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Indice

Introduzione ................................................................................................... 1

1. Cent’anni di Cosmologia ............................................................................ 2

2. Il Modello Cosmologico Standard ΛCDM .................................................. 6

3. Questioni aperte e modelli alternativi (cenni) .......................................... 12

4. Conclusioni .............................................................................................. 14

Bibliografia .................................................................................................. 16

Ringraziamenti ............................................................................................. 18

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“La più sublime, la più nobile tra le Fisiche scienze ella è

senza dubbio l’Astronomia. L’uomo s’innalza per mezzo

di essa come al di sopra di se medesimo, e giunge

a conoscere la causa dei fenomeni più straordinari.”

(Giacomo Leopardi1)

Introduzione

Il presente lavoro intende offrire un riassunto dello “stato dell’arte” della Cosmologia: dopo averne ripercorso per sommi capi la storia degli ultimi cent’anni (cap.1), verrà illustrato il Modello Cosmologico Standard “ΛCDM” (cap.2), che è quello generalmente accettato dalla comunità scientifica allo stato attuale delle conoscenze; infine, si farà un breve “excursus” sulle questioni “aperte” e sui modelli cosmologici alternativi (cap.3).

La Cosmologia si può definire in maniera sintetica come lo studio dell’Universo inteso nella sua totalità. La particolarità della Cosmologia come scienza è che l’Universo può essere solo osservato e non sottoposto ad esperimenti: diversamente da quanto avviene in altre discipline, gli astronomi non possono modificare l’oggetto del proprio studio.

Uno dei capisaldi della Cosmologia di oggi è l’espansione dell’Universo, che ha spazzato via la visione “ottocentesca” di un Universo statico e infinito. E’ interessante sottolineare che già nel 1826 il medico tedesco Heinrich Wilhelm Olbers formulò in maniera chiara un paradosso (che viene ricordato col suo nome)2, il quale, se correttamente affrontato, avrebbe potuto mettere in crisi assai prima le suddette assunzioni3. L’osservazione che un Universo di infinite stelle dovrebbe essere illuminato anche di notte deriva dal semplice calcolo dell’intensità totale ricevuta da tutti gli astri e che risulta divergere col raggio dell’Universo. In realtà, affinando il ragionamento, si scopre che le stelle più vicine nascondono quelle più lontane situate sulla stessa linea di vista, per cui i conti corretti comportano che il cielo dovrebbe avere una brillanza superficiale pari a quella del Sole. Come è noto, Olbers ipotizzò che la luce delle stelle lontane fosse assorbita da una qualche materia interstellare. Ovviamente, tale risposta non funziona, perché in un Universo infinito e statico, la materia dovrebbe raggiungere l’equilibrio termico e riemettere tanta luce quanta ne assorbe. In effetti, le possibili soluzioni al paradosso sono molteplici4, ma, alla luce dell’attuale interpretazione della legge di Hubble5, il motivo principale per cui il cielo di notte non è luminoso come di giorno deriva dal fatto che l’Universo esiste da un tempo finito (e ciò, insieme al limite della velocità della luce, comporta che oggetti più lontani dell’orizzonte “causale” non possono inviarci alcuna “informazione”) ed è in espansione (per cui, lo “spostamento verso il rosso” fa uscire dalla finestra del “visibile” la luce di oggetti abbastanza lontani, ovvero dotati di sufficiente velocità). E’ curioso (ma non sorprendente) che uno dei primi ad intuire una spiegazione plausibile del paradosso di Olbers sia stato uno scrittore: Edgar Allan Poe, nel suo poema in prosa “Eureka” (1848), proponeva, come causa della presenza di “vuoti” nel cielo notturno, il fatto che, in quelle zone, i raggi luminosi, provenendo da distanze immense, non avessero ancora avuto il tempo di arrivare fino a noi.

1 Storia dell’astronomia dalla sua origine fino all’anno MDCCCXI, Introduzione, da Opere inedite a cura di G. Cugnoni, Halle, 1878. 2 In realtà, il paradosso di Olbers è uno dei molti esempi della storia della scienza che rispondono a quella che scherzosamente viene definita legge della “misonimia”, per cui niente (scoperta, invenzione o dimostrazione) porta veramente il nome della persona che ne è l’autore. Nella fattispecie, altri prima di Olbers, a partire almeno da Giovanni Keplero (1610), avevano usato l’argomento ora per contraddire, ora per sostenere l’ipotesi di un Universo infinito. 3 Probabilmente, per lo stesso motivo, cioè il prevalere del paradigma “statico” e “infinito”, solo dopo l’affermazione della Relatività Generale e della legge di Hubble, è stato dimostrato che si possono ricavare le equazioni di Friedmann (pur se in modo non del tutto rigoroso e con qualche limite interpretativo) anche facendo uso della sola meccanica newtoniana. 4 Per una descrizione delle quali si rimanda alla Bibliografia, in particolare [28]. 5 Va detto che secondo alcuni (in particolare, l’astronomo inglese Edward Robert Harrison) il vero motivo sarebbe legato al ciclo di vita finito delle stelle, per cui il paradosso sarebbe compatibile anche con un Universo “stazionario”.

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“I am convinced that the redshift of spectrum lines is

an absolutely convincing consequence of relativity theory.

If it were proved that this effect did not exist in nature,

then the whole theory would have to be abandoned.”

(Albert Einstein6)

1. Cent’anni di Cosmologia

La Cosmologia attuale7 ha come base fisico-matematica la teoria della Relatività Generale, le cui equazioni furono pubblicate da Einstein il 25 Novembre del 1915. Einstein stesso fu il primo ad applicarle all’Universo intero (1917), proponendo un modello omogeneo, pieno di materia senza pressione, di densità costante nello spazio e nel tempo: ne risulta uno spazio a geometria sferica, cioè con curvatura positiva uguale ovunque, uno spazio illimitato ma finito; tuttavia, per rendere statico il suo modello8, Einstein modificò la formulazione originale introducendo la cosiddetta “Costante Cosmologica”.

Sempre nel 1917, l’olandese Willem De Sitter (uno dei primi a far conoscere il lavoro di Einstein nel resto del mondo) scoprì una seconda soluzione cosmologica delle equazioni della Relatività Generale. Si trattava anche in questo caso di una soluzione statica, ma basata su un Universo fondamentalmente senza materia, in cui gli oggetti che lo riempiono (come le stelle) si possono considerare come particelle di “test”. Così facendo, De Sitter deduce che, all’aumentare della distanza, le righe spettrali di tali oggetti devono presentare uno spostamento sistematico verso il rosso, che lui interpreta come una velocità radiale “falsata”, aprendo la strada all’interpretazione cosmologica del “redshift”.

Sarà il russo Alexander Alexandrovich Friedmann, tra il 1922 e il 1924, a trovare la soluzione generale alle equazioni di Einstein, cioè infiniti modelli, in cui il raggio di curvatura “R” dipende in generale dal tempo (gli Universi di Einstein e De Sitter non sono altro che casi particolari in cui tale dipendenza non esiste) e il valore scelto per la Costante Cosmologica “Λ” ne determina l’evoluzione: se questa è positiva e maggiore di un certo valore critico, si ottiene un Universo che cresce in modo monotòno a partire da un valore iniziale di “R” nullo; se “lambda” è positiva, ma inferiore al valore critico, la crescita è sempre monotòna, ma a partire da un valore iniziale del raggio diverso da zero; altrimenti (Λ≤0), l’Universo risultante sarà periodico, con “R” che oscilla tra “0” e “∞”. Friedmann ammette che le conoscenze osservative del tempo non permettono di determinare in maniera certa in quale tipo di Universo ci troviamo, tuttavia, a puro titolo di esempio, effettua una stima dell’età dello stesso (sulla base di Λ=0 e massa totale dell’Universo M=5 ·1021 M) straordinariamente preveggente, in quanto dell’ordine di 1010 anni.

Nel frattempo, l’astronomo americano Vesto Melvin Slipher, dal 1912, ha cominciato ad accumulare dati osservativi di effetto Doppler nelle cosiddette “nebulae” (saranno più di 40 nel 1925), la maggior parte dei quali spostati verso il rosso e interpretabili come velocità radiali elevate (fino a 1000 km/s). Anche il tedesco Carl Wilhelm Wirtz nota il fenomeno e osserva che i dati suggeriscono che l’effetto va aumentando al crescere della distanza degli oggetti e lo collega al modello di De Sitter (1922).

6 To Arthur Eddington, December 15, 1919, CPAE, Vol. 9, Doc. 216 (from A. Calaprice, The Ultimate Quotable Einstein, Princenton University Press, 2011). 7 Non userò il termine “scientifica”, che spesso si associa, nei testi contemporanei, al termine Cosmologia per caratterizzare e distinguere l’attuale stato delle conoscenze rispetto a quello delle epoche precedenti (quando si è generosi) alla nascita della teoria della Relatività, perché ritengo che non ci sia una ragione valida per definire “non scientifica” la Cosmologia di Aristotele o quella di Copernico (per non parlare di Newton): anche se ci sembra tale secondo i nostri standard correnti, bisogna provare a chiedersi cosa penseranno della teoria del Big Bang, o di altre contemporanee, tra 500 anni…e forse anche meno. 8 In una lettera all’amico Bentley del 1692, Newton dimostra di essere consapevole che in un Universo infinito e statico la materia, per mutua attrazione, dovrebbe tendere a collassare.

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Il fisico-matematico tedesco Hermann Weyl (1923) e l’astronomo polacco Ludwik Silberstein (1924) propongono relazioni tra “redshift” e distanza, ma senza ottenere sufficiente attenzione o consenso. Nello stesso anno, lo svedese Knut Lundmark è il primo a porre in un grafico la velocità radiale “versus” la distanza, ma a causa della dispersione dei dati che gli si presenta, non ritiene di poter tracciare un qualunque tipo di tendenza. Wirtz, invece, riprendendo i dati di Lundmark, propone una relazione “log-diameter vs. velocity”, mentre l’astronomo svedese Gustav Benjamin Strömberg utilizza la magnitudine apparente al posto delle distanze, ma non vede sufficienti ragioni per inferire alcun tipo di relazione. Spetterà, così, all’americano Edwin Hubble, basandosi sulla misure del “fido” collega Milton Lasell Humason, affermare la dipendenza lineare, che avrebbe preso il suo nome, tra le velocità radiali delle galassie e la loro distanza (nel 1929 sulla base di soltanto 24 campioni; relazione poi migliorata nel 1931 con altre 40 misurazioni). Tuttavia, va ricordato che Hubble mostrerà sempre una certa prudenza interpretativa verso i suoi risultati, credendo piuttosto al fatto che fossero una prova a favore del modello statico di De Sitter.

Gli anni ’20 sono anche gli anni del presbitero belga Georges Edouard Lemaître, che indipendentemente da Friedmann (ma dopo di lui) scopre che le equazioni di Einstein ammettono soluzioni non statiche e, soprattutto, interpreta le osservazioni americane sulle velocità delle galassie come indizi di un Universo in espansione (1927). Nel 1930, il famoso astronomo inglese Sir Arthur Stanley Eddington dimostra l’instabilità della soluzione dell’Universo di Einstein e prende in considerazione il modello di Lemaître. Questi, poi, nel 1931, pubblica un articolo in cui per la prima volta viene sostenuta l’idea di un “atomo primitivo”, cioè uno stato “condensato” all’origine dell’Universo, in contrapposizione alla cosmogonia “ottocentesca” di Immanuel Kant e Pierre de Laplace, che pongono come punto di partenza dell’evoluzione del Mondo una nebulosa diffusa.

Intanto, anche Einstein9 e De Sitter si convincono che l’Universo è in espansione e decidono, quindi, di firmare insieme, nel 1932, uno scritto che peserà non poco (per l’autorevolezza degli autori) nel ritardare l’affermazione del modello di Big Bang “in fieri” di Lemaître. Nel lavoro dei due scienziati si afferma che la soluzione di un Universo che si espande si può ottenere senza la necessità di introdurre né curvatura spaziale, né pressione, né Costante Cosmologica (possibilità, peraltro, già insita nei lavori di Friedmann, Lemaître e dell’americano Howard Percy Robertson10, il quale nel 1929 aveva sviluppato la forma generale della metrica dello spazio-tempo per un Universo spazialmente omogeneo ed isotropo). Negli anni ’30 merita di essere segnalato anche il lavoro del fisico statunitense Richard Chace Tolman, che prevede, in un Universo in espansione, il raffreddamento della radiazione, pur mantenendo uno spettro di corpo nero!

Il 1948 è l’anno dell’entrata in scena in maniera definitiva dei due principali modelli cosmologici antagonisti del secondo Novecento. Il primo è il cosiddetto Big Bang “caldo” sostenuto dal fisico ucraino Georgiy Antonovich Gamov, col contributo importante (in particolare, nella derivazione della teoria della nucleosintesi primordiale per la formazione degli elementi più leggeri), dei colleghi americani Ralph Asher Alpher e Robert Herman, i quali si spingono a prevedere che, dopo l’inizio caldo, l’Universo, raffreddandosi, a un certo punto diventi trasparente, lasciando sfuggire la sua “prima luce”, la quale deve avere la forma di una radiazione di corpo nero a 5 K! Il secondo modello, denominato dello Stato Stazionario, si deve agli austriaci Hermann Bondi, Thomas Gold e all’inglese Sir Fred Hoyle. Esso si basa sul cosiddetto Principio Cosmologico Perfetto, secondo il quale

9 Nel 1931 Eistein abbandona pubblicamente la Costante Cosmologica, che non aveva mai amato anche per motivi “estetici” (legati alla rottura della “simmetria” che l’introduzione di tale costante provoca nelle equazioni di campo) e che dichiarerà essere stata il suo più grande “abbaglio”: come poi si è visto, forse le cose non stanno esattamente così. 10 Il fisico inglese Arthur Geoffrey Walker perverrà nel 1935, indipendentemente, agli stessi risultati.

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l’Universo non solo è omogeneo e isotropo nello spazio, ma anche nel tempo (il che implica che sia eterno). Per giustificare l’espansione, i tre ipotizzano una creazione continua di materia, che a conti fatti si traduce in una quantità così minima da essere praticamente inosservabile. Le motivazioni che spingono Hoyle e gli altri a sostenere lo Stato Stazionario sono fondamentalmente filosofiche, rifiutando l’idea che all’origine di tutto ci sia una singolarità. E, inizialmente, il loro modello sembra funzionare meglio del Big Bang, alle prese con problemi legati all’età dell’Universo e alla nucleosintesi degli elementi più pesanti.

Fin dagli anni ’40, varie misure spettroscopiche e calcoli di temperatura della radiazione dell’Universo vengono compiute da più parti, ma nessuno le collega alle previsioni teoriche del modello del Big Bang. Particolarmente degne di merito solo le osservazioni del francese Emile Le Roux, che nel 1955, mappando il cielo a 33 cm, trova un valore di 3±2 K (con un alto grado di isotropia) e quelle del russo T. A. Shmaonov, che nel 1957 pubblica l’osservazione di una radiazione di fondo a 3,2 cm, indipendente dalla direzione dell’antenna, per la quale calcola una temperatura di 4±3 K11. Il cerchio attorno alla “Cosmic Microwave Background Radiation” (CMBR) si stringe sempre più. Nei primi anni ’60, americani (Robert Dicke e Jim Peebles) e russi (Yakov Borisovic Zel’dovich12), “ripredicono” l’esistenza di una radiazione di fondo come residuo del Big Bang, ma è con l’entrata in funzione del nuovo radio-telescopio dei laboratori Bell (1963), il più sensibile al mondo per la rilevazione di onde radio da ampie zone di cielo, che finalmente si arriva alla scoperta “ufficiale” dell’eco del Big Bang: nel 196513 gli ingegneri americani Arno Allan Penzias e Robert Wilson “scoprono” in maniera cosiddetta “serendipity”14 la CMBR. Di fatto, è la parola fine sul modello dello Stato Stazionario e il trionfo del Big Bag. Anche se i principali fautori15 del primo non si arrenderanno mai, modificando opportunamente (ma in modo sempre meno semplice) la loro teoria, mentre i sostenitori del secondo non avranno comunque vita semplice, per una serie di problemi che via via vengono correlati all’interpretazione originale del Big Bang caldo (in particolare: il problema dell’orizzonte, il problema della piattezza e il problema dei monopoli magnetici16).

Si deve arrivare ai primi anni ’80 perché le principali obiezioni a quello che nel frattempo è diventato il “Modello Cosmologico Standard” trovino una composizione in una nuova teoria, quella dell’Inflazione: grazie, in particolare, ai lavori del russo Alexei Alexandrovich Starobinsky (1980) e dell’americano Alan Guth (1981), si fa strada l’idea che l’Universo, nei primissimi istanti di “vita” (frazioni infinitesime di secondo dopo il Big Bang) abbia attraversato una fase espansiva estremamente rapida, la quale permette di spiegare in un colpo solo le suddette anomalie.

Gli anni ’90 si aprono con le sfide tecnologiche e i risultati strabilianti della nuova generazione di satelliti (e telescopi a terra) di sensibilità (e dimensioni) a lungo inimmaginabili: tra quelli destinati allo studio della CMBR (che tante implicazioni ha sulla verifica sperimentale dei modelli cosmologici), il primo (lanciato nel Novembre del 1989) è COBE (COsmic Background Explorer) e il successivo (2001) è WMAP (Wilkinson Microwave Anisotropy Probe), entrambi della NASA17, mentre l’ultimo (2009) è 11 Questi due casi si possono considerare una scoperta “ante litteram” della radiazione cosmica di fondo e, in un certo senso, confermano la già citata legge delle misonimia. 12 Zel’dovich sostiene, però, un modello “cold” del Big Bang, in quanto ritiene (giustamente) che la nucleosintesi di Gamow, Alpher ed Hermann non possa spiegare la produzione degli elementi più pesanti. 13 A dire il vero, nel 1964, i russi Igor Dmitriyevich Novikov e A. G. Doroshkevic dimostrano che la radiazione di fondo si può rilevare alle frequenze delle microonde, dove le emissioni della galassie sono più deboli, ma nessuno nota il loro articolo. E nel 1961 il bollettino tecnico dei laboratori Bell (!) riporta una temperatura del “cielo allo zenit” di 2,30 ± 0,20 K. 14 Il termine indica la fortuna di fare felici scoperte per puro caso, di trovare una cosa non cercata e imprevista mentre se ne stava cercando un'altra. Il termine (da Serendip, l'antico nome persiano dello Sri Lanka) fu coniato dallo scrittore inglese Horace Walpole. 15 In particolare, Hoyle, insieme a Geoffrey Burbidge e Jayant Vishnu Narlikar. 16 Si veda il capitolo 2. 17 “National Aeronautics and Space Administration”: l’agenzia spaziale Americana.

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PLANCK dell’ESA18. Sempre nell’ambito delle osservazioni della CMBR, vale la pena di ricordare (non solo per un po’ di “sano” patriottismo italiano) anche BOOMERanG (Balloon Observations Of Millimetric Extragalactic Radiation and Geophysics)19, l’esperimento dell’ASI20 che ha misurato la radiazione cosmica di fondo di una porzione dello spazio, tramite tre voli ad alta quota (per ridurre l’assorbimento nelle microonde dovuto all’atmosfera terrestre), con un pallone munito di telescopio (1997, 1998 e 2003). È stato il primo esperimento in grado di fornire un'immagine ad alta definizione delle anisotropie della temperatura della CMBR. Ma molti altri21 sono i satelliti lanciati a sondare ogni “pezzetto” dello spettro elettromagnetico e i cui risultati hanno fornito informazioni preziose per sostenere, confutare o far nascere nuove teorie cosmologiche, che meglio si prestano alla loro interpretazione.

Come ponte ideale (e non solo) tra il vecchio e il nuovo millennio si pone la scoperta (1998) di una possibile accelerazione nell’espansione dell’Universo ad opera di due gruppi di ricerca, guidati uno da Saul Perlmutter, l’altro da Brian P. Schmidt e Adam Riess, che hanno fatto tornare “in auge” la Costante Cosmologica di Einstein, il cui ruolo non sembra più né tanto arbitrario, né, soprattutto, trascurabile per il destino dell’Universo stesso.

Ovviamente, per una storia della Cosmologia “seria”, ci sarebbero molte più cose da dire, ma si spera di essere riusciti ad offrire almeno un’idea di quello che è stato il cammino principale di questa disciplina negli ultimi cent’anni, che hanno visto crescere e mutare profondamente il paradigma alla base della concezione dell’Universo.

Cronologia del Big Bang: principali eventi nella storia dell’Universo. Credit: http://www.ctc.cam.ac.uk/outreach/origins/big_bang_three.php

18 “European Space Agency”. 19 A responsabilità del Prof. Paolo De Bernardis dell’Università La Sapienza di Roma. 20 L’Agenzia Spaziale Italiana. 21 Come non citare lo Hubble Space Telescope (nello spazio dal 1990), risultato della collaborazione tra NASA ed ESA: il primo telescopio ottico che può arrivare a una risoluzione di 0,1 secondi d’arco.

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“This big bang idea seemed to me to be unsatisfactory even

before examination showed that it leads to serious difficulties.

For when we look at our own Galaxy there is not

the smallest sign that such an explosion ever occurred”

(Fred Hoyle22)

2. Il Modello Cosmologico Standard ΛCDM

Quantunque il Modello Cosmologico Standard ΛCDM23, che si basa sull’idea di un Big Bang “caldo” (con l’aggiunta dello scenario “Inflazione”, della Costante Cosmologica e della Materia Oscura “fredda”), raccolga la maggior parte dei consensi in ambito scientifico, non si deve mai dimenticare che tutti i modelli sono rappresentazioni della realtà, non la realtà stessa. E, per quanto funzionino bene, dovrebbero essere sempre considerati come approssimazioni. Quello che si dovrebbe dire è che, in determinate circostanze, la realtà si comporta “come se” valesse un certo specifico modello, cioè un insieme di immagini mentali, normalmente descritte (in ambito scientifico) da equazioni matematiche. E anche quando un modello riesce a rendere conto di tutte le osservazioni correnti, bisogna sempre ricordarsi che alcune misure e/o previsioni potrebbero essere sbagliate, mentre altre potrebbero non essere rilevabili allo stato attuale delle nostre possibilità, cosa che è successa spesso nel corso della storia dell’Astronomia24 (e non solo).

Se è vero che questo inizio di nuovo secolo viene considerato da molti l’era della “cosmologia di precisione”, grazie al miglioramento formidabile della tecnologia (non solo per la strumentazione osservativa, ma anche per le sempre crescenti potenzialità di calcolo e simulazione), il ruolo degli scienziati, oltre a quello di effettuare misurazioni che mostrino l’accuratezza dei modelli con una precisione sempre maggiore, dovrebbe essere (e forse in maniera preminente) quello di scoprirne eventuali debolezze, perché solo da questo nascerà l’esigenza di una nuova comprensione della realtà e di modelli migliori.

Il Modello Cosmologico Standard poggia, da un punto di vista teorico, sul Principio Cosmologico e sulla teoria della Relatività Generale e, dal lato osservativo, su tre “pilastri” la cui accuratezza dei dati ha ormai raggiunto i pochi punti percentuali: l’espansione dell’Universo, l’abbondanza relativa degli elementi leggeri25 e la CMBR.

Il Principio Cosmologico afferma che su scala sufficientemente grande l’Universo è omogeneo (identico in ogni luogo) e isotropo (identico in ogni direzione). Esso nasce come un principio di semplicità, un’ipotesi che permette una trattazione matematica semplificata dei modelli. Tuttavia, nel tempo, si è dimostrato meno arbitrario di quanto potrebbe sembrare guardandosi “intorno”, dal Sistema Solare fino ai confini della nostra Galassia: in effetti, le osservazioni attuali26 ci dicono che per dimensioni dell’ordine o maggiori di 100 Mpc, l‘assunto risulta consistente. Va, però, ricordato che all’inizio del ‘900 non c’erano simili riscontri e la validità del principio era tutt’altro che scontata.

Lo strumento teorico per eccellenza del Big Bang è la Relatività Generale, la quale, concettualmente, si sviluppa dal Principio di Equivalenza27, cosiddetto perché stabilisce 22 The Nature of the Universe, BBC broadcast series, 1950 (in Bibliografia [8]). 23 Λ è la Costante Cosmologica e CDM sta per “Cold Dark Matter”. 24 Uno dei casi più emblematici in questo senso è la “sparizione”, di fatto, per oltre 1500 anni, del modello eliocentrico dell’astronomo greco Aristarco di Samo (310-230 a.C. circa), sia per la forza delle motivazioni fisiche (aristoteliche) e religiose dominanti, sia per la mancanza di prove osservative dirimenti (in particolare, la misura di una qualche parallasse stellare). 25 Cioè, fino all’elemento 7Li. 26 Le evidenze riguardano, in verità, l’isotropia, la quale da sola non implica affatto l’omogeneità. Questa, però, discende naturalmente, se si invoca un altro principio, quello noto come “copernicano”, per il quale ogni osservatore nell’Universo non si trova in alcun posto privilegiato. 27 Enunciato per la prima volta nel 1907.

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l’equivalenza tra massa inerziale e massa gravitazionale28. Ricordando che massa ed energia sono intercambiabili (attraverso la ben nota equazione E = mc2), l’essenza della teoria gravitazionale di Einstein si può riassumere nel fatto che la massa-energia “dice” allo spazio-tempo come curvarsi e questo “dice” alla massa-energia come muoversi. L’espressione del suddetto risultato è riassunta nella cosiddetta Equazione di Campo, che, nella versione con Costante Cosmologica, si scrive29:

µνµνµνµνµν

πT

c

GgRgRG

4

8

2

1=Λ−−≡

Questa equazione non-lineare risulta troppo difficile da risolvere senza invocare qualche “simmetria”: il Principio Cosmologico permette proprio questo e porta alla definizione di una metrica30, la cui forma più generale è, come detto, quella di Robertson e Walker31:

( )

++

−+−= 2222

2

22222 )(sin

1)( φθθ ddr

kr

drtadtcds

dove: ),,( φθr sono le coordinate sferiche “comoventi”, t è il tempo “proprio” o “universale” misurato da un orologio ideale che si muove con l’elemento di Universo considerato, )(ta è il “fattore di scala cosmico” (o “parametro di espansione”, in quanto descrive come variano nel tempo le distanze tra due punti) e k è il “parametro di curvatura”, che è una costante e può assumere solo i valori “-1” (Universo “iperbolico” o a curvatura negativa, quindi aperto e infinito), “0” (Universo “piatto” o euclideo) e “+1” (Universo “ipersferico” o a curvatura positiva, quindi chiuso, finito ma illimitato). Il raggio di curvatura dell’Universo (nello spazio-tempo quadri-dimensionale) è dato, invece, da:

2

2

666a

k

a

a

a

aR +

+=

&&&

E’ necessario, poi, definire la natura della materia contenuta nel modello e il caso più semplice da trattare è quello di un fluido perfetto, per il quale, la conservazione dell’energia porta all’espressione:

( ) 03 =++ ρρ pa

a&&

Per trovare soluzioni esplicite all’equazione di Einstein, dato il numero di incognite, si deve aggiungere ancora un’equazione che metta in relazione densità e pressione del fluido, cioè, l’equazione di Stato. Poiché in Cosmologia i fluidi rilevanti sono quelli barotropici32, si può assumere che 2

cwp ρ= (con w, parametro adimensionale ≤ 1). Quindi, si suppone che nell’Universo esistano tre tipi di fluidi: “radiazione” (particelle relativistiche), per la

quale 31

=w e la cui densità di energia decade come 4−≈ aRρ ; “materia”, per la quale

0=w e la cui densità di energia decade come 3−≈ aRρ ; “energia del vuoto”, per la quale 1−=w , che rimane costante con l’espansione dell’Universo.

28 Con i suoi famosi “esperimenti mentali dell’ascensore”, Einstein dimostra che un osservatore solidale col moto non è in grado di distinguere un'accelerazione dovuta a una forza esterna da quella prodotta da un campo gravitazionale. 29 Senza voler entrare nel merito della teoria di Einstein (per la quale si rimanda a testi specialistici), ci si limita ad indicare che il primo membro dell’equazione (a sinistra) rappresenta la curvatura e la geometria dello spazio-tempo, mentre il secondo membro (a destra) misura la densità e il flusso di materia e energia. 30 Relazione che descrive la “distanza” ds tra due punti vicini. 31 Spesso chiamata anche metrica di Friedmann-Lemaítre-Robertson-Walker (FLRW), per il contributo “primo” dato dagli scienziati russo e belga. 32 Per i quali, cioè, la pressione dipende solo dalla densità.

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8

A questo punto, è possibile risolvere le equazioni di Einstein e scrivere le equazioni del moto di un osservatore “comovente” col fluido, ottenendo le equazioni di Friedmann:

2222

338

aaG

KcaΛ

+=+ ρπ

&

3

3

3

42

Λ+

+−=

c

pG

a

π&&

I più importanti parametri cosmologici sono:

- il “parametro di Hubble”, o tasso di espansione, il cui valore al tempo attuale si suole esprimere nelle seguenti unità33: H0 = 100 h km s-1 Mpc-1;

- la “densità critica”34 che corrisponde a un Universo piatto: G

Hc

πρ

8

3 20≡ ;

- il “parametro di densità”, cρ

ρ≡Ω , che assume valori “>1” per un Universo chiuso,

uguale a “1” per uno spazio euclideo (o “piatto”) e “<1” per uno aperto; ne segue che l’equazione di Friedmann al tempo attuale (essendo trascurabile la componente dovuta alla radiazione35) può essere riscritta come: KM Ω+Ω+Ω= Λ1 ;

- il “parametro di decelerazione”: Λ

==

Ω−Ω≅

−=

−≡ M

tttt aH

a

a

aaq

2

1

00

220

&&

&

&&, dove

un valore positivo indica un’espansione decelerata ( 0<a&& ) e viceversa36.

Si ricorda che la legge di Hubble37, Hdv = 38, derivata per via sperimentale dall’interpretazione come effetto Doppler dei “redshifts”39 osservati negli spettri di varie galassie, discende direttamente dall’applicazione della suddetta metrica alla definizione di distanza “propria”: la distanza tra due punti che si trovano allo stesso tempo “proprio”.

Un’altra relazione importante è quella tra “redshift” e fattore di scala al tempo dell’emissione della radiazione corrispondente (essendo per definizione “uno” il valore del fattore di scala al tempo attuale t0):

)(

1

)(

)(1 0

ee tata

taz ≡=+

A lungo, il parametro di Hubble e quello di decelerazione sono stati tutto quello che serviva per una descrizione approssimata del fattore di scala attraverso l’espansione di

33 Inglobando nel coefficiente h tutte le incertezze delle misurazioni. 34 Il cui valore (ricavato dai dati di PLANCK) è di vicino a 10-29 g/cm3, corrispondenti a circa 5 protoni per metro-cubo. 35 Basta sostituire nella definizione il valore della densità della CMBR. 36 Il momento di decelerazione nulla corrisponde alla transizione dalla fase dominata dalla materia a quella dominata dalla Costante Cosmologica, che si calcola avvenuta quando l’Universo aveva circa 11 miliardi di anni, secondo l’interpretazione della relazione magnitudine-distanza delle Supernovae Tipo IA. 37 Nel suo articolo del 1929, A relation between distance and radial velocity among extra-galactic nebulae (Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, Volume 15, March 15, Issue 3, pp. 168-173), Hubble chiama la costante “K” (diventerà “H” in suo onore), ma non scrive esplicitamente la suddetta formula, anche se il significato dei risultati presentati è inequivocabile. La costante di Hubble ha le dimensioni di un tempo-1. Se l’espansione dell’Universo si considera costante, l’inverso del parametro di Hubble non è altro che la durata dell’espansione stessa, detto “tempo di Hubble”: esso rappresenta una stima dell’età dell’Universo (secondo la teoria del Big Bang), che, secondo i risultati di PLANCK, è di 13,817±0,048 Gyr. 38 Si dimostra che, in qualunque modello di Universo in espansione basato sul Principio Cosmologico, la relazione “velocità-distanza” è

di tipo lineare, con la “costante” di proporzionalità data da a

atH

&≡)( .

39 Il “redshift” è definito come:c

vz

e

e =−

≡λ

λλ0 , dove λ0 è la lunghezza d’onda della radiazione emessa da una sorgente nell’origine del

sistema di coordinate comoventi (l’osservatore) al tempo attuale t0; λe è la lunghezza d’onda dello stesso tipo di sorgente che si muove con l’espansione dell’Universo e che è stata emessa al tempo precedente te (alla distanza r nel suddetto sistema); v è la velocità radiale.

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questo in serie di Taylor (troncata ai primi termini). Il che permette una descrizione cinematica dell’espansione a prescindere dalla teoria fisica di riferimento. L’importanza “osservativa” di q0 e H0, fu ben riassunta negli anni ’70 dalle parole dell’astronomo americano Allan Sandage40, che, in un famoso articolo, riassumeva tutta la Cosmologia contemporanea come la “ricerca di due numeri”. Poi, con lo sviluppo della tecnologia (da COBE a WMAP), il numero di parametri sperimentali è cresciuto notevolmente, anche se il modello ΛCDM è ben descritto da sei fondamentali (v. tabella seguente). “The PLANCK surveyor” è la terza generazione di missioni spaziali dedicata alla misura delle anisotropie della CMBR, in modo da testare il Modello Cosmologico Standard a un livello di precisione mai raggiunto, indicare nuovi vincoli ai suddetti parametri ed evidenziare gli eventuali conflitti tra predizioni teoriche e misurazioni.

Parametro Significato Valore (Planck+Wmap con limiti al 68% di confidenza)

Ωbh2 Densità barionica attuale 0,02205±0,00028

Ωch2 Densità materia oscura fredda attuale 0,1199±0,0027

100 θMC Scala acustica41 1,04131±0,00063

τ Profondità ottica dello “scattering” Thomson42 0,089±0,013

ns Indice spettrale43 0,9603±0,0073

ln(1010As) Ampiezza dello spettro di potenza 3,089±0,025

In effetti, i risultati della campagna PLANCK sono ben interpretati dal Big Bang “caldo” anche se alcuni valori (in particolare, la costante di Hubble H0=67,3±1,2 km s-1 Mpc-1 e il parametro di densità della materia ΩM=0,315±0,017) si scostano (rispettivamente, in meno e in più) da quelli ottenuti in precedenza44. Una possibile interpretazione di queste “anomalie” poggia sull’eventuale esistenza di errori sistematici, non ancora completamente compresi, nelle misure astrofisiche. Un’altra conclusione è che questi dati possano indicare la necessità di “nuova fisica”.

Il Modello Cosmologico Standard si basa, oltre a quanto già detto, su altre due assunzioni più o meno esplicite: la validità delle leggi della fisica nel tempo e nello spazio (almeno, a partire da pochi istanti dopo la singolarità) e l’esistenza di appropriate condizioni iniziali (in particolare, che la temperatura in una delle prime fasi del Big Bang avesse valori superiori a 1012 K, che il contenuto dell’Universo fosse in equilibrio termico, che esistesse una opportuna asimmetria a favore della materia barionica, che il parametro di densità iniziale fosse estremamente vicino a “1” e che ci fosse uno spettro di fluttuazioni di densità compatibile con la successiva formazione delle strutture).

I principali successi ottenuti da questo modello sono:

1. La spiegazione semplice dell’espansione dell’Universo. 2. La predizione delle abbondanze degli elementi chimici leggeri attraverso la

nucleosintesi primordiale. 3. La predizione di un residuo termico della fase iniziale calda (CMBR). 4. L’inquadramento teorico generale all’interno del quale si può spiegare la

formazione delle “strutture” dell’Universo (galassie, ammassi, ecc.).

40 Sandage è stato anche il primo (nel 1958) a dare una stima dell’età dell’Universo straordinariamente vicina a quella attualmente più accreditata: 13 miliardi di anni. 41 Dimensione angolare delle fluttuazioni nella CMBR. 42 Dovuta alla reionizzazione. 43 Della legge di potenza delle perturbazioni scalari (assunte adiabatiche) agli istanti iniziali del Big Bang. 44 Ad esempio, il valore misurato dall’Hubble Space Telescope nel 2011 del parametro di Hubble è H0 = 73,8±2,4 km s-1 Mpc-1.

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Tuttavia, il Big Bang “caldo” lascia aperti alcuni problemi, tra cui:

1. L’origine del Big Bang. 2. Il problema dell’orizzonte (o dell’omogeneità). 3. Il problema dell’Universo piatto. 4. La bariosintesi, ovvero l’origine dell’asimmetria barionica. 5. L’evoluzione dell’Universo a energie superiori a 100 Gev. 6. L’origine delle fluttuazioni primordiali della densità. 7. L’estrema omogeneità ed isotropia dell’Universo su larga scala. 8. La natura della Materia Oscura.

L’introduzione della cosiddetta “nuova fisica” (GUT=Grand Unification45 Theory) può contribuire a risolvere alcuni di questi problemi (in particolare, 4-5-8), anche se finora solo in maniera qualitativa. Tuttavia, il Modello Standard così “revisionato” ne introduce di nuovi, nella fattispecie quello dei monopoli e quello della Costante Cosmologica non nulla.

Un passo avanti nella teoria fu compiuto a inizio anni ’80 con la formulazione dello scenario detto “Inflazione”, che, come noto, risolve contemporaneamente il problema dell’orizzonte, quello della piattezza e quello dei monopoli. L’Inflazione è l’ipotesi per la quale ci sarebbe stato un periodo (della durata di ca. 10-30 s) nei primi istanti dopo la singolarità (all’incirca alla cosiddetta epoca GUT, 10-36 s), in cui l’espansione

dell’Universo fu accelerata ( 0>a&& ). La condizione è verificata per 3

ρ−<p e questo si

spiega se in quel periodo la Costante Cosmologica, il cui parametro ω nell’equazione di stato vale “-1”, dominò sugli altri fluidi. Il fattore di scala risulta di conseguenza a crescita esponenziale. Si definisce numero di “e-foldings”, il logaritmo naturale del rapporto tra il fattore di scala alla fine dell’Inflazione e quello all’inizio della stessa: è, quindi, una misura dell’espansione corrispondente subita dall’Universo. Se questo numero è sufficientemente grande (>60), la crescita enorme del raggio dell’Universo (la cui stima varia da un modello inflattivo all’altro, ma che grossomodo si può assumere pari a un fattore 1050) spiega sia il conseguente appiattimento della curvatura, sia la diluizione di ogni tipo di “difetto” iniziale (compreso i monopoli magnetici), sia il fatto che zone uscite dall’orizzonte causale conservino traccia di un precedente equilibrio (problema dell’orizzonte). Le anisotropie della CMBR (che sono dell’ordine di 1 parte su 105) sarebbero, invece, emerse nell’espansione delle fluttuazione quantistiche dell’energia del vuoto. L’Inflazione, in un primo momento, fece scendere drasticamente la temperatura (da ca. 1028 K a 10-15 K); successivamente, la densità di energia della transizione inflattiva, dopo aver raggiunto il suo minimo (fase cosiddetta di “slow-roll” a causa di un potenziale estremamente “piatto”), iniziò ad oscillare attorno a questo, perdendo energia, che fu convertita in particelle relativistiche, le quali, interagendo tra loro, ristabilirono l’equilibrio termico e riportarono la temperatura a valori pre-Inflazione (processo denominato “reheating”). Nel tempo, sono stati sviluppati vari modelli inflattivi in base all’espressione del suddetto potenziale. Attualmente, si contendono il campo tre tipologie: a potenziale di campo “piccolo”, “grande” e “multiplo” (o “ibrido”). I dati osservativi di PLANCK sembrano favorire la prima categoria.

Un altro caposaldo del Modello Cosmologico Standard è l’esistenza della cosiddetta Materia Oscura, la cui natura è, tuttavia, ancora un mistero. La presenza di Materia Oscura nell’Universo (cioè, di materia che non è “visibile”, in quanto non emette, o quasi, radiazione elettromagnetica) è un fatto che ha moltissime conferme osservative. Il primo a ipotizzarne l’esistenza su base sperimentale fu l’astronomo svizzero Fritz Zwicky nel 1933,

45 Talvolta indicata come “Unified”.

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come spiegazione del fatto che le velocità radiali nell’ammasso di galassie della “Chioma” sono talmente elevate (dell’ordine di 1000 km s-1), che col contributo alla massa totale del sistema da parte della sola materia visibile non si riesce a spiegare come queste galassie possano rimanere “unite” gravitazionalmente. Da allora, altre “prove” si sono aggiunte a suffragare l’esistenza di Materia Oscura in quantità nettamente superiore (in media, oltre 5 volte) a quella visibile, in particolare: la curva di rotazione delle galassie a spirale, l’effetto “lensing” gravitazionale, la presenza di gas caldissimo attorno alle galassie ellittiche. C’è anche un motivo “teorico” a favore dell’esistenza di Materia Oscura: i modelli cosmologici che cercano di spiegare la formazione delle “strutture” (galassie e ammassi di galassie) a partire dalle osservazioni del fondo cosmico, per funzionare, hanno tutti bisogno dell'aiuto della Materia Oscura46.

Se l’esistenza della “Dark Matter” non sembra in discussione, tutt’altro discorso vale per la sua natura. Una prima spiegazione potrebbe essere quella di oggetti quali nane marroni e buchi neri (collettivamente denominati MACHOs, da “Massive Compact Halo Objects”). Da calcoli fatti (per esempio, sulla probabilità che simili corpi siano responsabili delle lenti gravitazionali osservate), si può concludere che solo una parte minore della Materia Oscura può essere costituita da simili oggetti. Un limite superiore alla percentuale di materia barionica deriva anche da considerazioni teoriche legate alla nucleosintesi primordiale.

Uno dei primi candidati non barionici è rappresentato dai neutrini, che pare ormai certo possiedano una massa non nulla. Tuttavia, questa non sembra sufficiente a spiegare la quantità di materia stimata “dinamicamente”. Inoltre, un altro problema è legato alla natura relativistica di queste particelle, la quale contrasta con la previsione, nell’ambito della formazione delle strutture, che gran parte della “Dark Matter” debba essere di natura “fredda”. Da tutte queste (e altre) considerazioni, sembra scaturire la necessità dell’esistenza di “nuove” particelle, non previste dal Modello Standard delle fisica sub-atomica e per le quali si è coniato l’acronimo WIMPs (Weakly Interacting Massive Particles). Nonostante vari progetti di ricerca in tutto il mondo stiano dando la caccia a questo “campione” della “nuova fisica”, ad oggi, non sono state ancora trovate evidenze simili, anche se qualcuno prevede che ciò possa accadere nei prossimi anni.

Nella visione del Modello Cosmologico Standard l’Universo è costituito47 soltanto per il 5% circa dalla materia “ordinaria” (barionica), per il 27% dalla Materia Oscura e il restante 68% dalla cosiddetta Energia Oscura (a sua volta invocata per spiegare l’accelerazione dell’espansione dell’Universo, che risulterebbe dall’analisi delle Supernovae di tipo IA). La “Dark Energy” sarebbe una sorta di energia quantistica del vuoto, il cui effetto è descritto matematicamente dalla Costante Cosmologica e che agisce come una forza repulsiva capace di prevalere sulla gravità a scale molto grandi48. Il problema è che, calcolando con la Meccanica Quantistica il valore della densità di energia del vuoto, si ottiene un numero che è 120 ordini di grandezza superiore a quello osservato. Anche introducendo alcune ipotesi semplificative, la stima resta in eccesso per una potenza di 1060: si tratta del peggior caso di disallineamento tra valori teorici e sperimentali di tutta la scienza. Anche questo sembrerebbe un altro “segnale” che occorra superare la fisica “attuale” per colmare questo (e altri) “gap”, ma, per ora, le varie teorie proposte restano tutte a un livello meramente speculativo.

46 In realtà, ci sono due correnti di pensiero: una prevede l’esistenza di Materia Oscura “calda”, l’altra “fredda”. Senza entrare troppo nel merito della questione, ci si limita a riportare che, al momento, il primo modello sembra sfavorito rispetto al secondo. 47 Secondo le più recenti stime derivate dalle osservazioni del satellite PLANCK. 48 Al contrario, l’Energia Oscura deve essere stata trascurabile in passato, almeno fino alla formazione delle strutture, altrimenti questa non sarebbe potuta avvenire.

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“A new scientific truth does not triumph by convincing its opponents

and making them see the light, but rather because its opponents

eventually die, and a new generation grows up that is familiar with it”

(Max Planck49)

3. Questioni aperte e modelli alternativi (cenni)

Il Modello Cosmologico Standard è stato sviluppato estrapolando le conoscenze fisiche attuali sino ad energie molto più grandi di quelle studiate sperimentalmente e a scale di distanza immense, la cui misura è ancora affetta da errori significativi. Quindi, la possibilità di trovare conferme alla teoria del Big Bang è sottoposta a limiti teorici ed osservativi. Il Modello Standard della fisica delle particelle dovrebbe essere valido fino a un livello corrispondente a circa 10-12 secondi dopo il Big Bang. Ogni affermazione relativa ad epoche antecedenti è fondata su teorie non sufficientemente consolidate. Inoltre, l’osservazione “elettromagnetica” non può coprire le fasi antecedenti all’epoca della ricombinazione (ca. 380000 anni dopo il Big Bang), quando fu emessa la radiazione cosmica di fondo, in quanto prima l’Universo era “opaco”50. In linea di principio, tale osservazione diretta potrebbe diventare possibile se si rilevassero le onde gravitazionali o i neutrini eventualmente emessi a quel tempo, ma, la tecnologia non sembra ancora in grado di riuscirci51. Particolarmente incerte sono, poi, le affermazioni sulla forma globale dell’Universo e sulla sua evoluzione nel lontano futuro. Sebbene ci siano ragioni valide per credere che il Modello Cosmologico Standard sia fondamentalmente corretto, si deve sempre tener presente che potrebbe, in seguito, rivelarsi sbagliato, mentre una delle alternative (attuali o a venire) risultare migliore o, comunque, più completa.

Come detto, gli assunti alla base del Modello Cosmologico Standard sono: il Principio Cosmologico, la Relatività Generale, l’Inflazione, la Materia e l’Energia Oscura. Per ognuno di questi, sono state sviluppate teorie alternative che non ne tengono conto o ne danno una spiegazione diversa. Per motivi di spazio si farà solo un brevissimo cenno ad alcune di queste.

Il venir meno (anche in parte) del Principio Cosmologico ha portato allo sviluppo dei modelli omogenei ma non isotropi tipo Bianchi (dalle classi di simmetria studiate dall’omonimo matematico italiano), tra cui merita una menzione l’Universo “Mix-Master” dell’americano Charles W. Misner, e di quelli non omogenei a Cosmologia “gerarchica” (in cui la distribuzione della materia nell’Universo si suppone che obbedisca a una struttura tipica dei frattali), di cui la soluzione Tolman-Bondi rappresenta un esempio notevole.

La rinuncia alla Relatività Generale ha portato l’inglese Edward Arthur Milne a sviluppare un modello cosmologico basato sulla teoria di Newton e la Relatività Speciale di Einstein.

Alcuni modelli si sono, invece, ispirati allo studio delle “coincidenze cosmiche” del britannico Paul Dirac: egli costruisce numeri adimensionali a partire dalle costanti fisiche fondamentali e scopre che danno valori approssimativamente uguali; da ciò, ne deriva che alcune di queste costanti potrebbero in realtà essere “variabili”. Rifacendosi a queste idee,

49 Scientific Autobiography and Other Papers, Williams & Norgate, 1950. 50 L’opacità è conseguenza del continuo “scattering” dei fotoni nel plasma di nuclei ed elettroni liberi dovuto a una temperatura ancora troppo alta perché si potesse avere la formazione di atomi stabili. 51 “Background Imaging of Cosmic Extragalactic Polarization” (BICEP) è un esperimento condotto alla stazione Amudsen-Scott del Polo Sud, sulla CMBR, il cui scopo è di misurare eventuali modi B della polarizzazione, interpretabili come effetto di onde gravitazionali sulla radiazione di fondo. Le onde gravitazionali sono una delle predizioni dell'Inflazione cosmica. Nel marzo 2014 è stato annunciato il risultato della missione BICEP2, che mostrerebbe le prime evidenze sperimentali dirette di tali “tracce”. Il risultato, però, che pare confliggere con i dati raccolti da PLANCK, è stato subito messo in dubbio ed è in corso una collaborazione con PLANCK per la verifica degli stessi.

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Brans e Dicke hanno sviluppato una teoria basata su una “lagrangiana” più ampia di quella della Relatività Generale. Ne viene fuori un modello che dipende da 4 valori iniziali e 2 parametri (contro, rispettivamente, 3 e 1 in quello di Friedmann) e che, quindi, rappresenta un’estensione delle soluzioni trovate dal matematico russo. Tuttavia, le complicazioni che ne derivano rendono il modello poco “maneggevole”, anche dal punto di vista delle previsioni possibili, la più importante delle quali resta la variazione nel tempo della costante di gravitazione universale, finora, però, non riscontrata. Recentemente, certi modelli inflattivi prevedono l’utilizzo di un campo scalare, che ha le stesse proprietà di quello ipotizzato nella teoria di Brans-Dicke. Quest’ultimo è stato anche uno dei primi, negli anni ’60, a dare alle coincidenze cosmologiche di Dirac un’interpretazioni basata sul Principio Antropico Debole52.

Il modello cosmologico alternativo più famoso è senza dubbio quello dello Stato Stazionario di Hoyle, Bondi e Gold, di cui si è già parlato nel primo capitolo. Dopo la scoperta della radiazione cosmica di fondo e il “trionfo” del Big Bang “caldo”, scienziati come Hoyle, lungi dall’abbandonare il loro modello, ne hanno affinato le ipotesi in modo da renderle plausibili con i nuovi dati osservativi (a costo, però, di una sempre maggiore complicazione e di nuove previsioni via via “falsificate”), fino a produrre una variante nota come Modello Quasi-Stazionario (in cui la materia viene creata non come singoli nucleoni, ma in dimensioni di scala cosmologica, ad esempio, nei nuclei delle galassie attive). Da notare che il Principio Cosmologico Perfetto porta a un parametro di Hubble veramente costante e, quindi, a un’espansione esponenziale, che è la stessa adottata nello scenario Inflazione.

Un’alternativa interessante all’ipotesi della Materia Oscura è rappresentata dalla teoria MOND (MOdified Newtonian Dyanamics), formulata dal fisico israeliano Mordehai Milgrom nel 198153, che prevede una modifica alla seconda legge di Newton per accelerazioni molto piccole. Il vantaggio di questo approccio è quello di non richiedere l’esistenza di alcuna materia esotica per spiegare, ad esempio, la curva di rotazione delle galassie a spirale. I limiti maggiori (oltre a non risultare compatibile con la Relatività Generale) sono dovuti al fatto che la maggior parte dei dati osservativi sembrano non collimare con le predizioni fatte all’interno di questa teoria.

Anche l’idea dell’Energia Oscura ha i suoi “rivali”, infatti, non tutti accettano l’interpretazione data alla relazione “magnitudine-redshift” per le Supernovae di Tipo IA da Perlmutter e altri (Narlikar54, in particolare, propone che l’effetto sia dovuto all’estinzione provocata da aghi di polvere formatisi nelle vicinanze delle Supernovae, nell’ambito della già citata teoria dello Stato Quasi-Stazionario).

Di natura ancor più speculativa sono, invece, da considerarsi: le varie ipotesi dei “molti mondi” o delle “storie differenziate” (proposte dagli americani Hugh Everett III, la prima, e da Murray Gell-mann e James Hartle, la seconda), che si basano su interpretazioni della Meccanica Quantistica diverse da quella di Copenaghen e applicate all’intero Universo; la Cosmologia Quantistica propriamente detta, che cerca di riconciliare Relatività Generale e Meccanica Quantistica; la teoria delle Superstringhe e la più generale teoria “M”.

Si chiude questo breve “excursus” segnalando anche il modello di Universo Ciclico dell’americano Paul Steinhardt e del sudafricano Neil Turok, nonché l’Eterna Inflazione del russo Andrej Dmitrievič Linde.

52 Per una breve analisi del principio antropico si veda il capitolo seguente (“Conclusioni”). 53 In realtà, il primo a ipotizzare la “non validità della legge di Newton a grandi distanze” pare sia stato lo scienziato francese Auguste Calinon, amico di Poincaré, in uno scritto del 1889. Più recentemente (1963) ne aveva parlato anche il fisico italiano Arrigo Finzi. 54 Si veda la Bibliografia [23].

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“Das ist nicht einmal falsch (Non è neanche sbagliato)”

(Wolfang Pauli55)

4. Conclusioni

La Cosmologia è indubbiamente una scienza affascinante, perché cerca di dare risposte (razionali) alle domande “fondamentali” che accompagnano l’uomo da sempre. Tuttavia, questa è anche la missione (esplicita o no) dei miti, delle religioni e dell’arte. Il rischio, quindi, di sconfinare dalla scienza agli altri campi è altissimo ed occorre molto rigore per evitare passi falsi. Purtroppo, una certa “letteratura” (non solo divulgativa), si lascia facilmente prendere la mano: molti articoli e libri (per non parlare di programmi televisivi) cominciano con “se la tal teoria è vera, allora…” e il resto del contenuto diventa un bel “romanzo”, spesso avvincente come un film in “3D”, ma che appunto non è più scienza, perché poggia su un assunto non dimostrato e magari neanche falsificabile, per dirla alla Popper56, mentre il problema della sostenibilità dell’ipotesi di partenza viene per lo più sorvolato.

E’ giusto costruire modelli e cercare di metterli alla prova. Attualmente, quello che dà le migliori risposte (anche rispetto al sempre valido “rasoio di Occam”57) è senza dubbio il Big Bang “caldo”, con l’aggiunta della Costante Cosmologica, della Materia Oscura e dello scenario Inflazione. Tuttavia, anch’esso presenta ancora lati “oscuri” (è proprio il caso di dirlo) un po’ imbarazzanti, visto che costituiscono il 95% del modello. La ricerca scientifica contemporanea sembra troppo posseduta da due “dèmoni” molto potenti: la matematica più astratta e la tecnologia estrema. Si tratta di “strumenti” indispensabili, che hanno fatto passi da gigante nell’ultimo secolo, ma restano pur sempre strumenti: è il ragionamento che aiuta a capire veramente le cose, non il conto preciso. La fisica non deve delegare alla matematica o alla tecnologia, sperando che facendo i conti più precisi o raccogliendo tutta l’informazione possibile si arrivi a capire meglio la Natura. Diceva Einstein che “lo scopo supremo del fisico è di arrivare alle leggi elementari universali dalle quali il cosmo può essere costruito per pura deduzione. Non c’è un cammino logico verso queste leggi; solo l’intuizione, che riposa sulla comprensione empatica dell’esperienza, può raggiungerle”58.

C’è, poi, una gran smania di arrivare a capire “tutto”: questo ricorda altri momenti della storia del sapere, quando personalità eminenti decretavano prossima la fine della “ricerca” per raggiungimento delle verità ultime. E’ possibile che la scienza sia vicina a nuove importanti svolte, come lo fu il modello copernicano nei confronti di quello aristotelico-tolemaico. Però, anche se fosse il caso, molto probabilmente, ci vorrebbero (come accaduto allora) molti anni ancora di osservazioni, prove e sviluppi teorici per affinare il nuovo paradigma. E’ inutile farsi troppe illusioni e suonare le trombe (sempre “stonate”) del “trionfalismo”. In fondo, anche Copernico aveva in un certo senso torto: il Sole non è al centro dell’Universo. Come, poi, si dimostrerà che non è al centro della Via Lattea. E questa non è tutto l’Universo, né tantomeno è al suo centro, semplicemente, perché un

55

Da un aneddoto sulla vita di Pauli raccontato in P. Woit, “Neanche sbagliata. Il fallimento della teoria delle stringhe e la corsa

all'unificazione delle leggi della fisica, Codice, 2007”. 56 Karl Raimund Popper, filosofo viennese del Novecento, è noto tra l’altro per aver proposto la “falsicabilità” come criterio di demarcazione tra scienza e non scienza. 57 “Rasoio di Occam” è il nome con cui viene contraddistinto un principio metodologico espresso nel XIV secolo dal filosofo e frate francescano inglese William of Ockham (in italiano, Guglielmo di Occam). Tale principio si può riassumere nella frase: “a parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire”. 58 Traduzione “originale” di un passo tratto da “Motives for Research, a speech delivered at Max Planck’s sixtieth birthday celebration, April 1918. Reprinted in Ideas and Opinions, 226, as “Principles of Research. (See CPAE, Vol. 7, Doc. 7)” e riportato in: A. Calaprice, The Ultimate Quotable Einstein, Princenton University Press, 2011.

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centro non esiste. Eppure, ogni volta che è stato raggiunto un livello superiore (o più generale) di comprensione, è sembrato necessario riaffermare una nuova forma di antropocentrismo. Ciò è “umano”, ma bisognerebbe almeno esserne consapevoli.

Da qui a parlare del Principio Antropico il passo è breve. Pur con tutto il rispetto che merita l’argomento, l’impressione è che molte persone (tra cui eminenti scienziati), per motivazioni che possono essere le più varie (dall’eccesso di zelo verso la propria fede religiosa e/o verso la Meccanica Quantistica, che a volte viene presentata alla stessa stregua; dalla difficoltà a differenziarsi nel crescente “mare” delle pubblicazioni scientifiche e non; a mille altre ragioni altrettanto rispettabili), vogliano arguire teorie “fantastiche” dalla semplice constatazione che gli esseri umani esistono e che, quindi, le leggi della Natura devono essere compatibili con la genesi della vita. Così, hanno cominciato, prima, ad invertire il ragionamento, inserendo un principio di “finalità” nel paradigma scientifico: se le leggi che governano l’Universo fossero un po’ diverse da quelle che sono, molto difficilmente si sarebbero date le condizioni favorevoli all’evoluzione che ha portato all’Homo Sapiens (forma debole del Principio Antropico). Poi, si è rafforzato il concetto, affermando che esiste una “sintonia fine”, nell’Universo, che permette l’evolversi della conoscenza. Infine, si è arrivati a concludere che l’esistenza di essere autocoscienti (“noi”, esseri umani) determina le proprietà dell’Universo (forma forte). E così si è rimesso l’uomo al centro di tutto, anzi se ne fa causa anziché effetto, quasi “motore primo” (o, almeno, “interruttore”59). Va bene continuare a “meravigliarsi” degli aspetti “strani” della natura (anzi, è condizione necessaria all’instaurarsi di quell’empatia tanto auspicata da Einstein), ma gli scienziati non dovrebbero farsi da ciò condurre sul terreno della “metafisica”, bensì accettarli come dati di fatto e aspettare: aspettare, che prima o poi il progredire della conoscenza faccia chiarezza. E così via.

Ovunque stia la verità, credo che il modo migliore per concludere questo discorso attorno alla Cosmologia sia quello di prendere “a prestito” le parole (come sempre efficaci e dirimenti) del Prof. Luca Ciotti, pronunciate durante la lezione di Astrofisica

Extragalattica del 28/04/2014: “Se c’è una cosa bella del Mondo, è che il Mondo è fatto come è fatto e di cosa ne possiamo pensare noi, o di cosa ci fa piacere, non gliene potrebbe importare di meno. E questa è una cosa ottima, perché così il mondo è indipendente dai nostri ragionamenti”60.

59 Il riferimento è, ovviamente, al collasso della “funzione d’onda” applicata all’intero Universo. 60 Per correttezza, nel pensiero del Prof. Ciotti la frase sta a significare che il mondo fisico ha una sua esistenza ed una sua logica intrinseca e, quindi, non può essere considerato una mera proiezione del nostro cervello. Basti pensare alle onde elettromagnetiche, mai viste né immaginate da nessuno prima della “predizione” ottenuta con la soluzione delle equazioni di Maxwell, e, quindi, impossibili da “proiettare”, oppure, al fatto che con la Relatività Generale e la Meccanica Quantistica si arriva a prevedere l’esistenza dell’antimateria e lo spin dell’elettrone.

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Bibliografia

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Pubblicazioni divulgative [32] P.Fré, Il Fascino Oscuro dell’Inflazione. Alla Scoperta della Storia dell’Universo, Springer-Verlag, 2009. [33] B.Greene, L’Universo Elegante, Einaudi, 2000. [34] J.Gribbin, L’Universo. Una Biografia, Cortina Raffaello, 2008. [35] S.Hawking, L’Universo in un Guscio di Noce, Mondadori, 2006. [36] C.Lamberti, Capire l’Universo. L’appassionante Avventura della Cosmologia, Springer-Verlag, 2011. [37] J.P.Luminet, L’Invenzione del Big Bang. Storia dell’Origine dell’Universo, Edizioni Dedalo, 2006. [38] S. Matarrese, N.Bartolo, M.Liguori, Early Universe Physics after Planck and Bicep2, Pisa-100° Congresso Nazionale della Società Italiana di Fisica, 2014. [39] I.Mazzitelli, Tutti gli Universi Possibili ed Altri Ancora, Liguori, 2002. [40] M.Way, 100 Years of Cosmology. From Spiral Nebulae to the CMB, Goddard Institute for Space Studies, http://www.giss.nasa.gov/staff/mway/EXP.pdf, 2010.

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Ringraziamenti

In ultimo, ma non meno importante, vorrei ringraziare tutte le persone che mi hanno aiutato in questo percorso “tardivo”, ma straordinario, che mi ripaga in parte di qualche occasione persa in gioventù.

Da tutti i professori del Corso di Laurea ho imparato qualcosa in più delle sole nozioni tecniche relative alle proprie discipline e anche di questo sono loro immensamente grato. Mi limito (per soli motivi di spazio e di pertinenza) a citare e ringraziare direttamente il Prof. Lauro Moscardini per i preziosi consigli “cosmologici” e il Prof. Sabino Matarrese dell’Università di Padova, che ho avuto occasione di conoscere al 100° congresso della Società Italiana di Fisica (tenutosi a Pisa nel Settembre scorso) e che mi ha fornito qualche ulteriore suggerimento bibliografico.

Ringrazio anche gli studenti che, senza troppo guardare alla differenza di età, mi hanno accolto come “uno di loro” e non si sono risparmiati di consigli e di favori per aiutarmi a minimizzare il problema della distanza e della mia impossibilità a frequentare regolarmente i corsi.

Un ringraziamento particolare va al Prof. Mario Rigutti, già direttore degli Osservatori astronomici di Napoli e Teramo, “in primis”, per aver fatto divampare in me la fiamma della passione per l’Astronomia con il suo bellissimo libro “Cento Miliardi di Stelle”, poi, per aver accettato di recente la mia amicizia e aver gentilmente letto la prima bozza di questo lavoro, aiutandomi così a non commettere molti più “passi falsi” di quelli che alla fine non sarò probabilmente riuscito ad evitare, ma solo per mia imperizia.

Infine, devo infinita riconoscenza alle persone “care” che mi hanno “supportato” e “sopportato” in questi due anni di quasi “isolamento” dalla vita di tutti i giorni. Non prometto che con il raggiungimento di questo traguardo finirà del tutto la mia ricerca di nuovi “stimoli”, ma mi impegno a ricambiare loro, il più possibile, l’aiuto e la pazienza passate, presenti e future. E ad “esserci” un po’ di più, se non in quantità, almeno qualitativamente!

Grazie ancora.

Montescudaio (PI), 25/11/2014