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1 Anno XI n°2 il Pitagora

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Anno XI n°2 il Pitagora

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Il Pitagora

πρόλογος

la Redazione

Direttore responsabile: Prof.ssa Silvana Sabatino Caporedattore: Carlo Facente Vice caporedattori: Olga Simbari, Maria Giovanna Campagna, Gabriella Corigliano Espansione online: Prof. Emilio Pisani

Hanno collaborato: Alessandra Pugliese, Maria Policastrese, Giuseppe Mendicino, Roberta Serra, Daniela Santoro, Martina Rielli, Annalisa Catalano, Aldo Fasson, Giuseppe Battaglia, Celeste Migale, Francesca Inglese, Valerio Aquila

La guerra. Si crede la si possa trovare solo nei libri di storia, nei servizi dei telegiornali che mandano immagini delle campagne siriane oppure in un film di Francis Ford Coppola, quando invece ognuno di noi è quotidiana-mente in conflitto con qualcosa, qualcuno o se stesso. Le parole diventano le armi e la felicità si tramuta in gloria.

Aristotele diceva che si fa la guerra semplicemente per giungere poi a una pace. Pace che sembra sempre così distante, irraggiungibile e, a volte, inesistente. Probabilmente accosteremo alla parola pace una bandiera tricolore o il lieto fine perfetto di un libro, quando invece ci coinvolge tutti in modo più concreto, in prima persona, ogni giorno. I soldati diventiamo noi e la speranza si tramuta in illusione.

Apriamo questo nuovo numero con le parole dello scrittore statunitense Walt Whitman:

“Vi hanno detto che è bene vincere le battaglie? | Io vi assicuro che è anche bene soccombere, che le battaglie sono perdute nello stesso spirito in cui vengono vinte”.

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χρόνικον

Guerra: il padrone di ogni cosa

di Olga Simbari

Eraclito disse che πόλεμος genera tutte le cose. Se si provasse a ripercorrere l'intera storia dell'uomo si dovrebbe ammettere che la guerra è stata il minimo comun denominatore di tutte le epoche. Guerra non solo intesa come violenza dell'uomo sugli altri, ma anche su se stesso. Non solo violenza fisica, ma anche psicologica. Molto spesso si parla di conflitto interiore, intendendo con questo termine i piccoli scontri mentali che ognuno deve combattere tutti i giorni. Con lo sviluppo della società, le guerre interiori sono state scatenate dall'incredibile cambiamento dei rapporti umani e dal continuo sviluppo tecnologico, che ormai isola le persone dietro i social network; si sono create delle identità fittizie in contrasto. Accade così che ci si sente da soli anche avendo mille amici intorno, ci si sente incompresi o inadeguati; perché a volte far pace con se stessi è più difficile di quanto si pensi. In quale modo, dunque, creare un'armonia con gli altri se si è in contrasto prima di tutto con sé? Spesso per colpa di questo senso di inettitudine e di grande confusione ci si riversa dentro dei sentieri dai quali è difficile uscire col tempo, poiché interviene il vizio e la continua voglia di evasione per cercare un qualcosa di migliore. Quando si parla di tentativi di evasione dalla propria persona e di conflitti interiori, non si può non fare riferimento a Luigi Pirandello che nell’ope-ra ''Il Fu Mattia Pascal'' tratta a pieno questo argomento, presentando un tipico esempio di uomo comune che, infelice e inappagato, prova a cambiare vita a tutti i costi, dimenticando però che la realtà lo perse-guiterà sempre. Con questo Pirandello non vuole di certo abbattere le speranze della gente e far traspari-re l’idea che la pace non esista, che si può trovare, perdere e ritrovare ancora, basta solo crederci.

È stato detto che πόλεμος genera tutto, non si parla solo di negatività; questi piccoli e grandi conflitti, in-fatti, possono avere origini più o meno accettabili, ma hanno tutti uno scopo. Essi, difatti, formano il pen-siero e il carattere di un uomo in quanto permettono di vedere i lati peggiori del proprio io e modificarli, o perlomeno provarci.

“πόλεμος è di tutte le cose il padre, di tutte re, e gli uni rivela

dei e gli altri uomini, gli uni fa schiavi e gli altri liberi”

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Il Pitagora

È da poco tempo che dirige il nostro liceo, quale è stata la sua prima impressione? Mi sono trovata nella scuola che mi era stata descritta, vale a dire una scuola di livello molto elevato, nel contempo difficoltosa da dirigere perché grande; non mi riferisco al numero degli alunni, ma alla qualità della scuola, quindi a docenti e ragazzi con necessità ed esigenze molto particolari. Spesso gli alunni arrivano al quinto anno senza sapere cosa voler studiare all'università o cosa voler fare nella vita. Lei, alla nostra età, aveva già intenzione di dedicarsi all'insegnamento? Sì, io ho fatto l'insegnante assolutamente per passione. Le radici di questa mia scelta risalgono proprio alla mia infanzia. Alla vostra età ero fermamente convinta di voler insegnare. Oggi si parla tanto dei giovani in modo negativo, accusandoli di non avere valori. Lei, che è a contatto ogni giorno con gli adolescenti, cosa ne pensa in merito? Non condivido quest'affermazione. Al contrario, ritengo che i giovani siano una fonte inesauribile di idee e che se la nostra società attuale sia in qualche modo malata e sicuramente di questo non sono responsabili i ragazzi. Gli adolescenti dovrebbero solo essere guidati meglio per risolvere problematiche che non hanno generato loro.

Intervista alla D.S.

di Olga Simbari

dott.ssa Ornella Campana

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χρόνικον Quali pensa siano i maggiori problemi all'interno della nostra scuola? Credo che sia necessario che la scuola si doti di un maggior numero di laboratori. Noi abbiamo solo dei laboratori tradizionali; forse sarebbe meglio arricchirci di una strumentazione che possa essere utilizzata anche da docenti di altre discipline. Penso alla storia dell'arte, per esempio a strumentazioni che possano essere utili in un progetto di archeologia. Negli ultimi anni le iscrizioni ai licei stanno iniziando a diminuire. Secondo lei, quali potrebbero essere le principali cause di questo fenomeno? La prima credo che sia una causa fisiologica che investe tutte le scuole, non solo i licei. È chiaro che in un momento di una difficile congiuntura economica i licei ne risentano maggiormente. Io ho rilasciato dei nulla osta a ragazzi di questa scuola interessati ad andare altrove in quanto sperano di avere una più im-mediata possibilità di immissione nel modo del lavoro. I giovani stanno facendo questo tipo di discorso perché siamo in un periodo di difficoltà economica, quindi anche questo incide molto sul numero delle iscrizioni. Se il calo è sensibile, vuol dire che la scuola dovrà interrogarsi anche su problematiche interne. Come crede si possa risolvere tale situazione? Ha già progetti a riguardo? Sì. Tutto il collegio dei docenti ha deciso di lavorare molto sull'orientamento quest'anno. Vogliamo far in modo che si capisca l'importanza dello studio; fermarsi al diploma forse dà ancora meno possibilità di im-piego, quindi vorremmo promuovere questa risorsa dei licei. Per rendere più allettante il curriculo scola-stico abbiamo pensato a nuovi percorsi didattici; prima parlavamo di archeologia, ecco, forse ci muovere-mo anche verso la creazione di un indirizzo archeologico-museale che possa trovare il consenso dell'uten-za. Sono stati eletti da poco i nuovi rappresentanti di istituto e consulta. Che rapporto ha intenzione di in-staurare con loro per ottenere una perfetta collaborazione? Io ho già un buon rapporto con loro; all'indomani delle elezioni i ragazzi sono venuti a confrontarsi con me, a fare le loro proposte e a segnalarmi delle criticità in rapporto alle mie scelte che magari loro non condividono; ne abbiamo parlato, discusso e cercato una soluzione. La mia posizione nei confronti dei ra-gazzi è di assoluta collaborazione e disponibilità.

Che spirito vuole infondere ai ragazzi di questo istituto? Quello di sentirsi assolutamente tranquilli, di vivere la scuola con serenità. Vorrei che i ragazzi non sentis-sero lo studio come un incubo, può capitare di avere dei periodi bui, delle difficoltà, ma penso che i do-centi di questa scuola siano molto predisposti nei confronti dei ragazzi e metteranno a loro disposizione tutti gli strumenti per superare qualsiasi tipo di disagio. Il tema di questo numero è la guerra. Non solo inteso in senso concreto come può apparirci un conflitto armato, ma anche in senso lato e quindi dissidio interiore. Quale pensa sia la soluzione a quei piccoli conflitti che nascono in ambito scolastico? Credo che la soluzione nasca dall'ascolto. A partire da me, che rappresento il vertice della scuola, prose-guendo per tutte le figure che a vario titolo si occupano di formazione, dovremmo imparare ad ascoltare, ad ascoltarci. C'è qualcosa che vorrebbe dire agli studenti e ai docenti del Pitagora? Voglio dire che io sono venuta qui con l'intenzione di restare. Spero di ottenere i loro consensi, di lavorare in modo tranquillo e di collaborare con tutti. Mi piacerebbe ricevere le loro segnalazioni, qualora non fos-sero d'accordo con le mie scelte, in modo da cercare il correttivo giusto alle mie azioni.

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Il Pitagora

Intervista al D.S.G.A. dott. Rosario Aiello

troversia possa nascere nell’ambito scolastico, chiunque coinvolga e qualsiasi interesse possa compromettere, non può trascendere prima dal dovere del proprio ruolo e poi dal diritto di ogni persona; è necessario avere come priorità il bene della scuola.

C’è qualcosa che vorrebbe dire agli alunni e ai docenti del Pitagora? Sono entusiasta di essere entrato in questa “grande famiglia” che si è rivela-ta essere il liceo Pitagora. Colgo altresì l’occasione per complimentarmi con chi mi ha preceduto, nonché con chi mi sta attualmente affianco colla-borando per una scuola verso un futuro migliore.

di Annalisa Catalano

Ci descriva le prime impressioni che il Pitagora le ha suscitato. Mi è bastato varcare la soglia del Liceo per percepire, sin dal primo momento, una “aria di casa” , un clima di familiarità che riscalda la scuola, una condizione che, probabil-mente, potrebbe essere considerata il basa-mento dell’ottimo andamento di cui gode e da me effettivamente riscontrato nel tempo tra-scorsovi.

Quali sono i principali compiti che deve svolge-re in qualità di segretario scolastico? Di mio compito sono la gestione didattica e ammini-strativa della segreteria. Con la segreteria di-dattica provvedo ai bisogni degli studenti: le iscrizioni, i certificati di frequenza o maturità, le pagelle, l’organizzazione degli scrutini, le gite e gli scambi scolastici; con la segreteria ammini-strativa, invece, mi occupo dell’amministrazio-ne finanziaria della scuola, degli stipendi degli insegnanti, del bilancio dell’Istituto e degli ac-quisti.

Ha riscontrato problemi nel liceo, durante il tempo trascorso al suo interno? Se si, quali? Il mio servizio in questa scuola è iniziato solo que-st’anno. In questo breve arco di tempo non ho avuto modo di rilevare reali problemi nei miei ambiti, anche e soprattutto, grazie all’ottimo lavoro svolto da chi mi ha preceduto. Spero di procedere nel solco da loro tracciato in maniera altrettanto lineare, mantenendo alta la buona nomea del Pitagora.

Il tema di questo giornalino è la guerra, non intesa in senso concreto come può apparirci un conflitto militare e guerresco, ma in senso lato, e quindi interiore. Quale pensa sia la so-luzione a quelle piccole guerre, o meglio con-flitti, che nascono in ambito scolastico? L’os-servanza di ogni diritto deve essere equilibrata dall’osservanza di ogni dovere. Qualunque con-

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troversia possa nascere nell’ambito scolastico, chiunque coinvolga e qualsiasi interesse possa compromettere, non può trascendere prima dal dovere del proprio ruolo e poi dal diritto di ogni persona; è necessario avere come priorità il bene della scuola.

C’è qualcosa che vorrebbe dire agli alunni e ai docenti del Pitagora? Sono entusiasta di essere entrato in questa “grande famiglia” che si è rivela-ta essere il liceo Pitagora. Colgo altresì l’occasione per complimentarmi con chi mi ha preceduto, nonché con chi mi sta attualmente affianco colla-borando per una scuola verso un futuro migliore.

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di Annalisa Catalano

Musica, ballo e festeggiamenti nell’Aula Magna

Benvenuti nuovi Pitagorici

di Valerio Aquila

Le classi prime vengono accolte con interpretazioni artistiche dei nostri ragazzi

In data lunedì 27 ottobre alle ore 16.30 nell'Aula Magna del nostro Liceo ha avuto luogo la Cerimo-nia d'apertura del corrente anno scolastico 2014-2015. La D.S. La prof.ssa Ornella Campana, ha consegnato simbolicamente lo stendardo del Liceo ad una rappresentanza di allievi delle prime classi, augurando loro un propizio e tranquillo iter forma-tivo sia scolastico che personale. Marika Chiofalo, allieva del I anno, ha tenuto un discorso a nome dei compagni, dichiarandosi fiera di frequentare una scuola così prestigiosa, ringraziando tutti per il benvenuto ricevuto e promettendo impegno per affrontare al meglio le sfide del domani. Durante la Cerimonia ha preso parola il Presidente del Con-siglio d'Istituto Dott. Vincenzo Poerio, il quale ha evidenziato l'alta formazione umana del Liceo Classico e l'importanza dell'arte, in ogni sua mani-

festazione, come affinamento spirituale ed educa-zione al Bello. In fin dei conti è proprio questo il traguardo che il Laboratorio artistico-musicale del nostro Liceo vuole raggiungere, coltivando e fa-cendo fruttare il talento degli allievi. L'evento, molto partecipato, ha riscosso unanimi consensi da parte del pubblico anche grazie a tutti i prepa-rativi coordinati durante incontri pomeridiani dalle professoresse Antonia Varano ed Emilia Rizzuto. Musicisti, cantanti e ballerini si sono esibiti in uno spettacolo degno del Liceo Classico. Soprattutto, si ringraziano due ex allievi, Maria Grazia Borda e Antonello Vona, che sono stati lieti di condividere il loro talento ancora una volta, dimostrando il le-game profondo che resta impresso nel cuore di ogni studente negli anni nei confronti del liceo Pitagora.

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Il Pitagora

La lettura come mezzo Mario Caligiuri termina il suo “Libriamoci” venendo a contatto

con i ragazzi crotonesi

di Carlo Facente

In data 31 ottobre, presso il liceo classico Pitagora, si è conclusa l’attività culturale avviata dall’assessore alla cultura della regione Calabria, il dott. Mario Caligiuri. Il programma creato da Caligiuri prevede la lettura in tutte le scuole calabresi di autori come Jorge Luis Borges, Franz Werfel, Achille Campanile e quindi dei loro testi più rinomati. Gli incontri, che si stanno svolgendo dallo scorso 29 ottobre, in tutte le scuole italiane su iniziativa del Ministero dell'istruzione ha come ente pilota la Calabria con ben 312 pro-getti.

Che effetto le fa tornare al Pitagora? Un bell’effetto. Il Pita-gora è una scuola di grande presti-gio a livello regionale e nazionale, intitolata a un personaggio cono-sciuto nel mondo. Tutti noi dobbiamo fare in modo che la fi-gura di Pitagora sia sempre più identificata con la Calabria e con Crotone, perché purtroppo questa identificazione ancora non c’è. Se Pitagora fosse stato svizzero lo avrebbero saputo anche sugli anelli di Marte. Le tavole pitagori-che e la sua filosofia sono note in tutti il mondo, dobbiamo tutti cercare di creare i presupposti per far associare la figura di Pitagora alla tradizione calabrese

Qual è il modello ideale di scuola per lei? La scuola che nella sostanza si occupa della prepara-zione degli studenti, tenendo quindi conto che le nuove genera-zioni si stanno trasformando. Le nuove tecnologie pongono all’in-terno della scuola due generazio-ni, insegnanti da una parte e stu-denti dall’altra, che dialogano con grande difficoltà poiché elaborano le informazioni a livello celebrale in modo differente.

Quanto è importante la lettura? La lettura è decisiva. Chi legge conosce più parole, chi conosce più parole ha più idee e chi ha più idea ha una visione del mondo. Chi non conosce le parole non potrà mai apprezzare un quadra di Caravaggio o Mattia Preti, una musica di Mozart o Cilea, una poesia di Alda Merini o Lorenzo Calogero, un articolo di Montanelli o Corrado Alvaro. Leggere forma le persone e se la cultura è la base della formazione di una persona in senso culturale e sociale essa ha una premessa: la lettura.

Che ne pensa di un’esperienza giornalistica a scuola? Fondamenta-le. Essa va in direzione dell’esercizio e dell’abilità della lettura e della scrittura, e quindi dell’interpretazione del mondo, della narrazione di ciò che ci circonda.

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χρόνικον

CREST: tra mare e mito Il Pitagora ospita la terza conferenza sui Crest della Marina Militare

Gli studenti descrivono gli aforismi e i simboli mitologici legati al mon-

do delle navi

di Maria Policastrese

Le navi sono specchio della storia, perché riflettono il cambiamento dei tempi in cui esse operano. Queste le parole del dott. Giulio Grilletta in occasione della terza conferenza sui Crest della Marina Militare nella mitologia, tenutasi presso l’aula magna del liceo classico Pitagora il 28 ottobre 2014. Il convegno ha avuto inizio con i ringraziamenti della dott.ssa Or-nella Campana, dirigente scolastico del Pitagora, che ha lodato il lavoro svolto quotidianamente dalla Marina militare. La conferenza ha visto la partecipazione di alcuni ufficiali del Corpo ma an-che di esperti come il collezionista di crest Antonio Zingali, che ne ha illustrato la storia. La parola crest originariamente indicava l’ornamento che i cavalieri portavano sulla cima dell’elmo come em-blema della famiglia d’appartenenza. Il termine indica attualmente lo scudetto in legno che fa da basamento allo stemma, in bronzo o ottone, in cui sono raffigurati la nave e il riferimento mitologico che le dà il nome. Su ogni crest è inciso un motto che viene affisso sopra l’hangar del ponte di volo. l significato mitologico di alcuni crest è stato spiega-to dagli studenti del Pitagora. Gabriella Corigliano e Maria Giovanna Campagna della classe IV E, han-no rispettivamente illustrato il crest della Nave Aretusa, il cui motto è Arethusa undis prospicit e prende il nome dalla ninfa Aretusa, e quello della Nave Cassiopea, così chiamata dal nome di una delle Nereidi. Gli studenti Francesca Guida e Matteo Varca della classe II E hanno invece pre-sentato il crest del Nave Fenice, il cui motto è Resurgit (risorge), e quello della Nave Sfinge che prende il nome dalla nota Sfinge grazie alla quale

Edipo divenne re di Tebe. Il medico e saggista sto-rico Giulio Grilletta, autore di Crotone: due navi una città, si è particolarmente soffermato sulla descrizione del vecchio posamine crotonese tra-sformato in una nave scuola dalla fondazione “Garaventa”: essa accoglieva ragazzi “difficili” for-nendogli un’istruzione completa. Grilletta ha inol-tre parlato del cacciamine Crotone, progettato per la localizzazione e la disattivazione/distruzione di mine navali. Il relatore ha evidenziato come il cac-ciamine sia stato impegnato nella scoperta e nel recupero di reperti archeologici sommersi. La prof.ssa Caterina Fiorita, docente di greco e latino, ha presentato i pannelli relativi all’antica Kroton, comprendenti il Santuario di Hera Lacinia, i teso-retti monetali ritrovati nel territorio calabrese e la Crotoniatide. La conferenza si è conclusa con la consegna di alcuni crest ai rappresentanti della Marina militare. L’evento ha dato la possibilità agli studenti presenti di conoscere da vicino il mondo della Marina militare e di constatare l’importanza di questa istituzione a livello nazionale. La grande rilevanza riservata all’elemento mitologico nel mondo navale evidenzia come gli studi classici co-stituiscano un valore aggiunto per il raggiungimen-to di uno sbocco occupazionale sia nella Marina militare che mercantile.

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Il Pitagora

Il Pitagora tra i migliori giornali scolastici italiani La redazione premiata al Concorso Penne Sconosciute 2014

di Francesca Inglese e Alessandra Pugliese

Giorno 23 Ottobre 2014, una rappresentanza della redazione del giornalino scolastico il Pitago-ra si è recata presso il paesino toscano di Pianca-stagnaio, in occasione dell'assegnazione dei pre-mi nel Concorso Nazionale Penne Sconosciute, in cui Il Pitagora si è classificato tra i quindici migliori giornalini scolastici italiani. Gli studenti, grazie all'iniziativa resa possibile dall'impegno degli stessi e dal valente aiuto delle professoresse Silvana Sabatino e Caterina Fiorita, hanno avuto la possibilità, attraverso delle escursioni svoltesi

in due giorni, non solo di confrontarsi con le altre scuole partecipanti ma anche di visitare luoghi caratteristici del posto. Il primo giorno, il gruppo ha partecipato alla visita guidata nella miniera di Piancastagnaio, apprendendo le reali condizioni del lavoro in miniera e le modalità in cui questo veniva svolto, grazie alla testimonianza diretta. Nel pomeriggio, la redazione ha preso parte alla cerimonia di premiazione presso il teatro comu-nale ed è stata premiata con una coppa e un atte-stato nel quale vengono esplicate le motivazioni

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χρόνικον

Il Pitagora tra i migliori giornali scolastici italiani

della vittoria: “Giornale completo per argomenti, trattati con una maturità critica ed una serie di ri-flessioni che vanno oltre il mondo giovanile. Certe pagine per la forma espressiva raggiungono un livello particolarmente gradevole", queste le paro-le delle Presidentesse della Giuria Maria Luisa Picconi e Carla Santelli. Il giorno seguente, i ragazzi hanno visitato la splendida e monumentale Firen-ze, ammirando la Galleria degli Uffizi, connubio di arte e storia. Il viaggio è stato, dunque, strumento

non soltanto di scoperta del territorio ma anche di socializzazione tra i giovani, che hanno colto nell'i-niziativa l'occasione per confrontarsi con i ragazzi di altre scuole, per apprendere le tecniche grafi-che e stilistiche adottate dalle altre redazioni, ma soprattutto per venire a contatto con una realtà molto vicina al mondo giovanile, ovvero quella del giornalismo.

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Il Pitagora

- L’officina della Camomilla

/ Senontipiacefalostesso II

Album fiammeggiante per la stravagante band milanese che da un an-no a questa parte è una delle principali colonne sonore della vita degli adolescenti italiani. Seguito di Senontipiacefalostesso I, Senontipiace-falostesso II mostra un’evidente evoluzione da parte di Francesco De Leo & Co. L’acustica a tratti smielata lascia spazio a chitarre distorte che ricordano non poco i suoni degli Strokes o degli Artic Monkeys. Nei testi come sempre la ricerca non è quella di un filo conduttore bensì di un mondo dolce e colorato ma allo stesso tempo maledettamente tri-ste e pieno di incomprensione. Favole per ragazzi smarriti, per ritro-varsi rivolgersi all’officina della camomilla.

“Quella giovane donna appartiene a nessuno e a nessun altro”.

- Thom Yorke

/ Tomorrow’s Modern Boxes

Qualche mese fa Thom Yorke ha fatto un Dj set davanti a 8 persone a Loupalooza. Attenzione, per chi non lo sapesse non stiamo parlando di un artista di strada o di un musicista in crisi, stiamo parlando di un uomo che con i Radiohead ha venduto più di 40 milioni di dischi. Yorke ha deciso di farci un ulteriore regalo dopo la notizia dell’imminente uscita di un nuovo album proprio con la sua band. Sarebbe riduttivo definire Tomorrow’s Modern Boxes una conferma o un consolidamento del talento dell’artista britannico, che ormai non sbaglia più un passo. Album claustrofobico che ti catapulta all’interno di un cubo di Rubik nelle zampe di un orso della Sila.

“I'm blowing myself away, through the bad times”.

- Neil Young /Storytone

Croce e delizia. Il cantautore canadese, nonostante gli anni, l’alcool e la droga continua a forgiare album ininterrottamente, raggiungendo quota, pensate un po’, 48. Storytone è un doppio album in cui vengono arran-giati gli stessi brani ma in chiavi diverse: orchestralmente e acusticamen-te. La bellezza e la sensibilità di quando Young canta in acustico è disar-mante, per i nostalgici di Harvest, ma la banalità del blues troppo palese.

“I’m smiling through

my tears, but you’ll

never see them”.

Rumori Visioni di Carlo Facente di Daniela Santoro

Parole di Martina Rielli

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ἔργα Μουσέων

La Haine (1995) - Mathieu Kassovitz "Il problema non è la caduta, ma l'atterraggio". E' così che si apre l'opera seconda di Mathieu Kassovitz, del 1995. La camera da presa si snoda nelle vite di ragazzi della banlieue parigina accomunati dalle stesse ambizioni, dagli stessi mostri del presente e soprattutto dall'odio verso le istituzioni e la polizia. Odio dal quale il film prende il titolo. La Haine − girato in un enfatico bianco e nero con uno stile ultra realista e una frenesia che lascia sempre con il fiato sospeso − racconta, infatti, le vicissitudini di tre banlieuesard (l'ebreo Vinz, il magrebino Said e il nero Hubert) nel giorno e nella notte in seguito agli scontri nati dopo il pestaggio, da parte di un poliziotto, di un ragazzo fermato per dei controlli, Abdel. Ciò che rende questo film una pietra miliare del cinema Underground è la concitazione con cui Kassovitz cuce le scene, che su-scita nello spettatore uno stato di tensione. L'odio viene comunicato senza glamour, con una semplicità spietata e totalmente realistica. Così come "l'odio genera odio", le scene di una Parigi non romanzata si susseguono ferocemente. I protagonisti sono ragazzi comuni, veri; inoltre, a rendere il tutto più empirico vi sono numerosi filmati di cortei realmente avvenuti tra l'86 e il 93, ai quali lo stesso Kassovitz ha preso parte. Nel guardare tale pellicola si viene catapultati nella realtà della periferia parigina, immedesimandosi nei personaggi a tal punto da provare le loro stesse emozioni.

Le monde est à nous.

Il giovane favoloso (2014) - Mario Martone Dalla regia di Mario Martone giunge sul grande schermo una straordinaria biografia cinematografica di uno dei più amati poeti italiani: Giacomo Leopardi, interpretato magistralmente da Elio Germano. Il giova-ne favoloso − con una grande cura nei dettagli − attraversa tutte le sofferenze, le gioie e le amarezze che hanno caratterizzato la vita del Recanatese sin dall'infanzia. La vita del poeta viene ripercorsa interamen-te, da Recanati a Firenze, poi a Roma e infine a Napoli. Di grande rilievo è il rapporto con i suoi austeri e religiosi genitori; si sottolinea il tenero amore con il seppur autoritario padre Monaldo, mentre la madre Adelaide viene dipinta come una donna anaffettiva e gelida. Martone fa emergere la figura dei fratelli, Carlo e Paolina, per i quali Leopardi prova un amore incondizionato ed evidenzia il personaggio di Antonio Raineri, che segue Giacomo fino alla sua morte. Nella sceneggiatura malinconica − accompagnata da una fantastica colonna sonora − ci viene presentato un Leopardi capovolto: affettuoso, vulnerabile, dall'animo fragile ma con un'ironia pungente, ed è così che il poeta esce dalle antologie ed entra nella contempora-neità. La pellicola si costruisce sulle poesie − recitate in toto in numerose scene − nei quali versi la stra-ziante malinconia "che ci lima e ci divora" regna sovrana, invitandoci a riconoscerci in quel Leopardiano desiderio di infinito.

"Il mio cervello non concepisce masse felici fatte di individui infelici"

Rumori Visioni di Carlo Facente di Daniela Santoro

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Il Pitagora

Il nero e l’argento

Il nero e l’argento è il nuovo romanzo del torinese e contemporaneo scrittore Paolo Giordano. Conoscia-mo già due suoi romanzi: La solitudine dei numeri primi e Il corpo umano. Il nero e l’argento, prima pubblicazione per Einaudi, è già sulla buona strada per ricevere più di un premio nella critica. Questa è la storia di un amore giovane. Di una coppia felice e inesperta, spaventata di scoprire, giorno dopo gior-no, le molteplici forme dell'abbandono. Perché anche le famiglie possono soffrire di solitudine, proprio co-me le persone. Ad accudire in silenzio tutte le incer-tezze, oltre a prendersi cura del loro bambino, ci ha sempre pensato la signora A. Per questo, quando ar-riva un male a portarsela via, si spalanca in casa un vuoto improvviso. Nora e suo marito devono ancora accorgersi che il coraggio della signora A., ormai ap-partiene anche a loro. Queste, le parole che sono presenti sulla copertina posteriore. Parole semplici, ma allo stesso tempo ricche di significato che fungo-no da preludio a ciò che si leggerà nel libro. La sem-plicità di queste anticipazioni non sono che lo spec-chio della semplicità del libro stesso. La lettura risulta gradevole e scorrevole, con pause riflessive, che allu-derebbero alle pause stesse che si prendeva l’autore durante la stesura del suo romanzo. Anche se la lun-ghezza del romanzo è breve, è ricca di significato, quasi a voler sottolineare e riassumere i concetti principali. Il libro, tratta gli aspetti positivi e negativi

dello stare insieme, sottolineando i momenti di stress che si presentano all’interno di una “famiglia” messa in piedi da due giovani. In realtà, questi due giovani, non erano mai venuti a conoscenza di questi problemi quotidiani perché avevano sempre riposto la loro fiducia nella balia del loro figlioletto Emanue-le. Con la morte della Signora A., la balia, i protagonisti vengono privati di una parte fondamentale della famigliola, non che di loro stessi. Sì, proprio una parte di loro stessi. Da quel momento si trovano alle prese con una situazione paradossalmente nuova, che pretende dai due giovani ordine e serietà ma an-che maggiore responsabilità all’interno del nucleo familiare. Non avevano più la loro ancora, il loro pun-to di riferimento e di conforto. La loro vita dipendeva fortemente dalla signora A. La morte ridispone i ruoli secondo un ordine di importanza formale, ricuce all’istante gli strappi alle regole affettive che uno si è concesso in vita, e poco importa che “Emanuele fosse quanto di più simile a un nipote la signora A. avesse conosciuto, che a noi, a Nora e a me, piacesse considerarci suoi figli adottivi. Non lo eravamo.” Queste parole, presenti nel secondo capitolo, l’uccello del paradiso, non fanno che confermare ulterior-mente l’intensità dello strano rapporto tra i due giovani e la signora A., che considerano come una ma-dre. Paolo Giordano, non vuole che lanciare ai giovani, ma anche agli adulti, un messaggio di responsabilità basato sulla consapevolezza di essere genitori ai giorni d’oggi, e magari non scaricare tutte le proprie re-sponsabilità sulle spalle di un’altra persona.

/Paolo Giordano

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χρόνικον

HIPOPOTOMONSTROSESQUIPE-

DALIOFOBIA di Silvana Sabatino

Può capitare, durante un Simposio all’Università della Tuscia, il cui tema di discussione sia la pittura di metà Quattrocento dell’artista Antonio Del Massaro, di imbattersi in una bottiglia di vino “ Latinista”! EST! EST! EST! si legge sull’etichetta. Il nome di questo noto vino bianco DOC di Monte-fiascone, in provincia di Viterbo, ha origini accattivanti. Nel 1111, il vescovo tedesco Defuk, grande intenditore di vini, in occasione di un viag-gio a Roma, chiese al suo coppiere Martino di precederlo nel viaggio, assaggiando i vini dei luo-ghi visitati e lasciando sulla porta della locanda una valutazione in codice. Il messaggio convenuto consisteva in EST! (C’è), per indicare un vino buo-no, EST! EST! per indicarne uno molto pregiato. Il coppiere, assaggiato il vino di Montefiascone, dovette ricorrere ad una frase fuori codice: EST! EST!! EST!!!, enfatizzando il messaggio con la ri-dondanza del termine convenuto e con l’uso di ben sei punti esclamativi! L’importanza del vino è attestata da numerosi autori antichi, dal Noè bibli-co in stato di ebbrezza, dal Polifemo ingannato da Ulisse fino ad arrivare alle note espressioni di Eschilo (Il bronzo è lo specchio del volto, il vino quello della mente), Pindaro ( Il vino eleva l’anima e i pensieri, e le inquietudini si allontanano dal cuore), Euripide (E dove non è vino non è amore), Lucrezio (La forza sconvolgente del vino penetra l’uomo e nelle vene sparge e distribuisce l’ardore), Ovidio (Il vino prepara i cuori e li rende più pronti alla passione). IN VINO VERITAS, dicevano gli anti-chi. Certo che senza freni inibitori si rischia di dire la verità o, almeno, ciò che si pensa. Erodoto ci dice che i Persiani erano soliti discutere da ubria-chi delle questioni più delicate; il giorno successi-vo riaffrontavano le decisioni prese e, se le consi-deravano plausibili, le riconfermavano. Si sa anche che Bacco veniva invocato con l’Epiteto Libero, in greco Lieo, in quanto liberatore dei legacci delle convenzioni e della lucidità. Orazio, nell’Ode III si rivolge direttamente all’anfora di vino che suo pa-

dre aveva sigillato alla sua nascita e brindando con Messalla Corvino così si esprime: “O che litigi provochi o facezie, / o risse e frenetici amori, / o più facili, amica anfora, i sonni”. er chiudere la parabola con un altro tedesco, si può ricordare un monaco germanico che considera il vino il mezzo per il Paradiso: Qui bene bibit bene dormit | Qui bene dormit non peccat |Qui non peccat vadit in coelum | Ergo qui bene bibit vadit in coelum. Sillogismo che non fa una piega e che condurreb-be in cielo tutti, se è vero quanto cantavano i go-liardi nel Medioevo: Bibit hera (la padrona) bibit herus (il padrone), bibit miles (il soldato), bibit cle-rus il chierico), bibit ille (quello), bibit illa (quella), bibit servus (servo) cum ancilla (serva), bibit velox (il veloce) bibit piger (il pigro), bibit albus (il bian-co) bibit niger (il negro), bibit constans (il risoluto) bibit vagus (l’incerto), bibit rudis (il rozzo) bibit magus (il sapiente)…Forse questa stravagante elu-cubrazione è frutto della vite? Ai lettori l’ardua sentenza e l’ultima preghiera: Acta est fabula, plaudite! S.V.B.E.E.V.!

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Il Pitagora

di Gabriella Corigliano

Toro Seduto: storie di ordinaria ingiustizia

“Quando avranno inquinato l'ultimo fiume, ab-battuto l'ultimo albero, preso l'ultimo bisonte, pescato l'ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro accumulato nelle loro banche”. Queste le parole di denuncia e, in un certo senso profetiche, di Toro Seduto, grande condottiero nativo americano, capo dei Sioux, vis-suto tra il 1831 e il 1890. Capo degli Hunkpapa Lakota e indiscussa autorità spirituale nelle lotte per la sopravvivenza delle tribù indigene delle grandi praterie del Nordest, Toro Seduto incarna la lotta alla società cosiddetta “civilizzata” che con il suo fanatismo si arroga il diritto di imporre a tutti i popoli i propri costumi. Il conflitto tra Toro Seduto e l'esercito della Confederazione scoppiò nel 1874, quando una spedizione guidata dal ge-nerale George Armstrong Custer confermò la pre-senza di oro nelle Black Hills del territorio Dakota, su un'area sacra a molte tribù e preclusa a inse-diamenti colonici dal Trattato di Fort Laramie del 1868. I cercatori d'oro invasero tuttavia le Black Hills, ignorando il patto stipulato e provocando la reazione dei Lakota. Ma non fu questo il primo caso: 370 i trattati di pace stipulati tra coloni e indigeni, nessuno dei quali venne mai rispettato da parti degli europei. I bianchi avevano infatti iniziato già da molto tempo il processo di annien-tamento delle tribù indiane, con inganni attraver-so i quali i coloni si facevano cedere territori a somme esigue, con aggressioni fisiche e duelli combattuti a forze impari (i bianchi erano infatti muniti di armi da fuoco), con l’uccisione di 15 mi-lioni di bisonti che ne provocarono l’estinzione privando gli indiani della loro fonte di sussistenza principale, attraverso la diffusione di malattie in-fettive e veneree contro le quali gli indiani erano completamente privi di difese. Fu così che negli anni ‘70 i territori dei Black Hills furono meta di una corsa all’oro che portò molti speculatori e

avventurieri in America. Toro Seduto si alleò quin-di con i Cheyenne e con gli Araphao e riuscì a con-seguire alcune importanti vittorie, la più nota del-le quali è quella di Little Big Horn, contro il VII reg-gimento di cavalleria comandato dal generale Cu-ster, che perse la vita in battaglia. La repressione da parte degli inglese fu atroce: le tribù, costrette alla resa, si ritirarono, ma Toro Seduto non fu tra questi e, nel Maggio del 1877, riparò con le sue bande in Canada. Il Generale Terry cercò allora di scendere a patti: gli offrì il perdono se avesse ac-cettato di stabilirsi in una Riserva, ma Toro Sedu-to, spirito guerriero e inarrestabile, rifiutò. Quattro anni più tardi tuttavia, il grande capo Sioux dovette arrendersi: estintosi il bisonte, la sua gente stava morendo di fame. Venne dunque mandato a Fort Randall, dove trascorse due anni come prigioniero di guerra. Nel 1885 gli fu conces-so di lasciare la Riserva per lavorare nel Buffalo Bill's Wild West, uno spettacolo di tipo circense, dove era pagato 50 $ a settimana, oltre ai proven-ti di autografi e fotografie. Vi rimase solo quattro mesi: Toro Seduto non poteva tollerare la società dell'uomo bianco, dedita solo alla speculazione e all’arroganza del progresso. Tornato a Standing Rock continuò a vivere secondo le tradizioni della propria tribù, rifiutando categoricamente di con-vertirsi al cristianesimo nonostante le numerose pressioni. Nell'autunno del 1890 si ordinò l’arre-sto di Toro Seduto, accusato di aver preparato una Danza degli Spiriti, antico rituale indiano, gra-zie alla quale avrebbe potuto sconfiggere i bian-chi. Con un pretesto così debole, il 15 dicembre 1890, prima dell'alba, i poliziotti irruppero nella cabina di Toro Seduto e lo trascinarono all'ester-no, dove i suoi seguaci stavano confluendo per proteggerlo. Nel conflitto a fuoco che seguì, un poliziotto lo colpì al capo provocandone la morte.

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σπουδαῖοι Ennesimo assassinio da parte delle istituzioni di un personaggio sco-modo, che si doveva far tacere, quello di Toro Seduto è solo uno dei tanti episodi che ancora oggi infiamma-no di indignazione per la spregiudicatezza e l’arroganza di quel popolo “paragonabile ad un fiume che strari-pa dagli argini distrug-gendo tutto quello che gli sta attorno”. Queste morti violente sono come macchie che gra-vano su tutta l’umani-tà, facendoci capire

la fallacità del termine “civiltà”; scriveva Mon-taigne nel lontano 1580 a proposito dei barbari abitanti del Nuovo Mondo: “Essi sono selvaggi allo stesso modo che noi chiamiamo selvatici i frutti che la natura ha prodotto da sé nel suo naturale sviluppo: lad-dove, in verità, sono quelli che col nostro artificio abbiamo alte-rati e distorti dall’ordi-ne generale che dovremmo piuttosto chiamare selvatici.

“Quando sarai pronto a morire sarai grande abbastanza per vivere”

In quelli sono vive e vigorose le vere e più utili e naturali virtù e proprietà, che invece noi abbiamo imbastardite in questi, soltanto per adattarle al piacere del nostro gusto corrotto. […] Tutti i nostri sforzi non possono arrivare nemmeno a riprodurre il nido del più piccolo uccellino, la sua tessitura, la sua bellezza e l’utilità del suo uso, e nem-meno la tela del miserabile ragno. Tutte le cose, dice Pla-tone, sono prodotte dalla natura, o dal caso, o dall’arte; le più grandi e le più belle, dall’una o dall’altra delle due pri-me cause; le più piccole e imperfette, dall’ultima.” Ma non tutti gli uomini possono essere filosofi, né condividere un principio elementare, che dovrebbe essere il pilastro di qualsiasi società, barbara o civilizzata che sia: la tolleran-za. Vite perdute e terre calpestate, si sintetizza in questo modo gran parte della storia, e la società moderna do-vrebbe ben ricordare che il grande mito dell’America ha costruito alti grattacieli su prati macchiati di sangue: il sangue dei legittimi abitanti di quel continente.

“Voglio che si sappia che non accetterò di vendere nessun terreno del mio Paese, e neanche lascerò ai bianchi la fa-coltà di fare legna lungo i nostri fiumi. Specialmente non voglio che abbattano le querce: amo particolarmente i piccoli boschi di quercia. Amo guardarli: restino al freddo dell'inverno ed al caldo dell'estate e, come noi, sembrano ricavarne forza”: ricordiamo Toro Seduto con queste pa-role, non quelle del guerriero o del capo tribù, ma dell’uo-mo, che ha semplicemente capito di appartenere alla terra, e non il contrario.

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Il Pitagora La lunga marcia del pioniere della non-violenza

Mohandas Karamchand Gandhi:

lotta di idee e sofferenza “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”

di Maria Policastrese

“Sono un incorreggibile ottimista. Il mio ottimismo si fonda sulla mia convinzione che ogni individuo ha infinite possibilità di sviluppare la non-violenza.Più l’individuo la svi-luppa, più essa si diffonderà come un contagio che a poco a poco contaminerà tutto il mondo”. È un uomo di circa un metro e sessanta a pronunciare queste parole, a ideare il concetto di non-violenza, che non significa passività, bensì resistenza passiva, il non reagire dinanzi alla violenza e all’odio smi-surato degli uomini. Colui che ha concepito questa teoria fondata sull’amore e il rispetto, è Mohan-das Karamchand Gandhi, detto il Mahatma, emblema di pace e uguaglianza. La “Grande Ani-ma” (questo il significato della pa-rola Mahatma), dopo la laurea in giurisprudenza, si reca in Sud Afri-ca con l’incarico di consulente le-gale per una ditta indiana, rima-nendovi ventun anni. Durante il suo soggiorno scopre la tragica situazione nella quale sono co-stretti a vivere migliaia di immigra-ti indiani, vittime innocenti della segregazione razziale. In questo modo nasce il metodo del satya-graha, la resistenza non violenta, che Gandhi applica la prima volta per ribellarsi contro chi non per-metteva ai suoi compatrioti di con-durre una vita ordinaria e soddi-

sfacente. Questa strategia rivolu-zionaria è caratterizzata da marce pacifiche che portano all’elimina-zione, da parte del governo suda-fricano, delle leggi discriminatorie. La prima vittoria del Mahatma rappresenta soltanto l’inizio di un lungo cammino di successi, che porteranno a un encomiabile esempio di come l’uomo possa utilizzare positivamente la ragione per favorire la crescita dell’intera popolazione umana. Nel 1915 Gandhi fa ritorno in India. Il paese è succube del dominio britannico, il quale ha varato una normativa che prevede il sequestro delle ter-re ai contadini in caso di cattivo raccolto. Il Mahatma combatte dall’interno questa complessa situazione, diventando leader del Partito del Congresso, che si impe-

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χρόνικον

Mohandas Karamchand Gandhi:

lotta di idee e sofferenza

a liberare il popolo indiano dal colo-nialismo britannico. Nel 1919 ha ini-zio la prima grande campagna satya-graha, caratterizzata dal boicottaggio delle merci inglesi e il non-pagamento delle imposte. Il Mahat-ma viene arrestato e cerca in ogni modo di raggiungere l’indipendenza del suo Paese, un’indipendenza com-pleta, individuale, spirituale e politi-ca. Nel disperato tentativo di ottene-re l’emancipazione, scoppia la secon-da grande campagna satyagraha, a cui seguirà la nota “marcia del sale” del 1930, per l’abolizione della tassa sul sale. Con indosso il dhoti, tipico abito usato dai contadini, Gandhi e i suoi sostenitori percorrono 380 km di marcia. La purezza di questa manife-stazione non violenta viene aggressi-vamente intaccata dall’impero britan-nico, che arresta 50.000 persone, tra cui il Mahatma e sua moglie. L’anno seguente Gandhi esce di prigione e firma con il viceré Irwin il Patto di De-lhi, con il quale viene legittimata la raccolta di sale. La Grande Anima è riuscita nuovamente a sradicare la malvagità che attanaglia l’umanità non permettendogli di distinguere il bene dal male. Ancora una volta il rispetto e la benevolenza hanno trionfato sulla tracotanza degli uomi-ni, che pretendono spesso di prevari-care ingiustamente sui deboli. È IL 1939. La Seconda guerra mondiale è iniziata, portando via ogni illusoria speranza di pace. Gandhi dichiara di offrire appoggio all’Inghilterra soltan-to se questa garantirà all’India la tan-to agognata indipendenza. La risposta del governo britannico è l’arresto di 60.000 oppositori politici e dello stes-so Mahatma, che verrà rilasciato do-po due anni. Successivamente, nel 1945, i musulmani chiedono la sepa-razione dall’India e la formazione di uno stato mussulmano. "Prima ti ignorano. Poi ti deridono. Poi ti com-battono. Poi vinci." 15 agosto 1947: l’India ottiene l’indipendenza dal do-minio britannico. La riuscita della

battaglia più importante di Gandhi è però offuscata dalla guerra fra India e Pakistan, definitivamente divise. La contesa tra i due paesi porterà allo scoppio di una sanguinolenta guerra civile: un milione di persone perde-ranno la vita, seimila saranno i profu-ghi, anime strappate alla propria ter-ra che tentano disperatamente di non affogare nel germe della violen-za. Gandhi esprime il suo rammarico digiunando e pregando. Le sue condi-zioni di salute peggiorano, e in molti gli chiedono di interrompere il digiu-no; il governo indiano si vede dunque costretto a interrompere la guerra con il Pakistan e a versare al paese rivale la somma che gli spettava per la spartizione dell’India. Nathuram Godse è un sostenitore del Mahatma. Partecipa alle manifestazione non violente contro il regime britannico, che lo arresta e lo tortura legandolo ad un albero. Ma nel momento in cui Gandhi chiede al governo indiano di interrompere la guerra con il Paki-stan, Godse decide di uccidere la Grande Anima con tre colpi di pistola. La lotta non violenta rappresenta la capacità dell’uomo di non arrendersi dinanzi alle difficoltà e la forza pro-pulsiva che spinge ogni essere umano al cambiamento. Questa lotta è tutta-via intrisa di sofferenza, una sofferen-za esercitata in nome della verità e dell’uguaglianza. “La sofferenza è la legge dell'umanità, così come la guer-ra è la legge della giungla. Ma la sofferenza è enormemente più po-tente della legge della giungla, ed è in grado di convertire l'avversario e aprire le sue orecchie alla voce della ragione. cQuando volete ottenere qualcosa di veramente importante non dovete solo soddisfare la ragione ma anche toccare i cuori. L'appello della ragione è rivolto al cervello, ma il cuore si raggiunge solo attraverso la sofferenza. Essa dischiude la com-prensione interiore dell'uomo. La sofferenza, e non la spada, è il simbo-lo della specie umana”.

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Il Pitagora

di Giuseppe Mendicino

La presa di Mileto

Dea illustrissima, divina Mnemosine, canta le macerie di Mileto, mia patria. La polvere che essa solle-vò, annebbiando la vista delle madri in cerca dei figli, seppelliti sotto le culle. Aiutami a guardare in viso le ferite degli uomini contro i quali Zeus non fu clemente, ma lasciò spazio nel campo di battaglia ai barbari.

Siamo finiti in pasto all’aquila che volò per mesi dalla Persia per lacerare negli artigli roventi il topo in trappola sulle coste della Ionia. Gli dei ci hanno abbandonato perché osammo sfidare l’Olimpo con la forza delle nostre menti, ma ora fa, o Dea, che il mio canto non vada perduto. Tu, infatti, sei rimasta viva fra noi cantori e fra la gente per celebrare il dolore e il pianto che più di tutti rimangono impressi nella mente dell’uomo. Ma noi, orgogliosi di essere greci, lottammo insieme contro il nemico diviso.

Bussano alla Grande Porta. Rombano i cavalli nella loro corsa. Bussano. Colpiscono. Pausa… Il boato è più forte. Bussano, poi colpiscono. Feriscono. Macellano il legno della porta, lo fanno a pezzi non con-tenti, usano le stesse schegge per infilzarle negli occhi degli anziani quando entrano nella case. Stu-prano le donne, gettano in mare i bambini.

Dal basso il popolo vede il fumo. “Fa che sia il fuoco della fiamma di pace o degli alleati” supplica. Ma come il fuoco, che diede inizio alla vendetta in Clitennestra, fu presagio di sventura per l’Atride, bru-talmente ucciso, così il soldato dall’alto della torre, vede il fuoco delle navi che iniziano a bruciare.

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Irrompono come le formiche, sollevano zolle di terreno coi loro carri, uccidono con le loro spade senza alcuna pietà. Cosa ne è stato della moglie di Macrotumio, rigida dea? E dei figli di Cota? Perché vedo in terra ossa di cane?

La casa di Macrotumio è stata tutta saccheggiata, la sua testa affissa sulla lancia vicino al tempio di Pal-lade Atena. Da quel viso, dalla bocca spalancata, mi par venir fuori un grido, mentre le mosche si depo-sitano sulla lingua e vermi fuoriescono dal collo. Una goccia di sangue, ancora cola sull’asta, raggiunge il terreno. Eppur non lo feconda.

Cota è stata stuprata. Geme e grida fuori dalla porta sbattendo i pugni contro l’architrave. Mangia la sabbia e la risputa, urlando il nome di Era. Ha strappato un lembo di veste insanguinato e lo passa sopra la porta. La marca, per non dimenticare che il barbaro non perdona. Dentro casa, dietro una tenda, an-cora non ha visto l’orribile scena dei suoi figli colpiti dalla medesima freccia alle tempie.

Dopo aver fatto queste e altre stragi in città, i soldati vanno in giro per le vie gozzovigliando e bevendo vino ma continuano a non avere pietà. All’ora di pranzo, prendono Kira, la cagna di un uomo del popolo, e la passano sul fuoco, mangiandone le zampe. Dopodiché ritornano alle tende e la notte cantavano in pessimo greco “Ἀρισταγόρας ὁ Μιλήσιος τραγομάσχαλος” e altre parole incomprensibili.

I più empi cinsero d’assedio l’acropoli , lanciarono in terra le statue degli dei e finirono di romperne i pezzi ballandoci sopra con danze primitive. Scesero nell’agorà sul far della sera, ritornarono alle navi e partirono, lasciando dietro di sé una scia di sangue e vino che andava a mischiarsi con la spuma marina.

Se ne andarono quaranta giorni dopo. I pochi soprav-vissuti tornarono dalla Tracia e dall’Attica quando arrivò la notizia nelle altre poleis.

Eravamo rimasti in quaran-tacinque fra uomini e donne, ma della nostra città rimane-va ben poco.

Noi, ripartiremo da qui. Toglieremo le macerie e sfideremo gli dei, di nuovo.

Somma dea, divina Mnemo-sine, mia Musa Calliope e dei tutti, ascoltate ancora.

Il tempo e la sabbia copri-ranno il mio papiro, ma esso non si ridurrà mai in polvere, perché rimanga nei vostri occhi l’orrore, nelle vostre menti riecheggi il grido del popolo abbandonato sul mare, e la vostra lingua pos-sa parlarne ancora.

1. Aristagora di Mileto dalle ascelle

che puzzano di caprone

ποιητική

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Il Pitagora

BUM, chissà se fa male di Campagna Maria Giovanna

Mi chiamo Aaron, ho quattro anni e mi piacciono tanto le caramelle.

Mi piacciono i marshmallow perché mi ricordano l’inverno, quando fuori è tutto bianco e sembra quasi di poter divorare tutta quella neve in un solo, dolce boccone; mi piacciono quelle alla pesca perché mi ricordano la primavera, quando la natura si risveglia e gli alberi fiorisco-no di rosa; mi piacciono così tanto i delfini! Sembra quasi di mangiare le onde! Mi piacciono anche i morbidi denti di vampiro, mi ricordano l’autunno quando ci si veste da Dracula per giocare a “Dolcetto o scherzetto?”.

Il mio papà dice che da noi c’è la guerra perché non ci sono caramelle per tutti. Dice che noi afgani abbiamo più diritto di mangiarle rispetto ai pakistani ed è per questo che le pistole fanno BUM. A volte fanno BUM anche le persone ma a papà questo non importa.

Forse quand’era piccolo mangiava soltanto le caramelle dure all’anice. Ne avrà mangiate così tante da diventare amaro anche lui: chi, avendo a disposizione i delfini, sceglie le caramelle all’anice? Sì, sarà sicura-mente così.

Conosco un bimbo, Akram, ha un anno in più di me e anche a lui piac-ciono le caramelle. Gli piacciono molto quelle alla fragola: molto meglio i delfini! Il mio papà dice che è un bimbo cattivo: deve essere punito. Ha soltanto la mamma perché il suo babbo è stato ucciso dal mio. Lui è pakistano.

Abbiamo la stessa quantità di caramelle ma di diversi gusti. Per l’inver-no lui sceglie le girelle alla liquerizia perché dice che sono scure come il cielo quando si arrabbia; per la primavera le fragole ovviamente, per-ché dice che entrambe le cose lo mettono di buon umore; per l’estate sceglie le bottigliette alla coca-cola, dice che non c’è nulla di meglio di mangiarle sulla spiaggia (non sono d’accordo! Se cadono nella sabbia va tutto sprecato!); per l’autunno, invece, quelle al mandarino e all’aran-cia, perché: “Non c’è autunno senza mandarini e arance”! Nessuno sa che siamo grandi amici. Ci incontriamo nel nostro nascondiglio segreto e giochiamo con le macchinine. Noi non capiamo perché dobbiamo essere nemici. Il mio papà non ha ragione quando dice che non ci sono abbastanza caramelle per tutti perché basterebbe che afgani e pakista-ni le mettessero in comune e le mangiassero tutti insieme per essere felici: ce ne sarebbero di tutti i gusti, forme e dimensioni e ognuno potrebbe scegliere la sua preferita! Io e Akram le dividiamo a metà, co-sì sono molte di più! Il problema è che il mio papà le vuole tutte per sé. Se sapesse del mio amico non penso riuscirebbe a comprendere la nostra “teoria caramellata”, anzi, credo che quel suo giochino farebbe BUM. Chissà se fa male.

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ποιητική

Amici di Social Dalla pagina Facebook “Se i social network fossero sempre esistiti”

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Indice Guerra: il padrone di ogni cosa—-–——–——————->Pag.3

Intervista alla D.S.———--——————–——————->Pag.4

Intervista al D.S.G.A.——--—————-———————->Pag.6

Benvenuti nuovi Pitagorici——--——————————->Pag.7

Lettura come mezzo——--—————–-—–—————->Pag.8

Tra mare e mito——————-———————————>Pag.9

Il Pitagora tra i migliori giornalini scolastici italiani--—->Pag.10

Rumori, Visioni, Parole———--————–—————->Pag.12

HIPOPOTOMONSTROSESQUIPEDALIOFOBIA-————->Pag.15

Toro seduto—————————--———–—————->Pag.16

Mohandas Karamchand Gandhi————–—————->Pag.18

La presa di Mileto————-————–———————>Pag.20

Bum, chissà se fa male—--————————————->Pag.22

Amici di social————–———————————–--—>Pag.23

Il Pitagora Monopoli War

Si avvisano gli studenti del liceo classico Pitagora, che dal prossimo numero partirà la rubrica Greek vs Latin, tenuta da Giuseppe Mendicino con la collaborazione della prof.ssa Ada Fabiano. L’iniziativa parte da una domanda che ci siamo posti: gli ideali di oggi si fondano soprattutto su una matrice romana, non greca. Ma come sa-rebbe stato se avesse continuato a dominare Alessandro Magno e non ci fosse stato un ideale romano su cui sarebbe sorto il mondo odierno? Di certo un’utopia, quindi irrealizzabile, ma che forse avrebbe reso il mondo migliore. O forse no? Da qui la nascita della rubrica, che analizzerà il tema trattato dal giornalino in modi culturali opposti e le loro ripercussioni sulla società moderna.

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