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187 Insufficienza cardiaca JOHN R. TEERLINK • KAREN SLIWA • LIONEL H. OPIE 6 Insufficienza cardiaca acuta vs cronica L’insufficienza cardiaca è una condizione clinica in cui un’anomalia funzionale o strutturale del cuore dà luogo a comuni sintomi di respiro affannoso da sforzo e stanchezza. Malgrado questa semplice defini- zione, stabilire la presenza e la causa dell’insufficienza cardiaca è spesso complicato. L’insufficienza cardiaca cronica è comune (preva- lenza 1-3% nelle popolazioni, in aumento all’avanzare dell’età fino al 10%), debilitante, rilevabile, trattabile e genera un notevole impatto eco- nomico sui sistemi sanitari pubblici. La prognosi è scarsa in funzione della gravità con cui si presenta. In passato fino al 50% dei pazienti trat- tati moriva entro 4 anni. L’attuale terapia complessiva offre una prospet- tiva migliore. Le due principali cause nei Paesi occidentali sono l’iper- tensione e la coronaropatia (Fig. 6-1). In Africa la cardiomiopatia concorre come altra causa comune. Cause meno comuni compren- dono anomalie genetiche e famigliari e di recente è stata riconosciuta la cardiomiopatia peripartum (PPCM) di origine ormonale-molecolare. L’insufficienza cardiaca è una condizione riconosciuta e descritta da secoli, per cui di fatto sono già state spese numerose parole e frasi nella pratica clinica. Fra queste, termini obsoleti come insufficienza cen- trifuga anteriore o posteriore, insufficienza ad alta o bassa gittata e insuffi- cienza cardiaca destra o sinistra. La terminologia più utile e attuale comprende insufficienza cardiaca acuta e cronica, insufficienza cardiaca sistolica (insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ridotta [HFrEF]; cuore ingrossato e ridotta frazione di eiezione) e diastolica (insufficienza cardiaca con frazione di eiezione preservata [HFpEF]; dimensione del cuore o frazione di eiezione nella norma) e aggettivi come sintomatica, trattata, compensata, recidiva, congestizia o ondeggiante. Ai fini pratici sono utili due categorie cliniche riconoscibili. 1) Insuf- ficienza cardiaca acuta vs cronica: l’insufficienza cardiaca acuta si di- stingue per un esordio caratterizzato da sintomi gravi, generalmente re- “Il termine insufficienza cardiaca significa una sola cosa: l’incapacità del cuore di scaricare adeguatamente il suo contenuto.” Sir Thomas Lewis, 1933 1 “La gestione dell’[insufficienza cardiaca] non potrà che diventare sempre più un problema per pazienti, medici e responsabili del sistema sanitario mondiale.” Editorial, The Lancet, 2011 2 “Non esiste un solo endpoint in grado di coinvolgere tutti gli elementi del decorso clinico delle sindromi da insufficienza cardiaca acuta. Pertanto nessun singolo endpoint sarà adeguato a tutti gli interventi o popolazioni di pazienti.” Felker GM, et al., 2010 3

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Insufficienza cardiacaJOHN R. TEERLINK • KAREN SLIWA • LIONEL H. OPIE

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Insufficienza cardiaca acuta vs cronicaL’insufficienza cardiaca è una condizione clinica in cui un’anomalia funzionale o strutturale del cuore dà luogo a comuni sintomi di respiro affannoso da sforzo e stanchezza. Malgrado questa semplice defini-zione, stabilire la presenza e la causa dell’insufficienza cardiaca è spesso complicato. L’insufficienza cardiaca cronica è comune (preva-lenza 1-3% nelle popolazioni, in aumento all’avanzare dell’età fino al 10%), debilitante, rilevabile, trattabile e genera un notevole impatto eco-nomico sui sistemi sanitari pubblici. La prognosi è scarsa in funzione della gravità con cui si presenta. In passato fino al 50% dei pazienti trat-tati moriva entro 4 anni. L’attuale terapia complessiva offre una prospet-tiva migliore. Le due principali cause nei Paesi occidentali sono l’iper-tensione e la coronaropatia (Fig. 6-1). In Africa la cardiomiopatia concorre come altra causa comune. Cause meno comuni compren-dono anomalie genetiche e famigliari e di recente è stata riconosciuta la cardiomiopatia peripartum (PPCM) di origine ormonale-molecolare.

L’insufficienza cardiaca è una condizione riconosciuta e descritta da secoli, per cui di fatto sono già state spese numerose parole e frasi nella pratica clinica. Fra queste, termini obsoleti come insufficienza cen-trifuga anteriore o posteriore, insufficienza ad alta o bassa gittata e insuffi-cienza cardiaca destra o sinistra. La terminologia più utile e attuale comprende insufficienza cardiaca acuta e cronica, insufficienza cardiaca sistolica (insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ridotta [HFrEF]; cuore ingrossato e ridotta frazione di eiezione) e diastolica (insufficienza cardiaca con frazione di eiezione preservata [HFpEF]; dimensione del cuore o frazione di eiezione nella norma) e aggettivi come sintomatica, trattata, compensata, recidiva, congestizia o ondeggiante.

Ai fini pratici sono utili due categorie cliniche riconoscibili. 1) Insuf-ficienza cardiaca acuta vs cronica: l’insufficienza cardiaca acuta si di-stingue per un esordio caratterizzato da sintomi gravi, generalmente re-

“Il termine insufficienza cardiaca significa una sola cosa: l’incapacità

del cuore di scaricare adeguatamente il suo contenuto.”

Sir Thomas Lewis, 19331

“La gestione dell’[insufficienza cardiaca] non potrà che diventare sempre più un

problema per pazienti, medici e responsabili del sistema sanitario mondiale.”

Editorial, The Lancet, 20112

“Non esiste un solo endpoint in grado di coinvolgere tutti gli elementi del

decorso clinico delle sindromi da insufficienza cardiaca acuta. Pertanto nessun

singolo endpoint sarà adeguato a tutti gli interventi o popolazioni di pazienti.”

Felker GM, et al., 20103

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spiro affannoso, necessitante di trattamento urgente o di emergenza, con terapia finalizzata a un rapido miglioramento della sintomatologia. L’insufficienza cardiaca cronica può inoltre essere caratterizzata da sintomi persistenti ma generalmente stabili, e la terapia ha anche dimo-strato di migliorare il tasso di mortalità e morbilità. Benché siano pre-senti casi di insufficienza cardiaca di nuova insorgenza, la maggior parte dei casi di insufficienza cardiaca acuta sono scompensi di insuf-ficienza cardiaca cronica. Laddove l’insufficienza cardiaca acuta e cronica rappresentino entità pato-fisiologiche distinte o siano semplice-mente espressioni di diversa gravità è ancora oggetto di discussione e questo aspetto esula dal tema trattato nel presente Capitolo. 2) Gittata ipervolemica vs bassa: la maggior parte dei pazienti con insufficienza cardiaca presenta segni e sintomi di sovraccarico di volume, spesso as-sociati a edema periferico, rantoli, pressioni venose centrali elevate e dispnea. L’insufficienza cardiaca a bassa gittata, la cui estrema manife-stazione è lo shock cardiogeno, si riconosce dalla presenza di costri-

Occlusionecoronarica

Ipertensione

INSUFFICIENZA CARDIACA

Anemia

EVOLUZIONE DELL'INSUFFICIENZA CARDIACA

Fattori di rischio

Stadio Acuore

normale

Ventricolosinistro

rimodellato

Stadio BStruttura e funzione

anomali

Stadio C

Opie 2012

Figura 6-1 Evoluzione dell’insufficienza cardiaca. Le due principali condi-zioni che portano a insufficienza cardiaca sono, in primo luogo, ipertensione cronica e, in secondo luogo, coronaropatia. La nefropatia è una delle patolo-gie predisponenti, che comprendono il diabete. La cardiomiopatia è più co-mune in Africa. (Figura © L.H. Opie, 2012.)

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zione periferica (estremità fredde, stato confusionale, sudorazioni), calo della funzionalità degli organi terminali (generalmente insufficienza renale con anuria o oliguria) e bassa pressione arteriosa sistolica (PA; inferiore a 90 mmHg). Nell’insufficienza cardiaca ipervolemica può tuttavia evidenziarsi anche disfunzione renale, che non va considerata come esclusivamente indicativa di insufficienza a bassa gittata. L’insuffi-cienza cardiaca ipervolemica e l’insufficienza a bassa gittata non si escludono a vicenda e possono instaurarsi simultaneamente.

Insufficienza cardiaca acutaNell’insufficienza cardiaca acuta il sintomo del respiro affannoso è spesso correlato a un’elevata pressione atriale sinistra. Il trattamento è in questo caso volto a una riduzione tempestiva della pressione atriale sinistra (precarico). I composti d’uso immediato sono diuretici, nitrati e possibilmente morfina (antiansiolitico). Oggi sono disponibili i pep-tidi natriuretici per via endovenosa (NP; nesiritide), il cui beneficio aggiunto è tuttavia di dubbia natura. In alcuni casi acuti si ricorre alla somministrazione di vasopressina finalizzata al supporto della PA, e di recente sono stati oggetto di indagine gli antagonisti della vasopressina, che svolgono un’azione di riduzione dello stato vasocostrittore e pos-sono favorire la diuresi.

Terapia dell’insufficienza cardiaca acuta Una nuova classificazione di insufficienza cardiaca acuta è 1) insuffi-cienza cardiaca scompensata acuta, dominata da ritenzione idrica; e 2) insufficienza vascolare acuta spesso causata da ipertensione acuta o altri fattori emodinamici di edema polmonare acuto.4 Sul piano clinico, tuttavia, in caso di edema polmonare acuto e shock cardiogeno si deve procedere con urgenza. In tali casi la classificazione in secco-caldo, umido-caldo, secco-freddo e umido-freddo (Tabella 6-2) offre informa-zioni di tipo prognostico. Lo shock “umido” quasi raddoppia il rischio di morte.5 Un esame clinico d’urgenza stabilisce se il problema maggiore sia uno stato di shock con ipotensione (shock secco) oppure edema polmonare acuto con dispnea acuta (shock umido) oppure entrambi, nel caso più grave. Questo quadro complesso spesso richiede una tera-pia farmacologica combinata che agisca su vari siti, in funzione dello stato emodinamico complessivo (Fig. 6-2). I principali composti fra cui è possibile scegliere sono illustrati nella Tabella 6-2. Il trattamento im-mediato vuole il paziente seduto, somministrazione di ossigeno, diure-tici dell’ansa per via endovenosa e forse morfina con o senza antieme-tico. Tuttavia, l’impiego di morfina è stato messo in discussione nel trattamento delle sindrome coronariche acute6 e dell’insufficienza cardiaca acuta,7 in quanto associata a peggiori esiti clinici, anche dopo correzioni di variabili cliniche e prognostiche.

Diuretici. Considerato che la vasta maggioranza dei pazienti presenta ipervolemia, i diuretici per via endovenosa rappresentano la terapia somministrata più comunemente per il trattamento dell’insufficienza

Tabella 6-1

Basato su Nohria A, et al. J Am Coll Cardiol 2003;41(10):1797–1804.

Classificazione di shock

Congestione

— —Adeguata perfusione 1 Secco-caldo Umido-caldo

— Secco-freddo Umido-freddo

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Inibitori della PDE attraverso il cAMP

(morfina)

Catecolamine

Nitrati

Sensibilizzatori del Ca2+

Furosemide

Vasodilatazione

β2

Vaso-costrizione

OBIETTIVO: NORMALIZZAZIONE

DELLA PA

Effettoinotropopositivo

Opie 2012

POLMONICONGESTIONATI

INSUFFICIENZAACUTA DEL

VENTRICOLOSINISTRO

attraverso il cAMP

V-1aIncuneamento

pressione ↑

β β 1 e 2

α

Figura 6-2 Siti d’azione dei farmaci usati per il trattamento dell’insuffi-cienza acuta ventricolare sinistra. Si notino gli effetti opposti di 1) vasoco-strizione risultante da effetti α-adrenergici (noradrenalina, alte dosi di adrena-lina o dopamina) e 2) vasodilatazione risultante da aumento di adenosina monofosfato ciclico (cAMP) per effetti β2 o inibizione della fosfodiesterasi (PDE) (si veda la Fig. 6-5). α, α-adrenergico; PA, pressione arteriosa; V-1a, agonista della vasopressina che agisce sul sottotipo di recettore 1a. (Figura © L.H. Opie, 2012.)

1. Vasodilatatori – in presenza di segni di congestione e PA mantenuta, nitrati, nitroprussiato di sodio, nesiritide

2. Diuretici – per la ritenzione dei liquidi, con strategie volte a contrastare la resistenza ai diuretici (verificare il quadro elettrolitico; combinazioni di diuretici; aggiunta di dopamina; riduzione della dose di ACE inibitore); antagonista della vasopressina-2 acquaretici per iponatremia

3. Inotropi – in presenza di ipoperfusione periferica, dopamina, dobutamina, adrenalina, noradrenalina, levosimendan, inibitori della fosfodiesterasi

4. Vasopressina (AVP) per shock settico, CPR, ipotensione intraoperatoria

Ruolo della PA nella scelta del farmaco:

1. Grave ipotensione e shock: dopamina 5-20 mcg/kg/min o NA 0,5-30 mcg/min2. Ipotensione modesta: vasodilatatore o inotropo (dobutamina o inibitore

della fosfodiesterasi o levosimendan)3. PA superiore a 100 mmHg: nitroglicerina o nesiritide o BNP o

nitroprussiato

Ruolo del tono simpatico nell’insufficienza cardiaca acuta:*

1. Tachiardia e fibrillazione atriale. Uso paradossale del β-blocco quando l’AHF è correlata all’FA con rapida risposta ventricolare: esmololo EV (si veda la Tabella 8-2)

2. Ipertensione acuta. Esmololo EV può essere usato a una dose superiore a quella sopra indicata (80 mg nell’arco di 30 sec, quindi 150-300 mcg/min; si veda il Capitolo 1, pag. 34)

Tabella 6-2

Farmaci usati per il trattamento dell’insufficienza cardiaca

ACE, enzima di conversione dell’angiotensina; AHF, insufficienza cardiaca acuta; AVP, arginina vasopressina; BNP, peptide natriuretico di tipo B; CPR, rianimazione cardiopolmonare; EV, endovenoso; FA, fibrillazione atriale; NA, noradrenalina; PA, pressione arteriosa.

*Dati da Pang PS, et al. The current and future management of acute heart failure syndromes. Eur Heart J 2010;31:784–793.

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cardiaca acuta. Da un piccolo studio condotto su 304 pazienti, conce-pito con un disegno fattoriale volto a confrontare strategie basate sulla somministrazione di dosi basse vs elevate e di bolo vs infusione conti-nua di furosemide, è emerso che i pazienti trattati con alte dosi (2,5× precedente dose orale) mostravano una tendenza a una maggiore diuresi, miglioramento della sintomatologia e transitorio aggravamento della funzionalità renale.8 Benché in assenza di apparente differenza a breve termine fra il bolo rispetto alle strategie di infusione continua, l’attenzione del personale dello studio clinico e la regolare frequenza della somministrazione della dose di bolo potrebbero non essere rap-presentative di un ambiente clinico “reale”.

Dose di diuretico e mortalità. Non sono disponibili studi randomiz-zati validi. Due studi basati sull’abbinamento dell’indice di propen-sione con esito di mortalità sono giunti a conclusioni diverse. Nell’am-bito dello studio ALARM-HF 4953 pazienti trattati con furosemide per via endovenosa a dosi basse o elevate sono stati sottoposti a terapia di insufficienza cardiaca in regime di ricovero ospedaliero se la dose to-tale iniziale di 24 ore era superiore o inferiore a 1 mg/kg.9 Non sono state riscontrate associazioni fra la somministrazione del diuretico e la morte in alcuno dei sottogruppi. Nell’ambito del secondo studio, su 1354 pazienti con insufficienza cardiaca sistolica in fase avanzata, i pazienti sono stati suddivisi in quartili di dose giornaliera totale equiva-lente di diuretico dell’ansa. Anche dopo esteso aggiustamento della covariata, è stato osservata una riduzione del tasso di sopravvivenza all’aumentare della dose di diuretico, 0-40 mg , 41-80 mg, 81-160 mg e oltre 160 mg (rispettivamente 83%, 81%, 68% e 53% in relazione ai quar-tili 1, 2, 3 e 4).10 Esistono dunque argomenti indiretti a sostegno di en-trambi i punti di vista. Verosimilmente si prospetta l’ipotesi di uno stu-dio randomizzato.

Aggravamento della funzione renale. In pazienti con insufficienza cardiaca acuta, l’elevata pressione venosa centrale compromette la funzione renale.11,12 La diuresi deve essere tenuta sotto stretta osserva-zione. I diuretici, provocando un calo dell’elevata pressione venosa centrale, contribuiscono a preservare la funzione renale.

Terapia vasodilatatoria. La terapia vasodilatatoria viene spesso asso-ciata ai diuretici nel trattamento di scelta dell’edema polmonare acuto. In alcuni casi la dispnea è talmente grave da richiedere la ventilazione artificiale. Una vasocostrizione anomala può essere considerata come il difetto centrale in numerosi episodi di insufficienza cardiaca acuta.13,14 Il trattamento vasodilatatorio consente di ottenere spesso eccezionali benefici a breve termine per salvare il paziente dall’affoga-mento nei suoi stessi escreti, ma è inoltre utile in pazienti con conge-stione polmonare meno grave. È verosimile che la terapia vasodilatato-ria sia sottoutilizzata, in particolare negli Stati Uniti. Un piccolo studio randomizzato condotto su 110 pazienti con edema polmonare acuto e insufficienza cardiaca congestizia (CHF) sottoposti a terapia principal-mente a base di nitrati rispetto a un approccio sostanzialmente basato su diuretici ha suggerito la superiorità clinica dell’approccio vasodila-tatorio. I pazienti trattati con isosorbide dinitrato per via endovenosa sono stati associati a una ridotta necessità di ventilazione artificiale e frequenza di infarto del miocardio (IM).15 Si noti che un’analisi del registro ALARM-HF ha suggerito che i pazienti trattati con una terapia combinata di diuretici e vasodilatatori per via endovenosa presenta-vano un tasso di mortalità in regime di ricovero ospedaliero inferiore rispetto ai pazienti trattati con la sola terapia diuretica.16

Inotropi simpaticomimetici e dilatatori inotropi. Gli inotropi sim-paticomimetici e i dilatatori inotropi possono offrire un certo grado di limitato beneficio aggiuntivo in alcuni pazienti con manifestazioni ipervolemiche, ma trovano generalmente impiego in caso di bassa git-

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tata cardiaca. L’evidenza che essi offrano un beneficio a lungo termine è scarsa o assente, anzi ne esiste a supporto di un incremento del tasso di mortalità (si veda la Sezione “Milrinone” di seguito in questo Capi-tolo). Questa categoria di farmaci esprime al meglio la propria efficacia nel trattamento di supporto temporaneo dell’insufficienza cardiaca o come ponte nell’attesa dell’impianto di dispositivo di assistenza ventri-colare sinistra o trapianto. Gli inotropi o inodilatatori sono indicati quando la PA è bassa e la perfusione renale ridotta. Una scelta impor-tante, in larga misura dipendente dalla PA e dalla perfusione periferica, è legata alla decisione di somministrare un farmaco che aumenti o diminuisca la resistenza vascolare periferica, incrementando o ridu-cendo la vasocostrizione, e alla scelta di un farmaco inotropo o vaso-dilatatore. Algoritmi utili sono disponibili nelle linee guida europee sulla diagnosi e sul trattamento dell’insufficienza cardiaca acuta.17 Una volta stabilizzate le condizioni del paziente grazie all’intervento acuto, è necessario stabilire la causa della condizione acuta di shock o di deterioramento acuto. Successivamente la strategia di gestione segue le linee stabilite per il trattamento dell’insufficienza cardiaca cronica.

Terapia inotropa vs vasodilatatoria. Esistono pochi studi sugli esiti che confrontano la terapia inotropa vs vasodilatatoria nel tratta-mento dell’insufficienza cardiaca acuta. Nel registro ADHERE, una revisione retrospettiva di oltre 65.000 pazienti ha suggerito che il tasso di mortalità fosse inferiore nel caso dei vasodilatatori nitroglicerina o nesiritide rispetto a dobutamina o milrinone.18 Tuttavia, i pazienti trattati con i vasodilatatori presentavano PA sistoliche iniziali più ele-vate rispetto a quelli trattati con inotropi, come da previsioni. Mal-grado le correzioni apportate, questo rimane uno studio osservazio-nale post-hoc. Un’analisi più statisticamente rigorosa, seppur ancora post-hoc, è stata svolta su oltre 4000 pazienti partecipanti allo studio ALARM-HF con tecniche di abbinamento per indice di propensione. Queste analisi hanno suggerito che la mortalità in regime di ricovero ospedaliero è superiore di 1,5 volte nel gruppo dopamina o dobuta-mina e di oltre 2,5 volte nel gruppo noradrenalina o adrenalina ri-spetto ai pazienti trattati con la sola terapia diuretica e vasodilatato-ria.16 Le analisi svolte non hanno preso in considerazione terapie a base di agenti con un diverso meccanismo inotropo o vasodilatatorio combinati a inotropi positivi. Gli obiettivi complessivi rimangono, in primo luogo, il mantenimento di una pressione di riempimento del ventricolo sinistro adeguata ma non eccessiva idealmente con moni-toraggio della gittata cardiaca e, in secondo luogo, il mantenimento di un corretto flusso diuretico.

Inotropi acuti: simpaticomimetici e altri agentiDal punto di vista fisiologico, la base della risposta inotropa acuta a un aumentato stimolo adrenergico è il rapido aumento dei livelli miocardici del secondo messaggero, l’adenosina monofosfato ciclico (cAMP; si veda la Fig. 1-1). Dal punto di vista farmacologico, il sup-porto inotropo acuto si basa sugli stessi principi, o per somministra-zione di catecolamine esogene, che stimolano il recettore β, o per inibizione della conversione del cAMP per azione degli inibitori di tipo III della fosfodiesterasi (si veda la Fig. 6-2). Una terapia di sup-porto acuto nell’insufficienza circolatoria potrebbe richiedere una temporanea vasocostrizione periferica con stimolazione del recet-tore β-adrenergico (Fig. 6-3). Di conseguenza potrebbe essere neces-sario l’impiego di una serie di farmaci simili alle catecolamine usati nell’ambito del trattamento dell’insufficienza cardiaca acuta, in base alla combinazione di stimolazione inotropa acuta, vasodilatazione acuta e vasocostrizione acuta (Tabella 6-3). Spesso occorre valutare il rapporto rischio di aritmie-beneficio inotropo. Per contrastare la con-gestione polmonare e la dispnea acuta, è necessario somministrare furosemide e nitrati per via endovenosa.

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Effetti terapeutici cardiovascolari prodotti dai farmaci adrenergici

Effetti adrenergici sulla pressione arteriosa. Nel caso di noradre-nalina, l’effetto netto è un aumento della PA (α-effetti periferici domi-nanti), mentre nel caso di adrenalina a dosi fisiologiche gli effetti vaso-dilatanti della stimolazione del recettore β2 potrebbero controbilanciare gli effetti di incremento della PA indotto da α-stimolazione (si veda la Fig. 6-2). L’effetto netto di adrenalina è un aumento della sola PA sisto-lica (aumentato volume sistolico) con un calo della PA diastolica (di-latazione periferica del recettore β2). Solo a dosi farmacologiche ele-vate di adrenalina l’effetto α-costrittivo produce un incremento della PA diastolica.

NAA

NEURONE TERMINALE ADRENERGICO

, A-II

VASODILATAZIONE

Opie 2012

DepolarizzazioneM2 inibizione

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A-II

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Allenamentofisico

NA

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Figura 6-3 Ruolo del neurone adrenergico terminale nella regolazione del tono vascolare. Controllo della neuromodulazione di costrizione e dilatazione arteriolari. Pannello superiore, neurone terminale; pannello inferiore, muscola-tura liscia vascolare (VSM). La depolarizzazione simpatica adrenergica (in alto a sinistra) porta al rilascio di noradrenalina (NA) dai granuli di riserva dei neu-roni terminali nella fessura sinaptica che separa i terminali dalla parete arte-riosa per agire sui recettori β1 vasocostrittivi post-sinaptici. La NA stimola inoltre i recettori α presinaptici per attivare l’inibizione a feedback del suo stesso rilascio, per modulare il rilascio eccessivo di NA. Al contrario, la stimo-lazione colinergica vagale rilascia monossido di azoto (NO), che agisce sui re-cettori muscarinici (sottotipo M2) per inibire il rilascio di NA, dando in tal modo indirettamente luogo a vasodilatazione. L’adrenalina (A) in circolo stimola i recettori β2 vascolari vasodilatatori ma anche i recettori presinaptici sul termi-nale nervoso che favorisce il rilascio di NA. L’angiotensina-II (A-II) formatasi in risposta al rilascio di renina dai reni in stati di shock provoca un altrettanto potente effetto vasocostrittivo, agendo sia per inibizione di rilascio di NA (re-cettori presinaptici, schematicamente mostrati sulla sinistra del neurone termi-nale) e direttamente sui recettori arteriolari. (Figura © L.H. Opie, 2012.)

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Stimolazione del recettore β-adrenergico nell’insufficienza car-diaca acuta. Gli agenti simpaticomimetici potrebbero pertanto gene-rare effetti positivi sui pazienti con insufficienza cardiaca acuta: stimo-lazione del recettore β1 grazie all’effetto inotropo, stimolazione del recettore β2 grazie alla riduzione post-carico (vasodilatazione arteriosa periferica) e stimolazione del recettore α con ripristino della pressione negli stati ipotensivi (si veda la Tabella 6-2). Uno studio in ambiente sperimentale dimostra purtroppo che il ricorso a stimolazione cateco-laminergica, esemplificata con infusione a base di noradrenalina, deve essere ponderato attentamente nei pazienti con stato di bassa gittata dell’infarto del miocardio acuto (IMA). Gli effetti sul recettore β1 po-trebbero precipitare l’instaurarsi di condizioni aritmiche e tachicardi-che, con potenziale conseguente aumento dell’ischemia e promozione di morte cellulare causata da esaurimento metabolico. Effetti eccessivi sul recettore α aumentano il post-carico all’aumentare della PA oltre il valore richiesto ai fini di un’adeguata perfusione, producendo pertanto un incremento dell’attività miocardica. Anche se l’attivazione del recet-tore β2 raggiunge una vasodilatazione efficace e inoltre esercita un’azione di intermediazione di un certo grado di effetto inotropo, tale stimolazione causa anche ipokaliemia con aumentato rischio di arit-mie. Un problema ulteriore e grave è legato al rischio che una prolun-gata e vigorosa stimolazione del recettore β1 dia luogo all’insorgenza o all’aumento di degradazione dei recettori con ridotta risposta inotropa (si veda la Fig. 1-6). La tossicità delle catecolamine può causare la de-gradazione e la morte dei miociti. Questi sono i motivi per i quali i simpaticomimetici trovano impiego esclusivo nel trattamento a breve termine dell’insufficienza cardiaca acuta.

Nei pazienti con insufficienza cardiaca cronica caratterizzata da scompenso acuto, il gruppo ammesso al trattamento con β-bloccanti, e anche alle dimissioni, è stato associato a una mortalità a 180 giorni.18A

Effetti α-adrenergici. Se la PA è bassa, come nell’insufficienza car-diaca a bassa gittata, una delle decisioni fondamentali da compiere è stabilire se sia auspicabile aumentare la PA unicamente con supporto inotropo, oppure con una terapia combinata a base di inotropi e vaso-costrizione periferica, oppure esclusivamente a base di vasocostrizione periferica. Anche se quest’ultimo obiettivo può essere raggiunto con dei puri α-stimolanti, come fenilefrina (5-20 mg in 500 mL di lenta infu-sione) o metoxamina (5-10 mg a 1 mg/min), questa opzione non è logica perché l’insufficienza cardiaca richiama automaticamente la vasocostrizione adrenergica riflessa. Entrambi questi α-stimolanti po-trebbero comunque essere utili nel trattamento dell’ipotensione anestetica.

Effetti inotropi e vasocostrittori combinati. Gli effetti inotropi e vasocostrittori combinati sono richiesti occasionalmente, e possono essere ottenuti con una terapia a base di dopamina a dosi elevate. Inoltre, i pazienti con insufficienza cardiaca cronica presentano spesso difetti nel tasso di produzione del cAMP, laddove una combinazione potenzialmente utile diventa dopamina associata a un inibitore della PDE come milrinone. Laddove sia richiesta solo la stimolazione ino-tropa, dobutamina è il farmaco di prima scelta, anche se esiste il rischio di lievi decrementi nella PA diastolica a seguito del suo effetto perife-rico sul recettore β2 . Ove sia richiesta una terapia combinata a base di stimolazione inotropa e vasodilatazione periferica, sono indicati dobu-tamina e un vasodilatatore, dopamina a dosi basse o milrinone.

Inotropi adrenergici misti per via endovenosa. Gli inotropi adrenergici misti per via endovenosa (stimolazione β α-adrener-gica) hanno in comune la proprietà di stimolare i recettori β e α a vario grado. La stimolazione α-adrenergica ha luogo con una certa modesta risposta inotropa positiva nel cuore umano, probabilmente di maggiore importanza quando i recettori α sono relativamente sottoposti ad up-

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grade nella CHF grave. Appartengono a questo gruppo di agenti adre-nergici misti la dobutamina, considerata in passato altamente selettiva dei recettori β1, ma oggi ritenuta responsabile anche della stimolazione del recettori β2 e dei recettori α (si veda la Tabella 6-2).

DobutaminaDobutamina, analogo sintetico della dopamina, è un farmaco competi-tivo di stimolazione β-adrenergica (β1 β2 α). La sua principale ca-ratteristica è un potente effetto inotropo (Fig. 6-4). Tuttavia, il suo effetto di stimolazione dei recettori β2 potrebbe dare luogo a ipotensione e in taluni casi a un calo della pressione diastolica con tachicardia riflessa. Inoltre, nei pazienti con insufficienza cardiaca esiste il rischio di au-mento della mortalità a lungo termine,19 nonché di aumentata attività simpatica.

Farmacocinetica, dose e indicazioni. L’eliminazione di un farmaco somministrato per infusione è rapida (emivita di 2,4 minuti). La dose endovenosa standard è 2,5-10,5 mcg/kg/min. Le dosi inferiori (2,5-5 mcg/kg/min) sono di frequente sufficienti, con rare dose massime da 40 mcg/kg/min. Il farmaco può essere infuso per 72 ore con monitorag-gio. Non esiste una preparazione orale. Le indicazioni sono insufficienza cardiaca refrattaria acuta su patologia cronica, IMA grave (dopo inter-vento chirurgico), shock cardiogeno ed eccesso di β-blocco.

Uso di dobutamina, effetti collaterali e precauzioni. Il candidato ideale per la terapia a base di dobutamina è il paziente che presenta una funzione del ventricolo sinistro gravemente depressa con basso indice cardiaco ed elevata pressione di riempimento del ventricolo si-nistro, ma in assenza di ipotensione (PA media 70 mmHg senza shock clinico). Attualmente uno degli usi principali di dobutamina è associato all’ecocardiografia da sforzo. I potenziali svantaggi di dobuta-mina sono legati 1) al potenziale downgrade o blocco terapeutico dei β-recettori nella CHF grave, che può compromettere la prevista effica-cia di dobutamina,20 2) al potenziale calo o stato invariato senza incre-mento della PA e 3) al rischio di tachicardia sinusale o altre aritmie più serie.19 Benché i casi di aritmie e tachicardia siano inferiori rispetto a quelli associati a isoproterenolo, tutti gli agenti inotropi che aumentano i livelli di calcio citosolico sono associati al rischio di aumentate arit-mie. Dopo prolungata infusione può instaurarsi tolleranza all’effetto inotropo. Una possibile precauzione è diluire in acqua sterile o destro-sio o soluzione salina, non soluzioni alcaline. Usare entro 24 ore. Si ri-chiede il monitoraggio del quadro emodinamico o un attento monito-raggio dei parametri clinici del paziente. Verificare i livelli di potassio nel sangue al fine di ridurre le aritmie.

Dopamina

La dopamina è un agente catecolaminergico usato nell’ambito del trattamento dell’insufficienza cardiaca grave e dello shock cardiogeno. Fisiologicamente, rappresenta sia il precursore di noradrenalina sia l’agente responsabile del rilascio di noradrenalina dai siti di preserva-zione alle estremità nervose nel cuore (si veda la Fig. 6-4). Tuttavia, in periferia questo effetto è prevaricato dall’attività dei recettori dopami-nergici-2 pregiunzionali, che inibiscono il rilascio di noradrenalina, contribuendo in tal modo alla vasodilatazione. In generale, pertanto, dopamina stimola da una parte il cuore con risposte β- e α-adrenergi-che, dall’altra causa vasodilatazione attraverso i suoi recettori. In linea teorica, nella CHF grave o nello shock dopamina ha la preziosa pro-prietà di aumentare specificamente il flusso sanguigno nei letti renale, mesenterico, coronarico e cerebrale attraverso l’attivazione dei recet-tori DA1 specifici postgiunzionali di dopamina, anche se i dati clinici contrastano sull’utilità di questo effetto.21 A dosi elevate dopamina

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causa la stimolazione dei recettori α con vasocostrizione periferica; la resistenza periferica aumenta e il flusso di sangue renale diminuisce. Per ottenere gli effetti auspicati, la dose dovrà pertanto essere tenuta il più bassa possibile.

Proprietà e uso di dopamina. Dopamina, “molecola flessibile”, agisce inoltre in molti recettori, dando luogo a una stimolazione diretta dei recettori β1 e β2, nonché dei recettori α. Quest’ultima azione spiega per-ché, a dosi elevate, dopamina provochi una significativa vasocostrizione. Farmacocinetica: dopamina è oralmente inattiva. Per via endovenosa è metabolizzata nell’arco di pochi minuti per mezzo delle β-idrosilassi e monoaminossidasi (MAO) della dopamina.

Dose e indicazioni. Dopamina può essere somministrata solo per via endovenosa. Questa limitazione ne restringe l’uso all’ambito del tratta-mento a breve termine. La dose iniziale è compresa fra 0,5 e 1 mcg/kg/min ed è aumentata fino al raggiungimento di un accettabile valore di flusso urinario, PA o frequenza cardiaca; la vasocostrizione ha inizio a 10 mcg/kg/min circa e assume proporzioni notevoli ad alte dosi, con occasionale necessità di aggiunta di un farmaco α-bloccante o nitro-prussiato di sodio. In qualche paziente la vasocostrizione può avere inizio a dosi pari a 5 mcg/kg/min. Nello shock cardiogeno o nell’IMA, 5 mcg/kg/min di dopamina sono una dose sufficiente per raggiungere l’incremento massimo del volume sistolico, mentre il flusso renale rag-giunge il picco a 7,5 mcg/kg/min e a 10 mcg/kg/min è possibile l’in-staurarsi di aritmie. Nello shock settico, dopamina ha un effetto ino-tropo e aumenta il volume urinario. Dopamina trova largo impiego dopo intervento chirurgico cardiaco. L’aggravamento della funzione renale e l’ipokaliemia correlata all’uso di diuretici per il trattamento dell’insufficienza cardiaca decompensata acuta sono comuni e asso-ciati a scarsa prognosi. L’infusione di dopamina a basse dosi migliora la perfusione renale.

Combinazione con furosemide. Nei pazienti con insufficienza car-diaca acuta, la combinazione di furosemide a basse dosi (5 mg/h) e dopamina a basse dosi (5 mcg/kg/min) somministrate come infusione

DOBUTAMINA

Effetto inotropo,vasodilatante

Inotropa

ADRENALINA

α1-costrizione

β1> β2 > α

DOPAMINA

NORADRENALINA

Inotropo

Dose elevata α

Vasodilatazioneperiferica

Flusso sanguigno renale �

β1 > α > β2 β1 = β2 > α

β1(β2) α DA1 DA2

DA1

β1 β1, β2

, PA �Inotropo,

dilatatore, costrittore

Opie 2012

Figura 6-4 Terapia a base di catecolamine. Effetti specifici sul recettore di agenti fisiologici e farmacologici. DA, dopaminergico; PA, pressione arteriosa. (Figura © L.H. Opie, 2012.)

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continua per 8 ore ha dimostrato la stessa efficacia di furosemide ad alte dosi, ma con un profilo migliore in termini di funzionalità renale e omeostasi di potassio.22

Dosi “nefroprotettive”. Dopamina viene in alcuni casi sommini-strata a scopo di protezione renale o diuresi in pazienti malati critici, a una dose standard di 0,5-2,5 mcg/kg/min. In ambiente di terapia inten-siva tale dose non ha funzionato e ha di conseguenza messo in discus-sione il concetto di nefroprotezione.21 Tuttavia, nell’ambito di uno stu-dio dose-risposta, titolato attentamente, basato sull’impiego di ecografia intravascolare, cui hanno preso parte pazienti affetti da insufficienza cardiaca cronica grave, una dose di 3-5 mcg/kg/min ha aumentato il flusso di sangue renale, e la dose più elevata ha prodotto un incre-mento della gittata cardiaca.23 Questo studio reintegra la “dose renale” e getta le basi per altri studi già in corso.

In pazienti malati ipossici critici, dopamina può produrre effetti collaterali indesiderati come depressione della ventilazione e aumen-tato shunting polmonare, con conseguente potenziale necessità di au-mentata richiesta di ossigeno.24 Dopamina in “dose renale” non ha di-mostrato una capacità di prevenzione di nefropatia con mezzo di contrasto,25 e dopamina intermittente somministrata in pazienti ambula-toriali ai fini del trattamento di insufficienza cardiaca cronica non è efficace26 e può anzi produrre effetti nocivi.

Precauzioni, effetti collaterali e interazioni. Dopamina non deve essere diluita in soluzioni alcaline. La PA, l’elettrocardiogramma e il flusso urinario dovranno essere tenuti sotto costante monitoraggio con misurazioni intermittenti della gittata cardiaca e incuneamento polmo-nare, ove possibile. Nel caso di oliguria, si dovrà in primo luogo proce-dere a correzione dell’ipovolemia con somministrazione di furose-mide. Dopamina è controindicata nel trattamento delle aritmie ventricolari e del feocromocitoma. Usare con cautela in caso di stenosi aortica. L’extravasazione può causare desquamazione, da prevenirsi con infusione del farmaco in vena larga attraverso un catetere plastico e trattarsi con infiltrazione locale a base di fentolamina. Se il paziente ha di recente assunto un MAO inibitore, il tasso di metabolismo di do-pamina da parte del tessuto diminuirà e la dose dovrà essere ridotta a un decimo del solito.

Confronto di dopamina e dobutamina. Dopamina è l’inotropo di prima scelta nel paziente che richieda sia un effetto pressorio (α-effetto ad alte dosi) sia un aumento della gittata cardiaca, e nei pazienti che non presentino marcata tachicardia o irritabilità ventricolare. Nello shock cardiogeno, l’infusione di concentrazioni equivalenti di dopa-mina e dobutamina può offrire un numero superiore di vantaggi ri-spetto alla somministrazione di singoli farmaci in monoterapia. La chiave per un uso efficace di questi farmaci (e di tutti gli inotropi per via endovenosa) è un attento monitoraggio della risposta clinica ed emodinamica di ogni singolo paziente.

Adrenalina

Adrenalina offre una stimolazione mista dei recettori β1 e β2 produ-cendo una serie di effetti aggiuntivi α-mediati a dosi elevate (si veda la Tabella 6-2). A basse velocità fisiologiche di infusione (0,01 mcg/kg/min) si assiste a un decremento della PA (effetto vasodilatatore), men-tre a velocità superiori a 0,2 mcg/kg/min aumentano la resistenza peri-ferica e la PA (effetti inotropi e vasocostrittori combinati). Questo far-maco trova principalmente impiego in caso di urgente necessità di stimolazione inotropa-cronotropa combinata, come nel caso di arresto cardiaco (Fig. 12-10), in cui l’aggiuntivo effetto α-stimolatorio di adrena-lina a dosi elevate contribuisce al mantenimento della PA e prevale sulla vasodilatazione periferica conseguita mediante stimolazione dei

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recettori β2. La dose per il trattamento di condizioni acute è 0,5 mg per via sottocutanea o intramuscolare (0,5 mL di 1 su 1000), o 0,5-1 mg nelle vene centrali o 0,1-0,2 mg intracardiaca. L’emivita terminale è 2 minuti. Gli effetti collaterali comprendono tachicardia, aritmie, ansia, cefalee, estremità fredde, emorragia cerebrale ed edema polmonare. Le controindicazioni comprendono gravidanza in stato avanzato a causa del rischio di induzione di contrazioni uterine.

Impiego in caso di shock settico. In 330 pazienti assistiti da ventila-zione artificiale in stato di shock settico e PA arteriosa minima pari a 70 mmHg, adrenalina 0,2 mcg/kg/min ha dato esiti e tassi di mortalità simili a quelli associati a noradrenalina 0,2 mcg/kg/min combinata a dobutamina 5 mcg/kg/min.27 Tuttavia, in assenza del gruppo placebo, adrenalina avrebbe potuto causare lo stesso effetto negativo (o posi-tivo) di noradrenalina associata a dobutamina.

Noradrenalina

Noradrenalina è somministrata con una dose endovenosa di 8-12 mcg/min con un’emivita terminale di 3 minuti. Questa catecolamina ha no-tevoli effetti sui recettori β1 e α a fronte di una minore stimolazione dei recettori β2. Noradrenalina stimola principalmente i recettori α in peri-feria (con effetti più marcati sui recettori α rispetto a adrenalina) e i recettori β nella regione cardiaca. Secondo un principio logico, nora-drenalina dovrebbe trovare maggiore utilità quando lo stato di shock è associato a vasodilatazione periferica (“shock caldo”). In futuro, i far-maci inibitori della produzione di monossido di azoto (NO) vasodila-tante saranno probabilmente più utilizzati nel trattamento di questa categoria di pazienti. Gli effetti collaterali di noradrenalina compren-dono cefalea, tachicardia, bradicardia e ipertensione. Come con tutte le catecolamine e i vasodilatatori, si sottolinea il rischio di necrosi con extravasazione. La terapia di associazione con PDE inibitori contribui-sce a evitare gli effetti ipotensivi dei PDE inibitori. Le controindicazioni comprendono gravidanza in stato avanzato (si veda “Adrenalina” in precedenza all’interno di questo Capitolo) e pregresso eccesso di vaso-costrizione.

Isoproterenolo (isoprenalina)

Questo β-stimolante relativamente puro (β1 β2) trova ancora impiego in qualche caso. I suoi effetti cardiovascolari presentano numerose so-miglianze con quelli provocati da uno sforzo fisico, fra cui un effetto inotropo positivo e vasodilatatore. In linea teorica, isoproterenolo è maggiormente indicato in casi in cui il miocardio presenti una scarsa contrattilità e la frequenza del cuore sia bassa, ma la resistenza perife-rica sia alta come, ad esempio, in condizioni post-intervento cardiaco in pazienti con pregresso β-blocco. Un altro impiego ideale è in caso di sovradosaggio di β-bloccante. La dose endovenosa è 0,5-10 mcg/min, l’emivita plasmatica è circa 2 minuti e l’effetto avverso principale è le-gato al rischio di tachicardia e aritmie. Inoltre, la sua stimolazione vaso-dilatatoria dei recettori β2 può provocare un brusco calo della PA. Altri effetti collaterali sono cefalea, tremore e sudorazioni. Le controindica-zioni comprendono ischemia miocardica, con possibile esacerbazione, e aritmie.

Antagonisti dei recettori b2

In volontari sani i recettori β2 mediano le risposte cronotrope, inotrope e vasodilatatorie. Benché ancora privi di evidenze nella CHF, in cui esi-ste un noto disaccoppiamento dei recettori β2 cardiaci, alcuni dati suggeriscono un beneficio clinico in pazienti già trattati con diuretici e digossina. I farmaci usati sono fondamentalmente broncodilatatori (terbutalina; albuterolo salbutamolo) e sono pertanto in linea teo-

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rica ideali per il trattamento combinato di malattia ostruttiva cronica delle vie aeree e CHF . Mediante induzione di ipokaliemia e allunga-mento dell’intervallo QT, gli agonisti dei recettori β2 possono aumen-tare il rischio di aritmie. Le caratteristiche farmacologiche di alcuni degli agonisti dei recettori β2 di recente sviluppo sono complesse. Clen-buterolo è stato somministrato in pazienti con dispositivi di assistenza del ventricolo sinistro e qualsiasi vantaggio può essere attribuibile a effetti emodinamici o ad azioni metaboliche.

Sensibilizzatori del calcio

L’uso dei sensibilizzatori del calcio non è finalizzato ad aumentare i livelli di calcio nelle cellule, come avviene nel comune meccanismo d’azione degli inotropi convenzionali con l’inevitabile rischio di arit-mie. L’azione è piuttosto volta a sensibilizzare l’apparato contrattile al livello prevalente di calcio. In linea teorica questi farmaci sono atti a potenziare la forza contrattile senza comportare il rischio di aritmie calcio-indotte. Tale azione non si è verificata tuttavia nel caso di nume-rosi farmaci appartenenti a questo gruppo che presentavano anche proprietà PDE inibitorie associate a rischi aritmogeni. Levosimendan è autorizzato in alcuni Paesi europei, ma non negli Stati Uniti. Questo farmaco sensibilizza la troponina C al calcio, senza compromettere la capacità di rilassamento diastolico.28 Inoltre, produce effetti vasodilata-tori mediati dall’apertura dei canali vascolari di potassio sensibili all’adenosina trifosfato.28 L’inibizione della PDE 3 può inoltre dare luogo a vasodilatazione, che può favorire l’instaurarsi di tachicardia ri-flessa. Nell’ambito dello studio LIDO condotto su 103 pazienti con in-sufficienza cardiaca grave con bassa gittata, levosimendan (infuso a 0,1 mcg/kg/min per 24 ore dopo una dose di carico di 24 mcg/kg nell’arco di 10 min) ha dato buoni risultati nel confronto con dobutamina (5 -10 mcg/kg/min), poiché il miglioramento emodinamico è stato associato a una ridotta mortalità fino a 180 giorni.28 Non essendo tuttavia stato incluso un gruppo placebo, la differenza potrebbe essere stata causata da effetti nocivi prodotti da dobutamina. Nell’ambito dello studio SUR-VIVE, condotto su 1327 pazienti affetti da insufficienza cardiaca con scompenso acuto, levosimendan è stato associato a un esito primario simile (mortalità per tutte le cause a 180 giorni) a quello di dobuta-mina.29 Levosimendan è risultato migliore nella riduzione dell’insuffi-cienza cardiaca (maggiore rapidità nel calo precoce del peptide natri-uretico plasmatico di tipo B [BNP], minore insufficienza cardiaca a 180 giorni) a spese di una superiore percentuale di fibrillazione atriale e ipokaliemia. Nell’ambito dello studio REVIVE II, i pazienti trattati con levosimendan sono stati associati a un più breve ricovero ospedaliero e costi inferiori relativi all’iniziale ricovero ospedaliero rispetto ai pa-zienti trattati con la cura standard.30 In base a un’analisi di un sotto-gruppo di pazienti trattati, levosimendan risulta più efficace in termini di costi rispetto allo standard di cura.

Farmaci con proprietà inotrope e vasodilatantiAnche se il termine inodilatazione fu coniato da Opie nel 1986,31, il razionale risale almeno al 1978 quando Stemple et al.32 combinarono i vantaggi degli effetti vasodilatatori di nitroprussiato con l’effetto inotropo di dopamina, riducendo in tal modo sia il post-carico sia il pre-carico. In senso stretto, anche dobutamina e dopamina a basse dosi dovrebbero essere considerati farmaci inodilatatori. Tuttavia, sono gli inibitori della PDE di tipo III a essere farmaci prototipici (Fig. 6-5). Come gruppo, gli inodilatatori non hanno prodotto un migliora-mento del tasso di mortalità o morbilità nell’ambito di studi e il loro impiego deve essere riservato a pazienti con quadro emodinamico molto serio come insufficienza del ventricolo sinistro con inadeguata gittata cardiaca malgrado adeguata pressione di riempimento del ventricolo sinistro.33

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Inibitori della fosfodiesterasi di tipo III

Gli inibitori della PDE di tipo III, di cui un tipico esempio è milrinone, inibiscono la degradazione del cAMP nella muscolatura liscia vascolare cardiaca e periferica, aumentando la contrattilità miocardica e la vaso-dilatazione arteriosa e venosa periferica (si veda la Fig. 6-5). Milrinone può produrre un incremento sostanziale della frequenza cardiaca e un calo della PA. L’aggiunto componente dilatatore può spiegare la relativa preservazione del consumo di ossigeno a livello miocardico. Tuttavia, gli aumentati livelli di cAMP nel miocardio predispongono all’instaurarsi di aritmie atriali e ventricolari, effetto che potrebbe spiegare gli esiti emersi nell’ambito dello studio Milrinone-Digoxin, in cui milrinone non è risul-tato migliore di digossina e ha dato origine a un incremento dell’inci-denza di aritmie ventricolari.34 L’unico dilatatore inotropo attualmente autorizzato negli Stati Uniti è milrinone, anche se nel Regno Unito sono disponibili sia milrinone sia enoximone.

Milrinone. Milrinone (non disponibile in Italia; N.d.C.) è approvato per l’uso endovenoso negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Il suo mecca-nismo d’azione farmacologica si basa sull’inibizione della PDE di tipo III. Il foglio illustrativo riporta un’avvertenza in primo piano sulla man-canza di evidenza di efficacia e sicurezza quando il farmaco è sommi-nistrato per periodi superiori a 48 ore. L’ulteriore avvertenza è legata all’aumento delle aritmie ventricolari e della mortalità provocato dall’uso a lungo termine34,35. Nell’ambito dell’esteso studio OPTIME-CHF condotto su 949 pazienti che presentavano esacerbazioni acute di

DILATAZIONE ARTERIOLARE

DILATATORI INOTROPI

AmrinoneMilrinoneEnoximone

Inibisconola PDE

RS

cAMP è:cAMP

Ca2+

+ Calmodulina

InotropoCronotropoAritmogeno

Alfa1A-IIVP Ca2+

cAMP

Opie 2012

Ca2+

Ca2+

Inibiscono l'AMP ciclico

CONTRAZIONE MIOCARDICA hFigura 6-5 I dilatatori inotropi (“inodilatatori”) agiscono con un meccanismo d’azione che si basa sull’aumento dell’adenosina monofosfato ciclico nella muscolatura liscia vascolare (in alto) e nel miocardio (in fondo). α1, stimola-zione α1-adrenergica; A-II, angiotensina-II; ANP, adenosina monofosfato; cAMP, adenosina monofosfato ciclico; PDE, fosfodiesterasi; RS, reticolo sar-coplasmatico; VP, vasopressina. (Figura © L.H. Opie, 2012.)

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insufficienza cardiaca con sottostante insufficienza cardiaca cronica, mil-rinone non ha offerto alcun beneficio aggiuntivo rispetto a placebo, ma ha anzi causato più complicanze come fibrillazione atriale di nuova insor-genza e ipotensione costante senza alcun beneficio sul tasso di morta-lità.36 Un’analisi successiva ha rivelato una tendenza peggiore in termini di beneficio sugli esiti in pazienti ischemici.37 Non sono disponibili evidenze in base alle quali l’infusione continua o intermittente a lungo termine ge-neri effetti positivi senza comportare rischi potenzialmente seri.

Indicazioni e dosi. Milrinone è autorizzato solo per l’uso endove-noso in pazienti con insufficienza cardiaca a bassa gittata sottoposti a stretto monitoraggio, in presenza di adeguata apparecchiatura atta a trattare eventuali insorgenze di aritmie ventricolari acute potenzial-mente fatali. Non esiste esperienza in ambiente di studio clinico con in-fusioni di durata superiore a 48 ore. Può essere somministrata una dose di carico endovenosa lenta (nell’arco di 10 minuti, diluita prima dell’uso, 50 mcg/kg), anche se gran parte dei medici omette il carico iniziale per evitare effetti ipotensivi, con successiva infusione endovenosa a una ve-locità di 0,375-0,750 mcg/kg/min, generalmente fino a 12 ore dopo inter-vento chirurgico o fino a 48 ore in caso di insufficienza cardiaca acuta; la dose giornaliera massima è 1,13 mg/kg. È necessario ridurre la dose nei pazienti che presentano insufficienza renale in base alla clearance della creatinina (si veda il foglio illustrativo). Ad esempio, a fronte di una clearance di 20 mL/min/1,73 m2 la velocità di infusione è 0,28 mcg/kg/min. Le controindicazioni sono IMA, grave stenosi aortica o stenosi suba-ortica ostruttiva ipertrofica. Il supporto inotropo a breve termine con mil-rinone in aggiunta alla gestione altrimenti ottimale delle esacerbazioni di insufficienza cardiaca cronica non può essere raccomandato, salvo in presenza di chiara necessità clinica di farmaci inotropi o pressori.

La terapia di associazione e le interazioni farmacologiche sono le seguenti. Milrinone offre un beneficio aggiuntivo sul piano emodina-mico in pazienti già in terapia con ACE inibitori (inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina), seppur a fronte di un elevato rischio di effetti collaterali vasodilatatori. Milrinone può essere associato a dosi modeste di dobutamina, con lo scopo di migliorare gli effetti inotropi e abbassare le pressioni di riempimento. Quando la PA è bassa, milrinone può essere associato a dopamina a dosi elevate. Oltre a un aumento della tachicardia e delle aritmie, pare che le interazioni farmacologi-che avverse siano limitate o assenti.

Enoximone. Enoximone è un farmaco sperimentale non disponibile negli Stati Uniti che è autorizzato per l’uso endovenoso (dose di carico: 90 mcg/kg/min nell’arco di 10 -30 minuti, quindi 5-20 mcg/kg/min, ri-durre le dosi in presenza di insufficienza renale). Anche se autorizzato per l’uso nel trattamento della CHF in casi in cui la gittata cardiaca è ridotta e le pressioni di riempimento aumentano, di fatto dovrebbe es-sere ideale nel caso di insufficienza cardiaca acuta, non cronica, o in situazioni transitorie come nei pazienti in attesa di trapianto. Pare che enoximone non abbia risolto il problema comune ai PDE inibitori, ov-vero l’aumento dei livelli di cAMP con conseguente rischio di gravi aritmie. Quest’ultima considerazione potrebbe spiegare perché enoxi-mone abbia aumentato il tasso di mortalità nei casi di grave insuffi-cienza cardiaca, mentre gli effetti stimolatori centrali del cAMP potreb-bero spiegare perché la mobilità fisica e la qualità della vita abbiano subito un miglioramento.38 Questo inatteso paradosso ha aperto un dibattito, non ancora risolto, in cui ci si chiede se sia più importante migliorare la qualità o la durata della vita nei casi di insufficienza car-diaca cronica, grave, allo stadio terminale.

Nuovi approcci orientati al miglioramento della funzione cardiaca

Come notato in precedenza, tutti gli inotropi e gli inodilatatori attual-mente disponibili agiscono attraverso un meccanismo volto ad aumen-

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tare i livelli intracellulari di cAMP e calcio con conseguenti incrementi della frequenza cardiaca e richiesta di ossigeno a livello miocardico e aumento dell’incidenza di ischemia, aritmie e morte. Numerosi nuovi approcci sono stati messi a punto per migliorare la funzione cardiaca ed eliminando potenzialmente tali rischi. Una strategia promettente si basa sull’attivazione diretta della miosina cardiaca. A tal proposito due studi condotti su soggetti umani riportano gli effetti dell’attivatore della miosina cardiaca, omecamtiv mecarbil, in volontari o pazienti con in-sufficienza cardiaca sistolica. Il primo studio condotto su umani (34 soggetti di sesso maschile sani) ha dimostrato un aumento della fun-zione sistolica del ventricolo sinistro altamente dose-dipendente in ri-sposta a omecamtiv mecarbil per via endovenosa e supportato un po-tenziale uso clinico del farmaco in pazienti con insufficienza cardiaca.39

In un articolo associato su 45 pazienti con insufficienza cardiaca sistolica stabile trattata in base alle linee guida, omecamtiv mecarbil per via endovenosa ha prodotto incrementi concentrazione-dipen-denti nel tempo di eiezione del ventricolo sinistro (fino a 80 ms) e dal volume sistolico (fino a 9,7 mL), con un esiguo calo della frequenza cardiaca (fino a 2,7 battiti al min; p 0,0001 in per tutti i tre parame-tri).40 Uno studio dose-finding condotto in pazienti con insufficienza cardiaca acuta (ATOMIC-AHF) è attualmente in fase di arruolamento, e l’elevata biodisponibilità di omecamtiv mecarbil fornisce l’opportunità di una somministrazione orale cronica di questa terapia.

Altri potenziali nuovi meccanismi inotropi comprendono l’inibi-zione dell’ATPasi (sodio-potassio-adenosina trifosfatasi) con attivazione SERCA (istaroxima), attivazione SERCA con vasodilatazione (donatori di nitrossile come CXL-1020), stabilizzazione del recettore della riano-dina (S44121) e modulazione energetica (etomoxir; piruvato).41

Riduzione del carico e vasodilatazionePrincipi di riduzione del carico

In passato era una procedura specializzata, oggi la vasodilatazione è prassi comune nell’ambito del trattamento dell’insufficienza cardiaca e dell’ipertensione, poiché la circolazione periferica è diventata uno dei siti primari dell’azione farmacologica cardiovascolare. I vasodilata-tori possono essere classificati in base al sito di azione nella circola-zione (si veda la Fig. 2-3). I riduttori pre-carico (in prevalenza venodila-tatori) possono essere separati da quelli che riducono primariamente il post-carico (in prevalenza dilatatori arteriolari), mentre i farmaci misti agiscono sia sul pre-carico sia sul post-carico e sono dilatatori veno-arteriolari combinati. Gli ACE inibitori possono essere considerati vasodilatatori specializzati che presentano altre proprietà aggiuntive (si veda il Capitolo 5). Mentre altri vasodilatatori, specialmente i dilatatori arteriolari, attivano di riflesso l’asse renina-angiotensina, gli ACE inibi-tori esprimono un’azione sia vasodilatatoria sia inibitoria su questo si-stema, oltre ad avere proprietà simpatolitiche.

Riduzione del pre-carico. Di norma, all’aumentare del pre-carico (la pressione di riempimento del ventricolo sinistro), aumenta anche la pressione sistolica di picco del ventricolo sinistro e la gittata cardiaca (estremità ascendente della curva Frank-Starling). Nel cuore malato l’aumento della gittata cardiaca è di gran lunga inferiore alla norma, anzi assente e anzi in alcuni casi si assiste a un calo all’aumento della pressione di riempimento (l’estremità discendente apparente della curva di Frank-Starling). Tuttavia, la pressione di riempimento ottimale nel caso di insufficienza cardiaca è estremamente variabile, non sem-pre superiore alla norma. La riduzione del pre-carico è generalmente, ma non sempre, utile. Dal punto di vista clinico, i principali farmaci che riducono il pre-carico nell’insufficienza cardiaca sono 1) furose-mide grazie al suo effetto diuretico e 2) i nitrati che dilatano le vene a livello sistemico, al fine di ridurre il ritorno venoso e di conseguenza

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la pressione di riempimento sia nella camera cardiaca destra sia in quella di sinistra.

Riduzione del post-carico. Lo scopo terapeutico della riduzione del post-carico è diminuire la resistenza vascolare periferica per limitare il carico sul cuore, migliorare la funzione renale e la perfusione musco-lare scheletrica. Il contenimento della resistenza vascolare (periferica) sistemica non è uguale alla riduzione della PA, perché nell’insuffi-cienza cardiaca un aumento compensatorio della gittata cardiaca tende a mantenere la pressione arteriosa durante la riduzione del postcarico. I riduttori specifici del post-carico sono pochi e limitati di fatto a due. Il primo, idralazina, è un farmaco non specifico con una modalità d’azione cellulare che è ancora indefinita, anche se potrebbe benissimo agire come farmaco di apertura del canale del potassio. Il secondo, il gruppo dei bloccanti del canale del calcio (BCC), sono ri-duttori post-carico e trovano largo impiego nell’ambito del trattamento dell’ipertensione. Generano spesso un effetto inotropo negativo, dun-que ne restringono l’uso all’insufficienza cardiaca, per cui, come cate-goria, sono controindicati. Amlodipina e altri BCC ad azione prolungata possono rappresentare l’eccezione, anche se con severe restrizioni (si veda il Capitolo 3).

Riduzione combinata di pre-carico e post-carico. Il nitroprussiato di sodio, usato per il trattamento di ipertensione molto grave o CHF, deve essere somministrato per via endovenosa sotto stretta supervi-sione e attento monitoraggio. I bloccanti α-adrenergici consentono una riduzione combinata di pre-carico e post-carico. La riduzione del post-carico ne spiega l’effetto antipertensivo. In linea teorica, dovrebbero funzionare anche nella CHF, ma non è così. Come categoria questi farmaci aumentano anzi l’incidenza di insufficienza cardiaca quando somministrati in monoterapia nell’ambito del trattamento dell’iperten-sione (si veda il Capitolo 7, pag. 280). Dei due α- e β-bloccanti, labeta-lolo e carvedilolo, solo quest’ultimo è stato sottoposto a valide speri-mentazioni in pazienti con insufficienza cardiaca (si veda la Fig. 1-10). Il componente β-bloccante di questi farmaci dovrebbe essere in grado di inibire la tossicità miocardica β-mediata derivante dall’attivazione neuroadrenergica nell’insufficienza cardiaca, mentre il componente α-bloccante mira a ridurre la vasocostrizione periferica.

Nitroprussiato: il vasodilatatore equilibrato prototipo

Il nitroprussiato è donatore di NO che esprime un’azione vasodilatato-ria a seguito di formazione di guanosina monofosfato ciclico (cGMP) nel tessuto vascolare (Fig. 6-6). Il nitroprussiato di sodio per via endove-nosa rimane il vasodilatatore di riferimento nel trattamento dell’insuffi-cienza cardiaca sinistra grave a bassa gittata, a condizione che la pres-sione arteriosa sia ragionevole, perché agisce rapidamente e produce un effetto equilibrato sul post-carico e sul pre-carico (si veda la Fig. 2-3), dilatando sia le arteriole sia le vene. Il nitroprussiato, farmaco ultrara-pido, sembra particolarmente utile nell’aumento dell’attività del vo-lume sistolico del ventricolo sinistro in caso di insufficienza cardiaca refrattaria grave causata da rigurgito mitrale o aortico. Miglioramenti del quadro emodinamico e clinico sono inoltre stati osservati in pa-zienti con IMA complicato da una grave insufficienza della pompa, con insufficienza cardiaca dopo intervento cardiaco e in pazienti con esa-cerbazione acuta dell’insufficienza cardiaca cronica. A causa della necessità di un monitoraggio attento e continuo e della lieve sensibilità nonché del rischio di tossicità da cianuro,42 il nitroprussiato è in via di sostituzione nell’ambito del trattamento dell’insufficienza cardiaca grave acuta su patologia cronica dai nitrati e nella terapia delle crisi ipertensive da nicardipina per via endovenosa, fenoldopam o labeta-lolo (si veda la Tabella 7-4). Tuttavia, in numerosi centri specializzati nel trattamento dell’insufficienza cardiaca, il nitroprussiato continua a es-

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sere usato di frequente, supportato dai risultati di uno studio non ran-domizzato svolto su 175 pazienti con insufficienza cardiaca decom-pensata acuta e da un indice cardiaco pari o inferiore a 2 L/min/m2 ammesso per terapia intensiva fra cui farmaci vasoattivi. I pazienti trat-tati con nitroprussiato hanno mostrato un maggiore miglioramento dei parametri emodinamici e tassi di mortalità per tutte le cause inferiori rispetto ai pazienti trattati con il farmaco di controllo.43

Proprietà, precauzioni e tossicità da cianuro. Con l’infusione di nitroprussiato, la risposta emodinamica (vasodilatazione diretta) ha inizio nell’arco di qualche minuto e si arresta con la stessa rapidità. Il nitroprussiato somministrato per via endovenosa è convertito in cian-metemoglobina e cianuro libero nei globuli rossi; il cianuro libero è successivamente convertito in tiocianato nel fegato ed espulso dai reni (emivita di 7 giorni). Da evitarsi l’extravasazione. La soluzione in salina normale (evitare soluzioni alcaline) deve essere preparata al momento e successivamente tenuta al riparo dalla luce al momento dell’infu-sione. Dovrà essere smaltita dopo 4 ore o prima che si scolori. La tossi-cità rappresenta un problema peculiare nel trattamento con nitroprus-siato se somministrato a dosi elevate o per periodi prolungati e in special modo in presenza di insufficienza epatica o renale al fine di limitare il metabolismo del cianuro e l’escrezione dei prodotti finali.

Tossicità da cianuro: l’accumulo di cianuro può uccidere le cellule a seguito dell’inibizione del metabolismo ossidativo, che causa metabo-lismo anaerobico con acidosi lattica. Questa sequenza ha potenzial-mente esiti fatali, ma potrebbe rappresentare un evento terminale mag-giormente correlato a insufficienza circolatoria. Il quadro clinico è variabile e spazia da dolore addominale a morte inspiegata. Gli effetti a carico del sistema nervoso sono evidenti e comprendono alterazione dello stato mentale, encefalopatia inspiegata, lesioni focali, convulsioni (apoplessia da cianuro) e in alcuni casi morte cerebrale.42 La tossicità da cianuro può essere evitata 1) mantenendo la dose di infusione il più

Disfunzioneendoteliale

GMP(inattivo)

Endoteliosano

Monossido di azoto

guanilatociclasi

GTP

Sildenafil

cGMP

LVH e insufficienza

Ca

vasodilatazione

2+

(SH) Monossido di azoto

Colesterolo LDL

monociti

NitratiNesiritide

Arteria polmonare

pr

Cinaciquat

Opie 2012

Figura 6-6 Monossido di azoto, nitroprussiato e nesiritide stimolano la guanilato ciclasi a formare guanosina monofosfato ciclico con proprietà vaso-dilatatorie. Si noti il possibile ruolo di sildenafil e correlati composti (si veda la Fig. 2-6). cGMP, guanosina monofosfato ciclico; LDL, lipoproteina a bassa densità; LVH, ipertrofia ventricolare sinistra; SH, Sulfidril. (Figura © L.H. Opie, 2012.)

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bassa e nel più breve tempo possibile, per non più di 10 minuti alla dose massima nell’ambito del trattamento dell’ipertensione grave; 2) mante-nendo il sospetto clinico; 3) somministrando il farmaco in concomi-tanza a tiosolfato di sodio; e 4) monitorando l’eventuale presenza di evidenza indiretta di tossicità come aumento dei livelli ematici di lattato e tiocianato. Previo detto monitoraggio, è in alcuni casi permesso l’uso di nitroprussiato a basso dosaggio per un periodo massimo di 3 giorni quando l’uso di questo farmaco funge da ponte a un dispositivo di assi-stenza meccanica o trapianto (si veda “Nitroprussiato: dosi, indicazioni e controindicazioni” di seguito in questo stesso Capitolo). Tuttavia, i li-velli di tiocianato riflettono solo indirettamente la tossicità da cianuro e offrono un punto di riferimento imperfetto. La tossicità da tiocianato è un altro pericolo (livello di tiocianato tossico 100 mcg/mL). Il tiocianato è relativamente non tossico, ma può assumere caratteristiche tossiche in presenza di insufficienza renale, provocando una serie di effetti a livello gastrointestinale (GI) e del sistema nervoso centrale, alcuni dei quali si sovrappongono alla tossicità da cianuro.

Nitroprussiato: dosi, indicazioni e controindicazioni. La dose standard è 0,5-10 mcg/kg/min, ma l’infusione alla velocità massima non deve mai durare più di 10 minuti. Il foglio illustrativo riporta un’avver-tenza in riquadro in cui si indica che, salvo laddove usato per brevi pe-riodi o a velocità molto basse (2 mcg/kg/min), il cianuro tossico può raggiungere livelli potenzialmente fatali. La velocità di infusione deve essere titolata attentamente in base alla PA, che deve essere tenuta sotto costante monitoraggio per evitare un’eccessiva ipotensione con poten-ziali esiti fatali. Nell’ambito del trattamento dell’ipertensione grave, il foglio illustrativo avverte che se la PA non è adeguatamente controllata, dopo 10 minuti di infusione alla velocità massima il trattamento deve essere interrotto immediatamente. Al contrario, nitroprussiato non deve essere sospeso bruscamente durante il trattamento dell’insufficienza cardiaca a causa del rischio di ipertensione di rimbalzo.

Le indicazioni comprendono i seguenti casi: 1) insufficienza car-diaca grave acuta su patologia cronica, specialmente in presenza di valvulopatia con rigurgito, per “salvare” il paziente o per indurre un’azione ponte fino al trapianto o all’innesto di un dispositivo di assi-stenza meccanica; 2) crisi ipertensive (si veda la Tabella 7-4); 3) aneu-risma dissecante; 4) ipotensione controllata in anestesia (dose mas-sima 1,5 mcg/kg/min); e 5) dopo intervento di bypass coronarico, nei frequenti casi in cui i pazienti presentano ipertensione reattiva durante l’operazione di risveglio da ipotermia, pertanto nitroprussiato o i nitrati possono essere somministrati per 24 ore a condizione che l’ipoten-sione non rappresenti un problema. Le controindicazioni sono le se-guenti: pregressa ipotensione (sistolica 90 mmHg, diastolica 60 mmHg). Tutti i vasodilatatori sono controindicati in caso di cardiopatia valvolare ostruttiva grave (stenosi aortica o mitrale o polmonare o car-diomiopatia ostruttiva). Sorprendentemente, il trattamento con nitro-prussiato, quando attentamente monitorato, può migliorare la gittata cardiaca in caso di stenosi aortica molto grave con insufficienza car-diaca grave, fungendo da ponte fino alla sostituzione della valvola e dimostrando che un’aumentata resistenza vascolare totale contribui-sce a un carico sul ventricolo sinistro sofferente.44 La presenza di IMA non è una controindicazione, a condizione che sia evitata un’eccessiva ipotensione. Nitroprussiato è controindicato nell’insufficienza epatica o renale poiché l’eliminazione dei metaboliti tossici è depressa.

Effetti collaterali di nitroprussiato. Gli effetti collaterali di nitro-prussiato oltre alla tossicità da cianuro sono i seguenti. Quando il trat-tamento è aggressivo, può instaurarsi un calo eccessivo della pressione telediastolica del ventricolo sinistro, ipotensione grave e ischemia mio-cardica. L’affaticamento, la nausea, il vomito e lo stato confusiona- le causati dalla tossicità tendono ad aumentare specialmente quando il trattamento viene protratto per oltre 48 ore. In pazienti con insuffi-

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cienza renale, il tiocianato si accumula con infusioni ad alti dosaggi e può produrre ipotiroidismo dopo terapia prolungata. Può instaurarsi ipossia a seguito di aumento di mismatch ventilazione-perfusione con vasodilatazione polmonare.

Trattamento della tossicità da cianuro. Anzitutto, si raccomanda di adottare ogni misura volta a evitare la tossicità da cianuro. Sospendere l’infusione qualora si sospetti la diagnosi (i livelli di tiocianato nel san-gue sono solo un parametro di riferimento indiretto). Somministrare soluzione con nitrito di sodio al 3% a una dose inferiore a 2,5 mL/min fino a una dose totale di 10 -15 mL/min, seguita da un’iniezione di tio-solfato di sodio, 12,5 g in 50 mL di acqua con destrosio al 5% nell’arco di 10 min. Ripetere se necessario a metà di queste dosi.

Nitrati

Oggi i nitrati trovano impiego nell’ambito della terapia dell’insuffi-cienza cardiaca acuta e cronica (si veda il Capitolo 2, p. 54).Questi farmaci agiscono aumentando il GMP ciclico vascolare vasodilatatorio. Il loro effetto principale è una dilatazione venosa piuttosto che arterio-lare, pertanto sono maggiormente indicati in pazienti con aumentato incuneamento polmonare e parametri clinici di congestione polmo-nare. I nitrati producono una “flebotomia farmacologica”. I nitrati per via endovenosa sono generalmente scelti al posto di nitroprussiato nel trattamento dell’edema polmonare acuto dell’IMA grazie all’estesa esperienza con i nitrati nell’ambito di studi d’ampia portata. Oltre ad agire come vasodilatatori, i nitrati possono opporsi agli effetti nocivi di promozione della crescita prodotti da noradrenalina, aumentati nell’in-sufficienza cardiaca, sui miociti e sui fibroblasti cardiaci.45 Come no-tato in precedenza, i nitrati per via endovenosa hanno dimostrato di essere superiori ai diuretici in monoterapia in pazienti con insuffi-cienza cardiaca ed edema polmonare acuto.15 Nello studio VMAC, dosi molto basse di nitroglicerina per via endovenosa non hanno mostrato una differenza significativa rispetto a placebo in termini di precoce sollievo da dispnea o riduzione dell’incuneamento capillare polmo-nare (PCWP).46 Tuttavia, dall’analisi di un piccolo sottogruppo parteci-pante al VMAC in cui nitroglicerina è stata titolata a dosi superiori con un approccio più aggressivo47 è emerso che nitroglicerina a dosi supe-riori ha prodotto un significativo miglioramento del PCWP, anche se la tachifilassi è risultata evidente a 24 ore.47 Nitroglicerina per via endove-nosa è probabilmente sottoutilizzata negli Stati Uniti. Quando sommini-strata per il trattamento dell’insufficienza cardiaca acuta, le dosi iniziali dovranno essere comprese fra 20 e 40 mcg/min con una rapida titola-zione a dosi superiori ogni 5-10 minuti fino al raggiungimento dell’ef-fetto emodinamico o sul sintomo desiderato fino a circa 200 mcg/min. I principali effetti collaterali sono cefalea e ipotensione, entrambi in risposta a un calo o a una cessazione dell’infusione.

Nesiritide

Nesiritide è il primo di una nuova classe di farmaci di NP terapeutici approvato negli Stati Uniti (non disponibile in Italia; N.d.C.). Si tratta di una preparazione ricombinante del peptide natriuretico di tipo B umano identico all’ormone endogeno prodotto dai ventricoli in risposta ad aumentato stress parietale e sovraccarico di volume. Nell’ambito di uno studio iniziale, nesiritide, quando aggiunto a diuretici per via endo-venosa o orali alla terapia standard dell’insufficienza cardiaca acuta, ha offerto un maggior sollievo della dispnea rispetto a nitroglicerina.46 Ne-siritide ha aumentato il tasso di flusso espiratorio di picco con il tratta-mento dell’insufficienza cardiaca acuta durante le prime 24 ore.48

Da una meta-analisi di cinque studi nel 2005 è emerso un au-mentato rischio di aggravamento della funzione renale49 e del tasso di mortalità.50 Lo studio definitivo randomizzato (ASCEND-HF) ha

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confrontato nesiritide con placebo in aggiunta alla terapia standard in 7141 pazienti e ha dimostrato un miglioramento della dispnea senza effetto positivo sui ricoveri a causa di insufficienza cardiaca o morte nell’arco di 30 giorni in pazienti trattati con nesiritide. Benché sia stato evidenziato un aumento dell’incidenza dell’ipotensione sintomatica nel gruppo trattato con nesiritide, non sono state riscontrate differenze nei tassi di aggravamento della funzione renale.51

Vasodilatatori sperimentali

Dato il ruolo centrale della terapia vasodilatatoria nel trattamento dell’insufficienza cardiaca acuta, c’è un grande entusiasmo per lo svi-luppo di altri tipi di terapie vasodilatatorie, fra cui altri NP chimerici (ad esempio, cenderitide; non disponibile in Italia; N.d.C.) e attivatori o sti-molatori solubili della guanilato ciclasi (ad esempio cinaciguat; non disponibile in Italia; N.d.C.). Un altro nuovo farmaco sperimentale è relaxina (non disponibile in Italia; N.d.C.), un neurormone pleiotropico con effetti vasodilatatori e potenzialmente renoprotettivi, che ha mo-strato risultati incoraggianti nell’ambito di studi iniziali52 e che si trova attualmente in sperimentazioni in studi clinici di fase III.53

Vasopressina e “vaptani”Recettori della vasopressina. Vasopressina, o ormone antidiuretico (ADH), è sintetizzato nell’ipotalamo ed è fondamentale per la regola-zione osmotica, il tono cardiovascolare e l’omeostasi (Fig. 6-7). Prece-denti studi clinici hanno sottolineato il ruolo di vasopressina e dei suoi analoghi nella rianimazione cardiopolmonare (CPR), nel trattamen- to dello shock settico e dell’ipotensione intraoperatoria.54,55 Di recente, l’enfasi è stata spostata sulla sindrome da inappropriata secrezione di ormone antidiuretico ADH (SIADH), come rivisto da Gassanov e colleghi.56

ADH è rilasciato in risposta a un aumento dell’osmolalità nel pla-sma, riduzione della pressione arteriosa e riduzione del riempimento cardiaco. ADH umano contiene arginina e prende il nome di arginina-vasopressina (AVP) per distinguerlo da altri analoghi della vasopres-sina. Sono stati identificati tre sottotipi di recettori della vasopressina: V1, V2 e V3. I recettori V1 sono accoppiati alle proteine G che agiscono attraverso la via di segnalazione del fosfoinositide, causando il rilascio di calcio intracellulare e vasocostrizione. Anche i recettori V2 sono ac-coppiati alle proteine G ma agiscono attraverso l’adenilil ciclasi, usando il cAMP come messaggero secondario. I recettori V2 si trovano nei tubuli renali e mediano la ritenzione idrica. I recettori V3 siti nella ghiandola pituitaria anteriore sono associati al rilascio di corticotro-pina (ormone adrenocorticotropico) e non sono trattati in questa sede.

Attualmente, non sono stati nello specifico correlati enzimi alla formazione o alla degradazione di vasopressina. Pertanto la maggior parte della ricerca svolta nella manipolazione farmacologica di vaso-pressina si è concentrata sull’identificazione degli agonisti e degli an-tagonisti del recettore della vasopressina (si veda la Fig. 6-4).

Effetti di arginina-vasopressina sul tono vascolare. La sommini-strazione endovenosa di AVP è associata a una rapida insorgenza d’azione (minuti) ed è velocemente distribuita dal plasma al volume extracellulare. La maggior parte del farmaco viene eliminata attraverso metabolismo epatico e renale e una piccola parte avviene per elimina-zione renale. Essendo l’emivita breve (4-20 minuti), AVP deve essere somministrata come infusione endovenosa continua per mantenere i suoi effetti fisiologici. Gli effetti del sistema della vasopressina sono mitigati quando il sistema nervoso simpatico, il sistema della renina-angiotensina (RAS) e i sistemi neurormonali sono intatti. Il rilascio di AVP sembra più strettamente correlato al mantenimento del volume di sangue circolante più che al preservamento della pressione arteriosa.

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Gravi aumenti nei livelli di AVP nel plasma hanno solitamente luogo in presenza di profonda ipotensione, shock emorragico e arresto car-diaco. Tuttavia livelli di AVP relativamente bassi sono stati riportati in pazienti con shock settico e in donatori di organi emodinamicamente instabili, ciò suggerendo che possono sussistere stati clinici di “relativo deficit di vasopressina” e che tali stati potrebbero rispondere a sommi-nistrazione di vasopressina esogena. AVP è stata dunque introdotta re-lativamente di recente nella pratica clinica come vasopressore in pre-senza di numerose specifiche condizioni: ipotensione intraoperatoria, shock vasodilatatorio, shock settico e durante CPR (si veda di seguito). Esiti avversi hanno compreso ischemia del GI, ischemia renale, disfun-zione biventricolare,57 ridotto indice cardiaco, ridotto afflusso di ossi-geno totale e ridotta captazione di ossigeno.

Arginina-vasopressina per rianimazione e shock cardiopolmo-nare. Sia negli umani sia nei modelli animali, la somministrazione di AVP esogena durante CPR ha dato luogo a un aumento della pressione di perfusione coronarica e a un miglioramento degli esiti di rianima-zione. Vasopressina è superiore a adrenalina nell’aumento del flusso di sangue negli organi vitali e nel miglioramento degli esiti di rianima-zione. Le precedenti linee guida dell’AHA (American Heart Associa-tion) per la CPR raccomandavano o la somministrazione di boli ripe-tuti da 1 mg di adrenalina o la sostituzione della prima o della seconda dose di adrenalina con un bolo da 40 U di vasopressina o ancora l’uso di vasopressina preferenzialmente per l’asistole (si veda la settima edizione Figg. 12-10 e 12-11). AVP ha trovato impiego nel trattamento dell’ipotensione dopo bypass cardiopolmonare, apparentemente asso-ciata a bassi livelli di vasopressina in circolo. A dosi da 0,1 U/min, vaso-pressina migliora lo shock post-cardiotomia sia negli adulti sia nei pa-zienti pediatrici.

Vaptani per il trattamento dell’iponatremia. Due antagonisti della vasopressina (“vaptani”) sono oggi sul mercato per il trattamento di

(VP)

Vasocostrizione

VASOPRESSINA E INSUFFICIENZA CARDIACA ACUTA Opie 2012

ADH-VASOPRESSINA

V-1

ipotalamo

Azionevasodilatante

Conivaptan

AQP inibita

Tolvaptan

V-2

Iponatremia

HF acuta

Shock setticoCPR

Terapia per deficitVP

X PU &modifyNEW

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Figura 6-7 Vasopressina e insufficienza cardiaca. Si noti l’uso di agonisti V-1 per selezionati tipi di insufficienza cardiaca acuta e antagonisti V-2 per inibizione di aquaporina (AQP) e vasodilatazione. ADH, ormone antidiuretico; AQP, Aquaporina; CPR, rianimazione cardiopolmonare; HF, insufficienza car-diaca; VP, vasopressina. (Figura © L.H. Opie, 2012.)

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iponatremia euvolemica (Europa) o euvolemica e ipervolemica (Stati Uniti): conivaptan (non disponibile in Italia; N.d.C.) per uso endove-noso e tolvaptan per applicazione orale. Entrambi i farmaci sono ap-provati per 1) il trattamento dell’iponatremia secondaria a SIADH e 2) iponatremia causata da CHF e cirrosi epatica.58 Gross e Wagner pon-gono tre domande.59 1) Questi farmaci riducono l’elevata mortalità associata a iponatremia? 2) È giustificabile usarli per prevenire la reci-diva di iponatremia nella SIADH cronica? 3) Può il costo della terapia cronica a base di vaptani essere giustificato? Gli autori rispondono che il regime ottimale di vaptani (dose, tempi dei controlli) nel trattamento della SIADH non è attualmente stabilito né lo è la procedura migliore per evitare una correzione sovrarapida dell’iponatremia cronica. Per-tanto “si mostrano titubanti nel considerare i vaptani un trattamento di scelta (anche) per la terapia di iponatremia propriamente detta.”

Conivaptan per il trattamento di iponatremia nell’insufficienza cardiaca. Conivaptan (non disponibile in Italia; N.d.C.) è un antagoni-sta del recettore V2 renale approvato negli Stati Uniti per il trattamento di iponatremia euvolemica (sodio nel siero 135 mEq/L) in pazienti in regime di ricovero ospedaliero con sottostante insufficienza cardiaca. Il beneficio clinico atteso legato all’aumento dei livelli di sodio nel siero potrebbe superare l’aumentato rischio di eventi avversi, fra cui flebite sul sito di infusione, ipokaliemia, cefalea e deficit neurologici (per correzione ultrarapida dell’iponatremia), anche se questa ipotesi non è stata adeguatamente dimostrata nell’ambito di studi clinici. Do-saggio di conivaptan: dose di carico da 20 mg per via endovenosa nell’arco di 30 minuti seguita da infusione endovenosa continua da 20 mg per 24 ore. Questa può essere titolata a 40 mg/die se i livelli di sodio sierico non aumentano alla velocità desiderata.

Tolvaptan per il trattamento di iponatremia nell’insufficienza cardiaca. Tolvaptan (15-60 mg/die) è un antagonista orale dei recet-tori V2 che ha prodotto un aumento del sodio sierico nei giorni 4 e 30 di somministrazione nell’ambito dello studio SALT.60 Nei pazienti con insufficienza cardiaca con segni di sovraccarico di volume in regime di dieta iposodica, tolvaptan in monoterapia, senza trattamento conco-mitante a base di diuretici dell’ansa, ha ridotto il peso corporeo quando confrontato con placebo senza alterazioni avverse negli elet-troliti sierici, in trattamento con farmaci di base fra cui ACE inibitori e β-bloccanti.61 Tuttavia, nell’ambito dello studio EVEREST, malgrado un positivo calo ponderale a breve termine e un lieve miglioramento della dispnea,62 non è stato osservato alcun beneficio a lungo termine sulla mortalità o morbilità nell’insufficienza cardiaca.63 L’indicazione appro-vata dalla Food and Drug Administration (FDA) è per iponatremia (125 mEq/L) sintomatica e resistente alla restrizione dei liquidi. Vi è una avvertenza contro una correzione eccessivamente rapida che può causare demielinizzazione osmotica.

Altri vaptani. Altri vaptani comprendono mozavaptan, lixivaptan e satavaptan, tutti agenti sul recettore V2 (non disponibili in Italia; N.d.C.).

Direzioni future

Oltre ai nuovi approcci citati sopra, è attualmente in fase di sviluppo una serie di interessanti nuovi orientamenti terapeutici. Stanno emer-gendo come potenziali farmaci per il trattamento dell’insufficienza cardiaca acuta terapie dirette verso la cardioprotezione e il migliora-mento dello stato metabolico del miocardio (ad esempio piruvato, eto-moxir). Il trattamento con glucosio-insulina-potassio (GIK) è stato con-frontato con placebo in 217 pazienti sottoposti a sostituzione della valvola aortica per stenosi aortica critica ed evidenza di ipertrofia del ventricolo sinistro.64 Il trattamento con GIK ha ridotto l’incidenza di bassa gittata cardiaca (odds ratio, 0,22; p 0,0001) e ha ridotto l’uso di

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inotropi da 6 a 12 ore nel post-operatorio (odds ratio, 0,30; intervallo di confidenza [IC] del 95%, 0,15-0,60; p 0,0007) e le biopsie del ventri-colo sinistro hanno evidenziato un aumento dei marker molecolari di cardioprotezione (adenosina monofosfato chinasi, fosforilazione dell’Akt e O-legato N-acetilglucosamina). Sono in corso studi a lungo termine finalizzati a sperimentare queste e altre terapie di cardioprote-zione durante l’insufficienza cardiaca acuta. L’attivazione neuroumo-rale comprende l’attivazione del sistema infiammatorio e immunitario, come suggerito dagli elevati livelli di proteina C-reattiva, interleuchina-6 e livelli degli attivatori di plasminogeno nel tessuto, tutti correlati a un tasso di mortalità di 180 giorni.65

Nuovi approcci orientati al miglioramento della funzione cardiaca

Come notato in precedenza, tutti gli inotropi e gli inodilatatori attual-mente disponibili agiscono attraverso un meccanismo mirato ad au-mentare i livelli intracellulari di cAMP e calcio con esiti di incrementi della frequenza cardiaca e richiesta di ossigeno a livello miocardico e conseguente aumento dell’incidenza di ischemia, aritmie e morte. Di-versi nuovi approcci sono stati messi a punto per migliorare la funzione cardiaca con potenziale eliminazione di tali rischi. Aliskiren, l’inibitore diretto della renina, è oggetto di studio nell’ambito dello studio ASTRO-NAUT, con l’ipotesi che questo farmaco si opponga alle anomalie neuroumorali presenti in soggetti con insufficienza cardiaca acuta.

L’attivazione diretta della miosina cardiaca rappresenta un approc-cio promettente. Due studi condotti su soggetti umani riportano gli ef-fetti dell’attivatore della miosina cardiaca, omecamtiv mecarbil (non disponibile in Italia; N.d.C.), in volontari o pazienti con insufficienza cardiaca sistolica. Il primo studio condotto su umani (34 soggetti sani di sesso maschile) ha dimostrato un aumento dose-risposta della fun-zione sistolica del ventricolo sinistro con omecamtiv mecarbil per via endovenosa e ha supportato il potenziale uso clinico del farmaco in pazienti con insufficienza cardiaca.39

In un articolo associato su 45 pazienti con insufficienza cardiaca sistolica stabile trattata secondo le linee guida, omecamtiv mecarbil per via endovenosa ha mostrato aumenti dipendenti dalla concentra-zione nel tempo di eiezione del ventricolo sinistro (fino a 80 ms) e del volume sistolico (fino a 9,7 mL), con un lieve calo della frequenza cardiaca (fino a 2,7 battiti al min; p 0,0001 per tutti e tre i parametri). Uno studio dose-finding condotto su pazienti con insufficienza car-diaca acuta (ATOMIC-AHF), si trova attualmente in fase di arruola-mento, e l’elevata biodisponibilità di omecamtiv mecarbil orale con-sente un uso potenziale per la somministrazione orale cronica.40

Altri potenziali nuovi meccanismi inotropi comprendono l’inibi-zione dell’ATPasi-sodio-potassio con attivazione SERCA (istaroxima), attivazione SERCA con vasodilatazione (donatori di nitrossile come CXL-1020), stabilizzazione del recettore della rianodina (S44121) e modulazione energetica (etomoxir; piruvato).41

Shock cardiogenoNei pazienti con shock cardiogeno gli obiettivi principali sono la ridu-zione del carico, la preservazione della funzione cardiaca e il manteni-mento di una PA ottimale in modo tale da favorire la perfusione renale. La diminuzione del pre-carico con urgente riduzione della pressione capillare polmonare e la pressione di riempimento atriale destra si per-segue insieme a un effetto inotropo positivo. In base alla PA, il post-carico può dover essere ridotto o con vasodilatazione o, in alcuni casi, essere aumentato con vasocostrizione periferica. Tali obiettivi possono essere raggiunti con una serie di inotropi per via endovenosa, fra cui dopamina, dobutamina, milrinone e altri farmaci. Alcuni di questi, come dopamina e noradrenalina a dosaggi elevati, causano vasocostrizione α-mediata

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con aumento della PA in stati simili a shock. I dilatatori inotropi, come milrinone e dopamina a bassi dosaggi, presentano un componente di vasodilatazione importante nella loro azione inotropa, che è auspicabile laddove si osservi un buon mantenimento della PA. Lo shock cardiogeno è associato a una cattiva prognosi malgrado l’uso di uno o più tratta-menti farmacologici. Dispositivi di assistenza come il sistema di pompag-gio con palloncino intra-aortico (studio IABP-SHOCKII) trovano sempre maggiore impiego e si trovano in fase di sperimentazione.

Insufficienza cardiaca cronicaL’insufficienza cardiaca cronica si distingue dall’insufficienza acuta in termini di enfasi della terapia. Nell’insufficienza cardiaca acuta, l’obiet-tivo è offrire un sollievo sintomatico immediato e salvare il paziente dalla morte cardiorespiratoria imminente e a breve termine ottimiz-zando lo stato emodinamico e neurormonale nonché prevenire il danno acuto a livello miocardico, renale e a carico di altri organi ter-minali. L’enfasi è posta sui farmaci somministrati per via endovenosa. Nell’insufficienza cardiaca cronica, gli scopi sono prevenire un danno progressivo cronico a carico del miocardio (prevenzione), prevenire o ristabilire un ulteriore ingrossamento del cuore (rimodellamento in-verso), per migliorare la qualità di vita riducendo i sintomi e prolun-gare la vita. La riduzione dei ricoveri ospedalieri è un obiettivo impor-tante per gli operatori sanitari perché rappresenta il principale fattore che determina il costo connesso alla gestione dell’insufficienza car-diaca. L’origine dei sintomi nell’insufficienza cardiaca cronica non è ancora stata compresa del tutto.

Studi cardine consecutivi hanno oggi stabilito, in primo luogo, la natura disabilitante della CHF trattata con le terapie standard quando lasciata al suo corso naturale e, in secondo luogo, che certi farmaci possono parzialmente ridurre l’aumento della mortalità. I farmaci più efficaci agiscono ampiamente attraverso la modulazione delle rispo-ste neuroumorali nell’insufficienza cardiaca (si veda la Fig. 5-8). I far-maci principali sono i diuretici, gli ACE inibitori, i β-bloccanti, gli inibi-tori dell’aldosterone (spironolactone ed eplerenone) e i bloccanti del recettore dell’angiotensina (ARB) nonché un trattamento combinato di idralazina e nitrati in pazienti selezionati. I diuretici offrono un sol-lievo sintomatico dal sovraccarico di liquidi. Un secondo gruppo di farmaci comprende i farmaci che producono effetti inotropi positivi e generalmente aumentano il cAMP cellulare e i livelli di calcio, che tendono ad aumentare la mortalità. La maggior parte di questi farmaci aumenta la mortalità nei pazienti con insufficienza cardiaca cronica probabilmente in seguito a un aggravamento del danno miocardico, la promozione dell’apoptosi e dell’aritmogenesi. Digossina presenta ca-ratteristiche comuni a entrambi i gruppi, perché da una parte inibisce la risposta neuroumorale, dall’altra genera un effetto inotropo positivo. Tali proprietà potrebbero spiegare perché nell’ambito di alcuni studi questo farmaco ha avuto un effetto complessivo neutro sul tasso di mortalità.

Terapia dell’insufficienza cardiaca grave cronicaIn fase post-acuta, il paziente spesso presenta un’insufficienza cardiaca grave cronica che richiede una strategia di gestione diversa. Tale ap-proccio è sostanzialmente equivalente in pazienti che inizialmente presentino un’insufficienza cardiaca cronica. La diagnosi deve essere stabilita con certezza, devono essere definiti i fattori causali, identifi-cata e trattata la patologia concomitante e svolta una valutazione della gravità dei sintomi e della prognosi. La terapia sintomatica è finalizzata a ottenere una diuresi ottimale per trattare o prevenire la ritenzione di sodio o acqua. L’intenzione è riportare alla norma i volumi e la distri-buzione dei fluidi corporei ed evitare che il paziente vada in over-diu-

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resi. La svantaggiosa risposta neuroumorale è inibita dall’azione ACE inibitoria, dagli ARB, dal β-blocco e dagli inibitori dell’aldosterone (spi-ronolactone o eplerenone) (si veda la Fig. 5-8). Digossina può essere usata per il controllo della frequenza cardiaca in pazienti con fibrilla-zione atriale e può contribuire al ritmo sinusale con un’azione inibito-ria sul simpatico (si vedano tuttavia le principali riserve in “Digossina in prospettiva” riportata più avanti in questo Capitolo). I farmaci de-vono essere usati alle dosi più basse risultate efficaci nell’ambito dei principali studi condotti.

Tendenze attuali. Anche se il miocardio può subire un esteso dete-rioramento, il sollievo dei sintomi è comunque possibile mediante la somministrazione combinata di diuretici, ACE inibitori, bloccanti β-adrenergici, spironolactone-eplerenone, ARB e vasodilatatori come idralazina-isosorbide in pazienti selezionati (si vedano le Figg. 2-7 e 6-10). Nel complesso, la strategia è mantenere a riposo il miocardio in-debolito ed evitare la stimolazione. I farmaci come gli ACE inibitori, i β-bloccanti, spironolactone-eplerenone e isosorbide-idralazina miglio-rano la prognosi, mentre i diuretici contrastano la ritenzione idrica e la dispnea, altri possono essere nocivi (Tabella 6-4). La modifica più signi-ficativa apportata di recente alla terapia dell’insufficienza cardiaca cronica è l’aggiunta in misura sempre maggiore di bloccanti dell’aldo-sterone al trattamento con ACE inibitori e β-bloccanti. Ivabradina po-trebbe emergere come un’altra importante terapia aggiuntiva di prima scelta nell’ambito del regime a tre farmaci a massima tolleranza. Altri approcci multipli sono in fase di studio, fra cui terapie metaboliche (ad esempio perexilina e trimetazidina) e sildenafil (si veda la Fig. 6-6). I numerosi interessanti progressi compiuti di recente nel campo della terapia con dispositivi o genica non rientrano nell’ambito di discus-sione di questo Capitolo.

Terapia incrementale. La terapia incrementale è in grado di contra-stare la totale evoluzione discendente dell’insufficienza cardiaca pro-gressiva mediante una scelta dei farmaci funzionale allo stadio della patologia (Tabella 6-5). Lo stadio A ha carattere ampiamente preven-tivo. Lo stadio B aggiunge un’inibizione neuroumorale più attiva. Lo stadio C include terapia diuretica, inibitori dell’aldosterone, pacing bi-ventricolare (terapia di risincronizzazione cardiaca [CRT]) e defibrilla-tori impiantabili per cardioversione (ICD) (si veda la Fig. 8-16). L’in- tervento allo stadio D arriva a includere dispositivi di assistenza ventricolare sinistra (LVAD), trapianto cardiaco e studi esplorativi in costante aumento sulla terapia a base di cellule staminali.

Insufficienza cardiaca: caratteristiche della terapiaMisure a carattere generale e variazioni nello stile di vita. Le misure a carattere generale e le variazioni nello stile di vita includono una leggera diminuzione del consumo di sale, restrizione del consumo di acqua in presenza di scarsa perfusione renale e ASA.66 Warfarin ha offerto un beneficio complessivo equivalente, con una migliore ridu-zione dell’ictus a spese di un maggiore tasso di emorragia GI. Anche se il riposo a letto potrebbe essere necessario per ottenere una diuresi ottimale (il paziente dovrebbe coricarsi per 1 o 2 ore di riposo in posi-zione supina dopo avere assunto il diuretico), in linea di principio l’attività fisica dovrebbe essere mantenuta. Esistono evidenze consoli-date in base alle quali, ove possibile, è raccomandabile svolgere un programma di riabilitazione fisica.67 Il programma di esercizi per 12 mesi in pazienti di età media pari a 59 anni con insufficienza cardiaca cronica trattata con efficacia è stato associato a modeste riduzioni comprese fra l’11% e il 15% sia del tasso di mortalità per tutte le cause o ricovero ospedaliero sia del tasso di mortalità cardiovascolare o rico-vero ospedaliero per insufficienza cardiaca a 30 mesi.68 Sono stati os-

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Tabella 6-4

Insufficienza cardiaca cronica: farmaci che riducono la mortalità, migliorano i sintomi o potenzialmente nocivi

Riduzione della mortalità; obbligato tentativo d’uso di:

1. ACE inibitori o ARB2. β-bloccanti3. Spironolactone o eplerenone4. Idralazina-isosorbide (ben studiata in pazienti di colore)

Miglioramento dei sintomi; uso secondo giudizio clinico

1. Diuretici2. Nitrati3. Ferro per l’anemia4. Agenti metabolicamente attivi (se disponibili: trimetazidina, perexilina)5. Ivabradina

Potenzialmente nocivi; usare con cautela dopo adeguata valutazione

1. Inotropi e dilatatori inotropi2. Antiaritmici, eccetto β-bloccanti e amiodarone3. Bloccanti del canale del calcio4. Digossina, dopo valutazione dei livelli di potassio e creatinina, solo a basse

dosi con l’obiettivo di raggiungere livelli nel sangue di 0,65-1,3 nmol/L (0,5-1 ng/mL). Digossina a dose elevata, con livelli nel sangue di 1,3-2,6 nmol/L (1-2 ng/mL), in passato accettabili, oggi inammissibili.

ACE, enzima di conversione dell’angiotensina; ARB, bloccante del recettore dell’angiotensina.

Tabella creata da P.J. Commerford, modificata da L.H. Opie.

stadio a:• Trattamento dell’ipertensione• Cessazione dell’abitudine al fumo• Trattamento del quadro lipidico• Attività fisica• Scoraggiare il consumo d’alcol e l’uso di sostanze illecite• ACE inibitori o ARB

g Sviluppo di cardiopatia strutturale

stadio b:• Terapia stadio A• ACE inibitori o ARB• β-bloccanti

g Sviluppo di sintomi di insufficienza cardiaca

stadio c:• Terapia stadio A• Diuretici• ACE inibitori o ARB• β-bloccanti• Digossina• Antagonista dell’aldosterone• Idralazina, nitrati• Restrizione del consumo di sale• Pacing biventricolare, ICD

g Sintomi refrattari a riposo

stadio d:• Terapia stadio C• Dispositivi di assistenza meccanica• Trapianto cardiaco• Infusioni inotrope continue• Cure palliative

Tabella 6-5

Trattamento raccomandato da ACC-AHA dell’insufficienza cardiaca cronica

ACC, American College of Cardiology; ACE, enzima di conversione dell’angiotensina; AHA, American Heart Association; ARB, bloccante del recettore dell’angiotensina; ICD, defibrillatore impiantabile per cardioversione.

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servati simili cali di modesta entità nello stato di salute riportato dal paziente.69 Uno dei nuovi approcci più efficaci in termini di costi per il trattamento della CHF è l’intervento domiciliare a cura di un infermiere specializzato nel trattamento delle patologie cardiache, che ha ridotto il tasso di ricoveri ospedalieri e migliorato la sopravvivenza senza eventi.70 Tale assistenza a domicilio offre consulenza e supporto e su-pervisione della terapia farmacologica, che è spesso molto complessa nell’insufficienza cardiaca avanzata. Un ulteriore esempio del valore legato a un eccellente servizio infermieristico è il programma di ge-stione infermieristica coordinata multidisciplinare, che ha ridotto il ri-schio di mortalità e i markers surrogati di benessere.71

Si raccomanda di fornire consulenza sull’immunizzazione da vi-rus influenzali, sul consumo di alcol, sulla cessazione del fumo, sull’at-tività sessuale, sulla dieta, sulle interazioni farmacologiche, sull’eserci-zio fisico, sugli spostamenti in aereo, sullo stile di vita e sui fattori di rischio. L’anemia è oggi riconosciuta come fattore prognostico di ri-schio avverso72 e potrebbe legittimare la terapia. Sperimentazioni in corso valuteranno il beneficio offerto dalla somministrazione di far-maci stimolanti l’eritropoietina e il ferro (si veda di seguito).

Dosi di diuretico. Le dosi di diuretico devono essere attentamente corrette in modo tale da orientare il decorso fra un sollievo ottimale dell’edema e l’eccesso di diuresi, polidiuresi, disturbi ionici e azotemia prerenale. Nella popolazione anziana, l’uso eccessivo di diuretici può provocare stanchezza e affaticamento. Secondo il principio del blocco sequenziale del nefrone (si veda la Fig. 4-2) la terapia diuretica combi-nata è spesso necessaria e generalmente più tollerata dai pazienti. In pazienti atipici che presentino insufficienza cardiaca grave con impor-tante riduzione del tasso di filtrazione glomerulare (GFR; inferiore a 15-20 mL/min) trovano impiego elevate dosi di furosemide in monote-rapia o più spesso in associazione ai diuretici tiazidici. In caso di grave accumulo di liquidi, i diuretici dell’ansa per via endovenosa possono essere usati più spesso.8,73 Metolazone è un potente diuretico impiegato in difficili casi di resistenza. I diuretici risparmiatori di potassio, come spironolactone ed eplerenone, sono spesso combinati a diuretici non risparmiatori di potassio. In pazienti resistenti all’azione diuretica, veri-ficare in primo luogo l’eventuale assunzione di farmaci interagenti, specialmente farmaci anti-infiammatori non steroidei (si veda la Fig. 4-5). Furosemide orale presenta caratteristiche di assorbimento varia-bili e occasionalmente il paziente può beneficiare del passaggio a to-rasemide, che presenta migliori caratteristiche di assorbimento.74

b-bloccanti. Storicamente giunti dopo gli ACE inibitori, i β-bloccanti hanno ridotto in misura sostanziale il tasso di mortalità. La terapia standard per l’insufficienza cardiaca si basa sulla somministrazione di diuretici, sull’inibizione del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS) e sui β-bloccanti. Allo stadio iniziale dell’insufficienza car-diaca, il β-blocco può essere considerato come terapia iniziale, anche prima dell’ACE inibitore,75,76 secondo il principio logico per cui il pri-missimo adeguamento neuroumorale è la stimolazione adrenergica indotta da baroriflesso (si veda la Fig 5-8). I farmaci specifici testati nell’insufficienza cardiaca cronica sono bisoprololo (CIBIS I and II), metoprololo succinato (MERIT-HF) e carvedilolo (US Carvedilol Study, Australia-New Zealand Study, COPERNICUS e CAPRICORN), alle dosi indicate nella Tabella 1-2. Nebivololo somministrato agli anziani con insufficienza cardiaca ha ridotto i ricoveri ospedalieri ma non il tasso di mortalità.77 Per tutti i pazienti con insufficienza cardiaca cronica e funzione sistolica del ventricolo sinistro significativamente ridotta è opportuno valutare la somministrazione di un β-bloccante. Il paziente dovrebbe essere emodinamicamente stabile al momento dell’avvio del trattamento. Il β-blocco non è un trattamento di “salvataggio” per l’insufficienza cardiaca più grave. Anche i pazienti di classe IV pos-sono trarre beneficio sostanziale da un β-bloccante, con migliorati

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tassi di morbilità e mortalità, nello specifico carvedilolo (COPERNI-CUS).78 È essenziale avviare la terapia con una dose molto bassa di β-bloccante e successivamente aumentarla lentamente e costante-mente nell’arco di varie settimane. Aumenti incrementali della dose devono essere evitati per almeno due settimane. Le dosi devono essere titolate alla dose massima tollerata fino alle dosi target emerse nell’ambito dei rispettivi studi clinici (si veda la Tabella 1-3). In diversi pazienti si potrebbe assistere a un lieve aumento dell’affaticamento all’avvio della terapia di β-bloccanti, ma si tratta di un effetto solita-mente transitorio, che grazie a un’adeguata preparazione e consu-lenza è generalmente ben tollerato.79

Quale b-bloccante scegliere. Il β-bloccante più appropiato è tuttora oggetto di dibattito, ma noi siamo colpiti dai dati nel complesso posi-tivi relativi a carvedilolo,80 incluse le sue proprietà antiossidanti.81 At-tualmente la terapia standard è l’aggiunta del β-bloccante al tratta-mento precedente con ACE inibitore. Tuttavia, dato che l’aumento delle dosi di ACE inibitore ha prodotto un miglioramento del tasso di ricoveri ospedalieri a fronte di un minor effetto sul tasso di mortalità,82 mentre l’aggiunta di β-bloccante ad ACE inibitori ha generato effetti considerevoli sulla riduzione della mortalità, molti medici avviano generalmente il trattamento con una dose bassa di ACE inibitore se-guita da un aumento graduale fino alla dose massima di β-bloccante prima di aumentare fino alla dose ottimale l’ACE inibitore. Inoltre, una serie di evidenze emergenti suggeriscono che l’ordine iniziale della terapia a base di ACE inibitore o β-bloccante potrebbe non fare alcuna differenza.75

Riduzione della addizionale della abfrequenza cardiaca: ivabra-dina. Frequenze cardiache più elevate rappresentano un fattore di ri-schio di esiti avversi in presenza di insufficienza cardiaca.83 Ivabradina è un inibitore specifico di prima classe della corrente del nodo sinu-sale If, che selettivamente diminuisce la frequenza cardiaca senza pro-durre effetti avversi noti off-target sul miocardio, sul tessuto vascolare o di altra natura. Questo farmaco dalle proprietà uniche ha consentito agli sperimentatori nell’ambito dello studio SHIFT di testare l’effetto della sola riduzione della frequenza cardiaca sugli esiti. Nello studio SHIFT al quale hanno preso parte 6558 pazienti, ivabradina, aggiunta alla terapia standard in pazienti affetti da insufficienza cardiaca cro-nica con frequenza cardiaca persistente pari o superiore a 70 bpm, ha ridotto l’endpoint combinato di morte cardiovascolare o ricovero ospedaliero per insufficienza cardiaca (rapporto di rischio [HR] 0,82; IC: 0,75-0,90; p 0,0001) rispetto a placebo, ma non ha prodotto alcun effetto significativo sulla mortalità cardiovascolare o per tutte le cause.84 Ivabradina è stata titolata a un massimo di 7,5 mg due volte al giorno. Gli effetti collaterali sono stati eccessiva bradicardia nel 5% ri-spetto all’ 1% di pazienti trattati con placebo; effetti collaterali a carico della vista si sono verificati nel 3% dei pazienti rispetto all’1% del gruppo placebo.

Nell’editoriale su The Lancet, Teerlink si è detto preoccupato del fatto che, malgrado le ammonizioni sollevate dagli sperimentatori dello studio SHIFT, i medici potrebbero essere tentati di sostituire ivabradina con i β-bloccanti o non titolare con un approccio aggressivo la terapia β-bloccante prima di avviare il trattamento con ivabradina.85 I β-bloc-canti hanno dimostrato un miglioramento considerevole nel tasso di sopravvivenza nell’ambito di numerosi studi con riduzioni del rischio di mortalità compreso fra il 24% e il 65%, mentre ivabradina non ha allun-gato la sopravvivenza né nello studio BEAUTIFUL al quale hanno parte-cipato 10.917 pazienti né nello studio SHIFT che contava 6558 pazienti. Questi dati sperimentali suggeriscono che i β-bloccanti conferiscano un beneficio in termini di sopravvivenza che potrebbe non offrire ivabra-dina. Solo il 23% dei pazienti nell’ambito dello studio SHIFT ha rag-giunto la dose target e solo la metà riceveva almeno il 50% della dose

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target di β-bloccante. In una recente pubblicazione relativa allo studio SHIFT, è stato notato che l’effetto benefico di ivabradina diminuiva pro-gressivamente nei pazienti trattati con dosi basali incrementali di β-bloccante, a tal punto che nei 1488 pazienti in terapia con la dose target di β-bloccante non è stato osservato alcun beneficio di ivabradina sull’endpoint combinato di mortalità cardiovascolare o ricovero ospe-daliero per insufficienza cardiaca (HR 0,99; IC 0,79-1,24; p 0,91) e certamente non è stata osservata alcuna indicazione di effetto benefico sulla mortalità per tutte le cause (HR 1,08, 0,78-1,48; p 0,65).86 Pertanto concordiamo che ivabradina dovrebbe essere considerata solo in pa-zienti in cui la terapia β-bloccante sia stata titolata alla dose massima tollerata e che abbiano una frequenza cardiaca elevata persistente.

Frequenza cardiaca e qualità di vita. In pazienti con insufficienza cardiaca sistolica, una bassa qualità di vita correlata alla salute è asso-ciata a tassi aumentati di morte cardiovascolare o ricoveri ospedalieri per insufficienza cardiaca. Nell’ambito dello studio SHIFT, la percen-tuale di riduzione della frequenza cardiaca con aggiunta di ivabradina (circa 10 bpm) è stata associata a una migliorata qualità di vita rispetto a placebo (p 0,001).87,88 I risultati relativi a un piccolo studio in aperto, CARVIVA-HF, suggeriscono che ivabradina in monoterapia o in associazione a carvedilolo è sicura ed efficace nel miglioramento della capacità di attività fisica e della qualità di vita in pazienti con insuffi-cienza cardiaca in terapia ottimizzata con ACE inibitore.89

Registrazione di ivabradina nell’Unione Europea. Il 16 marzo 2012 l’Unione Europea ha esteso l’indicazione di ivabradina al tratta-mento delle classi da II a IV NYHA (New York Heart Association) di insufficienza cardiaca con disfunzione sistolica in pazienti con ritmo sinsuale la cui frequenza cardiaca è pari o superiore a 75 bpm in asso-ciazione a terapia standard, fra cui β-blocco o quando i β-bloccanti siano controindicati o non tollerati.

Inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone: ACE inibi-tori, ARB e bloccanti dell’aldosterone. Il concetto chiave si basa sul fatto che i β-bloccanti e gli ACE inibitori debbano essere usati o almeno considerati per l’uso in tutti i pazienti. Questi farmaci devono essere ti-tolati con aumenti progressivi alle dosi impiegate nell’ambito degli studi clinici salvo laddove si manifestino ipotensione o sintomi come capogiri. Quando un ACE inibitore è somministrato per la prima volta a un paziente già in trattamento con diuretici ad alto dosaggio (e per-tanto con intensa attivazione del sistema renina-angiotensina), la dose di diuretico dovrà in primo luogo essere ridotta e si dovrà adottare ogni misura necessaria a ridurre al minimo o evitare ipotensione da prima dose. Laddove l’ACE inibitore non sia realmente tollerato ad esempio a causa di tosse grave, assicurarsi anzitutto che la tosse non origini dall’aggravamento dell’insufficienza cardiaca, preferibilmente pro-vando a ritrattare con l’ACE inibitore dopo completa risoluzione della tosse, e successivamente passare a un ARB sulla base di tre ampi studi (CHARM, Val-HeFT e VALIANT). Il blocco dell’aldosterone è oggi sem-pre più affermato come passo successivo verso l’inibizione doppia del RAAS. Prestare attenzione alle avvertenze in gravidanza contro l’uso di tutti i bloccanti del RAAS.

Aggravamento della funzione renale in corso di inibizione del sistema renina-angiotensina. In un editoriale, Konstam sottolinea: “È ragionevole concludere che l’inibizione del RAS riduca il GFR attra-verso un meccanismo che non conferisce una prognosi avversa”, in base allo studio SOLVD (Studies of Left Ventricular Dysfunction), nell’ambito del quale l’iniziale riduzione del GFR è stata associata a un aumento della mortalità all’interno del gruppo placebo ma non nel gruppo enalapril.90 Un maggiore beneficio in termini di sopravvivenza offerto da enalapril rispetto a placebo è stato osservato in pazienti con

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6 — Insufficienza cardiaca218

iniziale peggioramento della funzione renale, suggerendo che la “ridu-zione del GFR è segno di maggiore effetto inibitorio del RAS con un ri-sultante maggiore beneficio in termini di sopravvivenza”. Pertanto una modesta riduzione del GFR potrebbe essere segno di beneficio anziché effetto avverso.

Antagonismo dell’aldosterone. Spironolactone riduce la mortalità nei pazienti di classe III e IV post-IMA altrimenti trattati con approcci ottimali.91,92

Eplerenone. Eplerenone dà luogo a una percentuale inferiore di gine-comastia rispetto a spironolactone, eppure con entrambi i farmaci ag-giunti a una terapia con ACE inibitori o terapia a base di ARB, occorre monitorare attentamente i livelli di potassio nel plasma. Lo studio EPHESUS (Eplerenone Post - Acute Myocardial Infarction Heart Failure Efficacy and Survival Study) ha dimostrato che l’aggiunta dell’antago-nista del recettore dei mineralcorticoidi eplerenone a basso dosaggio alla terapia standard in pazienti con IMA e insufficienza cardiaca con disfunzione sistolica del ventricolo sinistro ha migliorato la sopravvi-venza del 15% a fronte di riduzione nelle percentuali di morte cardio-vascolare, morte improvvisa e ricoveri ospedalieri per insufficienza cardiaca.92 Nello stesso studio le dosi erano eplerenone 25 mg al giorno per il primo mese, titolato a 50 mg/die con attento monitoraggio del potassio e grande cautela in presenza di insufficienza renale. I mec-canismi con cui eplerenone conferisce un beneficio sulla sopravvi-venza a lungo termine e sugli esiti cardiovascolari sono indipendenti dagli iniziali effetti di risparmio del potassio o diuretici, il che suggeri-sce che l’azione di antagonismo del recettore dei mineralcorticoidi offre protezione cardiovascolare oltre alle sue proprietà diuretiche e di risparmio del potassio.93

Studio EMPHASIS-HF. Nell’ambito dello studio EMPHASIS-HF eplere-none è stato confrontato con placebo in pazienti trattati con efficacia con insufficienza cardiaca sistolica post-IMA (frazione di eiezione me-dia del 26%) e sintomi lievi.94 Eplerenone ha ridotto sia il rischio di morte per tutte le cause (HR 0,76; IC 0,62-0,93; p 0,008) sia il rischio di ricovero ospedaliero (HR 0,77; IC 0,76-0,88; p 0,001) con attento monitoraggio del livello di potassio nel siero (si veda il Capitolo 5, p. 176). Inoltre, è stata ridotta l’incidenza di fibrillazione o flutter atriale di nuova insorgenza.95 Può eplerenone essere somministrato in sicu-rezza in pazienti con insufficienza cardiaca post-IMA senza compro-missione della funzione renale nell’insufficienza cardiaca con lieve insufficienza renale? Malgrado un modesto iniziale declino nel tasso di filtrazione glomerulare stimato, eplerenone ha mantenuto i suoi bene-fici prognostici.96

Il ruolo degli ARB. Gli ACE inibitori sono generalmente considerati superiori agli ARB nel trattamento dei pazienti con CHF e disfunzione sistolica del ventricolo sinistro (ELITE II, OPTIMAAL) e il costo e la lunghezza dell’esperienza clinica sono altrettanto a favore degli ACE inibitori. Tuttavia, per i pazienti intolleranti agli ACE inibitori, l’evidenza relativa all’impiego di un ARB come valsartan nell’ambito dello studio Val-HeFT 97 e candesartan è valida.98 Altrettanto valida è inoltre l’evi-denza secondo cui l’ARB testato in via sperimentale, candesartan, possa essere usato in pazienti con CHF che rimangano sintomatici in pazienti in terapia standard come ACE inibitori e β-bloccanti.99

Quali bloccanti del RAAS scegliere e quando somministrarli? Oggi esistono almeno tre approcci che consentono di inibire la via re-nina-angiotensina-aldosterone: un ACE inibitore, un ARB o un bloc-cante dell’aldosterone o varie combinazioni di questi farmaci. Anche il β-blocco instaura indirettamente una barriera contro il sistema. La combinazione di farmaci e l’abbinamento al paziente più adeguato

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sono ancora informazioni oggetto di indagine, come discusso nel Capi-tolo 5. Il caso più complesso riguarda i pazienti già trattati con diuretici, ACE inibitore e β-bloccante. Occorre aggiungere un ARB, un antagoni-sta dell’aldosterone o entrambi? Dato che tutti e tre i principali studi sugli esiti con antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi (RALES, EPHESUS, EMPHASIS) hanno dimostrato un miglior tasso di sopravvi-venza, i dati generali e le considerazioni sui costi decidono in genere a favore del blocco dell’aldosterone. Di recente è emersa un’evidenza relativa a una “terapia quadrupla” (ad esempio: un ACE inibitore, un β-bloccante, spironolactone e un ARB potrebbero offrire beneficio ad alcuni pazienti attentamente selezionati, ma la disfunzione renale e l’iperkaliemia devono essere sottoposte a stretto monitoraggio). Inoltre, in pazienti di colore, idralazina-isosorbide ha causato riduzioni signifi-cative nel tasso di mortalità per tutte le cause.100

Inibitori della fosfodiesterasi-5. Gli inibitori della PDE-5, meglio noti per la loro azione di potenziamento della funzione erettile, hanno an-che una proprietà di vasodilatazione della vascolarizzazione polmo-nare e sistemica (si veda la Fig. 6-6). L’evidenza iniziale suggerisce che gli inibitori della PDE-5 giovino ai pazienti con CHF e ipertensione polmonare secondaria (PH). “I dati cumulativi indicano che l’inibi-zione della PDE-5 è un approccio promettente per il trattamento del rimodellamento ventricolare indotto da sovraccarico di pressione o volume e insufficienza cardiaca.”101 In sette piccoli studi sulla CHF, condotti su un totale di 199 pazienti, sono stati osservati miglioramenti consistenti in parametri quali l’indice cardiaco.102 In uno di questi studi il punteggio relativo alla depressione è stato ridotto e la qualità di vita migliorata. Tuttavia, non esistono studi su larga scala, a lungo termine, controllati con placebo.

Digossina. Digossina, come esposto in dettaglio di seguito in questo Capitolo, non è più considerata un farmaco essenziale, piuttosto una scelta facoltativa, somministrata solo con un approccio mirato e selet-tivo rispetto al passato, a fronte dei potenziali miglioramenti sintoma-tici. Anche le sue numerose interazioni farmacologiche e controindica-zioni ne limitano l’uso. Per ottenere una riduzione della frequenza cardiaca oltre quella conseguita mediante β-blocco, ivabradina è una scelta più sicura.103

Antiaritmici. Potrebbe essere necessaria la somministrazione di an-tiaritmici. Le tachiaritmie ventricolari sono una delle principali cause fatali nella CHF. È importante evitare fattori predisponenti come ipo-kaliemia, eccesso di digossina o uso cronico di inibitori della PDE. Sono da evitarsi i farmaci di classe I. Amiodarone a lungo termine può essere valutato a bassi dosaggi e, laddove vi siano le necessarie apparecchiature e le indicazioni siano buone, è possibile optare per un ICD (si veda la Fig. 8-16). La fibrillazione atriale è una patologia comune e seria, che richiede l’adozione di una delle seguenti due strategie: conversione al ritmo sinusale e successiva probabile sommi-nistrazione di amiodarone a basso dosaggio o controllo della fre-quenza sia a riposo sia sotto sforzo (si veda la Fig. 8-13). Lo studio AF-CHF ha dimostrato che una strategia di controllo del ritmo o la presenza di ritmo sinusale non erano associati a esiti migliori in 1376 pazienti con fibrillazione atriale e CHF,104 dunque molti medici op-tano per una strategia di controllo della frequenza. I β-bloccanti, di-gossina e amiodarone sono usati comunemente per indurre tali ef-fetti, mentre i BCC sono relativamente controindicati a causa delle loro proprietà inotrope negative.

Supporto inotropo a breve termine. Il supporto inotropo a breve termine con dilatatori simpaticomimetici o inotropi deve essere va-lutato con cautela. Milrinone e altri farmaci possono offrire sollievo sintomatico immediato come operazione di salvataggio, quando è

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essenziale il supporto inotropo. In pazienti con esacerbazione dell’in-sufficienza cardiaca, che non richiedono urgente supporto inotropo o pressorio, potrebbe tuttavia subentrare un beneficio di modesta entità a rischio di effetti avversi.

Terapia vasodilatatoria. In pazienti in cui permanga la sintomaticità anche a fronte di terapia completa (diuretici, ACE inibitori, β-bloccanti, spironolactone, ARB e digossina) vale la pena di tentare l’approccio a base di isosorbide dinitrato con idralazina. La FDA ha approvato la combinazione di isosorbide dinitrato e idralazina come trattamento aggiuntivo della CHF in soggetti di colore, principalmente in seguito alla riduzione del 43% della mortalità per tutte le cause fra i 1050 pa-zienti di colore nell’ambito dello studio A-HeFT.100 Se tale associa-zione aggiunta alla terapia standard sia efficace in popolazioni non di colore rimane un punto da sottoporre a test diretti. Idralazina è in prevalenza un dilatatore arteriolare con probabile azione di apertura vascolare del canale del potassio. Idralazina può potenziare i nitrati ritardando lo sviluppo della tolleranza ai nitrati (si veda la Fig. 2-7). Il ruolo di idralazina in monoterapia nei pazienti con insufficienza car-diaca già trattati con diuretici, ACE inibitori e altri farmaci efficaci non è chiaro e non è raccomandato.

Nuovi farmaci. Gli acquaretici o “vaptani” svolgono un’azione di an-tagonismo dei recettori di tipo 2 della vasopressina nel rene, favo-rendo pertanto la clearance di acqua libera e riducendo l’iponatre-mia (si veda la Fig. 4-5). Sul lungo termine, il loro uso ha dato risultati relativamente deludenti (si veda il Capitolo 4, pag. 118). Perexilina agisce sul metabolismo per inibire l’ossidazione avversa di acidi grassi sul miocardio, ma richiede il monitoraggio dei livelli di sangue per evitare la tossicità epatica o neurale.105 Questo farmaco può es-sere particolarmente utile in pazienti con angina refrattaria e insuffi-cienza cardiaca.106 Trimetazidina, altro inibitore parziale di acidi grassi che provoca effetti collaterali minimi e disponibile in alcuni Paesi europei (in Italia è indicata negli adulti come terapia aggiuntiva per il trattamento sintomatico dei pazienti con angina pectoris stabile non adeguatamente controllati o intolleranti alle terapie antiangi-nose di prima linea; N.d.C.), migliora la funzione del ventricolo sini-stro e la sensibilità a insulina nella cardiomiopatia idiopatica dilata-tiva o ischemica.107 Altre segnalazioni mostrano un beneficio nella cardiomiopatia ischemica o diabetica,108 e una recente meta-analisi condotta su 884 pazienti ha suggerito effetti benefici su molteplici esiti clinici, fra cui il rimodellamento del ventricolo sinistro.109 Silde-nafil, già famoso per le sue caratteristiche di potenziamento sessuale, ha evidenziato di recente ulteriori caratteristiche positive come pos-sibile supporto al miocardio in deficit grazie a un’azione di incre-mento del GMP ciclico (si veda la Fig. 6-6). Pentossifillina è un far-maco complesso che riduce la sintesi del fattore di necrosi tumorale-α (TNFα) e migliora la frazione di eiezione, ma svolge inoltre attività di PDE, in assenza, tuttavia, di dati sugli esiti.110 Gli antagonisti della va-sopressina (ADH) sono una scelta logica, ma i risultati con tolvaptan nell’ambito dello studio EVEREST sono stati deludenti in termini di capacità di migliorare gli esiti a lungo termine.62,63 Si trovano in fase di sperimentazione numerosi altri farmaci finalizzati al migliora-mento della funzione cardiaca.41 Di questi, i soli farmaci già disponi-bili e autorizzati, anche se non per il trattamento della CHF, sono tol-vaptan (autorizzato in Italia per il trattamento di pazienti adulti con iponatremia secondaria a sindrome da inappropriata secrezione di ormone antidiuretico [SIADH]; N.d.C.), pentossifillina (autorizzata in Italia per il trattamento delle ulcere venose croniche; N.d.C.) e silde-nafil (autorizzato in Italia per il trattamento degli uomini con disfun-zione erettile; N.d.C.). Quelli che in linea teorica mostravano un pro-filo efficace ma che hanno dato risultati deludenti comprendono 1) gli antagonisti dell’endotelina (ET), che dovrebbero scaricare il con-

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tenuto del cuore attraverso vasodilatazione e migliorare l’integrità endoteliale coronarica e 2) gli antagonisti delle citochine, compreso etanercept, che blocca l’interazione del TNFα con il relativo recettore.

Terapia genica. Un’insufficienza nella contrazione è oggi considerata segno inconfondibile di insufficienza cardiaca avanzata, dunque l’at-tuale interesse rivolto all’upregolazione dell’ATPase di trasporto del calcio sul reticolo sarcoendoplasmico cardiaco (SERCA2a) è clinica-mente rilevante (si veda la Fig. 6-8).111 SERCA2a è stata upregolata in pazienti umani con insufficienza cardiaca con trasferimento di adeno-virus di tipo 1/SERCA mediante infusione arteriosa coronarica epicar-dica con guida anterograda a fronte di chiaro beneficio nell’arco di 12 mesi nell’ambito di un piccolo studio condotto sugli umani di fase 2.112 Inoltre, oggi esiste la possibilità teorica di upregolazione molecolare di SERCA2 con SUMOilazione, laddove SUMO rappresenta il piccolo mo-dificatore correlato a ubiquitina di tipo 1.113

Terapia con cellule staminali. Uno studio di fase iniziale suggerisce che l’infusione intracoronarica di cellule staminali cardiache autolo-ghe migliori la funzione sistolica del VS e riduca la dimensione dell’in-farto in pazienti con insufficienza cardiaca dopo IMA.114 Un altro stu-dio con cellule autologhe intracoronariche derivate dalla cardiosfera ha dimostrato riduzioni nella massa di cicatrice, aumenti nella massa cardiaca vitale e della contrattilità locale nonché un ispessimento della parete sistolica, senza alterazioni associate nei volumi ventrico-lari.115 Altri studi con cellule precursori mesenchimali sono stati altret-tanto incoraggianti, pertanto seguiranno ulteriori studi più estesi di fase 2 atti a valutare tali diversi approcci.

Terapia dell’anemia: farmaci che stimolano l’eritropoietina. L’in-sufficienza cardiaca cronica è spesso associata ad anemia, che può essere un nuovo target terapeutico nell’insufficienza cardiaca. Il ferro per via endovenosa, l’eritropoietina e i farmaci stimolanti l’eritropoie-tina come darbepoetina α possono aumentare i livelli di emoglobina, ma questo effetto in sé non offre alcun beneficio clinico.116 In alcuni casi, l’ACE inibizione contribuisce o addirittura provoca l’instaurarsi di una condizione anemica (si veda il Capitolo 5, pag. 147). Nell’ambito dello STUDIO TREAT condotto su 4038 pazienti affetti da diabete mel-lito, nefropatia cronica e anemia, randomizzati a cui è stato sommini-strato darbepoetina α o placebo, non è stato possibile spiegare il rad-doppio dell’incidenza di ictus nel gruppo trattato con darbepoetina α.117 La FDA oggi ha riportato una serie di avvertenze sui farmaci stimo-lanti l’eritropoietina ponendo in evidenza i rischi, pur concedendo l’avvio del trattamento laddove i livelli di emoglobina siano inferiori a 10 g/dL, con enfasi rivolta ad astensione da trasfusione, in linea con il beneficio dimostrato in origine approvato nel 1989. Ciononostante, è in corso uno studio con darbepoetina α finalizzato a valutare se l’atteso beneficio sugli esiti di correzione dell’anemia ad opera di questo far-maco nell’insufficienza cardiaca sia in grado di sciogliere i dubbi rima-sti sulla sicurezza.118

Emostasi del ferro e qualità della vita correlata alla salute. Sor-prendentemente, dal punto di vista dei pazienti, non è solo l’emoglo-bina il fattore determinante. Più positivi sono i risultati relativi allo stu-dio preliminare, relativamente limitato, svolto su 459 pazienti, lo studio FAIR-HF, secondo cui carboximaltoso ferrico somministrato per via endovenosa a pazienti con insufficienza cardiaca cronica e deficit di ferro, con o senza anemia, migliori i sintomi, la capacità funzionale e la qualità della vita con un profilo di effetti collaterali accettabile.119 Car-boximaltoso ferrico per via endovenosa ha migliorato in misura signifi-cativa la qualità della vita correlata alla salute dopo 4 settimane e per l’intero periodo di studio. Aspetto importante, i benefici sono risultati indipendenti dai livelli di anemia.120

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Terapia di risincronizzazione cardiaca e defibrillatori impianta-bili per cardioversione. Il CRT (pacing biventricolare) e gli ICD tro-vano un impiego sempre più diffuso in pazienti con insufficienza car-diaca. Entrambi i dispositivi hanno ridotto la mortalità in ampi studi clinici o in meta-analisi. Le indicazioni precise sono ancora contro-verse. CRT è solitamente preso in considerazione in presenza di QRS allungato come segno di insufficienza di conduzione intraventricolare. Tali trattamenti potrebbero essere salvavita, ma sono costosi. I costi elevati sollevano seri problemi in relazione ai budget sanitari nazionali.

Canale Na+

Canale L del Ca

Ca2+

iSERCA

CaM

CaM

CaMKII

Segnale globale del Ca2+ citosolicoi

CaM

CaMKII

CaM

+

Ca

Canale del K (IK )1

Ca 2+i

iCaM CaMKII

2+

RS

CaMKII

CaM

iiRilascio di Ca2+ da RyR

2+

contrazione i

Canale L del Ca2+

Figura 6-8 Terapia genica volta a promuovere i movimenti di ioni di calcio intracellulare nell’insufficienza cardiaca. Siti d’azione. La regolazione delle variazioni di Ca2+ nell’insufficienza cardiaca rispetto alla norma (si veda la Fig. 1-1) a un flusso ridotto e ristretto di Ca2+. La terapia genica, ancora nella prima fase di sviluppo, mira ad upregolare l’attività di calcio-ATPasi (SERCA) nel reticolo sarcoplasmatico endoplasmatico, l’enzima chiave nella regola-zione della captazione di Ca2+ nel reticolo sarcoplasmatico (RS), aumentando in tal modo il rilascio di Ca2+ dal RS nel citosolo attraverso i recettori di ria-nodina (RyR). L’effetto complessivo è potenziare il segnale di Ca2+ di contra-zione. L’upregolazione di SERCA mediante terapia genica non correggerebbe direttamente altre anomalie di ioni, come una riduzione dell’ingresso di Ca2+ attraverso il canale di L-calcio, l’ingresso potenziato di ioni di sodio e aumen-tata perdita di ioni di potassio. Finora non esiste pertanto una terapia speci-fica in grado di correggere tali anomalie ioniche. Nel caso di insufficienza cardiaca acuta, gli inotropi di catecolamine (si veda la Fig. 6-4) e gli inodilata-tori (si veda la Fig. 6-6) aumentano le riserve intracellulari di Ca2+ esaurite. Nei pazienti con insufficienza cardiaca cronica, i β-bloccanti (si vedano le Figg. 1-7 e 1-8) e ivabradina agiscono attraverso correnti ioniche totalmente di-verse per ridurre l’afflusso ionico di calcio, con effetti additivi (si veda la Fig. 8-4). Anche digossina agisce con modalità diverse per inibire la pompa sodio-potassio seguita dallo scambio sodio-Ca2+ al fine di aumentare il Ca2+ intra-cellulare, favorendo direttamente la contrattilità con un effetto vagomimetico aggiunto e distinto (si veda la Fig. 6-11). CaM, calmodulina; CaMKII, calcio/calmodulina dipendente di tipo II (Figura © L.H. Opie, 2012.)

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Chirurgia cardiaca. L’intervento chirurgico al cuore deve essere preso in considerazione in presenza di difetti valvolari, chiara evidenza di ischemia miocardica o laddove sia indicata una procedura di rimo-dellamento. L’utilità dell’intervento di ricostruzione ventricolare ri-mane oggetto di discussione, anche se i risultati del componente dell’ipotesi 2 dello studio STICH suggeriscono che la misura di utilità può essere molto limitata.121 Anche il componente dell’ipotesi 1 dello STICH ha suggerito che non esisteva una differenza significativa fra la sola terapia farmacologica e la terapia farmacologica aggiunta a un innesto di bypass aortocoronarico (CABG) rispetto alla morte per tutte le cause in pazienti con coronaropatia e disfunzione del ventricolo si-nistro.122 Inoltre, la valutazione dell’autosufficienza miocardica non ha identificato i pazienti con un beneficio differenziale in termini di so-pravvivenza dal CABG, rispetto alla sola terapia farmacologica.123

Ultime alternative. L’insufficienza cardiaca grave refrattaria a furose-mide potrebbe trarre beneficio da ultrafiltrazione extracorporea per ri-mozione del liquido intravascolare.124 Il trapianto cardiaco o la terapia di destinazione con un LVAD sono misure da prendere in considera-zione come ultima alternativa, anche se stanno emergendo esiti mi-gliori a fronte di tecnologie potenziate125,126 e una migliore selezione dei pazienti.127 Il numero di trapianti è in parziale declino a causa della mancanza di donatori e del miglioramento delle terapia farmacologica e meccanica. Le indicazioni sono oggi più gravi rispetto al passato. Non esistono studi controllati sul trapianto. Ai fini del trattamento perma-nente sono presi in considerazione anche i dispositivi di assistenza meccanica.

Terapia massima per l’insufficienza cardiaca in sintesiAl progredire della gravità dell’insufficienza cardiaca, aumenta anche la necessità di terapie consolidate e nuove (Fig. 6-9). La cardiopatia nella sua interezza è un fenomeno complesso, a partire dal cuore a coinvolgere i polmoni, i reni e la vascolarizzazione periferica (Fig. 6-10). La terapia massima comprende sia le terapie consolidate come mo-strato in alto a sinistra della Fig. 6-10 sia le terapie nuove mostrate di seguito. Di queste ultime, il bloccante If ivabradina per l’aggiunta al β-blocco è approvato nell’Unione Europea in pazienti con tachicardia persistente. Per ottenere un effetto sull’edema polmonare (si veda “In-sufficienza cardiaca acuta” in precedenza in questo Capitolo), sui reni e sulle arterie periferiche occorrono farmaci specifici. Per gli ultimi due siti di terapia, il blocco del RAAS rimane fondamentale.

Digossina in prospettivaGli effetti combinati inotropo-bradicardici della digossina (Fig. 6-11) sono unici quando confrontati con i numerosi inotropi simpaticomi-metici che tendono a causare tachicardia. Oltre al suo debole effetto inotropo positivo, questo farmaco rallenta la frequenza ventricolare, che consente un migliore riempimento ventricolare nella CHF, special-mente in presenza di fibrillazione atriale. Digossina riduce inoltre l’im-pulso simpatico generato da una circolazione insufficiente, che ne giustifica l’uso nella CHF nel ritmo sinusale. Malgrado ciò, questo im-piego è oggi controverso, specialmente perché uno studio condotto su 6800 pazienti non ha dimostrato alcun beneficio sul tasso di mortalità legato a digossina, nonostante l’assenza di trattamento con β-bloccanti, antagonisti dell’aldosterone e dispositivi di assistenza meccanica.128 Di conseguenza, il suo uso nel ritmo sinusale rimane facoltativo e contro-verso a fronte di una serie di validi argomenti contro l’uso.129 L’impiego ottimale di digossina richiede una conoscenza completa dei molteplici fattori che ne governano l’efficacia e la tossicità, fra cui numerose inte-razioni farmacologiche. Poiché gli effetti prodotti da questo farmaco

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nel paziente con patologia acuta associata a ipossia e disturbi elettroli-tici sono spesso difficili da prevedere e poiché non esiste evidenza di efficacia, l’uso di digossina è oggi molto raramente giustificato nell’am-bito del trattamento dell’insufficienza cardiaca acuta e il suo impiego è molto inferiore nel trattamento dell’insufficienza cardiaca croni- ca. Ciononostante rimane l’unico farmaco per il trattamento dell’insuf-ficienza cardiaca cronica che svolge un’azione di inibizione della pompa del sodio.

Inibizione della pompa del sodio. L’inibizione della pompa del so-dio spiega l’effetto cellulare miocardico indotto da digitale. L’inibi-zione della pompa del sodio (Na/K-ATPasi) produce un incremento transitorio dei livelli di sodio intracellulare prossimo al sarcolemma, che a sua volta favorisce l’afflusso di calcio da parte del meccanismo di scambio sodio-calcio a potenziare la contrattilità miocardica (Fig. 6-11), con rischio aritmogeno. Tuttavia, digossina continua a generare effetti inotropi a dosi e livelli nel sangue inferiori rispetto allo standard precedente.130-132

Captazione diretta del calcio. La tossicità da digossina, studiata con digitossina, promuove l’ingresso di calcio nelle cellule cardiache attra-verso nuovi canali di calcio transmembrana.133

Effetti autonomici e sul sistema renina-angiotensina. Il rallenta-mento del seno e l’inibizione del nodo atrioventricolare (AV) deriva dall’attivazione parasimpatica. Una depressione diretta di modesta en-

ACE INIBITORI O ARB

BLOCCANTI DELL'ALDOSTERONE

-BLOCCANTIsequenziale del nefrone

1

1

Opie 2012

?

2

2

3

FA

Edema

INSUFFICIENZA CARDIACA CRONICA PROGRESSIVA, CLASSI NYHA

β-BLOCCANTI DIGOSSINA

3 4

CRT (PACING Bi-V)

4

DIURETICI Blocco

ARB + ACEi

β

+-

Figura 6-9 Terapia schematica di insufficienza cardiaca cronica progres-siva. Si noti l’uso iniziale degli inibitori dell’enzima di conversione dell’angio-tensina (ACE) e il sempre più diffuso uso iniziale di β-bloccanti. Il ruolo dei diuretici è fondamentale nel sollievo dell’edema e nella ritenzione dei liquidi, in base al principio di blocco sequenziale del nefrone. Bloccante del recettore dell’angiotensina (ARB) + ACE inibitore (ACEi): la combinazione di questi far-maci è stata usata nell’ambito di alcuni studi con beneficio. Tuttavia, si tratta di un’associazione controversa. La terapia di risincronizzazione cardiaca (CRT), detta anche pacing biventricolare (Bi-V), è usata successivamente. FA, fibrillazione atriale; NYHA, classe di gravità di insufficienza cardiaca stabi-lita dalla New York Heart Association. (Figura © L.H. Opie, 2012.)

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tità di tessuto nodale potrebbe giustificare gli effetti di digossina ancora riscontrabili dopo blocco vagale. L’azione di digossina sulla condu-zione AV, che rallenta, e sul periodo refrettario AV, che si allunga, di-pende principalmente dall’aumentato tono vagale, anziché dall’effetto diretto di digossina. Parte dei sintomi tossici di digitale possono essere spiegati dagli effetti parasimpaticomimetici, come nausea, vomito e anoressia. L’inibizione simpatica può rivestire un ruolo importante negli effetti di digitale in pazienti affetti da CHF . Digitale inibisce la scarica del nervo simpatico, effetto che ha luogo prima di qualsiasi alterazione emodinamica osservata.131 Il rilascio di renina dal rene è inibito poiché

TERAPIA MASSIMALE PER CHF GRAVE

β

DIURETICI

VASODILATATORI

Restrizione del Na+ dietetico edi H2O

Opie 2012

Edema polmonare e dell'arto inferiore

PA �

ACE inibitori e/o ARB Blocco dell'aldosterone

1

2

α

?Anemia cardio-renale

RAAS�

A-II

TERAPIE NUOVE SILDENAFIL IVABRADINA RANOLAZINA TMZ/PEREXILINA EPO (anemia) OMEGA 3 Pesce nella dieta GLUCOSIO-INS CELLULE STAMINALI (futuro)

BLOCCO RAAS ACEi/ARB/spironolactone �-BLOCCO NITRATO- IDRALAZINACRT(PACING Bi-V)ASSISTENZA VSTRAPIANTO

Figura 6-10 Principi di terapia massima per insufficienza cardiaca conge-stizia (CHF). I diuretici sono somministrati per la pressione di ritorno nei polmoni con edema 1) ma stimolano il sistema renina-angiotensina-aldoste-rone (RAAS). Anche una scarsa funzione ventricolare sinistra (VS) attiva que-sto sistema 2) per effetto di una bassa pressione arteriosa con perfusione renale ridotta o per effetto dell’attivazione del barorecettore β-adrenergico (β) di riflesso. La vasocostrizione risulta dalla formazione dall’angiotensina-II (A-II) oppure da attività α-adrenergica. Logicamente, gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACEi) e i bloccanti del recettore dell’angioten-sina (ARB) sono una parte integrante della terapia, come lo sono i β-bloccanti. Anche i bloccanti dell’aldosterone (Aldo) sono essenziali. Fra le altre terapie, ivabradina è quella meglio testata. Nitrato-idralazina ha giovato a pazienti di colore negli Stati Uniti, ma potrebbe benissimo offrire un sollievo da vasoco-strizione in altri. Trimetazidina (TMZ) e perexilina inibiscono l’ossidazione di acidi grassi sul miocardio per migliorare la frazione di eiezione. Sildenafil dovrebbe contribuire ad aumentare i livelli di guanosina monofosfato ciclico (si veda la Fig. 6-7). Il pacing biventricolare (Bi-V), detto anche terapia di risin-cronizzazione cardiaca (CRT), è usato specialmente in presenza di ritardo di conduzione ventricolare (QRS lungo). I dispositivi di assistenza ventricolare sinistra sono considerati un ponte al trapianto. Le cellule staminali rappre-sentano il futuro. PA, pressione arteriosa (Figura © L.H. Opie, 2012.)

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la digossina riduce l’attività della pompa di sodio renale producendo un effetto natriuretico. Il rilascio di un quantitativo inferiore di renina dovrebbe dare luogo a vasodilatazione e compensare il meccanismo di vasocostrizione diretta di digossina.

Farmacocinetica di digossina (Tabella 6-6). L’emivita nel siero di digossina è 1,5 giorni. Circa un terzo delle scorte nell’organismo va perso ogni giorno, la maggior parte dai reni sotto forma di digossina inalterata. Circa il 30% è escreto attraverso vie non renali (feci, metabo-lismo epatico) nei soggetti con normale funzione renale. In soggetti digitalizzati, circa metà del quantitativo di digossina è legato ai recettori del muscolo scheletrico responsabili (insieme al sangue) della mag-gior parte del volume di distribuzione. L’interazione fra digitale e re- cettore è molto meno “stretta” nel muscolo scheletrico rispetto al mio-cardio, che rimane il principale sito d’azione. Molteplici fattori farmacocinetici condizionano il livello di sangue ottenuto con una data dose di digossina (si vedano le Tabelle 6-6 e 6-7 in “Drugs for the Heart”, 7a edizione) e la sensibilità a digossina (Tabella 6-7). Nell’insuf-ficienza renale, l’escrezione è ridotta e la dose di mantenimento infe-riore. Anche la dose di carico potrebbe essere inferiore (vedere Se-zione successiva).

Uso di digossina: cambiamenti nella pratica clinica. 1) La fibrilla-zione atriale cronica in assenza di CHF sintomatica può oggi essere la condizione in cui digossina è probabilmente impiegata più spesso.

EFFETTI INOTROPI, VAGALI E SIMPATICI DI DIGOSSINA

Simpatolitico

Diuresi

Opie 2012

Attivazione adrenergica nella CHF

Effetto vagomimetico

Barorecettori

CHF

Effetto inotropopositivo

Aritmie tossiche

Na+

aumenta

Na+

Digossina K+

Na+

Ca2+�

Effetti inibitorisimpatici

AVSA

NA

A

InibizioneRAS

Figura 6-11 Digossina genera effetti sia sulle cellule neurali sia sulle cel-lule miocardiche. L’effetto inotropo di digossina è dovuto all’inibizione della pompa di sodio nelle cellule miocardiche. Il rallentamento della frequenza cardiaca e l’inibizione del nodo atrioventricolare (AV) per stimolazione vagale e la ridotta scarica del nervo simpatico sono importanti benefici terapeutici. Le cause sottostanti l’instaurarsi di aritmie tossiche non sono comprese del tutto, ma potrebbero essere attribuite a post-potenziali dipendenti dal calcio. A, adrenalina; CHF, insufficienza cardiaca congestizia; NA, noradrenalina; RAS, sistema renina-angiotensina; SA, senoatriale. (Figura © L.H. Opie, 2012.)

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Sfortunatamente anche quando usata dai cardiologi in studi sperimen-tali ben organizzati per la fibrillazione atriale, come nell’ambito dello studio PALLAS, i livelli medi sono risultati nell’intervallo tossico e po-trebbero, ipoteticamente, avere contribuito a una superiore incidenza di insufficienza cardiaca.134 Digossina può essere combinata con vera-pamil, diltiazem o farmaci β-bloccanti al fine di controllare la fre-quenza ventricolare sotto sforzo. Tuttavia, si noti che la frequenza car-diaca ottimale rimane controversa. Verapamil interagisce con digossina laddove verapamil riduce la clearance non renale. 2) Nella fibrillazione atriale cronica con insufficienza cardiaca non sono disponibili validi studi sugli esiti129, dunque la somministrazione e gli effetti sono ancora

1. Rapido assorbimento del 75% della dose orale; il resto viene inattivato per riduzione ad opera di batteri nell’intestino crasso

2. Circola nel sangue, non legata a proteine plasmatiche; precedente “livello terapeutico” 1-2 ng/mL, attuale livello ideale 0,5-1 ng/mL* (0,65-1,3 nmol/L); emivita nel sangue circa 36 h.

3. Si lega ai recettori tissutali nel muscolo cardiaco e scheletrico.4. Liposolubile; penetrazione cerebrale. 5. La maggior parte della digossina assorbita viene escreta invariata nelle

urine (escrezione tubolare e filtrazione glomerulare). Circa il 30% subisce clearance non renale, nella maggioranza dei casi in presenza di insuffi-cienza renale.

6. Nell’insufficienza renale cronica, ridotto volume di distribuzione. 7. Con ridotta sottile massa corporea, ridotto legame totale al muscolo

scheletrico.

Tabella 6-6

Farmacocinetica della digossina

*Range ottimale 0,5-0,8 ng/mL negli uomini.136

Effetti fisiologiciTono vagale potenziato (aumentato effetto di digossina sui nodi SA e AV)Tono simpatico potenziato (opposto all’effetto vagale)

Fattori o disturbi sistemici

Insufficienza renale (ridotto volume di distribuzione ed escrezione)Bassa sottile massa corporea (ridotto legame al muscolo scheletrico)Pneumopatia cronica (ipossia, alterazioni acido-basiche)Mixedema (? prolungata emivita)Ipossiemia acuta (sensibilizza ad aritmie da digitale)

Disturbi elettrolitici

Ipokaliemia (più comune; sensibilizza a effetti tossici)Iperkaliemia (protegge da aritmie da digitale)Ipomagnesemia (causata da diuretici cronici; sensibilizza a effetti tossici)Ipercalcemia (aumenta la sensibilità a digitale)Ipocalcemia (riduce la sensibilità)

Disturbi cardiaci

Infarto del miocardio acuto (potrebbe causare un aumento della sensibilità)Cardite reumatica o virale acuta (pericolo di blocco della conduzione)Cardiopatia tireotossica (riduzione della sensibilità)

Terapia farmacologica concomitante

Diuretici con perdita di K+ (aumentata sensibilità per ipokaliemia)Farmaci con effetti aggiuntivi sui nodi SA o AV (verapamil, diltiazem, β-bloccanti, clonidina, metildopa o amiodarone)

Tabella 6-7

Fattori di alterazione della sensibilità a digossina a livelli apparentemente terapeutici

AV, atrioventriculare; SA, senoatriale.

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in fase di valutazione clinica. Una combinazione logica è associata a β-bloccante, che non solo rallenta la frequenza ventricolare ma mi-gliora anche la tolleranza allo sforzo e la frazione di eiezione.135 Si noti l’assenza di dati sugli esiti in relazione a eventi primari. 3) Nella CHF con ritmo sinusale i benefici limitati riscontrati nell’esteso studio DIG,128,136 la finestra terapeutica-tossica molto stretta130 e numerose in-terazioni farmacologiche (si vedano le Tabelle 6-6 e 6-7 in “Drugs for the Heart”, 7a edizione) hanno sollevato importanti dubbi sulla dose e sui livelli nel sangue ideali. Questi problemi hanno fatto ritenere la digos-sina come un farmaco extra facoltativo e potenzialmente pericoloso nell’ambito della gestione della CHF, laddove non attentamente sommi-nistrata a dosi inferiori a quelle del passato. Nel 2009 l’American Col-lege of Cardiology e l’AHA assegnarono a digitale un livello di evi-denza B, ma questa assegnazione non sembra basata su alcuno degli studi sugli esiti attuali. Digitale può essere efficace in pazienti con sin-tomi presenti o pregressi di insufficienza cardiaca e ridotta frazione di eiezione del ventricolo sinistro per ridurre i ricoveri ospedalieri per insufficienza cardiaca.137 Si noti che i dati primari relativi ai benefici in termini di riduzione della frequenza cardiaca nell’insufficienza car-diaca sono validi per ivabradina (si veda la pagina 216) e deboli per digossina.

Digossina per pazienti in regime ambulatoriale. Tornando ai dati basati sullo studio DIG del 1997, in pazienti in regime ambulatoriale con insufficienza cardiaca cronica e basse concentrazioni di digossina nel siero (SDC), la mortalità e i ricoveri ospedalieri hanno subito una riduzione.138 Digossina a basse dosi ( o 0,125 mg/die) è risultata il fattore di predizione indipendente più forte di SDC basse (odds ratio corretto, 2,07; IC 95% 1,54-2,80). Digossina a dosi inferiori potrebbe es-sere più indicata per i pazienti già in terapia con digossina, o per coloro che non hanno modo di accedere ai moderni farmaci efficaci.

Digossina controindicata per l’insufficienza cardiaca avanzata. In pazienti con insufficienza cardiaca avanzata in attesa di trapianto cardiaco e diversamente trattati con approcci ottimali, digossina è stata associata a un aumentato rischio di esiti primari (principalmente morte) con un rapporto di rischio pari a 2,28 (p 0,001). Si è osservata un’esacerbazione degli esiti principali (morte, trapianto urgente o inne-sto di dispositivo di assistenza del ventricolo sinistro combinati) e un aumento del tasso dei ricoveri ospedalieri.139

Dosi e livelli nel sangue di digossina. In linea generale si è con-cordi nel constatare che la finestra terapeutica-tossica di digossina è stretta. In passato il livello ideale nel sangue era per praticità conside-rato 1-2 ng/mL (1,3-2,6 nmol/L). Attualmente trovano sempre maggiore supporto dosi e livelli nel sangue inferiori. Dati di supporto derivano da un’analisi retrospettiva dell’esteso studio DIG condotto su 3782 pazienti con insufficienza cardiaca con follow up di 3 anni.136 La mortalità per tutte le cause ha subito un modesto calo, anche se solo del 6% nel ter-zile con livelli di digossina nel range in precedenza “basso”, 0,5-0,8 ng/mL o 0,6 -1 nmol/L. Il successivo terzile dei livelli di digossina (0,9-1,1 ng/mL) non ha avuto alcun effetto sulla mortalità, mentre livelli supe-riori (pari o superiori a 1,2 ng/mL) sono stati associati a un aumento della mortalità del 12%.136 L’ipotesi, basata su studi precedenti, è che di-gossina abbia effetti bidirezionali sulla mortalità, con il livello di svolta fissato a circa 1 ng/mL,130 considerando un range terapeutico pratico compreso fra 0,5 e 1,0 ng/mL (Fig. 6-12).

Digitalizzazione. Verificare in primo luogo la funzione renale, secon-dariamente l’età del paziente. Oggi la tendenza è diretta verso una dose di digossina inferiore, comunemente avviata a 0,25 mg al giorno, se-guita da 0,125 mg al giorno e a dosi ancora inferiori se il paziente ha più di 70 anni o presenta insufficienza renale.26 I livelli di digossina nel

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sangue continuano a essere un parametro prezioso per un assorbi-mento nel GI variabile, risposte cardiache variabili e possibili intera-zioni farmacologiche. Concentrazioni nel plasma e nel tessuto stabili si raggiungono nell’arco di 5-7 giorni.

Controindicazioni di digossina. Le controindicazioni compren-dono cardiomiopatia ostruttiva ipertrofica, alcuni casi di sindrome di Wolff-Parkinson-White con fibrillazione atriale (si veda la Fig. 8-14), si-gnificativo blocco cardiaco nodale del VS e disfunzione sistolica. Con-troindicazioni relative sono insufficienza renale ed età avanzata (ri-durre le dosi).

Digossina nei soggetti di sesso femminile. Nell’ambito dello studio DIG, solo il 22% dei partecipanti era di sesso femminile. In questa sotto-popolazione è stato osservato un inspiegato aumentato rischio pari al 23% della mortalità per tutte le cause.140 Gli autori suppongono che in tal senso possa avere rivestito un ruolo importante una interazione re-nale con la terapia di sostituzione ormonale, comunemente sommini-strata all’epoca.

Digossina e cancro della mammella. Due studi mostrano un aumen-tato rischio di cancro della mammella associato all’uso di digossina nei soggetti di sesso femminile. Lo studio più esteso lo correla all’im-piego in qualsiasi momento,141 mentre l’altro all’uso continuo per al-meno 2 anni e cancro invasivo.142

Digossina nella popolazione anziana. La riduzione del muscolo scheletrico, l’assottigliamento della massa corporea e della funzione renale aumentano i livelli di digossina (si veda la Tabella 6-7). L’emivita

Intervalli di osservazione ( ) da Shapiro, 1979

LIVELLI DI DIGOSSINA TOSSICI PRESENTI E PASSATI

7

6

5

4

3

2

1

nmol/L7,8

ng/mL

Livelli di digossina TOSSICI meglio tollerati se i livelli di K+ sono elevati

Range terapeutico attuale

Range terapeutico precedente

Bassi livelli di K+ sensibilizzano a digossina

Livello di digossina

Pota

ssio

nel

sie

ro (m

M)

5,22,6

0,5 1 2 3 4 5 6 70

1,30,650

Figura 6-12 Possibili livelli terapeutici e tossici di digossina nel siero. Al ridursi dei livelli di potassio nel siero, il cuore è sensibilizzato alle aritmie dovute a tossicità da digitale. Al contrario, all’aumentare dei livelli di potassio, un maggior livello di digossina nel siero è tollerato. Si notino gli attuali infe-riori livelli “terapeutici” di digossina. Non sono disponibili dati prospettici va-lidi che correlino i livelli di digossina agli esiti. (Dati sui livelli di potassio modificati da Shapiro W. Am J Cardiol 1978;41:852–859.)

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di digossina può essere prolungata fino a 73 ore, in base alla funzione renale. La dose di digossina è spesso inferiore a 0,125 mg al giorno, come 0,125 mg a giorni alterni. La dose esatta richiesta può essere calcolata in base al peso corporeo totale, ai livelli di creatinina nel siero, all’età, alla presenza di insufficienza cardiaca, all’uso concomi-tante di BCC (verapamil, diltiazem, o nifedipina), al sesso e alla concen-trazione di digossina a valle.143

Interazioni farmacologiche. L’interazione più recente è un’intera-zione potenzialmente letale con dronaderone.134 Anche l’interazione verapamil-digossina è importante, con livelli nel sangue di digossina aumentati approssimativamente del 50-75%. Anche amiodarone e pro-pafenone (per amiodarone si veda pag. 319; per propafenone si veda pag. 316) aumentano i livelli di digossina nel siero. I diuretici possono indurre ipokaliemia, che 1) sensibilizza il cuore a tossicità da digos-sina (si veda la Fig. 6-12) e 2) chiude la secrezione tubolare di digos-sina quando i livelli di potassio nel plasma scendono sotto 2-3 mEq/L.

Tossicità da digossina. Nell’aprile 2008, 800 milioni di compresse di digossina sono state richiamate dal produttore in quanto possibilmente contenenti il doppio del quantitativo di farmaco riportato sull’eti-chetta.144 Il paziente tipico con tossicità da digossina (si veda la Tabella 6-7) è un soggetto anziano di sesso femminile con cardiopatia avanzata e bradicardia e funzione renale anormale.145 L’ipokaliemia è comune (si veda la Fig. 6-10). La tossicità da digitale deve essere presa in consi-derazione in pazienti che ricevano digossina con nuovi disturbi a ca-rico del GI, oculari o del sistema nervoso centrale o nuova aritmia o disturbo della conduzione AV. Il meccanismo cellulare di tossicità com-prende 1) sovraccarico di calcio intracellulare che predispone a ri-tardo di post-depolarizzazione calcio-dipendente (si veda la Fig. 6-11); 2) eccessiva stimolazione vagale, predisponente a bradicardia sinusale e blocco AV e 3) aggiunto effetto depressivo “diretto” di digossina sul tessuto nodale.

Trattamento della tossicità da digossina. La diagnosi di tossicità da digossina è confermata se i livelli di digossina nel sangue sono insolitamente elevati per il paziente in presenza di sospette ca-ratteristiche cliniche. A fronte di soli sintomi suggestivi, la sospensione del trattamento con digossina è sufficiente, in attesa di conferma con livelli elevati nel plasma. In presenza di pericolose aritmie e bassi li-velli di potassio nel plasma, il cloruro di potassio può essere infuso per via endovenosa con estrema cautela come 30 -40 mEq in 20-50 mL di salina a 0,5 -1 mEq/min in vena grande attraverso un catetere plastico (l’infiltrazione di soluzione di potassio può causare necrosi del tessuto e l’infusione nelle vene piccole provoca irritazione e do-lore locali). Fenitoina inverte il blocco AV ad alto grado, con possibile azione centrale. Dose: interrompere la terapia con β-bloccanti e qual-siasi farmaco che aumenti i livelli di digossina nel sangue (verapa-mil). A fronte dell’emivita estremamente lunga, non sospendere la terapia con amiodarone. Il potassio per via orale (4 -6 g cloruro di potassio, 50 -80 mEq) può essere somministrato in dosi suddivise quando le aritmie non sono da trattare con urgenza (ad esempio contrazioni ventricolari premature). Il potassio è controindicato in presenza di blocco di conduzione AV o iperkaliemia, perché il potas-sio aumenta ulteriormente il blocco AV. Il carbone attivato (50-100 g) migliora la clearance GI di digossina. Colestiramina genera un effetto simile, ma inferiore in termini di potenza.

Anticorpi specifici anti digossina. Gli anticorpi specifici anti digossina possono essere una terapia eccezionalmente efficace nell’in-tossicazione da digossina potenzialmente fatale, specialmente in pre-senza di tachicardia ventricolare grave o iperkaliemia significativa (5,5 mEq/L). Per calcolare le dosi, elaborare il carico di digossina to-tale corporeo in base ai livelli nel sangue; ciascuna fiala si lega a circa 0,5 mg di digossina.

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Digossina: riepilogo. Digossina è un farmaco estremamente com-plesso dalle proprietà uniche, sempre più considerato limitato nell’uso, che richiede una profonda esperienza nell’avvio e un’attenta supervi-sione durante il trattamento.

Insufficienza cardiaca con preservata funzione sistolica: insufficienza cardiaca diastolicaDefinizioni. Nelle descrizioni standard di terapia per insufficienza cardiaca, si dimentica spesso che circa metà dei soggetti affetti da insufficienza cardiaca clinica non soffrono di insufficienza cardiaca predominante con funzione sistolica ridotta (HFrEF). Anzi la funzione sistolica è relativamente preservata, mentre domina l’insufficienza diastolica. Il termine attuale che indica questa condizione è insuffi-cienza cardiaca con frazione di eiezione preservata (HFpEF), che, tuttavia, non offre una prospettiva meccanicistica. La definizione di frazione di eiezione preservata varia, spesso indicata come pari o superiore al 50%,146 ma in numerosi studi sono presi in considera-zione diversi valori soglia, come il 45%,147 40%,148 o anche il 35%.149 Nel complesso, la condizione è seria, con una prognosi a lungo ter-mine molto simile a quella dell’insufficienza sistolica.146,150 Oltre al problema dei diversi livelli di frazione di eiezione per la diagnosi, non esistono spiegazioni meccaniche accettate. Quelle proposte comprendono un’aumentata rigidità muscolare (come ad esempio da fibrosi) con maggiore sensibilità al sovraccarico di volume e ri-modellamento del ventricolo sinistro e dilatazione con aumentate pressioni di riempimento del ventricolo sinistro dipendenti dal volume.151

La condizione strettamente correlata di insufficienza cardiaca dia-stolica è una sindrome con segni e sintomi di insufficienza cardiaca, che inoltre presenta evidenza ecocardiografica di disfunzione diasto-lica del ventricolo sinistro, 152dunque una maggiore precisione. Ad esempio, in un sottogruppo di pazienti con HFpEF nello studio CHARM-preserved con frazione di eiezione media pari al 50%, un terzo non presentava una disfunzione diastolica obiettiva, suggerendo un deficit o nella specificità dei criteri clinici o nella sensibilità dei criteri ecocar-diografici, oppure una combinazione di entrambi. Disfunzione diasto-lica moderata e grave erano predittori importanti di esiti avversi in meno della metà di questi pazienti.153 Al contrario, anche la disfun-zione diastolica, quand’anche in assenza di insufficienza cardiaca, è una condizione seria, che progredisce a un’incidenza combinata di mortalità e insufficienza cardiaca sintomatica del 20% nell’arco di 3 anni.152 La diagnosi di disfunzione diastolica richiede un’ecocardiogra-fia fatta da un esperto che comprenda almeno una valutazione dell’an-damento dell’afflusso venoso della valvola mitralica e polmonare con Doppler a onde a impulsi e della velocità anulare della mitrale con immagini Doppler del tessuto.

Le caratteristiche patofisiologiche della HFpEF non sono ancora state comprese del tutto. In pazienti con insufficienza cardiaca diasto-lica clinica (DHF), vi sono state significative anomalie nel rilassamento del ventricolo sinistro e un’aumentata rigidità della camera del ventri-colo sinistro come valutato da valutazione emodinamica invasiva ed ecocardiografia.154 Studi con risonanza magnetica a immagini (RMI) confermano che la geometria concentrica e l’ipertrofia risultanti dal sovraccarico di pressione sistolica del ventricolo sinistro come nell’ipertensione è causa sottostante di ipertrofia ventricolare sinistra con preservata frazione di eiezione.155 In un gruppo di pazienti anziani con ipertrofia concentrica e insufficienza cardiaca allo stadio iniziale, solo il 25% ha sviluppato disfunzione sistolica del ventricolo sinistro nell’arco di 7 anni.156 I soggetti con insufficienza cardiaca e preservate frazioni di eiezione presentano un numero superiore di comorbilità non cardiache (quattro in media) e un numero superiore di ricoveri ospedalieri per eventi non cardiovascolari e un numero inferiore di ri-

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coveri ospedalieri per insufficienza cardiaca rispetto ai soggetti con ridotta frazione di eiezione.157 I ricoveri ospedalieri per eventi diversi da insufficienza cardiaca, che rappresentano la maggioranza, sono tre volte superiori in pazienti con HFpEF. L’implicazione maggiore è legata al fatto che tutte tali comorbilità, che possono rappresentare il pro-blema principale, richiedono un’attenta valutazione e terapia.157

Incidenza. HFpEF è la forma più comune di insufficienza cardiaca (HF) nella popolazione, in prevalenza nella popolazione anziana.157 HFpEF è più comune negli anziani e nei soggetti di sesso femminile e sta diventando più comune all’avanzare dell’età della popolazione.146 Le principali cause predisponenti sono obesità, ipertensione, coronaro-patia e diabete.146,148,150 L’obesità conduce a ipertensione e la cardiopa-tia ipertensiva è di particolare importanza nei pazienti di colore.158 Nei pazienti di colore che presentano ipertensione, la frazione di eiezione media del ventricolo sinistro era pari al 55% e il 24% presentava dia-gnosi di disfunzione diastolica con ecocardiografia.159 L’analisi su 10 anni dello studio Copenhagen Hospital Heart Failure ha mostrato che fra i pazienti con diagnosi clinica di insufficienza cardiaca, il 61% pre-sentava una frazione di eiezione preservata,160 ma quando il requisito aggiunto per diagnosi di insufficienza cardiaca erano elevati livelli di peptide natriuretico pro tipo B N-terminale (NT-proBNP), solo il 29% presentava una “reale” HFpEF.

Terapia. La causa sottostante deve essere trattata con un approccio aggressivo (controllo dell’ipertensione, prevenzione dell’ischemia mio-cardica, riduzione dell’ipertrofia del ventricolo sinistro) e particolare attenzione va prestata a una strategia volta a evitare l’instaurarsi di tachi-cardia e controllo o prevenzione di fibrillazione atriale. La ritenzione dei liquidi è trattata con somministrazione di diuretici, ma poi come procedere? Le strategie di trattamento per l’HFpEF non trovano valide evidenze malgrado i numerosi studi su larga scala. Holland et al. hanno svolto una meta-analisi degli effetti relativi agli interventi farmacologici sulla capacità di sforzo, sulla funzione diastolica e sulla mortalità in 20 studi randomizzati controllati, con β-bloccanti (7); ACE inibitori (8); BCC (2); e uno ciascuno con statine, diuretici e ACE inibitore-ARB.161 Sono stati inoltre analizzati 12 studi osservazionali. La tolleranza allo sforzo è stata migliorata (n 183; IC: 27,3-75,7; p 0,001), ma non il rapporto di riempimento diastolico early-to-late e l’indice di disfunzione diastolica. La mortalità per tutte le cause è rimasta invariata.

Studi specifici. Bloccanti del recettore dell’angiotensina. Candesartan è

stato aggiunto nell’ambito dello studio CHARM-Preserved148 a pre-gressa terapia con diuretici (75%), β-bloccanti (56%), BCC o altri vaso-dilatatori (68%) o digossina (28%), con pregressa ACE inibizione solo nel 19%. Dopo un follow up medio di 3 anni, solo un endpoint secon-dario combinato è risultato positivo, ovvero la morte cardiovascolare, ricovero ospedaliero per CHF, IMA o ictus (p 0,037). La mortalità to-tale e i ricoveri ospedalieri sono rimasti invariati. Usando un nuovo in-dice di efficacia di terapia per insufficienza cardiaca, giorni di vita e fuori dall’ospedale, candesartan è risultato migliore del placebo di 24,1 giorni nell’arco del periodo dello studio (p 0,001).162 Nell’ambito dello studio I-PRESERVE, 4128 pazienti con insufficienza cardiaca e frazione di eiezione del ventricolo sinistro del 45% o superiore sono stati randomizzati a irbesartan o placebo e seguiti per oltre 4 anni.163 Non sono state osservate differenze significative nell’endpoint primario della mortalità per tutte le cause o ricoveri ospedalieri per eventi car-diovascolari (insufficienza cardiaca, IMA, aritmia o ictus) o uno qual-siasi degli altri esiti prespecificati. Paradossalmente, irbesartan ha mo-strato un beneficio inatteso nei pazienti a rischio inferiore con HFpEF.164 Per “rischio inferiore” si intendeva concentrazioni nel plasma di NP in-feriori al range, suggerendo benefici di stadi iniziali, non successivi, a

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più alto rischio della malattia. Trattandosi di un’analisi post-hoc, oc-corre svolgere studi prospettici per approfondire questo potenziale beneficio.

ACE inibitori per HFpEF. Nell’ambito dello studio PEACE, 8290 pazienti apparentemente a basso rischio con coronaropatia stabile e preservata frazione di eiezione del ventricolo sinistro (40%; media 59%) sono stati randomizzati a trandolapril o placebo e seguiti per oltre 6 anni senza rilevamento di alcuna differenza significativa in termini di morte per cause cardiovascolari, IMA o rivascolarizzazione coronarica fra i trattamenti.165 Anche se questi pazienti non presentavano HFpEF, è stato osservato un beneficio sugli esiti nell’arco di 6 anni, fra cui ri-dotto rischio di morte cardiovascolare o insufficienza cardiaca nei sottogruppi identificati inizialmente con biomarker nuovi.166 Contraria-mente ai risultati precedenti con altri biomarker come NT-proBNP, ele-vati livelli di due o tre di questi biomarker selezionati (peptide natriuretico pro di tipo A emiregionale, proadrenomedullina emiregio-nale e proendotelina-1 C-terminale) hanno identificato i pazienti ad alto rischio. In questo sottogruppo, sarebbe necessario trattare solo 14 pazienti per 6 anni al fine di prevenire una morte cardiaca o ricovero ospedaliero per insufficienza cardiaca. Perindopril è stato confrontato con placebo nell’ambito dello studio PEP-CHF in soggetti anziani con diagnosi di insufficienza cardiaca, trattati con diuretici e un ecocardio-gramma, che suggeriva la presenza di disfunzione diastolica ed esclu-deva sostanziale disfunzione sistolica del ventricolo sinistro o valvulo-patia.167 Anche se non sono state riscontrate differenze significative nell’endpoint primario della mortalità per tutte le cause o ricovero ospedaliero correlato a insufficienza cardiaca non pianificato, possibil-mente attribuibile a un elevato tasso di abbandono e al cross-over all’ACE inibitore open label, sono state osservate tendenze a 1 anno a miglioramenti nei ricoveri ospedalieri per insufficienza cardiaca, classe funzionale e test del cammino in 6 minuti in pazienti trattati con perin-dopril. Dati tali risultati e gli effetti benefici degli ACE inibitori emersi in altri studi di malattie cardiovascolari (ad esempio HOPE; EUROPA), noi riteniamo che gli ACE inibitori debbano essere considerati nella terapia di questi pazienti, specialmente in presenza di altre indicazioni come ipertensione.

b-blocco per HFpEF. L’effetto di nebivololo sugli esiti è stato confrontato con placebo in 2128 pazienti con anamnesi di insuffi-cienza cardiaca e ampio range di funzione sistolica del ventricolo sini-stro (frazione di eiezione del ventricolo sinistro 35%) nello studio SENIORS.77 L’endpoint primario della mortalità per tutte le cause o ri-covero ospedaliero per eventi cardiovascolari è stato migliorato in mi-sura significativa da nebivololo, anche se la mortalità è rimasta statisti-camente invariata. Nota interessante, non è stata osservata alcuna differenza considerevole tra l’effetto benefico di nebivololo fra i pa-zienti con frazioni di eiezione inferiori o superiori al 35%, ciò sugge-rendo che potrebbe esserci stato un miglioramento negli esiti in pa-zienti con disfunzione del ventricolo sinistro meno grave. Si noti inoltre che la PA sistolica media nel gruppo con frazione di eiezione preser-vata era pari a 145 mmHg rispetto a 135 mmHg nel gruppo con frazione di eiezione inferiore,149 dunque la riduzione della PA potrebbe in parte spiegare il risultato positivo.

Ruolo dei bloccanti dell’aldosterone. Evidenze crescenti suggeriscono che un aumento del segnale da parte dell’aldosterone rivesta un ruolo chiave nell’insorgenza e nella progressione di HFpEF e nella DHF (insufficienza cardiaca diastolica). Aldosterone, potente sti-molatore di fibrosi miocardica e vascolare, potrebbe essere un media-tore chiave di progressione di insufficienza cardiaca in questa popola-zione ed è pertanto un importante target terapeutico. Gli effetti di eplerenone sono stati testati nell’ambito di un piccolo studio rando-mizzato, in doppio cieco, controllato con placebo di soli 44 pazienti con HFpEF.156 Non sono stati riscontrati cambiamenti nel test di cam-mino in 6 minuti e nell’endpoint primario. Ciononostante, è stato osser-

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vato un possibile beneficio sul tessuto fibroso come rilevato dai marker nel siero di turnover del collagene, che si è ridotto, con miglioramento della funzione diastolica (E/E’; p 0,01). Se questi effetti favorevoli si tradurranno in beneficio in termini di morbilità e mortalità nell’ambito di uno studio più esteso rimane da stabilirsi.

Studi in corso. Lo studio TOPCAT è stato concepito per valutare l’effetto di spironolactone sulla morbilità, sulla mortalità e sulla qualità della vita in pazienti con HFpEF.147 Lo studio Aldo-DHF valuterà se il blocco del recettore dell’aldosterone con spironolactone 25 mg/die migliori la capacità di sforzo e la funzione diastolica in pazienti con DHF. I criteri di inclusione sono un’età pari o superiore a 50 anni, NYHA tipo II o III, frazione di eiezione del ventricolo sinistro preservata (50%) e disfunzione diastolica con evidenza ecocardiografica.168 I due endpoint primari sono alterazioni nella capacità di sforzo (VO di picco2, spiroergometria) e nella funzione diastolica (E/é, ecocardiogra-fia) dopo 12 mesi.

Ulteriori studi sono in corso per valutare l’effetto dell’inibizione del recettore dell’angiotensina con il bloccante del recettore dell’an-giotensina, neprilisina, combinata con valsartan in HF con preservata frazione di eiezione,168A e in ipertensione già trattata con valsartan.168B

Interpretazione generale. In attesa degli studi sugli esiti, se-condo il nostro punto di vista l’insufficienza cardiaca clinica persi-stente, qualsiasi sia la frazione di eiezione, richiede una terapia aggiun-tiva con diuretici in adeguata progressione incrementale, inibizione del sistema renina-angiotensina o β-blocco e potrebbe incidere la ridu-zione della PA. Anche i vasodilatatori potrebbero portare un beneficio con riduzione del post-carico.169

Insufficienza ventricolare destra“Per un lungo periodo, l’importanza della funzione del ventricolo destro . . . è stata trascurata.”170 La fisiologia ventricolare destra è caratterizzata dalla sua stretta correlazione con il circuito polmonare. Il ventricolo destro è in grado di accogliere significative alterazioni nel precarico, ma è altamente sensibile agli aumenti nel post-carico. La progressiva dilatazione e disfunzione possono avviare un ciclo di mancata corri-spondenza di afflusso-richiesta di ossigeno, che in ultima analisi pro-voca un’insufficienza nel ventricolo destro. L’ecocardiografia e la RMI cardiaca sono gli strumenti primari usati per la valutazione non inva-siva della funzione del ventricolo destro.171 La gestione dell’insuffi-cienza è incentrata sull’ottimizzazione del pre-carico, del post-carico e della contrattilità. Sono poche le terapie mirate, anche se farmaci di nuova generazione hanno dimostrato risultati incoraggianti nell’am-bito di studi di fase iniziale.

La disfunzione ventricolare sinistra predispone a disfunzione ven-tricolare destra, ad esempio dopo IMA anteriore.170 Il ventricolo destro è la camera cardiaca più anteriore, presenta una forma triangolare e la sua parete libera è più sottile di quella del ventricolo sinistro, perché il ventricolo destro si contrae in un sistema a bassa impedenza. È impor-tante notare che la forma, la posizione e le condizioni di contrazione rendono tecnicamente complessa la valutazione ecografica della ca-mera ventricolare destra. La disfunzione ventricolare destra può oggi essere valutata sulla base di un’alterazione dell’area frazionale del ventricolo destro pari o inferiore al 35%.

Il post-carico ventricolare destro rappresenta il carico che il ventri-colo destro deve superare durante l’eiezione. Rispetto al ventricolo si-nistro, il ventricolo destro dimostra una più alta sensibilità all’altera-zione del post-carico (si veda la Fig. 6-12). Anche se nella pratica clinica la resistenza vascolare polmonare (PVR) è l’indice di post-carico più comunemente usato, la PVR potrebbe non riflettere la natura com-plessa del post-carico ventricolare.

L’evidenza in base alla quale sono state concepite le strategie di gestione di insufficienza ventricolare destra isolata non è supportata

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tanto quanto l’evidenza che sostiene gli approcci gestionali dell’insuf-ficienza cardiaca cronica risultante da disfunzione sistolica ventrico-lare sinistra.172 La maggior parte delle raccomandazioni si basa su studi retrospettivi o circoscritti studi randomizzati.173 Tuttavia, l’insufficienza ventricolare destra è solitamente un componente di insufficienza ven-tricolare sinistra, salvo quando la causa sottostante è l’ipertensione ar-teriosa polmonare (IAP). A causa dell’interdipendenza ventricolare, la presenza di disfunzione ventricolare destra aggrava a sua volta la di-sfunzione ventricolare sinistra.172 In via sperimentale, elevate dosi di bisoprololo (10 mg/kg) e carvedilolo (15 mg/kg) somministrate a ratti hanno ritardato la progressione da PH a insufficienza del ventricolo destro174 o migliorato la funzione del ventricolo destro.175 Dal punto di vista clinico, anche dopo terapia mirata alla IAP, la funzione del ventri-colo destro può peggiorare malgrado una riduzione della PVR. Tale perdita di funzione è associata a un esito scarso, a prescindere da qual-siasi alterazione nella PVR.176 Capacitanza polmonare in relazione alla resistenza vascolare polmonare.

Obiettivi di trattamento specifici. Gli obiettivi di trattamento speci-fici173 comprendono l’ottimizzazione del pre-carico, del post-carico e della contrattilità. L’uso dei β-bloccanti, standard nell’insufficienza ven-tricolare sinistra, non è stato oggetto di indagini approfondite nel tratta-mento dell’insufficienza ventricolare destra. Il mantenimento del ritmo sinusale e della sincronia AV è particolarmente importante nell’insuffi-cienza ventricolare destra perché la fibrillazione atriale e il blocco AV ad alto grado potrebbero generare profonde conseguenze a livello emodinamico. Anche l’interdipendenza ventricolare è un concetto importante da considerare nella messa a punto della terapia. Un ecces-sivo carico di volume può aumentare la costrizione pericardica e ri-durre il pre-carico ventricolare sinistro e la gittata cardiaca attraverso il meccanismo di interdipendenza ventricolare. In alternativa, l’ipovole-mia potrebbe ridurre il precarico ventricolare destro e la gittata car-diaca. Nell’insufficienza ventricolare destra acuta, occorre adottare ogni misura volta a evitare l’ipotensione, che potrebbe provocare un ciclo vizioso di ischemia ventricolare destra e ulteriore ipotensione.

Ipertensione polmonareIpertensione polmonare secondaria. Anche se le linee guida con-tengono raccomandazioni dettagliate riguardo alla IAP, alle altre forme molto più frequenti di PH, anche PH secondaria a cardiopatia sinistra, è riservato un paragrafo relativamente breve (Fig. 6-13). La PH è pre-sente nel 68-78% dei pazienti con disfunzione sistolica ventricolare si-nistra grave cronica ed è comunemente associata a disfunzione ventri-colare destra.177 Al contrario, la IAP è incentrata su un sottogruppo relativamente piccolo di tutti i pazienti con PH, condizione che più comunemente ha luogo secondariamente a ipertensione venosa pol-monare in pazienti con CHF.

Misurazione della pressione arteriosa polmonare. La prevalenza di PH nell’insufficienza cardiaca cronica è altamente dipendente dalla selezione dei pazienti e dalla soglia di pressione sistolica dell’arteria polmonare (AP) di riferimento. La pressione dell’AP può essere misurata con strumenti invasivi attraverso cateterizzazione cardiaca destra (gold standard) o con strumenti non invasivi con ecocardiografia Doppler. Usando la definizione di gradiente di pres-sione ventricolare destro superiore a 35 mmHg (equivalente a una pressione sistolica AP stimata 45 mmHg), il 7% dei 1380 pazienti con HF presentava PH.178 In tale situazione, la terapia primaria è quella disposta per il trattamento dell’insufficienza ventricolare sini-stra. Ma qual è la terapia specifica per la IAP? La presenza di IAP ri-mane un importante fattore di predizione indipendente di mortalità, nonostante valide associazioni con altri consolidati marcatori di esiti

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scarsi come rigurgito mitrale, marker nel plasma o elevata pressione di riempimento ventricolare sinistro come NT-proBNP, e disfunzione ventricolare sinistra e destra.

I farmaci attualmente impiegati per trattare i pazienti con IAP (prostanoidi, antagonisti del recettore ET e inibitori della PDE-5) non sono stati studiati a fondo nella PH secondaria a ventricolopatia sini-stra (Fig. 6-14).179 Chiaramente sono necessari ulteriori studi che inda-ghino questa condizione comune. Tuttavia, malgrado l’assenza di dati sull’efficacia basati sull’evidenza, una delle tendenze attuali è rivolta verso l’uso di farmaci mirati alla IAP in pazienti con PH associata a cardiopatia sinistra. Questa tendenza è supportata da un piccolo studio dal quale è emerso che sildenafil ha abbassato la PVR e migliorato la capacità di sforzo e la qualità della vita in pazienti con insufficienza cardiaca complicata da PH.177 Questi pazienti erano inoltre in terapia pregressa con diuretici e β-bloccanti (100%), ACE inibitore o ARB (77%), spironolactone (76%), digossina (65%) e un defibrillatore car-diaco impiantabile (83%). Dal punto di vista meccanico, il trattamento ciclico a breve termine di potenziamento del GMP con sildenafil e in-fusioni di BNP ha migliorato la distensibilità diastolica ventricolare si-nistra in vivo, in parte con fosforilazione di titina.180 L’ipotesi è che questi farmaci possano agire direttamente sulle proteine cardiache in aggiunta alla vasodilatazione.

Ipertensione arteriosa polmonareLa IAP è una patologia progressiva rara e incurabile e si suddivide in IAP idiopatica, IAP ereditabile e IAP secondaria ad altre patologie. La IAP idiopatica è una panvascolopatia in cui cloni di cellule endoteliali pro-liferano e danno luogo a lesioni plexiformi, segno patologico di questa condizione, favorendo l’instaurarsi di lesioni vascolari complesse, con obliterazione quasi totale o del lume totale,181,182 che agiscono con

Opie 2012DISFUNZIONE VENTRICOLARE SINISTRA

Pr telediastolica VS

Pr venosa polmonare

Arteriopatia

Ipertensione polmonare

RimodellamentoCostrizionearteriosa

Figura 6-13 In che modo la ventricolopatia sinistra può evolvere in iperten-sione polmonare secondaria. In primo luogo, la pressione (Pr) telediastolica ventricolare sinistra (VS) aumenta, portando a un aumento indiretto della pres-sione venosa polmonare. Sia la costrizione arteriosa sia il rimodellamento predispongono a ipertensione arteriosa polmonare. (Figura © L.H. Opie, 2012.)

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meccanismi multipli, incluso l’aumentato rilascio di serotonina. Si assi-ste pertanto a un aumentato danno a carico della muscolatura vasco-lare liscia.182 Le conseguenze funzionali comprendono una riduzione della produzione di NO endoteliale e un aumento dell’espressione e dell’attività della PDE-5 nelle cellule muscolari dell’AP e del ventricolo destro. Il risultato generale è un aumento nella PVR nel quadro di una patologia che condiziona sia la AP sia il ventricolo destro.

Queste alterazioni proliferative ostruttive nella microcircolazione polmonare promuovono l’ipertrofia ventricolare destra, dando in ul-tima analisi luogo a insufficienza cardiaca destra e morte prematura. La IAP può insorgere in isolamento (ipertensione polmonare primaria) o essere correlata ad altre patologie come infezione da virus dell’immu-nodeficienza umana (HIV), cardiopatia congenita, disturbi del tessuto connettivo come sclerodermia183 e lupus sistemico eritematoso o fi-brosi polmonare idiopatica. La IAP può inoltre essere indotta da abuso

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Pr del vaso (mmHg)

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IAP

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IPERTENSIONE ARTERIOSA POLMONAREOpie 2012

r r

Bloccanti ET

Prostaciclina

Inibitori della PDE-5

PRVaumenta16x

IAP

Figura 6-14 L’aumentata pressione intraarteriosa nell’ipertensione arte-riosa polmonare (IAP) dà luogo a un calo molto più brusco del volume sisto-lico rispetto a un aumento della pressione ventricolare sinistra (pannello superiore). Per ridurre la pressione intra-arteriosa nella IAP, i farmaci vasodila-tatori principali sono i bloccanti dell’endotelina (ET) e la prostaciclina e gli inibitori della fosfodiesterasi (PDE)-5 (pannello inferiore). IAP, ipertensione arteriosa polmonare, PRV, resistenza vascolare polmonare; VD, ventricolo de-stro; VS, ventricolo sinistro. (Figura © L.H. Opie, 2012.)

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di sostanze con soppressori dell’appetito, cocaina o altri farmaci. La terapia ottimale rimane oggetto di discussione.184

Diagnosi con catetere. La cateterizzazione cardiaca è necessaria per diagnosticare la IAP: pressione media dell’AP di 25 mmHg o superiore e PVR superiore a 3 unità Wood.181 Trattandosi di una vascolopatia polmonare, anche la diagnosi richiede l’esclusione di sottostante di-sfunzione ventricolare sinistra (PCWP inferiore a 15 mmHg). Ulteriori patologie da escludere sono tromboembolia e pneumopatia parenchi-male.181

Nella IAP, l’adeguamento ventricolare destro al sovraccarico di pressione cronica è correlato non solo ai livelli di resistenza vascolare (post-carico stabile) ma anche alla rigidità dell’AP (carico pulsatile). Indici di rigidità dell’AP (elasticità, distensibilità, capacitanza, indice β di rigidità e pressione del polso) sono stati indipendentemente asso-ciati al grado di disfunzione ventricolare destra, dilatazione e ipertrofia nella PH. Tale aumentata rigidità AP è associata a una ridotta sopravvi-venza nella PH.185

Opzioni terapeutiche. Non esiste una cura per la IAP, ma le opzioni di trattamento comprendono prostanoidi, inibitori del PDE-5 e antago-nisti del recettore dell’ET. Una meta-analisi che comprende tutti i tipi di terapia in 21 studi condotti su 3140 pazienti ha riscontrato una ridu-zione nella mortalità per tutte le cause del 43% (RR 0,57; IC 0,35-0,92; p 0,023).186 I vasodilatatori, come categoria nel loro complesso, of-frono una riduzione della mortalità del 39%.184

Prostacicline. Nell’ambito di uno studio randomizzato e prospettico, epoprostenolo è risultato l’unica terapia specifica per IAP con dimo-strato beneficio sul tasso di sopravvivenza.187 Anche se infusioni conti-nue di epoprostenolo per via endovenosa o treprostinil per via sottocu-tanea offrono beneficio, entrambi sono limitati dalla necessità di una meticolosa sorveglianza del catetere, un’infusione continua e una pre-parazione giornaliera.

Inibitori della fosfodiesterasi-5. Gli inibitori della PDE-5 agiscono tramite vasodilatazione sulla PDE-5 nel sistema vascolare polmonare e sistemico. Inoltre, la ridotta proliferazione e un’aumentata apoptosi delle cellule della muscolatura liscia della AP possono favorire il rimo-dellamento vascolare.181 Subisce un incremento anche l’inotropia ventricolare destra.181 Questi farmaci producono inoltre un’azione di-retta sui polmoni, in cui l’espressione della PDE-5 è soppressa. Anche sildenafil migliora pertanto preferibilmente il flusso verso regioni ben ventilate del polmone in pazienti con pneumopatia come fibrosi pol-monare idiopatica, altra causa di IAP, con beneficio sintomatico.188 Gli inibitori della PDE-5 sildenafil e tadalafil sono approvati dalla FDA per il trattamento della IAP, e sildenafil è approvato anche dall’Agenzia Europea per i Medicinali. Non sono disponibili studi sulla mortalità.

Antagonisti del recettore dell’endotelina. La prima terapia orale approvata per il trattamento della IAP era bosentan.189 Questo farmaco offre un antagonismo combinato del recettore ETA/ETB. Gli antagonisti selettivi del recettore ETA (sitaxsentan e ambrisentan; entrambi appro-vati in Italia per il trattamento dei pazienti adulti con IAP; N.d.C.) pre-servano in linea teorica l’azione vasodilatatoria del recettore ETB. Tutta-via, nessun dato sperimentale dimostra se l’antagonismo selettivo del recettore ETA sia migliore dell’antagonismo combinato del recettore ETA e ETB (si veda anche macitentan, nella Sezione successiva). Inoltre, non esistono validi dati sperimentali che indichino una migliore so-pravvivenza con alcuno di questi farmaci.182

Macitentan (non disponibile in Italia; N.d.C.) è un doppio antago-nista del recettore ETA/ETB con elevata affinità lipofilica con costanti di inibizione in range nanomolare.190 In via sperimentale, ha dimostrato

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miglioramenti nel tasso di sopravvivenza in ratti con ipertensione pol-monare indotta da monocrotalina e protezione da danno a organi bersaglio nei diabetici. ET-1 può alterare la struttura del tessuto e in-durre fibrosi. L’ET-1 del tessuto agisce attraverso il legame ai due recet-tori accoppiati alla proteina G (ETA/ETB) siti su un’ampia serie di tipi di cellule come quelle endoteliali e i macrofagi. Il blocco di entrambi è necessario per contrastare gli effetti patologici complessivi della stimo-lazione dell’ET-1.

Studio SERAPHIN. Il 30 aprile 2012 Actelion (SIX: ATLN) annun-ciò l’analisi iniziale dello studio sugli eventi SERAPHIN con macitentan condotto su 742 pazienti con IAP e trattati per 3,5 anni.191 Macitentan ha ridotto il rischio di un evento di morbilità-mortalità durante il pe-riodo di trattamento rispetto a placebo del 45% nel gruppo assegnato alla dose da 10 mg (p 0,0001) e del 30% (p 0,01) nel gruppo asse-gnato alla dose da 3 mg.

Terapia combinata. In pazienti con IAP primaria l’aggiunta di silde-nafil a terapia con epoprostenolo per via endovenosa a lungo termine ha migliorato la capacità di sforzo, il tempo diaggravamento clinico, i parametri emodinamici e la qualità di vita.192 Al contrario, l’aggiunta di epoprostenolo a sildenafil dopo 2 anni di trattamento con sildenafil non ha migliorato le condizioni di un gruppo di pazienti giapponesi.193

Terapie in evoluzione. L’evoluzione delle terapie è molto attiva. In ordine alfabetico, i principali farmaci in fase di sviluppo sono i se-guenti: cicletanina (non disponibile in Italia; N.d.C.), che contrasta la disfunzione endoteliale nella IAP accoppiandosi alla sintasi del mo-nossido di azoto endoteliale;194 fasudil (non disponibile in Italia; N.d.C.), inibitore della Rho-chinasi che contrasta la sensibilizzazione al calcio e la vasocostrizione. In via sperimentale, la IAP ha mostrato una percentuale superiore di miglioramenti con fasudil rispetto a bosentan o sildenafil, mentre la combinazione di bosentan o sildenafil con fasu-dil non ha prodotto alcun effetto sinergico;195 imatinib, inibitore dell’at-tività del recettore-2 attivato dalla proteasi vasculopatica sito sui masto-citi e sulle piastrine (si veda la Fig. 9-3), che risulta aumentato nella IAP;196 riociguat (non disponibile in Italia; N.d.C.), che attiva la guani-lato ciclasi solubile la quale a sua volta migliora la funzione endote-liale e riduce il rimodellamento del tessuto fibroso;197 selexipag (non disponibile in Italia; N.d.C.), agonista diretto e potente del recettore della prostaglandina, che ha indotto una riduzione significativa della PVR nell’ambito di uno studio di fase 2;198 terguride, agonista della dopamina con proprietà antiserotonergiche e antifibrotiche,199 che sta per entrare negli studi clinici.

Ipertensione arteriosa polmonare nella sclerodermia. La IAP nella sclerodermia (sclerosi sistemica progressiva) è un esempio di IAP secon-daria a malattie del tessuto connettivo. La sopravvivenza dipende dalla gravità della disfunzione ventricolare destra, dal grado di insufficienza renale e dall’adattamento cardiaco alla vascolopatia polmonare.200 La IAP è scatenata dagli autoanticorpi in circolo che danneggiano l’endote-lio e attivano i fibroblasti. Terapie approvate comprendono prostacicline, antagonisti dell’ET e inibitori della PDE-5. Le prostacicline (infusioni con-tinue di epoprostenolo per via endovenosa o treprostinil per via sottocu-tanea) offrono beneficio ma sono limitate dalla necessità di una metico-losa assistenza con catetere, infusione continua e preparazione giornaliera. Gli antagonisti selettivi del recettore ETA (sitaxsentan e ambri-sentan) preservano l’azione vasodilatatoria del recettore ET B. Gli inibi-tori della PDE-5 sildenafil (tre volte al giorno) e tadalafil (una volta al giorno) sono approvati per l’uso nella IAP (IAP-sclerosi sistemica) negli Stati Uniti. Tuttavia, la risposta a tutte tali terapie è limitata.183

Ipertensione arteriosa polmonare indotta farmacologicamente. Sono numerosi i farmaci che sono stati correlati a IAP. Fra i più noti vi

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sono fenfluramina e i derivati di fenfluramina, che sono associati a IAP, valvoulopatia cardiaca e fibrosi cardiaca. Fenfluramina è stata ritirata dal mercato statunitense nel 1997 ma la vendita prosegue in Europa (l’AIC è stata revocata anche in Italia; N.d.C.). Questo farmaco induce la disregolazione genica nella muscolatura liscia dell’AP umana e nelle cellule endoteliali.201 L’infezione da HIV e il trattamento con terapia antiretrovirale altamente attiva incluso l’inibitore della proteasi da HIV ritonavir (RTV) possono essere associati a disfunzione endoteliale e IAP. Dasatinib è un farmaco antineoplastico che può indurre grave IAP precapillare quando somministrato per il trattamento di certe leucemie acute e croniche.202 In un ampio registro francese di circa 3000 pa-zienti, sono riportati 64 casi di IAP.202 La FDA ha avvertito nell’ottobre 2011 che i sintomi di insufficienza cardiaca potrebbero insorgere in qualsiasi momento dopo l’avvio della terapia, anche dopo 1 anno. A quel punto il farmaco deve essere sospeso e, se richiesto, si procederà a cateterizzazione cardiaca destra a scopo diagnostico.

Insufficienza cardiaca nei soggetti di sesso femminileLa menopausa condiziona l’andamento della malattia, con incidenza di coronaropatia in successivo aumento. Malgrado ciò, i soggetti di sesso femminile sono associati a un minor rischio basale di CHD a tutte le età, eccetto forse dopo gli 80 anni. Dunque non si tratta di una sem-plice questione di pre o post-menopausa.

I modelli di insufficienza cardiaca sono diversi. I soggetti di sesso femminile sono relativamente trascurati nell’ambito degli studi clinici, anche se lo studio DIG ha avvertito della presenza di un aumento di

Effetti vascolari sugli estrogeni: Profilo lipidico favorevole, LDL inferiore, HDL superiore; facilita la vasodilatazione-NO; antifibrotico.

La gravidanza può precipitare o peggiorare l’HF; aumento fisiologico del 30-/50% nella GC. Cardiomiopatia peripartum*: definita come deterioramento nella funzione cardiaca fra l’ultimo mese di gravidanza fino a 5 mesi post-parto in assenza di altra causa evidente.

Terapia per insufficienza cardiaca in gravidanza: ACE inibitori, ARB e spironolactone-eplerenone controindicati in tutti i trimestri (questo C/I non è citato da Shin et al.).

Menopausa: Rischio di aumento HF, deprivazione di estrogeni. Mancata protezione CV da parte di HRT nell’ambito di studi prospettici.HRT nell’HF può causare vasodilatazione e bloccare le citochine infiammatorie,

ma non esistono studi prospettici. Modelli di insufficienza cardiaca: I soggetti di sesso femminile hanno maggiori

probabilità di contrarre HFpEF; prognosi migliore degli uomini. Nell’HF con EF ridotta, donne anziane, QOL inferiore, diabete più spesso associato.

Gestione HF: Donne rappresentate sotto il livello auspicato in tutti gli studi, anche nello studio Dig (22%).

Digossina per HF:140↑ rischio di morte per tutte le cause nelle donne (HR, 1.23). ? Interazione con HRT.

Terapia con dispositivo: Sottoutilizzati, soggetti di sesso femminile hanno una percentuale superiore di LBBB, criterio per CRT.

Tabella 6-8

Differenze di sesso e cardiovascolari

ACE, enzima di conversione dell’angiotensina; ARB, bloccante del recettore dell’angiotensina; CRT, terapia di risincronizzazione cardiaca; CV, cardiovascolare; EF, frazione di eiezione; GC, gittata cardiaca; HDL, lipoproteina ad alta densità; HF, insufficienza cardiaca; HFpEF, insufficienza cardiaca con funzione di eiezione preservata; HRT, terapia ormonale sostitutiva; LBBB, blocco del ramo del fascio sinistro; LDL, lipoproteina a bassa densità; NO, monossido d’azoto; QOL, qualità di vita.

*Si veda la Sezione a pag. 241.Basato sui dati di revisione in Shin JJ, et al. Heart failure in women. Clin Cardiol

2012;35:172–177.

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6 — Insufficienza cardiaca 241

mortalità per causa non nota nei soggetti di sesso femminile con insuf-ficienza cardiaca rispetto ai soggetti di sesso maschile (Tabella 6-8). I soggetti di sesso femminile hanno maggiori probabilità di contrarre HFpEF a fronte di una migliore prognosi rispetto agli uomini. D’altra parte le donne affette da HFrEF sono più anziane, hanno una qualità della vita inferiore e più spesso presentano diabete concomitante. La terapia con dispositivo di assistenza è usata sotto la soglia auspicabile.

La gestione dell’insufficienza cardiaca e il trattamento delle car-diomiopatie nelle donne gravide richiede una considerazione speciale (Tabella 6-8). In gravidanza, gli ACE inibitori, gli ARB, spironolactone, eplerenone e gli inibitori della renina sono controindicati a causa della tossicità fetale. Tale farmaco dovrà pertanto essere idealmente sospeso e sostituito. Malgrado ciò, esistono casi isolati secondo cui eplerenone sia meno antiandrogeno di spironolactone quando usato in gravidanza per aldosteronismo primario senza i potenti attesi effetti antiandrogeni che possono causare lo sviluppo di genitali ambigui in un feto di sesso maschile.203 I diuretici devono essere usati con parsimonia perché possono ridurre il flusso sanguigno verso la placenta e produrre un effetto sull’allattamento.204

Cardiomiopatia peripartumLa cardiomiopatia peripartum (PPCM) è un tipo di insufficienza car-diaca idiopatica non così rara (fino a 1:1000) eppure seria senza al-cuna sottostante cardiopatia determinabile che si instaura durante l’ultimo mese di gravidanza o nei primi 5 mesi post-parto. L’incidenza varia in tutto il mondo ma è elevata nei Paesi in via di sviluppo; la causa della patologia potrebbe essere una combinazione di fattori ambientali e genetici.205 In Turchia, dei 42 casi consecutivi di donne con PPCM solo il 47,6% ha mostrato una guarigione completa, con un tempo me-dio di guarigione completa di 19,3 mesi dopo la diagnosi iniziale.206 La causa della PPCM è incerta ma si presume che le mutazioni associate ai geni familiari di cardiomiopatia dilatati si sovrappongano a quelli riscontrati nella PPCM, ciò suggerendo una sovrapposizione clinica di queste due patologie. Più specificamente potrebbero essere coinvolti fattori pro-infiammatori e processi autoimmuni.207 Va sempre più con-solidandosi l’evidenza secondo cui la malattia si manifesti come con-seguenza di uno stress ossidativo non compensato che porta a un ta-glio proteolitico della prolattina a formare un potente fattore angiostatico che inibisce la proteina cardioprotettiva STAT-3.208 Questo studio ha suggerito che l’inibizione del rilascio di prolattina potrebbe essere una nuova strategia terapeutica per la PPCM.

Cardiomiopatia peripartum: terapie target. L’immunoglobulina per via endovenosa, pentossifillina e bromocriptina sono state usate nell’ambito di piccoli studi.205 Tutti necessitano di ulteriori estesi studi controllati. L’immunoglobulina è la scelta più logica se somministrata a pazienti con dimostrata miocardite. Nell’ambito di un ridotto studio retrospettivo, le donne trattate con immunoglobulina hanno mostrato un maggiore miglioramento nella frazione di eiezione durante il primo follow-up rispetto ai pazienti trattati con terapia standard.209 Pentossifil-lina 400 mg tre volte al giorno, aggiunta a pregressa terapia convenzio-nale in 30 pazienti è stata l’unico fattore di predizione indipendente di esito (p 0,04).210 Tuttavia, i gruppi di controllo e trattati con pentossi-fillina sono stati studiati sequenzialmente. Bromocriptina è un agonista di dopamina 2D che inibisce il rilascio di prolattina e quindi agisce nello specifico sul meccanismo molecolare della patologia. Un recente piccolo studio cardine prospettico randomizzato ha mostrato che bro-mocriptina aggiunta a terapia standard per insufficienza cardiaca ha prodotto effetti benefici sulla frazione di eiezione ventricolare e sull’esito clinico in pazienti con PPCM grave e acuta.204,211 Bromocrip-tina è stata somministrata come dose da 2,5 mg due volte al giorno per 2 settimane seguita da 2,5 mg al giorno per 6 settimane.

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RIEPILOGO 1. L’insufficienza cardiaca è una condizione complessa, potenzialmente fatale. Comprende l’insufficienza cardiaca acuta, che necessita spesso di terapia con diuretici per via endove-nosa, vasodilatatori e possibilmente inotropi, e l’insufficienza car-diaca cronica, che può essere presente sotto forma di insufficienza sistolica classica necessitante di antagonismo neuroumorale con ACE inibitori (o ARB), β-bloccanti e bloccanti dell’aldosterone, oltre ai diuretici. Con la stessa frequenza, l’insufficienza cardiaca può es-sere presente con una frazione di eiezione preservata e una disfun-zione diastolica e con opzioni terapeutiche meno chiare.

2. Insufficienza cardiaca acuta con edema polmonare. L’insufficienza cardiaca acuta con edema polmonare non è una patologia uniforme. Il problema risiede nel fatto che esistono nume-rose cause differenti e varie manifestazioni cliniche. Furosemide per via endovenosa rimane un farmaco di fondamentale importanza, ma la dose deve essere limitata. Nuovi farmaci che agiscono su meccanismi specifici sono un approccio promettente.

3. Shock cardiogeno con o senza edema polmonare. Gli inotropi stimolatori del β-recettore sono spesso usati nella terapia acuta di insufficienza cardiaca grave, ma questi farmaci possono arrecare ulteriore danno al miocardio. Il problema della downrego-lazione del β-recettore potrebbe richiedere ulteriore inibizione della PDE. Farmaci disponibili comprendono dobutamina e dopa-mina. Vasopressina è un farmaco utile in caso di shock settico o perianestesia. Adrenalina ha dato esiti simili a noradrenalina asso-ciata a dobutamina nel trattamento di shock settico.

4. Dilatatori inotropi (inibitori della PDE). Preparazioni per via endovenosa con i loro effetti inotropi e vasodilatatori dovreb-bero essere particolarmente utili in pazienti con downgrading del β-recettore come nella CHF grave acuta su patologia cronica o du-rante prolungata terapia con dobutamina o altri stimolanti del recet-tore β1 o dopo β-blocco cronico. Milrinone ricopre pertanto una posizione limitata nell’ambito della gestione della terapia a breve termine dell’insufficienza cardiaca.

5. Riduzione del carico e vasodilatatori. Questi agenti sono spesso scelti nel trattamento dell’insufficienza cardiaca acuta grave, specialmente quando la PA è relativamente ben mantenuta, per al-leviare il carico sul miocardio in insufficienza. Tali farmaci com-prendono furosemide, nitrati e nitroprussiato. Possono essere combi-nati con cautela con farmaci che offrono un supporto inotropo o pressorio come dobutamina o dopamina.

6. Cinque attuali approcci per il trattamento dell’insuffi-cienza cardiaca cronica. I cinque principali approcci per la gestione della CHF sono, in primo luogo, l’eliminazione e la preven-zione della ritenzione dei liquidi; in secondo luogo l’uso di ACE inibitori come terapia standard; in terzo luogo l’inibizione della ri-sposta β-adrenergica da parte dei β-bloccanti inizialmente sommi-nistrati a basse dosi ma successivamente titolati alle dosi massime tollerate; in quarto luogo, l’inibizione degli effetti di aldosterone con spironolactone ed eplerenone; in quinto luogo, l’uso di ARB. Anche la combinazione di nitrati e idralazina rappresenta un trattamento aggiuntivo utile in pazienti selezionati, anche soggetti di colore au-toidentificati. Inoltre, se disponibili, i modulatori metabolici possono offrire un beneficio aggiunto. I “vaptani” sono registrati per l’uso in pazienti con insufficienza cardiaca sintomatica resistente a restri-

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zione dei liquidi. La terapia genica non è ancora disponibile. Le misure generali comprendono intensi programmi di gestione della patologia, allenamento fisico e correzione dell’anemia. I dispositivi meccanici ed elettrici (ICD, CRT e dispositivi di assistenza mecca-nica) sono sempre più usati con sostanziale supporto sperimentale.

7. Rivalutazione della digossina. In passato digossina è stata la terapia standard nella CHF, in un’epoca in cui la terapia inotropa era considerata auspicabile. L’uso di digossina in pazienti già trattati effi-cacemente con una combinazione di farmaci che riducono la mor-talità come i β-bloccanti, ACE inibitori e ARB e i bloccanti dell’aldo-sterone non è mai stato testato. Un limitato beneficio di mortalità non dimostrato potrebbe sussistere a livelli nel sangue inferiori a 1 ng/mL, che si converte in un sostanziale aumento della mortalità a superiori livelli nel sangue. Inspiegabilmente, le donne nell’esteso studio DIG sono state associate a un’aumentata mortalità, diversa-mente dagli uomini. Considerate le numerose incertezze e senza chiari studi sugli esiti nell’era attuale, e alla luce di nuove terapie, noi non raccomandiamo digossina per il trattamento dell’insufficienza cardiaca. In pazienti in regime ambulatoriale già trattati con digos-sina, la prognosi migliore è legata a bassi livelli nel sangue (digossina a bassa dose 0,125 mg/die).

8. Preservata funzione sistolica. Per preservata funzione sisto-lica malgrado la presenza di insufficienza cardiaca clinica si intende una condizione comune e seria dimostrabile con ecocardiografia ed è il risultato di DHF. Si tratta di una condizione relativamente più comune nelle donne. Nell’ambito di un esteso studio, l’aggiunta dell’ARB candesartan a pregressa terapia ha ridotto l’endpoint se-condario (morte cardiovascolare o ricovero ospedaliero per CHF, IM o ictus). Tuttavia, solo il 19% era in terapia con ACE inibitori. L’inibi-zione del sistema renina-angiotensina deve essere tenuta in conside-razione per tutti i pazienti con insufficienza cardiaca, qualsiasi sia la frazione di eiezione. In linea generale, il maggiore beneficio offerto dal trattamento farmacologico dell’insufficienza cardiaca con pre-servata funzione sistolica è una migliore tolleranza allo sforzo, un ri-sultato importante per il paziente, seppur in assenza di diminuzione del tasso di mortalità nell’ambito di una meta-analisi.

9. IAP. La presenza di IAP secondaria a insufficienza cardiaca si-nistra cronica è un importante fattore di predizione indipendente di mortalità. La terapia non è ben definita ma potrebbe comprendere sildenafil e composti correlati. La IAP primaria è più rara, tuttavia supportata da evidenze più valide. Potrebbe instaurarsi secondaria-mente a varie patologie vascolari polmonari, fra cui sclerodermia (sclerosi sistemica) o sotto forma di evento idiopatico. Nell’ultimo caso, la terapia è ben definita e comprende prostanoidi, inibitori della PDE-5 e bloccanti dell’ET. Nuovi farmaci sono in fase di svi-luppo. Ciononostante, la prognosi rimane grave.

10. Gravidanza. In gravidanza gli ACE inibitori, gli ARB, spirono-lactone, eplerenone e gli inibitori della renina sono controindicati a causa della fetotossicità. I diuretici devono essere usati con parsimo-nia perché potrebbero diminuire il flusso di sangue verso la pla-centa e compromettere l’allattamento. La terapia molecolare sotto forma di bromocriptina può essere una terapia specifica per il trat-tamento della cardiomiopatia peripartum.

11. Donne e cardiopatia. L’influenza della menopausa e dell’età nelle donne è sempre più oggetto di indagine. Sembra che esistano delle differenze biologiche permanenti nella eziogenesi delle pato-

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12. La terapia futura per il trattamento dell’insufficienza cardiaca. Fare previsioni è pericoloso. I progressi stanno emer-gendo. I nuovi farmaci si basano su nuovi meccanismi. In ultima analisi l’insufficienza cardiaca è un problema biologico e la solu-zione risiederà nella prevenzione delle cause del disturbo e nella capacità di sostituire o riparare le cellule miocardiche mediante l’impiego della terapia genica o il ricorso alla rigenerazione delle cellule staminali.

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