loro paese171.

64. Ecco poi come si regolano per la guerra. Quando uno Scita ha abbattuto il primo nemico, ne beve il sangue: di tutti quelli che ha ucciso in battaglia porta la testa al re, perché se si presenta con delle teste partecipa alla spartizione del bottino eventualmente conquistato, altrimenti no. Effettuano così lo scalpo: incidono la pelle tutto intorno alla testa all’altezza delle orecchie, la afferrano e la strappano via; poi con una costola di bue ciascuno la scarnifica e la rende morbida con le sue mani; dopo la concia se la tiene come se fosse una pezzuola: la appende ai finimenti del proprio cavallo e se ne vanta, perché chi possiede più pezzuole è considerato il più valoroso. Non pochi con questi scalpi si fanno persino dei mantelli da indossare, cucendoli assieme come fossero casacche da pastori. Molti poi asportano la pelle della mano destra ai cadaveri dei nemici, con tutte le unghie, e ne fanno coperchi per le faretre. La pelle umana risulta172 appunto spessa e lucida, la più lucida forse, per bianchezza, fra tutte le pelli. Molti scorticano addirittura interi uomini, ne tendono la pelle fra dei legni e la portano in giro a cavallo.

65. Tali sono dunque le loro consuetudini. Le teste poi, non di tutti, ma quelle dei peggiori nemici, le trattano così: segano la calotta cranica sotto le sopracciglia e la ripuliscono; poi, se uno è povero si limita a rivestirla esternamente con pelle di bue non conciata e se ne serve così come tazza173, se invece è ricco, oltre alla pelle di bue esterna, la riveste d’oro internamente. Fa così anche con i familiari, se sia sorta una lite, chi riesca a prevalere in giudizio davanti al re. E quando uno riceve degli ospiti un po’ importanti, gli mostra queste teste e gli spiega che si tratta di parenti che gli hanno portato guerra e sui quali lui ha trionfato: e ne parla come di una autentica impresa valorosa.

66. Una volta all’anno, ogni anno, ciascun governatore di distretto nella propria provincia mescola vino e acqua in un cratere; a tale cratere

171 In Medio Oriente, il maiale – considerato un dio nell’antico Egitto – non veniva né mangiato né sacrificato da ebrei e musulmani: era vietato ucciderlo e chi lo toccava rimaneva impuro. La vera origine di questa pratica è incerta: sia l’Antico Testamento (Levitico 11,7-8 e Deuteronomio 14, 8) che il Corano (Sura II, 173) dichiarano il maiale impuro, ma occorre considerare che, all’epoca, la carne di maiale, piuttosto grassa, deperiva molto facilmente nelle regioni calde, provocando infezioni e disidratazione se consumata, e che, rispetto agli erbivori, non era conveniente allevare il maiale, in quanto si ciba per lo più delle stesse cose che sostentano gli uomini.

172 Nell’originale il verbo è all’imperfetto (“risultava”) perché riferito al momento in cui è avvenuta la constatazione.

173 È un uso che si è riscontrato spesso tra le popolazioni cosiddette “barbare”, come gli Unni, i Longobardi, gli Avari e i Bulgari.

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attingono tutti gli Sciti che abbiano ucciso dei nemici. Gli Sciti che non l’abbiano fatto non possono assaggiare questo vino e stanno seduti in disparte disprezzati: il che per loro è un’orrenda vergogna; gli Sciti, poi, che hanno ucciso parecchi nemici bevono contemporaneamente con due coppe.

67. Fra gli Sciti ci sono molti indovini che si servono per i loro vaticini di numerose verghe di salice: portano dei grossi fasci di verghe e li appoggiano per terra, li sciolgono e posando le verghe una per una profetizzano; sempre profetizzando raccolgono ancora i fuscelli e di nuovo li posano uno per uno. Questa è l’arte divinatoria ricevuta dai loro padri; gli androgini Enarei, invece, fanno risalire agli insegnamenti di Afrodite la loro tecnica di divinazione, che si fa con la corteccia di tiglio174: tagliano in tre striscioline la corteccia del tiglio, poi pronunciano l’oracolo intrecciandole e slegandole dalle dita.

68. Quando il re degli Sciti si ammala, manda a chiamare i tre indovini più rinomati, i quali danno il loro responso nel modo suddetto; per lo più essi affermano che il tale o il tal altro (e indicano le persone a cui si riferiscono) ha spergiurato in nome del focolare reale175. In effetti è consuetudine degli Sciti, quando vogliono fare il giuramento più solenne, giurare sul focolare reale. Subito l’individuo dichiarato spergiuro viene catturato e condotto dagli indovini; quando è davanti a loro lo accusano: dalla divinazione, affermano, risulta che lui ha spergiurato sul focolare reale e che per questa regione il re è malato. Quello nega, sostenendo di non aver spergiurato e protesta. Visto che nega, il re manda a chiamare altri indovini, in numero doppio; se anche questi osservando il rituale divinatorio lo riconoscono colpevole di spergiuro, immediatamente gli si taglia la testa: e i suoi beni se li spartiscono a sorte i primi indovini; se invece gli indovini sopraggiunti lo scagionano dall’accusa, si chiamano altri indovini e poi altri ancora; se la maggior parte di loro è per l’innocenza, tocca ai primi indovini di essere mandati a morte.

69. E li uccidono così: caricano di fascine un carro e vi aggiogano dei buoi,

174 Gli Enarei sono citati da Erodoto nel Libro I: «quando [gli Sciti] giunsero nella Siria Palestina il re d’Egitto Psammetico andò loro incontro e con donativi e suppliche li distolse dall’avanzare più oltre. Essi poi, durante la loro ritirata, toccarono la città di Ascalona, in Siria, e mentre la maggior parte di loro proseguì senza causare danni, alcuni, rimasti indietro, saccheggiarono il tempio di Afrodite Urania. [...] Sugli Sciti che saccheggiarono il tempio di Ascalona e sui loro discendenti la dea scatenò la “malattia femminile”: sono gli Sciti stessi a dare questa spiegazione per la loro malattia, e del resto chi si reca in Scizia può constatare in che stato si trovino coloro che gli Sciti chiamano “Enarei”» (cap. 105). In sostanza, la dea Afrodite tolse la virilità agli Sciti saccheggiatori, lasciando loro in dono la capacità di predire il futuro. Durante tale pratica, gli Enarei si servivano del tiglio, perché era la pianta sacra ad Afrodite.

175 Al tempo di Erodoto, il focolare reale era l’altare dedicato alla dea Estia (cfr. nota 159), che era considerata la dea del fuoco che arde in ogni braciere al centro di ogni casa e nel tempio maggiore di ogni città greca. Il fuoco sacro di Estia non doveva mai spegnersi e, attorno a esso, si svolgevano tutti i riti propiziatori della famiglia e della città.

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incatenano gli indovini per i piedi e gli legano le mani dietro la schiena, li imbavagliano e li costringono in mezzo alla legna; appiccano fuoco ai sarmenti e lasciano andare i buoi, dopo averli così terrorizzati. Molti buoi finiscono carbonizzati insieme con gli indovini, molti, anche mezzo bruciacchiati, riescono a scampare quando il timone del carro sia stato ridotto in cenere dalle fiamme. Anche per altre colpe spediscono al rogo gli indovini nel modo suddetto, e li chiamano pseudoindovini176. Se è il re a mandarli a morte non ne risparmia nemmeno i figli: i maschi li uccide tutti, alle femmine invece non torce un capello.

70. Ecco come si comportano gli Sciti quando giurano: versano del vino in una grande coppa di terracotta e vi aggiungono un po’ di sangue delle persone che stringono il patto; a tale scopo si colpiscono con una lesina o si praticano col coltello una piccola incisione superficiale; poi immergono nella coppa una spada, delle frecce, un’ascia e un giavellotto177. Fatto ciò, pronunciano molte preghiere rituali e vuotano, bevendo, la coppa, sia quelli che stringono il patto sia i più autorevoli del loro seguito.

71. Le tombe dei re si trovano fra i Gerri, nel punto estremo fino al quale il Boristene è navigabile. Là, quando muore il re, scavano una enorme fossa di forma quadrata; quando la fossa è pronta, prendono il corpo del re tutto cosparso di cera, col ventre che è stato aperto e ripulito, riempito di cipero178 in polvere, di aromi, di semi d’apio179 e di aneto e poi di nuovo ricucito, e lo trasportano su di un carro presso un altro popolo. Quelli che ricevono il cadavere trasportato si comportano esattamente come gli Sciti regi: si recidono un pezzo di orecchio, si radono i capelli tutto intorno alla testa, si tagliuzzano le braccia, si graffiano la fronte e il naso, si trafiggono con frecce la mano sinistra. Di là portano sul carro il cadavere del re presso un altro popolo a loro sottomesso; li seguono gli abitanti della prima regione in cui erano giunti. Quando hanno fatto il giro di tutti i popoli, portando il cadavere, si trovano fra i Gerri, gli ultimi fra i popoli loro soggetti, nel luogo delle sepolture. Depongono il morto nella camera sepolcrale sopra un pagliericcio e piantano lance ai due lati del cadavere; sopra le lance appoggiano dei legni, poi ricoprono con stuoie l’impalcatura così ottenuta; nell’ampio spazio libero della camera seppelliscono una delle concubine del re dopo averla strangolata, nonché un coppiere, un cuoco, uno scudiero, un servo, un messaggero, e cavalli, una scelta di tutti gli altri beni e coppe d’oro; d’argento niente e neppure di bronzo. Dopodiché tutti si affannano a innalzare un grande tumulo, impegnandosi al massimo, in gara, per farlo il

176 O falsi indovini.177 Il giuramento suggellato nel sangue era praticato anche da Medi e Libici (I, 74) e dagli

Arabi (III, 8).178 Il cipero (cyperus) è una pianta della famiglia delle Ciperacee – cui appartiene il papiro –

con tuberi commestibili. Presso gli antichi Egizi era il simbolo della gioia e della giovinezza e veniva usato – tenendolo in bocca insieme ad altre erbe – per sconfiggere i cattivi odori.

179 Sedano.

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più alto possibile.

72. Ed ecco ancora cosa fanno quando è trascorso un anno: prendono i più adatti di tutti i servi rimasti (che sono Sciti di nascita, perché servi divengono solo gli Sciti per imposizione del re, non essendoci da loro servi comprati per denaro) e ne strangolano cinquanta; ammazzano anche cinquanta cavalli di gran pregio: ne svuotano il ventre, lo purificano, lo riempiono di paglia e lo ricuciono. Fissano poi su due paletti una mezza ruota rovesciata, l’altra mezza ruota su altri due paletti e ne piantano in terra tanti così in tale modo; poi infilano grossi pali dentro i cavalli nel senso della lunghezza fino alla gola e li appoggiano sulle ruote. Le prime mezze ruote sostengono le spalle dei cavalli le mezze ruote posteriori reggono le pance all’altezza delle cosce; le zampe restano penzolanti da entrambe le parti. Mettono morsi e redini ai cavalli, tendono le redini in avanti e le legano a dei pioli. Su ciascun cavallo issano ciascuno dei cinquanta giovani strangolati: li issano così dopo avergli infilato lungo la colonna vertebrale, fino alla gola, un bastone la cui parte inferiore conficcano in un foro praticato nell’altro palo, quello che attraversa il cavallo. Sistemano questi cavalieri tutto intorno alla tomba del re e poi si allontanano.

73. Ecco dunque come seppelliscono i re; quando muoiono gli altri Sciti, i loro parenti più stretti li trasportano, stesi su carri, in giro dagli amici: ciascuno degli amici, accogliendo il corteo, allestisce un banchetto per gli accompagnatori e imbandisce anche per il morto parte di tutto ciò che offre agli altri180. I semplici cittadini vengono trasportati così per quaranta giorni, poi li si seppellisce. Dopo i funerali gli Sciti si purificano come segue: si ungono la testa e poi se la insaponano e la lavano; per il resto del corpo procedono in questo modo: fissano a terra tre bastoni in piedi uno contro l’altro, vi stendono sopra coperte di lana, le serrano il più stretto possibile, poi in un catino piazzato in mezzo alle pertiche e sotto le coperte gettano pietre arroventate dal fuoco.

74. Nel loro paese cresce la canapa, pianta molto simile al lino, ma più grossa e più alta; caratteristiche che la rendono assai superiore al lino. Cresce spontanea o coltivata e da essa i Traci ricavano anche dei tessuti molto simili a quelli di lino: e se uno non è molto esperto non riesce a distinguere se sono di lino o di canapa; chi non ha mai visto la canapa, poi, crederà senz’altro che il vestito sia di lino181.

75. Dunque gli Sciti prendono i semi di canapa, si infilano sotto la tenda fatta di coperte e li gettano sulle pietre roventi; i semi gettati bruciano

180 Quest’ultima è un’usanza mantenuta nella Russia medioevale. Per quanto riguarda i riti e la sepoltura nei kurgan (tumuli) praticati dagli Sciti, il racconto di Erodoto (capp. 71-73) è stato ampiamente confermato dagli scavi archeologici.

181 Bisogna tener presente che i Greci conoscevano molto poco la canapa.

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producendo un fumo che nessun bagno a vapore greco potrebbe superare. Gli Sciti urlano di gioia per il fumo che sostituisce per loro il bagno; in effetti non si lavano il corpo con acqua. Le loro donne per esempio pestano legno di cipresso, di cedro e pezzetti di incenso su una pietra scabra, vi versano su acqua, poi si spalmano l’intruglio, una sostanza grassa, sul corpo e sul viso: e non solo gli resta addosso il profumo dell’impasto, ma quando se lo tolgono, il giorno dopo, hanno la pelle pura e luminosa182.

76. Anche gli Sciti evitano assolutamente di adottare usanze straniere, di qualunque altro popolo e in modo particolare dei Greci; prova ne furono le vicende di Anacarsi183 e dopo di lui, ancora, di Scile184. Anacarsi, dopo aver visitato gran parte del mondo dando prova ovunque della sua saggezza, stava rientrando in patria e, navigando attraverso l’Ellesponto, approdò a Cizico185; a Cizico trovò gli abitanti intenti a celebrare con straordinaria magnificenza una festa in onore della Madre degli dèi; Anacarsi promise solennemente alla dea, se tornava a casa sano e salvo, di offrirle sacrifici come li aveva visti fare dai Ciziceni e di istituire una notte di veglia. Quando arrivò in Scizia, si inoltrò nella cosiddetta Ilea (una regione situata presso il Corso d’Achille, interamente ricoperta di alberi di ogni specie)186 e vi compì tutto il rituale festivo della dea, con tanto di timpano e sacre immagini appese al collo187. E uno Scita che lo aveva osservato mentre eseguiva tale rituale andò a riferirlo al re Saulio188; il re accorse di persona e, appena vide Anacarsi e cosa faceva, lo uccise subito con una freccia. E oggi se uno pone domande su Anacarsi, gli Sciti negano di conoscerlo, solo perché se ne andò in Grecia, fuori del suo paese, e adottò usanze straniere. Come ho appreso da Timne189, uomo di fiducia di Ariapite, Anacarsi era zio paterno del re scita Idantirsi e figlio di Gnuro figlio di Lico a sua volta figlio di Spargapite. Se dunque Anacarsi apparteneva a questa famiglia, sappia di essere morto per mano del fratello: Idantirsi infatti era figlio di Saulio e fu Saulio a uccidere Anacarsi.

77. Per la verità io ho udito anche un’altra versione, raccontata dagli abitanti del Peloponneso, secondo la quale Anacarsi, inviato dal re degli Sciti, divenne discepolo dei Greci; al suo ritorno avrebbe spiegato a chi lo aveva mandato in Grecia che tutti i Greci erano impegnatissimi a studiare

182 Alcuni storici hanno sollevato dubbi su questa usanza perché nella Russia meridionale non crescono il cedro e l’incenso.

183 Cfr. nota 125.184 Cfr. capp. 78-80.185 Cfr. nota 32.186 Cfr. note 17 e 153.187 L’usanza di appendere al collo piccole immagini votive della dea e di Attis verrà ripresa

dalla religioni cristiana, particolarmente ortodossa, con croci e icone di metallo.188 Saulio era fratello di Anacarsi – come detto più avanti – e regnò intorno al 521 a.C.; suo

figlio fu Idantirso, citato in seguito.189 Timne è uno dei tre informatori ricordati per nome da Erodoto; gli altri sono lo spartano

Archia figlio di Samio (III, 55) e Tersandro di Orcomeno (IX, 16).

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ogni tipo di scienza, a eccezione degli Spartani, i quali peraltro erano gli unici con cui si potesse scambiare un discorso assennato. Ma questo racconto è stato inventato di sana pianta dai Greci stessi, e Anacarsi fu ucciso realmente come poco sopra è stato detto.

78. Anacarsi insomma trovò la fine che trovò per aver accettato usanze straniere e fraternizzato con i Greci. Molti anni più tardi Scile figlio di Ariapite subì una sorte del tutto analoga. Scile era uno dei tanti figli del re scita Ariapite: era nato non da una donna del posto, bensì da una Istriana190, che gli insegnò personalmente il greco, a parlarlo, a leggerlo e a scriverlo191. Molto tempo più tardi Ariapite morì in un agguato tesogli da Spargapite, re degli Agatirsi, e Scile ereditò il regno e la moglie di suo padre, che si chiamava Opea; Opea era una cittadina scita che ad Ariapite aveva dato un figlio, Orico. Regnando sugli Sciti, Scile non si adattava affatto al sistema di vita degli Sciti, ma inclinava assai più volentieri alle abitudini elleniche a causa dell’educazione ricevuta, ed ecco come si comportava. Quando conduceva l’esercito scita verso la città dei Boristeniti – questi Boristeniti si autodichiarano coloni di Mileto –, appena giunto nel loro territorio, Scile abbandonava i soldati nei dintorni della città; lui entrava oltre le mura e ne faceva chiudere le porte, smetteva la veste scita e indossava un costume greco: così vestito si intratteneva nella piazza del mercato senza scorta di dorifori192 o di alcun altro (le guardie vegliavano alle porte che nessuno Scita lo vedesse abbigliato da Greco). In tutto e per tutto si comportava come un vero Greco e offriva anche sacrifici agli dèi secondo il rituale ellenico. Passato un mese, o anche più, si rivestiva da Scita e se ne

190 Abitante della colonia di Istria, alla foce dell’Istro (Danubio). Come Erodoto specifica più oltre, la colonia era dei Milesi. La città di Mileto fu fondata, forse dai Cretesi, sulla costa occidentale della Caria, alla foce del Meandro (ora Menderes), in Asia Minore, e diventò la principale città della Ionia, centro molto importante della vita intellettuale, economico e politica occidentale. I Milesi fondarono numerosissime colonie e scali commerciali nell’Ellesponto (Dardanelli), nella Propontide (Mar di Marmara) e nel Ponto Eusino (Mar Nero). Dopo essere stata conquistata da Creso, re di Lidia dal 560 al 546 ca. a.C., Mileto cadde sotto il dominio persiano. Dal 499 al 494 a.C. (quindi poco prima della nascita di Erodoto) Mileto guidò la rivolta degli Ioni contro il governo persiano ma, sconfitta, fu rasa al suolo da Dario I. La città venne ricostruita in epoca ellenistica ma non riconquistò l’antico splendore; fra il 300 e il 600 d.C. decadde definitivamente.

191 A differenza delle lingue antiche (come ebraico, greco e latino), la lingua scitica non ha una documentazione precisa, ma frammentaria, pur rappresentando la lingua dell’Oriente e del Nord per eccellenza. Nel 1643, nel II Libro del De hellenistica Commentarius, Claude Saumaise sintetizzò le poche conoscenze dell’epoca – per lo più provenienti da mercanti – affermando che tutte le lingue europee derivano dalla lingua scitica: «Non c’è quasi nessuna nazione dell’Europa o dell’Asia che non provenga dal Nord. È di là che si sparsero i popoli, la cui espansione occupò la maggior parte dei due continenti. Ed è la Scizia che ha respinto verso Nord, con le loro lingue, quasi tutte le nazioni che hanno invaso. Il paese degli Sciti era davvero il più vasto e il più ampio verso l’Oriente e l’Occidente, e ha generato, portandosi al sud, diverse popolazioni, in Europa da un lato, in Asia dell’altra». A queste considerazioni sono seguiti confronti linguistici che le hanno confermate.

192 Il doriforo era un soldato armato di lancia.

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andava. Agiva così spesso: a Boristene193 si costruì un palazzo e vi installò una donna del luogo, che aveva sposato.

79. Ma era destino che le cose gli andassero male, ed ecco quale ne fu il motivo scatenante. Scile desiderò ardentemente essere iniziato ai misteri di Dioniso Bacco194: ma quando stava già per ricevere l’iniziazione195, si verificò un prodigio eccezionale. Nella città dei Boristeniti possedeva una vasta, lussuosa dimora, come ho ricordato poco fa, intorno alla quale erano installate sfingi e grifoni di marmo bianco196. Su questo palazzo il dio scagliò un fulmine. Il palazzo andò completamente distrutto dalle fiamme, ma nondimeno Scile portò a termine l’iniziazione. Gli Sciti biasimano assai i Greci per i loro riti bacchici: secondo loro non è normale inventare un dio che porta gli uomini alla pazzia. Quando Scile fu iniziato a Bacco, uno dei Boristeniti si premurò di andare dagli Sciti a dire: «Voi ci prendete in giro, Sciti, per i nostri baccanali e perché il dio si impossessa di noi; ora questo demone si è impossessato anche del vostro re, che adesso baccheggia e folleggia per opera del dio. Se non mi credete, venite con me e ve lo mostrerò». Lo seguirono i maggiorenti Sciti: il Boristenita li guidò e di nascosto li fece salire su di una torre. Passò nei pressi Scile nel tiaso197 e gli Sciti lo videro, invasato da Bacco: la considerarono una sciagura terribile e tornarono a riferire alle truppe quanto avevano visto.

80. Quando poi Scile fece ritorno nelle proprie sedi, gli Sciti s’erano già scelti come capo Octamasade, fratello suo, nato dalla figlia di Tereo198, e gli si ribellarono. Scile, appena ebbe inteso cosa si tramava contro di lui e per quale ragione, se ne fuggì in Tracia. Octamasade lo venne a sapere e marciò in armi contro la Tracia. Sul fiume Istro si trovò di fronte i Traci, e già

193 Città sul Ponto Eusino (Mar Nero), nell’odierna regione della Bessarabia.194 Dioniso Bacco (o Bacchico; per i Romani, Bacco o Iacco) era il dio del vino, dell’estasi e

della forza vitale, perpetuamente giovane, figlio di Zeus e di Semele. Insegnò agli uomini – dalla Grecia all’India – la viticoltura.

195 Di solito, le cerimonie di iniziazione consistevano in un percorso obbligato e irto di difficoltà che vincolava gli adepti al dio; le iniziazioni erano tante quanti erano i vari gradi per arrivare alla salvezza attraverso il rapporto individuale con la divinità.

196 La sfinge e il grifone avevano un doppio ruolo: proteggevano il palazzo dagli spiriti maligni ed erano un segno della devozione di Scile per Dioniso, cui erano dedicati quegli animali.

197 Il tiaso era l’associazione che celebrava il culto a un dio – soprattutto quello orgiastico di Dioniso Bacco – con processioni, canti e danze sfrenate.

198 Il re di Tracia, Tereo, è una figura della mitologia greca, forse figlio di Ares e fratello di Driante. Il poeta latino Ovidio (43 a.C.-18 d.C.) raccontò nel sesto libro delle Metamorfosi che Tereo, su richiesta della moglie Progne, si recò ad Atene per prendere la cognata, Filomela. Quando Tereo la vide, se ne innamorò e, ritornato in Tracia, la violentò, le recise la lingua per non farle rivelare lo stupro e la tenne prigioniera. Ma Filomela iniziò a tessere una tela sulla quale ricamò la sua triste storia e la fece portare a Progne, che così scoprì la verità. Progne liberò la sorella che mise in atto la vendetta: uccise il proprio figlioletto Iti e con le sue carni imbandì il desco di Tereo il quale, ignaro, se ne cibò e solo alla fine del pasto Filomela gli presentò il capo mozzato di Iti. Tereo tentò invano di uccidere le due donne, ma esse si trasformarono in uccelli ed egli stesso in upupa.

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stavano per scontrarsi, quando Sitalce199 mandò a dire a Octamasade quanto segue: «Che ragione abbiamo per misurarci l’uno con l’altro? Tu sei figlio di mia sorella e hai nelle tue mani mio fratello. Tu restituiscimi mio fratello e io ti consegnerò il tuo Scile. Non mettiamo a repentaglio i nostri eserciti». Questo gli diceva Sitalce per mezzo di un araldo; in effetti presso Octamasade si trovava un fratello di Sitalce, come rifugiato. Octamasade approvò la proposta: consegnò il proprio zio materno a Sitalce e si prese il fratello Scile. Sitalce, quando ricevette il fratello, se lo portò via, Octamasade invece a Scile fece tagliare la testa lì sul posto. Tanto dunque rispettano gli Sciti le proprie costumanze e tanto puniscono quelli che adottano usanze straniere.

81. Quanto al numero degli Sciti non sono stato in grado di ottenere informazioni sicure, ho udito anzi versioni assai differenti: e in effetti li dicevano troppi o troppo pochi, per un popolo come gli Sciti. Ma ecco quanto ho constatato di persona. Tra i fiumi Boristene e Ipani c’è una regione, che si chiama Esampeo e ho menzionato anche un po’ fa200, dicendo che vi zampilla una sorgente amara, la cui acqua affluendo nell’Ipani lo rende imbevibile. In questa regione c’è un vaso di bronzo sei volte più grande del cratere dedicato agli dèi da Pausania figlio di Cleombroto201 all’imboccatura del Ponto. Per chi non lo avesse mai visto fornisco le seguenti indicazioni: il vaso degli Sciti contiene facilmente seicento anfore e il suo spessore è di sei dita202. La gente del luogo mi diceva che tale recipiente fu fabbricato con punte di frecce; un loro re, che si chiamava Arianta, volendo conoscere il numero degli Sciti, ordinò a tutti di portare ciascuno una punta di freccia; per chi non l’avesse fatto minacciava la morte203. Fu portato dunque un enorme quantitativo di punte di freccia e il re decise di ricavarne un monumento per i posteri: con le frecce venne fabbricato il vaso di bronzo e lo si consacrò nell’Esampeo. Questo è quanto ho udito raccontare circa il numero degli Sciti.

82. Il paese in sé non presenta particolari meraviglie, se si escludono i fiumi, che sono davvero molto grandi e numerosi. Ma escludendo i fiumi e la vastità della pianura la cosa più degna di meraviglia è la seguente: impressa

199 Sitalce, figlio di Tereo e re della tribù tracia degli Odrisi, ampliò il proprio regno fino a occupare il territorio dell’attuale Bulgaria. Era personaggio noto agli Ateniesi, in quanto fu loro alleato contro Perdicca II, re di Macedonia, e le città calcidesi. Morì nel 424 a.C.

200 Cfr. cap. 52.201 Il generale spartano Pausania – figlio cadetto di Cleombroto I, ventiduesimo re di Sparta

che governò dal 380 al 371 a.C. – conquistò nel 478 Bisanzio e, forse in questa occasione, dedicò il cratere di bronzo (cfr. nota 165) alle porte del Ponto. Più volte sospettato di connivenza con la Persia, fu infine accusato di volersi impadronire del potere a Sparta e per evitare l’arresto si rifugiò nel tempio di Atena Calcicca, dove morì di fame (468 a.C.).

202 Sei dita corrispondevano a circa 11 centimetri.203 Comune in molti Paesi, l’usanza di porre in un vaso una freccia per ogni soldato serviva a

contare le perdite a fine guerra: i superstiti riprendevano la freccia e quelle rimaste corrispondevano ai caduti.

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su di una roccia ti mostrano l’orma di Eracle, che è in tutto e per tutto simile alla pianta di un piede umano, ma è lunga due cubiti204 e si trova presso il fiume Tira. Questo è tutto e ora tornerò al racconto che avevo cominciato a esporre.

83. Mentre Dario si preparava a combattere contro gli Sciti e inviava vari messaggeri per impartire gli ordini qui di procurare fanteria, là navi, e là di aggiogare le rive del Bosforo Tracico205, Artabano, figlio di Istaspe206 e fratello di Dario, lo pregava di non guidare assolutamente una spedizione contro gli Sciti, dei quali sottolineava l’inafferrabilità. Ma poiché nonostante gli ottimi consigli non riusciva a convincerlo, rinunciò, e Dario, ultimati i preparativi, mosse il suo esercito da Susa207.

84. A quel punto un Persiano, Eobazo, che aveva tre figli e tutti e tre in procinto di partire per la spedizione208, pregò Dario di lasciargliene uno in patria. E Dario gli rispose, come si risponde a un amico che avanza una richiesta moderata, che glieli avrebbe lasciati tutti. Eobazo era molto contento, pensando che i figli venissero dispensati dagli obblighi militari, ma Dario ordinò agli addetti a simili incombenze di uccidere tutti i figli di Eobazo. Ed essi furono lasciati dove si trovavano, sgozzati.

85. Dario, partito da Susa, giunse nella Calcedonia209, sul Bosforo, dove a mo’ di giogo era stato gettato il ponte; da lì, imbarcatosi sulle navi, raggiunse le cosiddette rocce Cianee, che a sentire i Greci un tempo erano erranti210; qui si sedette su di un promontorio a contemplare il Ponto, un

204 Il cubito era la lunghezza dell’avambraccio dalla punta del gomito a quella del dito medio a mano aperta, equivalente a circa 45 centimetri. L’impronta eccezionale (circa 90 cm) corrispondeva alla statura superiore alla norma che i Greci attribuivano agli eroi.

205 Bosforo Tracico (o Tracio) è lo stretto che mette in comunicazione il Ponto Eusino (Mar Nero) con la Propontide (Mar di Marmara), controllato dai Traci.

206 Istaspe (o Hystaspe) di Persia era un achemide, re dei Parti. La Partia era una regione del Medio Oriente – corrispondente all’attuale parte nord-orientale dell’Iran (a sud-est del Mar Caspio) – in cui l’agricoltura non poteva essere esercitata, perciò la sua economia si basava sulla pastorizia e sui commerci con l’Oriente (era infatti lungo la “via della seta”). Il figlio di Istaspe, Artabano, fu ufficiale sotto Serse I e uccise sia Serse che il figlio Dario, ma il motivo è oscuro.

207 Susa (odierna Shush) fu, nel VI millennio a.C., capitale del regno dell’Elam (attuale provincia del Khuzistan, in Iran) e raggiunse l’apice della sua potenza tra il XIII e il XII secolo a.C. Un secolo dopo essere stata devastata dal sovrano assiro Assurbanipal nel 640 a.C., diventò la capitale dell’impero achemenide di Dario I che la ricostruì completamente. Nel 331 a.C. fu conquistata da Alessandro Magno.

208 Quando il re partiva per la guerra, tutti i persiani in età per le armi dovevano accompagnarlo.

209 Calcedonia era una città della Bitinia, in Asia Minore, affacciata sulla Propontide (Mar di Marmara), all’estremità meridionale del Bosforo, di fronte a Bisanzio.

210 Le rocce o rupi Cianee sono le isole Simplegadi, due enormi rocce all’ingresso del Ponto Eusino (Mar Nero) che, secondo il mito, erano spinte dal vento una contro l’altra per sbarrare il passaggio, finché la nave degli Argonauti non riuscì a oltrepassarle, causando così la stabilità delle rocce. Tuttavia, esse rimasero pericolose poiché, per il vento, era

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panorama degno davvero di essere ammirato. In effetti il Ponto è il più stupendo di tutti i mari esistenti, lungo undicimila e cento stadi211, e largo, nel punto di maggiore ampiezza, tremilatrecento. L’imboccatura di questo mare è larga quattro stadi; 120 invece è lungo lo stretto formato dall’imboccatura, chiamato Bosforo, sul quale fu gettato il ponte. Il Bosforo si protende nella Propontide; la Propontide, larga 500 stadi e lunga 1400, immette nell’Ellesponto212, largo solamente sette stadi e lungo 400. L’Ellesponto si apre su di un’ampia distesa marina, il Mare Egeo.

86. Le misure sono state calcolate così: una nave in una intera giornata di navigazione può percorrere al massimo 70.000 orgie, e altre 60.000 di notte213. Ebbene dal Bosforo al fiume Fasi214 – cioè fra i punti estremi del Ponto nel senso della lunghezza – ci sono nove giorni e otto notti di navigazione: vale a dire 1.110.000 orgie, che fanno 11.100 stadi. Dal paese dei Sindi215 fino alla Temiscira sul fiume Termodonte216 – cioè nel punto di maggiore larghezza del Ponto – ci sono tre giorni e due notti di navigazione, vale a dire 330.000 orgie che fanno 3.300 stadi. Ecco dunque le misure del Ponto, del Bosforo e dell’Ellesponto, calcolate da me come ho detto; vi è poi un lago comunicante con il Ponto, di dimensioni non molto inferiori, che si chiama Meotide217 e che dà origine al Ponto.

87. Dario, dopo aver contemplato tale mare, tornò indietro fino al ponte, che era stato progettato da Mandrocle di Samo218. Dopo aver contemplato anche il Bosforo, eresse colà due colonne di marmo bianco, con inciso, nell’una in caratteri assiri nell’altra in caratteri greci219, l’elenco di tutte le popolazioni da lui guidate fino lì; e guidava tutte le genti su cui comandava: senza contare la flotta, aveva con sé 700.000 uomini, cavalieri compresi, e le navi radunate erano 600. Queste due colonne, in seguito, se le portarono in città gli abitanti di Bisanzio e le utilizzarono nella costruzione dell’altare di Artemide Ortosia220, a eccezione di un blocco soltanto, che fu abbandonato

facile andarvi a cozzare contro.211 Per la lunghezza dello stadio, cfr. note 99 e 167.212 Si ricorda che la Propontide è il Mar di Marmara e l’Ellesponto è lo stretto di Gallipoli, da

cui si passava dal punto più stretto dei Dardanelli.213 Le misure date sono approssimate per eccesso, forse perché il percorso notturno della

nave non può essere uguale in inverno come in estate, quando le notti sono più brevi.214 Cfr. nota 89.215 Cfr. nota 63.216 Il fiume Termidonte è l’odierno Terme Çayi, sulla costa meridionale del Ponto, in

Cappadocia, che sfocia nel Mar Nero. Secondo il mito, la città di Temiscira (attuale Ünye) fu fondata dalle Amazzoni.

217 Si ricorda che la Palude Meotide è l’odierno Mar d’Azov.218 Come detto più avanti, Mandrocle di Samo fece passare in Grecia l’esercito persiano

gettando un ponte di barche attraverso il Bosforo, allora opera di alta ingegneria.219 Le due iscrizioni dovevano essere redatte in greco e in caratteri cuneiformi persiani che

Erodoto chiama impropriamente assiri. L’uso persiano di mettere iscrizioni in più lingue nei paesi soggetti è testimoniato dai ritrovamenti archeologici.

220 Artemide Orthosia (o Orthia) era una delle Ore, figlie di Zeus e di Temi. Venerata

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presso il tempio di Dioniso a Bisanzio: è tutto ricoperto da un’iscrizione in caratteri assiri. Il punto esatto del Bosforo in cui re Dario gettò il ponte, per quanto posso congetturare, si trova a metà strada fra Bisanzio e il santuario posto all’imboccatura dello stretto221.

88. Dario poi, soddisfatto del ponte di barche, donò al suo progettista, Mandrocle di Samo, dieci regali di ogni genere. Grazie a essi Mandrocle, come primizia da offrire agli dèi, commissionò un quadro raffigurante tutto il lavoro impiegato per la costruzione del ponte sul Bosforo, con Dario seduto in prima fila e l’esercito nell’atto di attraversarlo, e dopo averlo fatto dipingere lo dedicò nel tempio di Era, accompagnato da questa iscrizione: «...Poi che sui flutti pescosi del Bosforo un ponte costrusse, / Volle Mandrocle alla Diva questo ricordo offrire. / Ei s’acquistò una corona per sé, per i Sami la gloria, / Del suo re Dario il comando con precisione eseguendo». Questo fu il ricordo lasciato dal costruttore del ponte.

89. Ricompensato Mandrocle, Dario passò in Europa; aveva ordinato agli Ioni222 di navigare sul Ponto fino al fiume Istro, una volta sull’Istro di aspettarlo lì e intanto di unire con un ponte le due rive del fiume. In effetti la flotta la guidavano Ioni, Eoli223 ed Ellespontini. Le navi, superate le rocce Cianee, navigarono dritte verso l’Istro; risalirono il fiume per due giorni di navigazione fino allo stretto a partire dal quale si divide in varie bocche e lì prepararono il passaggio. Dario, attraversato il Bosforo sul ponte di barche, si inoltrò nella Tracia, poi, giunto alle sorgenti del fiume Tearo224, vi si accampò per tre giorni.

90. Le popolazioni che abitano sulle sue rive sostengono che il Tearo, ricco di virtù curative, sia ottimo in particolare per guarire uomini e cavalli dalla scabbia. Le sue sorgenti sono ben 38225, tutte zampillanti dalla medesima roccia; e alcune sono fredde, altre calde. Per raggiungerle la strada è ugualmente lunga sia che si parta dalla città di Ereo presso Perinto sia da Apollonia sul Ponto Eusino: due giorni di viaggio. Il fiume Tearo confluisce

soprattutto a Sparta, dove aveva un famoso santuario, era simbolo della prosperità e invocata dalle donne durante il travaglio del parto.

221 Su entrambe le coste del Bosforo c’era un tempio; quello più importante era sulla sponda asiatica, dedicato a Zeus Orthios.

222 Gli Ioni erano gli antichi Greci abitanti dell’Attica e dell’Eubea, oltre che della Ionia vera e propria che aveva come principali città Smirne, Clazomene, Teo, Lebedo, Colofone ed Efeso. Dal VII secolo a.C. le città ioniche caddero sotto il dominio della Lidia e, dopo la sconfitta di Creso, sotto quello persiano. In seguito tornarono indipendenti, ma, essendo sotto l’influenza di Atene, tentarono di liberarsi schierandosi con Sparta, ma ricaddero sotto il dominio persiano per gli accordi della Pace di Antalcida, nel 386 a.C.

223 Gli Eoli erano greci originari della Tessaglia e della Beozia che migrarono in Asia Minore lungo la costa del mare Egeo, fondando la Eolia (antica Misia). Il nome “Eoli” deriva dal fatto che erano considerati i discendenti di Eolo, figlio di Elleno, il mitico patriarca degli Elleni. Città importanti furono Cuma, Focea ed Elea.

224 O Tenaro; è forse il Bunardere.225 In alcune traduzioni il numero è 39.

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nel Contadesdo, il Contadesdo nell’Agriane e l’Agriane nell’Ebro, il quale sfocia in mare presso la città di Eno226.

91. Dunque, giunto sul Tearo e posto l’accampamento, Dario, soddisfatto del fiume, eresse anche lì una colonna, su cui aveva comandato di incidere la seguente iscrizione: «Le sorgenti del fiume Tearo forniscono l’acqua migliore e più bella di tutti i fiumi; e a esse, guidando un esercito contro gli Sciti, giunse il migliore e il più bello di tutti gli uomini, Dario figlio di Istaspe, re di Persia e di tutto il continente». Queste le parole fatte incidere lì.

92. Lasciato il Tearo, Dario arrivò a un altro fiume, che si chiama Artisco e scorre attraverso il paese degli Odrisi227. Ecco cosa fece quando giunse a questo fiume. Indicò un determinato luogo al suo esercito e dispose che ogni soldato, passandogli vicino, gettasse una pietra nel punto indicato. L’esercito eseguì l’ordine, sicché, quando Dario guidò oltre le sue truppe, sul posto lasciò giganteschi mucchi di pietre.

93. Prima di toccare l’Istro sconfisse come primo popolo i Geti228, che si ritengono immortali. Infatti i Traci che vivono sul promontorio Salmidesso sopra le città di Apollonia e Mesambria229, i cosiddetti Scirmiadi e Nipsei, si erano arresi a Dario senza combattere. I Geti invece optarono per la follia e furono subito ridotti in schiavitù, benché fossero i più valorosi e i più giusti fra i Traci.

94. Essi si ritengono immortali in questo senso: sono convinti che lo scomparso non muoia propriamente, bensì raggiunga il dio Salmossi230. Altri Geti questo stesso dio lo chiamano Gebeleizi231. Ogni quattro anni mandano uno di loro, tratto a sorte, a portare un messaggio a Salmossi, secondo le necessità del momento. E lo mandano così: tre Geti hanno l’incarico di tenere tre giavellotti, altri afferrano per le mani e per i piedi il messaggero designato, lo fanno roteare a mezz’aria e lo scagliano sulle lance. Se muore trafitto, ritengono che il dio sia propizio; se non muore, accusano il

226 Perinto (le cui rovine sono individuabili nell’attuale villaggio turco di Ereğli, provincia di Tekirdağ) era un’antica città tracia, fondata dai Sami nel 600 a.C. sulle coste della Protondite (Mar di Marmara) vicino a Bisanzio. La città di Apollonia è l’odierna Sizopol (Bulgaria). L’Agriane è il fiume Erkene e l’Ebro è il fiume Evros che sbocca sulla costa egea della Tracia e ha presso la sua foce la città di Eno (nell’area dell’attuale Alexandroupoli).

227 Gli Odrisi erano un’antica popolazione della Tracia stanziata lungo le rive dell’Ebro, di cui il fiume Artisco è un subaffluente (antico Teke).

228 Geti era il nome dei Daci, cfr. nota 133.229 Salmidesso è forse l’odierno Capo Midia in Romania; Apollonia è Sizopol in Bulgaria e

Mesambria è Mesember in Bulgaria.230 Salmossi, o più propriamente Salmoxis o Zalmoxis, era un uomo-dio della tribù trace dei

Geti (o Daci), di cui Erodoto racconta le vicende nei capitoli successivi.231 Gebeleizis (o Gebeleixis) era il dio della tempesta, dei lampi e dei tuoni. In seguito, si è

fuso con Salmoxis come il dio supremo dei Geti. Alcuni storici sono convinti che i nomi di Salmoxis e di Gebeleizis derivino dal popolo lituano.

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messaggero, sostenendo che è un uomo malvagio, e quindi ne inviano un altro; l’incarico glielo affidano mentre è ancora vivo. Questi stessi Traci di fronte a un tuono o a un fulmine, scagliano in cielo una freccia pronunciando minacce contro Salmossi, perché credono che non esista altro dio se non il loro.

95. Come ho appreso dai Greci residenti sul Ponto e sull’Ellesponto, questo Salmossi era un uomo che sarebbe stato schiavo a Samo, schiavo di Pitagora figlio di Mnesarco232. Poi, divenuto libero, si sarebbe assai arricchito e avrebbe fatto ritorno, da ricco, nel proprio paese. Poiché i Traci conducevano una vita grama e rozza, Salmossi, che conosceva il sistema di vita degli Ioni e abitudini più progredite di quelle dei Traci – avrebbe frequentato i Greci, e fra i Greci Pitagora, che non era certo il savio più scadente –, fece costruire un salone, in cui ospitava i cittadini più ragguardevoli; fra un banchetto e l’altro insegnava che né lui né i suoi convitati né i loro discendenti sarebbero morti, ma avrebbero raggiunto un luogo dove sarebbero rimasti per sempre a godere di ogni bene. Mentre così operava e diceva, si costruiva una stanza sotterranea. E quando la stanza fu ultimata, Salmossi scomparve alla vista dei Traci: scese nella dimora sotterranea e vi abitò per tre anni. I suoi ospiti ne sentivano la mancanza e lo piangevano per morto; ma egli dopo tre anni si mostrò ai Traci e in tal modo i suoi insegnamenti risultarono credibili.

96. Questo si racconta che abbia fatto Salmossi. Io questa storia della camera sotterranea non la rifiuto, ma neppure ci credo troppo; penso comunque che questo Salmossi sia vissuto molti anni prima di Pitagora. Se sia stato un uomo e se ora sia un dio locale per i Geti, chiudiamo qui la questione. I Geti insomma, con tutte le loro convinzioni, furono sconfitti dai Persiani e subito si aggregarono al resto della truppa.

97. Come Dario giunse all’Istro, e con lui l’esercito di terra, e quando tutti lo ebbero attraversato, Dario ordinò agli Ioni di smontare il ponte di barche e di seguirlo sulla terra ferma con tutti gli uomini della flotta. Quando già gli Ioni stavano per obbedire e smontare il ponte, Coe figlio di Erxandro,

232 Pitagora (circa 572 a.C.-490 a.C.) fu un matematico, legislatore, filosofo e guaritore, ma alcuni storici ne mettono in dubbio la veridicità storica. Dopo l’apprendistato presso Talete e un soggiorno di 22 anni in Egitto, fondò un’importante scuola filosofica a Crotone, ma, convinto della superiorità della tradizione orale, non lasciò scritti. Era figlio di Mnesarco, un mercante di Tito, che gli dette il nome “Pitagora” (cioè “colui che è annunziato dalla Pizia”) perché consultò la sacerdotessa di Delfi (cfr. nota 36) per un viaggio che avrebbe dovuto intraprendere. La sacerdotessa non solo gli disse che il viaggio era da fare, ma gli profetizzò che la moglie avrebbe dato alla luce un bambino bello e saggio, che, con la sua opera, avrebbe contribuito a elevare la cultura e il sapere del genere umano, ma soprattutto avrebbe contribuito alla sua elevazione spirituale. Mnesarco rimase turbato da questo oracolo e, per tale motivo, cambiò il nome della moglie da Partenide in Pitaide (da Pitia) e, quando questa partorì a Sidone, in Fenicia, chiamò il figlio Pitagora.

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stratego dei Mitilenesi233, chiese a Dario se gli faceva piacere ascoltare un parere da parte di chi volesse esporlo e gli disse: «O re, tu ti appresti a marciare attraverso un paese in cui non si vedrà terreno coltivato o città abitata; lascia dunque in piedi questo ponte e lascia a presidiarlo quelli che l’hanno costruito. Se troviamo gli Sciti e le cose vanno nel modo voluto, avremo una via di ritorno, se invece non riusciamo a trovarli, avremo per lo meno una via di ritorno sicura: io non temo affatto che noi saremo sconfitti in battaglia, ma ho paura piuttosto, se non riusciamo a trovarli, di dover patire assai vagando senza costrutto. Qualcuno potrebbe obiettare che ti parlo nel mio interesse, per restare qui; ma io voglio semplicemente esporre in pubblico la proposta più vantaggiosa per te che ho saputo trovare; quanto a me ti seguirò e davvero non vorrei essere lasciato qui». Dario fu assai contento di questo suggerimento e così rispose a Coe: «Straniero di Lesbo, quando sarò tornato sano e salvo nel mio palazzo, preséntati senz’altro da me, perché io possa ricambiare il tuo buon consiglio in modo eccellente e concreto».

98. Detto ciò, fece 60 nodi a una correggia234, convocò a rapporto i tiranni degli Ioni e disse loro: «Ioni, gli ordini relativi al ponte che vi avevo impartito vanno modificati; prendete questa cinghia e regolatevi come vi dico: a partire dal momento in cui mi vedete avanzare contro gli Sciti, a partire esattamente da quel momento, sciogliete un nodo ogni giorno che passa; se in questo arco di tempo io non sono di nuovo qui e i giorni superano il numero dei nodi, salpate e tornate nel vostro paese. Ma fino ad allora, dato che ho cambiato idea, sorvegliate il ponte di barche, mettete tutto il vostro impegno nel conservarlo e custodirlo. Così facendo mi renderete un servigio assai gradito». Così parlò Dario; poi si mise in marcia.

99. La Tracia si estende sul mare come propaggine della Scizia: oltre il golfo formato dalla Tracia ci si trova subito in Scizia; vi sbocca il fiume Istro dopo aver piegato il suo corso in direzione del vento di Euro235. Passo ora a descrivere, partendo dall’Istro, la regione costiera, per dare indicazioni sulle dimensioni della Scizia. Oltre l’Istro si è già nella Scizia antica, volta verso il sud e il vento Noto fino alla città detta Carcinitide236. Il territorio contiguo si

233 Mitilene è tuttora la capitale dell’isola di Lesbo, nel Mar Egeo. Erodoto parla di Coe anche in V, 37-38 dicendo che fu nominato tiranno di Mitilene da Dario per meriti acquisiti. Quando a Mileto si decise la rivolta contro i Persiani, Coe fu lapidato dai Greci.

234 La correggia è una striscia di cuoio annodata usata prevalentemente da cintura. Qui fungeva da calendario, come spiegato in seguito.

235 Euro è il vento proveniente da est. Secondo la mitologia greca, Eolo, dio dei venti, ebbe da Zeus il compito di controllare i venti, che avevano provocato molti danni, tra cui il distaccamento della Sicilia dal continente. Tra i venti, c’erano quattro fratelli, figli di Astreo (Cielo stellato) e di Eos (Aurora), favorevoli alla navigazione: il violento Borea dal nord, il dolce Zefiro, vento da ovest, il caldo e piovoso Austro o Noto da sud, il portatore di bel tempo Euro da est.

236 Cfr. nota 152.

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affaccia sullo stesso mare ed è montuoso237 fino al Ponto: lo abitano i Tauri, fino al Chersoneso cosiddetto “roccioso”238, che si estende verso il mare in direzione del vento di levante. E infatti sono due i tratti di confine scitico che corrono lungo il mare, a sud e a est, proprio come avviene in Attica; e in un certo senso si potrebbe dire che i Tauri vivono nella Scizia come nell’Attica un eventuale popolo distinto dagli Ateniesi che abitasse il Capo Sunio239 nel suo tratto più proteso sul mare, dal demo di Torico a quello di Anaflisto240; il paragone vale, naturalmente, con le debite proporzioni. Tale è il territorio dei Tauri. Per chi non abbia mai navigato lungo tali coste dell’Attica, mi spiegherò con un altro esempio: sarebbe come se un popolo distinto dagli Iapigi tagliasse fuori una parte della Iapigia241, partendo da Brindisi fino a Taranto, e abitasse il promontorio. Ho fatto due esempi, ma potrei citare molti altri territori cui la Tauride242 somiglia.

100. Al di là della Tauride, vivono gli Sciti, al di sopra dei Tauri e lungo il mare orientale, come pure a ovest del Bosforo Cimmerio e della Palude Meotide sino al fiume Tanai, che sfocia in una insenatura di questo lago243. A partire poi dall’Istro la Scizia superiore, verso l’interno, è delimitata prima dagli Agatirsi, poi dai Neuri, dagli Androfagi e infine dai Melancleni244.

101. Dunque la Scizia ha la forma di un quadrato245, con due lati prospicienti il mare, sicché le sue dimensioni sono uguali, tanto nell’interno quanto lungo la costa: dall’Istro al Boristene dieci giorni di viaggio, dal Boristene alla Palude Meotide altri dieci; e venti giorni dal mare verso l’interno fino al paese dei Melancleni, che abitano sopra gli Sciti. Una giornata di viaggio la calcolo di circa duecento stadi: in tal modo i lati trasversali della Scizia

237 In realtà solo le coste meridionali della Crimea sono montagnose.238 Chersoneso (Taurico, o Scitico) era un toponimo usato per indicare una penisola,

l’odierna Crimea. Per la precisione, il luogo citato da Erodoto corrisponde alla penisola di Kerc (Kerch) che si estende fino al «mare esposto al vento di levante» cioè al Bosforo Cimmerio e al Mar d’Azov. In alcune traduzioni, infatti, si trova «fino alla penisola Trachea», anziché «fino al Chersoneso cosiddetto “roccioso”»: Trachea significa “aspra”.

239 Capo Sunio è l’estrema punta sud dell’Attica, su cui era uno dei più famosi templi della Grecia, che, dedicato a Poseidone, era visibile da grande distanza.

240 Capo Sunio è l’estrema punta sud dell’Attica, su cui era uno dei più famosi templi della Grecia, che, dedicato a Poseidone, era visibile da grande distanza.

241 La Iapigia (o Japigia) era la regione corrispondente all’attuale Puglia (Italia), abitata da un popolo di probabile origine illirica dal II millennio a.C. Il nome fu attribuito dai Greci, che considerarono gli Iapigi discendenti del mitico Dedalo tramite suo figlio Iapige. Erodoto descrive la Iapigia come vista dal mare e come parte di un più vasto territorio. Il percorso da Brindisi (in alcune traduzioni citata con l’antico nome di «porto di Brentesio») a Taranto corrispondeva a un giorno di viaggio.

242 Odierna Crimea, in Ucraina.243 Lago o palude.244 Gli Agatirsi vivevano nella Transilvania occidentale (cfr. cap. 48); i Neuri nella parte

orientale del palatinato di Leopoli, Belza e Volinia; gli Androfagi e i Melancleni non lontano da Mosca.

245 In realtà, la Scizia si estendeva su un territorio un po’ più vasto di quanto raccontato da Erodoto. Per la misura di uno stadio, cfr. note 99 e 167.

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dovrebbero misurare 4000 stadi e altrettanti anche i lati perpendicolari alla costa verso l’interno. Tale è dunque l’ampiezza di questo paese.

102. Gli Sciti, rendendosi conto che da soli non potevano respingere in campo aperto l’esercito di Dario, inviarono messaggeri alle popolazioni confinanti, i cui re, a loro volta riunitisi, discutevano sul da farsi, vista l’entità dell’esercito invasore: erano convenuti i re dei Tauri, degli Agatirsi, dei Neuri, degli Androfagi, dei Melancleni, dei Geloni, dei Budini e dei Sauromati246.

103. Fra queste popolazioni i Tauri hanno le seguenti abitudini: sacrificano alla vergine i naufraghi e i Greci catturati anche al largo; fanno così: cominciato il rito di consacrazione, colpiscono la vittima sulla testa con un bastone. Secondo alcuni gettano poi il corpo della vittima giù da una rupe (in effetti il santuario sorge su di una rupe) e ne piantano la testa su di un palo. Altri concordano sul trattamento riservato alla testa, ma sostengono che il corpo non viene scagliato giù dalla rupe bensì seppellito nella terra. Sono i Tauri stessi ad affermare che la divinità a cui offrono questi sacrifici è Ifigenia, la figlia di Agamennone247. Ecco come si comportano con i nemici presi prigionieri: gli tagliano la testa e se la portano ciascuno a casa propria, poi la piantano su di un lungo bastone e la sistemano sul tetto della casa, bene in vista, per lo più sopra il comignolo; tali trofei, dicono, vengono innalzati come custodi di tutta la casa. I Tauri vivono di saccheggio e di guerra.

104. Gli Agatirsi248 amano molto il lusso e spesso portano ornamenti d’oro; con le donne si uniscono comunitariamente per essere tutti fratelli tra loro e per impedire l’esistenza di invidie e odi reciproci, essendo tutti parenti. Per

246 Questi popoli sono già stati nominati nei capp. 17-22, tranne gli Agatirsi (cap. 48) e i Geloni, che erano sciti agricoltori di origine greca. Erodoto li descrive nei capitoli seguenti.

247 Il mito è notissimo grazie alla tragedia di Euripide, Ifigenia in Tauride. Ifigenìa (o Ifianassa) era figlia di Agamennone e di Clitemnestra. Al padre, l’oracolo suggerì di immolarla alla dea Artemide (Diana), perché, avendo Agamennone ucciso per sfida una cerva, la dea, incollerita, impediva la partenza dei marinai dalla città di Aulide, sulle coste della Beozia, per Troia. Al momento del sacrificio, la dea si impietosì e salvò la giovane sostituendola con una cerva. Le navi riuscirono a prendere il mare e tutti credettero che Ifigenia fosse morta ma la dea l’aveva portata in Tauride, per farne la propria sacerdotessa. Anni dopo Oreste, figlio di Agamennone, dopo aver ucciso la madre Clitemnestra per vendicare la morte del padre, venne a sapere che per placare le Erinni materne avrebbe dovuto conquistare la statua di Artemide in Tauride e portarla ad Argo. Oreste si recò in Tauride con l’amico Pilade, ma i due vennero catturati dal re Toante che usava sacrificare tutti gli stranieri che giungevano nel suo paese. I prigionieri vennero affidati ad Ifigenia che riconobbe il fratello ed escogitò un espediente per fuggire. Asserendo che la statua era stata contaminata dai prigionieri, ebbe la possibilità di recarsi sulla spiaggia per compiere una purificazione portando con sé sia la statua che Oreste e Pilade. Parlando di un rito segreto riuscì ad essere lasciata sola con i prigionieri e realizzò così un piano di fuga.

248 Cfr. nota 129.

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gli altri costumi si avvicinano ai Traci.

105. I Neuri249 possiedono usi sciti. Una generazione prima della spedizione di Dario dovettero abbandonare l’intera regione a causa dei serpenti. In effetti la loro terra era già ben ricca di serpenti, ma ancora di più ne scesero dal nord, dalle zone desertiche; finché i Neuri, duramente infastiditi, andarono ad abitare con i Budini lasciando il loro paese. Non è escluso che questi uomini siano degli stregoni: in effetti gli Sciti e i Greci residenti in Scizia raccontano che una volta all’anno ciascuno dei Neuri si trasforma in lupo per pochi giorni, poi di nuovo riprende il proprio aspetto250. Di questa storia non riescono davvero a convincermi, nondimeno la raccontano, e giurano di dire la verità.

106. Gli Androfagi251 possiedono i costumi più selvaggi al mondo: non praticano la giustizia, non possiedono alcuna legge. Sono nomadi, si vestono alla maniera degli Sciti, ma parlano una lingua propria e sono gli unici fra queste popolazioni a cibarsi di carne umana.

107. I Melancleni si vestono tutti di nero, che è poi la spiegazione del loro nome, e seguono le consuetudini degli Sciti.

108. I Budini252, popolo grande e numeroso, hanno tutti gli occhi azzurri e i capelli rossi. C’è nel loro paese una città di legno, che si chiama Gelono: il muro di cinta misura su ogni lato trenta stadi, è alto e interamente di legno, e di legno sono pure le case e i santuari; in questa città si trovano infatti santuari di divinità greche, abbelliti alla maniera greca con statue, altari e templi di legno; ogni due anni celebrano feste in onore di Dioniso e riti bacchici. In effetti i Geloni anticamente erano Greci che, respinti dai loro empori, erano andati a stabilirsi fra i Budini. E parlano una lingua che è un misto di greco e di scita.

109. I Budini non parlano la stessa lingua dei Geloni, e neppure il sistema di vita è lo stesso; perché i Budini sono una popolazione autoctona, nomade, e, unici in tutta la regione, si nutrono di pinoli, mentre i Geloni lavorano la terra, si cibano di frumento, possiedono orti, si distinguono sia per l’aspetto fisico sia per il colore della pelle. Dai Greci anche i Budini vengono chiamati Geloni, ma si tratta di un errore. Il loro paese è interamente ricoperto di boschi di ogni specie; nella maggiore di queste selve c’è un lago vasto e profondo, circondato da paludi e canneti. Nel lago si catturano lontre e

249 Cfr. note 41 e 144.250 L’accenno alla loro trasformazione in lupo è la più antica notizia a noi giunta sulla

licantropia.251 Gli Androfagi non sono di razza scitica (cap. 18); il nomadismo e il cannibalismo che li

caratterizzano possono far forse pensare a una tribù finnica.252 Cfr. nota 53.

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castori e altri animali dal muso quadrato253, le cui pelli vengono cucite insieme a formare pellicce, mentre i testicoli risultano utili per curare le malattie dell’utero.

110. Ed ecco quanto si racconta dei Sauromati254. Quando i Greci combatterono contro le Amazzoni (gli Sciti chiamano le Amazzoni Oiorpata, nome che in greco significa “quelle che uccidono i maschi”: oior vuol dire “maschio” e pata “uccidere”)255, si dice che, dopo aver vinto la battaglia del Termodonte256, i Greci rientravano allora con la flotta, conducendo su tre navi tutte le Amazzoni che erano riusciti a catturare; ma esse in mare aperto assalirono gli uomini e li sterminarono. Non conoscevano però le navi e non sapevano come governare il timone, manovrare le vele e i remi; così, dopo aver trucidato tutti i maschi, procedevano alla deriva, in balia delle onde e del vento, finché non giunsero alla Palude Meotide e precisamente a Cremni257; Cremni appartiene al paese degli Sciti liberi. Qui le Amazzoni sbarcarono e si avviarono verso il territorio abitato. Subito si imbatterono in una mandria di cavalli, che rubarono; una volta a cavallo presero a razziare i beni degli Sciti.

111. Gli Sciti non riuscivano a capire la faccenda: non conoscevano né la lingua né l’abbigliamento né la razza delle Amazzoni, pieni di stupore si chiedevano da dove mai fossero usciti quei tipi; credevano che fossero maschi in giovanissima età, e ingaggiarono battaglia con loro. Poi, dopo la battaglia, gli Sciti si impadronirono dei cadaveri e si accorsero così che si trattava di donne. Si consultarono sul da farsi e decisero di smettere assolutamente di ucciderle e di mandare da quelle donne i loro ragazzi più giovani, tanti quante calcolavano che fossero esse. I giovani dovevano accamparsi vicino alle Amazzoni e comportarsi esattamente come le Amazzoni; se esse li attaccavano non dovevano battersi, ma fuggire; quando l’inseguimento fosse cessato, dovevano tornare ad accamparsi vicino a loro. Escogitarono tale tattica gli Sciti, perché desideravano avere figli da quelle donne.

112. I giovani inviati eseguirono gli ordini ricevuti. Quando le Amazzoni compresero che erano venuti senza intenzioni ostili, li lasciarono in pace: e giorno dopo giorno un accampamento si accostava sempre di più all’altro. Essi non possedevano nulla, come le Amazzoni, tranne le armi e i cavalli; e

253 Forse alci.254 Già citati (e annotati) nei capp. 21, 57 e 102.255 L’etimologia erodotea è inesatta, perché oior significa sì uomo, ma pata è da collegare

all’iranico pataya, padrone, quindi oiorpata significherebbe “padrone degli uomini”. Le abitudini delle donne dei Sauromati (cap. 117) ricordavano ai Greci quelle delle mitiche Amazzoni.

256 Cfr. nota 216.257 Cremni (“luogo degli scogli”) è identificato nella penisola che separa il Mar d’Azov dal

Mar Nero, ovvero la Crimea.

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vivevano allo stesso modo delle donne, di caccia e di rapina.

113. Verso mezzogiorno le Amazzoni si disperdevano, da sole oppure in coppia, allontanandosi le une dalle altre per soddisfare i propri bisogni. Quando se ne accorsero, anche gli Sciti presero a fare lo stesso, e qualcuno riuscì ad avvicinare una di queste Amazzoni isolate, che non lo respinse, permettendogli anzi di intrattenersi con lei. Non potendo parlargli, dato che non si comprendevano, gli fece capire a gesti di tornare il giorno dopo in quello stesso luogo e di portare con sé anche un altro, indicando di venire in due; anche lei avrebbe portato una compagna. Il giovane tornò al proprio campo e raccontò agli altri l’accaduto; il giorno dopo tornò nel posto indicato conducendo con sé un compagno e trovò la prima Amazzone ad aspettarlo con una seconda. Gli altri giovani, quando vennero a saperlo, si ammansirono a loro volta le Amazzoni restanti.

114. In seguito unirono gli accampamenti e abitarono insieme, ciascuno con la donna a cui si era unito la prima volta. I mariti non furono capaci di imparare la lingua delle mogli, ma le mogli compresero il linguaggio dei mariti. Quando riuscirono a capirsi fra di loro, gli uomini dissero alle Amazzoni: «Noi abbiamo genitori e anche dei beni; smettiamola dunque di condurre questo genere di vita e torniamo a vivere con tutta la gente; come mogli avremo voi e non altre». Ma esse a tale proposta risposero: «Noi non potremmo abitare insieme con le vostre donne: le nostre usanze e le loro sono ben differenti; noi tiriamo con l’arco, scagliamo lance, andiamo a cavallo e non abbiamo mai imparato i lavori femminili; invece le vostre donne delle cose che abbiamo detto non ne fanno nessuna: attendono invece ai lavori femminili restando sui carri, a caccia non ci vanno, non si muovono mai. Non potremmo andare d’accordo con loro. Perciò se volete tenerci come mogli e mostrarvi giusti, andate dai vostri genitori, prendete la parte dei beni che vi spetta e tornate qui; dopodiché ce ne vivremo per conto nostro». I giovani si convinsero e agirono così.

115. Quando ebbero ottenuta la parte dei beni loro spettante e furono tornati dalle Amazzoni, le donne dissero ancora: «Noi abbiamo paura, anzi terrore, di dover vivere in questo paese, dopo avervi sottratto ai vostri padri e dopo i molti danni arrecati ai vostri territori. Voi ci ritenete degne di esservi mogli, ecco allora come dobbiamo fare, noi e voi insieme: allontaniamoci da questo paese, andiamo ad abitare al di là del Tanai». E anche in questo i giovani obbedirono.

116. Attraversato il Tanai, si avviarono in direzione del levare del sole per tre giorni di viaggio a partire dal Tanai, poi dalla Palude Meotide per altri tre giorni si diressero verso nord. Quando giunsero nella località dove tutt’oggi dimorano, vi si insediarono. E da allora le donne dei Sauromati vivono secondo le antiche abitudini: vanno a caccia a cavallo, assieme ai mariti e anche senza di loro, vanno in guerra e sono abbigliate esattamente come i

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maschi.

117. I Sauromati parlano la lingua degli Sciti, ma con qualche errore, fin da principio, perché le Amazzoni non l’avevano imparata bene. Ed ecco cosa è stabilito per le nozze: nessuna fanciulla può sposarsi se non ha prima ucciso un uomo in guerra. Alcune di loro, non riuscendo a soddisfare tale compito, muoiono vecchie senza essersi sposate.

118. Giunti dai sovrani, riuniti, dei popoli ora elencati, i messaggeri sciti presero la parola spiegando che il re persiano, dopo aver sottomesso tutti i paesi dell’altro continente, aveva gettato un giogo sul collo del Bosforo ed era passato nel loro continente. Dopodiché aveva soggiogato i Traci e gettato un ponte sul fiume Istro, desiderando fare suoi anche tutti questi territori. «Voi», dissero, «non statevene da parte tranquilli, non permettete la nostra distruzione: uniamo i nostri intenti e affrontiamo l’invasore. Pensate di non farlo? Noi, se ci schiacciano, o abbandoniamo il nostro paese oppure vi resteremo, ma venendo a patti col nemico. Che altro dovremmo fare, se non intendete aiutarci? Ma la vostra sorte, in questo caso, non sarà certo migliore: perché il re persiano è qui contro di voi non meno che contro di noi, e non si accontenterà di avere sottomesso noi, non vi risparmierà di certo. E ve ne portiamo una solida prova. Se il Persiano si fosse mosso solo contro di noi, nel desiderio di vendicarsi della antica schiavitù, avrebbe dovuto attaccare unicamente il nostro territorio e tenersi lontano dagli altri: sarebbe stata la dimostrazione agli occhi di tutti che l’attacco era diretto contro gli Sciti e non contro gli altri. Invece, da quando è passato in questo continente, sta sottomettendo tutte le popolazioni che incontra sulla sua strada. Ha già assoggettato i Traci e, in particolare, i Geti, che sono nostri confinanti».

119. Di fronte a questo messaggio degli Sciti, i re intervenuti dalle varie popolazioni si consultarono fra loro, e le opinioni risultarono divergenti. I re dei Geloni, dei Budini e dei Sauromati la pensavano allo stesso modo e promisero agli Sciti di aiutarli, invece i re degli Agatirsi, dei Neuri e degli Androfagi, nonché quelli dei Melancleni e dei Tauri, risposero agli Sciti quanto segue: «Se non foste stati voi per primi ad agir male nei confronti dei Persiani e a cominciare la guerra, ora le vostre parole, la vostra richiesta, ci sembrerebbero giuste e prestandovi ascolto condivideremmo il vostro destino. Ma si dà il caso che voi abbiate invaso la Persia senza di noi e dominato sui Persiani per tutto il tempo che il dio vi ha concesso; ora i Persiani, e li ridesta il medesimo dio, vi restituiscono la cortesia. Per parte nostra, noi non ci siamo macchiati di torto allora, contro questi uomini, e neppure adesso lo faremo per primi. Se il re persiano assalirà anche il nostro paese, dando lui inizio all’ingiustizia, noi certo non subiremo passivamente. Ma fino a quel momento saremo spettatori, in tranquilla attesa; a dire il vero siamo convinti che i Persiani non sono qui per combattere contro di noi, ma solo contro quanti a suo tempo si macchiarono

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di colpe».

120. Tale risposta fu riferita agli Sciti; come l’ebbero appresa, essi decisero di non ingaggiare mai battaglia in campo aperto, dato che questi alleati gli venivano a mancare; decisero invece di dividersi in due gruppi e di arretrare, di ritirarsi lentamente e progressivamente, interrando i pozzi e le sorgenti presso cui passavano e distruggendo la vegetazione che cresceva dalla terra. A uno dei due contingenti, a quello guidato dal re Scopasi, si sarebbero aggregati i Sauromati; insieme, se i Persiani si fossero diretti verso di loro, avrebbero dovuto ritirarsi, fuggendo dritti verso il Tanai lungo la Palude Meotide; quando poi i Persiani fossero tornati indietro, avrebbero dovuto inseguirli e incalzarli. Questo contingente comprendeva solo una delle tre parti del regno ed era assegnato al settore che ho detto. Le altre due parti, al comando di Idantirsi, la maggiore, e di Tassaci, la terza258, si sarebbero unite, accogliendo anche i Geloni e i Budini, e ritirate a loro volta, precedendo di un giorno di cammino i Persiani, sottraendosi al contatto e mettendo così in esecuzione il piano prestabilito. Innanzitutto dovevano ripiegare in direzione dei paesi che avevano rifiutato l’alleanza, per coinvolgere anche loro nel conflitto. Non avevano voluto spontaneamente entrare in guerra contro i Persiani? Ce li avrebbero spinti contro la loro volontà. Poi dovevano retrocedere verso la Scizia e passare al contrattacco se, consultandosi, lo avessero ritenuto opportuno.

121. Con tale piano di guerra gli Sciti affrontarono l’esercito di Dario, mandando in avanscoperta i migliori cavalieri. E fecero partire intanto sia i carri, in cui vivono i loro figli e tutte le donne, sia tutto il bestiame, a eccezione di quanto bastava per il loro sostentamento (solo questi animali trattennero), con l’ordine di procedere sempre in direzione nord.

122. Mentre carri e bestiame erano in viaggio, le avanguardie degli Sciti avvistarono i Persiani a tre giorni di distanza dall’Istro; avvistàtili si accamparono a un giorno di cammino da loro cominciando a distruggere tutti i prodotti della terra. I Persiani, come videro apparire la cavalleria degli Sciti, le si slanciarono contro, sulle tracce dei cavalli in continuo ripiegamento; e finirono per dargli la caccia dritti verso levante e verso il fiume Tanai (era il primo dei due gruppi di Sciti quello che attaccavano). Gli Sciti attraversarono il Tanai e così fecero i Persiani, che erano alle loro calcagna, finché, oltrepassato il paese dei Sauromati, non giunsero in quello dei Budini.

123. Durante il tempo in cui avanzavano in Scizia e nel territorio dei Sauromati, i Persiani non avevano nulla da saccheggiare, dato che la terra era incolta; una volta entrati nel paese dei Budini, vi trovarono la città dalle mura di legno, svuotata completamente e abbandonata dai Budini, e la

258 Per il re Idantirsi, cfr. cap. 76. Tassaci (o Taxacis) era un suo generale.

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diedero alle fiamme. Fatto ciò, proseguirono, sempre tallonando gli Sciti, finché, percorso tutto il paese, giunsero nel deserto. Questo deserto è totalmente disabitato: si estende a nord del territorio dei Budini per ben sette giornate di cammino. Oltre il deserto vivono i Tissageti259, dal cui paese provengono quattro grandi fiumi che scorrono attraverso il paese dei Meoti per andare a sfociare nel lago cosiddetto Meotide; si tratta del Lico, dell’Oaro, del Tanai e del Sirgi260.

124. Ebbene, quando Dario giunse nel deserto, fermò la sua corsa e fece accampare l’esercito sulle rive dell’Oaro; quindi ordinò la costruzione di otto grandi fortezze, dislocate a uguale distanza l’una dall’altra (circa sessanta stadi), le cui rovine esistevano ancora ai miei tempi261. Mentre egli attendeva a questi lavori, gli Sciti in fuga rientrarono nella Scizia compiendo un largo giro verso nord. Visto che gli Sciti erano del tutto scomparsi e non si vedevano proprio più, Dario lasciò le fortezze, costruite a metà, e arretrò verso ovest; credeva che quelli fossero tutti gli Sciti e che stessero ripiegando verso occidente.

125. Spingendo in gran fretta il suo esercitò arrivò in Scizia e qui subito si imbatté in entrambi i contingenti; trovatili, si gettò al loro inseguimento, ma essi si tenevano costantemente a una giornata di distanza. Dario non cessava di incalzarli e gli Sciti, secondo il loro piano, si ritiravano in direzione dei popoli che avevano rifiutato l’alleanza, cominciando dal paese dei Melancleni. Sciti e Persiani vi penetrarono e lo sconvolsero, poi gli Sciti guidarono i Persiani verso il territorio degli Androfagi; messolo sottosopra, condussero i Persiani nella terra dei Neuri, vi portarono la rovina e andarono poi verso gli Agatirsi. Gli Agatirsi, vedendo che anche i loro vicini scappavano a causa degli Sciti e subivano gravi danni, prima che piombassero nel loro territorio, inviarono agli Sciti un araldo con l’intimazione di non oltrepassare i loro confini; se avessero tentato di farlo, avvertivano, per prima cosa avrebbero dovuto combattere contro di loro. Lanciato l’avvertimento, gli Agatirsi accorsero a presidiare i confini, bene intenzionati a difendersi dagli invasori; invece i Melancleni, gli Androfagi e i Neuri non avevano impugnato le armi quando Sciti e Persiani insieme avevano fatto irruzione nel loro paese: dimentichi delle minacce pronunciate, erano fuggiti uno dopo l’altro disordinatamente verso il nord, verso il deserto. Gli Sciti, dopo l’intimazione degli Agatirsi, rinunciarono a penetrare nelle loro contrade e dal paese dei Neuri attirarono i Persiani nel

259 Cfr. nota 55.260 Il Lico (o Lycus), fiume della Sarmazia che sfocia nel Mar d’Azov (Palude Meotide), è oggi

chiamato, in ucraino, Kalmius. L’Oaro (o Oarus, o Opharus) è generalmente identificato con il fiume Volga, anche se sfocia nel Mar Caspio e non nel Mar d’Azov. Il Tanais è, come si sa, il Don. Il Sirgi (o Sirgis) è probabilmente il Kuban, che è il secondo maggior fiume che sfocia nel Mar d’Azov, ma qualcuno ritiene sia il Donec (Donets): cfr. nota 157.

261 Dario non avrebbe avuto né il motivo, né il tempo per costruire queste fortezze in Scizia. È probabile che la tradizione popolare giunta a Erodoto associasse a Dario alcuni tumuli.

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proprio.

126. Visto che la faccenda andava per le lunghe e non aveva l’aria di voler cessare, Dario inviò un cavaliere presso il re degli Sciti Idantirsi col seguente messaggio: «Sciagurato individuo, perché continui a fuggire? Davanti a te hai due possibilità. Se ti ritieni capace di opporti alla mia potenza, fermati, smetti di vagare qua e là e combatti; se invece ti riconosci inferiore, allora cessa comunque di correre, porta in dono al tuo signore terra e acqua e vieni a colloquio con me».

127. Al che il re degli Sciti Idantirsi rispose: «Per me, Persiano, le cose stanno così: io prima d’ora non sono mai fuggito per paura davanti a nessuno e nemmeno adesso sto scappando davanti a te. E attualmente non faccio niente di diverso da quanto faccio di solito anche in tempo di pace. E ti spiego pure per quale motivo non mi misuro subito con te: noi non possediamo città, né terre coltivate, per le quali nel timore che vengano espugnate o devastate dobbiamo correre a scontrarci in battaglia. Se proprio fosse necessario arrivare rapidamente a tanto, noi abbiamo le tombe dei nostri antenati262. E allora trovàtele, queste tombe, tentate di devastarle e saprete immediatamente se per esse ci batteremo o meno; prima, se non ci sembra il caso, rifiuteremo lo scontro. Questo valga per la battaglia; quanto ai miei padroni io credo di avere come tale soltanto Zeus, mio antenato, ed Estia, regina degli Sciti. A te, poi, invece di terra e acqua in dono, ti manderò regali che più ti si addicono; e in cambio del fatto che hai detto di essere mio padrone, io ti dico di andare in malora». (E questa è la risposta degli Sciti).

128. L’araldo partì per portare a Dario il messaggio, ma intanto i re sciti erano pieni di rabbia per aver udito la parola “schiavitù”. Inviarono dunque il contingente a cui erano aggregati i Sauromati e di cui era a capo Scopasi con l’ordine di avviare trattative con gli Ioni che sorvegliavano il ponte sull’Istro. Gli Sciti rimasti decisero di mettere fine al vagare qua e là dei Persiani e di attaccarli ogni volta che tentassero di procurarsi vettovaglie. Spiarono dunque il momento in cui gli uomini di Dario cercavano di fare provviste e agivano come stabilito. E sempre la cavalleria scita metteva in fuga la cavalleria persiana: i cavalieri persiani cercavano riparo, a precipizio, presso la fanteria, che li avrebbe volentieri soccorsi; ma gli Sciti, dopo aver disperso la cavalleria nemica, si ritiravano per timore dei fanti. Gli Sciti compivano incursioni del genere anche di notte.

129. Alleati dei Persiani contro gli Sciti che assalivano l’accampamento di Dario si rivelarono, e dirò una cosa molto sorprendente, il raglio degli asini e l’aspetto dei muli. In effetti, come anche sopra ho spiegato, nella Scizia non esistono né asini né muli; in tutto il territorio scitico non ci sono neppure un

262 Le tombe reali erano nel paese dei Gerri, cfr. cap 71 ss.

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asino e neppure un mulo, a causa del gran freddo. Insomma gli asini con le loro bizze scompigliavano la cavalleria degli Sciti; spesso nel bel mezzo di un attacco contro i Persiani, i cavalli, come udivano gli asini ragliare, si impaurivano, recalcitravano, attoniti, rizzando le orecchie, sia perché non avevano mai udito prima la voce degli asini, sia perché non ne avevano mai visto l’aspetto; e questo fatto costituì per i Persiani un piccolo vantaggio bellico.

130. Gli Sciti, quando vedevano i Persiani in preda allo sconforto, per trattenerli più a lungo in Scizia e perché, permanendovi, soffrissero per la totale mancanza di risorse, facevano così. Lasciavano indietro ogni volta delle greggi con qualche pastore e di nascosto si ritiravano altrove; i Persiani sopraggiunti avrebbero razziato il bestiame e con ciò ripreso fiducia.

131. La manovra si ripeté più volte; infine Dario non sapeva più che fare. Allora i re sciti, che se ne accorsero, gli inviarono un araldo a portargli dei doni: un uccello, un topo, una rana e cinque frecce. I Persiani interrogarono l’emissario sul significato dei doni, ma lui rispose di aver solo ricevuto l’ordine di consegnarli e di tornare indietro al più presto; e invitava i Persiani, se erano sapienti, a indovinare cosa volessero dire quei regali. Udito ciò, i Persiani si consultarono fra loro.

132. Il parere di Dario era che gli Sciti in tal modo mettevano nelle sue mani se stessi, la terra e l’acqua, basandosi sul fatto che il topo vive sulla terra, nutrendosi come l’uomo, e la rana nell’acqua, e che l’uccello somiglia molto al cavallo; quanto alle frecce, le interpretava come una resa dell’esercito. Tale fu l’opinione espressa da Dario; opposto fu il parere di Gobria, uno dei sette uccisori del Mago263; secondo Gobria i doni volevano dire: «Persiani, se trasformati in uccelli non cercherete protezione in cielo, o trasformati in topi non vi sprofonderete sotto terra, o trasformati in rane non andrete a tuffarvi negli stagni, trafitti da queste frecce non potrete più tornare nel vostro paese».

133. Mentre così i Persiani cercavano di interpretare quei doni, la frazione dell’esercito scitico precedentemente assegnata a sorvegliare la Palude Meotide giungeva proprio allora al fiume Istro per trattare con gli Ioni. Appena arrivati al ponte, gli Sciti tennero questo discorso: «Ioni, noi veniamo a portarvi la libertà, sempre che vogliate starci ad ascoltare. Sappiamo che Dario vi ha ordinato di sorvegliare il ponte per soli sessanta giorni, e di tornare nel vostro paese se lui non si presenta entro questo termine. Ecco dunque come potrete regolarvi per essere esenti da colpe ai suoi occhi e ai nostri: restate qui i giorni stabiliti e poi andatevene». Questi Sciti dunque, quando gli Ioni ebbero promesso di fare così, si ritirarono in

263 Cfr. nota 107.

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tutta fretta.

134. Invece gli Sciti rimasti indietro attesero che i doni giungessero a Dario e gli si schierarono di fronte alla fanteria e alla cavalleria, come per attaccarlo264. Ma le file serrate degli Sciti furono attraversate da una lepre: e ciascuno di loro come la vedeva le dava la caccia. Visto che gli Sciti rompevano lo schieramento fra urla e clamore, Dario volle sapere cosa fosse quello scompiglio fra i nemici; ma quando apprese che essi stavano inseguendo una lepre, si rivolse ai suoi abituali interlocutori e osservò: «Questi uomini ci disprezzano assai; e adesso mi sembra che Gobria abbia detto bene circa i doni degli Sciti. Insomma, visto che ora anch’io la penso così, ci occorre un buon piano per garantirci una ritirata sicura». Al che Gobria disse: «Mio re, io già quasi le sapevo, per averne sentito parlare, le difficoltà che avremmo incontrate con queste genti, e ben di più me ne sono reso conto qui, vedendo che loro si fanno beffe di noi. Pertanto ecco cosa ritengo meglio fare: non appena scende la notte, accendiamo i fuochi come al solito; poi, mentendo a quei soldati che sono troppo deboli per affrontare un lungo viaggio265, impastoiamo tutti gli asini266 e allontaniamoci, prima che gli Sciti, marciando dritti sull’Istro, arrivino a distruggere il ponte, oppure prima che gli Ioni prendano una decisione tale da rovinarci».

135. Questo fu il parere di Gobria; più tardi, quando scese la notte, Dario mise in pratica il suggerimento; i soldati sfiniti dalla fatica e quelli la cui perdita era meno grave li lasciò in quello stesso accampamento, con tutti gli asini impastoiati; le ragioni per cui abbandonò gli asini e gli uomini deboli erano le seguenti: gli asini perché ragliassero, gli uomini proprio per la loro debolezza; il pretesto addotto fu che Dario si apprestava ad attaccare gli Sciti col meglio dell’esercito e loro nel frattempo avrebbero dovuto presidiare l’accampamento. Impartite tali disposizioni a quelli che lasciava indietro, Dario ordinò di accendere i fuochi e si allontanò rapidamente in direzione dell’Istro. Gli asini, isolati dal grosso, ragliavano per questo ancora più forte, sicché gli Sciti, sentendoli, pensavano che i Persiani si trovassero sempre lì.

136. Quando fu giorno, gli uomini abbandonati si accorsero di essere stati traditi da Dario; allora tendevano le mani verso gli Sciti e cercavano di spiegare la situazione; appena messi al corrente, gli Sciti raccolsero in fretta le loro forze, il gruppo formato dai due terzi degli Sciti e quello unito ai

264 La traduzione di questo passo è ambigua, nel senso che la fanteria e la cavalleria potrebbero essere sia dei Persiani che degli Sciti: «gli Sciti... si schierarono contro la fanteria e la cavalleria persiane...» oppure «gli Sciti... presero posizione contro i Persiani con fanti e cavalieri». Erodoto non ha però mai accennato a una fanteria scitica.

265 Abbandonare i soldati ritenuti incapaci era stato uno stratagemma usato contro i Massageti, descritti da Erodoto nel Libro I, mentre qui si rivela una necessità.

266 Cioè legare una fune alle zampe anteriori degli animali per evitarne l’allontanamento.

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Sauromati, ai Budini e ai Geloni267, e si gettarono all’inseguimento dei Persiani puntando verso l’Istro. Dato che l’esercito persiano era composto di fanti che non conoscevano i percorsi e strade tracciate non ne esistevano, mentre l’esercito scita era composto di cavalieri e conosceva bene anche le scorciatoie, finirono per non incontrarsi: e gli Sciti giunsero al ponte molto prima dei Persiani. Quando seppero che i Persiani non erano ancora arrivati, dicevano agli Ioni che stavano sulle navi: «Ioni, i giorni del vostro computo sono trascorsi e voi non vi comportate giustamente restando ancora qui. Ma visto che prima aspettavate per paura, adesso smontatelo, su, questo passaggio e andatevene via al più presto, liberi, felici, grati agli dèi e agli Sciti. Quanto a colui che prima era il vostro padrone noi lo ridurremo in tale stato che non farà mai più guerra a nessuno».

137. Di fronte a tale invito gli Ioni presero consiglio. L’Ateniese Milziade268, stratego e tiranno dei Chersonesiti d’Ellesponto, era dell’idea di obbedire agli Sciti e rendere libera la Ionia. Ma Istieo di Mileto espresse un parere opposto: in quel momento, sosteneva, ciascuno di loro era tiranno di una città grazie a Dario269; una volta dissolta la potenza di Dario, lui, Istieo, non sarebbe più stato in condizione di governare Mileto e lo stesso sarebbe accaduto agli altri: infatti ogni città avrebbe preferito darsi un regime democratico che non restare sotto un tiranno. Istieo esponeva la sua opinione e tutti si schierarono con lui, mentre prima avevano caldeggiato la proposta di Milziade.

138. A votare così, tutte persone che godevano della considerazione del re, furono i tiranni dei Greci d’Ellesponto Dafni di Abido, Ippocle270 di Lampsaco, Erofanto di Pario271, Metrodoro di Proconneso, Aristagora di Cizico272 e Aristone di Bisanzio273: questi erano dell’Ellesponto; dalla Ionia invece

267 Il primo gruppo era capeggiato dal re Idantirsi e da Taxacis (cap. 120), l’altro dal re Scopasi (cap. 128).

268 L’aristocratico ateniese Milziade (550?-488 a.C.) si proclamò governatore della penisola di Gallipoli (antico Chersoneso Tracico; oggi, in turco, Gelibolu Yarimadası) intorno al 520 a.C. come raccontato da Erodoto in VI, 39-41. Spodestato nel 492 a.C., si rifugiò ad Atene, dove fu eletto come uno dei dieci generali (strategoi) della città-stato. Rinomato per la sua tattica militare e la sconfitta dei Persiani a Maratona, Milziade fu ferito in una guerra (perduta) contro i Persiani e morì di cancrena.

269 Con la conquista a opera del re persiano Ciro, le città della Ionia (cfr. nota 222), pur conservando una certa autonomia erano soggette ai satrapi, diretti sottoposti del re di Persia, tra cui fu Istieo di Mileto, che, attorno al 500 a.C. (quindi dopo il fatto qui raccontato da Erodoto), guidò la ribellione contro il dominio persiano. Con l’aiuto di Atene, i rivoltosi si spinsero fino a Sardi, incendiandola, evento che provocò un’immediata controffensiva persiana. Istieo fu catturato e giustiziato, Mileto fu distrutta e l’egemonia della Persia sul territorio ionico nuovamente ristabilita.

270 O Ippoclo.271 O Paro.272 Aristagora di Cizico (ucciso intorno al 497 a.C.) fu tiranno di Mileto e perciò detto anche

Aristagora di Mileto. Erodoto ne parla in VI, 1-9.273 Erodoto ne parla anche in VI, 51 e 61-65.

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venivano Stratti di Chio274, Eace di Samo275, Laodamante di Focea276 e Istieo di Mileto, l’antagonista di Milziade. Dell’Eolia277 c’era soltanto un personaggio famoso, Aristagora di Cuma278.

139. Costoro, dunque, avendo approvato l’idea di Istieo, decisero di regolarsi così, a parole e in concreto: di smontare il ponte dalla parte degli Sciti, ma solo per la lunghezza di un tiro di freccia, tanto per dare l’impressione di star facendo qualcosa, mentre in realtà non facevano nulla, e perché gli Sciti non tentassero con la forza di attraversare il fiume servendosi del ponte; di affermare, mentre smontavano il ponte dalla parte della Scizia, che si sarebbero comportati come piaceva agli Sciti. Questo aggiunsero al parere di Istieo, poi agli Sciti rispose Istieo per tutti: «Sciti – disse – siete venuti a portarci ottimi consigli e a tempo debito. Voi ci indicate la migliore via da seguire e noi vi secondiamo come si deve. Come vedete, stiamo smontando il passaggio e ce la metteremo tutta, perché vogliamo essere liberi. Però, mentre noi smontiamo il ponte, per voi è il momento di cercare quegli altri, di trovarli e di prender vendetta per noi e per voi stessi, come si son meritato».

140. Per la seconda volta gli Sciti credettero che gli Ioni dicessero la verità e si gettarono alla ricerca dei Persiani, ma si sbagliarono completamente sul percorso da quelli seguito. La colpa fu degli Sciti stessi, che avevano distrutto i pascoli dei cavalli e interrato le sorgenti in tutta la regione. In effetti, se non lo avessero fatto, avrebbero avuto la possibilità, volendo, di scovare i Persiani a occhi chiusi; ora invece le decisioni che avevano creduto buone si rivelarono un errore. Gli Sciti cercarono i Persiani nel proprio paese attraverso i territori dove c’erano acqua e foraggio per i cavalli, credendo che anche i Persiani si ritirassero lungo questo percorso; i Persiani, invece, stettero bene attenti a seguire le tracce del loro precedente passaggio, ritrovando il guado, ciò nonostante, a stento. Poiché giunsero di notte e trovarono il ponte smontato, furono colti da autentico panico all’idea che gli Ioni li avessero abbandonati.

141. Ma c’era con Dario un uomo, un Egiziano, dotato della voce più potente del mondo: Dario gli ordinò di piazzarsi sulla riva dell’Istro e di chiamare a gran voce Istieo di Mileto. Quello eseguì e Istieo, obbedendo al primo appello, ricollocò tutte le navi per traghettare l’esercito, ricomponendo il ponte.

142. In tal modo i Persiani trovarono scampo; gli Sciti che li stavano

274 Erodoto ne parla anche in VIII, 132.275 Figlio di Silosonte, fratello di Policrate, il quale riconquistò Samo con l’aiuto di Dario (III,

139 ss.). Erodoto lo cita anche in VI, 13-25.276 Citato anche in V, 81.277 Cfr. nota 223.278 Citato anche in V, 37.

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cercando li mancarono per la seconda volta. E ora giudicano gli Ioni, in quanto uomini liberi, i più malvagi e vigliacchi del mondo; altrimenti, valutandoli come schiavi, li dicono fedelissimi ai loro padroni, molto poco inclini a liberarsene. Tali sono gli insulti che da allora gli Sciti riservano agli Ioni.

143. Dario marciando attraverso la Tracia giunse a Sesto nel Chersoneso279; di là passò in Asia con le navi, lasciando in Europa, col grado di stratego, Megabazo280, un Persiano; a Megabazo una volta Dario aveva concesso un riconoscimento grandissimo, pronunciando di fronte ai Persiani parole assai lusinghiere: Dario stava mangiando delle melagrane, e aveva appena aperto la prima, quando suo fratello Artabano281 gli chiese che cosa avrebbe desiderato possedere che uguagliasse in numero i semi della melagrana. E Dario rispose che avrebbe preferito avere altrettanti Megabazo piuttosto che la sottomissione della Grecia. Con tali parole tanto lo aveva allora onorato fra i Persiani; e in questa circostanza lo lasciò comandante in capo con un esercito di 80.000 uomini.

144. Megabazo lasciò imperitura memoria di sé presso gli abitanti dell’Ellesponto grazie a una sua frase: giunto a Bisanzio e venuto a sapere che i Calcedoni si erano stabiliti in quella regione diciassette anni prima dei Bizantini282, sentenziò che i Calcedoni erano stati ciechi per altrettanti anni; se non fossero stati ciechi infatti non avrebbero scelto come loro sede il luogo peggiore, avendo a disposizione il migliore. Questo Megabazo, lasciato colà come stratego, cercava di sottomettere tutti gli abitanti dell’Ellesponto che non parteggiavano per i Persiani.

145. Mentre Megabazo operava in tal senso, contemporaneamente un’altra grande spedizione armata raggiungeva la Libia283, per la ragione che spiegherò dopo aver premesso le seguenti informazioni. Alcuni discendenti

279 L’antica colonia lesbia di Sesto era sulla riva dell’Ellesponto (stretto dei Dardanelli); caduta sotto il dominio persiano, fu la prima città liberata dagli Ateniesi nel 479-478 a.C. Legato alla città è il mito di Ero e Leandro, due giovani innamorati che abitavano sulle opposte rive dello stretto. Ogni notte Leandro attraversava a nuoto il mare che separava le città di Sesto e di Abido per raggiungere l’amata. Una notte che il mare era in tempesta non volle rinunciare all’incontro e morì tra i flutti.

280 Megabazo (in greco, Megàbazos) era un generale del re di Persia. Dopo il ritorno di Dario dalla spedizione scitica (513 a.C.), assoggettò la Tracia, ottenendo anche la sottomissione della Macedonia. Inoltre, mise in guardia Dario dagli intrighi di Istieo, che poco dopo provocarono l’insurrezione degli Ioni (cfr. nota 269).

281 Cfr. note 108 e 206.282 Sia Calcedonia che Bisanzio erano colonie di Megara (città dorica nell’Attica occidentale);

la prima fu fondata nel 674, la seconda nel 657 a.C.283 La spedizione citata è quella compiuta da Ariande, satrapo dell’Egitto, contro la città di

Barce, in Cirenaica, che avvenne nel 510 a.C. contemporaneamente all’invasione della Tracia, ed è narrata ai capp. 200-205. Erodoto la userà come pretesto per raccontare la geografia dell’Africa settentrionale.

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degli Argonauti284, scacciati dai Pelasgi285 che avevano rapito a Braurone286 le donne ateniesi, scacciati cioè da Lemno287, si spinsero per mare verso Sparta288, si sistemarono sul Taigeto289 e accesero dei fuochi. Gli Spartani li videro e inviarono loro un messaggero, per sapere chi fossero e da dove venissero; alle domande dell’inviato risposero di essere dei Mini, discendenti degli eroi che avevano navigato sulla nave Argo290; gli Argonauti erano appunto approdati a Lemno e avevano originato tale schiatta291. Gli Spartani, dopo aver udito della ascendenza dei Mini, mandarono una seconda volta a chiedere con quali intenzioni fossero venuti nel loro paese e perché avessero acceso il fuoco; ed essi dichiararono di essere tornati dai

284 Gli Argonauti sono figure della mitologia greca. In numero di 45, 51 o 55 secondo le fonti, parteciparono alla spedizione finalizzata alla conquista del “vello d’oro”, la pelle di ariete che Ermes aveva donato a Nefele, sposa di Atamante, re dei Mini. Nefele venne ripudiata da Atamante per sposare Ino, figlia del re Cadmo, che odiava i due figliastri, Elle e Frisso, desiderando vedere un proprio figlio sul trono. Sospettando ciò, Nefele chiese aiuto agli dèi ed Ermes mandò un ariete per prendere i ragazzi, ma durante il volo sullo stretto tra Europa e Asia uno dei fratelli, Elle, cadde dal prodigioso animale e annegò in un mare che divenne il “mare di Elle”, cioè l’Ellesponto. Frisso giunse invece in Colchide dove fu ospitato dal re Eete al quale regalò il vello dell’animale quand’esso fu sacrificato nel tempio di Zeus in onore degli dèi. Eete nascose il vello in un bosco vigilato da un drago che non dormiva mai. Nel frattempo, Pelia, re di Iolco (in Tessaglia), aveva spodestato il fratello Esone, padre del piccolo Giasone che fu messo in salvo dalla madre Alcimeda che lo portò da Chirone, un centauro sapiente. Cresciuto, Giasone ritornò in Grecia per reclamare il trono che gli spettava, ma Pelia disse che, se Giasone avesse recuperato il vello d’oro, gli avrebbe ceduto il trono senza guerre. Perciò Giasone partì sulla nave Argo con numerosi uomini per raggiungere la Colchide (cfr. nota 88) e, dopo molte avventure, recuperò il vello grazie alla magia della figlia di Eete, Medea, che, innamoratasi di Giasone, addormentò il drago custode. Dopo aver sposato Medea, Giasone tornò da Pelia che gli rifiutò il trono e per questo fu ucciso da Medea. I due fuggirono fino a Corinto, dal re Creonte, dove Giasone sposò sua figlia Glauce per dare al re un erede. Medea si vendicò sterminando tutta la nuova famiglia di Giasone, che, disperato, si suicidò.

285 Con Pelasgi si indicavano i gruppi che parlavano una lingua diversa dal greco e precedettero gli Elleni, dimorando in zone dell’Anatolia, del Mar Egeo e della Grecia, ma in seguito, con Pelasgi si indicarono anche le popolazioni indigene pre-indoeuropee del Caucaso e dell’Asia Minore. In questo passo, Erodoto si riferisce ai Pelasgi della Tracia.

286 Braurone era una località sulla costa orientale dell’Attica. Deve il suo nome al culto per la dea Artemide Brauronia: qui le fanciulle ateniesi di età inferiore ai dieci anni servivano la dea per un anno. Questo obbligo, durante il quale le fanciulle erano soprannominate arktoi (orsette), era spiegato narrando che un orso aveva preso l’abitudine di entrare in Braurone e, nutrito dalla popolazione, era diventato mansueto. Tuttavia, una giovine infastidì l’orso che la uccise, ma fu a sua volta ucciso dal fratello della ragazza. La dea Artemide si incollerì e pretese che, per punizione, le fanciulle la servissero nel santuario.

287 Lemno (o Lemnos) è un’isola collinosa nella parte settentrionale del Mar Egeo, poco lontana dagli stretti del Mar di Marmara. I primi abitanti dell’isola furono i popoli di origine tracia. Secondo la mitologia, Zeus prese per un piede Efesto e lo scagliò giù dall’Olimpo. Efesto rotolò per un giorno intero (o, secondo altri miti, per nove giorni e nove notti), fermandosi sull’isola di Lemno, dove gli Scinti, popolazione locale, lo raccolsero e lo curarono. Efesto rimase zoppo ma fu riconoscente agli Scinti e insegnò loro a forgiare il ferro. A Lemno approdarono anche gli Argonauti, trovandovi le Amazzoni.

288 Sparta (o Lacedemone) è una città della Grecia situata nel Peloponneso meridionale, tra i rilievi del Parno e del Taigeto. L’antica Sparta, che sorgeva vicino all’attuale, si sviluppò nel X secolo a.C. dalla fusione di quattro villaggi dorici: Cinosura, Limnai, Pitana e Mesoa.

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loro antenati292 perché espulsi da Lemno a opera dei Pelasgi; a sentir loro tale ritorno era senz’altro legittimo; chiedevano di coabitare con gli Spartani partecipando delle loro prerogative, in una porzione di territorio assegnata a sorte. Gli Spartani decisero di accogliere i Mini alle condizioni desiderate: ad agire così li convinse soprattutto il fatto che alla spedizione di Argo avevano preso parte i figli di Tindaro293. Accolsero i Mini, gli diedero dei terreni e li distribuirono fra le varie tribù. Essi ben presto sposarono ragazze del luogo e concessero ad altri come mogli le donne che si erano portate con sé da Lemno.

146. Ma non passò molto tempo che i Mini cominciarono a comportarsi in maniera insolente: pretesero di partecipare al regno e compirono vari altri gesti empi. Finché gli Spartani, avendo deciso di eliminarli, li catturarono tutti e li gettarono in una prigione. Gli Spartani eseguono solo di notte le eventuali sentenze capitali, di giorno mai294. L’uccisione era comunque imminente quando le mogli dei Mini, che erano cittadine di Sparta e figlie degli Spartiati più illustri, chiesero il permesso di entrare nelle prigioni per parlare ciascuna col proprio marito; e la richiesta fu accolta nella convinzione che non celasse alcun inganno. Le donne, come furono dentro, ecco cosa fecero: scambiarono i loro abiti con quelli dei mariti, sicché i Mini travestiti, fingendosi donne, poterono uscire; scappati via con quel trucco, si accamparono nuovamente sul monte Taigeto.

289 Il Taigeto è una catena montagnosa che si erge nel Peloponneso, separa la Laconia dalla Messenia e domina la città di Sparta. Omero la definì «grandissima» e gli autori bizantini «montagne dalle cinque dita». La cima più alta, Taleton, era anticamente dedicata al Sole, mentre ora ha il nome del profeta Elia. Nell’antichità, sul monte Taigeto venivano abbandonati i bambini nati deformi.

290 I Mini erano gli abitanti della Tessaglia dominati dal re Atamante, ai quali appartenevano anche Pelia e Giasone (cfr. nota 284).

291 Gli Argonauti trovarono Lemno abitata da donne, che avevano ucciso gli uomini per vendicarsi di essere trascurate. Soltanto il re Toante era riuscito a fuggire grazie all’aiuto di sua figlia Ipsipile, la quale accolse poi gli Argonauti. Questi ebbero figli con le donne lemnie e perciò i rifugiati a Sparta si dichiaravano discendenti degli Argonauti, anzi Mini, poiché questi erano una stirpe della Tessaglia, la regione da cui erano partiti.

292 Infatti molti Argonauti erano originari del Peloponneso: Periclimeno di Pilo, Eufemo del Tenaro e in particolare i Tindariti, ricordati poco dopo, cioè Castore e Polluce, figli di Tindaro, re di Sparta.

293 Figura mitologica, Tindaro (o Tindareo) era figlio di Ebalo e di Batea (o, in altre versioni, di Periere e di Gorgofone) ed era il re di Sparta. Destituito dal fratellastro Ippocoonte, fuggì presso re Testio di Calidono. Testio aveva due figlie: Altea, che sposò Oineo, e Leda, che sposò Tindaro ed ebbe quattro figli: Castore, Polluce, Elena e Clitennestra, ma, secondo il mito, Castore ed Elena erano figli di Zeus, che aveva sedotto Leda sotto le spoglie di un maestoso cigno. Per riconquistare il trono, Tindaro si alleò con Eracle (o Ercole per i Romani) e vinse il fratellastro. Intanto la bellezza di Elena aveva richiamato moltissimi pretendenti e Tindaro si fece giurare da ognuno di loro che, chiunque fosse stato il fortunato sposo, sarebbe corso in suo aiuto in caso di necessità. Il prescelto fu Menelao e, quando Paride rapì Elena dando inizio alla guerra di Troia, Tindaro fece appello al suo giuramento per farsi aiutare.

294 Era un’usanza realmente seguita a Sparta, più per tenere segreti gli affari si stato che per pietà verso i condannati.

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147. Proprio in quei giorni, Tera, figlio di Autesione e nipote di Tisamene che a sua volta era figlio di Tersandro e nipote di Polinice, partiva da Sparta per andare a fondare una colonia. Questo Tera, di stirpe cadmea295, era zio materno dei figli di Aristodemo, Euristene e Procle296. Finché i nipoti erano bambini, mantenne per loro la reggenza di Sparta, ma quando furono cresciuti ed ebbero assunto il potere, Tera, che aveva assaporato il piacere del comando, non tollerò di prendere ordini da altri: dichiarò che non sarebbe rimasto a Sparta ma si sarebbe messo in mare per raggiungere gente della sua stirpe. Nell’isola che oggi si chiama Tera, ma che un tempo era detta Calliste, vivevano alcuni discendenti del fenicio Membliareo, figlio di Pecile. In effetti all’isola oggi nota come Tera era approdato il figlio di Agenore, Cadmo, alla ricerca di Europa; vi aveva fatto scalo e, sia che il luogo gli fosse piaciuto sia che altre ragioni lo invogliassero a farlo, vi aveva lasciato alcuni Fenici, fra cui Membliareo che apparteneva alla sua famiglia. Costoro abitarono l’isola detta Calliste per otto generazioni, prima dell’arrivo di Tera proveniente da Sparta.

148. Era verso queste genti che intendeva dirigersi Tera con una piccola schiera formata fra le varie tribù, per abitare assieme a loro, non per mandarli via, ma realmente con intenzioni amichevoli. Ebbene, dal momento che i Mini, scappati dalle prigioni, si erano stabiliti sul Taigeto e gli Spartani volevano ucciderli, Tera chiese di evitare una strage e si impegnò personalmente a condurli fuori del paese. Gli Spartani accettarono la

295 Secondo la mitologia greca, il fondatore di Tebe fu Cadmo, figlio di Agenore e di Telefassa (o secondo altre versioni Argiope o Antiope). Cadmo aveva due fratelli (Cilice e Fenice) e due sorelle (Europa e Asterione). La bellissima sorella Europa fu rapita da Zeus, celato sotto le sembianze di un toro, e Agenore mandò i figli a cercarla, dicendo loro di non tornare senza Europa. Nel corso delle loro peregrinazioni, i tre figli fondarono città ovunque: Fenice fu il capostipite dei Fenici, Cilice quello dei Cilici, Cadmo si stabilì in Beozia costruendo Cadmea, la rocca di Tebe. In particolare, Cadmo (dal fenicio qadmon, antico), alla ricerca di Europa, si fermò all’isola di Tera (o Thera – oggi Santorini, nelle Cicladi – chiamata anche, come primo nome o come appellativo, Kallistè, o Calliste, cioè “bellissima”) e vi lasciò alcuni compagni, fra cui il consanguineo Membliareo. Costoro abitarono l’isola, secondo Erodoto, per otto generazioni prima dell’arrivo di Tera (oppure Theras), figlio di Autesione e reggente di Sparta. Tuttavia, l’esatta genealogia di Tera non è chiara, poiché egli risulta essere un discendente dell’argonauta Eufemo di Tenaro, figlio di Poseidone e di Europa. Eufemo era il marito di Laonome, sorella di Eracle (Ercole), e aveva la facoltà di camminare sulle acque. Durante il viaggio alla ricerca del vello d’oro, Tritone offrì agli Argonauti una zolla di terra, che Eufemo accettò. In seguito la zolla cadde in mare, dando origine all’isola di Tera. Medea profetizzò che Eufemo avrebbe un giorno governato la Libia; ebbe infatti da Malache un figlio, Leucofane, che fu antenato di Batto, fondatore di Cirene. In V, 58 Erodoto ha scritto che Cadmo introdusse tra i Greci «molte novità e in particolare l’alfabeto».

296 La sorella di Tera, Argia, era sposata ad Aristodemo, figlio di Aristomaco e discendente di Eracle, e fu madre di Euristene e Procle, che ricevettero in eredità dal padre il trono di Sparta e dettero vita alle due dinastie regali (Agiade ed Euripontidi). Erodoto spiega le origini della diarchia in VI, 52.

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proposta, sicché Tera partì, con tre penteconteri297, per raggiungere i discendenti di Membliareo conducendo con sé anche i Mini; non tutti però, anzi pochi: i più in effetti si diressero verso i Paroreati e i Cauconi298 e li scacciarono dai loro territori, dove poi, divisisi in sei gruppi, fondarono sei città, Lepreo, Macisto, Frisse, Pirgo, Epio e Nudio299; ma quasi tutte queste città sono state messe a sacco dagli Elei ai miei tempi. L’isola di Calliste fu poi chiamata Tera dal nome del suo colonizzatore.

149. Suo figlio però si era rifiutato di partire con lui; allora Tera affermò che lo avrebbe lasciato “pecora fra i lupi” e da questa espressione derivò al ragazzo il soprannome di Eolico300, che poi finì per prevalere. Di Eolico fu figlio Egeo, da cui prende nome la grande tribù spartana degli Egidi301. Agli uomini di questa tribù i figli non sopravvivevano; allora, consigliati da un oracolo, eressero un tempio dedicato alle Erinni di Laio e di Edipo302. In seguito lo stesso (accadde) anche a Tera ai discendenti di questi uomini.

150. Sin qui le versioni degli Spartani e dei Terei coincidono, gli avvenimenti successivi li narrano come segue i soli Terei. Grinno figlio di Esanio, discendente di Tera e re dell’isola omonima, si recò a Delfi portando dalla sua città cento buoi da sacrificare303; lo accompagnavano altri concittadini, fra i quali Batto, figlio di Polimnesto, della stirpe del Minio Eufemo304. E mentre Grinno, re dei Terei, la consultava su altre questioni, la Pizia305 gli

297 Navi con cinquanta rematori.298 I Paroreati costituivano un popolo che abitava il distretto della Trifilia, tra Arcadia ed

Elide (cfr. nota 66). I Cauconi abitavano il Peloponneso occidentale dall’epoca preistorica (cfr. I, 147).

299 Lepreon (o Lepreum), Makistos (anticamente chiamata anche Platanistous), Friza e la vicina Frixa, Pirgo (o Pirgos, o Pyrgos), Epion (o Epium, o Epeum), Nudium (o Noudium) erano state fondate in luoghi strategici del Peloponneso occidentale, nell’odierna provincia di Olimpia.

300 In altre traduzioni è Oiolico, dalla fusione di ois e lycos, cioè pecora e lupo.301 Gli Egidi (tribù dell’Egeo) furono i fondatori del culto di Apollo Carneo a Sparta. Le

Carnèe erano le feste celebrative di Apollo protettore degli animali. Nel corso della festa, che durava nove giorni, avvenivano gare musicali e poetiche e gare a premio di atletica tra giovani che portavano grappoli d’uva sulla testa. I risultati erano considerati presagi per il futuro.

302 Poiché Eolico era figlio di Tera, egli risultava un discendente di Laio ed Edipo. Infatti, secondo il famoso mito, Edipo aveva involontariamente ucciso il padre Laio e sposato la madre Giocasta e successivamente aveva maledetto i figli Eteocle e Polinice (avo di Tera: cfr. cap. 147) che non lo rispettavano. Le Erinni (Furie, per i Romani) erano le personificazioni femminili della vendetta.

303 I re di Tera avevano anche funzioni sacerdotali.304 Batto I – diciassettesimo discendente di Giasone, capo dei Mini (Argonauti): cfr. note

284 e 295 – era il soprannome del fondatore della colonia di Cirene, sulle coste della Libia quasi al confine con l’Egitto. Il vero nome era Aristotele o Aristeo ed era stato esiliato dalla nativa Tera per motivi politici insieme alla sua fazione. Giunto in Libia, fondò Cirene e ne fu il sovrano assoluto per quarant’anni. Alcuni storici hanno detto che il soprannome “Batto” viene dal fatto che balbettava, altri (come Erodoto: cfr. cap. 155) che deriva dalla parola libica che designava il re (batto).

305 Cfr. nota 36.

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rispose invitandolo a fondare una città in Libia. E Grinno ribatté: «Signore, io sono un po’ vecchiotto e pesante per muovermi; ordinalo a uno di questi giovani di intraprendere l’impresa». E mentre rispondeva così indicava Batto. Questo è quanto accadde allora; più tardi, dopo il loro ritorno, non tennero più conto del responso: neppure sapevano dove si trovasse la Libia e non avevano il coraggio di inviare dei coloni senza una destinazione definita.

151. Per sette anni, a partire da allora, non cadde pioggia sull’isola di Tera e in quei sette anni tutte le piante dell’isola, tranne una, seccarono. I Terei consultarono l’oracolo e la Pizia rinfacciò loro la colonia in Libia. Visto che al loro male non esisteva rimedio, inviarono a Creta dei messi per scoprire se qualcuno del luogo, nativo di Creta o straniero residente306, fosse mai stato in Libia. Nel compiere il giro dell’isola i messi giunsero alla città di Itano307; qui presero contatto con un pescatore di porpore308, di nome Corobio, il quale dichiarò di essere giunto in Libia, e precisamente nell’isola di Platea309, trascinato dai venti. I messi lo allettarono con una ricompensa e lo condussero a Tera; da Tera poi partirono alcuni uomini in esplorazione, non in molti, inizialmente. Quando Corobio li ebbe condotti nella sunnominata isola di Platea, lo lasciarono lì, con provviste per un determinato numero di mesi, dirigendosi in gran fretta verso Tera per riferire sull’isola ai loro concittadini.

152. Ma si assentarono per più tempo di quello previsto, sicché a Corobio venne a mancare tutto; più tardi una nave di Samo, in navigazione verso l’Egitto agli ordini di Coleo, fu trascinata dai venti fino all’isola di Platea. I Sami, appreso da Corobio per filo e per segno l’accaduto, gli lasciarono provviste per un anno; essi poi salparono dall’isola decisi a raggiungere l’Egitto, ma venivano portati fuori rotta dal vento di Levante. E siccome il vento non calava, finirono per attraversare le Colonne d’Eracle e giungere a Tartesso310, con la scorta di un dio. A quell’epoca l’emporio di Tartesso era

306 “Straniero residente” o “forestiero abitante” corrisponde, in Erodoto, alla parola meteco, che ricorre solo in questo passo e non ha un senso specifico, se non quello di non cretese.

307 Itano (ora Paleocastro) è sulla corta costa orientale dell’isola di Creta. Nel XIII secolo i Veneziani vi costruirono una fortezza, non più esistente.

308 La porpora (Haustellum brandaris) è un mollusco, in conchiglia, appartenente alla famiglia dei Muricidae. È una delle specie da cui i Romani estraevano la porpora per colorare i tessuti. Scrisse Plinio il Vecchio: «Il migliore dell’Asia è quello di Tiro; di Gerba quello dell’Africa, e sulla spiaggia del mare di Getulia; in Laconia quello d’Europa. Di questo sono ornati i fasci e le scuri Romane, e sempre questo dà maestà alla giovinezza. Distingue il senatore dal cavaliere; è utilizzato per placare gli dei, e fa risplendere ogni veste [...] Le porpore si prendono con strumenti simili a nasse, piccoli e con maglie larghe, gettati in profondità».

309 L’isola di Platea fu scoperta intorno al 700 a.C.: si tratta dell’odierna isola di Bomba, nel golfo omonimo, nella Cirenaica storica (parte orientale della Libia).

310 Tartesso è un’antica città-stato protostorica dell’Iberia meridionale, di ubicazione incerta, probabilmente nei pressi della foce del Guadalquivir e ora forse sotto il livello del mare. Nell’VIII secolo a.C. fu conquistata dai Fenici, ma in seguito riacquistò un certo

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vergine, sicché i Sami, al loro ritorno, ricavarono dalle merci il profitto più elevato fra i Greci di cui abbiamo notizia precisa; dopo naturalmente Sostrato di Egina figlio di Laodamante311, con il quale nessuno è in grado di gareggiare. Come decima dei guadagni i Sami prelevarono sei talenti di bronzo e ne fecero un grande vaso, nella forma di un cratere argolico, con all’esterno teste di grifi in rilievo a scacchiera. Lo dedicarono nel tempio di Era appoggiandolo su tre giganti di bronzo alti sette cubiti, inginocchiati. A questa impresa risalgono i solidissimi vincoli di amicizia che legano Cirenei312 e Terei ai cittadini di Samo.

153. Quando i Terei che avevano lasciato Corobio a Platea giunsero a Tera, proclamarono di aver colonizzato un’isola in Libia. Allora i Terei decisero di inviare coloni, col criterio di un fratello tirato a sorte ogni due da tutti i loro distretti che sono sette; e decisero che loro guida, e anche re, fosse Batto. In tal modo spedirono a Platea due penteconteri313.

154. Questo lo raccontano i Terei; circa gli avvenimenti successivi i Terei concordano senz’altro con i Cirenei; ma i Cirenei riferiscono assai diversamente le vicende di Batto; ecco la loro versione. In Creta sorge la città di Oasso314; a Oasso visse un re, Etearco315, il quale aveva una figlia, di nome Fronima, che rimase orfana di madre; per lei allora Etearco decise di risposarsi. Ma la nuova moglie pensò bene di essere a pieno titolo matrigna di Fronima, procurandole guai e macchinando di tutto contro di lei: la accusò persino di dissolutezza riuscendo a convincere il marito che le cose stavano proprio come lei sosteneva. Etearco, messo su dalla moglie, meditò ai danni della figlia un empio progetto. Si trovava a Oasso un mercante di Tera, Temisone; Etearco lo ospitò a pranzo a casa sua e lo impegnò con giuramento a rendergli il servizio che gli avesse chiesto. Quando ebbe giurato, Etearco condusse da lui la figlia e gliela consegnò, con l’invito a portarsela via e a gettarla in mare. Temisone si disgustò per l’inganno del giuramento, sciolse il rapporto di ospitalità ed ecco che fece: presa con sé la ragazza, salpò e quando fu al largo, liberandosi dal vincolo del giuramento, legò la ragazza con delle funi e la lanciò in mare; quindi la issò a bordo e se ne tornò a Tera.

predominio. I Greci di Focea – oggi Foça, città sull’estrema propaggine turca, nel golfo di Izmir – fondarono due colonie in Spagna, Mainake (presso Malaga) e Hemeroskopeion (presso Denia) per favorire il commercio con Tartesso. Città che furono distrutte dai Cartaginesi. Erodoto parla di Focea e Tartesso anche in I, 163.

311 Laodamante era il re di Tebe che guidò gli Epigoni contro la sua città (cfr. nota 70).312 Cirene (presso l’attuale villaggio di Shabhat) era il nome dell’antica città portuale,

fondata dai Greci nel 630 a.C., situata nell’odierna Libia presso il confine con l’Egitto (cfr. nota 304).

313 Cfr. nota 297.314 Oasso (od Oaxo) era l’odierno villaggio di Axos, a metà strada tra Iraklion (o Candia) e

Rethymno, che fu un’antica e importante città costruita dai Greci Dori intorno al Mille a.C.315 Di Etearco, re degli Ammoni, Erodoto parla in II, 32-33. La storia degli Ammoni è

raccontata dal cap. 181 di questo libro.

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155. In seguito Fronima se la prese come concubina Polimnesto, un personaggio autorevole a Tera. Passò del tempo e la ragazza diede alla luce un figlio impedito nella parola e balbuziente, al quale, secondo quanto narrano Terei e Cirenei, fu posto nome Batto316; io credo peraltro che avesse un altro nome, mutato poi in Batto, dopo il suo arrivo in Libia, sulla base dell’oracolo emesso per lui a Delfi e grazie all’onore che gliene derivò. In effetti i Libici chiamano “batto” il re e io credo che la Pizia vaticinando gli si sia rivolta in lingua libica perché sapeva che sarebbe diventato re in Libia. Infatti, quando fu adulto, Batto si recò a Delfi per consultare l’oracolo a proposito della sua voce, e la Pizia, interrogata, gli rispose: «Batto sei qui per la voce, ma Febo Apollo ti manda nella Libia nutrice di armenti quale fondatore di colonia», che è come se in greco gli avesse detto: «O re, sei venuto per la tua balbuzie...». Lui replicò: «Signore, sono venuto fino a te per interrogarti sulla mia favella, e tu mi profetizzi l’impossibile, ordinandomi di colonizzare la Libia! E con quali mezzi, con quali forze?». Ma le sue parole non persuasero certo l’oracolo a un diverso responso; e visto che otteneva sempre la stessa risposta Batto piantò lì tutto e fece ritorno a Tera.

156. Da allora a lui personalmente e agli altri cittadini di Tera tutto andava storto. I Terei, non comprendendo il senso delle loro sciagure, mandarono a Delfi una delegazione per chiedere lumi sulle presenti disgrazie; e la Pizia sentenziò che, se avessero colonizzato Cirene in Libia insieme con Batto, avrebbero avuto migliore sorte. Allora i Terei fecero partire Batto con due penteconteri. Gli inviati navigarono fino alla Libia, ma quando poi, non sapendo che altro fare, tornarono a Tera, i Terei li respinsero via, non li lasciarono accostare a terra, anzi intimarono loro di ripartire per la Libia. Essi, costretti a farlo, raggiunsero di nuovo la Libia e colonizzarono nei suoi pressi un’isola, quella chiamata, come si è detto, Platea317. E si dice che l’isola sia grande come l’attuale città di Cirene.

157. Per due anni abitarono Platea senza che gliene venisse alcun vantaggio, finché, lasciato sul posto uno di loro, gli altri si recarono tutti a Delfi; qui giunti, si rivolsero all’oracolo, dichiarando che stavano abitando la Libia, ma che, malgrado ciò, non ci avevano guadagnato nulla. La Pizia a tale protesta rispose: «Se meglio di me tu conosci la Libia ricca di armenti, tu senza esservi andato meglio di me che vi sono andato318, assai ti ammiro per la tua sapienza». Udito il responso, Batto e suoi tornarono indietro; il dio infatti non li scioglieva dall’obbligo di fondare una colonia, prima che avessero raggiunto la Libia vera e propria. Arrivati nell’isola, raccolsero

316 Cfr. nota 304.317 Cfr. nota 309.318 Si sa da Pindaro (Pitica IX, 4 ss.) che Apollo era andato in Libia portandovi dalla

Tessaglia la ninfa Cirene, figlia di Ipseo, re dei Lapiti, di cui era innamorato, per farla regina di una terra ricca di greggi.

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l’uomo che vi avevano lasciato e andarono a colonizzare un territorio del continente libico, in faccia a Platea; tale località, attorniata da bellissime alture boscose e bagnata da un fiume su uno dei lati, si chiama Aziri319.

158. Abitarono questo posto per sei anni; al settimo dei Libici, promettendo loro di accompagnarli in una zona migliore, li convinsero ad abbandonare Aziri e li guidarono da lì verso occidente. E perché i Greci non vedessero, attraversandolo, il territorio più bello, calcolarono i tempi del viaggio in modo da farveli transitare di notte; si tratta della regione detta di Irasa320. Li condussero poi presso una sorgente, che si afferma sia di Apollo321 e dissero: «O Greci, a voi conviene stanziarvi qui, perché qui il cielo è forato»322.

159. Finché vissero Batto, il fondatore, che regnò per quaranta anni323, e suo figlio Arcesilao, che regnò per sedici, i Cirenei colà residenti rimasero tanti quanti vi erano stati mandati a fondare la colonia. Sotto il terzo re, Batto soprannominato Felice, la Pizia con un responso sollecitò tutti i Greci a imbarcarsi per andare ad abitare con i Cirenei, in Libia; i Cirenei dal canto loro li attiravano con la prospettiva di una spartizione delle terre. Ecco le parole dell’oracolo: «Chi nella Libia assai amabile verrà dopo che la terra sia stata divisa, dico che un giorno se ne pentirà». A Cirene dunque convenne una gran massa di gente, sicché i Libici324 circostanti e il loro re (che si chiamava Adicrane), vedendosi sottrarre molte terre e sentendosi derubati e oltraggiati dai Cirenei, mandarono un messaggero in Egitto e si consegnarono al re egiziano Aprieo325; Aprieo raccolse un grosso esercito di Egiziani e lo inviò contro Cirene. Ma i Cirenei sconfinarono in armi nel

319 È Aziris, antica città greca in Cirenaica.320 Irasa era una città in Cirenaica, di cui si conosce il re Anteo, il quale ebbe una figlia di

nome Alceis o Barce. Anteo è a volte identificato con l’omonimo gigante, figlio di Poseidone e di Gea, che viveva in una spelonca nella valle del fiume Bagrada, presso Zama, in Libia, cibandosi di carne di leone. Poiché la sua forza veniva accresciuta dalla madre ogni volta che toccava terra, Eracle (Ercole) riuscì a uccidere il gigante Anteo sollevandolo dal suolo.

321 Citata anche da Callimaco (Inno ad Apollo, 88) e da Pindaro (Pitica IV, 294), la “fonte di Apollo” era una sorgente alla quale il dio accompagnò, trasformato in un corvo bianco, la gente di Batto. Qui fu fondata una città ed eretto un tempio ad Apollo. La sorgente fu dedicata alla ninfa Cirene che, nei boschi di mirto che accerchiavano i primi insediamenti, si abbandonò alla passione con Apollo (cfr. nota 318).

322 Con “cielo forato” si allude forse alle abbondanti piogge nella zona di Cirene, in contrasto con il resto del paese (cfr. cap. 185).

323 I regnanti di Cirene, fondata nel 631 a.C., furono: Batto I (631-590 a.C.), Arcesilao (590-575 a.C.), Batto II, detto il Felice (o il Beato; 575-560 a.C.; durante il suo regno avvenne l’attacco egiziano citato nel cap. 159), Arcesilao II il Difficile (560-550 a.C.), Batto III lo Zoppo (550-530 a.C.), Arcesilao III (530-510 a.C.), Batto III il Bello (510-470 a.C.).

324 O Libi.325 Erodoto parla di Aprieo (o Apries) in II, 162 ss. Aprieo fu il quarto faraone della XXVI

dinastia egizia, saita, succedendo al padre Psammetico II nel 588 a.C.

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territorio di Irasa dalle parti della sorgente di Teste326 e si scontrarono con gli Egiziani, riportando la vittoria. Gli Egiziani, dato che non si erano mai misurati con i Greci e combattevano con disprezzo della propria vita, furono massacrati al punto che ben pochi di loro fecero ritorno in Egitto. Ne seguì che gli Egiziani, rimproverandogli anche questa sconfitta, si ribellarono ad Aprieo.

160. Figlio di Batto Felice fu Arcesilao il quale, come divenne re, per prima cosa lottò contro i propri fratelli, finché questi, lasciando Cirene, se ne andarono altrove in Libia a fondare di propria iniziativa la città che oggi si chiama, come allora, Barca327. E mentre fondavano Barca sobillavano i Libici contro i Cirenei. Più tardi Arcesilao marciò contro i Libici che li avevano accolti, gli stessi appunto che si erano ribellati. I Libici, per paura di Arcesilao, fuggirono verso le regioni orientali della Libia e Arcesilao li incalzò, finché non li raggiunse a Leucone di Libia e i Libici non decisero di scendere in campo. Nello scontro i Libici sbaragliarono i Cirenei, al punto che 7000 soldati di Cirene caddero sul luogo della battaglia. Dopo questa disfatta, Arcesilao, che stava male e aveva bevuto un farmaco, fu strangolato dal fratello Learco328; Learco a sua volta fu ucciso a tradimento dalla moglie di Arcesilao, che si chiamava Eryxo329.

161. Il regno passò nelle mani di Batto, figlio di Arcesilao, che era zoppo per una malformazione al piede. I Cirenei, vista la disgrazia che li aveva colpiti, mandarono a chiedere all’oracolo di Delfi con quale sistema di governo avrebbero potuto vivere nel modo migliore330. La Pizia li esortò a far venire da Mantinea in Arcadia un riformatore331. I Cirenei dunque fecero la richiesta e i Mantinei mandarono un uomo fra i più illustri della città, di nome Demonatte332. Arrivato a Cirene, costui studiò la situazione nei dettagli e istituì tre tribù, dividendo i cittadini in base al seguente criterio: formò una tribù con i Terei e i Perieci, una coi Peloponnesiaci e i Cretesi, la terza con

326 Questa fonte è forse quella di Apollo che Callimaco chiamò “Kyre” (cfr. nota 321).327 Barca (o Barce) era un’antica città greca in Cirenaica (attuale Libia nord-orientale),

identificabile nella città di Al Marj.328 Secondo Plutarco (Moralia, 260) Learco – amico del re e non fratello – fu ucciso per

motivi politici e per ordine del faraone Amasi, che era imparentato con lui (cfr. II, 181).329 O Erisso.330 L’instabilità di Cirene era dovuta all’aumento della popolazione (cap. 159), al disastro

militare a Leucon e alle faide reali (cap. 160).331 Mantinea era una piccola città greca del sud-est dell’Arcadia, nel Peloponneso, famosa

per la bontà della sua costituzione. Polibio la ricorda fra le città dotate delle migliori leggi, insieme a Sparta, Creta e Cartagine (VI, 43).

332 Di Demonatte di Mantinea, satrapo persiano insediatosi a Cirene intorno al 560-570 a.C., si ricordano le riforme citate da Erodoto e, più specificamente, la riorganizzazione della “Grande Agorà”, a pianta parallelepipeda ed edifici pubblici perimetrali in seguito all’arrivo di molti coloni di diverse etnie, religioni e stratificazioni sociali. Tra gli altri edifici, fu costruito un santuario ipetrale (senza copertura centrale) dedicato a Demetra – dea del grano e dell’agricoltura, protettrice del matrimonio e delle leggi sacre – e di sua figlia Persefone.

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tutti gli isolani; poi riservò al re Batto soltanto le aree dei santuari e le funzioni religiose, mettendo a disposizione del popolo tutte le altre prerogative che prima spettavano ai re.

162. Così stavano le cose all’epoca del re Batto, ma sotto suo figlio Arcesilao si produsse, sul problema delle prerogative, un grosso rivolgimento. Arcesilao, figlio di Batto lo zoppo e di Feretime, dichiarò che non si sarebbe attenuto agli ordinamenti di Demonatte di Mantinea e rivendicò gli stessi privilegi appartenuti ai suoi antenati. Tentò quindi un colpo di stato, ma fu sconfitto e dovette riparare a Samo, mentre sua madre si rifugiava a Salamina di Cipro333. A quell’epoca a Salamina comandava Eveltonte, lo stesso Eveltonte che consacrò il braciere di Delfi che si trova nel tesoro dei Corinzi334, mirabile oggetto. Giunta presso di lui, Feretime chiese un esercito che li scortasse a Cirene. Eveltonte in realtà era disposto a donarle qualunque cosa tranne un esercito; Feretime, prendendo quanto le veniva offerto, diceva che anche così andava bene, ma che sarebbe stato ancora meglio se le avesse dato l’esercito richiesto. Rispondeva così ogni volta che riceveva un regalo, finché Eveltonte le inviò in dono un fuso d’oro e una conocchia, con tanto di lana; di fronte alla consueta risposta di Feretime, Eveltonte replicò che erano quelli i regali adatti a una donna, non un esercito.

163. Nel frattempo Arcesilao, che si trovava a Samo335, radunava uomini col miraggio di una distribuzione delle terre. Raccolto un contingente notevole, si recò a Delfi a consultare l’oracolo sul suo rientro in patria. E la Pizia gli rispose: «Con quattro Batti e quattro Arcesilai, otto generazioni di uomini, il Lossia336 vi concede di regnare su Cirene: più di tanto vi esorta a non provarci neppure. Tu, dunque, torna nel tuo paese, ma stattene tranquillo. E

333 Situata a nord dell’isola di Cipro, Salamina fu il teatro della battaglia navale del 450 a.C. tra i vittoriosi Ateniesi e i Persiani.

334 In I, 14 Erodoto descrive il tesoro dei Corinzi: «Ecco insomma come i Mermnadi avevano conquistato il potere, sottraendolo agli Eraclidi. Gige, quando fu re, inviò rilevanti offerte a Delfi, in pratica la maggior parte di tutte le offerte in argento che vi si trovano; e oltre all’argento dedicò anche oro in grande quantità, fra cui è degna di menzione una serie di sei crateri d’oro: oggi si trovano nel tesoro dei Corinzi e raggiungono un peso di trenta talenti. Però a dire il vero il tesoro non appartiene allo stato di Corinto, bensì a Cipselo figlio di Eezione. Gige fu il primo barbaro di cui abbiamo notizia a inviare offerte a Delfi dopo Mida, figlio di Gordio, re di Frigia. Mida aveva consacrato il trono regale da cui amministrava la giustizia, un oggetto che merita di essere visto: questo trono si trova dove sono collocati anche i crateri di Gige. Gli abitanti di Delfi chiamano “Gigade”, dal nome del donatore, l’oro e l’argento offerti da Gige. Quando ebbe il potere, anch’egli inviò spedizioni militari contro Mileto e Smirne, ed espugnò la città di Colofone, ma non ci fu nessuna altra impresa durante i 38 anni del suo regno, e anche di questa basterà aver fatto menzione».

335 L’alleanza fra Arcesilao e Samo è documentata da una tetradramma (moneta) di Cirene, che porta impressi la testa di leone, simbolo di Samo, e il silfio, pianta tipica di Cirene, di cui Erodoto parla nel cap. 169 (cfr. nota 350).

336 È il dio Apollo. Erodoto ne parla in I, 91.

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se trovi il forno pieno di anfore, non le cuocere, ma falle partire con vento propizio; se accenderai il forno non entrare nella “cinta dalle acque”, altrimenti morirai tu stesso, assieme al toro più bello».

164. Tale fu la risposta della Pizia. Arcesilao prese con sé gli uomini reclutati a Samo e rientrò a Cirene, e quando fu di nuovo padrone della situazione, si scordò dell’oracolo: cominciò a vendicarsi dei suoi avversari, che lo avevano costretto all’esilio. Alcuni di essi si allontanarono senz’altro dal paese, altri furono catturati da Arcesilao e inviati a Cipro per essere uccisi. Questi ultimi furono trascinati dai venti nel paese di Cnido337, salvati dai locali e spediti a Tera. Altri Cirenei si rifugiarono su un’alta torre, proprietà di Aglomaco; Arcesilao fece ammucchiare intorno alla torre cataste di legna e li bruciò vivi. Ma quando si rese conto che il suo atto corrispondeva alle parole dell’oracolo, per cui la Pizia non gli concedeva di cuocere le anfore trovate nella fornace, si escluse volontariamente dalla città dei Cirenei: temeva la morte preconizzata dal dio ed era convinto che Cirene fosse il luogo cinto dall’acqua. Aveva per moglie una sua parente, figlia del re dei Barcei338; il re si chiamava Alazir, e presso di lui si trasferì Arcesilao; ma dei Barcei, assieme ad alcuni esuli di Cirene, quando lo seppero, lo aspettarono in piazza e lo uccisero, e con lui uccisero anche il suocero Alazir. Così Arcesilao compì il suo destino: volente o nolente aveva frainteso le parole dell’oracolo.

165. Sua madre Feretime, finché Arcesilao se ne stava a Barca autore ormai del proprio male, deteneva personalmente le prerogative del figlio a Cirene, amministrando tutto il resto e partecipando alle sedute del Consiglio. Quando seppe che il figlio le era morto a Barca, se ne andò in esilio in Egitto, dove in effetti a suo credito aveva alcuni servigi resi da Arcesilao a Cambise figlio di Ciro339. Suo figlio era infatti l’Arcesilao che aveva consegnato Cirene a Cambise e si era autoimposto un tributo340. Giunta in Egitto, Feretime si rivolse come supplice ad Ariande e lo esortò a vendicarla, sostenendo che il figlio era morto per la sua politica filopersiana.

166. Ariande era quello stesso che, nominato governatore d’Egitto da Cambise, più tardi osò paragonarsi a Dario e fece una brutta fine: infatti, saputo e constatato che Dario desiderava lasciare un ricordo di sé quale mai nessun re aveva realizzato, volle in questo imitarlo, fino a quando non

337 Cnido era una città greca situata nella regione della Caria, di fronte ad Alicarnasso, in Anatolia. Fondata dai dori del Peloponneso, commerciava con l’Egitto e teneva il suo tesoro nel santuario di Delfo.

338 Barcei, abitanti di Barca (cfr. nota 327).339 Cambise I (600 a.C.-559 a.C.), re persiano della dinastia degli Achemenidi, era figlio di

Ciro I e padre di Ciro il Grande. Anziché limitarsi a rinsaldare l’impero, fu molto attivo sul piano militare, lanciandosi alla conquista dell’Egitto e sottomettendo le colonie greche nordafricane di Cirene e Barca.

340 Cfr. III, 13 dove Erodoto ricorda l’atto di sottomissione di Cirene, ma anche l’inadeguatezza del tributo.

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ottenne la meritata ricompensa. Dario coniava monete d’oro purissimo, privo di scorie il più possibile341, Ariande, da governatore dell’Egitto, faceva lo stesso con l’argento: tanto che ancora oggi l’argento più puro è detto “ariandico”. Ma quando Dario lo venne a sapere, lo mandò a morte con il pretesto che gli si era ribellato342.

167. Nel caso nostro Ariande ebbe pietà di Feretime e le mise a disposizione l’intero esercito egiziano, fanteria e flotta343. Come comandanti assegnò alla fanteria Amasi, un uomo di Marafi344, e alla flotta Badra345, della stirpe dei Pasargadi346. Prima però di dare all’esercito l’ordine di partire, Ariande mandò un ambasciatore a Barca per sapere chi avesse ucciso Arcesilao; i Barcei si assunsero una responsabilità collettiva, perché tutti avevano subìto numerosi torti da Arcesilao. Appreso ciò, Ariande spedì il suo esercito insieme con Feretime. Questa spiegazione dell’impresa era più che altro un pretesto; secondo me, l’esercito fu mandato a soggiogare la Libia. In quel momento delle molte e varie popolazioni libiche esistenti soltanto poche erano sottomesse al re persiano, le altre di Dario non si curavano proprio.

168. Ed ecco come sono distribuite nel territorio le popolazioni libiche347. A partire dall’Egitto i primi abitanti della Libia sono gli Adirmachidi, che hanno usanze per lo più di tipo egiziano, ma vestono come gli altri Libici. Le loro donne su ciascuna gamba portano un cerchietto di bronzo; portano capelli lunghi e quando acchiappano un pidocchio gli danno un morso in cambio dei molti ricevuti e lo gettano via. Sono gli unici Libici a fare così; e sono anche gli unici a mostrare al loro re le ragazze vergini che stanno per sposarsi: e quelle che rispondono ai gusti del re perdono con lui la propria verginità. Questi Adirmachidi si estendono dall’Egitto fino al porto detto di Plino348.

169. Confinano con loro i Giligami, il cui territorio si estende verso occidente fino all’isola di Afrodisiade349. Fra le due regioni si situa l’isola di Platea, quella colonizzata dai Cirenei, e sul continente sorgono il porto di Menelao e la città di Aziri, che fu abitata dai Cirenei. E da qui si comincia a trovare il

341 Il “darico” persiano fu la moneta d’oro più diffusa dell’antichità e la più famosa proprio per la sua purezza. I tributi pagati a Dario in oro e argento sono ricordati da Erodoto in III, 89 e 95; da essi il re traeva il metallo necessario a coniare monete. In Grecia fino al V secolo a.C. le monete erano soltanto d’argento.

342 Ariande fu punito da Dario perché aveva osato rivaleggiare con lui battendo moneta.343 Si tratta della spedizione citata nel cap. 145, avvenuta intorno al 510 a.C.344 I Marafi sono ricordati da Erodoto fra le più antiche famiglie persiane (I, 125).345 O Badre.346 Alla tribù dei Pasargadi appartenevano gli Achemenidi, la famiglia di Ciro e di Dario.347 Erodoto divide i popoli libici in due gruppi prendendo come punto di riferimento il fiume

Tritone, che sbocca nel lago Tritonide (capp. 178 e 191); quelli a occidente, verso i monti dell’Atlante, sono dediti all’agricoltura e quelli a oriente, al nomadismo. Ogni gruppo è diviso in tribù, di cui Erodoto dà l’elenco.

348 Attuale golfo di Sollum.349 L’isola di Afrodisiade è stata identificata nell’isolotto di Chèrsa, a nord-est di Derna che

fu capitale della Cirenaica.

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silfio350: infatti il silfio cresce da Platea fino all’imboccatura della Sirte. I Giligami possiedono usanze molto simili a quelle degli altri.

170. A ovest dei Giligami risiedono gli Asbisti, oltre Cirene, nell’interno; gli Asbisti non arrivano fino al mare: la zona costiera appartiene ai Cirenei. Fra i Libici essi non sono certo i meno abili guidatori di quadrighe, anzi, e come leggi prendono a modello, per lo più, quelle dei Cirenei.

171. A occidente degli Asbisti ci sono gli Auschisi; risiedono a sud di Barca e raggiungono il mare all’altezza della città di Evesperidi351. In mezzo agli Auschisi vivono i Bacali, un piccolo popolo; raggiungono il mare presso Tauchira352, città della Barcea. Hanno le stesse usanze dei Libici stanziati oltre Cirene.

172. A ovest degli Auschisi abitano i Nasamoni353, un popolo alquanto numeroso: essi d’estate lasciano le greggi sulla costa e si addentrano nell’interno fino alla località di Augila354, per la raccolta dei datteri; qui le piante crescono in gran numero, rigogliose e tutte fruttifere. Vanno a caccia di locuste, le fanno seccare al sole, le tritano, le mescolano al latte e si bevono il tutto. Normalmente possiedono ciascuno molte mogli in comune e si uniscono ad esse, un po’ come i Massageti355: piantano un bastone davanti alla casa e si congiungono con loro. La prima volta, quando un Nasamone prende moglie, è usanza che la sposa passi la prima notte con gli invitati al banchetto, unendosi con tutti; ognuno di loro, dopo il rapporto, le offre in dono ciò che si era portato da casa. Giuramenti e arte divinatoria funzionano in questo modo: giurano su quanti hanno fama di essere stati fra loro giustissimi e valorosissimi, toccandone le tombe, e divinano il futuro

350 Il silfio è una pianta delle Ombrellifere, scomparsa dal I secolo d.C. e perciò di difficile identificazione, che cresceva soltanto in Cirenaica, di cui rappresentava la principale risorsa commerciale. Il silfio era infatti molto richiesto sia come spezie che per le sue virtù medicinali (soprattutto, secondo Plinio il Vecchio, come contraccettivo o abortivo) e spesso riprodotto sulle monete. Secondo la leggenda, la pianta era un dono del dio Apollo.

351 O Euesperidi, è l’odierna Bengasi, che durante la dinastia tolemaica (che governò l’Egitto dal 305 a.C. al 30 a.C.) aveva nome Berenice.

352 Tauchira (attuale Tocra) era una città sul litorale della Cirenaica la cui provincia si componeva, nei tempi classici, di cinque città di origine greca che formavano la cosiddetta Pentapoli: la capitale Cirene (presso l’attuale villaggio di Shabhat) con il suo porto di Apollonia (oggi Marsa Susa), Arsinoe (l’antica Tauchira e l’attuale Tocra, chiamata Arsinoe da Tolomeo II – secondo re dell’Egitto ellenistico dal 285 a.C. – in onore della sorella e moglie Arsinoe II), Berenice (Bengasi) e Barca (Al Marj).

353 Tauchira (attuale Tocra) era una città sul litorale della Cirenaica la cui provincia si componeva, nei tempi classici, di cinque città di origine greca che formavano la cosiddetta Pentapoli: la capitale Cirene (presso l’attuale villaggio di Shabhat) con il suo porto di Apollonia (oggi Marsa Susa), Arsinoe (l’antica Tauchira e l’attuale Tocra, chiamata Arsinoe da Tolomeo II – secondo re dell’Egitto ellenistico dal 285 a.C. – in onore della sorella e moglie Arsinoe II), Berenice (Bengasi) e Barca (Al Marj).

354 Augila è oggi un’importante oasi della parte orientale della Libia.355 Cfr. nota 21.

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recandosi ai sepolcri dei loro antenati, recitando preghiere e mettendosi lì a dormire; l’oracolo si deduce da quanto ciascuno vede in sogno. Ed ecco come si scambiano pegno di reciproca fedeltà: uno porge da bere dalla propria mano e a sua volta beve dalla mano dell’altro; se non hanno a disposizione niente di liquido raccolgono della polvere da terra e la leccano.

173. Limitrofi dei Nasamoni sono gli Psilli, i quali però perirono tutti come segue. Il vento Noto356, a furia di soffiare, aveva prosciugato le riserve d’acqua, sicché il loro territorio, situato all’interno della Sirte, era arido; gli Psilli di comune accordo decisero di marciare in guerra contro il Noto (riferisco ciò che raccontano i Libici), ma quando furono nel deserto sabbioso le raffiche del Noto li seppellirono. Dalla loro definitiva scomparsa il territorio appartiene ai Nasamoni.

174. Oltre i Nasamoni, verso sud, nella regione popolata dalle fiere vivono i Garamanti357, che evitano ogni essere umano e qualunque compagnia; non possiedono armi da guerra, né sanno come difendersi.

175. Questi dunque vivono oltre i Nasamoni; lungo la costa, invece, a ovest, ci sono i Maci, che si tagliano i capelli a cresta, lasciando crescere la parte centrale della capigliatura e radendosi a zero sulle due parti laterali; in guerra, per proteggersi il corpo, vestono pelli di struzzo358. Da una altura detta delle Cariti il fiume Cinipe359 scorre attraverso il paese e sfocia in mare. Il colle delle Cariti è ricoperto da una folta boscaglia, mentre tutta la Libia fin qui descritta è completamente spoglia. Dal mare al colle ci sono venti stadi360.

176. Accanto ai Maci vivono i Gindani; le loro donne, intorno alle caviglie, portano ciascuna svariati anelli di cuoio in gran numero e con il seguente criterio (così si racconta): una striscia intorno alle caviglie per ogni uomo con cui si siano unite; e quella che ne ha di più è stimata la migliore, per essere stata amata dal maggior numero di uomini.

177. Il tratto di costa che si protende sul mare nel territorio dei Gindani è

356 Il vento da sud, chiamato anche Austro (cfr. nota 235).357 I Garamanti (o Garamantes) erano una popolazione di lingua berbera che regnava nella

regione del Fezzan (attuale Libia) e costituirono una potenza regionale nel Sahara all’incirca tra il 500 a.C. e il 500 d.C. con capitale in Garama, corrispondente all’attuale Germa. Il nome dei Garamenti risale a un mito pervenutoci in un frammento de Le Argonautiche di Apollonio Rodio (III secolo a.C.) in cui si dice che la cretese Acacallide fu esiliata in Libia per volere del padre, il re Minosse, in quanto sedotta dal dio Apollo. In Libia Acacallide generò (da Apollo) Garamante, che fu il padre di Nasamone.

358 Erodoto, in VII, 70, rileva un uso simile tra gli Etiopi d’Oriente (Asia), che hanno scudi di pelli di gru.

359 Il Cinipe (oggi Macer) è un fiume collocato ad oriente dell’antica Leptis Magna, nel Golfo della Sirte (attuale golfo di Sidra), che ha dato nome alla regione (cfr. cap. 198).

360 In alcune traduzioni gli stadi sono duecento; per la misura cfr. nota 167.

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abitato dai Lotofagi, che vivono cibandosi esclusivamente del frutto del loto361. Il frutto del loto è grande quanto una cipolla e ricorda, per la dolcezza, il dattero. I Lotofagi ne ricavano anche un vino.

178. Accanto ai Lotofagi, lungo la costa, ci sono i Macli; anch’essi si nutrono con il loto, ma non esclusivamente come i Lotofagi ora citati. Il loro territorio si estende fino a un grande fiume che si chiama Tritone e sfocia nella vasta palude Tritonide362; nella palude si trova l’isola detta di Fla, che gli Spartani, così si racconta, dovevano colonizzare in seguito a un oracolo.

179. E anche un’altra leggenda si racconta: Giasone, terminata la costruzione della nave Argo sotto il monte Pelio, vi imbarcò le bestie per un grande sacrificio e un tripode di bronzo; poi circumnavigò il Peloponneso con l’intenzione di raggiungere Delfi. Come fu all’altezza del capo Malea si levò un forte vento di nord che lo trascinò fino in Libia. Prima di scorgere la terraferma finì fra le secche della palude Tritonide363; non sapeva come uscirne, ma gli apparve, si dice, Tritone. Il dio ordinò a Giasone di consegnargli il tripode, con la promessa di mostrargli la via d’uscita e di farli così ripartire senza danni. Giasone obbedì e Tritone gli mostrò come navigare fuori dalle secche; poi il dio depose l’oggetto nel proprio santuario, non senza aver divinato dal tripode e preannunciato a Giasone e ai suoi tutto il futuro: quando un discendente degli Argonauti si fosse portato via quel tripode, allora, inevitabilmente, cento città greche sarebbero state fondate sulle rive della Palude Tritonide. E pare che i Libici abitanti del luogo, udito ciò, abbiano nascosto il tripode.

180. Accanto ai Macli vivono gli Ausei; Ausei e Macli abitano intorno alla palude e il fiume Tritone segna il confine fra loro. I Macli si fanno crescere i

361 I Lotofagi sono un popolo mitico di cui parla Omero nell’Odissea: essi offrirono a Ulisse e ai suoi marinai i fiori di loto che avevano la caratteristica di far perdere la memoria. Tra le ipotesi di identificazione di questa pianta, c’è quella che la indica come il giaggiolo di Barberia (Zizyphus lotus), dai cui frutti si ottiene una bevanda alcolica dagli effetti inebrianti.

362 Il fiume Tritone e il lago Tritonide non sono stati identificati con certezza, anche se si sa che insistono nella regione di Gafsa (la romana Capsa), nel sud della Tunisia. Poiché il lago Tritonide dovrebbe essere un braccio di mare, in quanto Giasone (cfr. nota 284) si trovò nelle sue secche prima di vedere terra (cap. 179), esso potrebbe essere la piccola Sirte (golfo di Gabès), oppure il lago Faroon, larga distesa paludosa ad ovest del golfo di Gabès, o ancora il tratto di mare tra l’isola di Djerba e la terraferma (quindi a est del golfo di Gabès). Un’ultima ipotesi è che il lago si trovi non sulla costa ma nell’interno tunisino: il lago potrebbe essersi trasformato in una estesa palude poi disseccatasi (attuale lago salato di Chott El Djerid) e l’isola sarebbe l’odierna città di Tozeur, poiché nella zona sono presenti piccoli fiumi, cascate e sorgenti che mostrano la presenza di acqua sotterranea. Sia il fiume Tritone che il lago Tritonide erano dedicati al dio Tritone, figlio del dio del mare Poseidone. Tritone – metà uomo e metà pesce – calmava le tempeste col suono del suo corno di conchiglia, aiutando così Giasone e gli Argonauti a mantenere la rotta.

363 Secondo Pindaro (Pitica IV, 20-27) Giasone giunse al lago Tritonide durante il ritorno dalla Colchide, quando la nave Argo dovette essere trasportata via terra per dodici giorni.

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capelli lunghi dietro, gli Ausei davanti. Nell’annuale festa dedicata ad Atena364 le ragazze degli Ausei si dividono in due gruppi e combattono fra loro a sassate e a colpi di bastone; dicono di onorare in tal modo le patrie tradizioni in gloria della divinità locale, che noi chiamiamo Atena; le ragazze che muoiono per le ferite riportate le chiamano “false-vergini”. Ecco cosa fanno prima di lasciarle combattere: a spese della comunità adornano una ragazza, di volta in volta la più bella, con un elmo di Corinto365 e una armatura completa greca, la fanno salire su un carro e la conducono in giro per la palude. Con quali armi ornassero le ragazze prima che i Greci giungessero a stabilirsi fra loro, non saprei dirlo, suppongo con armi egiziane; in effetti secondo me lo scudo rotondo e l’elmo sono arrivati in Grecia dall’Egitto. A sentir loro Atena nacque figlia di Posidone e di Tritonide, la palude, ma poi, avendo qualcosa da rimproverare al padre, si affidò a Zeus, che l’avrebbe adottata come figlia propria. Così raccontano. Praticano la comunanza delle donne, senza matrimoni e accoppiandosi come animali. Quando un bambino di una donna comincia ad assumere una sua fisionomia, entro tre mesi gli uomini si riuniscono e lo dichiarano figlio di quello a cui più assomigli.

181. Ecco dunque elencati i Libici nomadi della costa, oltre i quali, verso l’interno, c’è la Libia popolata da bestie feroci; al di là di essa comincia un ciglio sabbioso e desertico, che va da Tebe in Egitto366 fino alle Colonne d’Eracle. In questa zona, a circa dieci giorni di cammino l’una dall’altra, si trovano delle collinette ricoperte da agglomerati di grossi blocchi di sale; proprio dalla cima di queste collinette scaturisce uno zampillo d’acqua fresca e dolce, nel bel mezzo del sale; attorno vi abitano uomini che sono gli ultimi oltre la regione delle bestie feroci, verso il deserto: a partire da Tebe i primi (a dieci giorni di cammino da Tebe) sono gli Ammoni367, padroni del

364 Nella mitologia greca, Atena (o Athena) figlia di Zeus e di Metide, era la dea della sapienza in tutti i suoi aspetti, delle arti, della tessitura e della lavorazione dei metalli, ed era la protettrice degli eroi in guerra. Suoi simboli sacri erano la civetta e l’ulivo. È raffigurata vestita di una corazza di pelle di capra (egida: cfr. cap. 189) donatale dal padre Zeus e con l’elmo e lo scudo con la testa della Gorgone Medusa, dono votivo di Perseo. Poiché non ebbe mariti o amanti, era nota come “Athena Parthenos” (La vergine Atena).

365 L’elmo di Corinto, o elmo corinzio, era di cuoio o di bronzo e spesso adornato alla sommità con una cresta o un grifone. Adottato nell’Attica e in Magna Grecia, era molto coprente e limitante per la vista e l’udito, perché dotato di copriguance fisse che nascondevano gran parte del volto. Deve il nome alla città greca di Corinto, antico e importante porto del Peloponneso, ora posta sullo sbocco del canale che unisce Megaride con Argolide costruito tra il 1881 e il 1893. Secondo la leggenda, Corinto fu fondata da Sisifo – il più astuto tra i mortali, secondo la mitologia – nel 1429 a.C.

366 Tebe era una città molto importante dell’Alto Egitto, situata presso le attuali Karnak e Luxor. Era anche detta “la città di Amon”, perché messa sotto la protezione del dio Amon, re di tutti gli dei. Nel 663 a.C. fu completamente distrutta dall’invasione di Assurbanipal e i suoi abitanti resi schiavi e deportati. In età cristiana il nome della città mutò in Tria Kastra, quindi divenne el-Uqsur, da cui l’attuale Luxor. Lungo la riva del Nilo, si stende la necropoli tebana e assai note sono la Valle delle Regine e la Valle dei Re.

367 Gli Ammoni erano gli abitanti dell’oasi di Siwa – nell’Egitto nord-occidentale, quasi al

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santuario derivato dal santuario di Zeus a Tebe; infatti anche a Tebe, come ho già precedentemente ricordato, Zeus viene rappresentato con volto di capro. Gli Ammoni possiedono anche un’altra sorgente d’acqua, che è tiepida all’alba e più fresca nell’ora in cui il mercato è più affollato; a mezzogiorno poi è decisamente fredda: è allora che la usano per innaffiare gli orti; col declinare del giorno l’acqua perde a poco a poco la freschezza, finché il sole tramonta e l’acqua è tiepida; poi si scalda sempre più fino a mezzanotte, quando bolle furiosamente; poi la mezzanotte passa, si va verso l’aurora e l’acqua di nuovo si raffredda. E per indicare questa sorgente, la chiamano “fonte del sole”368.

182. Dopo gli Ammoni, attraverso il ciglio sabbioso, a distanza di altri dieci giorni di viaggio, c’è un colle di sale simile a quello degli Ammoni, con tanto di sorgente, intorno al quale vivono uomini. Il nome di questa località è Augila369. È qui che vengono i Nasamoni a fare la loro provvista di datteri.

183. Ad altri dieci giorni di cammino da Augila ci sono una collina di sale, una sorgente e palme da datteri in gran numero, come nelle altre località; vi abitano uomini che si chiamano Garamanti370, popolazione assai numerosa; riescono a coltivare accumulando terra sopra lo strato di sale. Da lì la strada più breve conduce presso i Lotofagi371, e sono trenta giorni di viaggio; fra loro si trovano anche i buoi che pascolano camminando all’indietro; si comportano così per la seguente ragione: hanno le corna piegate in avanti, e quindi pascolano retrocedendo perché avanzando le corna si pianterebbero per terra. Nessun’altra caratteristica li distingue dagli altri buoi a parte il modo di incedere e la pelle, per spessore e ruvidezza. Questi Garamanti sulle loro quadrighe danno la caccia agli Etiopi Trogloditi372; in effetti gli Etiopi Trogloditi sono gli uomini più veloci al mondo nella corsa tra quelli di cui abbiamo sentito parlare. I Trogloditi si cibano di serpenti, lucertole e altri rettili del genere; parlano una lingua che non somiglia a nessun’altra, anzi emettono strida assai acute, come i pipistrelli.

confine con la Libia – che era il centro di culto del dio egizio Amon (o Ammone, o Ammonio) che per i Greci equivaleva a Zeus (cfr. II, 42) e per altri al dio Sole. Nel VI secolo a.C. l’imperatore persiano Cambise II, dopo avere sottomesso l’Egitto, cercò di conquistare l’oasi con un esercito che si perse nel deserto senza più fare ritorno. Al celebre oracolo ospitato nel tempio di Amon a Siwa si rivolse anche Alessandro Magno (IV secolo a.C.) ricevendone la consacrazione a figlio della divinità.

368 La “fonte del Sole” – di cui hanno parlato altri autori antichi, come Lucrezio – è stata identificata vicino al grande tempio di Amon. È una sorgente sulfurea di acqua calda, che di giorno sembra raffreddarsi, a mano a mano che l’aria si riscalda. Il fenomeno naturale, non spiegato, nell’antichità era considerato prodigioso.

369 Cfr. nota 354. Per i Nasamoni, citati in seguito, cfr. nota 353.370 Cfr. nota 357.371 Cfr. nota 361.372 I Greci definivano “Nomadi Trogloditi” un gruppo di popolazioni che abitava a oriente del

Nilo, particolarmente nelle regioni vicine all’Etiopia.

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184. Ad altri dieci giorni di cammino dai Garamanti ci sono una collina di sale e una sorgente; attorno vi abitano uomini che si chiamano Ataranti: che sono gli unici uomini al mondo, a nostra conoscenza, a non avere nomi personali; tutti assieme si chiamano Ataranti, ma individualmente non hanno nomi. Maledicono il sole, quando picchia forte, e oltre a maledirlo pronunciano al suo indirizzo tutte le imprecazioni possibili, perché con il suo ardore li sfinisce, loro e la loro terra. Dopo dieci ulteriori giorni di marcia, altra collina di sale, altra sorgente e altri uomini stanziati intorno a essa. Poco oltre si innalza il monte chiamato Atlante373. L’Atlante è un monte stretto e arrotondato su ogni versante, ma tanto alto che le sue vette, pare, non si possono nemmeno vedere: non sono mai sgombre di nubi, né d’estate, né d’inverno; a sentire gli abitanti del luogo, l’Atlante è la colonna che sorregge la volta celeste. La popolazione ha derivato il suo nome da quello del monte: si chiamano infatti Atlanti. Affermano di non cibarsi di alcun animale e di non sognare.

185. Fino agli Atlanti sono in grado di elencare i nomi dei popoli stanziati nel ciglio sabbioso, oltre non più; ma la zona di sabbia si estende fino alle colonne d’Eracle e oltre. In tale regione si trova una miniera di sale ogni dieci giorni di viaggio e uomini stanziati; tutte queste genti si costruiscono abitazioni con blocchi di sale374; si tratta già di zone della Libia prive di piogge: in effetti i muri fatti di sale non resterebbero in piedi se vi piovesse. Il sale estratto dal suolo si presenta di colore bianco o rosso. Al di là di questa striscia di territorio, verso il sud e l’interno della Libia, il paese è un deserto senz’acqua, senza animali, senza pioggia e alberi, senza la minima traccia di umidità.

186. Così dall’Egitto fino alla Palude Tritonide i Libici sono nomadi che si cibano di carne e bevono latte, che si astengono rigidamente dalle femmine dei bovini, per la stessa ragione degli Egiziani, e che non allevano maiali. Neanche le donne dei Cirenei considerano lecito mangiare carne di vacca: se ne astengono in onore dell’Iside egiziana375; per questa dea anzi osservano digiuni e celebrano feste. Le donne dei Barcei evitano di consumare carne di

373 Si suppone che Erodoto inserisca la tradizione greca che vede in Atlante il Titano che regge le colonne su cui poggia il mondo (Odissea I, 53 ss.) – attribuendo agli indigeni l’idea che il monte sia una colonna del cielo – perché ha informazioni vaghe e confuse. L’Atlante è un sistema montuoso dell’Africa nord-occidentale, tra Marocco, Algeria e Tunisia, ed è diviso in sette diverse catene montuose, la cui vetta più elevata è lo Jebel Toubkal (4165 m). Deve il nome ad Atlante, che, secondo la mitologia greca, fu costretto da Zeus a tenere sulle spalle l’intera volta celeste, in quanto si era alleato con il padre di Zeus, Crono, contro gli dèi dell’Olimpo. Fu trasformato in monte da Perseo e continuò a sorreggere la volta celeste.

374 Le case di sale si pensa fossero in Tunisia, cosa che confermerebbe il precedente riferimento ai monti Atlante.

375 Iside (o Isis, o Isi) è la dea egizia della maternità e della fertilità, sorella e sposa di Osiride, da cui ebbe Horo. Iside è spesso simboleggiata da una vacca ed è raffigurata con le corna bovine, tra le quali è racchiuso il sole, ma ha anche altre iconografie.

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vacca e anche carne suina.

187. Tale è dunque la situazione. A ovest della palude Tritonide i Libici non sono più nomadi, non ne possiedono le usanze, e non fanno ai loro bambini quanto i nomadi praticano abitualmente. Ecco infatti cosa fanno i nomadi libici, se proprio tutti non saprei dirlo con certezza, ma certo parecchi di loro. Quando i loro bambini hanno quattro anni, con grasso estratto dalla lana di pecora gli cauterizzano le vene sulla sommità del capo, altri invece le vene delle tempie, allo scopo di impedire per sempre all’umore flemmatico376 che scorre giù dalla testa di nuocere alla salute del ragazzo. E dicono di essere sanissimi grazie a ciò. Ed effettivamente i Libici sono i più sani fra quanti uomini conosciamo; che questa ne sia la spiegazione non potrei affermarlo con certezza, ma è un fatto che sono sanissimi. Nel caso che i bambini, mentre li cauterizzano, vengano presi da convulsioni, hanno trovato un rimedio: li salvano aspergendoli con orina di capro. Riferisco quanto raccontano i Libici.

188. Ecco come i nomadi eseguono i sacrifici: staccano come primizia l’orecchio della vittima e lo scagliano al di sopra della casa, fatto ciò torcono il collo all’animale. Sacrificano soltanto al sole e alla luna; o meglio tutti i Libici al sole e alla luna, quelli che abitano nei pressi della palude Tritonide ad Atena prima di tutto, poi a Tritone e a Posidone377.

189. La veste e l’egida delle statue di Atena i Greci le presero dalle donne libiche, tranne pochi particolari (l’abito femminile libico è di cuoio, le frange che pendono dalle egide sono semplici strisce e non rappresentano serpenti

376 Nella medicina antica, il flegma o umore flemmatico è uno dei quattro umori esistenti nel corpo umano (sangue, acqua, bile, flegma). Se essi sono in equilibrio, l’uomo è in buona salute, se anche uno solo prevale, egli si ammala. Il flegma era ritenuto di origine cerebrale e perciò i Libici cauterizzando le vene della testa eliminavano l’eccesso di flegma. Erodoto sostiene che essi sono sanissimi per questa abitudine, ma precedentemente ha attribuito la loro salute al clima: «Quanto poi alla popolazione umana, gli abitanti dell’Egitto seminato […] si purgano ogni mese per tre giorni di seguito e si curano la salute con emetici e lavaggi, perchè ritengono che tutte le malattie derivino dai cibi con cui ci si nutre. Del resto sono gli Egiziani, dopo i Libici, la gente più sana del mondo; secondo me in grazia del clima, perchè non ci sono trapassi di stagione. Sono i cambiamenti che per lo più sviluppano le malattie, qualsiasi cambiamento, e specialmente quelli di stagione» (II, 77).

377 Il culto di Posidone (o Poseidone) fu in realtà introdotto dai Greci che fondarono la colonia di Cirene (cfr. nota 312), ma Erodoto afferma che era un dio libico: «Dall’Egitto vennero in Grecia quasi tutte le divinità. Di una loro origine barbara io sono convinto perché così risulta dalle mie ricerche; e penso a una provenienza soprattutto egiziana. Infatti a eccezione di Posidone e dei Dioscuri, come ho già avuto modo di dire, nonché di Era, di Estia, di Temi, delle Cariti e delle Nereidi, le altre divinità sono tutte presenti da sempre in quel paese, fra gli Egiziani: riporto quanto essi stessi dichiarano. Quanto alle divinità che sostengono di non conoscere io credo che tutte siano espressione dei Pelasgi, tranne Posidone. Conobbero questo dio dai Libici; infatti nessun popolo conosce Posidone fin dalle origini tranne i Libici, che da sempre lo onorano. Quanto al culto degli Eroi, esso è del tutto estraneo alle consuetudini egiziane» (II, 50).

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); per il resto il modello è rispettato fedelmente. D’altra parte persino il nome rivela la provenienza libica dell’abbigliamento dei Palladi378: le donne di Libia portano intorno alla veste delle pelli di capra rasate e ornate con frange, tinte di rosso, e da queste pelli (egee) i Greci derivarono il termine “egida”379. A mio avviso anche il grido acuto rituale che accompagna i sacrifici è originario della Libia: esso è molto in uso fra le donne della Libia, e con begli effetti. I Greci poi hanno appreso dai Libici ad aggiogare tiri a quattro cavalli380.

190. I nomadi, eccetto i Nasamoni, seppelliscono i defunti alla maniera dei Greci; i Nasamoni li seppelliscono seduti: e quando qualcuno sta per esalare l’ultimo respiro, stanno attenti a metterlo seduto, che non muoia coricato. Le loro abitazioni sono fatte di gambi di asfodelo e di giunco intrecciati, e sono trasportabili381. Tali sono dunque gli usi di queste genti.

191. A ovest del fiume Tritone, presso gli Ausei, vivono già dei Libici agricoltori, che si chiamano Massi, abituati a possedere dimore fisse. Essi portano capelli lunghi sul lato destro del capo, mentre radono il sinistro, e si tingono il corpo col minio. Sostengono di essere discendenti degli eroi di Troia382. Questa zona e la restante Libia occidentale sono ben più popolate da animali e folte di vegetazione rispetto alla regione dei nomadi. In effetti la parte orientale della Libia, quella abitata dai nomadi, si presenta piatta e sabbiosa, fino al fiume Tritone; invece a partire dal Tritone verso occidente, il paese degli agricoltori è assai montuoso, boscoso e ricco di fiere. In questa regione383 si trovano i serpenti più grossi e i leoni, gli elefanti; e orsi,

378 Da Pallade, epiteto della dea Atena.379 Di solito si ritiene che il termine “egida” derivi dalla capra, ma un passo di un’opera di

Eschilo (VI-V secolo a.C.) fa presumere che l’egida sia il cerchio di nubi tempestose che si addensa sulla testa di Zeus al momento del tuono divino, poi diventato una pelle di capra per la somiglianza tra i due termini in greco (aix, capra, e kataigís, uragano). Nell’Iliade di Omero, l’egida è lo scudo di Zeus, fabbricato da Efesto con una pelle di capra, usato per scatenare tempeste e non per combattere.

380 Ossia le quadrighe.381 L’arte di intrecciare l’asfodelo (principalmente nelle aree interne, anche collinari) e il

giunco (in pianura, vicino all’acqua) è molto antica. Nelle case essi erano utilizzati per realizzare pavimenti e soffitti (incannicciato), sostegni verticali e tutti i contenitori necessari all’arredo. Inoltre, nell’antica Grecia l’asfodelo era usato frequentemente per ornare le tombe, perché si credeva che nel luogo dove soggiornavano le anime dei morti crescesse abbondante.

382 Troia, antica città dell’Asia Minore all’entrata dell’Ellesponto, in Turchia, fu il teatro della guerra narrata nell’Iliade di Omero. Evidentemente i Massi si credevano discendenti di coloro che riuscirono a scappare dalla distruzione di Troia a opera degli Ateniesi.

383 Da questo punto, Erodoto inizia la descrizione della fauna della Libia occidentale, che è in linea di massima attendibile: pitoni, leoni e orsi sono presenti nel Nord-Africa, come pure gli elefanti, che più tardi sparirono da queste zone per lo sfruttamento fatto da Cartaginesi e Romani; gli asini con le corna potrebbero essere antilopi, gli uomini e le donne selvatici forse gorilla, mentre cinocefali e acefali sono soltanto creature fantastiche. Erodoto è stato il primo a usare il termine elefante per indicare l’animale nativo dell’Africa: «Dove il sole va a declinare dopo il culmine meridiano si trova l’estrema

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aspidi, asini con le corna, i cinocefali, gli acefali (che hanno gli occhi sul petto, a quanto, almeno, asseriscono i Libici), gli uomini e le donne selvatici, e molte altre specie di animali non inventati.

192. Nel paese dei nomadi non si trova alcuno di questi animali, ma ci sono altri delle specie seguenti384: antilopi e zorcadi e bubali e asini, non gli asini con le corna ma un’altra specie che non beve (e davvero proprio non si abbeverano), e gli orici, con le cui corna si fabbricano i manici delle cetre fenicie (le dimensioni di questo animali sono simili a quelle di un bue); e poi ancora piccole volpi e iene e istrici e arieti selvaggi e ditti e sciacalli e pantere; e borii e coccodrilli di terra lunghi tre cubiti385, assai simili alle lucertole, struzzi terrestri e piccoli serpentelli, muniti ciascuno di un unico corno. In Libia insomma vivono questi animali e tutti quelli che si trovano anche altrove, tranne il cervo e il cinghiale; cervi e cinghiali, in Libia, non ce ne sono affatto386. In Libia esistono tre specie di topi: gli uni vengono chiamati bipedi, gli altri zegeri – questo nome è libico, ed ha in greco il significato di “bounoi”, colline – gli altri echini387. Tra il silfio388 vivono anche le donnole, uguali a quelle di Tartesso. Ecco dunque gli animali del paese dei Libici nomadi; almeno per quanto avanti abbiamo potuto spingere le nostre indagini.

193. Accanto ai Massi della Libia vivono gli Zaueci389, le cui donne guidano i carri in battaglia.

194. Accanto agli Zaueci stanno i Gizanti390, presso i quali le api producono miele in abbondanza, ma ancor più abbondante, si dice, è il miele prodotto dagli artigiani391. Tutti costoro si tingono il corpo col minio e si cibano di carne di scimmia; scimmie ne hanno a iosa a disposizione, sulle montagne.

regione occidentale del mondo abitato, l’Etiopia: essa produce grandi quantitativi d’oro, elefanti di enormi dimensioni e ogni specie di pianta selvatica, ebano, e uomini di alta statura, i più alti, i più belli e i più longevi.» (III, 114).

384 Nell’elenco che segue, zorcadi, bubali e orici si possono identificare con varie specie di antilopi, gli arieti selvaggi con le pecore selvatiche, i coccodrilli terrestri con grandi lucertole, le donnole simili a quelle di Tartesso sono probabilmente furetti. Ditti e borii non sono stati identificati.

385 Per la misura del cubito, cfr. nota 204.386 Oggi, in Africa, esistono sia i cervi che i cinghiali.387 Echino è il nome abbreviato (da echinoderma) dato al porcospino.388 Cfr. nota 350.389 O Zaveci.390 I Gizanti erano popolazioni della costa orientale della Tunisia.391 Un miele fabbricato artigianalmente coi fiori di tamarisco e col grano è accennato in VII,

31 («Nel penetrare dalla Frigia in Lidia, la strada si divideva, a sinistra verso la Caria e a destra verso Sardi. Per chi si dirige a destra è assolutamente inevitabile attraversare il Meandro e passare accanto alla città di Callatebo, dove artigiani fabbricano miele con tamarisco e grano…»). Il miele ricavato dalle palme è accennato in I, 193 («In tutta la pianura [assira] crescono spontaneamente le palme, quasi tutte fruttifere; da esse ricavano cibi solidi, vino e miele…»).

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195. I Cartaginesi392 dicono che di fronte ai Gizanti si trova un’isola, detta Cirauni393, lunga 200 stadi e assai stretta, raggiungibile a piedi dalla terraferma, ricca di ulivi e di vigneti; vi si troverebbe un lago nel quale le ragazze del luogo, mediante penne di uccelli spalmate di pece, trarrebbero pagliuzze d’oro dal limo. Non so se questo sia vero, scrivo quanto si racconta; ma potrebbe anche essere: io stesso ho visto con i miei occhi a Zacinto394 trarre della pece dall’acqua di un lago. A Zacinto ci sono parecchi laghi, il più grande misura settanta piedi su ogni lato ed è profondo due orgie; immergono in questo lago una pertica che porta fissato sull’estremità un ramo di mirto, e con questo mirto tirano su una pece che odora di bitume, ma per il resto è di qualità migliore della pece di Pieria395; la raccolgono versandola in una fossa scavata accanto al lago; quando ne hanno accumulata parecchia, allora dalla fossa la travasano nelle anfore. Qualunque cosa cada nel lago passa sotto terra e ricompare nel mare, che si trova a circa quattro stadi di distanza dal lago. Sicché anche le notizie provenienti dall’isola situata sulla costa libica potrebbero rispondere alla realtà.

196. I Cartaginesi affermano l’esistenza di un territorio libico, con relative popolazioni, anche al di là delle Colonne d’Eracle; quando si recano presso queste popolazioni con le loro mercanzie le scaricano sulla spiaggia in bell’ordine, risalgono sulle navi e mandano un segnale di fumo; gli indigeni vedono il fumo e accorrono verso il mare, depositano dell’oro in cambio delle merci e quindi si allontanano dalle merci stesse. I Cartaginesi sbarcano, esaminano l’oro e, se gli sembra adeguato al valore delle merci, lo prendono e se ne vanno; se invece gli sembra poco, risalgono sulle navi e aspettano: i locali tornano e aggiungono altro oro fino a soddisfarli. Nessuno dei due cerca di raggirare l’altro: i Cartaginesi non toccano l’oro finché non gli sembra adeguato al valore delle merci, e gli indigeni non toccano le merci prima che gli altri abbiano ritirato l’oro396.

392 Cfr. nota 104.393 L’individuazione dell’isola di Cirauni è incerta: potrebbe essere una delle isole di

Kerkenna, situate di fronte al porto tunisino di Sfax, oppure di Pantelleria – chiamata, all’epoca di Erodoto, Cirani o Kirani – che era un importante scalo fenicio ed era visibile, come oggi, dalle coste tunisine quasi quotidianamente.

394 Zacinto (o Zante) è un’isola greca vicino alle coste del Peloponneso che fa parte dell’arcipelago delle isole Ionie. Omero la menzionò per primo sia nell’Iliade che nell’Odissea, affermando che vi sbarcò il figlio del re Dardano di Troia, Zakynthos, intorno al 1500-1600 a.C. In seguito, l’isola fu conquistata da re Arkeisios di Cefalonia e, poi, da Ulisse, re di Itaca.

395 Pieria è oggi una piccola prefettura situata nella Macedonia greca, ma anticamente apparteneva alla Tessaglia. Il nome deriva dal paese di Pieris e dal Monte Pierio, ove abitavano Orfeo e le Muse (perciò dette Pieridi o Piere), in quanto il Monte Olimpo è poco distante.

396 Questo commercio “muto” è stato usato anticamente in India e forse in Cina; in seguito si è esteso fra gli Slavi e in Siberia.

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197. Queste sono le popolazioni libiche di cui siamo in grado di indicare il nome. La maggior parte di loro non si è mai data pensiero del re dei Medi, né allora né adesso. Posso aggiungere riguardo a questo paese, che lo abitano soltanto quattro gruppi etnici e non uno di più, per quanto ne sappiamo, di cui due sono autoctoni e due no; gli autoctoni sono Libici ed Etiopi, stanziati rispettivamente nel nord e nel sud della Libia397, Fenici e Greci invece vi sono immigrati.

198. Secondo me neppure per la qualità dei terreni la Libia può essere seriamente paragonata all’Asia e all’Europa, fatta eccezione per la sola regione di Cinipe398 (lo stesso nome indica il fiume e la regione); questa è alla pari con le terre più fertili nella produzione di cereali e non somiglia minimamente al resto della Libia: è una terra nera399 attraversata da sorgenti, non ha problemi di arsura né riceve pioggia in eccesso (in questa parte della Libia, infatti, piove). La produttività dei terreni è pari a quella della Babilonia. Una buona terra è pure quella abitata dagli Evesperidi400: quando produce al massimo delle sue possibilità rende cento per uno; ma la regione del Cinipe rende anche trecento.

199. A sua volta il paese di Cirene, che è abitato da genti nomadi ed è il tratto più elevato sul livello del mare in questa parte della Libia, presenta sorprendentemente tre stagioni di raccolta; i primi a maturare per la mietitura e la vendemmia sono i frutti della zona costiera; appena questi sono stati raccolti, si presentano maturi e pronti i frutti della zona intermedia, al di sopra della costa, zona detta “Colline”; è terminato il raccolto nella fascia intermedia ed ecco già belli e maturi i prodotti della fascia superiore; insomma quando è pronto l’ultimo raccolto, il primo è già stato mangiato e bevuto. In tal modo la stagione di raccolta tiene occupati i Cirenei per ben otto mesi. E basti quanto si è detto.

200. I Persiani401 inviati a soccorso di Feretime, partiti dall’Egitto al comando di Ariande, giunsero a Barca e subito posero l’assedio alla città, esigendo con vari messaggi la consegna dei responsabili dell’assassinio di Arcesilao: ma dato che tutta la popolazione vi era implicata, i Barcei non accettarono trattative. Allora i Persiani assediarono Barca per nove mesi, scavando gallerie sotterranee che portassero alle mura e sferrando durissimi assalti. Ma ecco cosa escogitò un fabbro per individuare le gallerie: portava in giro all’interno delle mura uno scudo di bronzo e lo appoggiava al suolo della città; dovunque altro lo appoggiasse, lo scudo suonava sordo, ma sopra le gallerie il bronzo rimbombava. Allora i Barcei scavavano a loro volta nello

397 I Libici erano le tribù berbere della costa settentrionale dell’Africa, gli Etiopi erano le razze negroidi del Sudan e della Costa d’Oro.

398 Cfr. nota 359.399 Le cosiddette “terre nere” sono le più fertili in natura, essendo ricche di humus e calcio.400 Cfr. nota 351.401 Si riprende la narrazione interrotta al cap. 167.

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stesso punto e massacravano i Persiani che stavano scavando. Ecco dunque cosa fu inventato contro le gallerie; quanto agli attacchi diretti, i Barcei li rintuzzavano efficacemente.

201. Siccome le cose andavano per le lunghe e gravi erano le perdite da entrambe le parti, e in particolare fra i Persiani, il comandante della fanteria Amasi ideò un piano; avendo compreso che i Barcei non li si poteva prendere con la forza, ma ingannare sì, agì come segue: una notte fece scavare una larga fossa, vi stese sopra delle tavole poco resistenti e sopra le tavole accumulò la terra di riporto, fino a pareggiarne il livello col terreno circostante. Appena giorno invitò i Barcei a trattare; essi accolsero con favore l’iniziativa, finché si decise di stipulare un accordo; e stipularono dunque un accordo di questo tenore (da notare che giurarono solennemente stando sopra la fossa occultata): che fino a quando quella terra sarebbe rimasta com’era, il giuramento rimaneva valido in tutto il paese; i Barcei si dichiaravano pronti a pagare al re di Persia un tributo adeguato e i Persiani si impegnavano a non mutare l’assetto politico della città di Barca. Dopo il giuramento i Barcei, fiduciosi nei patti, uscirono fuori della città e permisero a ogni Persiano che lo volesse di entrare dentro le mura, e spalancarono tutte le porte. Ma i Persiani fracassarono il ponte di assi nascosto e piombarono dentro la cinta. Il tavolato che avevano allestito lo fracassarono per mantenere il giuramento, avendo promesso ai Barcei che il patto sarebbe restato in vigore finché quella terra rimaneva nello stato in cui era allora. Una volta distrutto il tavolato, l’impegno non esisteva più.

202. Feretime, quando i Barcei maggiormente implicati nell’assassinio di Arcesilao le furono consegnati dai Persiani, ordinò che venissero impalati attorno alle mura; alle loro mogli fece tagliare i seni e li appese tutto attorno alle mura. Quanto ai restanti Barcei invitò i Persiani a spartirseli, a eccezione di quanti erano discendenti di Batto e non avevano partecipato all’assassinio. A questi Feretime affidò la città.

203. I Persiani, ridotti in schiavitù gli altri Barcei, presero la via del ritorno; quando furono all’altezza di Cirene, i Cirenei per sacro rispetto di un oracolo li lasciarono attraversare la città. Mentre l’esercito passava in mezzo alla città, il comandante della flotta Badre premeva perché la si occupasse, ma Amasi, il comandante della fanteria, non lo permise, sostenendo che Barca era la sola città greca contro la quale erano stati inviati; più tardi, quando già l’avevano superata e stavano ormai sul colle di Zeus Liceo402, si pentirono di non essersene impadroniti e tentarono di entrarvi una seconda volta; ma i Cirenei non glielo permisero. I Persiani, pur senza che nessuno

402 La figura mitologica di Zeus Liceo (Giove Lupo) si rifà al re d’Arcadia, Licaone (dal greco lykos, lupo), figlio di Pelasgo. Licaone era considerato un uomo empio e Zeus volle accertarsene, perciò si travestì e andò dal sovrano. In un banchetto, Licaonte servì all’ospite le carni di un bambino e Zeus, inorridito, fulminò Licaone e i suoi 49 figli, eccettuato Nittimo, che fu salvato da Gea, dea della Terra, e poté succedere al padre.

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si opponesse in armi, ebbero paura403, si ritirarono di circa sessanta stadi e si accamparono. Mentre stavano sistemando i bivacchi, giunse a richiamarli in patria un messaggero inviato da Ariande. Chiesero dunque vettovaglie ai Cirenei e, ottenutele, le caricarono su e si mossero verso l’Egitto. Da lì in poi finirono fra i Libici, i quali uccidevano quanti di loro erano lasciati indietro e i ritardatari per procurarsi vesti ed equipaggiamento; finché i Persiani giunsero in Egitto.

204. Questa spedizione persiana penetrò in Libia fino agli Evesperidi. I Barcei fatti schiavi furono deportati dall’Egitto e consegnati al re di Persia; il re Dario diede loro da abitare un villaggio della Battriana404, a cui essi posero nome Barca405; e ancora ai miei tempi risultava abitato nella Battriana.

205. Neppure Feretime terminò bene i suoi giorni. Infatti quando ritornò in Egitto, dopo essersi vendicata in Libia sui cittadini di Barca, morì di mala morte: ancora viva brulicava di vermi. Perché le vendette degli uomini si attirano l’odio degli dèi, quando sono eccessive. E tale era stata la vendetta che Feretime moglie di Batto si era presa sugli abitanti di Barca.

403 Secondo lo storico greco Tucidide (V secolo a.C.), negli eserciti non era infrequente il panico, forse dovuto al “vedere” qualche segno infausto mandato dagli dèi.

404 Battria (o Battriana, o Bactriana) era l’antico nome greco del paese situato tra lo Hindu Kush (Caucasus Indicus) e l’Oxus (ora Amu Darya); la sua capitale, Battra (o Battria, ora Balkh), era situata nell’odierno Afghanistan settentrionale. Fu in queste terre montagnose, circondate dal deserto Turaniano, che predicò il profeta Zoroastro. Conquistato questo territorio, i Greci si espansero fino all’India.

405 Si tratta di una città omonima a quella descritta alla nota 327.

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