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d e l l ε ANGOLO MUS Via Torre Bruciata 17 64100 Teramo redazione Giacomo Danese (Musica) Giovanni Marcotullio (Cinema) Giovanni Corrieri (Arte) ProspettivA persona 97-98 (2016/3-4), 112-115 In margine al docufilm di David Bickerstaff L’enigma Goya Nun zio Bom ba ci L’uomo e l’artista Goya N el 2015 è stato proiettato nei cinema italiani un film sulla vita e le opere di Vincent van Gogh, che mi rammarico di non aver potuto vedere. Ho visto invece, e vivamente apprezzato, il più recente film documentario su Franci- sco Goya, proiettato nelle nostre sale – purtroppo talora semivuote per l’occasione – il 2 e 3 febbraio 2016, con sottotitoli in italiano. La pellicola è stata realizzata in con- comitanza con la mostra di un cospicuo numero delle sue opere allestita presso la National Gallery di Londra (“The Portraits”, 7 ottobre 2015 - 10 gennaio 2016). Per lo scrivente, l’opera di Francisco José de Goya y Lucientes (1746-1828) costi- tuisce uno degli enigmi più intriganti della storia della pittura, non meno di quella di un Caravaggio o di un Van der Meer. Sebbene essa sia inclassificabile, come ogni opera di genio, i critici hanno comunque tentato di rubricarla nei modi più diversi, quale peculiare forma di realismo o di naturalismo oppure come pittura che prelude all’impressionismo. Di converso, i dipinti più tardi – l pintur negr, che ci ap- paiono quali «visioni di carne e sangue» – fanno pensare a un espressionismo ante litteram. In ogni caso, Goya resta lontano dal neoclassicismo in voga al suo tempo. La sua poetica e la sua tecnica sono alquanto dissimili da quelle degli artisti neoclassici, del coevo Jacques-Luis David, che celebra i fasti napoleonici, come di Jean-Auguste Ingres, il quale rappresenta talora donne la cui avvenenza, perfetta ma forse un po’ fredda, resta lontana dalla ben più veridica bellezza femminile ritratta dal pittore aragonese. Con riguardo alla sovrana indipendenza di Goya rispetto al gusto imperante al proprio tempo, un eminente critico, Jean Starobinski, ha scritto: La modernità di Goya risiede in quel rinnovamento avventuroso che lo conduce ver- so un universo sconosciuto, che lo porta ad affrontare sgomento il possibile e l’im- possibile; risiede nella risoluzione personalissima di far fronte al dolore del momento storico con tutte le risorse della sua singolare sensibilità e della sua arte […] Più di tut- ti i pittori che sono venuti prima di lui, egli si allontanerà dal “gusto” del suo tempo, e rinnegherà la sua prima maniera, per non essere altri che se stesso – Goya – nella libertà totale dell’espressione, e nella solitudine dell’inflessibile testimonianza 1 . Nel film in parola risulta abbastanza convincente, anche per la sua somiglianza fi- sica con l’artista, l’attore che interpreta Goya 2 . In diverse scene lo si vede intento a me- ditare o a curare la corrispondenza. Appare sempre da solo: manca qualsivoglia dia- logo. Qui l’artista esprime solo i suoi pensieri, attestati dai suoi appunti o dalla corri- spondenza, in un inglese reso singolare, e anche un po’ divertente, dalla parlata blesa propria del castigliano. 1. Jean Starobinski, Il ritorno dell’ombra,1 a ed., Abscondita, Milano 2006; orig. fr. Les emblèmes de la raison, Flammarion, Paris 1979; riportato anche in Francisco José (de) Goya, Goya, a cura di Jean Starobinski, 1 a ed., Rizzoli, Milano 2003, pp. 7-8. 2. Mi scuso con il lettore se non sono in grado di precisare il nome dell’interprete poiché, inspiegabilmente, esso non appare in alcuna locandina del film. 112 97-98 (2016/3-4)

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Via Torre Bruciata 1764100 Teramo

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Giacomo Danese (Musica)Giovanni Marcotullio (Cinema)

Giovanni Corrieri (Arte)

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In margine al docufilm di David Bickerstaff

L’enigma Goya

Nunzio Bombaci

L’uomo e l’artista Goya

Nel 2015 è stato proiettato nei cinema italiani un film sulla vita e le opere diVincent van Gogh, che mi rammarico di non aver potuto vedere. Ho vistoinvece, e vivamente apprezzato, il più recente film documentario su Franci-

sco Goya, proiettato nelle nostre sale – purtroppo talora semivuote per l’occasione –il 2 e 3 febbraio 2016, con sottotitoli in italiano. La pellicola è stata realizzata in con-comitanza con la mostra di un cospicuo numero delle sue opere allestita presso laNational Gallery di Londra (“The Portraits”, 7 ottobre 2015 - 10 gennaio 2016).

Per lo scrivente, l’opera di Francisco José de Goya y Lucientes (1746-1828) costi-tuisce uno degli enigmi più intriganti della storia della pittura, non meno di quelladi un Caravaggio o di un Van der Meer. Sebbene essa sia inclassificabile, come ogniopera di genio, i critici hanno comunque tentato di rubricarla nei modi più diversi,quale peculiare forma di realismo o di naturalismo oppure come pittura che preludeall’impressionismo. Di converso, i dipinti più tardi – las pinturas negras, che ci ap-paiono quali «visioni di carne e sangue» – fanno pensare a un espressionismo antelitteram. In ogni caso,Goya resta lontanodal neoclassicismo in voga al suo tempo.Lasua poetica e la sua tecnica sono alquanto dissimili da quelle degli artisti neoclassici,del coevo Jacques-Luis David, che celebra i fasti napoleonici, come di Jean-AugusteIngres, il quale rappresenta talora donne la cui avvenenza, perfetta ma forse un po’fredda, resta lontana dalla ben più veridica bellezza femminile ritratta dal pittorearagonese.

Con riguardo alla sovrana indipendenza di Goya rispetto al gusto imperante alproprio tempo, un eminente critico, Jean Starobinski, ha scritto:

Lamodernità di Goya risiede in quel rinnovamento avventuroso che lo conduce ver-so un universo sconosciuto, che lo porta ad affrontare sgomento il possibile e l’im-possibile; risiede nella risoluzione personalissima di far fronte al dolore del momentostorico con tutte le risorse della sua singolare sensibilità e della sua arte […] Più di tut-ti i pittori che sono venuti prima di lui, egli si allontanerà dal “gusto” del suo tempo,e rinnegherà la sua prima maniera, per non essere altri che se stesso – Goya – nellalibertà totale dell’espressione, e nella solitudine dell’inflessibile testimonianza1.

Nel film in parola risulta abbastanza convincente, anche per la sua somiglianza fi-sica con l’artista, l’attore che interpretaGoya2. In diverse scene lo si vede intento ame-ditare o a curare la corrispondenza. Appare sempre da solo: manca qualsivoglia dia-logo. Qui l’artista esprime solo i suoi pensieri, attestati dai suoi appunti o dalla corri-spondenza, in un inglese reso singolare, e anche un po’ divertente, dalla parlata blesapropria del castigliano.

1. Jean Starobinski, Il ritorno dell’ombra, 1a ed., Abscondita, Milano 2006; orig. fr. Les emblèmes dela raison, Flammarion, Paris 1979; riportato anche in Francisco José (de) Goya, Goya, a cura di JeanStarobinski, 1a ed., Rizzoli, Milano 2003, pp. 7-8.

2. Mi scuso con il lettore se non sono in grado di precisare il nome dell’interprete poiché,inspiegabilmente, esso non appare in alcuna locandina del film.

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L’uomoGoya si delineadinanzi allo spettatore delfilm soprattutto grazie agli stralci delle lettere invia-te all’amico d’infanzia Martín Zapater, verso il qua-le egli nutre un profondo affetto e a cui si raccontasenza reticenza. L’epistolario ci rivela l’indole di unuomo non particolarmente proclive alla riflessioneastratta e, forse, anche poco propenso all’indaginedei più sottili moti interiori. Nei brani citati duran-te il film non si colgono neppure significativi riferi-menti alla poetica di Goya. Al più, lo spettatore vie-ne a sapere che, per lui, in pittura «non vi sono rego-le». È davvero poco…Inoltre, a giudizio dello stessoGoya, chi – a differenza di molti pittori di quel tem-po – nella sua opera non rappresenta ciò che è in na-tura deve essere capace di trarre dalla propria animae trasporre sulla tela qualcosa di assolutamente sin-golare se intende essere considerato un vero artista.

Il nostro pittore non è di bell’aspetto, tende al-la pinguedine, non è particolarmente brillante nel-la conversazione, ma è molto ambizioso nonchében consapevole del suo straordinario talento. Aspi-ra al successo e, anzi, vuole giungere ad essere ilpittore più ammirato e pagato della Spagna (nonva sottaciuta la sua avidità di denaro). Riuscirànel proprio intento. Dalla sua, ha pure il carattereproverbialmente cocciuto di ogni buon aragonese.

Il film propone, in un excursus abbastanza equi-librato, le diverse fasi del percorso artistico diGoya. Tuttavia, la parte preponderante della pel-licola è volta ad analizzare alcune delle sue ope-re più celebri, privilegiando i ritratti. Tale anali-si è condotta da critici, artisti e restauratori, tut-ti rigorosamente anglofoni o ispanoablanti (pe-raltro, nei sottotitoli la traduzione è eccellente).

Le prime opere: scene del quotidianoe ritratti di principi

La pellicola documenta che, per larga parte, la pri-ma fase della produzione artistica di Goya è costitui-ta dai dipinti commissionati a partire dal 1774 dallafamiglia reale, quali modelli preparatori degli araz-zi che adorneranno le stanze dei palazzi di sua pro-prietà, compreso l’Escorial, costruito due secoli pri-ma dal tetro Filippo II. Lo spettatore del film chenon conosca l’opera dell’artista resta sorpreso dallostraordinario e gioioso cromatismo di queste tele.

A quel tempo, Goya appare come un uomo cheama profondamente la vita ed è capace di godere deipiccoli piaceri quotidiani come, ad esempio, una bat-tuta di caccia o un buon cioccolato. E i suoi quadri

rappresentano prevalentemente scene di vita quoti-diana, della nobiltà e del popolo madrileni. L’una el’altro vengono immortalati mentre si trastullano ingiochi di società o danzano, spesso sulle rive delMan-zanarre, il modesto fiume che attraversa Madrid.

Anche in virtù di queste tele, che soddisfano il gu-sto di un pubblicomolto ampio, Goya entra semprepiù nelle grazie della famiglia reale, sino ad assurgerea«pittore di camera» del re nel 1789.Negli anni pre-cedenti si è dovuto accontentare di vivere per qual-che temponella residenza dell’Infante, il sessantenneDon Luis, esiliato in una località remota dal fratello,il reCarlo III, in seguito alle sue reiterate intemperan-ze di tombeur de femmes.Nel film èpresentato inpar-ticolare il ritratto della numerosa famiglia dell’attem-pato Infante.Ne vengonoposte in rilievo le pennella-te larghe, pastose, rapide, che rendono con vigore ica-stico la sontuosità dei vestiti indossati dai personaggi.Un critico intervistato nel film evidenzia il singolaretalento di Goya nel rappresentare un abito non co-me qualcosa di “sovrapposto” alla persona,ma comeparte integrante del suo corpo. In tal modo, più diogni altro pittore egli rivela la struttura fisica dei per-sonaggi così come essa è. Inoltre, nel ritratto della fa-miglia di donLuis colpisce particolarmente il bianco-re di alcuni volti, sui quali la luce trova un’accoglien-za privilegiata. Al pittore bastano pochi, piccoli toc-chi di colore per rendere l’incarnato di un personag-gio. Sonoparticolarmente candidi i volti dei principi-ni. Aggiungerei che forse pochi altri artisti hanno of-ferto altrettanta visibilità all’innocenza dei bambini.

Già in tali quadri, Goya «si diverte» a ritrarre sestesso, spesso in un’estremità semibuia del dipinto,mescolato al personale di corte. In questi casi, talo-ra egli rivolge lo sguardo agli altri personaggi del di-pinto, talaltra allo spettatore, come a volerlo scon-certare, spodestandolo della sicumera propria di chiosserva ed è certo di non essere osservato da altri.È appena il caso di dire che, nel ricorrere a questoespediente, il pittore aragonese ricorda l’attitudine diVélazquez a ritrarsi nei suoi quadri (si pensi al cele-bre dipinto Las Meninas). In effetti, i critici inter-vistati in questo film documentario pongono in ri-lievo l’influenza di Vélazquez su Goya, trascurandodi menzionare le suggestioni attinte dai pittori coe-vi. D’altronde, le affinità espressive tra Goya e Véla-zquez vanno ricondotte alle loro giuste proporzioni.

Al riguardo, va detto che Vélazquez indulge altenebrismo soprattutto nella sua opera giovanile, enon solo perché predilige i colori oscuri della tavo-lozza, ma in quanto presenta con crudo realismo gliaspetti tenebrosi dell’esistenza.Di converso,Goya dà

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spazio al «regno delle tenebre» soprattutto nei suoidipinti più tardi. E soprattutto dall’esame di questidipinti si possono forse cogliere alcuni tratti della re-ligiosità dell’autore, che non di rado viene trascura-ta dai critici, compresi coloro che intervengono nelfilm in parola. Allo scrivente, la religiosità del pitto-re appare essenzialmente quale legame con il pote-re della Natura, intesa quale physis, immane potenzaancipite che genera incessantemente ciò che tende apromuovere o distruggere l’uomo, ovvero il bene eil male. Tale potenza può richiamare alla memoriadi uno studioso di filosofia quell’istanza prima e ul-tima denominata religatio da Xavier Zubiri, grandefilosofo spagnolo delNovecento. La religiodiGoya èdunque religatio, legame irrimessibile dell’uomo conil potere della Realtà, fonte prima e ultima di tuttociò che è, la quale per Zubiri trascende l’Essere stesso.

Inoltre, la pennellata diVèlazquez, rispetto aquel-lo dell’artista aragonese, è più “celata” all’osserva-tore e indugia di più nel delineare i contorni del-le cose nonché nel ricostruire minuziosamente gliambienti. Goya, invece, con la sua pennellata rapi-da e “manifesta” si sofferma soprattutto sulla figu-ra umana, e rende spesso scarno, vuoto, lo sfon-do. Per la verità, lo aveva già fatto proprio Véla-zquez nel ritratto di un comico di corte – il ce-lebre El Pablillo – e, in seguito, lo avrebbe fattoÉduard Manet nell’ancora più celebre Il pifferaio.

Come si è detto, Goya imprime spesso nella te-la un tocco di pennello ben evidente, il quale nonvuole più celarsi nel nitore dell’opus perfectum. Ciòsegna una notevole distanza tra il pittore aragone-se e gli artisti neoclassici contemporanei, e costitui-sce altresì un assonanza con l’opera di alcuni au-tori dei secoli successivi. Si pensi agli impressioni-sti, a Georges-Pierre Seurat, esemplare interprete delpointillismo, a Giovanni Segantini nonché agli epi-goni del suo divisionismo e, soprattutto, a Vincentvan Gogh. Con la sua peculiare pennellata, Goyaprecorre quindi diverse forme della pittura del di-ciannovesimo e ventesimo secolo. Sul piano mera-mente formale, per lo scrivente risiede soprattuttoin questo la “modernità” del pittore aragonese.

Opportunamente, il film pone in rilievo la pro-pensione di Goya all’autoritratto, dalle prime ope-re sino all’ultima produzione, la quale si situa ne-gli anni vissuti nell’autoesilio in terra francese, do-ve morirà. L’ampia serie di autoritratti evidenzia,tra l’altro, l’attenzione prestata dall’artista ai segnidel progressivo declino fisico. Al riguardo, forse sol-tanto Rembrandt può essere accostato al pittorearagonese e, anzi, lo supera nella meticolosità de-

gli autoritratti. Uno psicologo appassionato di ar-ti figurative, sulla scorta dei rispettivi autoritrattie degli elementi biografici, potrebbe azzardarsi aformulare un’ipotesi riguardo alla genesi di que-sta ossessione dell’autoritrarsi, rilevando forse neidue autori un singolare grado di egosintonicità.

Goya e la famiglia reale:un rapporto controverso

I critici che intervengono nel film in parola noneludono il tema – ampiamente dibattuto dagli stu-diosi di Goya – costituito dal tenore del rapportointrattenuto dal pittore con la famiglia reale al tem-po di Carlo III e di Carlo IV di Borbone. Tali criti-ci concordano nel ritenere che l’artista sia fondamen-talmente devoto alla famiglia reale, più per un visce-rale patriottismo che per una convinzione profon-damente meditata o per una spiccata simpatia neiconfronti dei membri della stessa. Goya non è uo-momolto proclive a concettualizzare, è piuttosto unessere passionale, ancorché la sua passionalità sia ce-lata dall’aspetto un po’ torpido che appare soprat-tutto in qualche autoritratto della tarda maturità.

È innegabile che, in tale periodo, il pittore fre-quenti alcuni connazionali còlti e aperti alle idee po-litiche e sociali propugnate dall’Illuminismo. Tutta-via, probabilmente nonne comprende sino in fondole ragioni. In fondo, egli resta un uomo per certi ver-si “impolitico”. Gli si può ascrivere piuttosto, comequalità del carattere, una certa astuzia diplomatica,in virtù della quale queste frequentazioni – che, pro-babilmente, non sono sfuggite ai pettegolezzi di cor-te – non nuocciono ai rapporti con la famiglia reale.Tale astuzia consente a Goya anche di coltivare buo-ni rapporti con gli altri pittori che lavorano a corte,tra i quali Francisco Bayeu, del quale sposa nel 1773la sorella Josefa, detta Pepa. Come appare da un ri-tratto proposto fugacemente allo spettatore del film,si tratta di una donna bruttina, e che conterà poconella lussureggiante vita sentimentale del consorte.

In estrema sintesi, si può dire che nelle ultime de-cadi del Settecento Goya frequenta la famiglia del re,i nobili spagnoli, i popolani come pure gli intellet-tuali che vorrebbero sovvertire l’ancien régime perinstaurare il «regno dei Lumi». Come è stato ac-cennato, i critici intervistati nel film ritengono cheil rapporto diGoya con i reali sia fondamentalmenteimprontato al rispetto. Altri studiosi esprimono opi-nioni diverse al riguardo. Invero, l’esame dei ritrattidelle famiglie reali di Carlo III e Carlo IV di Borbo-

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ne potrebbe legittimare l’una e l’altra tesi. I difetti fi-sici dei personaggi non sono sottaciuti dall’opera diGoya,ma neppure esaltati (sebbene alcuni critici rav-visino dei tratti caricaturali in alcuni dei volti da luidipinti). Comunque, nei suoi quadri essi non sonoinseriti più nell’atmosfera ieratica in cui li avrebbe-ro immersi i pittori spagnoli coevi. Si pensi, ad esem-pio, al re Carlo III dipinto dall’artista aragonese intenuta da caccia (1786-88). Questo quadro fa da con-trappunto ad altri ritratti del sovrano, come quellodipinto nel 1765 dal pittore boemo Anton RaphaelMengs, ora esposto al Museo del Prado. Qui – co-me nel monumento a Carlo III posto in piazza Ca-vallotti a Messina, eseguito dall’oscuro Saro Zagarinel 1859 – l’atteggiamento del re sfoggia tutta la so-lennità consona al rango. Per lo più, aGoya interessainvece rendere con vigore icastico i tratti fondamen-tali del carattere di sovrani e principi, piuttosto chesottolinearne il potere evidenziandone la sontuositàdell’abbigliamento, gli orpelli che lo adornano o illusso dell’ambiente in cui sono ritratti. Sembra costi-tuire un’eccezione il ritratto di Ferdinando VII, re diSpagna dopo la fine del dominio napoleonico. NelFerdinando VII con il manto regale (1814), ancorchélo sfondo sia assolutamente vuoto (analogamente amolti altri ritratti di Goya) l’abbigliamento del re èparticolarmente sontuoso e i segni del potere ben evi-denti. Del sovrano, probabilmente chi osservi il qua-dro non riesce a cogliere alcunché della sua persona-

lità, se non il compiacimento del proprio potere. Alpiù, ci si avvede della sua bruttezza, esasperata dallaprominenza del mento, analoga al prognatismo de-gli Asburgo (tuttavia, Ferdinando VII appartiene al-la stirpe dei Borboni). Qualche critico aggiunge cheil quadro pone in evidenza anche l’ottusità del so-vrano, attestata peraltro dalla sua politica: una bie-ca Restaurazione che perseguita le élites liberali delpaese alle quali il pittore aragonese si sente vicino.

Goya non suscita il risentimento delle perso-ne ritratte allorché ne rappresenta senza reticen-za il carattere un po’ fatuo, la vanità oppure i se-gni del declino fisico. In effetti, nel ritratto del-la famiglia di Carlo IV risalente all’incirca al 1800,la regina Maria Luisa di Borbone appare piutto-sto brutta e appassita. Non va sottaciuto, comun-que, che il pittore dà rilievo anche alle floridebraccia nude della sovrana, nonché alla numerosaprole, che la rivelano quale icona della fertilità.

Rispetto al parere espresso nel film da alcu-ni eminenti critici, quello formulato dalla filoso-fa María Zambrano sui rapporti tra Goya e ireali è molto diverso. A suo giudizio, fortemen-te condizionato dalla sua spiccata fede repubbli-cana, il pittore ritrae re e nobili dai lineamen-ti ottusi e volgari, tanto da sembrare talora ma-rionette. Per l’autrice, si tratta di personaggi pri-vi di regalità e lontani dalla realtà della Spagna.

Immagine 19: Francisco Jose de Goya y Lucientes, La famiglia di Carlo IV, 1800/1801, Museo del Prado,Madrid

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